Due indiani si giocano l` Ilva a dadi e il governo si gira dall` altra parte
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Due indiani si giocano l` Ilva a dadi e il governo si gira dall` altra parte
22/02/2017 Pagina 14 Ambiente EAV: € 20.353 Lettori: 131.716 Due indiani si giocano l' Ilva a dadi e il governo si gira dall' altra parte GIORGIO MELETTI Forse un giorno, con il senno di poi, ci diranno che la vendita dell' Ilva di Taranto è stata fatta a capocchia. Magari gli stessi che la stanno facendo, come nel caso osceno della privatizzazione di Telecom Italia. Ma oggi lo stesso governo che si dispera per Mediaset "azienda strategica" lascia che il maggior stabilimento siderurgico venga messo all' asta dai tre commissari governativi Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi, e che se lo giochino in una partita a dadi due signori indiani, Lakshmi Mittal e Sajjan Jindal, che il premier Paolo Gentiloni non ha mai visto in faccia. Vendono l' Ilva come una pizzeria. Mittal e Jindal hanno due idee opposte sul futuro del centro siderugico di Taranto. I dettagli dei loro piani il governo non li sa: li stanno infilando nelle buste sigillate che dovranno consegnare entro il 3 marzo ai commissari. Da qualche giorno però i due gruppi stanno facendo campagna elettorale a mezzo stampa, raccontando le meraviglie del proprio progetto e ridicolizzando quello avversario. Chi ha ragione? Non si sa. Vincenzo Boccia, presidente della Confindustria, cioè dell' associazione dei clienti dell' Ilva, si è dichiarato "equidistante". Il governo non ritiene di occuparsi del problema. Ci penserà Piero Gnudi, il commercialista della ex ministra Federica Guidi che lo nominò. A futura memoria facciamo un breve elenco delle scelte decisive che il governo ha delegato al disciplinare di gara e agli aggiudicatori, come se fosse all' asta un quadro di Van Gogh. Le due cordate in corsa sono molto diverse. La Am Investco Italy è formata dal gigante europeo ArcelorMittal (85 per cento) e dall' italiana Marcegaglia (15 per cento). ArcelorMittal, di cui il magnate indiano è primo azionista, è il leader mondiale con 97 milioni di tonnellate di acciaio prodotto. È nato dieci anni fa dalla fusione del colosso francese Arcelor con pezzi pregiati delle siderurgie belga e spagnola. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso Pag. 1 AcciaItalia vede in campo Jindal, produttore attivo solo in India che sforna ogni anno 18 milioni di tonnellate, con l' italiano Giovanni Arvedi e due partner che con l' acciaio non c' entrano niente: la Delfin, cassaforte personale del re degli occhiali Leonardo Del Vecchio, e la Cassa Depositi e Prestiti, cioè il governo italiano, che partecipa a un' asta indetta dal governo italiano e magari la perde. A meno che l' esito non sia già deciso, ma sarebbe illegale. La tecnologia. Jindal vuole riportare la produzione di Taranto dagli attuali 6 milioni di tonnellate ai 10-11 milioni originari affiancando agli altoforni attualmente funzionanti nuovi forni alimentati dal cosiddetto pre-ridotto, un semilavorato che consente di colare acciaio senza bruciare il carbone ma utilizzando il gas. È la cosiddetta decarbonizzazione cara al governatore della Puglia Michele Emiliano. Per ArcelorMittal questa tecnologia non consente di ottenere prodotti di qualità sufficiente, soprattutto per il mercato di fascia alta, quello dell' auto, fetta decisiva del business siderurgico in cui Taranto un tempo primeggiava. Anche il presidente della Federacciai Antonio Gozzi boccia i piani di Jindal dicendo che si tratta di tecnologie ancora sperimentali. L' imprenditore indiano replica che ArcelorMittal teme la sua iniziativa perché dimostrerebbe che si può fare l' acciaio pulito e metterebbe in fuorigioco le acciaierie tradizionali e inquinanti. Dunque dare Taranto a Jindal potrebbe essere un' idea vincente o un errore irreparabile per il futuro dell' industria italiana. Chi decide? Un commercialista e due avvocati. Il mercato. Negli ultimi dieci anni lo sfruttamento degli impianti siderurgici europei è sceso dall' 89 al 72 per cento. Si chiama sovraccapacità produttiva. Nell' estate 2012, quando l' Ilva è stata travolta dalla magistratura, che ha colpito il recidivo inquinamento perpetrato per vent' anni dalla famiglia Riva, i difensori dell' industria hanno accusato le "toghe rosse" di fare il gioco dei concorrenti europei, che ne avrebbero approfittato per ammazzare l' Ilva e togliere di mezzo quei 10 milioni di tonnellate di capacità produttiva. ArcelorMittal è un concorrente dell' Ilva e ha già detto che a Taranto non vuole aumentare la produzione di acciaio grezzo ma quella di prodotti finiti, portando all' Ilva lingotti da laminare (in gergo bramme) dallo stabilimento di Fos, vicino a Marsiglia, gemello e storico rivale di Taranto. Rosario Rappa, responsabile nazionale dell' acciaio per la Fiom, ha accusato ArcelorMittal di voler comprare l' Ilva per chiuderla. L' Italia rimarrebbe senza acciaio, dovrebbe importarlo tutto. Gli uomini di Mittal hanno replicato stizziti che l' ipotesi è "priva di fondamento", e che solo loro hanno la capacità di rilanciare Taranto, integrandola in un grande gruppo mondiale. Jindal non ha mai messo il naso fuori dall' India, dicono, e l' Ilva isolata in un mercato rabbiosamente competitivo rimarrebbe schiacciata. La morale è semplice. L' Italia deve prendere una decisione difficile e dalle conseguenze importantissime per il futuro della sua industria, oltre che per gli 11 mila lavoratori del centro siderurgico di Taranto. Ma nessuno si assume la responsabilità politica di una scelta. Hanno saputo organizzare solo una lotteria gestita da un commercialista e due avvocati. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso Pag. 2