fantasma metropoli
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fantasma metropoli
la Repubblica martedì 5 ottobre 2010 pag. 46 - 47 - 48 Da Abu Dhabi al Turkmenistan gli archistar progettano le nuove città ecologiche e futuribili. Ma secondo molti sono cattedrali nel deserto Benvenuti nelle DAL NOSTRO INVIATO ANGELO AQUARO metropoli fantasma NEW YORK aledetti architetti. Sarà anche vero che i prosperosi abitanti di Abu Dhabi, sprofondati per decenni nelle poltrone di petrodollari, stanno scalando la classifica dell’obesità. Ma bisogna essere cattivi dentro per costringerli a inforcare le scale cancellando ogni traccia di ascensore. Dice: l’avete voluta la prima città completamente ecosostenibile? E in effetti l’argomentazione di Norman Foster, il maestro che ha progettato da zero la città futurista di Masdar, lì nel deserto, non fa una piega. Però il particolare, che tecnicamente potrà pure essere piccolo, illustra alla grande la filosofia inevitabilmente dirigistica che si nasconde dietro alle planned city, le città su cui dovremmo modellare il nostro futuro ma che nella realtà si rivelano sempre più quello che Masdar riassume già nella sua collocazione geografica. Cattedrali nel deserto, appunto. Città concepite con le migliori intenzioni ma irrimediabilmente disconnesse dal tessuto sociale circostante. Città fantasma. Prendete proprio Masdar. Maestro Foster, l’architetto inglese che ha ridisegnato Londra piantandoci nella skyline quel pisellone della Millennium Tower, aveva annunciato tre anni fa la commessa miliardaria degli sceicchi con dichiarazioni roboanti. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE M DAL NOSTRO INVIATO EUGENIO OCCORSIO ASHGABAT isogna arrivarci in aereo di notte. Un bagliore di luci sconcertante nel buio inchiostro del deserto, che si inizia a vedere da cento chilometri di distanza. Lo stesso effetto di Las Vegas, anzi di Dubai che è dichiaratamente il modello al quale si ispira Ashgabat, capitale del Turkmenistan, 500 chilometri dalla sponda orientale del Mar Caspio e altrettanti dall’Afghanistan. Quello che Dubai è per il Golfo Persico, Ashgabat vuole diventare per l’Asia centrale: il centro della finanza, dell’industria, soprattutto del petrolio. Il quale teoricamente non manca, così come il gas, solo che i progetti di sfruttamento procedono a rilento. Per ora sono state costruite solo le infrastrutture: uscendo da un aeroporto avveniristico si imboccano immensi vialoni con un’illuminazione palesemente eccessiva. Li fiancheggiano decine di mega-edifici, ognuno di una quindicina di piani, tutti grandiosi, tutti nuovi fiammanti, decorati con bianchissimo marmo di Carrara, senza risparmi quanto a finimenti di gran lusso, interni ed esterni. Solo che, piccolo dettaglio, non c’è anima viva. Anche i palazzoni dell’eredità sovietica sono stati rivestiti di marmo importato dall’Italia, tagliato e lucidato con criteri di omogeneità che danno alla città un aspetto ancora più surreale. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE B segue la Repubblica martedì 5 ottobre 2010 pag. 46 - 47 - 48 C I casi “Planned city” ante litteram in provincia di Udine, fu costruita dai veneziani nel 1593 N Sorta in India negli anni ’50, il suo piano urbanistico fu realizzato da Le Corbusier Inaugurata nel 1960, fu costruita in 41 mesi da Niemeyer e Burle Marx Fondata nel 1947, è la più antica new town del nord dell’Inghilterra La capitale del Kazakistan è stata del tutto ridisegnata dopo l’indipendenza Progetti avveniristici, luoghi modello, costruzioni perfette Sono state il grande sogno del Rinascimento e oggi ritornano con i progetti degli archistar. Come quello di Foster ad Abu Dhabi: una metropoli ad energia solare. Che però secondo molti diventerà una cattedrale nel deserto Le nuove città utopia dell’ (segue dalla copertina) Anche ad Astana, in Kazakistan, sono i soldi del petrolio ad aver richiamato i grandi architetti L’indiana Chandigarh di Le Corbusier è un esperimento che funziona tuttora DAL NOSTRO INVIATO ANGELO AQUARO e ambizioni ambientali, zero carbone e niente sprechi, sono uniche al mondo - aveva detto Foster - siamo di fronte a una sfida che mette in discussione dalle fondamenta la sapienza urbanistica tradizionale». L’opera, ci mancherebbe, è da record. La prima delle otto sezioni in cui è articolato il progetto è stata appena completata e Masdar ha subito svelato le sue meraviglie. Il 90 per cento dell’energia arriva dagli impianti solari, le auto elettriche sono attivate da un computer di bordo e tutto il traffico scorre sotto terra — costringendo appunto gli abitanti a riemergere dal sottosuolo a piedi. L’impianto fotovoltaico, l’inceneritore, le riserve acquifere: tutto è finito fuori città. Disegnando una città ideale che il suo creatore non teme di paragonare a un parco giochi: bella e finta come Disneyland. Peccato che la città ideale di Foster, dice Nicolai Ouroussoff, il critico d’architettura del New York Times che l’ha visitata, «rifletta anche la mentalità da comunità-rinchiusa che si è andata espandendo come un cancro in tutto il globo per decenni». Cioè? «La sua purezza utopica è ancorata nella convinzione che l’unico modo per creare una comunità davvero armoniosa, verde «L o di qualsiasi altro tipo, è di tagliare ogni legame con il resto del mondo». Una gabbia? Dice Saskia Sassen, che dalla cattedra di sociologia della Columbia di New York ha studiato La città globale, come recita il titolo di un suo famoso li- bro, che quella gabbia in realtà all’inizio era un giardino: «L’obiettivo era proprio quello di umanizzare l’ambiente. La città giardino nasce così. Ma diventa subito città-cancello». Città giardino, purezza utopica. Tommaso Moro ci aveva avvisati cinque secoli fa. Foster, per esempio, ha voluto la sua Masdar su un altopiano — per sfruttare la tradizione araba delle gallerie del vento e favorire così una ventilazione naturale — e rigorosamente quadrata: simbolo di perfe- SAI CHI CI GUADAGNA , IL PRODUTTORE, L AMBIENTE, IL PUNTO VENDITA, E ANCHE TU Dal 2 al 17 ottobre www.altromercato.it Main sponsor: Con l’adesione di: zione. Beh: ricordate la descrizione della città di Utopia? «Essa giace su un lato di una collina, anzi precisamente su un altopiano. Il suo aspetto è quasi quadrato. E ogni casa ha una porta sulla strada e una sul giardino...». Il problema è che utopia, si sa, non fa rima con democrazia. Guardate Astana, la città nel bel mezzo di quel particolare deserto che è la steppa del Kazakistan — in un’area che per una tragica ironia della storia ospitava Akmolinskii, uno dei più temibili gulag di Stalin. Anche qui, come a Masdar, sono i soldi del petrolio ad aver richiamato le grandi firme dell’architettura. Ma da Kisho Kurokawa in giù, le sue opere finiscono per cantare le lodi del presidente Nursultan Nazarbayev. Perché poi più che alla vivibilità della gente comune è all’esibizione del potere che le città ideali sembrano improntate. Per carità, il concetto è vecchio come il mondo. «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome», recita Genesi 11, 1-9. È il mito della Torre di Babele, e non si può proprio dire che il concetto di città sia stato benedetto dal Signore Iddio, «che li disperse di là sulla terra, ed essi cessarono di costruire le città». Per poco. La storia della civiltà negli ultimi cinquemila anni, diceva Lewis Mumford, è la storia della lotta «tra Necropolis e Utopia»: inseguendo il sogno di «un nuovo tipo di città, che ci arricchisca e ci spinga verso lo sviluppo dell’umanità». segue la Repubblica laaRReeppuubbbblliiccaa martedì 5 ottobre 2010 pag. 46 - 47 - 48 PER SAPERNE DI PIÙ www.fosterandpartners.com www.ashgabat.us ■ Il reportage Voluta dal presidente, deve diventare il centro degli affari del Turkmenistan CANBERRA PUJIANG MASDAR Disegnata da Walter Burley Griffin, è diventata la capitale dell’Australia È una città satellite di Shanghai, progettata da Vittorio Gregotti Pianificata da Norman Foster ad Abu Dhabi, conterà solo sull’energia solare Ashgabat e i suoi palazzi di marmo viaggio nella capitale senza abitanti (segue dalla copertina) DAL NOSTRO INVIATO EUGENIO OCCORSIO ome in Blade Runner, la megalopoli perfetta con i suoi raffinati lampioni in ferro battuto sempre accesi giorno e notte come le finestre dei grattacieli, con i suoi parchi modello, con i suoi marciapiedi lindi e continuamente puliti, è assolutamente deserta. E lo spettacolo non cambia di giorno. I palazzi sono per la maggior parte vuoti e senza insegne. Costruiti per grandeur in previsione di un futuro radioso per questa terra sulla via della seta che ha cono- C LE IMMAGINI Sopra la statua d’oro di Niyazov a Ashgabat A sinistra le torri e i pannelli solari di Masdar LA TORRE Due foto di Masdar: una Wind Tower costruita per ventilare le piazze; in alto, gli edifici vicini all’Institute of Science and Technology Il grande storico scriveva così all’alba degli anni ’60. Proprio quando Louis Kahn concepisce il più grande complesso legislativo nel mondo, Jatyo Sanshad Bhabn. Che se tecnicamente non è una vera planned city — è costruita in un sobborgo di Dhaka, nel cuore del Bangladesh — è inevitabilmente una città nella città, e naturalmente la parte più sicura di quella metropoli-mostro da 15 milioni di persone. E sicura appunto perché completamente isolata dal resto. Insomma gli esperimenti sono andati troppo lontano dalla città ideale che nel quindicesimo secolo sognava Enea Silvio Piccolomini, l’umanista che diventato Papa Pio II — la legge è sempre quella: arte e potere — fondò in Toscana Pienza, il «prototipo» della planned city, la vivibilissima città umanista che ha alimentato per secoli le ambizioni degli architetti: giù giù fino al mitico Le Corbusier. L’esponente più noto di «quel nuovo fenomeno senza precedenti: l’architetto che è già famoso senza aver costruito niente», secondo la velenosa definizione di Tom Wolfe, è anche quello che più di tutti ha creduto all’utopia delle cattedrali nel deserto. Ma in Maledetti architetti Wolfe è troppo severo. In fondo Chandigarh, la prima planned city indiana, disegnata proprio dal maestro svizzero, è un esperimento che funziona ancora oggi. L’unica città del subcontinente in cui il traffico non va in tilt di default, grazie ai boulevard con cui “Corbù” aveva schiacciato la tradizione indiana delle labirintiche cittadelle indiane. La città fantasma può popolarsi di umanità? «La città è un sistema complesso, che dà origine a reazioni inaspettate che nessun pianificatore può prevedere», dice ancora Sassen. Tra vent’anni, più di 5 miliardi di persone vivranno in agglomerati che assomiglieranno sempre più alle megacities spaventose come Lagos o Karaki — aggiunge il critico di Time, Bryan Walsh — piuttosto che nelle metropoli come le conosciamo: New York, Londra, la stessa Pechino. Ma l’alternativa sognata non si vede. E chissà per quanto tempo ancora le cattedrali nel deserto continueranno ad assomigliare agli incubi di J. G. Ballard, il romanziere che nei ghetti di lusso stile Masdar ha immaginato così tanti orrori da farci accucciare per sempre nelle nostre casette, in queste nostre città eco-insostenibili e qualunque. © RIPRODUZIONE RISERVATA sciuto le dominazioni dei Parti, dei persiani, dei mongoli di Gengis Khan, degli ottomani, dei sovietici, e che ha finalmente conquistato l’indipendenza solo nel 1991. Nella città-fantasma qualche ufficio qua e là comincia ad essere insediato, ma anche i palazzi “vivi” hanno un tasso di occupazione minimo. Persone e macchine per strada quasi non se ne vedono. Non mancano solo i poliziotti che sembrano avere soprattutto il mandato di garantire la pulizia: chi vive qui racconta che è stato più volte multato perché non aveva lavato la macchina dopo un’escursione nel deserto. Di compito la polizia ne ha anche un altro: in una città dove il traffico è zero, quando passa il corteo presidenziale blocca le strade per ore. La città vera, quella abitata da mezzo milione di persone, è povera, confinata in un angolo dell’immensa area urbana dove nessuno ti vuole portare perché minerebbe l’immagine splendente che Ashgabat vuole a tutti i costi imporsi, meno che mai l’“interprete” che sembra uscito da un film di James Bond e viene appiccicato ai giornalisti fin dall’aeroporto per non lasciarli mai. Perfino il nuovo rutilante palazzo presidenziale con fughe di cupole dorate, costruito da ditte italiane, è vuoto perché il presidente preferisce starsene in qualche altra sede non meglio precisata. Si chiama Kurbanguly Berdymukhamedov ed è il temutissimo capo sia dello Stato che del governo. È stato eletto nel dicembre 2006 a lista unica con il 95% dei consensi, dopo che era stato misteriosamente incarcerato durante la campagna elettorale Owezgeldi Atayew, l’erede designato dal predecessore Saparmurat Niyazov. Questi a sua volta era un apparatcik di Mosca quand’era governatore della regione e poi, caso unico nell’ex-Urss, era diventato presidente. Di Niyazov, del quale era il dentista, l’attuale leader sembra avere ereditato — almeno a giudicare dalla città — un bel po’ di megalomania. Ha fatto abbattere la statua dorata alta 15 metri di Niyazov che veniva ruotata dai soldati durante la giornata perché il volto doveva sempre essere rivolto verso il sole, è vero, ma se n’è fatta costruire una ancora più grande. L’opposizione politica è di fatto inesistente, e lui continua ad ampliare il suo inner circle: ha nominato il ministro dei fiori, quello dei tappeti, quello dei cavalli. «Sono voci importanti della nostra società», spiega solerte l’interprete. La vera ricchezza, le riserve di idrocarburi, aspetta di essere valorizzata e distribuita alla popolazione, come continuano a ricordare il Fondo Monetario, la Banca Mondiale, le agenzie nazionali di sostegno all’export come l’italiana Sace. L’estrazione del petrolio è ferma a 200mila barili al giorno, contro i 5 milioni dell’Iran che è qui a pochi chilometri. Anche il gas è ben sotto il potenziale, che pare davvero da record mondiale. Pare che il motivo dei ritardi sia l’amore-odio con Mosca: ora l’Eni ha proposto un metodo innovativo per esportare il gas, compresso a bordo di petroliere, attraverso il Caspio, che permetterebbe di evitare di doverlo per forza veicolare attraverso le pipelinerusse. Ma l’ambiguità delle relazioni con la Russia rallenta tutto. Berdymukhamedov è venuto anche in Italia lo scorso novembre, accolto con tutti gli onori da Berlusconi, promettendo grandi relazioni. Qualche giorno fa l’impegno è stato rinnovato quando è venuto qui il viceministro del Commercio estero, Adolfo Urso. Ma per il momento la grandiosa capitale brilla “inutilizzata” sotto il sole del deserto. Aspettando tempi migliori. © RIPRODUZIONE RISERVATA