Numero Speciale
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Numero Speciale
Bimestrale della Comunità Protetta Psichiatrica “Elio Zino” Capo redattore: Alberto Cagna; Vice redattore e giornalista: Stefano Ventura L'editoriale dott. Michele Vanetti Il recente Piano Socio-Sanitario 2007/2010 della nostra Regione – nella parte dedicata ai temi della Salute Mentale – attribuisce un importante significato ai "progetti di sostegno abitativo", intesi come "adeguato supporto riabilitativo ed assistenziale alla convivenza" e alla socializzazione, di persone portatrici di malattie mentali severe. Nel precedente Piano, l'argomento assumeva la dizione di "gruppo appartamento" dedicato a persone nella fase conclusiva del proprio percorso riabilitativo. Quella dell'attuale Piano è una precisazione importante nella scelta delle parole, poiché focalizza meglio gli obiettivi del vivere in "appartamento"; cioè, l'essere sostenuti a: consolidare le abilità di base che consentano un'esistenza personale e sociale; sperimentarsi nella relazione di convivenza tra ospiti; incrementare le possibilità di esperienze nella realtà quotidiana, per qualcuno anche lavorativa. E' sulla base di questo indirizzo, ritenuto prioritario, che la Regione è intervenuta, nel 2008, finanziando presso la Azienda Sanitaria Locale di Novara la ristrutturazione dei nuclei abitativi assistiti proposti in Colazza per il Dipartimento Nord ed in Galliate per il Dipartimento Sud. Questo orientamento Regionale riveste una fondamentale importanza per la realizzazione dei percorsi curativi assistenziali verso i disturbi severi. La residenzialità protetta intensiva rappresenta, infatti - secondo i criteri moderni della psichiatria - un momento di passaggio solo temporaneo, determinante per la stabilizzazione clinica del paziente, per l'avvio e il consolidamento del processo riabilitativo. Occorre, però, che, alla conclusione del percorso in comunità protetta, siano presenti altre opportunità "sostenute" che consentano alla persona lo sperimentarsi nella vita reale. I progetti di sostegno abitativo rappresentano, in tal senso, una soluzione importante e ricca di potenzialità risocializzanti. La rete degli alloggi assistiti presente in ogni Dipartimento, sulla base di valutazioni epidemiologiche, dovrà essere numericamente consistente. Per esempio: il numero di trenta/trentacinque posti ospite previsti per il Dipartimento Nord, compresi i nuclei di Colazza, appaiono, all' attuale, adeguati per permettere il turnover dalla comunità di Oleggio o l'inserimento diretto da parte dei Centri di Salute Mentale di Arona e di Borgomanero. Ma è preventivabile che, nei prossimi anni, detta rete debba essere ampliata sempre con livelli di sostegno differenziati. Del resto, i progetti di sostegno abitativo consentono alla persona, al di là degli aspetti 1 sanitari, una dimensione di qualità di vita, una possibilità di occasioni esistenziali, un essere nei diritti di cittadinanza, che appaiono irrinunciabili. A questo riguardo, trapela dall'attuale Piano Socio-Sanitario la preoccupazione di un eccessivo ricorso alla residenzialità protetta, intesa come soluzione conclusiva per molte, forse troppe, persone. Quindi, la raccomandazione di evitare "scelte che portino all'istituzionalizzazione" dei pazienti. Da qui, inoltre, l'obiettivo posto alle Aziende Sanitarie Locali circa il monitoraggio degli ingressi/ dimissioni nelle comunità protette. L'argomento della residenzialità protetta – tema assai complesso – è attualmente oggetto di riflessione presso la Regione per una sua possibile riorganizzazione. La complessità dell'argomento deriva da come si voglia intendere la residenzialità protetta. Occorre ricordare che il Progetto Obiettivo Nazionale Tutela della Salute Mentale del 1994 prevedeva un tasso di 1 posto in residenzialità protetta per 10.000 abitanti, portato poi a 2 nella evenienza della chiusura degli ospedali psichiatrici, nel biennio 1997/1998. Sono tassi che potrebbero essere riconsiderati stante il notevole passare degli anni; ma che, peraltro, sono stati decisamente ed ampiamente superati, in quasi tutte le Regioni. Il che traduce , per molte persone, la realtà di una ospitalità protetta per lunghissimi periodi, se non a " vita". In una dimensione in cui le istanze curative e riabilitative, la progettualità del "dopo", cedono il passo ad un mero assistenzialismo senza prospettive. Che in questo si ravvisino aspetti di neoistituzionalizzazione, credo si possa concordare. Certo, esistono pazienti che, per un sommarsi di svariati motivi fortemente negativi nel corso pluridecennale della malattia, propongono disabilità psicosociali così gravi da abbisognare di un supporto protetto residenziale per tempi molto prolungati. Ma si tratta di gruppi di pazienti numericamente limitati; per i quali, tuttavia, caso per caso, occorrerebbe, comunque, valutare la possibilità di compatibili, diverse, soluzioni. Viceversa, per la più parte delle persone, spesso giovani o giovani adulti, portatrici di malattie severe, se - nel loro percorso assistenziale - si concretizza l'indicazione ad un soggiorno in comunità protetta, deve essere estremamente chiaro: al paziente stesso, ai suoi familiari, agli operatori del dipartimento, che tale soggiorno ha tempi limitati al raggiungimento degli obiettivi curativi e riabilitativi concordati. Solo così una comunità protetta soddisfa la propria missione e lungi da essere un luogo di neo-istituzionalizzazione, si propone come fondamentale strumento per fronteggiare le disabilità psicosociali e funzionali, che la malattia inevitabilmente causa. Una comunità deve accogliere ma anche dimettere e il territorio deve farsi carico del proseguimento del percorso del paziente con progetti personalizzati assistiti e sostenuti. E' la progettualità del "dopo" l'obiettivo determinante: nella vita della reale quotidianità. Quando si parla di "territorio", si parla anche delle associazioni dei familiari e dei volontari. Estremamente significative, al riguardo di questo argomento, sono le iniziative assunte nel tempo da ISPam di Borgomanero, con la organizzazione di un nucleo di abitabilità sostenuta a Bolzano Novarese e da Aiutapsiche di Arona nel lungo percorso che ha portato al finanziamento Regionale di Colazza. Quest'ultima associazione ha provveduto, inoltre, nell'attesa della disponibilità di Colazza, a predisporre un nucleo assistito in Oleggio che ha visto il 2 di febbraio l'inizio della ospitalità di cinque persone che hanno concluso il loro percorso intensivo presso la comunità protetta. Si tratta, in queste iniziative, di una importante condivisione, tra associazioni e dipartimento, di un disegno comune il cui fine è quello, seguendo le indicazioni attuali della Regione, di consentire alla persona il possibile raggiungimento di una capacità di esistenza, di esperienze relazionali nel reale, di un reinserimento nel sociale. Credo che non si possa che, davvero, ringraziare le citate associazioni per l'importante contributo e sostegno, che esse danno al dipartimento. 2 Elementi per pensare il lavoro in comunità psichiatrica protetta Dott. Bruno Ragni La storia della malattia mentale è, da sempre, caratterizzata da due aspetti specifici di significato diverso. Il primo è rappresentato dalla percezione della follia come malattia assolutamente peculiare: non esistente, come tutte le altre, in forma oggettiva e descrivibile, bensì come forma specifica di vita, assunta dal soggetto malato nel contesto e in rapporto con la società e la cultura in cui esso si trova inserito. Nel secondo si denota che mentre i modelli eziopatogenetici e i percorsi terapeutici di tutte le forme morbose seguono semplicemente la cultura medico-fisica del tempo, nel caso della malattia mentale coesistono due percorsi paralleli, ma ben distinti. Un percorso assimilabile a quello della medicina generale di cui segue l'evoluzione; un altro invece assai più sottile, ed è quello che si fonda specificatamente sull'idea di qualche differenza tra le malattie mentali e le malattie di ogni altra specie, contraddistinto da tre aspetti distinti, che sono: A)la malattia mentale scaturisce da una intersezione tra alterazioni somatiche e rotture, lacerazioni (eventi di vita stressanti) nelle trame dell'esperienza biografica; B) la rilevanza, nella genesi della malattia, delle le relazioni con i singoli altri (la famiglia soprattutto) e con la società nel suo complesso; C) l'attitudine pragmatica ad impiegare, accanto a strumenti di cura legati alla fisicità del corpo, strumenti legati alla vita di relazione ed all'essere sociale della persona. E' in quest 'ultimo punto, specifico ambito che si contestualizza il tema dell' “abitare dei folli”, pensato come continuamente oscillante tra separazione e prossimità, tra comunanza e segregazione, tra libertà e reclusione. Le alternanze saranno costantemente tra segregazione istituzionale e reintegrazione sociale. Uniche costanti, tra molte declinazioni, l'idea che il folle, per guarire, dovesse lasciare la propria famiglia per non farvi ritorno (se non dopo molti anni) e quella che il suo stare,abitare, vivere quotidiano dovesse essere vigilato e presidiato ( come facente parte della cura). La necessità è quella di stare dentro ad un'altra famiglia, che "sa tenere" il malato, una" famiglia" diversa ma evocante quella originaria. In tale concezione si installa l'origine dell'abitare come metodo di cura per la follia. La comunità non è quindi una conseguenza nè dell'esistere del manicomio, nè della sua dissoluzione; e questo rimane vero anche se in Italia l'esperienza basagliana ha fatto della contrapposizione tra spazi istituzionali e spazi comunitari di vita il fulcro più importante della sua teoresi. Nella realtà italiana, negli ultimi anni, il divenire storico della residenzialità psichiatrica ha comportato il proporsi di diversi percorsi di approfondimento, centrati sul concetto di valore prossemico degli spazi, della quotidianità come elemento strutturante l'appropriazione simbolica degli oggetti, della collocazione intrasistemica della struttura residenziale all'interno del complesso dispositivo sociale e sanitario che la sottende. Primo tema caratterizzante questo ambito di residenzialità riabilitativa è quello dell'esplicitazione del valore prossemico, e cioè dei valori comunicativi, simbolici e antropologici degli spazi. E' specifico e proprio di queste strutture e dei loro operatori, almeno a partire dall'ultimo decennio, il proporsi della riflessione, tecnica e etica insieme, attraverso una discussione sui luoghi dell'"abitare" e del lavoro di comunità. Secondo elemento fondante altre categorie possibili di residenzialità riabilitativa, è la vita quotidiana come possibilità di riappropriazione di tutte le capacità fondamentali, degli affetti e dei modi di comportamento, all'interno della quale 3 prendono particolare significato e valore terapeutico: 1) la spazialità, per l'opportunità che essa offre ai pazienti di avere un luogo di movimenti affettivi e di riacquisizione del valore simbolico, emotivo e relazionale dell'esperienza dell'abitare; 2) la temporalità e le sue scansioni, che restituiscono al paziente la padronanza cognitiva, operazionale ed esistenziale del tempo; 3) il "clima emotivo-affettivo", come esperienza di sfondo alle attività riabilitative, peculiarmente fondante la riacquisizione non delle abilità, ma delle motivazioni ad esercitarle, verificabile come tale solo in un contesto residenziale ed inclusivo dell'esperienza della condivisione, di un constare con altri in una dimensione emotiva sucessivamente elaborabile come "calda" "vitale" "accogliente", ma soprattutto stabile; 4) la domesticità, che rappresenta la caratteristica fondamentale di una struttura residenziale ed è essenziale per consentire la riappropriazione, da parte del paziente, dello spazio e del tempo vissuti, la cui interazione, operata fondamentalmente a livello affettivo, permette al malato di recuperare non solo identità , ma anche compattezza egoica, ridisegnando e saldandone i confini. Il lavoro che giorno dopo giorno viene portato avanti dagli operatori insieme ai pazienti, in una dimensione che allude quella della casa, dando alla residenzialità una connotazione domestica, emotivamente pregnante, contribuisce a riaggregare lo spazio vissuto (il mondo interno), sconvolto dall'esperienza psicotica. La limitazione in estensione e in numero di utenti, che è propria della struttura comunitaria, impedisce quella dispersione nello spazio e nel tempo dei propri vissuti interni, favorendo modelli comportamentali adattativi, facendo appello alle possibilità di responsabilizzazione. Così, in questa dimensione domestica, si da luogo alla riproposizione di funzioni affettive e codici di comunicazione familiare, che possono poi, al termine dell'esperienza comunitaria, essere (auspicabilmente) "esportabili". Silvano Arieti, nel suo Manuale di Psichiatria, diceva: "La follia non è essere fuori di sè ma essere completamente dentro di sè". Sappiamo infatti che il problema centrale dello psicotico è la percezione intrapsichica di un mondo interno estraneo, caotico e soprattutto sentito come pericoloso, sempre sul punto di diventare intrusivo. Per tal motivo, non potendo contare su un solido confine di sè, sul sentimento stabile di una propria identità, lo psicotico non riesce a usare gli scambi verbali per relazionarsi proficuamente con l'ambiente. Da qui la sua inconfondibile chiusura autistica. Da questa breve premessa, ponendoci il problema di come lavorare sui pazienti psicotici e sulla riacquisizione di funzioni perdute con la malattia, si comprende che è innanzi tutto indispensabile creare luoghi dove sono possibili potenti investimenti affettivi e cognitivi, in grado di aprire finestre comunicative con essere umani in varia misura chiusi dentro di sè. Infatti, nessun apprendimento o riacquisizione di capacità perdute è possibile per lo psicotico se egli non riesce, in via prioritaria, a reinvestire affettivamente con l'ambiente che lo circonda. Tale re-investimento è possibile se si riesce ad agire su due fronti: il primo consistente nella bonifica di un mondo interno invaso da affetti non collegati con rappresentazioni adeguate(sul piano di realtà), e abitato perciò da fantasmi terrifici, paralizzanti e carichi d'aspettative magiche, pronti ad essere proiettati fuori nell'ambiente sotto forma di deliri e allucinazioni. Il secondo è rappresentato dall‘ azione sulla realtà ambientale (la struttura residenziale), volta anche a proteggere il paziente dalle reazioni espulsive da lui stesso innescate. Si tratta di azioni tese a semplificare il rapporto tra i bisogni e la loro realizzazione, attraverso forme di sostegno, tendenti a promuovere "bagliori di fiducia", in grado di disconfermare l'ineluttabilità della soluzione psicotica. Questa duplicità di intervento caratterizza l'accompagnamento (Rinaldi), funzione operativa che tende a realizzare una sorta di 4 "unità di intenti", ad indicare una possibile via di uscita dall'esperienza psicotica, attraverso la concreta presenza, al proprio fianco di un compagno "vivo" ( o di un gruppo vivo), che condividendo intere sequenze di vita quotidiana, sia in grado di coglierne il vissuto, di "provare per due", assumendo su di sè quella emozione che il paziente sembra non poter provare e darle un nome. La realizzazione di tali esperienze vitalizzanti ed potenzialmente evolutive avviene con l'immersione del paziente in gruppi (di comunità) affettivamente investiti, in cui si attuano legittimamente situazioni di dipendenza da un entità potente ed affidabile in grado di accettare l'immaturità del paziente, senza imporgli quella autonomia accelerata ( che ha portato alla formazione di tratti egoici prematuri e dissociati, falsi sè), esaudendo il bisogno fondamentale di stare insieme, quando ancora manca la capacità di stare in rapporto, usando il gruppo come oggetto privilegiato. Il rischio di questi percorsi gruppali in struttura residenziale (e non solo) è quello di cadere in derive assistenzialistiche, paternalistiche, che determinano una sorta di ulteriore infantilizzazione del paziente. Gli atteggiamenti pedagogizzanti dell'equipe curante, che tendono a privilegiare solo ciò che accade nel comportamento esterno dell'individuo (saper rispondere alle domande, essere attivi, avere rapporti sociali, ecc.) a scapito della dovuta attenzione ai processi di soggettivizzazione dell'esperienza, tendono ad indurre negli ospiti della comunità una specie di falso sè, adattato alle richieste della comunità, ma che perpetua le proprie scissioni difensive e la sofferenza soggettiva. La soggettivizzazione del percorso riabilitativo, segna quindi una ricerca di mediazione continua fra il percorso riabilitativo proposto dal gruppo curante e quello comunque"proposto" del paziente per giungere alla formulazione di un programma individualizzato. Sappiamo, infatti, che il senso di irrealtà della vita che accompagna il vissuto del paziente psicotico e che sembra derivare da ripetute esperienze di assoggettamento, condiscendnza e colpa, richiede come antidoto la concreta possibilità di trovare un'alternativa all'adeguarsi in modo solo passivo alle richieste della realtà esterna. Da qui la necessità di offrire al paziente la possibilità di esprimere le sue scelte e di riformularle in forma contrattuale, la possibilità di sperimentare che le sue posizioni personali possono essere comprese e almeno in parte condivise. Insieme, nel villaggio del villaggio psichico lungo i percorsi diagnostico terapeutici Dott.ssa Sara Marchisio Dottorato di Ricerca in Epidemiologia Sociologia delle Disuguaglianze di Salute e Università Politecnica delle Marche L'incontro con la persona portatrice di disturbi schizofrenici è spesso apparso agli operatori sanitari come “… un viaggio in un paese straniero, in un paese in cui lingua e cultura sono sconosciute, un paese che non è possibile assaporare se non abbandonando le proprie tradizioni”. In passato l’assenza di strumenti per tracciare la rotta faceva emergere l’imprevedibilità quale caratteristica dominante del viaggio e l’esperienza del terapeuta quale unico mezzo per contrastare i rallentamenti, i guasti, i pericoli, lungo il tragitto. Si trattava di un viaggio “in solitaria”: paziente in un vagone, psichiatra in mongolfiera 5 all’inseguimento e nessun altro compagno lungo la strada. Nel migliore dei casi, infatti, la gestione integrata dei pazienti tra più professionisti è stata finora affidata alla collaborazione spontanea dei singoli operatori che scambiano informazioni per allineare il proprio comportamento e massimizzare il risultato di salute. Tale sforzo, sebbene proficuo, si applica solo ai pazienti seguiti da un terapeuta che fa dell’integrazione con i colleghi una modalità routinaria di lavoro. analoghe: questa è la direzione che segue il percorso diagnostico terapeutico con il paziente psicotico. Il percorso diagnostico terapeutico rappresenta il modo di trattare la psicosi schizofrenica all’interno dell’azienda sanitaria, non come obbligo, ma come binario di sviluppo operativo degli interventi clinici e assistenziali che possono essere misurati sulle caratteristiche specifiche di ogni singolo caso, consentendo ai professionisti di impegnare il tempo nella gestione dei casi più complessi, invece che nella routine operativa. Non è automatico, tuttavia, che i comportamenti prescelti siano realmente efficaci, a meno che non si ispirino chiaramente alle raccomandazioni della comunità scientifica. Per di più, in tali circostanze, lo sforzo organizzativo dell’integrazione grava sui singoli professionisti, che ne sopportano tutti i costi (uso di internet, telefonate, fax, ecc.). Il percorso fornisce agli operatori le indicazioni cliniche e organizzative per gestire una particolare patologia. Ad esempio, parlando di psicosi: Oggi abbiamo a disposizione nuovi mezzi per affrontare il viaggio del disagio psichico: farmaci di ultima generazione, strutture di cura e riabilitazione, accertamenti diagnostici e interventi d’équipe codificati con infermieri, psicologi, educatori, assistenti sociali… Ma, soprattutto, ci si è accordati sulla modalità per far fruttare pienamente le potenzialità di queste nuove tecnologie sanitarie. • precisa le informazioni sulla malattia e sul trattamento che devono essere fornite al paziente e ai familiari; Si tratta di definire a priori, tutti insieme, quali sono le tappe della cura, a chi devono essere rivolte, quando è opportuno proporle. Si tratta, in breve, di programmare il viaggio prima che inizi, facendo partecipare alla programmazione tutti gli operatori sanitari, il paziente, i familiari per condividere un’ipotesi di destinazione e, soprattutto, le tappe del viaggio che, come sempre, sono ciò che rendono significativa e memorabile un’esperienza. Ciò che oggi risulta realmente efficace per raggiungere e consolidare dei progressi di salute consiste, in pratica, nel definire il cosiddetto “percorso diagnostico terapeutico” per una specifica malattia. Il percorso diagnostico terapeutico consente non solo di integrare i professionisti e di condividere il progetto di cura con l’utente, ma permette di tener conto dell’organizzazione dei servizi aziendali e dei vincoli presenti (economici, informativi…). Comprendere il paziente, condividere una strategia di cura, partecipare ai miglioramenti, sostenere la persona nei momenti di stallo, razionalizzare il consumo di risorse, ridurre la disomogeneità di trattamento in situazioni • specifica i sintomi in relazione a cui è opportuno proporre all’utente un percorso di diagnosi e cura; • individua come e dove si sviluppa il ciclo di cura e riabilitazione; • stabilisce la tempistica degli accertamenti, delle terapie, delle rivalutazioni cliniche. Nella definizione del percorso diagnostico terapeutico lo stato dell’arte sul trattamento della patologia selezionata viene confrontato con le indicazioni di ortodossia clinica presenti in letteratura (tecnicamente definita “Evidence Based Medicine”): il percorso aziendale rappresenta, quindi, una mediazione tra «ciò che è» e «ciò che dovrebbe essere». L’aver definito un preciso percorso diagnostico terapeutico prevede che si definisca un programma di cambiamento dei comportamenti d’azienda, condiviso e negoziato con tutte le professionalità coinvolte, allo scopo di portare l’intera organizzazione ad adottare gli standard di qualità clinico assistenziale proposti dalla letteratura scientifica. Nel Dipartimento di Salute Mentale Nord dell’ASL di Novara, le finalità che hanno spinto all’avvio del percorso per la gestione dei pazienti portatori di schizofrenia sono nate dall’esigenza degli operatori di migliorare il servizio: • sviluppando meccanismi di integrazione tra gli operatori del Dipartimento; • riducendo la variabilità di trattamento a fronte della medesima situazione clinica, senza rinunciare alla personalizzazione delle cure; 6 • migliorando la tracciabilità dei risultati conseguiti, in termini di progressi clinici e miglioramenti organizzativi. Tornando alla visione della malattia come percorso nell’essere e nell’organizzazione, la metafora del viaggio è significativa per il fatto che rimanda alla reciprocità dell'esperienza: paziente e operatore sanitario lungo il percorso si trasformeranno entrambi. Per l’operatore sanitario, la trasformazione culturale è già iniziata nel momento in cui ha scelto di lavorare applicando la metodologia del percorso diagnostico terapeutico. Nel percorso, infatti - differentemente dalla prassi che veniva adottata in psichiatria e in altre branche della medicina - il professionista sanitario si mette in discussione, confrontandosi con le esperienze più efficaci; modifica le proprie azioni sulla base di dati per migliorare l’esito delle cure; misura la gravità dei sintomi per evidenziare l’entità dei progressi o del benessere ritrovato; ricerca il consenso del paziente per modulare le tappe di questo percorso di crescita, affinché siano accettabili e giustamente proporzionate ai bisogni della persona. Il percorso, in conclusione, è un modo per rendere più certe, scientifiche e condivise le coordinate dell'approdo mantenendo sempre vivida una consapevolezza di fondo: la consapevolezza che, come accade nella vita, gli imprevisti possano verificarsi, le esigenze cambiare o il viaggio possa anche interrompersi, senza che per questo il valore del percorso venga meno. Le mie prime due settimane in gruppo appartamento Il giorno 2 febbraio 2009, cinque ospiti della Comunità Elio Zino si sono trasferiti dalla Comunità stessa nel Gruppo Appartamento, situato anch’esso ad Oleggio. La casa è una villa e si trova nella zona Sud-Ovest di Oleggio, vicino alla ferrovia, in via Alzate n° 78. Il gruppo appartamento è composto da: Benito, Stefano, Domenico, Federico ed io. I bagagli sono stati preparati due o tre giorni prima. Il pulmino NISSAN era vicino alla porta di entrata e si sono fatti due o tre viaggi con il furgone pieno per fare il trasloco completo delle cinque persone sopra elencate. Il giorno del trasloco nevicava molto. Il pulmino stesso pattinava sulla neve. A me è capitato all’arrivo in villa, nel primo viaggio, di aprire il portellone dietro ed è caduto il radio-registratore di Benito nella neve. Diciamo che lui lo aveva messo nella sua scatola, ma non lo aveva chiuso con il nastro adesivo. Una volta caduta la scatola nella neve, anche il radio-registratore è uscito ed è finito nella neve. Mi sono preoccupato molto, mi sono scusato e gli ho suggerito di metterlo vicino al termosifone per asciugarlo. Dopo averlo asciugato, Benito ha provato a farlo funzionare. Tutto a posto, funzionava ancora. Sono contento per lui. Gli apparecchi elettronici a volte sono delicati ed è un peccato guastarli in questo modo. Mi sono molto preoccupato e scusato. Il motivo per cui sono caduti il radio-registratore di Benito ed altre due valigie è questo: i ho aperto il portellone per primo all’arrivo, ma non avendo caricato i bagagli alla partenza, non sapevo come erano stati disposti nel bagagliaio. La colpa è mia; sarebbe stato meglio che il portellone lo avesse aperto qualcun altro. A me sembra che le valigie potevano essere stivate meglio. Bisogna dire, che avevo avvisato i miei genitori qualche giorno prima, di aiutarmi nel trasloco, venendo in Comunità con la loro automobile. Il giorno del trasloco però, ha nevicato tantissimo. I miei genitori non potevano comunque raggiungere Oleggio. Lo stesso Camillo fece molta fatica ad arrivare con l’automobile fino ad Oleggio. Lui abita a Milano ed ha percorso l’autostrada dei Laghi con code e bufere di neve. Sull’autostrada si viaggiava a fatica e lo stesso nei dintorni di Cameri, Novara, Bellinzago Novarese, Oleggio. Molte automobili viaggiavano con le catene. Dopo aver fatto una parte del trasloco, le persone che lo hanno fatto, hanno mangiato alle 12:30 in Comunità. Nel pomeriggio il trasloco è stato completato. Nella settimana precedente il 2 febbraio, i cinque pazienti del gruppo appartamento hanno pranzato nella casa stessa, per ambientarsi un po’. Il pranzo è stato preparato da Camillo. Dopo aver riposto i bagagli negli armadi e nei cassetti, il giorno dopo abbiamo cominciato a fare i mestieri di casa. 7 l’antenna propria (il baffo), che con l’antenna centralizzata. Questo ci fa capire che c’è molta difficoltà nel ricevere i canali con l’antenna centralizzata del gruppo appartamento, la quale normalmente è sempre migliore del baffo. La causa potrebbe essere: l’antenna è rotta o orientata male, oppure la via Alzate è un luogo dove ci sono problemi di ricezione. A me piacerebbe che si potesse comperare un decoder per il Digitale Terrestre. A quel punto i Quando scrivo sono passate due settimane dall’insediamento nella villa di via Alzate. Potrei scrivere sulle sensazioni e sul mio stato d’animo, tirando un piccolo bilancio dell’esperienza nella villa. La mia sensazione è quella che in Comunità avevo meno cose da fare. Qui in villa ne ho troppe. Non riesco a fare tutto. Sono affaticato. canali normali si vedrebbero meglio, con la possibilità di vedere alcuni canali aggiuntivi molto interessanti. Ad esempio quelli gratuiti sono: IRIS per i film; SPORTITALIA per lo sport; BBC WORLD per i notiziari di politica estera, in lingua inglese; RAI 4 per l’intrattenimento e la cultura; BOING per i cartoni animati. Gli altri fanno i mestieri di casa e la cura della persona (doccia e barba). Io, oltre a questo, devo fare il Giornalino e vorrei leggere più che posso perché mi piace leggere. Loro hanno due attività, io quattro. Non ci riesco. Sono anche un po’ stanco della tensione e del nervosismo che si respira nel gruppo appartamento. Non sono una marionetta che risponde a comando. Faccio quello che posso. Alcuni canali del digitale terrestre a pagamento (pay per view) sono: MEDIASET PREMIUM per vedere le partite di serie A. 1 partita costa 6 €uro. Il costo viene scalato dalla tessera; LA 7 CARTA SI per vedere le partite di serie A. 1 partita non so quanto costa. Il costo viene scalato dalla tessera. Con questi canali si paga quello che si vede (pay per view). Non c’è da fare nessun abbonamento mensile o annuale come per SKY. Tutto sommato adesso sono domiciliato in un ambiente teso, dove purtroppo non posso fare la mia attività preferita (leggere) nella quantità che voglio (cioè tanto), ma devo farla in maniera ridotta per tutte le altre attività in programma. Il Dottor Ragni mi aveva detto che in gruppo appartamento avrei avuto più tempo libero rispetto alla Comunità, invece è il contrario. Direi che le prime due settimane in gruppo appartamento sono state positive per alcuni aspetti, negative per altri. I mestieri di casa comprendono: pulire il bagno, aspirare e lavare i pavimenti, pulire il divano, spolverare i mobili, rifare i letti, mettere ordine in stanza, cucinare, apparecchiare e sparecchiare, lavare i piatti, fare lavori di giardinaggio, pulire il piazzale, lavare i vestiti nella lavatrice, mettere i vestiti ad asciugare sullo stendi biancheria, pulire le finestre ed i vetri, ecc. Questi canali del digitale terrestre li conosco meglio, perché li ho utilizzati, a casa mia o in Comunità. Ce ne sono anche altri che non conosco, ma che potrebbero essere interessanti. Ovviamente ci sono anche i canali normali come: RAI 1, CANALE 5, LA 7, MTV, ecc., che con il digitale terrestre si vedono molto meglio rispetto all’analogico. La televisione non funziona bene. Abbiamo tentato di sintonizzare i canali: Camillo, l’infermiere Paolo, mio papà ed io. Dipende dall’antenna. Mio padre è riuscito a sintonizzare i canali meglio di noi. Mio papà mi ha anche portato la TV piccola da casa. Sulla mia piccola TV addirittura i canali si vedono meglio con Bisogna dire che forse ho esagerato e sono stato pessimista tirando un bilancio dei primi venti giorni in gruppo appartamento. Devo ambientarmi e forse tra qualche giorno riuscirò a fare tutto. Comunque è vero che in Comunità avevo meno cose da fare. Per i caffè, tutti i componenti del gruppo appartamento bevono il caffè della Bialetti. Lo prepara Benito. Per me è troppo concentrato, in una tazzina c’è troppa caffeina. Così bevo il nescafè; è meno concentrato. Non è neanche male come gusto. Prima in Comunità andavamo al bar a bere il caffè. Adesso siamo troppo lontani dal centro di Oleggio e quindi il caffè ce lo prepariamo in casa. 8 Per il Computer, l’operatore Alberto mi ha dato un computer uguale come marca e modello a quello che avevo in Comunità. Solamente non è lo stesso. Con i floppy-disk ho copiato la mia cartella in Comunità e l’ho trasferita sul computer che uso adesso. Purtroppo su questi Computer non funziona la chiavetta USB e così devo arrangiarmi con i floppy-disk. Probabilmente la causa è dovuta ad un sistema operativo vecchio oppure al computer vecchio (non ha neanche il masterizzatore). Il quartiere di via Alzate è un po’ strano. L’ambiente e l’atmosfera che si respira è diverso da via Giaggiolo e anche dal centro di Oleggio. Non saprei dire se è meglio o peggio. È un ambiente un po’ riservato. In via Giaggiolo ero abituato ad un’altra situazione; lo stesso per il centro di Oleggio. Forse scriverò un altro articolo fra qualche mese, per aggiornarvi sulla vita del gruppo appartamento e sul mio ambientamento in esso. Spero di ambientarmi entro il 2 marzo, quando sarò in gruppo appartamento da un mese. Nel frattempo vi saluto e vi auguro buona lettura. Ciao Ciao. La visita di Giuseppe Bergomi in Comunità Il 17 febbraio era in programma la visita di Giuseppe Bergomi alla Comunità Elio Zino di Oleggio. Giuseppe Bergomi è stato giocatore di calcio dell’Inter per circa 20 anni; una bandiera della squadra nerazzurra. L’ospite della Comunità, Mauro (interista), conosce Bergomi. Nella stanza di Mauro c’è anche una fotografia in cui vengono ritratti insieme. Pertanto l’ex giocatore ha voluto fare visita al suo amico in Comunità. Avendo saputo la notizia, l’operatrice Rossana (anche lei interista) ha voluto portare in Comunità ad accogliere Bergomi anche gli ospiti del gruppo appartamento di via Alzate. Verso le 10:00, tre pazienti del gruppo appartamento partono da via Alzate per andare in via Giaggiolo (Comunità Psichiatrica). Li accompagnano gli operatori in automobile. I tre pazienti sono: Benito, Domenico ed io. Gli altri due del gruppo appartamento non possono venire perché sono al lavoro: Stefano alla Standa e Federico alla “Pasqualina”. Per la cronaca: il sottoscritto è interista, Benito è juventino e Domenico non si intende di football. Dopo poco, io, Benito e Domenico siamo in Comunità e cominciamo con il salutare gli altri Ritrovo volentieri il mio ex compagno di stanza Roberto; non si tinge più i capelli ed ha il pizzo. La capigliatura ed il pizzo sono bianchi e gli stanno bene; anche i suoi nuovi occhiali gli stanno bene. Ha un look più da uomo maturo, più misterioso e affascinante. Tra i volti nuovi c’è una signora che non conosco. C’è anche Giuseppe, che come Roberto è stato un po’ in Comunità, è tornato a casa sua ed è ritornato ancora in Comunità. Conosco anche lui, perché siamo stati assieme in Comunità per diversi mesi. Dopo esserci salutati tutti quanti, stiamo a chiacchierare seduti un po’ nell’atrio, un po’ davanti all’uscio, un po’ sotto il gazebo. Nel frattempo aspettiamo l’ospite famoso (Giuseppe Bergomi). La giornata è soleggiata e non fa molto freddo. Verso le 10:30 arriva una Fiat Stilo targata Como. Sulla automobile c’è Bergomi e due signori che, si scoprirà più tardi, sono conoscenti di Mauro. Bergomi non è al volante, ma è passeggero sul sedile davanti. ospiti della Elio Zino. C’è qualche paziente nuovo; è normale, il 2 febbraio siamo andati via dalla Comunità in cinque, per andare in gruppo appartamento; cinque persone sono un quarto della Comunità (circa 20 ospiti in totale); c’è qualcuno che ha preso il nostro posto. 9 A questo punto i lettori del Giornalino e Bergomi si chiederanno: ma perché invece di Bergomi non hanno chiamato in Comunità Beccalossi? In realtà ho detto a Bergomi, che se lo stressavo, avrebbe potuto dirmelo e mi sarei comportato di conseguenza. Quando scendono dall’automobile ci rendiamo conto che Bergomi è molto alto, forse più dell’operatore Dino, il quale ha una statura notevole anche lui. Oltre ad essere alto ha anche un fisico asciutto, slanciato, potente, muscoloso e magro allo stesso tempo. Non assomiglia né ad un body builder, né ad un anemico. È vestito in maniera elegante, con giacca e cravatta; porta gli occhiali. Insomma ha un bel aspetto; un tipo affascinante. Sono emozionato ed ho paura di fare brutta figura nel rivolgergli la parola. Cerco di tenermi lontano da lui. Intanto Bergomi sosta un po’ in camera di Mauro (suo amico), un po’ in ufficio operatori, un po’ in corridoio, un po’ in sala TV. Il suo intento è quello di osservare tutti gli ambienti, i locali della Comunità, escluso le stanze dei pazienti. Essendo un tifoso nerazzurro ed un ammiratore di Evaristo Beccalossi, dopo un po’ gli rivolgo la seguente domanda: “Bergomi, hai fatto in tempo a giocare assieme al Becca qualche anno?” Infatti ho l’impressione che, quando Bergomi cominciò a giocare nell’Inter, Beccalossi stava per finire la sua carriera all’Inter. La risposta dell’ex-difensore è stata che è riuscito a giocare assieme al Becca per circa due anni. Inoltre mi ha detto che la sua carriera nell’Inter è durata circa 20 anni, quella di Beccalossi circa 6 anni. Dopo gli rivolgerò ancora una domanda su Beccalossi. La domanda è la seguente: “Si trovano in commercio le magliette nerazzurre con dietro il numero 10 e la scritta Evaristo Beccalossi?” La sua risposta è la seguente: “Bisogna farsele fare su misura. Il Becca giocò tanti anni fa e in quel periodo le magliette dei giocatori di calcio non riportavano il nome e il cognome del giocatore stesso”. L’argomento Beccalossi, l’ho creato perché gioco più o meno nello stesso ruolo: mezza-punta, trequartista, fantasista, una via di mezzo tra centrocampista e attaccante. Siccome non riesco a correre tantissimo e sono in soprappeso, assomiglio un pochino a Beccalossi come modo di giocare. Soltanto che lui aveva due piedi d’oro, io mi arrangio. Ovviamente non posso paragonarmi ad un campione come lui, però lo imito. Bergomi era un terzino destro: un ruolo diverso da quello che occupo io. Da ragazzino spesso mi facevano giocare da Stopper (difensore centrale) con risultati pessimi. Dino vedendomi giocare, mi ha detto che il mio ruolo, secondo lui è mezzala, mezza-punta, un trequartista di qualità, perché non corro tanto, ma ho due piedi buoni. Dopo aver visitato la Comunità, lo zio Bergomi sosta un po’ nell’ufficio a parlare con gli operatori, oppure nel locale dietro la sala TV, dove spesso si fanno riunioni alle quali partecipano di solito dottori e operatori. Sia nell’ufficio che nella sala riunioni c’è un dialogo tra Bergomi e operatori, dottori, Mauro. Dopo le due domande sul Becca sono un po’ emozionato. D’altronde Bergomi è una bandiera dell’Inter ed ha vinto il Mondiale con la Nazionale Italiana nel 1982 a soli 18 anni. Anche se è una persona tranquilla, mi incute timore. Verso le 12:00, Bergomi sale in auto assieme alle altre due persone che lo accompagnano e vanno via dalla Comunità. Anche noi del gruppo appartamento ritorniamo in via Alzate. 10 L’operatore Dino dice che lui non è tifoso dell’Inter (è tifoso del TORINO), ma che ha ammirato molto Bergomi. Secondo lui, Bergomi è una persone molto gentile, disponibile, mite, intelligente, anche bello fisicamente. Qualche giorno più tardi, dopo la sua visita alla Comunità, Bergomi ci recapitò dei gadgets attinenti al calcio. Si tratta di: DVD dei goals di Juventus e Milan ed Inter, libri di Diabolik, dei cappellini con scritte delle squadre di calcio. Qualche DVD ce lo siamo portato in gruppo appartamento. Non li abbiamo ancora visti, anche se il Dino ci ha già installato il lettore DVD. In conclusione vorrei dire che ero molto emozionato nel vedere un campione di calcio come Giuseppe Bergomi. La maggior parte degli altri pazienti della Comunità non erano intimoriti e si trovavano a loro agio. Spero che la prossima volta venga in Comunità con il mio idolo calcistico: Evaristo Beccalossi. Tanti Saluti e Buona Lettura. Il carnevale oleggese Come tutti gli anni, anche quest’anno ad Oleggio si festeggia in modo sontuoso e soprattutto rumoroso il carnevale. Le sfilate si svolgono nella piazza della stazione nelle domeniche di febbraio (8, 15 e 22). dall’ambiente festoso e goliardico che ci si trova di fronte. Gli organizzatori, tutti gli anni, fanno le cose in grande. Anche quest’anno sono stati invitati personaggi del mondo della TV che hanno dato il loro contributo per ravvivare la gente presente. Abbiamo partecipato alla seconda domenica di festeggiamenti, ci siamo goduti la sfilata e lo spettacolo in sé. È stato molto divertente vedere tutte queste strane maschere girare per le vie del paese. I gruppi che sfilano sono molto colorati e pittoreschi; i carri allegorici fanno bella mostra di sé seguiti da gruppetti di persone in maschera che ballano e cantano. Ogni gruppo ha un suo tema: c’è il gruppo di ballerine di flamenco, il gruppo dei pirati e di Minnie, una banda musicale che effettua coreografie mentre sfila e ovviamente suona ed un’altra banda in costume molto appariscente ed ironico. Per Oleggio il carnevale è un evento molto importante e sentito. Vengono attirati molti visitatori che rimangono impressionati Lunedì 20 la maschera di Oleggio (il Pirin) ci ha portato i dei dolci e ci ha fatto compagnia per qualche minuto in comunità. Come ha detto anche lui: “Buon carnevale a tutti!” 11 Di Mauro “Titus” “Se” Se questa società e vita ti rattrista e ti abbatte, non cedere! Se certe persone ti deludono e ti mortificano, anche se provi rispetto e un certo affetto o simpatia per loro, non cedere! Se certi amici ti tradiscono per altri interessi di vario genere, non cedere! Ma se pure l’amicizia e l’amore ti viene precluso o a mancare, non cedere! Se anche la dimora più o meno provvisoria, ti dà solitudine e malinconia, resisti e non cedere! Tu sai che sei discreto, corretto e sin troppo sincero, e allora difendi la tua idea e le tue ragioni e quindi, non cedere le armi ma continua più che mai a lottare. È solo acqua L’acqua scorre per montagne, colline e pianure. L’acqua scorre per ruscelli, torrenti e fiumi. L’acqua riempie laghi, mari ed oceani. Ma non bisogna scordare che l’acqua è pure l’unica cosa “morta”, che dà la “vita”. Mi piacerebbe sorseggiare un po’ d’acqua in un ruscello di alta montagna e poi lanciare un rametto immaginando il percorso che può fare, attraversando vallate e varie intemperie, dighe e tanti altri ostacoli. E magari qualcuno quando proprio sta arrivando alla meta, lo prende e lo getta su un prato; che peccato! Quel ramoscello non arriverà mai al mare. E comunque mentre scrivo tutto questo “l’acqua scorre e tutto se ne va”, e intanto: “scorre l’acqua!” Stiamo raccogliendo libri per la nostra libreria in comunità! Chiunque fosse interessato a donare libri in buono stato può contattare direttamente la comunità al nr. 0321-94599. Grazie! 12