Leggi un estratto
Transcript
Leggi un estratto
Maria Teresa Russo alla ricerca del bene e del meglio Etica ed educazione morale in Julián Marías Armando editore RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 3 14/10/16 17.15 Sommario Presentazione7 Premessa Una vita presente: scrivere le proprie memorie, 11 un compito morale Narrare la propria vita: quale oggetività? 11 Famiglia, amicizia, vita universitaria 19 La filosofia: vocazione, insegnamento, scrittura 24 Maturità: impegno intellettuale e politico 29 Temporalità: cesure, riprese, bilanci 40 Capitolo primo Lavoro intellettuale o vita intellettuale? 55 Per un’etica dell’intelligenza L’ambiente aurorale della Facoltà di Filosofia madrilena. Un galeone in un cantiere navale. «Stupendo: non si capisce una sola parola!». Maestri e allievi: filiazione senza parricidio. Il ruolo dell’intellettuale: alcione o struzzo? Missione morale dell’università. Capitolo secondo La filosofia come visione responsabile 75 Cosa significa introdurre alla filosofia. La visione responsabile. «E lei cosa era? Sono laureato in Filosofia». L’intelligenza ha radici morali. Il metodo di Gerico. L’elmo di don Chisciotte e il bisogno di verità. La madre di Aladino e la lampada: meglio la verità che la novità. RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 5 14/10/16 17.15 Capitolo terzo Una parola intraducibile: la ilusión, ingrediente della condizione umana Un segreto della lingua spagnola. Il fondamento antropologico della ilusión: l’uomo, essere futuribile, indigente, mortale e desiderante. Ilusión e amicizia: Don Chisciotte e Sancho Panza, più simili di quello che sembrano. Robinson Crusoe e Venerdì non diventano noi. Ilusión e amore: l’altro diventa il mio progetto. Una strana parola: desvivirse. 93 Capitolo quarto La felicità: un impossibile necessario 113 Il paradosso dell’uomo: desiderare un impossibile. Come studiare il livello di felicità. Felicità collettiva e holgura. Benessere, piacere e felicità. I piccoli piaceri quotidiani, anticamera della felicità. La felicità come installazione vettoriale. Felicità, progetto di vita e autenticazione dell’amore. L’uomo e la donna sono felici allo stesso modo? Capitolo quinto La letteratura come paidéia 141 Il racconto, abbreviazione della vita umana. Dal romanzo classico al romanzo esistenziale. Il valore etico ed educativo della finzione narrativa: letteratura, cinema, teatro. I racconti di Unamuno come metodo prefilosofico. Don Sandalio, più vero del vero. Quello che la letteratura dà alla filosofia e quello che non può darle. Capitolo sesto Alla ricerca del bene e del meglio 167 L’oblio del meglio nella riflessione etica. Il disorientamento contemporaneo. Ripartire dall’uomo come soggetto morale. L’uomo “in carne, ossa e mondo”. Vita buona, autenticità e vocazione. Morale sessuale e morale sessuata. La dimensione morale delle età della vita. Umani, ossia vulnerabili. Bibliografia essenziale189 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 6 14/10/16 17.15 Presentazione Siamo – diceva Aristotele – come arcieri che mirano a un bersaglio… Ciascuno di noi mira a un bersaglio e spara la sua freccia vitale, giocandosi la felicità: dunque, se non la vita stessa, certamente la sua pienezza. Ogni uomo ha un suo bersaglio personale, che chiamiamo vocazione; ogni popolo ha un suo stile peculiare di tendere l’arco… Ma prima di chiederci dove dirigere il nostro sguardo, bisognerebbe soffermarsi su una questione preliminare e più semplice: a che distanza mirare? Come si tende l’arco, qual è la figura della curva che traccia il dardo, dalla corda tesa, fino all’ultimo tremito, quando la punta si è ben conficcata? Perché in questo consiste in gran parte quella che potremmo chiamare la forma della vita1. La questione della vita umana, con la sua domanda di senso e la sua esigenza di coerenza e di unità è al centro della filosofia morale di Julián Marías (Valladolid, 1914-Madrid, 2005). Pensatore ancora poco conosciuto al lettore italiano, spesso oscurato dall’ombra del suo maestro, José Ortega y Gasset, egli offre invece una proposta più coerente sul tema essenziale comune a entrambi: il poter “dare ragione” della vita. Di fronte all’irrazionalismo vitalista di Nietzsche e in parte anche di Unamuno, la preoccupazione di Marías ereditata da Ortega è quella di riconciliare vita e ragione. Ma la strada che egli imbocca va ben oltre, 1 J. Marías, Los arqueros y el blanco, in Los Estados unidos en escorzo (1951-1956), Obras, vol. III, p. 529, «Revista de Occidente», Alianza Editorial, Madrid 1954-1982. 7 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 7 14/10/16 17.15 perché si orienta a saldare la metafisica con l’antropologia e la biografia, i tre livelli grazie ai quali è possibile transitare dalla considerazione generale della vita a quella singolare e personale. Per comprenderne il percorso, occorre partire dalla sua concezione di filosofia come teoria drammatica e come visione responsabile, non soltanto attività intellettuale ma autentico impegno esistenziale, che giunge a coinvolgere la modalità stessa di rapportarsi agli eventi e agli altri. La filosofia diviene quindi la lente da cui guardare alla propria biografia, intessuta di insegnamenti, esperienze, delusioni, ma comunque trama che si tesse, annodando, snodando e talvolta tagliando i diversi fili. L’atteggiamento filosofico è anche quello che consente di orientarsi nella mappa che ancora una volta è rappresentata dalla propria vita, con le sue molteplici traiettorie, tutte percorribili, ma non sempre idonee a raggiungere la meta progettata. è la vita resa presente, ossia intellegibile, grazie al racconto che dà la possibilità di ricapitolarla, di comprenderla nella sua unità e pertanto di farla maggiormente propria. Dalla biografia lo sguardo si allarga per giungere non all’etica astrattamente considerata, ma al vissuto stesso (vivencia) della moralità, ossia a quella esperienza morale di cui ognuno assume consapevolezza in forma precategoriale. Il desiderio di felicità, definita un impossibile necessario, la ilusión, ossia il progetto fiducioso, la capacità di amore e di amicizia, i vissuti delle diverse età della vita divengono espressioni o ambiti in cui si manifesta la “condizione morale” della vita umana. Se la riflessione teorica sul fatto morale deve prendere le mosse dalla connessione tra antropologia ed etica, si richiede di cambiare l’approccio e partire dalla domanda sul soggetto morale. È la prospettiva etica che è stata definita “della prima persona”, ben lontana da una riflessione limitata a poche ed eccezionali situazioni dilemmatiche, i cosiddetti hard cases morali, da dirimere ricorrendo a principi astratti. L’interrogativo di fondo è quello su chi è l’uomo piuttosto che la domanda sul dovere o sul giusto. Per rispondervi, la strada è 8 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 8 14/10/16 17.15 prestare attenzione alla dimensione elettiva dell’esistenza umana: vivere è preferire, saper fornire ragioni per l’opzione di qualcosa rispetto a qualcos’altro. Per questo motivo, Marías considera centrale, più che la categoria del bene, quella del meglio, trascurata eppure fondamentale per comprendere il senso pieno della moralità, decisivo sia per ordinare la condotta sia, ancor di più, per condurre la vita stessa. L’ambito della moralità si dilata pertanto fino a comprendere la vita intera, perché radica nella struttura stessa dell’agire umano, nasce dall’esigenza di fornire motivi per giustificare le proprie scelte e la qualità del progetto di vita che si intende realizzare. È quanto, in definitiva, ci suggerisce l’immagine aristotelica dell’arco, della freccia e del bersaglio. 9 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 9 14/10/16 17.15 Premessa Una vita presente: scrivere le proprie memorie, un compito morale Narrare la propria vita: quale oggettività? Famiglia, amicizia, vita universitaria. La filosofia: vocazione, insegnamento, scrittura. Maturità: impegno politico e intellettuale. Temporalità: cesure, riprese, bilanci. Narrare la propria vita: quale oggettività? «Oggi, 14 luglio 1988, poco dopo aver compiuto i settantaquattro anni, mi decido a tornare sulla mia vita e a cercare di narrarla e di esprimerla; vale a dire, di riviverla»1. È l’incipit con cui il filosofo Julián Marías ci rende partecipi della difficoltà che comporta lo scrivere le proprie memorie, compito delicato e spesso impossibile: «quando cominciare? Sembra sempre troppo presto, ma se si ritarda giunge la morte»2. Pur giunto a un periodo della vita che generalmente si qualifica come vecchiaia, dal punto di vista delle capacità fisiche, del rendimento intellettuale e degli interessi, il filosofo non avverte un cambiamento radicale. Sente tuttavia la necessità di realizzare un bilancio della propria esistenza: l’intento è quello di prendere 1 J. Marías, Una vida presente. Memorias 1 (1914-1951), Alianza Editorial, Madrid 1989, p. 9. 2 Ivi, p. 10. 11 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 11 14/10/16 17.15 possesso della propria vita, di ricapitolarla, di comprenderla tutta intera. Per possedere autenticamente una lunga vita, egli è consapevole che l’unico modo adeguato sia ricordarla e rivivirla atrraverso la narrazione. Il racconto permette, inoltre, in certa misura, la possibilità di condividerla e di offrirla a coloro che non vi hanno preso direttamente parte, pur avendo avuto una frequentazione più o meno personale3. Il proposito di scrivere le proprie memorie – in cui la vita si mostri «nell’insieme dei suo contenuti (argumental), nella sua interna drammaticità, nella sua verità, oltre quella di ogni momento o di ogni giornata»4 – viene da lontano: tuttavia Marías confida di aver sempre rimandato questa impresa, ritenendola ardua e quasi impossibile. I motivi? Il primo è rappresentato dall’«esigenza di un’assoluta veracità unita a una imperativa esigenza di pudore», per la difficoltà di parlare anche di altre persone; il secondo motivo radica nel fatto stesso di scrivere un bilancio della propria vita mentre si è ancora in vita, quando non è possibile riconoscere e presentare la figura completa di qualcosa che è ancora incompiuto5. D’altra parte, è proprio l’incertezza dell’ora della morte o l’eventualità della perdita di lucidità a rendere perentoria la necessità di dedicarsi a questo compito. Il bisogno di narrare il proprio passato diviene pertanto talmente imperioso per il filosofo, da consentirgli di scrivere in un mese e mezzo quattrocento pagine6. La questione delle memorie, che non costituiscono un semplice curriculum vitae, è un’impresa complessa. Essa chiama in causa infatti non soltanto la narrazione di ciò che si è fatto, ma anche di quanto si è desiderato o cercato di fare e di essere. Si tratta di un 3 «[…] sentía la necesidad de tomar posesión de mi vida, de recapitularla, evocarla proyectivamente, tomarla en peso. Y en cierto modo de compartirla, de ofrecerla a los que no habían asistido a ella, pero habían llegado a una convivencia realmente personal conmigo, que habían tenido acceso a mi mismidad». J. Marías, Una vida presente. Memorias 3 (1975-1989), Alianza Editorial, Madrid 1989, p. 398-399. 4 «en su conjunto argumental, en su dramatismo interno, en su verdad, más allá de la de cada momento o cada día». Ibidem. 5 Cfr. ibidem. 6 Cfr. ivi, p. 404. 12 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 12 14/10/16 17.15 impegno che assume sempre anche un connotato morale, in quanto richiede il riconoscere una connessione e un ordine negli eventi trascorsi, altrimenti l’esposizione della propria vita appare manchevole e inadeguata. Costituendo uno specifico genere letterario, le memorie si configurano grazie a una modalità di apprensione e di interpretazione della vita del tutto particolare: «una narrazione, qualcosa di molto più simile a un romanzo, sebbene il personaggio centrale – e gli altri, non si dimentichi – non siano fittizi, ma reali»7. Non si tratta di un semplice resoconto in cui si riportano eventi, ma una sorta di presentazione, di sé e della propria traiettoria di vita. Da qui il titolo scelto da Marías per la sua autobiografia: Una vida presente8. Le memorie lette avevano sempre prodotto in Marías una certa insoddisfazione, in quanto non riflettevano la vita umana così com’è. Vi sono autobiografie narcisistiche, altre in forma di “confessioni”, come quella di Agostino o di Rousseau, motivate da una prospettiva che orienta l’esposizione della vita, per cui nessuno di questi scritti si può considerare un racconto oggettivo dei fatti accaduti. La vita, infatti, è inesauribile nelle sue molteplici dimensioni, dalle più esteriori alle più intime, per cui occorre scegliere il punto di vista da cui guardarla, anche perché al parlare di se stessi, si parla necessariamente anche di altri. D’altra parte, è la stessa impresa di narrarsi a essere incompatibile con l’oggettività assoluta. Quando l’uomo maturo o anziano ritorna sulla sua vita passata e cerca di narrarla, è inevitabile che lo faccia a partire dalla sua prospettiva attuale; però questo, ovviamente, ne falsifica la realtà. Fondamentalmente, perchè tenderà a vedere la sua vita passata a partire dal suo “risultato” – risultato provvisorio, certamente, perché quello definitivo si raggiungerà con la morte, quando non si può continuare a scrivere –; e ogni epoca, fase o momento della vita ha significato e valore in se stesso, con quanto aveva 7 «[…] una narración, algo mucho más parecido a una novela, aunque el personaje central – y los demás, no se olvide – no sean ficción, sino reales». Ivi, p. 400. 8 Cfr. ibidem. 13 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 13 14/10/16 17.15 di anticipazione ma indipendentemente da ciò a cui realmente ha condotto; sul piano personale si commette spesso l’errore storico del progressismo, che vede ogni epoca come preparazione della seguente, e così fino all’infinito, con una colossale evacuatio della storia intera9. Come ha osservato lo psichiatra e filosofo Lόpez Ibor, quando Rousseau dichiarava che nelle sue confessioni avrebbe mostrato ai suoi simili “un uomo in tutta la verità della sua natura”, aveva ragione solo in parte: Fino a che punto è possibile che un diario intimo sia sincero, sia vero? Siamo talmente abituati a credere nella forza intangibile della verità soggettiva, che la domanda suona quasi blasfema. Quando qualcuno si confessa nelle pagine del suo diario, con autenticità, con sincerità, dicendo tutto ciò che sa su se stesso, senza nascondere nulla, è senza dubbio vero10. Eppure, aggiunge Lόpez Ibor: «Cos’è che noi possiamo sapere di noi stessi? E cos’è che possiamo riuscire a sapere?»11. Se persino la nostra voce registrata ci è estranea, se impariamo dopo un lungo apprendistato il nostro schema corporeo, se persino tante dimensioni del nostro corpo ci sono ignote, lo è ancora di più il nostro mondo interiore. «La confessione, per sincera che sia, non è che un 9 «Cuando el hombre maduro o viejo se vuelve sobre su vida pasada e intenta contarla, es inevitable que lo haga desde su perspectiva actual; pero esto, claro es, falsea su realidad. Por lo pronto, porque tenderá a ver su vida pasada desde su “resultado” – resultado provisional, por cierto, porque el definitivo sόlo se alcanzará con la muerte, cuando no se puede seguir escribiendo –; y cada época, fase o momento de la vida tiene significaciόn y valor por sí mismo, con lo que tenía de anticipaciόn pero independientemente de aquello a que realmente ha llevado; en lo personal se comete muchas veces el error histόrico del progresismo, que ve cada época como preparaciόn de la siguiente, y así hasta el infinito, con una colosal evacuatio de la historia entera». Una vida presente. Memorias 1, cit., p. 12. 10 «Hasta qué punto es posible que un diario intimo sea sincero, sea verdadero? Estamos acostrumbrados a creer en el vigor intangible de la verdad subjetiva, que la pregunta suena casi a blasfemia. Cuando alguien se confiesa en la páginas de su diario, con autenticidad, con sinceridad, diciendo todo lo que sabe sobre sí mismo, sin ocultar nada, es indudablemente verdadero». J.J. Lόpez Ibor, El descubrimiento de la intimidad y otros ensayos, Aguilar, Madrid 1952, pp. 66-67. 11 Ibidem. 14 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 14 14/10/16 17.15 atto intellettuale. È il distillato di un’autentica riflessione»12. Essa ci permette di accedere soltanto a frammenti della nostra intimità. Più recentemente, J. Coetzee, riferendosi alla narrazione di sé, ha parlato di concetto “avvelenato” di sincerità: «la verità può essere il cuore dell’autobiografia, ma ciò non vuol dire che l’autobiografia abbia a cuore la verità»13. D’altra parte, evocare il passato ricostruendolo per quanto sia una impresa quasi disperata, risulta necessaria. Non tanto ricostruire la circostanza del passato, ma soprattutto l’io che da quel passato ha ricevuto esperienza e strutturazione: chi è colui che fece o al quale è capitato ciò che si intende raccontare. In questa prospettiva, ripercorrere la propria vita significa entrarne meglio in possesso, forse per viverla con maggiore pienezza14. Con il passare degli anni, la vita diviene sempre più complessa: si moltiplicano e si annodano in nuove combinazioni quelle che Marías chiama traiettorie, ossia i diversi percorsi – professionali, sentimentali – selezionati tra quelli possibili, nei quali si articola ogni biografia. Per questo il vivere risulta man mano più drammatico e aumenta la difficoltà di raccontarlo senza falsificarlo15. Nel corso degli anni si produce una sorta di dilatazione della vita: agli inizi l’attenzione si concentra su di un punto e il resto rimane fuori del campo visivo, ma è latente. Una delle funzioni del racconto autobiografico è pertanto mettere in luce l’evoluzione di queste forme latenti nel corso della vita16, decifrare il senso che il tempo possiede, ma che resta nascosto per la sua struttura complessa e sfuggente17. 12 Ibidem. J. Coetzee, La verità nell’autobiografia, in B. Anglani (a cura di), Teorie moderne dell’autobiografia, B.A. Graphis, Bari 1996, p. 87. 14 Anche Paul Ricoeur ritiene che sia questa una delle funzioni del racconto, applicabile anche al racconto di sé: «La trama attribuisce una configurazione intellegibile a un insieme eterogeneo composto da intenzioni, da cause e da casi». Ne risulta una unità di senso indispensabile perché si elabori una autentica esperienza. P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina, Milano 2005, p. 117. 15 Cfr. Una vida presente. Memorias 1, cit., p. 105. 16 Cfr. ivi, p. 25. 17 «El tiempo tiene un sentido, ciertamente, pero el tiempo vital es más complejo que el cόsmico, y está hecho de idas y vueltas, puede remontar aguas arriba, en una estructura 13 15 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 15 14/10/16 17.15 Narrare la propria vita significa dunque renderla presente. Nel dirigere lo sguardo sulla mia vita, la trovo presente. Ma allo stesso tempo, risulta ordinata ai miei occhi, con le sue connessioni, in una complessa e intricata concatenazione. Ed è, certamente, articolata in tappe o fasi; seppure la loro presenza non significhi simultaneità. Detto in altri termini, possiede un contenuto coerente (argumento), è una realtà drammatica, che è andata facendosi anno dopo anno, che è trascorsa poco a poco, ma il cui contenuto, la cui sostanza drammatica, se si preferisce, è rimasta ed è lì18. Appaiono in queste considerazioni alcune categorie fondamentali, strettamente correlate e in reciproca connessione, per comprendere il pensiero e in particolare la filosofia morale di Marías. Una, come si è detto, è costituita dalle traiettorie vitali; la seconda è la nozione di contenuto coerente della vita (argumento de la vida) che, come chiarito nelle prime opere, indica «il nucleo intorno al quale si ordina la traiettoria e che “giustifica” i suoi contenuti»19. Infine, vi è l’espressione stessa vita presente, il titolo scelto dal filosofo per la su autobiografia. Cosa significa “presente”? Marías mette in rilievo come la vita umana non sia “la” vita genericamente considerata, ma sia sempre la vita di qualcuno, individuale e circostanziata, caratterizzata da una presenza di se stessa, da una proiezione immaginativa che comporta il “dar ragione” del proprio vivere. Per questo motivo egli ritiene necessario un chiarimento concettuale della nozione stessa di vita intricada que la teoría no acaba de comprender, porque en casi toda su historia se ha separado demasiado de la vida en su mismidad. Tal vez la narración es la forma de pensamiento que ha permitido entender mejor la entraña temporal del vivir». Una vida presente. Memorias 3, cit., pp. 91-92. 18 «Al volver los ojos sobre mi vida, la encuentro presente. Pero, a la vez, está ante mi vista ordenada, con sus conexiones, en una compleja e intricada concatenación. Y está, ciertamente, articulada en etapas o fases; su presencia no quiere decir, por supuesto, simultaneidad. Dicho con otras palabras, tiene argumento, es una realidad dramática, que se ha ido haciendo año tras año, que ha ido pasando pero cuyo contenido, cuya sustancia dramática, si se prefiere, ha quedado y está ahí». Una vida presente. Memorias 1, cit., p. 13. 19 «el núcleo en torno al cual se ordena la trayectoria y que “justifica” sus contenidos». La estructura social (1955), in Obras, vol. VI, cit., p. 318. 16 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 16 14/10/16 17.15 umana, sgombrando il campo da nozioni analoghe ma distanti. Vivere non è il Dasein o ex-sistere heideggeriano; non è neppure il semplice “stare” in un luogo; né la vita umana individuale significa pura soggettività. Essa costituisce piuttosto una realtà radicale, anzi “l’organizzazione reale della realtà”20. D’altra parte, una vita è presente solo quando è intellegibile, diviene la “propria” vita nel darne ragione, ossia raccontandola: per questo la ragione vitale è una ragione narrativa. Ma per riuscire a comprenderla e a raccontarla occorre una conoscenza teorica, uno schema in cui si manifesti la struttura della vita umana “in generale”. La questione essenziale per Marías è pertanto il poter “dare ragione” della vita. Di fronte all’irrazionalismo vitalista di Nietzsche e in parte anche di Unamuno, la preoccupazione del filosofo, ereditata dal maestro Ortega, è quella di riconciliare vita e ragione. Come farlo? Come “dare ragione” della vita? Il raccontarla appare senz’altro la modalità privilegiata, ma occorre chiarire quali siano le condizioni perché la vita possa essere raccontata, diventando così – con terminologia di Marías – una vita “presente”. “Presentificare” la vita significa ricondurla a un ordine e a una coerenza che consentano di interpretarla come un tutto. Ma questo lavoro richiede il superamento del semplice “vissuto”, ossia dell’immediatezza dell’esperienza, sia psicologica che temporale. Occorre una elaborazione dell’esperienza vitale, che ha bisogno di uno schema, di una prospettiva da cui possa essere esaminata. Sono queste considerazioni a condurre il filosofo a postulare quelle categorie che, espresse fin dal 1946, troveranno poi la loro sistemazione definitiva solo vent’anni dopo, nel saggio Antropología Metafísica. Dalla categoria della vita umana individuale, concretamente sperimentata, si ricava una teoria generale della vita – Marías la definisce una analitica – ossia un insieme di 20 Cfr. J. Marías, Vida y razόn, in Idea de la metafísica (1954), in Obras, vol. II, cit., p. 410. 17 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 17 14/10/16 17.15 strutture che caratterizzano ogni vita in quanto umana, le quali, d’altra parte, ricevono significato solo in relazione alla vita individuale. L’intento del filosofo è trovare un punto di raccordo tra la metafisica e la fenomenologia della vita, evitando sia il rischio dell’astrattezza della prima sia l’opacità della seconda. In altri termini, l’interrogativo che lo guida è: come restare aderenti al dinamismo della vita nel suo svolgersi temporale senza cadere nel vitalismo? La pista – non presentata come soluzione – è presupporre che la vita stessa “funzioni come ratio”21, ossia che sia la vita il punto di partenza da cui ricavare una teoria capace di comprenderla. Questa teoria della vita umana, in quanto attinente a categorie o strutture universali, che sono le forme in cui si realizza la vita – corporeità, mortalità, temporalità, ecc. – è già una metafisica. D’altra parte, ogni vita individuale è sperimentata da un “io” che, secondo la formula orteghiana, è inseparabile dalla sua “circostanza”22. Perché possa davvero iluminare e chiarificare ogni vita individuale, la teoria generale della vita richiederà pertanto una categoria capace di interpretare anche l’“io circostanziato”, ossia connotato da quella serie di attributi che non sono né universali né accidentali. Marías denomina “struttura empirica della vita umana” questa terza categoria, intermedia tra la realtà singolare della vita individuale e la teoria universale della vita. Si tratta dell’insieme di determinazioni che non sono requisiti costitutivi della vita, ma che non appartengono all’individuo in quanto tale. Ad esempio, se la corporeità appartiene alla struttura analitica, la forma concreta che essa assume nella vita individuale – maschile e femminile – fa parte della struttura empirica: «la struttura empirica è la forma concreta della circostanzialità ed è un margine di possibile variazione storica»23. Ogni vita indivi21 Ivi, p. 411. L’idea di Ortega, centrale nel suo pensiero, si sintetizza nella nota espressione «yo soy yo y mi circunstancia, y si no la salvo a ella no me salvo yo». J. Ortega y Gasset, Meditaciones del Quijote, in Obras completas, vol. I, «Revista de Occidente», Madrid, 1983, p. 322. 23 «la estructura empírica es la forma concreta de la circunstancialidad y es un margen de posible variaciόn histόrica». Vida y razόn, cit., p. 410. 22 18 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 18 14/10/16 17.15 duale si inserisce all’interno delle determinazioni analitiche della vita generale e nella cornice della struttura empirica24. Scrivere la propria biografia rappresenta, dunque, non l’incursione in un nuovo genere letterario per rispondere a una necessità esistenziale, ma un passo ulteriore nell’itinerario speculativo di Marías. Dopo avere esplorato grazie al saggio Antropología Metafísica la struttura empirica della vita umana, la tappa successiva doveva pertanto essere rappresentata dalla considerazione della vita concreta, reale o immaginaria, accessibile quindi con le memorie, la biografia o il romanzo. Famiglia, amicizia, vita universitaria Nella sua ricostruzione autobiografica, Marías dedica ampio spazio al valore dei legami e delle relazioni interpersonali. In primo luogo sottolinea la funzione formativa e il significato dell’ambiente domestico, stimolo decisivo per l’educazione sentimentale. Egli distingue due forme di affetto che si può dare in famiglia: quello di attaccamento (apego), più abituale, e quello di compiacimento (complacencia). Il filosofo sottolinea come sua madre li nutrisse entrambi, il che aveva contribuito alla sua particolare concezione della donna e dell’amore. Da lei aveva avuto modo di apprendere quel lirismo che considererà essenziale nella manifestazione dei sentimenti25. Un lutto in giovane età – la scomparsa del fratello di 19 anni quando egli era appena sedicenne – accelerò decisivamente la sua maturazione: «Da allora cominciai a vivere come un adulto»26. 24 «Y la vida singular y concreta aparece recortada y realizada dentro del marco, no sόlo de las determinaciones necesarias y puramente analíticas de toda vida, sino también de las de la estructura empírica en que se encuentra inserta». Ibidem. 25 Una vida presente. Memorias 1, cit., p. 73. Ritroveremo più tardi in diversi scritti il tema del lirismo, opposto al prosaismo, nel contesto dell’educazione sentimentale. Cfr. anche La educación sentimental, Alianza Editorial, Madrid, 1992, pp. 255-256. 26 Ivi, p. 83. 19 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 19 14/10/16 17.15 Il matrimonio con María Dolores Franco, detta Lolita, avvenuto il 14 agosto del 1941, inaugura quella che egli chiama “vita condivisa” (vida compartida)27, la condivisione dell’esistenza nella modalità coniugale. Il non aver avuto figli nei primi quattro anni di matrimonio, pur nel rammarico, aveva reso possibile una relazione reciproca di maggiore intimità. Anche il fatto che Julián, occupato dai suoi lavori di scrittura, permanesse molto in casa, se si escludono i frequenti viaggi, dava a questa condivisione una intensità e una tonalità speciale. Egli però precisa: «non eravamo una coppia “senza figli”, né con figli, piuttosto “ancora senza di loro”. C’è una bella differenza». Condividere non significa semplicemente coabitare: Ci abituavamo reciprocamente, senza cadere nell’abitudinarismo, perché eravamo sempre attenti l’uno all’altro, avidi della nostra presenza, che avevamo, ma che mai ci sembrava sufficiente. Le nostre vite erano trasparenti nella misura del possibile; voglio dire che questa era la nostra volontà, ma giacché la realtà umana è sempre opaca, l’impressione di scoperta persisteva, ed era la nostra stessa relazione ad avere contenuto; non soltanto quello che ci succedeva o che realizzavamo. Tutto ciò richiede, ovviamente, amore, ma anche immaginazione, e credo che entrambi la possedessimo. Le difficoltà erano accolte quasi con divertimento, perché sopraggiungevano su di una felicità che le annegava tutte… L’“unica vita”, di cui parlavamo, era una verità letterale; non facevamo nulla che non fosse riferito all’altro… 28. 27 Cfr. Una vida presente. Memorias 2, cit., pp. 302-303. «Nos acostumbrábamos mutuamente, sin caer en la habitualidad, porque estábamos siempre pendientes el uno del otro, ávidos de nuestra presencia, que teníamos, pero nunca nos parecía suficiente. Nuestras vidas eran transparentes en la medida en que es posible; quiero decir que esa era nuestra voluntad, pero como la realidad humana es siempre opaca, la impresión de descubrimiento persistía, y nuestra relación, ella misma tenía argumento; no sólo lo que nos pasaba o emprendiéramos. Esto requiere, por supuesto, amor, pero también imaginación, y creo que ambos la poseíamos. Las dificultades eran acogidas casi con diversión, porque sobrevenían sobre una felicidad que las anegaba todas… La “una vida”, que decíamos, era una verdad literal; nada hacíamos que no estuviese referido al otro». Ibidem. 28 20 RUSSO-Alla ricerca del bene e del meglio.indd 20 14/10/16 17.15