ETÀ GIOLITTIANA Riformismo, Trasformismo e ragioni del declino

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ETÀ GIOLITTIANA
Riformismo, Trasformismo e ragioni del declino
- Elezioni del 1900 e Assassinio del Re UMBERO I
Vittoria del fronte progressista alle elezioni (PSI) e soprattutto il fronte
riformatore/progressista dei LIBERALI (l'ala che faceva capo a Giovanni
GIOLITTI), dopo i fatti di Milano del 1898 e la repressione dell'esercito avallata
dalla stessa monarchia (questo determinò la causa dell'attentato al re per mano
dell'anarchico Gaetano Bresci).
- Sale al trono il nuovo Re, VITTORIO EMANUELE III.
L'avvento di Giolitti segue dopo 2 anni di governo di transizione del liberale
ZANARDELLI (Giolitti era allora Ministro dell'Interno) che aveva inaugurato la
necessità di una politica aperta alle riforme sociali.
Giolitti divenne dal 1904 capo del governo per un decennio, all'insegna di:
1) RIFORMISMO
2) "COMPROMESSO STORICO" con il PSI turatiano (ovvero con l'ala moderata
e "revisionista" - riformista del socialismo, guidato in Italia dal suo fondatore
Filippo TURATI).
Quanto al primo punto, il Riformismo, sono da ricordare una serie di
provvedimenti in campo sociale - assistenziale, nonché l'importantissima
riforma elettorale tesa a determinare un ampio consenso attraverso il suffragio
universale maschile:
1902 - 04: Riforme sociali sul miglioramento delle condizioni di lavoro
femminile e minorile (per es.: giornata lavorativa fissata a 8 ore);
nazionalizzazione delle Assicurazioni
1904 - 06: legge speciale sul mezzogiorno (nell'ottica dell'incremento
dell'industrializzazione a partire da Napoli). A dimostrazione che la questione
sociale operaia era sempre più all'ordine del giorno e necessitava di un
assorbimento e interesse da parte della politica, nel 1906 nasce il primo
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sindacato nazionale dei lavoratori (la CGL: Confederazione Generale dei
Lavoratori)
1912: RIFORMA ELETTORALE (suffragio universale maschile: potevano
votare tutti i maschi dai 30 anni in su che avessero prestato il servizio militare
anche se non necessariamente istruiti o, comunque, quelli che avevano almeno
21 anni ma erano istruiti secondo le disposizioni del vecchi sistema elettorale
del 1882: è una riforma che supera i limiti della riforma elettorale ancora
ristretta e censitaria varata da DE PRETIS. D'altro canto era necessario che fosse
così, perchè Giolitti, differentemente da Crispi, era conssapevole della realtà
della società di massa e delle sue esigenze rappresentate da movimenti politici
di massa come appunto il socialismo e anche il cattolicesimo, quindi era
fondamentale allargare la prospettiva di voto e con essa la garanzia di un più
vasto consenso, di massa appunto).
1912: fondazione dell'INA (Istituto nazionale delle Assicurazioni, primo
esempio di nazionalizzazione di un ente)
Il consenso che cercava Giolitti mirava a garantirgli una solida continuità in
parlamento, i cui presupposti vanno cercati in quella logica di "trasformismo"
ereditata da De Pretis e in generale dalla Sinistra Storica, ma bisogna rilevare
che il riformismo giolittiano aveva alla sua base contraddizioni e ostacoli di
varia natura.
Innanzitutto i limiti del "compromesso storico" con il PSI fanno capo a 2
problematiche:
1) L'eterogeneità all'interno dello stesso Partito liberale (tendenzialmente
tradizionalista rispetto all'apertura giolittiano alla società di massa e alle
problematiche sociali e operaie: in tal senso va inquadrata la presenza di un'ala
conservatrice che aveva come massimo esponente il liberale Sidney SONNINO
- ragione per cui si parla anche di ala dei sonniniani);
2) L'eterogeneità, sopratutto, nel PSI tra l'ala riformista dei turatiani (legati alla
ideologia revisionista della II^ INTERNAZIONALE) e l'ala "MASSIMALISTA"
guidata dagli intellettuali GRAMSCI e LABRIOLA, movimento che si affermò
soprattutto dal 1904 ( NB: I "Massimalisti" erano quei socialisti legati
all'ortodossia marxista del socialismo internazionale che prevedeva un
approccio poitico non morbido né riformista, ma "rivoluzionario", ovvero senza
compromessi con lo Stato liberale borghese).
3) In realtà c'è da registrare una terza frangia minoritaria più radicale e
"anarchica" che si ispirava al socialismo francese del filosofo Sorel, che
sosteneva l'azione del sindacalismo e dello sciopero ad oltranza per
destabilizzare le istituzioni, il cui spirito era incarnato - in questa frangia di
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estremo socialismo - dal giovane Benito MUSSOLINI, giornalista dell'organo di
stampa socialista l' "AVANTI!".
Tra gli altri ostacoli al riformismo giolittiano e che ne comprometteranno il
consenso e la leadership, bisogna evidenziare l'opposizione del ceto dei piccoli
industriali, sostenitori del liberismo (ovvero di una logica economica di libero
mercato) contro la linea "protezionistica" e di nazionalizzazione che Giolitti
aveva sostenuto a tutela degli interessi dei grandi industriali e degli Enti
creditizi dell'Alta finanza, nella logica del "Capitalismo di Stato" (vedi lezioni
precedenti). Non solo: altri ostacoli alla tenuta politica di Giolitti erano costituiti
dagli intellettuali meridionalisti (es.: Gaetano SALVEMINI) che condannavano
Giolitti di essere camaleontico: aperto e riformista con il Nord industrializzato e
reazionario e repressivo con le agitazioni del Sud rurale e in cui Giolitti
instaurava rapporti di clientelismo anche con i poteri locali
A dare un colpo decisivo ala politica interna di Giolitti furono le polemiche
alimentate dall'esito della politica estera rivolta alla colonizzazione di uno
spazio in Africa attraverso la campagna di LIBIA (1911), culminata da un lato
con l'acquisizione del territorio libico ma, dall'altro, dall'opposizione che il
socialismo aveva sollevato alla luce della propria dottrina pacifista e neutralista
in ambito internazionale (anche Mussolini, per ragioni di realismo politico
legate ad un'inutile guerra, sosteneva la linea neutralista): a ciò si aggiunga
l'incidente diplomatico con la Turchia dovuto agli effetti della Pace di
LOSANNA (1912) che ratificava il possesso della Libia nonché il protettorato
sulla zona mediterranea, nel mar Egeo, del DOIDECANNESO, zona di
influenza dell'Impero Ottomano (a sua volta legato da un'alleanza militare ed
economica con la Germania). Di fronte a questo atteggiamento diplomatico
internazionale, sicuramente non coerente o deciso (basti pensare che Giolitti
cercava di ricucire timidamente i rapporti deteriorati con la Francia pur
mantenendo in piedi la Triplice Alleanza) la Germania e l'Austria
rimproveravano all'Italia liberale di essere artefice di "giri di Walzer",
espressione ironica per significare una certa mediocrità e indecisione sulle
alleanze internazionali. Questo va detto perchè l'immagine debole dell' Italia
internazionale sollecitava l'affermazione di movimenti "forti" che vedevano
nella guerra la possibile soluzione ai problemi dell' "Italietta" di Giolitti: tra
questi movimenti si registrano i nazionalisti, gli "irredentisti" (coloro che,
sull'onda dello spirito risorgimentale e in funzione anti tedesca, rivendicavano
le terre "irredente", ovvero quelle terre non restituite all'indomani della 3^
Guerra di Indipendenza dall'antico alleato prussiano in quell'occasione - 1866 -),
nonché la logica imperialistica e risorgimentale della monarchia sabauda,
evidentemente desiderosa di uscire dall'ombra del governo giolittiano.
Questo insieme di ragioni e problematiche spiega perchè Giolitti dovette
rinunciare al compromesso con il socialismo (che non offriva più garanzie di
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solidità e di aderenza alla linea riformista) e instaurare un'alleanza con i
cattolici che, in quanto movimento di massa, potevano offrire un serbatoio di
voti sufficiente per mantenere al liberalismo di Giolitti la sua maggioranza e
continuità al governo.
Questa convergenza tra liberali giolittiani e cattolici si tradusse nel cosiddetto
"patto GENTILONI" (1912) che prevedeva nelle nuove elezioni del 1913 a
suffragio universale di convogliare voti al partito di Giolitti: ciò effettivamente
avvenne ma per Giolitti, sempre più isolato per i motivi espressi sopra e per le
tensioni alla vigilia della Guerra, significò un effetto-boomerang che gli si
ritorse contro perchè pur avendo la maggioranza questa era fortemente
instabile, dal momento che il nuovo ago della bilancia della politica era
costituito proprio dai cattolici che, di fronte al dilagare della dottrina socialista,
beneficiavano del consenso del papa (PIO X) alla partecipazione politica, anche
se non potevano ufficialmente fondare un partito.
Infatti pendeva ancora l'antico divieto del "non expedit" del 1874: questo è il
motivo per cui la Chiesa aveva stroncato l'associazionismo che si faceva sempre
più impegno politico: vedere su tutti l'esempio dell'Opera dei Congressi, frutto
dell'associazionismo cattolico sin dal 1870 ma che fu sciolto dalla Chiesa;
oppure si può ricordare l'impegno del Movimento dei Democratici Cristiani,
fondato dal sacerdote Romolo MURRI, che si faceva assertore di un radicale
riformismo, tanto radicale che il papa lo scomunicò e Murri passò tra le file dei
radicali.
Di fronte ai rischi di un dominio assoluto della politica laica liberale e atea del
socialismo, il papa dovette comunque ammorbidirsi concedendo la possibilità
ai cattolici di votare annullando così il "NON EXPEDIT": questo è il
presupposto al "patto Gentiloni": Ottorino GENTILONI era il capo dell'Unione
Elettorale Cattolica e, all'interno del Parlamento, vide nella convergenza con il
liberalismo giolittiano, una concreta possibilità per arginare la massificazione
del socialismo. L'esito delle elezioni del 1913 effettivamente arginò l'avanzata
socialista, ma costò a Giolitti un definitivo isolamento soprattutto da parte di
nazionalisti e conservatori liberali che gli rimproverarono di aver inquinato la
laicità dello Stato con l'alleanza con i cattolici. Seguono quindi le dimissioni di
Giolitti nel 1914, anno in cui scoppia la guerra e succede al governo l'ala
conservatrice e sonniniana dei liberali, con il nuovo capo di governo
SALANDRA.
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