Lo strano caso del Cuvée Prestige.-4

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Lo strano caso del Cuvée Prestige.-4
Lo strano caso del Cuvée Prestige.
L’Ispettore Fulgenzi seduto al bar di “Nando”, teneva gli occhi fissi sulla piazza di Conegliano,
quasi a volerne scoprire qualche angolo nascosto.
Conversava amabilmente sulla forza di carattere di alcuni vini Francesi, ma asseriva, gustando un
salame casareccio, che nulla era meglio di un buon Pino Grigio dell’Alto Adige vinificato Bianco.
Fulgenzi la cui corporatura robusta lasciava trasparire qualche trascorso goliardico di troppo, era
intento a decantarne i meriti con dovizia di particolari, sia sul profumo che sul fatto che fossero
trascorsi 50 anni dalla sua prima commercializzazione, quando ad un tratto i suoi pensieri
sembrarono perdersi e il suo sguardo diventò cupo e malinconico.
Gli amici del bar sapevano che in quel suo sguardo si celavano un immensità di ricordi.
Infatti di li a poco cominciò a raccontare
“Una sera d’inverno ero seduto in un piccolo ristorante-enoteca di Torino, da poco ero stato
trasferito alla squadra mobile di quella città e non conoscevo quasi nulla.
Capitai lì per caso, attratto dalla moltitudine di persone che sedevano festose ai suoi tavolini e da
uno strano odore di aglio.
Mi fermai interdetto, poi con passo deciso entrai per provare quella strana specialità. Mi spiegarono
che era a base di aglio e acciughe e che bisognava intingervi una serie di differenti verdure. Il
proprietario, un signore sulla cinquantina mi consigliò di abbinargli un vino corposo, nero, un
cabernet sauvignon.
Mentre gustavo quello strano intingolo, sentii provenire dalla cucina un assordante trambusto,
dapprima non ci feci caso, ma poi visto che le voci diventavano sempre più concitate, mi alzai.
Sul pavimento una bottiglia di Chardonnay Trentino D.O.C lasciava defluire il suo nettare biondo e
un risotto di mare pronto per essere gustato si bagnava in quello strano laghetto, poco più in la un
giovane dai grandi occhi azzurri era steso a terra, le sue mani comprimevano nervosamente
l’addome, rantolava.
Mi avvicinai, cercò di dirmi qualche cosa, ma perse conoscenza.
La mia cena era rovinata. Pensai.
Mi attaccai al telefono e in pochi minuti arrivò l’ambulanza.
Quel giovane aveva un’aria pulita, mi ispirava fiducia.
Restai ad aspettare nell’atrio dell’ospedale sino a quando il medico di turno mi disse che era stato
avvelenato.
Valentino, così si chiamava il cuoco, aveva aperto da poco quel locale, le sue specialità erano
tipiche della terra piemontese.
Il giovane cuoco spaziava dalla tradizione a qualche piatto di sua creazione, il tutto annaffiato da
una serie di vini spettacolari.
Avevo avuto l’opportunità di vedere la cantina, era un locale di mattoni rossi con il soffitto a volta,
sulle pareti facevano mostra di se una serie di scafali allineati. I vini erano catalogati per tipo,
provenienza e annata.
Mi innamorai di una bottiglia di bollicine Cuvée Prestige , un bianco millesimato della Franciacorta
Sola risplendeva nel centro di un piccolo mobiletto di legno, accanto a lei due bicchieri usati,
delicatamente li presi e li posi in una bustina di plastica per le impronte.
Mi ricordai di quello che avevo letto su quella prelibatezza, un giornale di tendenza lo abbinava a
cibi raffinati, quali pesce e uova di storione e da provare con la pernice arrosto e il patè de foie.
Unico neo, il costo, troppo, per il mio povero stipendio. Qualche giorno dopo la scientifica appurò che uno dei bicchieri conteneva un potente veleno,
purtroppo Valentino non si era ancora ripreso e dovetti impegnarmi parecchio per arrivare alla
soluzione del caso. Scoprii che Valentino aveva un fratello, un poco di buono che bazzicava spesso per il locale
accattonando cibo e soldi. Quella sera, inviperito dall’ennesimo rifiuto del fratello maggiore, aveva cercato di ucciderlo, ma
non era riuscito a distruggere quella preziosa bottiglia, sulla quale lo inchiodavano le sue impronte. Quando Valentino tornò al locale, mi invitò per una cena, non appena mi vide alzò il calice e disse:
“in vino veritas”