[venezia - 1] veneto/direzione/01 26/10/07
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[venezia - 1] veneto/direzione/01 26/10/07
DEL V ENETO U V ENERDÌ CULTURA& TEMPO LIBERO C ORRIERE PAROLE DESFANTARSE «Sciogliersi», «andare in rovina», «dissolversi»: termine di probabile origine francese, ma diffuso assai anticamente nei dialetti veneti, se lo si ritrova già negli autori pavani di età rinascimentale. 26 O TTOBRE 17 2007 VE La studiosa veneta cura un Dizionario del Corano: «Sfatiamo gli stereotipi». Oggi la presentazione a Venezia «Misericordia e rispetto Questo è il vero Islam» Oriente e Occidente due mondi a confronto Ida Zilio-Grandi: tante bugie sulla condizione femminile Una lunga scala a tornanti, da capogiro, come non se ne vedono a Venezia. Arrivo alla fine in stato di vertigine. Tutto vortica. Anche i grandi occhi verdi di Duccia che mi accoglie alla fine della salita, nella sua casa. Ida Zilio-Grandi (che gli amici chiamano Duccia) da molti anni è immersa nell’esegesi coranica, insegna letteratura e cultura araba all’università di Genova. Ha appena finito di curare la prima edizione italiana di un Dizionario del Corano in uscita per Mondadori (verrà presentato oggi alle 21 in aula Scarpa a Ca’ Foscari in una tavola rotonda su letteratura e Islam). Il suo lavoro di ricerca è instancabile, il suo metodo, rigorosissimo: si alza tutte le mattine alle 5 e scrive almeno fino all’una. La casa galleggia sopra i tetti inseguendo un ritmo di altane e campanili a perdita d’occhio. Uno spazio di lavoro e studio che condivide con suo marito, lo scrittore Daniele Del Giudice. Le loro scrivanie accostano in uno spazio consacrato ai libri: le opere complete di Primo Levi il De Architectura di Vitruvio, pile di commentari coranici e pubblicazioni sull’Islam costellano il pavimento. Fanno capolino titoli quali L’altro nella cultura araba, Il collare della colomba di Ibn Hazm, Il poema celeste di Farid Al-Din Attar. Forse, il primo dubbio va sfatato sul significato etimologico della parola Corano: «Significa la Recitazione, o il Grido, comunque una parola a voce alta. Il Corano allude più volte alla parola divina come chiara e netta, per contrasto con la parola satanica che è un bisbiglio, un sussurro furtivo udibile a malapena». È quasi paradossale parlare di «traduzione» nel caso del Corano, ma qual è da considerarsi la prima, e più attendibile? «La prima traduzione degna di questo nome, apparsa in latino a Padova nel 1698, si deve proprio a un chierico italiano, Ludovico Marracci, un erudito vero e onesto, che sperava di fornire alla Chiesa elementi utili alla controversia tra il cristianesimo e l’islam. Oggi in Italia le traduzioni sono numerose; personalmente, continuo a prediligere quelle di Luigi Bonelli (Hoepli) e RILETTURE La scrittura sacra musulmana si rivolge «ai credenti e alle credenti». È detto che Dio creò l’umanità da un’anima unica. E non si parla di «costola» Ida Zilio-Grandi e, a sinistra, la mostra veneziana sull’Islam (Vision) di Alessandro Bausani (Sansoni e poi BUR)». Qual è la parola che ricorre più spesso nella scrittura coranica? «Per quanto alcuni continuino a pensare che i temi più ricorrenti nel Corano ruotino attorno alla violenza o alla segregazione femminile, le parole più frequenti sono invece quelle che dicono la misericordia, la carità, la gratuità e il dono, prime caratteristiche di Dio sulle quali il credente è chiamato a meditare». E il ruolo della femminilità, così dibattuto e frainteso, come viene trattato? «Credo che il Corano sia l’unica scrittura sacra che si rivolge espressamente "ai credenti e alle credenti", senza presupporre un uditorio di soli uomini. Ed è l’unica che considera una donna, Maria madre di Gesù, un modello di perfezione devozionale anche per gli uomini. Le donne, cioè le compagne sono "un bene grande", da trattare sempre con gentilezza e mai con disprezzo, e ogni abuso di autorità contro di loro è un peccato grave. L’immagine della vita coniugale è molto dolce: due persone che riposano insieme, nella compassione e nell’amore reciproci ispirati da Dio; e la vita familiare è un jihâd, cioè "un impegno assiduo sulla via di Dio". Dopodiché è vero che il Corano penalizza la donna nella testimonianza legale e nell’eredità, ma non è così automatico derivare da questo un’assoluta inferiorità L’incontro «Letteratura islamica. Quale dialogo con il presente?» è l’incontro di oggi alle 21 all’Università Ca’ Foscari di venezia (Aula Scarpa) in cui verrà presentato il Dizionario del Corano (Mondadori) di Ida Zilio-Grandi, studiosa padovana ma veneziana di adozione, docente di Letteratura e cultura araba presso l’Università di Genova. Interverrano anche Gamal Ghitani, Mahammad Ali Amir-Moezzi, Tahar Lamri, Luisa Orelli e Renzo Guolo. Gli appuntamenti giuridica». In questo momento sta lavorando sulla figura della donna nel Corano, può anticiparcene i contenuti? «Sto lavorando sulla creazione della donna e sul rapporto tra i generi. È un argomento che trovo molto interessante. Nel Corano è detto che Dio creò l’intera umanità da un’anima unica, e quest’anima è di genere femminile; e che poi creò il suo compagno, di genere maschile. La tradizione esegetica successiva si affanna per rendere la prima anima maschile e il sopraggiunto compagno femminile, cioè per armonizzare il discorso coranico alla tradizione biblica cosiddetta yahvista. Ma in realtà il Corano sembra proporre l’idea - anche questa biblica, è la tradizione "sacerdotale" - di un essere umano unico bipartito e duplice, composto di due parti reciproche e complementari. Nel successivo sviluppo del pensiero musulmano, grazie alle influenze delle culture limitrofe e senza dubbio anche al riaffiorare di convincimenti preislamici, la creazione della donna risulta successiva, derivata e subordinata, a quella dell’uomo: è la storia della costola». Secondo lei ci dev’essere un coinvolgimento impegnato dello studioso di questioni islamiche nello scenario complesso del contemporaneo? «Sì, credo che sia doveroso. Anche chi lavora sulla tradizione esegetica medievale in lingua araba, com’è il mio caso, vive qui e oggi, e partecipare alla vita del suo tempo offrendo alla propria società quel che può offrire è un dovere morale prima che civico. Per questo ho accettato di curare per Marsilio due volumi sui rapporti tra il diritto musulmano e l’ordinamento italiano contemporaneo, Il dialogo delle leggi e Sposare l’altro (entrambi 2006), quest’ultimo sul matrimonio e i matrimoni misti nel diritto musulmano, nel diritto canonico e nel diritto civile italiano. Tra l’altro ho imparato molto sulla società in cui vivo. E sempre per questo ho accettato di curare l’edizione italiana di un Dizionario del Corano, un’opera agile ma seria e utilissima alla nostra società per avversare i fraintendimenti e gli stereotipi». Giovanna Dal Bon L’Islam e l’Occidente, sono due poli per molti versi distanti, un tema scottante che ha radici millenarie e allo stesso tempo è di estrema attualità. E non solo per questioni religiose, diplomatiche, o culturali, ma per ma per le mille sfaccettature che connaturano l’uomo in una data cultura, con il bagaglio che – consapevole o meno si porta dietro. Il ventaglio d’incontri a latere che il Comune e la Fondazione di Venezia stanno mettendo in campo sono uno stimolo molto interessante: uno scambio costruttivo tra queste due realtà è possibile, e così sfaccettato da potersi risolvere in tre serate. Ancora cinque saranno gli approfondimenti e le «variazioni sul tema»: il 16 novembre alle 18.00 (al Salone del Piovego) si torna alla sede della mostra «Venezia e l’Islam 828-1797» – fino al 25 novembre a Palazzo Ducale- per un dibattito storico, sul «Mediterraneo come luogo di interscambio e di dialogo interculturale». La storia però, si rispecchia nell’arte - come emerge anche dal titolo dell’incontro di stasera - e da questo punto di vista si partirà anche il 23 novembre al Salone Napoletano del Museo Correr (ore 18.00), con «l’Occidente e l’Islam. Unità nella diversità fra arte e intellettualità», che integrerà il titolo del 12 ottobre scorso –su un possibile dialogo diplomatico, economico e di conoscenza reciproca. E quale fonte di dialogo o di dibattito migliore del cinema? Gli ultimi quattro incontri della rassegna aspettano il pubblico di fronte al grande schermo, con «Il cinema dall’Islam contemporaneo» al teatro ex- GIL di Mestre (il 16, 17 e 22 novembre alle 19, il 23 novembre alle 21). Professori universitari, ministri ed esponenti della cultura «bipartisan» forniranno gli spunti per una possibile osmosi culturale. Orsola Bollettini I L L IBRO Con i libri nei quali raccoglie in serie i prodotti della sua specialità (l’intervista, che raggiunge con lui il livello di un esercizio paradigmatico), il veronese Stefano Lorenzetto è abituato a farci riflettere, e spesso anche a farci sorridere, con la complicità di un temperamento che per natura inclina all’ironia e al disincanto. Ben poco da sorridere, e fin troppo da riflettere, c’è invece nell’ultimo libro da lui sfornato, simile a certi dolcetti del due di novembre. Vita morte miracoli (Marsilio editori, 272 pagine, 16 euro) lancia, con soave fermezza, un pugno nello stomaco, forse salutare, ai suoi lettori. Costringendo il recensore a un monito preventivo: chi, come si dice, è ipersensibile a certi argomenti, eviti di leggere questo libro in un affollato treno per pendolari, dal quale non sarebbe facile guadagnare una boccata d’aria fresca in caso di necessità. Le interviste qui proposte da Lorenzetto non parlano, in effetti, solo dei tre argomenti, tutto sommato rassicuranti nella loro definitezza, elencati dal titolo: parlano, soprattutto, della dolorosa fascia di confine Lorenzetto, un inno alla vita. Non solo per fede che esiste fra la vita e la morte. E della soglia inesplicabile che mette in comunicazione l’una e l’altra col miracolo. Intendiamoci: Lorenzetto non si sporca le mani col facile sensazionalismo e con l’ambigua misteriologia di tante trasmissioni televisive di successo. Piuttosto, guarda in faccia la morte e affronta di petto il tema della sua sistematica rimozione dall’orizzonte mentale dell’uomo di oggi, con la sensibilità di chi al cimitero ci va per piangere e per pregare, non per vedere fantasmi o fuochi fatui. E con la risolutezza quasi spietata di chi crede che la vita sia un bene (anzi un miracolo) troppo prezioso per poter essere lasciata a cuor leggero tra le braccia della morte. Lorenzetto trascrive le parole che escono da corpi ai quali la morte - quella fisica, almeno - ha concesso un’anteprima: come la vicentina Giuliana Torretta, che un giorno andò a Lourdes in carrozzella e ne tor- nò sulle sue gambe (ma considera la conversione dei figli il più grande dei miracoli ricevuti); o Giuseppe e Anna Baschirotto - vicentini anch’essi - che hanno perso due figli e oggi pubblicano i Quaderni sulle malattie rare. Solo per citare due esempi veneti. Ci sono poi quelli che lungo la fascia di confine ci lavorano: medici che si occupano di malati terminali, La scheda Stefano Lorenzetto è editorialista del Giornale. In Vita, morte, miracoli (Marsilio) raccoglie una serie di dialoghi sui dilemmi che la bioetica pone alla società e su come la coscienza individuale può affrontarli. Ma presenta anche le drammatiche testimonianze di persone comuni che sono state duramente provate dal destino, che hanno toccato con mano la forza del soprannaturale, o si sono interrogate sul senso dell’esistere. La prefazione di Giuliano Ferrara e la postfazione di Luigi Amicone rendono ancora più evidente una verità che sembra sfuggire all’uomo d’oggi: «È la concezione che abbiamo della morte a decidere la risposta a tutte le domande della vita». STORIE VERE Esce per Marsilio «Vita morte miracoli» del giornalista veronese. Interviste che raccontano con risolutezza spietata la dolorosa fascia di confine tra la vita e la morte studiosi esperti di quel limbo che è il coma, dottoresse che un tempo raschiavano uteri e oggi obiettano, in coscienza, all’aborto. Il libro di Lorenzetto è, a Stefano Lorenzetto, autore di «Via morte miracoli» (Marsilio) conti fatti, un immenso inno alla vita, che il reporter fa salire dal buio di recessi (il crepaccio della malattia, il burrone della vita vegetativa, la via senza uscita della consunzione fisica e mentale) che normalmente vengono investiti dal riflettore di chi vuol giustificare la necessità, o addirittura l’umanità, di una «buona» morte. Ma la morte non è mai buona, nelle voci raccolte da Lorenzetto. Buona, in queste pagine, è la medicina che aiuta a sconfiggerla; addirittura spietata, nella sua illuministica crudeltà, quella che fabbrica artificialmente il suo contrario (la vita della fecondazione in vitro, che nelle parole del filosofo Francesco Agnoli diventa una lugubre succedanea di certi esperimenti stregoneschi) o quella che ne orienta il cammino con la spinta di un bottone, o con l’estrazione di una spina elettrica. Essere pro-life, come si dice in America, «amici della vita», non significa necessariamente difendere la vita per convinzione religiosa, o addirittura confessionale: lo stesso Lorenzetto non risparmia le sue ironie a un principe della Chiesa, il cardinale Javier Lozano Barragán, fin troppo disinvolto nelle sue considerazioni sulle cellule staminali, mentre lascia ancora ad Agnoli il compito di ricordare che «i verdi hanno questa straordinaria sensibilità: sono contro i pomodori Ogm, però si battono per i figli geneticamente modificati». Aggirandosi con sgomento fra i gironi infernali in cui Lorenzetto scende prima di «riveder le stelle», il lettore - laico o credente, o «gentile», come si sarebbe detto un tempo - medita tristemente: se la medicina moderna (alternativamente alleata e nemica dei crociati difensori dell’esistenza biologica) si vanta d’aver allungato la vita media degli uomini, nessuno sembra veramente chiedersi se essa l’abbia anche migliorata. E se in aggiunta alla scia di sangue che ha lasciato e lascia quotidianamente dietro di sé essa non abbia prolungato, con le sue luminose certezze, anche la scia delle nostre lacrime. Lorenzo Tomasin ETICA Esalta la medicina che sconfigge la malattia, combatte invece quella che porta alla fecondazione artificiale. E non risparmia critiche a certi uomini di Chiesa