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SENTENZE IN SANITÀ – TRIBUNALE DI MONZA
TRIBUNALE DI MONZA – Sezione IV - Sentenza del 5 dicembre 2005
Per imputare al medico di pronto soccorso un comportamento omissivo, è necessario che sia provata una
sintomatologia specifica e non una generica indicazione di dolore diffuso, effetto normale in seguito ad
un incidente con presunta rottura di femore.
omissis
Svolgimento del processo
Con atto di citazione regolarmente notificato nei giorni 16 e 19 maggio 2003, M.C. convenne in
giudizio l'Immobiliare A. s.n.c. e l'Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza e chiese che il
Tribunale di Monza, accertata la responsabilità delle convenute, le condannasse al risarcimento
di tutti i danni subiti. M.C. espose che, il giorno 25 gennaio 2002, si era recata presso lo studio
medico del dr. M.R. per sottoporsi ad una visita oculistica, nel corso della quale le era stato
somministrato un collirio che provocava la dilatazione pupillare. Spiegò che, nell'uscire, aveva
inciampato in un gradino insidioso, non visibile sia per la scarsa illuminazione sia per le sue limitate capacità visive, accentuate dal collirio somministratole, e per l'età. Precisò di essere stata
trasportata all'ospedale in autoambulanza, lamentando dolori su tutto il lato destro del corpo ed,
in particolare, al braccio ed alla gamba; tuttavia, le erano state diagnosticate solo tre fratture
all'arto superiore destro, poi immobilizzato con gomitiera gessata e bendaggio. Lamentò che anche nel corso della successiva visita del 1 febbraio 2002 non era stato dato peso alle sue lamentele e la radiografia di controllo aveva interessato unicamente il braccio.
Solo in data 1 marzo 2002, il dr. B. aveva prescritto una serie di radiografie comprendenti anche
il bacino e l'anca destra, ma nel referto radiografico non veniva menzionato alcun esame all'arto
inferiore. Poiché il dolore alla gamba non accennava a diminuire, nonostante la rimozione del
bendaggio, in data 31 marzo 2002, si era rivolta alla guardia medica che aveva attestato l'impossibilità di deambulazione e prescritto terapia antinfiammatoria. In assenza di miglioramento, si
era rivolta al Policlinico di Milano, ove, all'esame radiografico, era stata riscontrata una frattura
inveterata gravemente scomposta sottocapitata femore destro: in data 5 aprile 2002 era stata operata. Affermò che la mancata tempestiva diagnosi aveva aggravato le conseguenze della caduta. Indicò il danno biologico permanente in misura del 40% ed i danni patrimoniali in Euro
31.969,01.
L'Immobiliare A. s.n.c. si costituì e contestò la sussistenza del nesso di causalità tra la presenza
del gradino e la caduta e l'insidiosità del gradino; in ogni caso, eccepì la responsabilità dell'attrice per disattenzione e del marito e del figlio di quest'ultima che l'accompagnavano. L'Azienda
Ospedaliera si costituì ed affermò che M.C. non aveva lamentato alcun dolore all'anca né in occasione della prima visita, né nel corso dei successivi controlli. Contestò, pertanto, che la caduta
del 25 gennaio 2002 avesse provocato la frattura del femore. Solo dopo la guarigione delle frat-
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ture al braccio, era emerso il problema all'anca ed il dr. B., in data 1 marzo 2002, aveva prescritto gli accertamenti radiografici all'anca, che tuttavia M.C. si era rifiutata di eseguire. Osservò
che con una frattura scomposta al femore, M.C. non avrebbe potuto muoversi e sopportare il dolore fino al 31 marzo 2002, quando si era recata da altro medico che le aveva prescritto, peraltro,
una terapia per postumi di contusione, avendo rilevato una mera difficoltà di deambulazione.
Aggiunse che il referto radiografico non menzionava l'esistenza di una frattura inveterata e che
il quadro clinico descritto era rapportabile piuttosto ad una frattura recente. Osservò che M.C.
avrebbe dovuto comunque sottoporsi ad endoprotesi, cosicché il quadro clinico della paziente
non sarebbe stato aggravato dal presunto ritardo dell'operazione. In via subordinata, eccepì il
concorso di colpa di M.C., ai sensi dell'art. 1227, commi 1 e 2, cod. civ.
Esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, vennero ammesse ed assunte le prove
orali. Precisate le conclusioni all'udienza del giorno 26 maggio 2005, senza ammettere la consulenza tecnica d'ufficio, la causa venne rimessa in decisione norma dell'art. 190 cod. proc. civ.
essendo matura per la decisione.
Motivi della decisione
La domanda proposta da M.C. nei confronti delle due parti convenute va respinta.
Relativamente alla posizione dell'Immobiliare A. s.n.c., la norma applicabile al caso in esame è
l'art. 2051 cod. civ.: la responsabilità per il danno cagionato da cose in custodia presuppone che
il danno stesso sia stato prodotto dalla cosa, in relazione alla sua intrinseca pericolosità, tanto
originaria, quanto sopravvenuta, ancorché per l'intervento di agenti esterni. Pertanto, anche in
relazione alle cose prive di un dinamismo proprio, sussiste il dovere di custodia e controllo perché il fortuito o il fatto dell'uomo possono intervenire nel processo di produzione dell'evento
dannoso eccitando una caratteristica della cosa capace di conferirle l'idoneità al nocumento (cfr.
Cass. 23 ottobre 1990 n. 10277).
La responsabilità del custode, dunque, non è esclusa anche quando la cosa non sia intrinsecamente pericolosa perché la presunzione di cui all'art. 2051 cod. civ. trova fondamento sul rapporto oggettivo con la cosa custodita e prescinde dal carattere insidioso di questa, cioè dall'imprevedibilità ed invisibilità, carattere che non tocca al danneggiato dimostrare, cui incombe solo
l'onere di provare l'esistenza di un efficace nesso causale tra la cosa e l'evento, onere che assolve
con la "dimostrazione che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare
condizione, potenzialmente lesiva, originariamente posseduta, o successivamente assunta, dalla
cosa considerata nella sua globalità, e senza che risulti, altresì, necessaria la dimostrazione
dell'inesistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode
e, quindi, per lui inevitabili" (cfr. Cass. 6 agosto 1997 n. 7276 e Cass. 8 aprile 1997 n. 3041).
Nella fattispecie, l'istruttoria non ha chiarito l'esatta dinamica dell'accaduto e, pertanto, manca la
prova che la caduta sia stata determinata dal gradino. Il testimone G.S., figlio dell'attrice, ha dichiarato che la madre era scivolata sul gradino che costituisce la soglia d'ingresso allo studio
medico, precisando, tuttavia, che egli si trovava davanti alla madre, voltandole le spalle. Il marito, A.S., ha affermato che la moglie non si era accorta che i gradini erano due ed era caduta.
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Le fotografie dello stato dei luoghi mostrano che la soglia in granito presenta due balze di modestissimo rilievo rispetto alla pavimentazione dello studio medico: la prima balza, è di fatto
annullata dalla presenza dello zerbino, per cui solo la seconda rappresenta una possibile insidia
per chi esce dal locale. Tuttavia, tale rialzo è segnalato da una banda adesiva di colore giallo. La
situazione dei luoghi non era, dunque, di per sé potenzialmente lesiva; tuttavia, manca, in primo
luogo, la prova che la caduta sia stata determinata da quella balza, cioè dalla particolare condizione del gradino. In ogni caso, il nesso di causalità dovrebbe essere comunque escluso, essendo
ravvisabile la responsabilità esclusiva della vittima e dei famigliari che l'accompagnavano: questi ultimi, in particolare, conoscendo le difficoltà visive di M.C. e, presumibilmente, quelle motorie e neurologiche legate all'età avanzata, oltre al fatto che le era stata somministrata una soluzione liquida per favorire la dilatazione delle pupille, avrebbero dovuto prestare maggiore accortezza nell'accompagnarla verso l'uscita, provvedendo a sostenerla nella discesa dal gradino o
comunque ad allertarla circa la presenza del gradino, anziché precederla, voltandole le spalle,
come riferito dal figlio.
Se poi si dovesse ritenere che l'incidente si è verificato perché la zona non era illuminata, la responsabilità non sarebbe dell'Immobiliare A. s.n.c. posto che quella zona era dotata di un sistema di illuminazione.
Per quanto riguarda la responsabilità della struttura ospedaliera, va osservato che questa, al pari
di quella del medico alle sue dipendenze, è di tipo contrattuale, e sussiste, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 1176 e 2236 cod. civ., in caso di dolo o colpa grave solo quando la prestazione resa implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Nel caso in cui, invece,
non siano riscontrabili problemi di quel genere, la responsabilità va valutata al pari di una comune ipotesi di inadempimento contrattuale e va ritenuta sussistente, a norma dell'art. 1218 cod.
civ., anche per colpa lieve. Infatti, l'art. 2236 cod. civ. non si pone in contrapposizione con la
disciplina generale di cui all'art. 1176 cod. civ., bensì ne costituisce un completamento, essendo
tale norma applicabile alle sole ipotesi di imperizia ricollegabili alla particolare difficoltà dei
problemi tecnici che l'attività professionale rende in concreto necessario affrontare, con la conseguenza che essa "non trova applicazione ai danni ricollegabili a negligenza ed imprudenza"
(Cass. n. 6937/96).
D'altra parte, il danneggiato non è tenuto al più rigoroso onere probatorio relativo alla colpa professionale, ma può avvalersi della presunzione sancita dall'art. 1218 cod. civ. di inadeguatezza o
negligenza nella prestazione, limitandosi a dimostrare la sussistenza del danno e il suo collegamento causale con il trattamento o l'intervento subito od omesso.
Spetta, invece, al debitore, che voglia liberarsi della responsabilità superando la presunzione,
dimostrare che l'inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile, cioè che la prestazione
professionale è stata eseguita in modo idoneo e che il danno è stato determinato da un evento
imprevisto ed imprevedibile, non evitabile con l'ordinaria diligenza.
Ciò premesso, nella fattispecie, non è dimostrato che la frattura sia stata conseguenza della caduta. Si osservi che una frattura di tale tipo non avrebbe consentito a M.C. di muoversi, o comunque di essere spostata e trasportata, e di sopportare il dolore per oltre due mesi di tempo.
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Il figlio G. ha riferito che la madre si muoveva per la casa con l'ausilio di un bastone e può ritenersi pacifico che la stessa si era recata in ospedale per le visite di controllo: in tali occasioni,
per quanto si possa ipotizzare che venisse utilizzata una sedia a rotelle o altro ausilio per il trasporto, la stessa avrebbe dovuto compiere movimenti tali da esercitare un carico sull'arto che si
assume compromesso.
Il testimone L.B., collaboratore del dr. R., ha riferito che M.C., dopo la caduta, lamentava dolore alla spalla ed al braccio, che l'avevano aiutata ad alzarsi da terra e l'avevano sostenuta per farla rientrare dalla porta e metterla a sedere in attesa dell'autoambulanza. Anche il dr. A.A., che
aveva applicato il bendaggio gessato presso il pronto soccorso dell'Azienda Ospedaliera San
Gerardo, ha precisato che la paziente era stata posta in posizione seduta per compiere tale operazione. Si tratta di condizioni incompatibili con la presenza di una frattura femorale, peraltro
grave, come evidenziato dalla diagnosi di accettazione presso il Policlinico di Milano ove si fa
menzione di una frattura "gravemente scomposta sottocapitata" del femore.
Ferma l'assorbenza di quanto sopra osservato, se anche si dovesse ammettere che la frattura del
femore era stata originata dalla caduta del 25 gennaio 2002, occorre considerare che, perché si
potesse esigere dal medico del pronto soccorso un comportamento ritenuto omesso, sarebbe stato necessario che la paziente avesse segnalato o che fosse emersa altrimenti una sintomatologia
specifica e non soltanto una generica indicazione di dolore diffuso alla parte destra del corpo
(effetto, questo, del tutto normale dopo una caduta). Si consideri, in proposito, che nessuno aveva riscontrato una sintomatologia che lasciasse supporre una lesione del femore, non solo i medici dell'Azienda Ospedaliera San Gerardo, ma neppure i suoi famigliari ed il medico che sottopose M.C. a visita in data 31 marzo 2002, cioè quando la stessa aveva espressamente lamentato
dolore all'anca.
D'altra parte non vi è prova della reale incidenza delle pretese omissioni del personale dell'Azienda Ospedaliera San Gerardo in termini di aggravamento delle condizioni cliniche della paziente. Si osservi, in proposito, che M. C. è stata sottoposta ad intervento di endoprotesi biarticolare, intervento resosi necessario a seguito della frattura sottocapitata.
La sola peculiarità del caso giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale, così provvede:
rigetta la domanda proposta da M.C.;
spese di lite compensate.
Così deciso in Monza il 30 novembre 2005
Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2005
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