Mauro Conti

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Mauro Conti
Le istituzioni della pace
Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant
Tacito
La pace viene storicamente concepita come negativo del concetto di guerra,
intendendo la guerra come manifestazione immediata di violenza diretta,
soggettiva.
Eppure la condizione affinché sia possibile identificare una violenza
soggettiva è che questa emerga e si differenzi rispetto ad uno sfondo che la
renda riconoscibile per contrasto.
Questo sfondo non direttamente violento si delinea come uno status quo che
solo per inerzia si può identificare con la pace: se infatti la prima funzione
della violenza è quella di istituire il diritto, la seconda funzione più silenziosa
e strisciante è quella di conservare il diritto e i rapporti di forza che lo hanno
istituito.
Anche un comportamento assunto nel pieno esercizio di un diritto esistente in
alcune condizioni va considerato come violento: se tale comportamento è
attivo, lo si può chiamare violento quando esercita un diritto che gli compete
per rovesciare il sistema giuridico che pure gli conferisce tale diritto, ma
glielo nega nei fatti; se invece il comportamento esercitato è passivo non
sarà meno violento in quanto si impone su altre istanze utilizzando la forza
dell’ordine costituito in maniera silenziosa e ricattatoria.
Quindi ogni status quo alle sue origini presuppone sempre una violenza
cristallizzata in diritto che lo costituisce, rimanda sempre ad un conflitto
latente sospeso nel disequilibrio delle forze e trasposto nel linguaggio del
vincitore.
L’antropologia ci mostra un chiaro esempio nei comportamenti primitivi che
costituiscono le prime manifestazioni di un diritto pubblico, nei quali proprio
quando una delle due parti in conflitto risulta vincitrice in quanto ha acquisito
un possesso inattaccabile, solo allora si esige una cerimonia di pace.
E’ dunque il concetto di pace limitato non solo a definirsi come negativo
della violenza soggettiva, ma a degradare fino a coincidere con la violenza
oggettiva e silenziosa dello status quo?
Non è dunque la pace nient’altro che istituzionalizzazione della violenza,
conflitto silenzioso e latente nel diritto che dura finché le tensioni tra forze
opposte non sovvertono l’ordine e conducono al diritto una nuova violenza
creatrice?
Un concetto di pace può invece costituirsi in maniera radicalmente nuova
come superamento di conflitti latenti, come potenza creativa che non si
degrada lasciando posto a nuove forze, ma conflittualità energetica positiva,
sempre produttiva di nuove opportunità condivise.
La costruzione di una pace non desertificante si fonda sul superamento dei
conflitti distributivi e identitari che attraversano la storia dell’uomo, per
giungere ad una concettualizzazione non lineare della storia stessa, oltre il
processo di emancipazione post-hegeliano, in una continua possibilità di
creare e istituire sé stessi.