Aggiornamenti sulle infezioni retrovirali nei gatti by LA Cohn. In

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Aggiornamenti sulle infezioni retrovirali nei gatti by LA Cohn. In
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International Congress of
the Italian Association of Companion
Animal Veterinarians
May 19 – 21 2006
Rimini, Italy
Next Congress :
62nd SCIVAC International Congress
&
25th Anniversary of the SCIVAC Foundation
May 29-31, 2009 - Rimini, Italy
Reprinted in IVIS with the permission of the Congress Organizers
53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
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This manuscript is reproduced in the IVIS website with the permission of the Congress Organizing Committee
Aggiornamenti sulle infezioni retrovirali nei gatti
Leah A. Cohn
DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA
Introduzione
Le infezioni da retrovirus del gatto sono diffuse a livello
mondiale e rappresentano ancora una causa importante di
morbilità e mortalità dei felini da compagnia. Queste malattie
possono colpire una percentuale qualsiasi fra lo 0 ed il 40%
dei gatti di una data popolazione, a seconda della regione geografica e del tipo di vita degli animali. Quelli che vivono soltanto in casa e che provengono da strutture da riproduzione
chiuse sono raramente infetti, mentre quelli liberi di vagabondare lo sono più spesso. I gatti randagi non hanno maggiori
probabilità di essere infetti rispetto a quelli di proprietà, ma
quelli che vivono all’aperto hanno molte più probabilità di
contrarre l’infezione rispetto a quelli che vengono tenuti sempre in casa. Queste differenze sono in gran parte dovute alla
disponibilità di comodi metodi di esame che hanno consentito
di eliminare i gatti infetti dalle popolazioni chiuse. Anche la
vaccinazione può avere un certo ruolo nella diminuzione dell’incidenza dell’infezione nei gatti da compagnia ben curati.
Retrovirus felini
I retrovirus hanno la capacità esclusiva di utilizzare una
“transcriptasi inversa” per trascrivere il loro materiale genetico da RNA a DNA all’interno di una cellula ospite infetta.
Questi virus integrano il proprio materiale genetico con
quello dell’ospite per il resto della vita di quest’ultimo. Esistono parecchi sottotipi di retrovirus come gli Oncornaviridae (così chiamati per la loro propensione alla trasformazione neoplastica dei tessuti infetti), i Lentiviridae (così chiamati per la lentezza dell’insorgenza delle malattie che inducono) e gli Spumaviridae. Questi tipi virali sono specie-specifici per quanto riguarda l’ospite ed i gatti sono suscettibili
a parecchie infezioni retrovirali differenti. Clinicamente, il
virus della leucemia felina (FeLV, un oncornaviridae) e quello dell’immunodeficienza felina (FIV, un lentiviridae) sono
la causa più importante di malattia nel gatto.
Virus della leucemia felina
FeLV è stato scoperto per la prima volta nel 1964. I test
diagnostici divennero facilmente disponibili agli inizi degli
anni ’70 e i vaccini commerciali anti-FeLV si diffusero a
metà degli anni ’80. Nella maggior parte dei casi, la leucemia
felina è una malattia dei gattini e dei gatti giovani, benché
possano essere colpiti soggetti di qualsiasi età e sesso. Le sindromi cliniche sono rappresentate da una immunodeficienza
con infezione secondaria, soppressione midollare e malattia
neoplastica. Si verificano sia la trasmissione orizzontale che
quella verticale. Nella trasmissione è tipicamente coinvolto lo
stretto contatto che si verifica durante la toelettatura reciproca, mentre il ruolo dei fomiti è solo minimo. Esistono parecchi possibili esiti dell’esposizione: guarigione, infezione
latente o viremia persistente. I gattini hanno maggiori probabilità di sviluppare una viremia persistente rispetto ai gatti
adulti, ma l’esito dell’esposizione dipende da molti fattori.
L’infezione latente implica che le particelle virali sono sequestrate nel midollo senza causare viremia. È possibile che queste infezioni si rendano manifeste a distanza di molti anni,
spiegando così i casi di gatti che sono stati tenuti in casa senza contatti con altri animali della stessa specie per anni, ma
che sviluppano una malattia FeLV-correlata in una fase più
avanzata della vita. Nei gatti con viremia persistente è probabile lo sviluppo di una viremia palese entro un periodo di
tempo relativamente breve dopo l’infezione, ed un terzo circa della totalità dei gatti infetti muore entro un anno.
La malattia clinica varia notevolmente, in parte a seconda
del sottogruppo di FeLV che causa l’infezione. In prossimità del momento dell’infezione si può osservare una malattia
lieve, ma i gatti si riprendono e restano sani per un certo
periodo di tempo. Quelli con infezione persistente sviluppano infine un’infezione secondaria sostenuta da una varietà di
microrganismi, presentano anemia o pancitopenia o vanno
incontro ad una malattia neoplastica come il linfoma timico,
renale e del SNC. Occasionalmente si osservano altre manifestazioni (ad es., glomerulonefrite, infertilità, aborto).
I risultati dell’esame emocromocitometrico completo, del
profilo biochimico e dell’analisi dell’urina dipendono dalle
manifestazioni della malattia secondaria e non sono specifici
di FeLV. L’anemia macrocitica è indicativa di FeLV, ma le
anemie possono essere di natura normocitica, rigenerativa e
non rigenerativa. Nei gatti con leucemia secondaria palese
vengono identificate cellule blastiche circolanti. Il test per la
diagnosi dell’infezione da FIV va eseguito in ogni gatto
malato e va anche consigliato al momento dell’arrivo di un
nuovo gatto in famiglia o come controllo periodico nei gatti
che vivono all’aperto. Il test diagnostico più comunemente
utilizzato per la diagnosi di FeLV è un’ELISA finalizzato a
rilevare l’antigene P27 del core virale. Poiché questo test
diventa positivo prima che il materiale genetico del virus venga incorporato nelle cellule staminali midollari, i gatti positivi possono eliminare l’infezione e tornare ad uno status negativo. Quindi, tutti i gatti che risultano positivi al test ELISA
devono essere sottoposti ad un nuovo esame dopo 2 o 3 mesi,
oppure alla conferma mediante immunofluorescenza (IFA)
della presenza di materiale genetico virale incorporato nelle
cellule. L’infezione latente non può essere individuata
mediante test ELISA o IFA su campioni di sangue. Solo sot-
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toponendo un aspirato midollare ad IFA o coltura cellulare è
possibile dimostrare un’infezione latente. In commercio si
trovano test PCR attendibili per l’infezione da FeLV.
Non esiste alcuna terapia. I gatti sani con infezione da
FeLV devono essere tenuti in casa sia per prevenire l’esposizione di altri gatti che per proteggerli dall’infezione secondaria. È essenziale vigilare per garantire il mantenimento di
routine dello stato di salute, prestando attenzione anche alla
vaccinazione ed alle cure dentali. Le infezioni secondarie
vanno identificate risalendo alla loro origine e trattandole
aggressivamente con agenti microbicidi appropriati. La neoplasia FeLV-associata può essere trattata mediante chemioterapia o radioterapia secondo le modalità più appropriate
per il tipo di tumore in causa. L’anemia associata a FeLV è
spesso difficile da trattare. L’infezione secondaria da M.
haemofelis va esclusa, e i casi accertati di anemia immunomediata vanno trattati mediante immunosoppressione. Come
intervento di sostegno si può utilizzare la trasfusione di sangue. Alcuni gatti rispondono all’eritropoietina umana ricombinante (100 unità/kg SC tre volte alla settimana). Spesso è
stata tentata l’immunomodulazione, ma esistono poche prove cliniche controllate che dimostrino l’utilità di queste terapie. La proteina A stafilococcica (10 µg/kg IP due volte alla
settimana) ha determinato un miglioramento soggettivo in
gatti malati con infezione da FeLV. I soggetti con duplice
infezione da FeLV e FIV hanno dimostrato un certo miglioramento con IFN-omega felino ricombinante (1[M]/kg/die
SC per 5 giorni in 3 serie ai giorni 0, 14 e 60).
L’ideale è tenere in casa gatti non infetti che vivano solo
con altri gatti non infetti. Per l’infezione da FeLV è disponibile la vaccinazione, che però va praticata solo ai gatti FeLVnegativi. Come per tutti i vaccini, al suo impiego sono correlati dei potenziali rischi (compreso il sarcoma del punto di
vaccinazione) ed è necessario valutare individualmente il
rapporto rischio:beneficio; quella contro FeLV non è una
delle vaccinazioni di base dei gatti adulti a basso rischio.
Sembrano essere ugualmente efficaci sia i vaccini inattivati
che quelli a subunità, ma la vaccinazione non è mai completamente efficace e si possono avere degli insuccessi dovuti
ad una varietà di ragioni.
Virus dell’immunodeficienza felina
FIV è stato scoperto per la prima volta nel 1987 e pochissimo tempo dopo sono stati resi disponibili i test diagnostici
di routine. Il primo vaccino anti-FIV è stato rilasciato nel
2002. Il virus determina principalmente una malattia dei gatti adulti, con i maschi infettati più frequentemente delle femmine. Benché possa esistere, la trasmissione verticale non è
epidemiologicamente importante. Invece, la malattia si diffonde tipicamente attraverso lo stretto contatto fra gatti, specialmente in associazione con i comportamenti da combattimento dei gatti maschi adulti. Dopo l’infezione iniziale il
virus si replica nel tessuto linfoide (compreso il timo) e salivare, con successiva disseminazione ad altre sedi. Man mano
che il gatto sviluppa una risposta immunitaria parzialmente
efficace, il numero di particelle virali circolanti diminuisce e
l’animale sembra sano. Alla fine, spesso dopo molti anni, si
ha un graduale deterioramento della funzione immunitaria.
53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
Infine, si osservano infezioni secondarie e malattie associate, che esitano nella fase terminale della malattia.
Come nel caso di FeLV, i segni clinici variano notevolmente. L’infezione acuta di solito è silente, ma può causare
febbre autolimitante, neutropenia e linfoadenopatia. I gatti
restano tipicamente in buone condizioni per molti anni, prima di sviluppare infine infezioni secondarie o complicazioni di malattie. I quadri più comuni sono rappresentati da febbre ricorrente, anoressia, perdita di peso, malessere, oculopatie infiammatorie, gengiviti e stomatiti, infezioni secondarie del tratto gastroenterico, respiratorio e urinario o persino
neoplasie maligne. Occasionalmente, le manifestazioni neurologiche di FIV vengono identificate senza altre affezioni
infettive o neoplastiche del sistema nervoso.
I test per la diagnosi dell’infezione da FIV vanno effettuati in qualsiasi gatto malato e sono consigliati al momento
dell’adozione di un nuovo gatto in famiglia o come controlli periodici nei gatti che vivono all’aperto. Benché negli stadi finali dell’infezione si possano osservare linfopenia e
trombocitopenia, certamente si tratta di riscontri aspecifici.
Analogamente, le anomalie del profilo biochimico o dell’analisi dell’urina non sono specifiche, e probabilmente riflettono i processi patologici secondari. I test di routine per la
diagnosi di FIV ricercano anticorpi sierici piuttosto che l’antigene. I test ELISA sono facilmente disponibili ed hanno
buona sensibilità e specificità. Sfortunatamente, l’identificazione degli anticorpi non permette di distinguere fra quelli
che si sono formati in seguito ad un’autentica infezione e
quelli acquisiti mediante il trasferimento passivo dalla
madre oppure attraverso la vaccinazione. I gattini positivi
devono essere riesaminati dopo aver raggiunto l’età minima
di 6 mesi. Come per qualsiasi altro test, si possono avere
risultati falsi positivi e falsi negativi. Per confermare la presenza degli anticorpi anti-FIV si può utilizzare il metodo
Western Blot, che però non consente comunque di stabilire
se l’origine dell’anticorpo è un’autentica risposta all’infezione. I gatti infettati di recente o gravemente immunodepressi possono rispondere negativamente al test a dispetto
dell’infezione. L’identificazione del virus mediante PCR
non è disponibile come procedura di routine.
Non esiste alcuna cura per l’infezione da FIV. I gatti infetti e sani devono essere tenuti in casa mantenendo costanti le
cure sanitarie di routine, comprese le cure dentarie di routine e la vaccinazione. I gatti malati necessitano di una diagnosi pronta e del trattamento delle complicazioni secondarie. È stata tentata l’immunomodulazione, ma mancano prove controllate. Le manifestazioni neurologiche possono
rispondere alla terapia antiretrovirale (AZT, 15 mg/kg PO
BID), ma sono comuni gli effetti collaterali.
Per FIV esiste una vaccinazione, ma è prevedibile che i
gatti vaccinati rispondano poi positivamente ai test per la
diagnosi dell’infezione, e bisogna quindi identificarli chiaramente (microchip o tatuaggio). La necessità di vaccinare i
gatti che hanno scarse probabilità di azzuffarsi con i conspecifici (come quelli che vivono in casa), è discutibile.
Indirizzo per la corrispondenza:
Leah Cohn - University of Missouri
College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65211