Ruolo della spiritualità…

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Ruolo della spiritualità…
Indice
Introduzione
pag. 3
Cap. 1 Umanizzare la Sanità è possibile?
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1.1 Una evoluzione storica
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1.2 Definizioni
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1.3 Normativa di riferimento
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Cap. 2 Lo Spiritual Care
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2.1 Gli inizi buddisti
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2.2 Gli sviluppi religiosi
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2.3 La crescita interiore del malato
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2.4 Spiritual Care Program Rigpa
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2.5 La Psicologia Positiva
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2.6 Scale di misura
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Cap. 3 Lo sviluppo della teoria
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3.1 Conclusioni
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3.2 Sviluppi
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Bibliografia
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Allegati
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Ringraziamenti
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INTRODUZIONE
Si è scelto di trattare della prospettiva dell’umanizzazione nell’ambito delle cure
ospedaliere e non.
Il ruolo della spiritualità nel lavoro di cura alla persona e all’umanizzazione che ne
deriva, è rimasto fondamentale per tutto il lavoro,
In questi capitoli ho scritto di sviluppi storici, normativi e personali a volte, sempre
con l’intento di creare un quadro completo e approfondito di questo tema.
Il primo capitolo si sviluppa trattando l’ Umanizzazione sanitaria, cercando gli sviluppi
storici, legislativi, e le varie definizioni.
Si è passati dal Giuramento di Ippocrate alle Guerre Mondiali, scoprendo il percorso
storico tra Europa e America.
In Canada il primo ministro alla sanità varò un piano di promozione alla salute nel ’74,
creando una totalità di attenzioni verso il malato. In Svezia nell’83 con l’”Atto dei
servizi medici e sanitari” per diminuire la burocrazia; o in Francia dove si incentiva
l’incontro e il dialogo tra diversi professionisti; o in Inghilterra e in Italia, dove il
fulcro di una sanità più umana è il lato qualitativo dell’incontro medico-paziente.
Umanizzare è fare attenzione al malato dall’inizio, dai racconti che farà fino alla
creazione di un contesto di cura in cui inserirlo. Umanizzare è anche rendersi più
accoglienti, dalla struttura all’attuazione di corsi di aggiornamento e approfondimento.
Creare fiducia è fondamentale per permettere al paziente di sentirsi libero di esprimere,
domandare e farsi aiutare.
Anche la legislatura, dovendo stare al passo con tutti gli sviluppi presentati qui, ha
migliorato le sue leggi, che sono state pubblicate sul sito della regione, in modo che
fossero accessibili a tutti. Sono stati presi in considerazione tutti gli aspetti che
concorrono a creare l’uomo e aiutarlo nel suo sviluppo psicologico, come ad esempio
il volontariato, il welfare, e la “Carta dei Diritti del Malato”.
Nel secondo capitolo ho trattato lo Spiritual Care, nozione sviluppata e migliorata
grazie all’interazione con il mondo buddista, creando centri di aiuto e perfezionamento
per il sostegno psicologico.
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Ho trovato interessante il legame creatosi con la nascita della psicologia positiva e il
suo sviluppo di scale di misura per tentare di studiare empiricamente il fenomeno
dell’aiuto spirituale.
Le scale di misura studiate per il calcolo di un indice di spiritualità si stanno tuttora
perfezionando perché di questa nuova frontiera ancora poco conosciuta, ma
estremamente interessante e di fondamentale importanza, come dimostrato dalla
letteratura, hanno un potenziale infinito, sarà sempre possibile migliorarle e applicarle
a svariate situazioni.
Nel terzo capitolo ho analizzato due ricerche, a mio avviso legate, sul tema
dell’assistenza spirituale offerta dalle infermiere americane e monitorata nella
primavera-estate del 2007, e l'altra sugli utenti e i lavoratori di un ospedale canadese
nel 2008.
Sono emerse analogie e problemi comuni, e la mancanza di universalità del tema non
permette la risoluzione delle problematiche in modo da migliorare la degenza e il
lavoro di chi l'ospedale deve viverlo quotidianamente.
Attraverso lo studio delle ricerche ho notato come l’universalità dei problemi renda
questo tema facilmente studiabile in tutti i paesi, al fine di trovare le soluzioni migliori
per aiutare la comunità.
Con l’utilizzo di questionari si è potuto creare uno strumento di analisi ad hoc per
relazionare la spiritualità offerta dai lavoratori, riuscendo a cogliere il punto di vista di
entrambi gli attori, il paziente e l’infermiere.
Le migliorie che le ricerche propongono sono legittime, in quanto per convenienza
hanno scelto campioni a loro favorevoli per gli studi, e si propone di ampliare i
campioni per analizzare le varianti.
Avendo limitato sesso, razza, religione e luogo di analisi sarebbe interessante scoprire
se altri paesi hanno svolto gli stessi temi e poter confrontare i risultati, per analizzare le
analogie e migliorare e ampliare la letteratura di riferimento.
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Capitolo 1
Umanizzare la Sanità è possibile?
1.1 UNA EVOLUZIONE STORICA
“Di fronte al problema, universalmente presente, della malattia, della cura e della
morte […] ogni epoca ha avuto una determinata visione dei morbi e delle strategie
terapeutiche ” (Voltaggio, 1992).
Il miglior punto di partenza storico non può che essere il Giuramento di Ippocrate,
base di tutti coloro che vogliono affrontare la pratica medica, la frase a cui tutti i futuri
medici, secondo me, pensano… il “senza arrecar danno”. Fu lui che introdusse il
concetto che la malattia sia un evento naturale provocato da un’alterazione
dell’equilibrio organico del corpo, e non una causa divina.
Durante la storia la medicina si è evoluta, ha migliorato sé stessa e le sue tecniche, gli
studi e i suoi specialisti, per arrivare alle Guerre Mondiali, che hanno permesso un
enorme passo in avanti per la tecnica e le scoperte.
Nel 1948 l’Organizzazione Mondiale della sanità così definiva la salute: “la salute è
uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto assenza di
malattia ”.
Un grande passo in avanti, che permette ai medici di prendere realmente atto del fatto
che tutta la persona influenza la malattia e la salute.
Siamo passati dal modello biomedico degli anni ’70-’80, modello che esclude dalla
diagnosi, e quindi dalle cause, sia fattori comportamentali sia problemi sociopsicologici, alla possibilità dell’approccio socio ecologico, che la malattia sia causata
da una molteplicità di fattori, quali lo stress, lo stile di vita, le influenze genetiche e
ambientali.
Nel 1974 per la prima volta si sente parlare di “promozione della salute”, dall’allora
ministro della sanità canadese Marc Lalonde, proponendo miglioramenti sia
nell’assistenza sanitaria sia dello stato di salute, parlando di alloggi, salute ambientale
e, appunto, di promozione della salute.
Questo documento portò una nuova visione della sanità pubblica, in quanto per
Lalonde la prevenzione e la promozione della salute derivavano dall’interazione della
biologia umana, dagli stili di vita e dall’ambiente.
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Oggi la cura viene basata sull’esplorazione, non più sulla giustificazione, e sulle
relazioni d’aiuto, sul sostegno emotivo e/o cognitivo, alla persona in difficoltà.
Tutti questi passaggi, dagli antichi greci al dopo guerra ad oggi, ci hanno portato a
prestare un’attenzione particolare al vissuto del paziente, a quel bagaglio culturale,
sociale ed emozionale, con cui il soggetto paziente si presenta dallo specialista.
Per poter aiutare a guarire bisogna quindi che l’operatore tenga bene a mente tutta la
storia che gli verrà confidata, come un bambino che inizia a conoscere le storie che
tramanderà successivamente ai suoi figli.
Insieme, paziente e dottore, stabiliranno un patto implicito, in cui il medico si fa carico
di cercare la miglior cura per il suo paziente.
Una maggiore umanizzazione comporta la necessità di rendersi conto che la persona
umana è unica e irripetibile, e il modo in cui essa vede e comprende il mondo,
influenzerà enormemente il rapporto con il terapeuta, che dovrà essere cosciente di ciò
per fare al meglio il suo lavoro, dovendo aprirsi all’ascolto e alla comprensione per
sapere riconoscere i propri bisogni e quelli del paziente.
Il sapere di non essere perfetti, di avere dei limiti, permette, sia al paziente sia al
medico, di trovare la terapia migliore in quel momento, e poterla modificare durante il
percorso.
1.2 DEFINIZIONI
Cercando nei libri di testo, in internet, tra convegni e dizionari, molte sono state le
definizioni trovate, simili tra loro, per la frase “umanizzazione della sanità”.
“Umanizzare significa tener presenti nell’intervento sanitario le molteplici dimensioni
della persona che concorrono a determinare la sua salute, il suo “star bene”, per
cogliere così i problemi che il paziente incontra nell’affrontare malattia, sofferenza e
altre difficoltà e rimanere soggetto attivo nella gestione della propria salute ”(Ranci
Ortigliosa, 1991, pag 34 , libro”Umanizzazione delle professioni sanitarie ”).
Il processo di umanizzazione consiste quindi nel ricondurre al centro l’uomo con la
sua esperienza di malattia e i suoi vissuti, e portare il sanitario ad attingere alla propria
flessibilità intellettuale, emotiva, di ascolto e relazionale per aiutare e supportare il
paziente nel momento di maggior vulnerabilità.
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È la creazione di un contesto in cui sia i professionisti che i pazienti trovano le
condizioni ottimali per interagire nel modo migliore, per il mantenimento o il recupero
della salute, per permettere il miglior utilizzo di tutte le risorse disponibili .
Bisogna quindi tenere sempre presente che il malato si aspetta tutto dall’operatore, ma
anche che il paziente sospetta che niente sarà mai fatto sufficientemente bene.
Se entrambe le parti si vedono dare fiducia e sicurezza il lavoro di guarigione potrà
essere migliore e più tempestivo, nel senso che i medici potranno aiutare la guarigione,
e i pazienti riusciranno a concentrarsi unicamente sul loro scopo, poter tornare presto
in salute.
Con la stessa attenzione prestata al malato bisogna ricordare che l’operatore,
costantemente immerso nei dolori degli altri, della loro impotenza e frustrazione, è
particolarmente a rischio.
L’emotività richiesta all’operatore può portarlo a fenomeni di esaurimento e burn-out,
rendendolo meno disponibile verso pazienti e colleghi, aumentando in questo modo il
disagio e la paura dei suoi utenti.
Certo è che serve anche attuare in pratica la voglia di perfezionarsi in ambito
lavorativo, quindi umanizzare significa anche migliorare l’accoglienza dei reparti, la
soddisfazione del paziente rispetto il rapporto con medici, infermieri e cure, oltre alla
qualità del servizio dato, poter dare al paziente ciò di cui realmente necessita.
Bisogna perciò creare un piano di azione per ridurre il rischio di burn-out del
personale curante, concentrandosi anche su di loro. Se i due attori riusciranno a creare
un clima di cooperazione, corresponsabilità, si instaurerà anche un buono scambio che
potrà aiutare il malato a riscoprire quei valori che possono mantenere il significato
delle cose, il senso di sé e di appartenenza di cui è stato privato con la malattia.
Tutto ciò non è certo per dire che il servizio che viene svolto sia inadeguato, ma che si
potrebbe svolgere meglio, aggiornando gli operatori su nuove frontiere e nuovi punti di
vista.
L’intervento sanitario è un precario equilibrio tra l’umanizzazione dell’utente e
quello dell’operatore.
Se l’operatore si sente utile, qualificato e soprattutto riconosciuto dai colleghi e dai
superiori, allora il suo lavoro rispecchierà questa sicurezza, e l’utente avrà
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l’impressione di essere considerato tale, e non come solo un nome su una cartella o una
malattia.
Ho voluto domandare a me stessa cosa intendo io per umanizzazione, perché se io in
primis non ho ben chiaro cosa penso non posso parlarne, come una frase che ho letto in
un libro “A volte per capire quello che pensi devi parlare.” (Dan Kieran, 2008, pag
188, libro “I piccoli piaceri dell’ozio” di Tom Hodgkinson e Dan Kieran ).
È da tanto tempo che faccio volontariato, quasi otto anni ormai, nei settori più
disparati, restando però a contatto con un certo tipo di utenza, bambini e disabili, e
dopo tutti questi anni, per me umanizzazione è legato a disegnare o raccontare una
storia, gonfiare un guanto e disegnarci sopra un volto sorridente per far tranquillizzare
un bambino che ha avuto un incidente, è creare un paracadutista con una mascherina
da chirurgo e una scatola vuota di guanti.
È ascoltare le esperienze di vita di una signora dimessa, mentre l’accompagno a casa.
È poter dare aiuto incondizionato, per migliorare la situazione di qualcuno anche se
non lo conosco, è dare conforto a una lacrima.
La sicurezza che il paziente sperimenta entrando in contatto con gli operatori sanitari
delle varie tappe, dal trasporto al ricovero, una volta in ospedale, viene determinato da
molti fattori sia fisici, quali il benessere acustico della struttura, quella visiva, quella
termo-igrometrica, per misurare temperatura e umidità, e la qualità dell’aria, sia
empatici, in quanto il paziente capisce se l’operatore è pronto a farlo sentire tranquillo
e al sicuro determinando la base fondamentale per un rapporto positivo e produttivo
con medici e infermieri.
Per aiutare il paziente a fidarsi durante la sua degenza e creare così un buon rapporto
collaborativi si potrebbe pensare ad aumentare i rapporti tra personale qualificato e
malato, perché ora come ora i contatti sono scanditi da tabelle di marcia, orari
prefissati di visite dei medici e dei parenti, a volte senza un’adeguata informazione ai
soggetti circa i regolamenti interni del reparto. Ciò potrebbe anche portare a una
visione più elastica dei compiti dell’infermiere, che necessiterebbe di corsi di
approfondimento per interpretare al meglio le domande e i sentimenti dei pazienti.
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O tramite le visite a domicilio, usate in passato dal medico di famiglia, e ancora oggi
usate per i casi più critici in cui un allontanamento dal nucleo familiare risulterebbe più
dannoso.
Creare, e migliorare, l’ambiente in cui il professionista possa esprimere al massimo la
sua capacità di relazione empatica, di avvicinarsi al paziente per poterlo aiutare a
guarire nel modo migliore è diventato lo scopo principale di molti centri.
Per rendere un ospedale più umano all’estero, ad esempio, hanno pensato e progettato
di tutto. In Svezia hanno varato l’“Atto dei servizi medici e sanitari” nel 1983, in cui si
cerca di evitare attese durante visite e prenotazioni, o spiegarne almeno il motivo
quando si verificano, e ridurre l’impersonalità e la burocrazia; o negli Stati Uniti, dove
si stimolano le imprese ospedaliere a migliorare il servizio al costo minore.
La Francia incoraggia la collaborazione tra specialisti, cerca di ridurre il tempo delle
degenze; l’Inghilterra, così come l’Italia, ha puntato sul lato qualitativo durante il
rapporto con l’utente, cercando di migliorare le strutture e sensibilizzando gli operatori
sull’aspetto psicologico del loro sostegno.
Tutti, indistintamente dalle diverse politiche, cercano di ridurre i posti letto nelle
camerate, e di crearne di più piccole e accoglienti; ridimensionano gli ospedali per
cercare di ridurre allo stesso tempo la sensazione di shock e alienazione dei pazienti e
dei loro parenti, che una volta entrati nell’ospedale possono sentirsi disorientati da
questi stabili così grandi e particolarmente tortuosi; abbelliscono le strutture, in
pediatria a Padova ad esempio con disegni su pareti colorate, peluche e tende esterne
dai colori vivaci; modificano gli orari di visita; permettono uscite temporanee nei fine
settimana o durante le feste per le lunghe degenze se la diagnosi lo permette; e
incoraggiano il volontariato, che sia per passare del tempo con i ricoverati per portare
loro il giornale che vogliono, che vogliano dare un po’ di spazio a parenti preoccupati
e stressati, o per dare tregua a infermiere vessate da pazienti che si sentono soli e
cercano quindi attenzioni.
Tutto questo lavoro per migliorare la persona nella sua interezza,incentivando una cura
totale, andando oltre l’aspetto fisico della malattia. Tutto questo perché ci si è resi
conto che avere il consenso e la fiducia degli utenti, e perciò tutelare quei bisogni
primari di tutti, è nell’interesse dell’intera società.
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La società necessita di rafforzare la propria volontà di migliorarsi, tramite un
rinnovamento delle conoscenze sul tema della salute- malattia, perché chi è malato non
è imperfetto, e tanto meno colpevole di ciò che gli è capitato.
Mario Fappani, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del
Comune di Brescia dal 2005, e prima assessore alla sanità della regione Lombardia,
sostenne nel 1991 che “il servizio sanitario è un servizio ad alto contenuto di
personalità”, ed è quindi basilare formare gli operatori sanitari a raggiungere e sfruttare
tutto il loro potenziale.
Bateson(1976) osserva “un esploratore non può sapere che cosa sta esplorando fino a
quando non l’avrà esplorata.”
In altre parole, solo facendo, vivendo, possiamo scoprire chi siamo.(Maria Chiara
Bassanini Setti,1991,pag 134, libro “L’umanizzazione dell’intervento sanitario” a cura
di Emanuele Ranci Ortigosa). Solo seguendo questa piccola frase si può capire dove
dovremmo andare, e cosa dovremmo fare per cogliere la nostra essenza, per capire a
cosa siamo destinati in questo mondo.
Cercando di essere perfetti si crea confusione e incapacità nel vedere i reali problemi e
i limiti insiti nel lavorare con la tipologia di utenza più debole, i malati. Essi cercano
un punto a cui ancorarsi nel momento del bisogno, e lo vedono in coloro che gli stanno
accanto, confidando in loro dando fiducia e speranza.
L’équipe è vista come un punto cardine, che cerca l’apertura e la globalità, non
tenendo conto della confusione che la troppa apertura crea, sia per disorganizzazione
sia perché si perde di vista l’obiettivo primario del curare la persona.
Anche gli utenti corrono il rischio della troppa apertura al mondo, smarrendo il vero
motivo del cercare il miglioramento tra gli specialisti che hanno intorno.
Bisogna guardarsi dentro per proiettarsi all’esterno.
Non serve legarsi a un ideologia o cercare i miracoli, basta riflettere appieno,
concretamente, sulle azioni lavorative, ciò che materialmente viene svolto come
routine, e migliorarlo per poter migliorare le proprie capacità tecniche, lavorative e
relazionali.
Mettere l’utente al primo posto, riconoscerlo come interlocutore, già all’inizio degli
anni ’90 era un qualcosa di nuovo e sperimentale, che ha portato oggi a un buon
dialogo tra il paziente il medico.
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Con tutti i progressi tecnologici e scientifici che la medicina ha vissuto, si è giunti in
un Era in cui il paziente prima di parlare con il medico ha già consultato vari siti
internet, certo arrivando spesso a conclusioni errate, ma con l’intenzione di porsi sullo
stesso piano del professionista che andrà a consultare. Tutto per sentirsi parte di un
gruppo di pari, per rendere l’esperienza della malattia meno traumatica e più reale.
Nell’eventualità dell’entrata in ospedale, il paziente deve pensare di trovare un posto
che con i suoi letti e le sue terapie cerca di far sentire il soggetto in una situazione di
fiducia, e non dimostrare che si è entrati in una nave aliena che vuole solo vederlo
come una malattia o una terapia.
“Nell’esercizio della professione la pratica del lavoro di gruppo lascia spazio a
soluzioni più individuali.” (pag135, libro “L’umanizzazione dell’intervento sanitario” )
Per me ciò significa che pur lavorando in équipe il singolo emerge permettendo a volte
di trovare soluzioni nuove e originali, riuscendo a sostenere il malato non come
semplice paziente, ma come uomo che vuole tornare a casa.
Così come il singolo utente viene visto come bisognoso di essere interpellato per la
sua cura, per il consenso informato, o anche discutere con lui la terapia da seguire,
confrontarsi durante il ricovero e tutto il suo percorso lo fa sentire sicuramente preso in
considerazione in tutta la sua interezza di uomo, valorizzando il suo essere il paziente è
più aperto verso il lavoro del medico, e pronto a collaborare con lui per un suo
miglioramento.
1.3 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Ovviamente tutto questo rinnovamento non sarebbe stato possibile se a livello di
legislatura statale e regionale non fossero tutelati i diritti dei malati e degli operatori.
Anche le leggi si sono evolute per restare al passo con le innovazioni che la sanità ha
visto e continuerà a vedere.
Prima fra tutte la “Costituzione Italiana”, che all’art. 2 scrive: “La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” I nostri rappresentanti
volevano evidenziare che l’interezza dell’uomo è fondamentale, e su ciò si basa la
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necessità di riconoscerne diritti e doveri in ogni ambito esso possa aiutare se stesso e
gli altri, compreso quello della sanità.
All’art. 32 la Costituzione sostiene che “ La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti”. Mettendo per iscritto nella Costituzione questo articolo viene
posto l’accento sull’importanza sullo stesso tema trattato nel 1948 dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità, cioè il diritto fondamentale ad avere un’assistenza sanitaria per
tutti, anche coloro che hanno difficoltà economiche.
La Regione Veneto ha un suo sito internet in cui, tra tutte le voci presenti, ho trovato le
leggi vigenti in regione in materia di sanità, dal 1979 ad oggi. Il mondo della politica
ha fornito una seri di leggi per tutelare la persona in tutti i campi in cui vive, spaziando
da ciò che compra e mangia, da dove vive, da dove lavora, e anche da cosa guarda alla
televisione, e le ha pubblicate, in modo che tutta la popolazione ne sia informata
prendendone atto. Spaziando in tutti i campi, io mi sono soffermata sul settore
“assistenza sanitaria e ospedaliera”.
Legge regionale 14 novembre 1980, n. 89 “Disciplina di organi collegiali sanitari”.
Sono state istituite varie commissioni per tutti i campi sanitari, da quello per
l’accertamento dell’invalidità civile a quella per il rilascio del certificato medico per le
patenti di guida per autoveicoli e natanti; dai compensi per chi lavora nelle
commissioni all’ampliamento dei cimiteri.
Legge regionale 20 luglio 1989, n. 21 “Piano socio-sanitario regionale 1989-1991”.
Qui vengono regolati i criteri, gli obiettivi e le modalità della programmazione
sanitaria veneta per il triennio 89-91, consolidando e migliorando il piano triennale
precedente, dopo l’attuazione del piano regionale di sviluppo. I suoi obiettivi sono
tutelare la salute individuale e collettiva, fisica e psichica, tramite interventi per
rimuovere le cause di malattia, potenziando la prevenzione e la riabilitazione; hanno
cercato di ridurre la differenza tra domanda e offerta del servizio soprattutto nelle aree
poco coperte dal servizio; una migliore collaborazione tra le politiche di intervento
sanitario e socio-assistenziale; migliorare i servizi e alzare lo standard di produttività
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ed efficacia del Servizio sanitario regionale; e l’integrazione con il supporto dato dalle
facoltà di medicina tramite le loro ricerche e la loro didattica.
Per il riconoscimento di alto valore sociale del lavoro del volontariato, la legge dello
stato L. 266/91, perché senza i volontari tanti servizi avrebbero difficoltà a essere
efficienti ed efficaci, perché il lavoro positivo del volontario può portare a migliorare il
clima e la disponibilità degli operatori in maniera silenziosa e discreta.
Il volontario è colui che avendo più tempo a disposizione rispetto all’infermiere a volte
riesce a cogliere ciò di cui il paziente ha bisogno in quel momento, aiuta gli operatori
nel loro lavoro, pur restando nel proprio ambito di competenza, senza interferire con il
lavoro degli specialisti, ma migliorandolo in maniera accorta con la sua attenzione
umana al paziente, cosa che a volte sfugge all’infermiere per il troppo lavoro.
C’è un gran bisogno di persone pronte a mettersi al servizio dei più deboli, persone
anziane e bambini malati o con problemi di varia natura, e tutto per un raro
riconoscimento disinteressato e gratuito.
Legge regionale 14 settembre 1994, n. 55 “Norme sull'assetto programmatorio,
contabile, gestionale e di controllo delle unità locali socio sanitarie e delle aziende
ospedaliere in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 "Riordino
della disciplina in materia sanitaria", così come modificato dal decreto legislativo 7
dicembre 1993, n. 517”.
Facendo riferimento al piano sanitario nazionale si tenta di stabilire i piani, i progetti e
i programmi dell’Unità locale socio-sanitaria e dell’Azienda ospedaliera così da avere
chiare le finalità e gli obiettivi degli enti, sia in generale sia specificatamente a
determinati progetti e reparti.
Legge regionale 14 settembre 1994, n. 56 “Norme e principi per il riordino del servizio
sanitario regionale in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
"Riordino della disciplina in materia sanitaria”, così come modificato dal decreto
legislativo 7 dicembre 1993, n. 517”.
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Con questa legge si era voluto stabilire in maniera chiara quali ospedali legare ad una
azienda ospedaliera, e definire il piano del servizio sanitario regionale. Con il piano
stilato inoltre si metteva nero su banco gli obblighi della Regione, tra cui il benessere
dei rapporti tra i vari enti collaboranti sia privati che pubblici quali il Comune, e le
collaborazioni con l’università, in fase di stesura del piano regionale socio-sanitario
per quanto può competerle .
Nel 1996 venne varato un decreto dal Ministero della Sanità che andava a lavorare con
i vari indicatori di valutazione delle dimensioni qualitative del servizio inerenti alla
personalizzazione e l’umanizzazione dell’assistenza, il diritto dell’informazione, alle
prestazioni alberghiere e all’andamento delle attività di prevenzione delle malattie per
poterle migliorare attraverso i dati raccolti dai vari enti soggetti ad indagine.
Ogni Regione poi ha la sua “Carta dei diritti del malato” in accordo alle leggi vigenti,
fondata sulla “Carta dei diritti fondamentali di Nizza”, un documento stilato a Nizza il
7 dicembre del 2000 dalle nazioni dell’Unione Europea , e su dichiarazioni e
raccomandazioni internazionali dell’Organizzazione mondiale della sanità.
La carta di Nizza raccoglie per la prima volta tutti i diritti politici, civili, economici e
sociali dei cittadini europei e di tutti coloro che vivono sul territorio dell’Unione.
La “Carta dei diritti del malato” contiene 14 diritti, tra cui il diritto all’informazione e
alla documentazione sanitaria; il diritto alla qualità nei servizi sanitari cui si sottopone;
il diritto alla famiglia, e quindi al sostegno del Servizio sanitario qualora stesse
assistendo un familiare malato; il diritto alla decisione, nel momento in cui debba
scegliere la cura aiutato dai medici ma non costretto; il diritto al volontariato,
all’assistenza da parte dei soggetti no- profit e alla partecipazione, in cui ogni assistito
ha il diritto di ricevere assistenza sanitaria e in cui sia garantita la partecipazione degli
utenti anche tramite forma di volontariato; e il diritto al futuro, quindi con il diritto di
vivere la fine della propria vita con tutta la dignità che gli è possibile, soffrendo il
meno possibile ricevendo assistenza e attenzioni.
Legge regionale 3 febbraio 1996, n. 5 “Piano socio-sanitario regionale per il triennio
1996-1998”.
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Per definire obiettivi, individuare criteri, parametri e standard di lavoro nell’ambito
sanitario e sociale,oltre che per regolare i rapporti con gli altri enti regionali e
assicurare lo stesso standard di prestazioni sul territorio.
Legge regionale 16 agosto 2001, n. 20 “La figura professionale dell’operatore sociosanitario”.
Viene definita la figura dell’operatore socio-sanitario come di colui che dopo aver
conseguito l’attestato di qualifica dopo adeguata formazione, sempre specificata nel
testo vigente, svolge la sua attività per soddisfare i bisogni primari della persona,
secondo le sue competenze, in ambito sociale e sanitario; quando favorisce il benessere
e l’autonomia dell’utente.
Legge regionale 29 novembre 2001, n. 32 “Agenzia regionale socio sanitaria”.
Con questa legge vengono definite l’istituzione, i compiti e le modalità di
finanziamento dell’Agenzia regionale socio sanitaria, un ente usato dalla regione per
monitorare, supportare e verificare il lavoro svolto dalla commissione regionale della
sanità e del sociale, come ad esempio approvare proposte di modelli gestionali
innovativi.
Legge regionale 22 gennaio 2010, n. 8 “Prevenzione e contrasto dei fenomeni di
mobbing e tutela della salute psico-sociale della persona sul luogo del lavoro”.
Con questa legge la Regione riconosce l’inviolabilità della dignità umana e il diritto di
ogni individuo all’integrità psico-fisica, per meglio tutelarlo nei suoi luoghi lavorativi
e in relazione all’attività svolta. Inoltre da ciò emerge che il lavoratore ha il diritto di
non essere discriminato, non essere oggetti di vessazioni, umiliazioni o minor rispetto
nell’ambito lavorativo.
C’è la Legge n.38 del 2010 sul Welfare che regola l’integrazione tra ospedale e
territorio.
Una buona collaborazione tra i vari enti è fondamentale in quanto è possibile garantire
un’armonia tra operatori e assistiti. Sapere che tutto è collegato, che come paziente si
viene assistiti sotto tutti i profili utili è molto importante, in quanto crea sintonia e
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complicità, oltre ad una fiducia cieca . Un genitore che deve stare accanto al figlio
malato e tuttavia può contare su una rete assistenziale, dove dormire, dove poter farsi
una doccia o una passeggiata all’aria aperta sapendo che il figlio passerà un paio d’ore
giocando con altri bambini dei reparti, è fondamentale per la riuscita della cura
infantile; è rassicurante sapere che un’anziana può contare sull’ascolto o la vicinanza
dei parenti durante la malattia o semplicemente durante la sua permanenza nella casa
di riposo.
Legge regionale 26 maggio 2011, n. 9 “Disposizioni in materia di aziende ed enti del
servizio sanitario regionale”.
Le disposizioni, date dalla Giunta sulla base dei rapporti con i vari enti rappresentati,
definiscono linee omogenee per la realizzazione delle misure, delle valutazioni e della
trasparenza della performance, valorizzando la specificità del servizio sanitario
regionale e i suoi modelli organizzativi.
È sorprendente pensare che dal seconda dopo guerra ad oggi ci sia stato un tale salto in
avanti nella cura e nell’attenzione al malato, di qualsiasi tipologia, dalla malattia fisica
debilitante, a quella mentale e psicologica.
Tutto questo progresso e attenzione alla persona si è potuto attuare grazie alla nascita
di una società dei servizi più completa su tutti i fronti, dalla cura generale del malato,
al suo benessere una volta fuori dall’ospedale.
Comprendere appieno l’importanza della totalità dell’uomo, che ogni sua parte è vitale
per il medico di oggi, che non può più solo fare affidamento sulla sua scienza medica,
potrebbe aiutare enormemente la terapia intrapresa dello specialista,
Solo dialogando il medico può apprendere la storia e la natura del problema del
paziente che ha davanti, e capire realmente la comparsa di certi sintomi a volte.
Anche i dipendenti, gli utenti ambulatoriali e i visitatori fanno parte dell’ospedale, e
perciò sono fondamentali per il progetto di umanizzazione di un organo che è soggetto
ai cambiamenti più spesso di molte altre realtà, a causa di innovazioni tecnologiche,
biologiche, mediche e soprattutto umane.
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I cambiamenti socio-culturali, demografici o semplicemente dell’andamento del
servizio socio-sanitario, sono fondamentali per capire e migliorare le prestazioni
ospedaliere.
Grazie a enti senza fini di lucro, volontari e associazioni sparse per tutto il territorio,
migliorare la sanità, renderla più umana, è stato non solo possibile, ma ancora oggi in
miglioramento.
Per molti l’ospedale ha perso di umanità quando ha cominciato ad allontanarsi dalla
persona per legarsi sempre più alla tecnicità del suo operato, alle innumerevoli
innovazioni che si sono andate a creare.
Quindi sostenere una rinascita dell’umanizzazione vuol dire appunto fare più
attenzione ai malati, dando loro il modo e il tempo di fidarsi, di capire che si può
essere tutti sullo stesso piano pur avendo competenze diverse.
Oggi si tenta di aprire le menti a una strana collaborazione, tra scienza e fede si può
dire,perché oltre alle capacità dei medici il paziente deve avere la forza, e la volontà, di
guarire per tornare a casa.
Tanti sono i casi di persone scientificamente guarite, ma psicologicamente distrutte,
che sono morte perché non avevano la forza e la voglia di combattere l’impotenza che
le aveva sopraffatte.
Un buon medico riconosce i suoi limiti, e accetta quindi di poter dire al paziente che la
sua fede, che sia religiosa o solamente la sensazione di potercela fare, sarà
fondamentale a volte per la sua guarigione.
“La pratica medica è correlata con il grado di autorealizzazione spirituale di ogni
cultura.” (Sandro Spinanti, pag 77, libro “L’umanizzazione dell’intervento sanitario”)
Se un individuo crede nella sua forza, che sarà in grado di superare il momento di crisi
che lo sta affliggendo, al di là delle constatazioni divine, ciò può portarlo a fare
qualsiasi cosa, basta volerlo.
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Capitolo 2
Lo spiritual care
2.1 GLI INIZI BUDDISTI
La scienza interiore del buddismo si fonda, come scrive uno scrittore e professore di
indo-tibetano americano, Robert Thurman, “su una conoscenza minuziosa e insieme
globale della realtà, su una profonda e già comprovata conoscenza di sé e
dell’ambiente, cioè sulla perfetta illuminazione del Buddha”.
Così lo scrittore Sogyal Rinpoche definisce il fondamento del sul libro “Il libro
tibetano del vivere e del morire”. Rinpoche è un maestro buddista tibetano, che in
Italia ha tenuto corsi e conferenze sia nel 2003 sia nel 2005.
Cercando in rete legami con lo spiritual care e le sue applicazioni in campo medico ho
incontrato spesso questo libro, finché non mi sono decisa a leggerlo, pensando fosse un
segno, un qualcosa che dovevo fare.
Il legame che esiste tra l’autore e il mio tema consiste nel pensiero che la meditazione
favorisca un migliore stile di vita, ha cercato di trasformare gli insegnamenti buddisti
in modo da renderli comprensibili agli uomini di oggi, indifferentemente dalla loro
cultura, riuscendo a parlare con tutti di argomenti quali la spiritualità, la non violenza,
medicina e guarigione.
Questa mia sensazione di collegamento al tema che tratto è dovuta al pensiero
dell’autore nei confronti della spiritualità. Egli sostiene che ognuno è portatore della
propria pace interiore, che potrà emergere con la meditazione, trovando il proprio
centro e creando la propria natura consapevole.
Leggendo il libro mi sono resa conto che la visione orientale della morte, e del suo
sostegno, è completamente diversa dalla nostra, in antitesi, e ho capito che per parlare
di spiritualità un po’ di credenza ci vuole, non religiosa, ma semplice e spontanea
“meditazione”, non trovando un termine migliore per ora.
Oggi parlare di morte è quasi un tabù, fa paura, sconvolge, divide…
In pochi vedono in lei un nuovo inizio, e non la fine di tutto. Per i buddisti è
un’occasione di rinascita, per alcuni occidentali è un posto di pace.
19
È perché il parlarne ci dona quiete, è inevitabile farlo, e mette ansia pensare che dopo
averne parlato ci si possa sentire più liberi, sereni, probabilmente perché non riusciamo
a vederla nell’ottica più evoluzionistica della cosa.
Vediamo la morte come l’allontanamento dei nostri cari, la colpa dei medici che non
sono riusciti a salvare chi amiamo, è la colpa verso chi vogliamo bene per non aver
voluto lottare per noi.
2.2 GLI SVILUPPI RELIGIOSI
La vita è una danza di forme transitorie, e tramite la spiritualità possiamo trovare pace
e quiete. Esiste un’immensa speranza, tanto nella vita quanto nella morte, a condizione
che ci si prepari.
Non voglio parlare di morte, ma di quello che gli uomini fanno per prepararsi ad essa,
essendo inevitabile, tutti sanno che prima o poi arriverà, ma è il modo in cui ci si
prepara che ci distingue positivamente.
Sapere che lasceremo i nostri cari ce li fa amare profondamente, quanti dopo un lutto
sono stati più vicini, magari solo per poco certo, ma ugualmente più vicini? Io credo
tutti… Passato lo shock iniziale ci si interroga sul perché è capitato proprio questo,
perché a noi, come faremo ad andare avanti, e tantissime altre domande.
E tutti, indistintamente si aggrappano a un pensiero, un’idea forte e incrollabile,
magari solo inconsciamente, che il proprio caro defunto sia in un posto migliore, in
pace.
Questo pensiero deve essere fonte di ispirazione, perché tutti ci pensano, che siano
credenti di una qualche religione o semplicemente atei.
Il pensiero che la spiritualità posso servire a lenire il dolore della morte e delle malattie
terminali, alla fine gli anni 80, è stato descritto da Jean Vimort, sacerdote di Lione e
giornalista di “Vermeil” nel 1988, parlando di desideri inespressi, il bisogno di
riconciliarsi con la vita, e soprattutto di credere in una vita dopo la morte, in una
continuazione. Questo sacerdote sostenne che solo alla fine del proprio percorso gli
uomini pensano alla spiritualità, per la vicinanza con la fine, mentre bisognerebbe fare
un percorso lungo tutta la vita per comprendere appieno la strada che ci sta d’innanzi.
Serve tempo per elaborare i veri bisogni spirituali, quali che siano, ma per trovarli c’è
20
bisogno di un lavoro personale, interiore, perché l’aiuto che il malato chiede è la
rappresentazione esteriore della sua lotta con la morte.
2.3 LA CRESCITA INTERIORE DEL MALATO
Il malato, quindi, per poter ricostruire il suo essere, oltre la malattia, si concentrerà su
quattro linee dinamiche d’essere, di vivere sé stesso malato, ideate da Jhon Fisher:
tenterà di restare soggetto della sua vita; elaborerà un discorso sul senso della vita, su
ciò che per lui è importante; costruirà o consoliderà un forte rete di solidarietà attorno a
lui, a cui affidarsi e sentirsi protetto; e affronterà la questione dell’avvicinarsi della sua
morte e di una possibile vita oltre la morte.
Miller e Thoresen, psicologi americani, nel 2003 ipotizzarono che spiritualità e
religiosità fossero collegate, una subordinata all’altra, in quanto gli autori si sono
focalizzati su studi con malati terminali (Cole & Pargament, 1999), perciò per parlare
di spiritualità devo parlare anche di religiosità, almeno un po’.
Per questi due autori la spiritualità è una credenza legata all’individuo, la religiosità è
legata agli aspetti sociali, in quanto è la religiosità che attrae l’aspetto di gruppo, il
bisogno alla socializzazione dell’uomo, ma è anche un campo di ricerca emergente,
che si sta esplorando.
La spiritualità è una componente importante per pazienti che devono far fronte a
malattie croniche e affinare la loro capacità di superare le situazioni in cui si trovano
(Brady, Peterman, Fitchett, Mo, & Cella, 1999; Ehman et al, 1999;. Roberts, Brown,
Elkins, & Larson, 1997).
Agli inizi del ventesimo secolo l’argomento spiritualità era considerato come qualcosa
di immateriale, e quindi impossibilitato ad essere studiato scientificamente.
La spiritualità è più uno stato mentale, una disposizione di pensieri dominati da una
mente forte, per cui la morte è si inevitabile, ma solo nella nostra mente, siamo noi che
decidiamo e controlliamo ciò che ci accede.
La spiritualità è cercare il sacro nelle cose della vita quotidiana, in senso filosofico e
profondo, mentre la religiosità è cercare dei significati legati al sacro.
Il sacro si può trovare in ogni cosa e in ogni uomo, è la profondità della pace interiore,
è l’essere umano in pace con il mondo e in uno stato di quiete pacifica.
21
È il sapere di avere uno scopo nella vita, il riuscire a riconciliarsi con il resto del
mondo, avere una pace interiore da poter trasmettere a chi si ama. È saper ascoltare
l’altro e fare proprie le sue parole.
Per parlare di spiritualità bisogna prendere in considerazione le domande e le ansie
dell’uomo, occorre percorrere una strada, un cammino di speranza, la spiritualità ha
aperto tutto un campo sulle domande ultime della vite, su cosa ci aspetta dopo, su
perché è capitato a noi.
Leonardo Antico, medico all’Istituto di Medicina Interna e Geriatria, Policlinico “A.
Gemelli”, Università cattolica del Sacro Cuore,sostiene che la spiritualità è per
ognuno, “ciascuno ha una natura spirituale che può essere toccata per mezzo di
un’altra persona. Andare incontro alla necessità spirituale è una forma di assistenza e
senza di essa l’assistenza non è completa. La spiritualità è dimensione umana
universale che si esprime attraverso la religione, le relazioni interpersonali, la
creatività, l’affettività, i valori, i comportamenti.
La spiritualità è il mio essere, l’identità più profonda e caratterizzante la persona, la
mia persona interiore, ciò che mi rende unico e vivo. ” (Antico, pag. 140).
La malattia viene vissuta in modo diverso a seconda della spiritualità e delle culture di
riferimento, creando una sfida nel mondo sanitario, per riuscire a curare tutti tenendo
conto delle differenze che sono intrinseche in ognuno. La malattia ci porta a cercare un
senso alla nostra vita per farci cogliere l’originalità del nostro essere.
Per chi assiste spiritualmente il malato diventa importante infondere speranza, ed è
fondamentalmente non tanto quello che viene detto, ma ciò che l’assistente significa
per il paziente. Esso viene aiutato a trovare la forza per dominare la sua mente, da cui
nascono immense potenzialità, da cui prende forma la vita e la morte.
La spiritualità è potenziale inespresso che emerge fintanto non si decida di rivolgere
l’attenzione all’esterno, verso il malato che ne ha bisogno, in quanto essa è fonte e
causa di attenzione e responsabilità, senza di essa non riusciremmo a comprendere
appieno ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Tutto questo è fondamentale per poter vivere, perché abbiamo bisogno di valori e di
regole, le avversità che si affrontano durante la vita servono a prepararci a vivere la
nostra spiritualità e aiutarci ad aiutare altri a coglierla.
22
Tornando alla malattia, è importante la rappresentazione che il malato si crea del
proprio stato, che capisca il perché di ciò che gli sta accadendo, perché comprendendo
che può esserci uno scopo più alto può accettare e magari superare la crisi che lo
attraversa. La guarigione, venendo vissuta come accettazione della malattia, è la pace
con la vita.
L’attenzione verso l’altro malato può avvenire nel momento in cui chi assiste ha
vissuto a sua volte il dolore, in questo modo sarà in grado di supportare al meglio il
paziente, in quanto la malattia è parte integrante di ciò che una persona è in quel
momento della sua vita.
La spiritualità è legata profondamente a caratteristiche quali lo stile di vita, i valori e le
scelte che si fanno.
A volte la vera malattia può non essere fisica, ma dell’anima, malattia difficile da
vedere e curare, ma sintomo di grandi disagi interiori. Malattie quali la depressione, il
tentato suicido, dipendenze da alcol e droghe, hanno tutte una componente base, una
mente debole e malata, una mente che non più controllare tutto a da cui cominciano i
problemi, e come sostengono i maestri zen: la mente è la base universale di tutte le
esperienze, quindi nel momento in cui diventa debole si comincia a stare male.
2.4 SPIRITUAL CARE PROGRAM RIGPA
E.. se.. e se.. e se.. è una frase che a pensarci si fanno tanto progetti, per il futuro o per
qualcosa che si avrebbe voluto fare.
Parole che unite hanno un grande peso, e fanno pensare molto.
Nelle culture orientali, con la filosofia di una vita oltre la morte, la reincarnazione, si
pensa e si vive come se fosse l’ultimo giorno, per essere liberi, perché si ha solo
l’adesso del momento presente. Per loro la morte è l’inizio, parte integrante di un
qualcosa di più grande, e dal libro di Rinpoche questo pensiero ha cominciato a
prendere piede agli inizi degli anni 90, facendo diffondere una rinnovata spiritualità
slegata dalle pratiche religiose, pur essendo il suo fondamento. Da lui molti hanno
tratto insegnamenti e sviluppi di vita, da cui hanno creato, nel 1993, un programma
internazionale, chiamato “Spiritual Care Program Rigpa”, qui Rigpa significa
consapevolezza in tibetano, di certificazione per operatori sanitari e volontari per una
migliore assistenza alla vita e alla morte per i pazienti ricoverati, riuscendo a creare
23
poli specializzati per aiutare ad affrontare malattia, morte e difficoltà con il sostegno
spirituale, basandosi sugli insegnamenti zen.
Ogni cammino spirituale è camminare verso un ben-essere individuale.
Il programma si offre come una guida per integrare e sostenere la consapevolezza, la
meditazione e l’empatia in modo adeguato a ogni ambiente, ma anche la formazione di
comportamenti pratica, come ad esempio un buon ascolto basato sul modello medico
professionale.
2.5 LA PSICOLOGIA POSITIVA
Agli inizi del 900 il fondatore di uno dei primi laboratori di psicologia sperimentale
negli Stati Uniti, William James, sostenne che la felicità è un aspetto centrale della vita
umana, per la salute della mente e del corpo. Questo forte concetto venne poi ripreso
successivamente dalla psicologia umanistica, a partire dal 1962, di Abraham Maslow,
Carl Rogers e Erich Fromm, i quali studiarono aspetti dell’esistenza umana come
fattori fondativi del benessere personale e della salute. Questi temi, che dopo la
Seconda Guerra Mondiale spinsero molti psicologi a vedere la sfiducia e la
depressione in alcuni portando molti psicologi a chiedersi il perché di questa
distinzione, e aiutando la nascita di una psicologia positiva, come avverrà grazie agli
studi di Seligman e Csikszentmihalyi durante lo studio del benessere soggettivo negli
anni 2000 .
Questa nuova psicologia positiva va a legarsi con la spiritualità perché la studia, la
cerca e tenta di comprenderla.
Avendo come scopo quello di riuscire a costruire delle qualità positive, la psicologia
positiva è strettamente collegata allo sviluppo di una spiritualità, essa cerca le virtù
legate a uno sviluppo totale della persona anche attraverso una sua introspezione,
fondante per la spiritualità.
Della psicologia positiva si possono avere due prospettive, quella edonistica di
Kahneman et al., 1999, in cui il benessere è inteso come il raggiungimento dei propri
obiettivi e felicità soggettiva; mentre la prospettiva eudaimonica, di Waterman, 1993, è
più vicina alla spiritualità a mio avviso in quanto il benessere va oltre la felicità, essa
rappresenta la realizzazione delle potenzialità umane. Questa visione è possibile nel
momento in cui viviamo in sintonia con la nostra vera natura, e la spiritualità si
24
sviluppa anche in accordo con entrambe le prospettive, per portare l’uomo a sviluppare
abitudini e comportamenti benefici per poter infine creare una rete di supporto sociale
adeguata. La spiritualità, intesa come la ricerca di benessere interiore, è stata
considerata la variabile indipendente di molti studi, cercando di sviluppare teorie con
essa.
Sembra che le emozioni positive creino effetti preventivi e terapeutici potenziando il
sistema immunitario motivando a comportamenti sani, soprattutto con determinate
patologie, quali problemi cardiovascolari.
Sul tema del benessere soggettivo ne ha studiato Diener, docente universitario e
scrittore di libri sul benessere, oltre che sul temperamento e altri argomenti legati al
benessere. Nel 2000, stesso anno di Diener, Salovey, anch’egli docente universitario e
autore di svariati libri sul comportamento umano legato alla salute, e altre
pubblicazioni sulla relazione tra le emozioni positive e la salute fisica, sostiene che la
negatività e il rancore influiscano negativamente sulla produzione di anticorpi e quindi
indebolendo l’individuo.
2.6 SCALE DI MISURA
Partendo dalla vasta letteratura a favore dello studio di religiosità e spiritualità la prima
cosa che si nota è il legame tra queste due risorse. Esse sono state studiate per
dimostrare come i malati si affidino alle preghiere e altri conforti durante la malattia
dagli psicologi di tutto il mondo( Cole & Pargament, 1999; Dein & Stygal, 1997;
Koenig, 1997; Pargament, 1997; Pargament, Smith, Koenig, & Perez, 1998).
La storia delle ricerche sulla religiosità è stata ben documentata nel libro di William
James, uno dei fondatori secolare della psicologia americana, pubblicato nel 1902 “The
varieties of religious experience: A study in human nature”.
Una vasta gamma di strumenti è disponibile per studiare la variabile della religiosità,
come dimostrato dagli autori Hill e Pargament nel loro studio del 2003 sulla
concettualizzazione delle religiosità in funzione della salute.
Pur tuttavia l’attenzione per la spiritualità ha fatto si che l’argomento venisse trattato al
pari degli altri temi delle ricerche scientifiche, e attraverso studi e creazione di
significati si è arrivati alla visione di Walsh del 2000, in cui la spiritualità è la relazione
con ciò che è sacro nella vita.
25
Per concretizzare il passaggio tuttavia l’esperimento di Zinnbauer del 1997, in cui
furono intervistati 346 soggetti residenti in Pennsylvania e Ohio. I partecipanti
dovettero compilare un questionario con scale likert sulle somiglianze e differenze
percepite tra religiosità e spiritualità, convinzioni e atteggiamenti su Dio, se stessi, e
altri. Emerse che la maggioranza erano per la convinzione che
religiosità e spiritualità si sovrappongano, ma non sono la stessa cosa (42%) e la
convinzione che la spiritualità è il concetto più ampio e comprende la religiosità
(39%). In pochi (10%) hanno visto la religiosità come un concetto più inclusivo.
Misurare la spiritualità, si è visto, non è semplice, in quanto bisogna far riferimento a
variabili subordinate, quali lo stress e la qualità di vita, per riuscire a collegare
l’efficacia dello studio alla vera variabile studiata.
La Scala di Benessere Spirituale (Spiritual Well-Being Scale, SWB), pubblicata da
Paloutzian e Ellison nel 1982 come misura della qualità della vita e benessere
spirituale, esamina sia il suo legame con Dio ma soprattutto con se stessa, la comunità
e i suoi legami esterni.
Secondo questa scala il benessere spirituale è la combinazione del benessere religioso
e di quello esistenziale.
Viene calcolata attraverso un questionario con 20 item, e viene utilizzata su un gran
numero di tipologie di campioni differenti, in quanto è versatile, modificando
l’argomento degli item.
Numerosi sono gli studi che hanno utilizzato questa scala nelle loro ricerche( Basselt,
R., Thrower, J., Barclay, J., Powers, C., Smith, A., Tindall, M., & et al., 2005; Boivin,
M.J., Kirby, A.L., Underwood, L.K., & Silva, H., 1999; Bufford, R.K., Paloutian, R.F.,
& Ellison, C.W., 1991; Ellison, C.W., & Smith, J., 1991; Ellison, C.W.,1983; Fee, J.,
& Ingram, J.A., 2004).
L’Indice di Benessere Spirituale (Spiritual index of Well-Being, SWIB), vuole
misurare l’impatto della spiritualità sulla vita e sul relativo benessere soggettivo.
Attraverso lo studio del regime di vita e dell’auto-efficacia, sempre grazie a un
questionario a 12 item, si può osservare la spiritualità correlata alla salute e alla qualità
della vita.
26
In letteratura sono presenti molti autori che hanno usato questo indice nei loro studi
(Daaleman, T.P., & Frey, B.B., 2004; Frey, B.B., Daaleman, T.P., & Peyton, V.,
2005).
La Spiritual Health Index, ovvero l’Indice di Sviluppo Spirituale, venne creata per
avere maggiori informazioni sul modello delle quattro dimensioni della salute
spirituale, sviluppate da John Fisher, le quali collaborano insieme per un benessere
della persona.
La prima dimensione è quella personale e cerca di misurare la soddisfazione personale
in relazione alla propria vita, attraverso frasi tra cui “sento che la mia vita ha uno
scopo”, “mi capita di essere interpellato per un consiglio”.
La seconda è comunitaria, in cui si cerca di cogliere il sentimento dei giovani verso la
comunità che li circonda e le interazioni al loro interno, e viene misurata con frasi del
tipo “sono preoccupato di essere vittima del bullismo a scuola”, “non sono sicuro di
come rapportarmi con l’altro sesso”.
La terza è verso l’ambiente, quindi scoprire di più sul luogo in cui si vive, e le
dichiarazioni sono di preoccupazione verso l’impossibilità di fare concretamente
qualcosa per migliorare.
La quarta è la dimensione trascendentale. Si cerca di capire il modo dei giovani di
cogliere la religione ma anche lo spirituale, e tutto ciò ad esso collegato, con frasi a
favore di tutto ciò che può essere trascendentale.
Si può trovare questa scala nel libro di Francis, L.J., & Robbins, M. (2005). “Urban
hope and spiritual health: The adolescent voice”. Werrington, UK: Epworth.
27
28
Capitolo 3
Lo sviluppo della teoria
Vi siete mai fermati a leggere “Il Piccolo Principe” di Antoine De Saint-Exupéry?
Io l’ho riletto di recente, e una frase, o meglio una constatazione tanto ovvia quanto
sconvolgente, che la volpe svela al piccolo principe mi è sembrata significativa e molto
evocativa per l’argomento di cui sto discutendo…
Ella dice che “L’essenziale è invisibile agli occhi ” (pag 98).
Per me questa frase lega al suo interno tutto quello che ho cercato di spiegare nelle
pagine precedenti, che la spiritualità dei malati non si vede, ma la si percepisce.
Si è visto che nell'arco della storia in molti ne hanno scritto, e tutti riconoscono la
spiritualità come la chiave di volta per una dimensione salutare migliore ( Carroll
2001, Kozier 2004, McEwen 2004, O’Brien 1999, Ross 2008).
Una ricerca condotta in due tempi tra febbraio e marzo del 2007 e l’agosto dello stesso
anno, tra infermiere e studenti di scienze infermieristiche, nei reparti di chirurgia,
medicina,
pediatria,
ostetricia,
riabilitazione,
assistenza
specializzata,
cure
ambulatoriali, sala operatoria, pronto soccorso, terapia intensiva e lungo degenze di
due ospedali nell’area urbana degli Stati Uniti, ha dimostrato come l’assistenza
spirituale portata avanti abbia avuto esiti positivi sulla terapia.
Questo studio si è svolto grazie a tre docenti del “Marcella Niehoff School of Nursing,
lodola”, University Chicago, Illinois, USA, Lisa Burkhart, Lee Schmidt e Nancy Hogan.
Questa ricerca è stata condotta per supportare l’associazione positiva tra spiritualità e
salute in ambienti sanitari.
Esistono pochi strumenti per misurare tale relazione, e con questa ricerca si è voluto
testare e sviluppare le proprietà psicometriche della SCI (Spiritual Care Inventory).
Questa scala di misura, attraverso questionari e interviste, vuole analizzare il processo
di cura spirituale dal punto di vista delle infermiere, del loro lavoro e dedizione ai
bisogni dei pazienti.
Per poter analizzare il benessere spirituale si è legato con altre scale, SWBS, Spiritual
Well-being Scale (Ellison 1983, Paloutzian & Eleison 1991), la Valutazione
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Funzionale di malattie croniche Terapia- Spiritualità (Brady 1999), e la Scala di
Aspettative Spirituali (Reed 1986).
La prima, scala del benessere spirituale, contiene 20 items, dieci per le prospettive
religiose, e dieci per una prospettiva esistenziale. I secondi sono vari strumenti per
misurare diversi aspetti della salute, originariamente pensati per i pazienti cronici;
possiedono due sottoscale, lo scopo e il significato della fede. La terza considera le
prospettive di ognuno verso la propria propensione a avere un atteggiamento spirituale.
Gli elementi utilizzati per questo studio sono legati alla teoria di base per la cura
spirituale in campo infermieristico sviluppata da due di questi autori, Burkhart e
Hogan, nel 2008.
Per sviluppare questa teoria hanno creato, attraverso dei focus group, un quadro teorico
di riferimento utile a chi voglia approfondire questo argomento, mettendo in luce i
problemi ricorrenti, emersi nello studio effettuato negli Stati Uniti e anche in Canada.
Volendo concentrarsi sul lavoro infermieristico si è visto che molti professionisti non
si reputano in grado di fornire assistenza spirituale perché nessuno li ha formati
( Highfield & Cason 1983, Kuuppelomaki 2001 e 2002, McEwen 2004, Piles 1990,
Ross 2006, Sellers & Haag 1998). Da qui hanno voluto capire come il sistema sanitario
influenzi la cura spirituale, per questo vedo i due studi collegati .
In Canada sono stati intervistati 29 partecipanti, pazienti oncologici, infermieri,
parenti, preti e dipendenti dell'ospedale in cui è stato svolto lo studio, per poter
analizzare il rapporto tra assistenza sanitaria e cure spirituali.
Nella società americana e canadese, negli anni 90, lo scopo primario era quello di
aumentare l’efficienza delle strutture ristrutturando, quindi chiudendo centri e unendo
enti, a discapito spesso degli utenti stessi, puntando sulla burocrazia. Ad oggi il
problema persiste, pochi infermieri per troppi pazienti, cosa che analizzando le
interviste, è emerso. Questi problemi sono sentiti sia dai pazienti sia da chi si occupa di
loro, la mancanza di tempo per un sovraccarico di lavoro o per disorganizzazione, la
burocratizzazione dell’ospedale, quindi l’impossibilità di occuparsi appieno dei
pazienti (Carr 2003).
Burkhart e Hogan, coinvolgendo anche Schmidt, hanno studiato il problema
dell'assistenza spirituale, cercando, e trovando, negli ospedali americani ciò che i primi
due troveranno anche nell'ospedale canadese.
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Ho legato questi studi in quanto vedo una continuità di fondo e un punto di partenza
per dimostrare come sia lungo il processo di analisi dei problemi della società. Quindi
per tornare alla ricerca americana, questi tre docenti universitari hanno dimostrato che
livelli di benessere spirituale sono associati ad una salute migliore, con una minor
insorgenza di sintomi quali l’angoscia (Younger et al. 2004, Manning- Walsh 2005,
Meraviglia 2006 ), il dolore (Kaplar 2004), con tassi di mortalità (Strawbridge 1997,
Kaplar 2004) e depressione inferiori.
I pazienti sono più sereni, più sani e più attivi nella comunità.
Anche gli infermieri che usano particolare cura per l’aspetto spirituale dei loro pazienti
sono consapevoli di effettuare una migliore assistenza e soffrono meno di burnout.
La letteratura sostiene positivamente l’importanza della spiritualità e della cura
spirituale verso i pazienti, e queste ricerche ne sono la conferma.
Per lo studio si è partiti con la convinzione che la spiritualità sia la dimensione in cui si
da scopo alla vita in relazione a quello che ci aspetta dopo, sapendo che la definizione
di spiritualità è comunque legata al tempo in cui se ne parla.
I docenti che hanno guidato lo studio sapevano bene che nella pratica infermieristica il
rapporto con il paziente è tutto ciò che conta, sia per il malato sia per il professionista.
Nel primo studio i primi 48 item furono usati per assicurarsi la validità delle domande,
confrontandole con quelle degli studi precedenti. Sono stati anche considerati la
validità di costrutto e la validità interna. Nel secondo studio hanno aggiunto un item, se
il paziente riconosceva il momento in cui aveva sentito il bisogno delle cure spirituali.
Ovviamente questo secondo studio è stato condotto con un campione diverso, per far si
che l’attendibilità restasse integra.
Per la raccolta dei dati del campione si è effettuato un questionario demografico.
Il primo passo è stato quello di riuscire a concettualizzare ciò che gli infermieri
percepiscono come assistenza spirituale, ed è stato fatto tramite sette categorie
suggerite dagli operatori del reparto. Queste sette categorie teoriche sono
riconoscimento del bisogno del paziente di cure spirituali, la decisione o meno di
intervenire, l’intervento nel caso si decidesse di farlo, l’immediata risposta emotiva del
paziente e dell’operatore, la ricerca di senso aiutando il paziente, la creazione di
memoria per quello che si è compiuto, del benessere spirituale.
31
Da questo punto si è visto che il processo è attivo e interattivo nel rapporto pazienteinfermiere, e porta un benessere mentale a entrambi gli attori.
Attraverso l’uso di questo questionario, somministrato alle infermiere, con la scala
Likert in cui 1=per niente d’accordo e 5=totalmente d’accordo , si è cercato di
calcolare la percezione che ogni infermiere ha del proprio supporto spirituale ai
pazienti, in riferimento agli item selezionati, come ad esempio “ascolto i miei pazienti
quando cercano dei significati”, ”sono disponibile ad aiutare”, “dopo che ho assistito
un paziente mi serve del tempo tranquillo per pensare a me”.
Compiendo calcoli statistici sui modelli si è visto come alcuni item non avessero
raggiunto l’affidabilità statistica, e quindi furono corretti.
La soluzione definitiva del questionario comprese 17 item, quali “sono orgoglioso di
essere infermiere e aver aiutato spiritualmente un paziente”, o “dopo aver fornito
assistenza spirituale trovo conforto nel parlare con la mia famiglia”, e la creazione di
tre sottoscale.
La prima sottoscala riguardante gli interventi da parte degli infermieri per la
promozione della spiritualità del paziente, quindi item relativi all’esserci per il paziente
e aiutarlo nella sua ricerca di significato.
La seconda sulle pratiche che vengono messe in atto quando gli infermieri aiutano il
paziente dopo degli incontri spirituali, item di aiuto, delle loro esperienze, restando un
po' con loro, magari fugando i loro dubbi.
La terza è il sapere come si sente l’infermiera dopo che ha aiutato il malato, item con
domande per capire cosa può aiutare lei ad affrontare ciò che sta passando in simbiosi
con il paziente.
L’affidabilità delle tre scale è stata alta (0.87, 0.94, 0.88), calcolata attraverso l’alpha
di Cronbach sui 298 soggetti, indicando che la maggior parte degli infermieri sapevano
distinguere quando il paziente necessitava di assistenza psicologica.
3.1 CONCLUSIONI
Si è stabilito che i problemi emersi nel 2008 non hanno ancora avuto degna rilevanza,
e ciò comporta la non diffusione del problema, tralasciando in questo modo la
possibilità di potervi porre rimedio.
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Dagli studi è emerso che gli infermieri devono combattere con un carico di lavoro
eccessivo, riducendo il tempo che vorrebbero passare con i loro pazienti per aiutarli al
meglio. Dello stesso avviso sono i pazienti, che si vedono trascurare e trattati
solamente come una malattia o un problema.
Nonostante tutto gli infermieri che riescono ad occuparsi appieno dei loro pazienti si
ritengono più soddisfatti del loro lavoro, soffrono meno di burn-out e di altre sindromi
depressive, dimostrando che l'assistenza spirituale giova a entrambe le parti.
La scala utilizzata si è rivelata accettabile e coerente internamente, visto anche la
possibilità di associarla ad altre scale quali quelle del SWBS per la presenza di
sottoscale sul benessere religioso ed esistenziale.
Gli autori suppongono che gli infermieri sono portati ad identificare un bisogno
spirituale e a impegnarsi in un intervento per aiutare il paziente.
Si è visto come il legame tra la ricerca, il fornire assistenza spirituale, e la
soddisfazione lavorativa dell’infermiere siano associate (Lazar 2009).
Attraverso un pre-post test si potrebbero monitorare iniziative volte al sostegno della
diffusione della spiritualità, in tutte le strutture di cura.
Tuttavia non ci sono ancora prove empiriche del legame tra la spiritualità attuata sul
posto di lavoro con gli innumerevoli corsi che si stanno sviluppando, pur potendo
verificare attraverso il SCI l’efficacia dei corsi tenuti agli studenti.
Bisogna ancora testare il SCI per altre culture che non sia quella occidentale, per
verificare l’efficacia delle politiche attuate per migliorare la sanità, e continuare con i
test psicometrici, ma i ricercatori credono che con il SCI si possa migliorare la ricerca.
3.2 CRITICHE E SVILUPPI FUTURI
Di queste ricerche l’unica critica potrebbe essere di aver selezionato un campione
particolare, forse utile allo scopo, ma facilmente modificabile attraverso un altro
studio.
Nello studio canadese la maggior parte erano donne, 22 interviste su 29, e anche in
quello inglese si è scelto di sottoporre ai questionari infermiere donne, cristiane tra i 35
e i 40 anni, gli uomini nel campione erano appena il 2.5%per il primo studio, e
l’1%per il secondo. Si è visto però che l’età media degli infermieri è più alta e
comprende un buon numero di uomini, e svariati credi religiosi.
33
I ricercatori hanno dimostrato come l'assistenza spirituale sia un processo di intervento,
e parte integrante del lavoro dell'infermiere, in quanto si può dire che chi fa
l'infermiere lo fa per prendersi cura delle persone.
Grazie a questi studi sono emerse varie possibilità di cambiamento, tra cui la necessità
di migliorare gli insegnamenti, inserendo più corsi sulla spiritualità e un'assistenza più
mirata a questo; aumentando i lavoratori nel settore si potrebbe diminuire la mole, il
ritmo e l'intensità del lavoro individuale, permettendo che i pazienti siano seguiti
meglio.
Purtroppo vari ostacoli si interpongono alla realizzazione di ciò, dalla politica
all'economia, quindi prima di tutto bisognerebbe chiarire a chi di dovere l'importanza
di investire nella sanità, e nel bisogno di creare unità nazionale tra i servizi.
Il rovescio della medaglia potrebbe essere che, puntando tutto sull’efficienza, si corra
il rischio di perdere i vista l’uomo, che si potrebbe trovare si guarito in un tempo assai
breve, ma quasi alienato per l’impersonalità del servizio.
In Canada ad esempio hanno creato, nel 2002, una carta con le 51 azioni, suddivise in
tre sottogruppi per migliorare i posti di lavoro degli infermieri, per migliorare il
sistema sanitario e creare un sistema di monitoraggio del lavoro di rinnovamento.
I follow-up per monitorare i progressi rivelano che non in tutto il paese si sta portando
avanti il progetto ( servizi sanitari canadesi Research Foundation, 2006; Maslove &
Fooks, 2004; Torgerson 2007). I rallentamenti sono dovuti alla mancanza di
organizzazione sul territorio, di fondi e di collaborazione.
Qui in Italia pensare di attuare uno studio in questo ambito potrebbe essere di grande
aiuto nei nostri ospedali, per migliorare il servizio e la vita dei pazienti.
Perché non tentare?
In fondo nel nostro ospedale di Padova molti si stanno muovendo per cercare di
migliorare la salute dei pazienti ricoverati, e l’aspetto psicologico e l’assistenza
spirituale sarebbero il naturale passo avanti di uno sviluppo totale di una struttura che
oramai prende in considerazione tutto l’essere umano nella sua interezza.
La necessità di compiere studi di questa portata potrebbe essere ben vista da molti
reparti, in cui forse si stanno già compiendo studi analoghi.
Riuscire a collegare tutti, dare a ognuno la possibilità di esprimersi per migliorare il
proprio posto di lavoro, facendo in modo di ridurre lo stress lavorativo che
34
immancabilmente sarà presente è certamente lo scopo primario di ogni datore di
lavoro, quindi sta a noi dimostrarlo e metterlo in atto attraverso campagne di
sensibilizzazione, colloqui e incontri con lo staff, a partire dagli infermieri.
Creare gruppi di supporto, di aiuto ai pazienti ma anche agli operatori che non vanno
sicuramente dimenticati nella loro importante funzione all’interno degli ospedali.
Costruire scale di misure mirate, condividere il sapere e i metodi per migliorare, fare in
modo che il progetto diventi nazionale, coinvolgendo tutte le strutture, da quelle
private a quelle pubbliche, passando per case di riposo e asili.
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36
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ARTICOLI ALLEGATI
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RINGRAZIAMENTI
Dopo tutto il lavoro svolto è giusto ringraziare chi mi ha aiutato e mi è stato vicino.
Per prima voglio esprimere la mia riconoscenza alla Professoressa Laura Dal Corso,
che mi ha permesso di immergermi in questo mondo nuovo e affascinante,
permettendomi di migliorare le mie convinzioni su questo argomento.
Al Dott. Massimo Castoro, che accettando il mio tirocinio presso il suo ufficio in
Azienda Ospedaliera mi ha insegnato che oltre ai pazienti bisogna prendersi cura anche
degli operatori.
Alla mia famiglia, mai madre e alle mie due sorelline, che non hanno mai mancato di
essermi vicina, ognuno a modo suo, durante i tre anni di questo viaggio, in ogni esame
e soprattutto in ogni attesa dei risultati.
A Francesco, che ha sacrificato viaggi e fine settimana per aiutarmi a studiare.
A papà, perché c’è sempre.
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