Tacito, “drammaturgo della storia”
Transcript
Tacito, “drammaturgo della storia”
© e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org Tacito, “drammaturgo della storia” 1. essenziali notizie biografiche a. 55 d.Chr. – 120 d.Chr b. dinastia flavia c. Vespasiano, Tito, Domiziano, Nerva, Traiano, Adriano OPERE NON PROPRIAMENTE STORIOGRAFICHE 2. De vita Iulii Agricolae (Agricola) passi: 3; 30-31 a. 97-98: encomio del suocero b. prefazione i. un tempo si celebravano azioni memorabili ii. ora non si nominano neppure iii. Domiziano e dittatura di regime (no libertas) iv. contro intellettuali v. Trasea Peto, Elvidio Prisco del passato vi. Senecione e Rustico vii. ora Nerva: nunc demum redit animus c. opposizione al regime e Agricola i. obsequium e modestia: carica in Britannia ii. posse etiam sub malis principibus magnos viros esse iii. fu avvelenato da Domiziano nel 93 ? rumor d. temi dell’opera i. schema del , il tipo della biografia ii. descrizione popoli della regione iii. i Calèdoni e Calgàco 1. anti-imperialismo 2. raptores urbium 3. ubi solitudinem faciunt pacem appellant 4. vero pensiero “indigeno” ? 5. Giov. Apoc. 17 e caduta di Roma iv. excursus 1. etnografici (Cesare) 2. moralistico-politico-filosofici (Sallustio) 2. Abbiamo letto che Aruleno Rustico e Erennio Senecione, per aver lodato l' uno Trasea Peto e l' altro Elvidio Prisco, hanno subito la condanna alla pena capitale. Né si infierì solo sugli autori, ma perfino contro i loro libri: i triumviri ebbero infatti l' ordine di bruciare nel comizio e nel foro gli scritti esemplari di quei chiarissimi ingegni. Evidentemente con quel fuoco si pensava di cancellare la voce del popolo romano, la libertà del senato, la coscienza del genere umano, dopo aver cacciato in esilio i maestri di sapienza e bandito ogni forma onorevole di cultura, perché in nessun luogo si presentasse più davanti agli occhi qualche traccia di dignità morale. Abbiamo dato davvero grande prova di tolleranza e, come tempi ormai passati hanno espresso nelle forme più piene cos' è la libertà, C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 1 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org così noi cos' è la servitù, dato che per mezzo dei delatori ci è stata tolta la possibilità di parlare e di ascoltare. La memoria stessa avremmo perso con la voce, se fosse in nostro potere dimenticare come tacere. 3. Ora finalmente si ricomincia a respirare. Ma benché sin dal principio di questa felice età Nerva Cesare abbia saputo armonizzare due cose da tempo inconciliabili, il principato e la libertà, e Nerva Traiano accresca ogni giorno la felicità dei nostri tempi, e la sicurezza collettiva non si regga più su speranze o desideri ma sulla solida certezza di possederla davvero, tuttavia la stessa fragilità della natura umana rende l' effetto della cura più lento del diffondersi della malattia; e come per i nostri corpi è lenta la crescita, ma rapida la dissoluzione, così è tanto più facile soffocare l' intelligenza e le sue opere che non rianimarle: perché s' insinua nell' animo la dolcezza dell' inerzia, e l' inattività, da principio faticosa, diventa alla fine gradevole. E così in quindici anni, che è tratto non piccolo della vita mortale, molti se ne sono andati per le vicende del caso, ma tutti i più animosi sono caduti per la crudeltà del principe. In pochi siamo ormai sopravvissuti non solo agli altri, ma vorrei dire a noi stessi: perché dal pieno della nostra vita dobbiamo cancellare tanti anni nel corso dei quali, costretti al silenzio, se giovani ci siamo fatti vecchi e se già maturi abbiamo toccato le soglie estreme dell' esistenza. Pure non sarà inutile documentare, anche se con parole rozze e inefficaci, la passata servitù e testimoniare il buon governo presente. A ogni modo questo scritto, destinato a onorare mio suocero Agricola, possa, per la testimonianza di affetto che esprime, trovare apprezzamento o, almeno, essere scusato. […] 30. «Quando ripenso alle cause della guerra e alla terribile situazione in cui versiamo, nutro la grande speranza che questo giorno, che vi vede concordi, segni per tutta la Britannia l' inizio della libertà. Sì, perché per voi tutti qui accorsi in massa, che non sapete cosa significhi servitù, non c' è altra terra oltre questa e neanche il mare è sicuro, da quando su di noi incombe la flotta romana. Perciò combattere con le armi in pugno, scelta gloriosa dei forti, è sicura difesa anche per i meno coraggiosi. I nostri compagni che si sono battuti prima d' ora con varia fortuna contro i Romani avevano nelle nostre braccia una speranza e un aiuto, perché noi, i più nobili di tutta la Britannia - perciò vi abitiamo proprio nel cuore, senza neanche vedere le coste dove risiede chi ha accettato la servitù - avevamo perfino gli occhi non contaminati dalla dominazione romana. Noi, al limite estremo del mondo e della libertà, siamo stati fino a oggi protetti dall' isolamento e dall' oscurità del nome. Ora si aprono i confini ultimi della Britannia e l' ignoto è un fascino: ma dopo di noi non ci sono più popoli, bensì solo scogli e onde e il flagello peggiore, i Romani, alla cui prepotenza non fanno difesa la sottomissione e l' umiltà. Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla loro sete di totale devastazione, vanno a frugare anche il mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l' oriente né l' occidente possono saziare; loro soli bramano possedere con pari smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto, dicono che è la pace.» 31. «La natura ha voluto che ciascuno abbia carissimi i figli e i congiunti: i primi ci sono strappati con l' arruolamento per svolgere altrove il loro servizio; le spose e le sorelle, se pure sfuggono alle voglie del nemico, vengono macchiate da chi si fa passare per amico e ospite. I nostri beni se ne vanno con il pagamento dei tributi; il lavoro di un anno nei campi è il frumento che dobbiamo loro consegnare; anche il nostro corpo e le nostre braccia si logorano, tra bastonate e insulti, a C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 2 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org costruire strade in mezzo a paludi e foreste. Chi nasce schiavo lo si vende una sola volta e poi pensa il padrone a nutrirlo; la Britannia compra ogni giorno la sua servitù e ogni giorno la nutre. E come tra gli schiavi di casa l' ultimo arrivato subisce lo scherno anche dei compagni, così in questo vecchio covo di servi che è il mondo, noi cercano, noi ultimi e disprezzati; ma ci cercano per sterminarci: né abbiamo campi o miniere o porti, per il cui funzionamento ci risparmino la vita. D' altra parte il valore e la fierezza dei sudditi spiace ai padroni; perfino l' isolamento e la lontananza, se ci rendono più sicuri, tanto più son ragione di sospetto. Grazia non possiamo sperarla; e allora mostrate finalmente coraggio, se tenete alla salvezza e avete cara la gloria. I Briganti, condotti da una donna, sono riusciti a dar fuoco a una colonia e a espugnare un campo e, se il successo non li avesse resi indolenti, potevano scuotere il giogo. Noi, integri di forze, non dominati e decisi a combattere per la libertà, non per pentircene, mostriamo subito al primo scontro quali uomini ha pronti la Caledonia per la sua difesa.» 3. De origine (et) situ [moribus et populis] Germanorum (Germania) passi: 4; 18-20 a. b. c. d. opera etnografica, origine cesariana opera autonoma ? geografia, mitologia, “scienza” fonti i. dirette, letterarie, orali ii. Cesare, Plinio sen. Aufidio Basso, Livio e. temi politico-culturali i. determinismo fisico-ambientale ii. Roma e i barbari: esaltazione ed esclusione 1. etnocentrismo, non razzismo 2. morale corrotta e sanità del tempo andato 3. libertas e vita non corrotta 4. modello 5. incivili, rozzi, primitivi 6. religione superstiziosa iii. divisione politica 1. divide et impera 2. profezia per il futuro delle invasioni: concordia iv. razzismo e Hitler (§ 4) 1. pangermanesimo e nazismo 2. Chamberlain, Die Grundlagen des XIX. Jahrhunderts (1899-1932) 3. tradotta da Martinetti: opera “futurista” ? 4. Personalmente inclino verso l' opinione di quanti ritengono che i popoli della Germania non siano contaminati da incroci con gente di altra stirpe e che si siano mantenuti una razza a sé, indipendente, con caratteri propri. Per questo anche il tipo fisico, benché così numerosa sia la popolazione, è eguale in tutti: occhi azzurri d' intensa fierezza, chiome rossicce, corporature gigantesche, adatte solo all' assalto. Non altrettanta è la resistenza alla fatica e al lavoro; incapaci di sopportare la sete e il caldo, ma abituati al freddo e alla fame dal clima e dalla povertà del suolo. […] 18. Per altro i rapporti coniugali sono severi e, nei loro costumi, nulla C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 3 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org v' è che meriti altrettanta lode. Infatti, quasi soli fra i barbari, sono paghi di una sola moglie, salvo pochissimi, e non per sete di piacere, ma perché, a causa della loro nobiltà, sono oggetto di molte offerte di matrimonio. La dote non la porta la moglie al marito, ma il marito alla moglie. Intervengono i genitori e i parenti e valutano i doni, scelti non per soddisfare i piaceri femminili o perché se ne adorni la nuova sposa, ma consistenti in buoi, in un cavallo bardato, in uno scudo con framea e spada. Come corrispettivo di tali doni si riceve la moglie, che, a sua volta, porta qualche arma al marito: questo è il vincolo più solido, questo l' arcano rito, queste le divinità nuziali. E perché la donna non si creda estranea ai pensieri di gloria militare o esente dai rischi della guerra, nel momento in cui prende avvio il matrimonio, le si ricorda che viene come compagna nelle fatiche e nei pericoli, per subire e affrontare la stessa sorte, in pace come in guerra: questo significano i buoi aggiogati, questo il cavallo bardato, questo il dono delle armi. Così deve vivere, così morire: sappia di ricevere armi che dovrà consegnare inviolate e degne ai figli, che le nuore riceveranno a loro volta, per trasmetterle ai nipoti. 19. Vivono dunque in riservata pudicizia, non corrotte da seduzioni di spettacoli o da eccitamenti conviviali. Uomini e donne ignorano egualmente i segreti delle lettere. Rarissimi, tra gente così numerosa, gli adulterii, la cui punizione è immediata e affidata al marito: questi le taglia i capelli, la denuda e, alla presenza dei parenti, la caccia di casa e la incalza a frustate per tutto il villaggio. Non esiste perdono per la donna disonorata: non le varranno bellezza, giovinezza, ricchezza, per trovare un marito. Perché là i vizi non fanno sorridere e il corrompere e l' essere corrotti non si chiama moda. Ancora più austere sono le tribù in cui solo le vergini si sposano e la speranza e l' attesa del matrimonio si appagano una volta sola. Un solo marito ricevono così come hanno un solo corpo e una sola vita, perché il loro pensiero non vada oltre e non si prolunghi il desiderio e perché amino non tanto il marito, bensì il matrimonio. Limitare il numero dei figli o ucciderne qualcuno dopo il primogenito è considerata colpa infamante e lì hanno più valore i buoni costumi che non altrove le buone leggi. 20. In ogni casa crescono nudi e sporchi, per poi svilupparsi in quelle membra e in quei corpi che tanto ammiriamo. Ogni madre allatta al seno i propri figli e non li affida ad ancelle o nutrici. Impossibile distinguere il padrone o il servo da cure particolari nell' educazione. Vivono tra il medesimo bestiame e sullo stesso terreno, finché l' età separa i giovani nati liberi e il valore li fa conoscere tali. I rapporti sessuali non sono precoci e quindi la loro virilità è inesauribile. Non c' è fretta di far sposare le giovani; identico ai maschi è il vigore giovanile, simile la statura: si maritano quando hanno prestanza e robustezza pari al loro compagno e i figli rinnovano la forza dei genitori. Lo zio materno tiene nella stessa considerazione di un padre i figli delle sorelle. Certe tribù privilegiano questo legame di sangue e, quando ricevono ostaggi, lo preferiscono, perché, secondo loro, i nipoti impegnano più in profondo gli affetti e in modo più esteso la famiglia. Gli eredi dei beni e i successori sono però i figli che ciascuno ha e non si fanno testamenti. In mancanza di figli, subentrano, in ordine di successione, i fratelli, gli zii paterni e gli zii materni. Più numerosi sono i parenti di sangue e acquisiti, più onorata è la vecchiaia; e a non aver eredi non c' è vantaggio alcuno. Tacito avanguardista C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 4 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org La prefazione di Filippo Tommaso Marinetti alla Germania L' idea che la caffeina d' Europa, il killer della luna, l' assassino delle biblioteche e del passatismo si dilettasse di classici non mi aveva mai sfiorato. Ecco i motivi "avanguardistici" per cui va letto ed apprezzato 1) Perché mi offriva un modo giovanile di cominciare una giornata caprese piena di lunghe arrostiture al sole, tuffi a capo fitto nelle liquide turchesi delle grotte verso cieli inabissati, conversazioni immense colla futurista Benedetta mentre allatta la nostra pupa rumorista; 2) Perché volevo rivivere il mio collegio dei gesuiti in Alessandria d' Egitto; i giochi rissosi dei compagni arabi, greci, negri, olandesi sotto palme banani, bambù, e quel vano di finestra invaso dalle gaggie dove traducevo La Germania di Tacito in francese, mangiando hallaua e compenetrando nel sogno la nevosa Foresta Nera e gli ulivi d' Italia gesticolanti nel sole; 3) Perché la nostra passione futurista per la sintesi ci permette di gustare ancora Tacito senza essere soffocati dalla ripugnante polvere del passato; 4) Perché Tacito, maestro di concisione sintesi e intensificazione verbale, è lo scrittore latino più futurista e molto più futurista dei maggiori scrittori moderni. Ad esempio: Gabriele d' Annunzio; 5) Perché venga dimostrata l' assurdità dell' insegnamento scolastico latino, basato su traduzioni scialbe, errate e su cretinissime spiegazioni di professori abbruttiti, tarli di testi e di teste. Un efficace insegnamento della letteratura latina esige traduttori ispirati quanto i latini tradotti, e interpreti sensibili capaci di trasfondere la vita del genio. Se ciò non è possibile, urge rimpiazzare le ore di Latino idiotizzato con ore di Meccanica e Estetica della Macchina, questa essendo oggi l' ideale maestra di ogni veloce intelligenza sintetica di ogni vita potentemente patriottica. 4. Dialogus de oratoribus passi: 8; 36,1-6; 40,4 a. problema dell’attribuzione i. stile, contenuto, forma, tesi ii. fase giovanile, fase oratoria (102) iii. I 1: perché l’eloquenza è decaduta ? 1. tema tradizionale dell’epoca 2. Petr. Quint. Sen. Ps. Long. iv. opera ispirata a Cic. De oratore v. Apro (oratore); Materno (poeta) vi. Messala: perché decade oggi ? 1. negligenza scolastica 2. scarsa attenzione all’educazione 3. declamazioni futili 4. solo regole tecniche 5. cause morali o tecniche vii. Materno: causa socio-politica 1. manca libertas 2. perdita libertà politica 3. alumna licentiae, quam stulti libertatem vocant 4. no in bene constitutis civitatibus 5. magna eloquentiae sicut flamma, materai alitur et motibus excitatur et urendo clarescit viii. Materno è Tacito ? ix. considerazioni odierne 1. libertà di parola 8. «Oserei sostenere che questo Eprio Marcello, di cui ho appena parlato, e Crispo Vibio (preferisco in effetti ricorrere a esempi moderni e di fresca data che a quelli del passato e dimenticati) godono nelle più lontane parti della terra di una notorietà non minore che a Capua o a Vercelli, dove si dice che siano nati. E questa notorietà non si deve ai duecento milioni di sesterzi dell' uno o ai trecento dell' altro, benché appaia credibile che siano giunti a tanta ricchezza grazie all' eloquenza, C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 5 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org bensì proprio alla loro eloquenza. In effetti, l' essenza divina e il potere soprannaturale della parola ci hanno, in tutte le età, fornito molti esempi della fortuna a cui possono elevarsi gli uomini con la forza dell' ingegno; ma gli esempi ora citati sono vicinissimi a noi, e li possiamo conoscere non per averne sentito parlare, ma perché li abbiamo sotto gli occhi. Quanto è più bassa e spregiata la loro origine e quanto più sono notorie la povertà e le ristrettezze che li hanno circondati sul nascere, tanto più costituiscono un esempio di luminosa evidenza, valido a dimostrare i vantaggi pratici offerti dall' eloquenza del vero oratore. Perché, senza la raccomandazione dei natali, senza il solido sostegno della ricchezza, senza una moralità ineccepibile, entrambi, e uno dei due spregiato anche per il fisico, da molti anni sono ormai i più potenti della città e, dopo essere stati principi del foro, finché è loro piaciuto, sono ora i primi nell' amicizia di Cesare, si permettono tutto quello che vogliono e sono amati dallo stesso principe non senza rispetto. Vespasiano infatti, vecchio venerabile e tenace nella ricerca del vero, ben comprende che tutti i suoi altri amici hanno il loro sostegno nei benefici ricevuti da lui e che da lui dipende accrescerli o riversarli su altri; mentre Marcello e Crispo hanno contribuito all' amicizia che li unisce con qualcosa di non proveniente dal principe e che non potrebbero da lui ricevere. Fra tanti pregi, e così significativi, un posto ben piccolo occupano le immagini degli avi e le iscrizioni e le statue; eppure sono cose non trascurabili affatto, come lo sono certo la ricchezza e la potenza, di cui è più facile trovare chi le biasimi che non chi le disdegni davvero. Questi sono dunque gli onori, i segni di distinzione e le ricchezze di cui vediamo piene le case di quanti, fin dalla prima giovinezza, si sono dedicati alle cause forensi e alla professione dell' oratore.» […] 36. *** «meditare sul soggetto, nulla di basso o di meschino poteva dire. La grande eloquenza è come la fiamma: ha bisogno di legna che la alimenti, di movimento che la ravvivi, e allora brilla mentre brucia. Anche nella nostra città l' eloquenza dei nostri padri ha trovato il suo sviluppo nelle stesse circostanze. Infatti, benché certi oratori contemporanei siano riusciti a ottenere i successi che è lecito attendersi in uno stato bene ordinato, in pace e in prosperità, tuttavia ai loro predecessori, in quei giorni di caotico disordine, pareva di poter raggiungere mete più alte, quando, nella fluidità della situazione generale e nell' assenza di un' unica guida, ciascun oratore trovava la misura della sua forza nella capacità di influire sul popolo disorientato. Da qui proposte di legge ininterrotte e il peso esercitato dal popolo; da qui le arringhe dei magistrati che quasi passavano la notte sui rostri; da qui la messa in stato d' accusa di personaggi potenti e le inimicizie coinvolgenti intere famiglie; da qui la pratica faziosa della nobiltà e i continui attacchi del senato contro la plebe. Tutti questi comportamenti dilaniavano lo stato, ma costituivano uno sprone per l' eloquenza di quel tempo e la facevano apparire come la destinataria di un cumulo di vistose ricompense, perché quanto più uno si affermava con la parola, tanto più facilmente conseguiva alte cariche e superava in esse i propri colleghi, tanto più favore godeva presso i potenti e tanta più autorità nel senato, e tanto più si assicurava notorietà e fama agli occhi della plebe. Costoro contavano tra i loro numerosi clienti anche nazioni straniere; li ossequiavano i magistrati in partenza per le province e al ritorno rendevano loro omaggio; sembrava che preture e consolati si offrissero spontaneamente a loro; e neppure da semplici cittadini erano senza potere, perché avevano un' influenza decisiva sul popolo e sul senato coi loro C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 6 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org consigli e con la loro autorità. Anzi, ci si era convinti che nessuno senza l' eloquenza potesse ottenere o conservare una posizione vistosa ed elevata nello stato. Né ciò deve sorprendere, perché ci si trovava ad apparire in pubblico anche contro voglia, poiché motivare in modo succinto una propria risoluzione non era sufficiente, a meno che non si facesse valere il proprio parere con impegno ed eloquenza, perché la persona che in qualche modo incorreva nell' odio o subiva un' accusa doveva rispondere direttamente, perché anche le testimonianze nei processi politici si era costretti a darle non da lontano o attraverso uno scritto, ma personalmente e davanti al tribunale. Così alle grandi ricompense dell' eloquenza si aggiungeva anche il fatto che essa era necessaria. E come era bello e glorioso avere la reputazione di saper parlare, così per converso suscitava discredito apparire muto e senza lingua.» […] 40. «E ancora: le continue assemblee pubbliche e il diritto accordato di aggredire le personalità politiche di spicco e la stessa gloria derivante dall' essere loro nemici, nei giorni in cui numerosi abili oratori non risparmiavano neppure Publio Scipione o Lucio Silla o Gneo Pompeo e, per attaccare i cittadini di primo piano - perché questa è la natura dell' invidia - si servivano anche, al pari degli istrioni, delle orecchie del volgo, allora quanta passione comunicavano agli ingegni, che bagliori di fiamma davano alla loro eloquenza! Noi non parliamo di una cosa tranquilla e pacifica, che si compiace dell' onestà e del senso della misura; no, quella grande e così vistosa eloquenza è figlia della licenza, che gli stolti chiamano libertà, è compagna dei disordini, è pungolo per la sfrenatezza del popolo, è incapace di obbedienza, di severità; è ribelle, temeraria, arrogante, e non può nascere negli stati ben regolati. Quale oratore noi conosciamo infatti o di Sparta o di Creta, stati in cui, come tramandano, l' ordine era severissimo e severissima la legislazione? Neppure dei Macedoni e dei Persiani né di alcun popolo, che abbia accettato di vivere sotto un governo rigido e stabile, noi conosciamo l' eloquenza. Sono esistiti alcuni oratori a Rodi, moltissimi ad Atene, perché lì il popolo poteva tutto, tutto potevano gli incompetenti e tutti, per così dire, potevano tutto. Anche la nostra Roma, finché si mosse senza direzione, finché si sfinì nelle lotte di parte, nei dissidi e nelle discordie, finché non vi fu pace alcuna nel foro, nessuna concordia in senato, né una regola nell' attività dei tribunali, né rispetto per l' autorità, né limite alcuno al potere dei magistrati, anche Roma produsse un' eloquenza senza dubbio più vigorosa, come un terreno incolto ha erbacce più rigogliose. Ma per lo stato l' eloquenza dei Gracchi non valeva tanto da dovere subirne anche le leggi, e Cicerone ha pagato troppo cara, con una fine così triste, la fama della sua eloquenza.» OPERE PIÙ PROPRIAMENTE STORIOGRAFICHE 5. Historiae 6. Ab excessu Divi Augusti (Annales) passi: [H] I 1-4; II 38; IV 73-74 a. dal 69 al 96 e dal 14 al 68 b. 30 libri senza divisione (16 + 14) C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 7 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org c. molte lacune d. schema annalistico; cambia di scena e. prefazione delle Historiae (I 1-4) i. sotto repubblica ottimi storici ii. sotto principato, servi iii. neque amore...et sine odio iv. io non ebbi né favori, né ingiurie v. rara temporum felicitas, ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet f. contro gli ebrei(V 3-5); persecuzioni dei Cristiani g. tutto è potentiae cupido h. prefazione degli Annales (I 1-3) i. raccontare sine ira et studio i. caratteri peculiari del pensiero storiografico taciteo i. il resto è storiografia oppure no ? ii. fonti iii. obiettività iv. imparzialità v. scrupolo nel verificare vi. rumores vii. forte moralismo viii. contenuti più poveri rispetto a prima ix. forte pessimismo “storico” 1. destino, caso, inettitudine x. tutto negativo xi. analisi psicologica dei personaggi xii. personaggi mixti xiii. discorsi e polemiche xiv. forte patetismo 1. nel tema 2. nel raccontare 3. nello stile 1. arcaico 2. poetico 3. variatio 4. inconcinnitas 5. brevitas 6. sententia xv. il tacitismo e Machiavelli I 1. [69 d.C.]. La mia opera prenderà avvio dal secondo consolato di Servio Galba, con Tito Vinio suo collega. Molti storici, nel ricordare le vicende di Roma lungo gli ottocentoventi anni dopo la sua fondazione ne hanno parlato con eloquenza pari al loro spirito di libertà; ma dal tempo della battaglia di Azio, quando, nell' interesse della pace, convenne consegnare tutto il potere a un' unica persona, talenti come quelli sono scomparsi. Da allora mille sono stati i modi di calpestare la verità: prima il disinteresse per la realtà politica, come cosa estranea; poi la corsa all' adulazione e, per converso, l' odio verso i dominatori. Nei due casi, tra avversione e servilismo, l' indifferenza verso i posteri. Ma è facile rifiutare la cortigianeria di uno storico, mentre la calunnia prodotta dall' astio trova orecchie ben disposte: perché l' adulazione implica la pesante taccia di servilismo, nella maldicenza, invece, si profila un falso aspetto di libertà. Quanto a me, non ho conosciuto Galba, Otone e Vitellio: quindi né benefici né offese. La carriera politica, iniziata con Vespasiano e continuata con Tito, l' ho proseguita sotto Domiziano, non lo C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 8 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org nego. Ma chi professa una fedeltà incorrotta al vero, deve parlare di tutti senza amore di parte né odio. Riservo per la vecchiaia, se la vita vorrà bastare, il principato del divo Nerva e l' impero di Traiano, tema più stimolante e più sicuro: fortuna singolare del presente, in cui siamo liberi di pensare come vogliamo e di dire quel che si pensa. 2. Metto mano a un lavoro denso di eventi, tremendo per gli scontri in armi, lacerato da rivolte, tragico perfino nella pace. Quattro prìncipi eliminati col ferro, tre guerre civili, parecchie esterne e per lo più fra loro connesse; successi in Oriente, situazione compromessa in Occidente: l' Illirico in piena confusione, le Gallie inclini al tradimento, la Britannia conquistata ma subito abbandonata, gli attacchi subìti da Sarmati e Svevi, il prestigio dei Daci cresciuto per i rovesci inflittici e da loro patiti, anche i Parti sull' orlo della guerra per l' impostura di un falso Nerone. E poi l' Italia afflitta da disastri mai accaduti o ricomparsi dopo lungo giro di generazioni: città della fertile costa campana inghiottite o sepolte, Roma devastata da incendi e quindi crolli di antichissimi templi e anche il Campidoglio bruciato da mani di cittadini; profanazione di riti, scandali ad alto livello; confinati politici in ogni mare, coperti di sangue gli scogli. Proprio a Roma la crudeltà più violenta: delitto l' essere nobili, ricchi e potenti per cariche ricoperte o semplicemente rifiutate; e alla virtù, come premio garantito, la morte. Più offensive dei delitti le ricompense ai delatori: alcuni arraffavano quale bottino cariche sacerdotali e consolati, altri governi di province e potere politico nella capitale, tutto scardinando per odio e paura. Corrotti gli schiavi contro i padroni, contro i patroni i liberti, e per chi non avesse nemici, c' era un amico a colpirlo. 3. Sterile di virtù quest' età, eppure non fino al segno da non portare alla luce anche scelte di nobile ardimento: madri al seguito di figli profughi, spose vicine ai mariti nel confino, congiunti capaci di coraggio, generi non disposti a piegarsi, schiavi arroccati nella loro fedeltà anche di fronte alla tortura, uomini di primo piano costretti a subire l' estremo supplizio, e questo affrontato con grande dignità, all' altezza delle più celebrate morti del passato. E oltre a questa eterogenea somma di umane vicende, i prodigi del cielo e della terra, l' avvertimento dei fulmini e i presagi del futuro, lieti e tristi, misteriosi ed evidenti; e mai al popolo romano con più atroci calamità e con segni più pertinenti venne confermato che gli dèi non attendevano alla nostra salvezza, bensì al nostro castigo. 4. Ma prima di affrontare l' argomento propostomi, non sarà male tornare d' un passo alla situazione di Roma, agli umori degli eserciti, all' atteggiamento delle province, alle realtà malate e sane esistenti nel mondo, per riuscire non solo a conoscere il seguito dei fatti, tanto spesso fortuiti, ma a capirne anche l' interno nesso e la genesi. Se la fine di Nerone s' era risolta, sul momento, in una esplosione di gioia, aveva provocato reazioni diverse, non solo a Roma fra i senatori, il popolo e i soldati della guarnigione, ma in tutte le legioni e nei loro comandanti: era adesso consapevolezza diffusa un principio del potere finora segreto, che si poteva diventare imperatori anche fuori di Roma. Felici i senatori per la libertà ritrovata di colpo, e tanto più esplicita la gioia perché rapportata a un principe nuovo e lontano; quasi analoga l' esultanza dei cavalieri più in vista; la parte sana del popolo, legata alle maggiori famiglie, i clienti e i liberti dei condannati politici e degli esuli tornavano a sperare; sconsolata invece e avida di ogni chiacchiera la plebaglia, quella di casa al circo o nei teatri, e con lei la feccia degli schiavi, insieme a quanti, dilapidati i propri averi, si cibavano delle sozzure di Nerone. C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 9 di 10 © e ® 20052, http://www.scanzo.altervista.org […] II 38. L' antica e nei mortali da tempi remoti congenita brama del potere, con la crescita dell' impero, ingigantì ed esplose; finché lo stato fu piccolo, risultò invece agevole garantire l' eguaglianza. Ma quando, dopo la conquista del mondo e l' annientamento di città e reami rivali, si poté aspirare senza ostacoli a una potenza esente da rischi, allora divamparono le prime lotte tra patrizi e plebei. Ed ecco, ora le turbolenze dei tribuni, ora le sopraffazioni dei consoli e, nel cuore di Roma, le prime avvisaglie di guerra civile. Più tardi Gaio Mario, uscito dalla plebe più bassa, e Lucio Silla, il più crudele dei nobili, soffocarono con le armi la libertà e la stravolsero in dispotismo. In seguito toccò a Gneo Pompeo, più ipocrita, non migliore. Dopo di lui l' unico obiettivo della lotta fu il principato. Non deposero le armi né a Farsalo né a Filippi legioni composte di cittadini; tanto più sarebbe stato improbabile che cessassero volontariamente la guerra gli eserciti di Otone e Vitellio: la stessa ira divina, lo stesso accanimento degli uomini, le stesse cause scellerate li precipitavano alla discordia. E se ogni volta le guerre si sono concluse quasi al primo colpo, fu per viltà dei prìncipi. Ma queste mie riflessioni sui comportamenti vecchi e nuovi mi hanno portato lontano: torno alla mia narrazione. C:\Documents and Settings\francesco\Desktop\testi_04_05\V_latino\tacito_generale.doc pag. 10 di 10