il punto - Centro Studi Calamandrei
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IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Aprile 2008 - N° 45 SOMMARIO LE LETTERE DI AUGIAS 746 - Quando il feto non si poteva battezzare 747 - L’idea del male nei rapporti sessuali 748 - L’applicazione della legge 194 ARTICOLI E INTERVISTE 749 - Quando il medico rifiuta la pillola del giorno dopo – di Miriam Mafai 750 - Obiezione di coscienza o di prepotenza? – di Giampietro Sestini 751 - Testamento biologico: basta un euro - di Edoardo Semola 752 - Testamento biologico: e se lo porto dal notaio? di Marco Bazzichi 753 - Quanto è cristiana la destra - di Barbara Spinelli 754 – I due Benedetto contro l’illuminismo - di Mario Pirani 755 - Ai confini della laicità - di Gad Lerner 756 - Zapatero inventa la morte dignitosa - di Claudio Siniscalchi 757 - Lezioni di democrazia - di Nello Ajello 758 - La sinistra succube della destra - di Fabrizio Rondolino DALLA ASSOCIAZIONE 759 - Nuovi servizi di cittadinanza 760 - Amsterdam: la morte assistita in Europa – di Maria Elinda Giusti 761 - Firenze - convegno su testamento biologico ed eutanasia 762 - Giancarlo Fornari scrive a Maria Antonietta Coscioni PER SORRIDERE… 763 – Le vignette di Giuliano – Berlusconi e Malpensa LiberaUscita Associazione nazionale di promozione sociale, laica e apartitica, per la promozione dei diritti fondamentali della persona, per il testamento biologico e l’eutanasia Sede: via Genova 24, 00184 Roma - Telefono e fax: 0647823807 Sito web: www.liberauscita.it - email: [email protected] 746 - QUANDO IL FETO NON SI POTEVA BATTEZZARE – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di giovedì 3 aprile 2008 Caro Augias, nel rinnovato dibattito su aborto e legge 194, si torna ad ascoltare l’argomento dell’embrione come essere umano, «terzo» da salvaguardare. Mi colpisce l’assenza di un’argomentazione che i laici a mio parere dovrebbero adottare: finché l’embrione non ha possibilità dì sopravvivere al di fuori del corpo della madre non può essere considerato terzo soggetto. E’ una situazione unica fra quelle date in natura, un sistema temporaneamente più complesso del normale nel quale non c’è una chiara separazione fra la madre e l’embrione/feto. E’ previsto dalla nostra natura di mammiferi che ci sia un passaggio nel quale la madre non è un mero contenitore di un essere che si sviluppa da sé, ma al contrario una fattrice onnipotente senza la presenza della quale l’embrione non sarebbe nulla. Almeno nelle prime 22/24 settimane, l’embrione è totalmente integrato nell’organismo materno, al di fuori del quale non sopravvivrebbe. Fa tristezza vedere invece quante donne facciano proprio il punto di vista maschile, secondo il quale il proprio ruolo femminile non avrebbe alcuna preminenza rispetto a quello maschile: l’asimmetria fra i sessi è quanto di più naturale esista, così come l’enorme potenza creatrice affidata a femmine e donne, dalla quale noi maschi umani continuiamo evidentemente a essere terrorizzati, Gianluca Barbaro - Milano [email protected] Risponde Augias In una visione puramente naturalistica, il feto alle primissime settimane di vita è stato descritto come un parassita della madre. Infatti la definizione biologica di parassita è: Organismo animale o vegetale che vive parzialmente o totalmente a spese di un altro individuo detto ‘ospite’. Dal punto di vista tecnico è esattamente la situazione del feto. Ovvio peraltro che applicare questa definizione a un grumo di cellule che racchiudono un organismo umano in potenza è ripugnante, infatti il parallelo va respinto poiché ci sono in quel ‘grumo’ componenti che la crudezza materialistica dei termini esclude. La lettera del signor Barbaro richiama però una circostanza storica analoga che merita di essere ricordata. Nel suo libro ‘Battesimi forzati’ (Viella editore), la prof Marina Caffiero ha ricostruito sulla base di documenti inoppugnabili che nella Roma dei papi (cioè fino al 1870) poteva accadere che un ebreo, forzato o convinto a passare al cristianesimo, chiedesse di aggiungere al numero dei familiari convertiti, oltre a sua moglie, anche il bambino in gestazione. La moglie veniva senz’altro accolta mentre la risposta per il feto era negativa in quanto un embrione non aveva uno status giuridico che permettesse di considerarlo come persona autonoma, indipendente dal corpo della madre che lo teneva in vita. Può darsi che la chiesa sbagliasse allora e che la sua posizione attuale, che considera il concepito essere umano ben definito fin dalla prima suddivisione cellulare, sia la teoria giusta. Resta però il radicale mutamento di opinione; stabilire che quella posizione fosse sbagliata e che la presente sia quella giusta è anch’essa un’opinione. 747 - L’ IDEA DEL MALE NEI RAPPORTI SESSUALI – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di venerdì 11 aprile 2008 Gentile Augias, ho letto su la Repubblica l’articolo «No alla pillola del giorno dopo. Pisa, la Procura apre un’inchiesta» e sono riuscita a dare voce a un interrogativo che mi girava nella mente da tempo. Se le leggi servono a regolare i rapporti fra gli individui in modo che non prevalga il diritto dell’uno su quello dell’altro (ovvero, il sopruso), com’è possibile che esista, soprattutto nel caso della pillola del giorno dopo, la possibilità dell’obiezione di coscienza? Come si può opporre la propria coscienza a una scelta che riguarda un’altra persona ed è tutelata da una legge dello Stato? La Procura infatti ha aperto un’inchiesta ma anche il ministro della salute Livia Turco non è stata chiara. Ribadisce, sì, che la pillola del giorno 2 dopo non è una pillola abortiva, però non afferma che allora non esiste diritto all’obiezione di coscienza; dice solo che dovrebbe essere garantita la presenza di personale e medici non obiettori nei pronto soccorso e nelle guardie mediche. Il ragionamento dovrebbe comunque estendersi anche al diritto all’aborto, perché il riconoscimento dell’obiezione di coscienza nelle strutture pubbliche va sempre a detrimento del singolo che si vede negato un diritto tutelato dalla legge. Come mai è così esteso il diritto di obiezione solo nel caso di leggi che riguardano una scelta delle donne? Susanna SinigagIia - [email protected] Risponde Augias Ogni giorno ricevo lettere di donne costrette all’umiliante serie dei rifiuti, di medico in medico, di ospedale in ospedale, per ottenere la prescrizione ad un medicinale che in Europa, ricordo, viene spesso distribuito nei dispensari delle scuole. La pillola del giorno dopo è un contraccettivo non un abortivo, tecnicamente non è diverso dalla pillola presa ogni giorno che impedisce l’ovulazione o da un qualsiasi contraccettivo meccanico maschile o femminile che blocca il cammino dello spermatozoo verso l’ovulo. A questo dunque si oppongono gli obiettori: la scelta consapevole di una donna che non desidera trasformare un rapporto in gravidanza. Una materia nella quale nessuno ha diritto di interferire. A meno di non voler tirare in ballo la dottrina che vieta i rapporti sessuali non finalizzati alla procreazione. Ma questa (ammesso che sia ancora in vigore) è materia di fede. Era il motto ricamato sulle camice da notte delle bisnonne che recitava «Non lo fo per piacer mio ma per dare un figlio a Dio». Uno degli aspetti vergognosi di questa trafila è la sua ipocrisia. Non si ha coraggio di affrontare frontalmente il problema perché tutti sanno che uno scontro diretto sarebbe respinto dalla maggioranza degli italiani. Allora si lavora sui fianchi, si cerca il logoramento lento, la malizia trasversale, il diniego motivato dalle ragioni più varie non escluse quelle della convenienza spicciola, oppure della battaglia ideologica. Dimentichi che è in ballo l’applicazione di una legge la quale solo nei paesi islamici non ha la precedenza sulla valutazione del possibile ‘peccato’. 748 - L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE 194 – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di domenica 20 aprile 2008 Caro Augias, mia moglie era incinta alla 19-sima settimana. Alla bimba viene diagnosticata una malformazione cardiaca che le avrebbe dato morte certa ma in tempi da definire. All’ospedale cattolico ci fanno intendere che l’aborto terapeutico è la soluzione più caritatevole. Il ginecologo di mia moglie ci dà gli indirizzi delle cliniche londinesi «a 20 minuti dall’aeroporto». Io m’incaponisco nell’esigere un diritto di legge in Italia. In estate in tutta Roma ci sono solo 2 ospedali che fanno questo intervento: nei primo l’unico ginecologo non obiettore è in ferie, nell’altro il dottore sarà di turno notturno di lì a 4 giorni. Dopo una settimana riusciamo a essere presi in carico. Lo psichiatra chiede a mia moglie se «dopo pensa di stare male»; nel dubbio le prescrive tranquillanti e antidepressivi perché dopo non ci saranno altre visite. In camerata, un’attivista di movimenti Pro-life avvicina mia moglie senza che il suo parere fosse richiesto. Il giorno prima dell’induzione del parto naturale, un dottore compassionevole ci suggerisce sottobanco di fare richiesta di non accanimento terapeutico, come per i malati terminali. Lara, nostra figlia, muore naturalmente poche ore prima dell’inizio del travaglio. Il travaglio e la rottura delle acque avvengono in una camerata da 8 durante l’ora di ricevimento parenti. Il travaglio non avviene in sala parto perché «lì nascono i bimbi sani e sua moglie potrebbe averne delle ripercussioni psicologiche». Valuti lei cosa c’è da rivedere nell’applicazione della 194. Angelo Pugliese 3 Risponde Augias A questa rubrica arrivano spesso lettere di pazienti che tengono a esprimere la loro riconoscenza verso la struttura sanitaria che li ha accolti e guariti con competenza e umanità. Premetto questo perché non si pensi che è la sanità in generale a non funzionare. E’ vero il contrario, la sanità italiana resta tra le migliori. Poi però ci sono i casi come quello raccontati dal signor Pugliese che mi chiede che cosa ci sia da rivedere nella legge 194 sull’aborto. Probabilmente la rete dei consultori, mi pare che su questo siano tutti d’accordo anche se i consultori costano e i soldi scarseggiano. Ma i cambiamenti veri credo che vadano fatti sulla mentalità più che sulle norme. Chi ha autorizzato l’attivista Pro-life ad aggirarsi nelle corsie? A dare il suo messaggio non richiesto in un momento così delicato? Perché la signora Pugliese ha dovuto affrontare il travaglio in quella camerata dove le altre pazienti ricevevano amici e congiunti? E’ quando si insinua il tarlo dell’ideologia che la sanità comincia a funzionare peggio. Il tarlo si annida cioè nel presupposto che si sta cercando di spacciare secondo il quale chi predica contro l’aborto sta dalla parte del bene e chi all’aborto vuole ricorrere per sue insindacabili ragioni ha invece torto comunque. Se fosse solo questione di migliorare una legge sarebbe forse (tre volte forse) più facile. Introdurre una mentalità che tuteli meglio i diritti degli individui con tradizioni come le nostre è molto più difficile. 749 - QUANDO IL MEDICO RIFIUTA LA PILLOLA DEL GIORNO DOPO – DI M. MAFAI Da: la Repubblica di mercoledì 2 aprile2008 Un medico non può rifiutarsi di prescrivere la cosiddetta “pillola del giorno dopo” a una donna che ne faccia richiesta. Né un farmacista può rifiutarsi di venderla. Né il medico né il farmacista possono in questo caso fare ricorso alla obiezione di coscienza. Al contrario rischiano una sanzione disciplinare dell’azienda sanitaria dalla quale dipendono e una denuncia alla magistratura. E’ quanto è accaduto recentemente a Pisa dove la guardia medica e il pronto soccorso hanno rifiutato a due ragazze l’anticoncezionale di cui avevano bisogno. “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”: così recita l’articolo 9 della legge 194. E’ in questo caso e solo in questo caso, esplicitamente previsto dalla legge, che un medico può rifiutarsi di dare assistenza a una paziente. E’ impensabile che questa facoltà venga estesa, quale che ne sia la giustificazione, alla prescrizione e alla vendita di un anticoncezionale. Ma a Pisa, nei giorni scorsi, questo è accaduto. Può darsi, naturalmente, che si tratti di un caso isolato. Di un medico o di un farmacista che forse immagina di vivere nello Stato Pontificio anziché nella nostra Repubblica. Qualcuno, spero, lo convincerà che si è sbagliato e che anche in quel di Pisa valgono le nostre leggi. Ma non vorremmo, invece, che questo episodio fosse il segnale, da parte cattolica, di qualcosa di diverso, di una nuova campagna (culturale? politica? ideologica?) contro le donne e il loro pieno diritto di servirsi di tutti gli anticoncezionali autorizzati dalla legge (dalla spirale alle pillola del giorno prima a quella del giorno dopo). Il cui uso, tra l’altro, andrebbe largamente promosso, quale che sia in materia la posizione della Chiesa, anche per evitare gravidanze indesiderate e l’eventuale ricorso all’aborto. Un caso analogo a quello di Pisa si verificò, a quanto ricordiamo, nell’ormai lontanissimo 1994 quando un farmacista e una dottoressa cattolica si rifiutarono di prescrivere e di vendere contraccettivi appellandosi alle proprie convinzioni religiose. All’epoca il ministro della Sanità, la democristiana Maria Pia Garavaglia, richiamò immediatamente il farmacista e la dottoressa al rispetto delle leggi dello Stato italiano che consentivano la vendita dei contraccettivi (e ne ebbe per questo un duro richiamo dell’Osservatore Romano). 4 Nessun dubbio che un analogo richiamo alle leggi dello Stato italiano verrà espresso dall’attuale ministro della Sanità, dall’Azienda Sanitaria da cui dipendono il medico e il farmacista di Pisa, e dal Consiglio Regionale della Toscana che aveva già avvertito che sarebbero stati responsabili di interruzione di pubblico servizio i medici che avessero rifiutato di prescrivere la “pillola del giorno dopo”. E tuttavia non possiamo fare a meno di valutare l’episodio di Pisa come allarmante non solo per quanto si riferisce alla condizione delle donne, alla loro libertà e al loro diritto alla contraccezione, ma anche per quanto si riferisce al principio di laicità del nostro paese. In particolare quando, come oggi accade, la Chiesa cattolica rivendica una maggiore presenza nello spazio pubblico. Ma questa maggiore presenza nello spazio pubblico non può comportare la imposizione di una serie di scelte etiche di matrice cattolica a tutta la nostra società, ormai largamente secolarizzata. Né, tantomeno, la possibilità o il diritto per i cattolici, di sottrarsi alle leggi dello Stato quando queste sembrino loro in contrasto con le proprie convinzioni religiose. Nella sfera privata questa possibilità è certamente garantita. Il cattolico potrà certamente non fare ricorso né al divorzio né all’aborto (per citare due leggi dello Stato nei confronti delle quali la Chiesa conferma legittimamente la sua intransigenza), ma una analoga scelta non è possibile né pensabile quando il cattolico opera nella sfera pubblica (come nel caso del farmacista o del medico di Pisa). Nella sfera pubblica infatti valgono per tutti, quali che siano le scelte etiche o religiose, le leggi dello Stato. Ed è bene che sia così. A nessuno di noi, penso piacerebbe vivere in una società nella quale dovessimo chiedere al medico o al farmacista cui ci rivolgiamo quotidianamente quali sono le sue profonde convinzioni religiose. Faccio un esempio classico a proposito della necessaria neutralità di coloro che operano nello spazio pubblico, I Testimoni di Geova, come noto, sono contrari alle trasfusioni di sangue e la loro richiesta, per quello che so, viene rispettata nei nostri ospedali quando avanzata da un adulto cosciente. Ma un medico testimone di Geova che operi in un ospedale non potrà rifiutare, per quello che so, una trasfusione di sangue a un paziente che ne abbia bisogno. O dovrò chiedere al medico che mi opera, prima di entrare in sala operatoria, quali sono le sue convinzioni religiose? 750 - OBIEZIONE DI COSCIENZA O DI PREPOTENZA? – DI GIAMPIETRO SESTINI Abbiamo avuto modo di esprimerci sul tema della “obiezione di coscienza” in proposito allorché la federazione nazionale degli infermieri stava approvando un nuovo codice deontologico che prevedeva, tra l'altro, che in presenza di richieste dei pazienti "in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, l'infermiere si avvale dell’obiezione di coscienza" (vedi: IL PUNTO n° 43). Sostenemmo in quella occasione che un codice professionale di categoria non può essere contrario alla legge, alla quale – come giustamente osserva Miriam Mafai – tutti debbono attenersi, quali che siano le scelte etiche o religiose individuali. Di conseguenza, se un dottore o un farmacista si rifiutano di prescrivere o di vendere un prodotto farmaceutico consentito dalla legge, commettono un reato. O cambiano il loro comportamento o vanno sostituiti. Ci saremmo atteso che l’on. Gasparri, che aveva proposto il licenziamento di 67 professori soltanto perché avevano esercitato il loro diritto democratico di scrivere una lettera al Magnifico (?) Rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma, si sarebbe scagliato ancora più drasticamente contro coloro (il medico e il farmacista di Pisa) che impedivano ad altri cittadini di esercitare il loro diritto democratico, ma nulla ha detto in proposito. Con l’occasione ricordo che il codice deontologico degli infermieri allargava a dismisura il concetto di “obiezione di coscienza”, in quanto lo legava non soltanto ai” principi etici della professione” ma anche ai “valori” del singolo infermiere. Non soltanto, dunque, un infermiere testimone di Geova potrebbe rifiutarsi di prelevare il sangue ad un malato che ne ha bisogno, ma addirittura un infermiere razzista potrebbe rifiutarsi di curare un negro perché “in contrasto con i propri valori”. E’ 5 triste dover costatare che mentre i gravissimi problemi del pianeta dovrebbero essere affrontati con il massimo di solidarietà da tutti gli esseri umani, il nostro Paese si distingue per le divisioni, la rissosità, l’egoismo individuale e di corporazione, l’inosservanza delle leggi, la criminalità diffusa, il razzismo, la mancanza di un senso unitario dello Stato e ora anche di laicità delle istituzioni. Risponde Giuliano degli Esposti Inviato: sabato 5 aprile 2008 10.10.23 Dinnanzi ai dissennati attacchi alla 194, al concetto di vita, alla insindacabile volontà e scelta delle donne, ai vari Ruini/Ferrara, l'uno giustificato dalla logica della sua tuta rossa, l'altro non si sa bene da cosa; forse dal fatto che dopo aver attraversato l'intero arco costituzionale gli mancava questa posizione che chiamare teocons sarebbe nobilitarla di molto. Dinnanzi a queste cose, dicevo, che fondamentalmente vogliono imporre la visione di un'etica cattolica quand'anche in contrapposizione con l'etica comune, più diffusa, ed anche contro le leggi dello stato, non resta che "sguainare la spada" ed accettare la sfida. senza dimenticare la legge 40 sulla fecondazione assistita, che oltre a stabilire il numero degli embrioni da impiantare, proibisce la diagnosi preimpianto con una visione di parte, logica nella sua consequenzialità, ma terribile nei confronti delle coppie che cercano la fecondazione artificiale, lasciandole nell'atroce dubbio del risultato dell'impianto,non resta che essere massimamente solidali con le donne che non vogliono essere escluse da una decisione che la natura ha riposto solo in loro; le donne che ricorrono all'IVG possono essere sposate ma anche nubili; possono essere donne adulte e consapevoli,ma anche giovani inesperte; la 194 prevede oltre ad un periodo preciso entro il quale si può effettuare l'IVG,anche una serie di colloqui con operatori e psicologi che hanno il compito di esaminare con serietà e senza preconcetti i motivi che portano la donna a quella decisione; si pensi che la legge è talmente ben fatta che qualora la persona che vuole affrontare l'IVG sia minore di età prevede la figura del giudice tutelare che ,senza informare i genitori della ragazza, dia lui il permesso a procedere. In un primo tempo i teocons hanno chiesto(non più tardi di ieri ferrara ha chiesto in TV l’applicazione della 194 in toto chiaramente riferendosi a questo aspetto) che all'interno dei consultori pubblici e nei reparti di ginecologia ci fossero dei volontari, chiaramente del movimento per la vita, che approfondissero le tematiche individuali, chiaramente con il fine della dissuasione: pensatevi quale violenza indicibile nei confronti di persone, anche giovani, che non solo soffrono quella lacerante decisione, ma si trovano davanti personaggi,anche un pò esaltati, che, magari offrendo quattro palanche come soluzione del problema, non fanno altro che cercare di far tornare sulle loro decisioni le donne, aggravando soltanto i sensi di colpa che già le lacerano. Detto questo, che mi pare renda comprensibilissima la mia posizione, devo dire due parole sull'obiezione di coscienza. L'obiezione di coscienza è quella cosa che, dichiarata formalmente dall'individuo, gli permette di essere esentato da alcuni specifici impegni: mi viene a mente che, quando ho fatto io il militare, l'obiezione era considerata un reato ed alcuni precursori della libertà individuale si sono fatti dei begli anni di processi/galera-militare. l'anno scorso ho partecipato, spinto da un carissimo amico inglese, col quale avevo fatto il liceo a Venezia, ad un movimento internazionale per ottenere la libertà di un soldato turco omosessuale che si era dichiarato obiettore e non voleva andare ad ammazzare gente, nè in Iraq nè al confine con i Curdi. Questo, imprigionato, rischiava la vita quotidianamente tra violenze e pestaggi. sono riusciti a farlo rilasciare. tutto questo per dire che considero l'obiezione di coscienza uno dei segnali di alta civiltà. chiaramente l'obiezione non si deve limitare a qualche categoria, ma comprende la cittadinanza intera, a prescindere dai mestieri e dalle professioni, quando si trova a dover affrontare per legge un incarico che contraddice la coscienza. 6 Ma adesso cerchiamo di mettere assieme i pezzi e di venire a bomba. In linea teorica non ho nulla contro l'obiezione dei medici: fino a prova contraria sono anche loro uomini appartenenti alla ns stessa nazione e godono di uguali diritti-doveri. Mi vorticano velocemente gli attributi quando quest'obiezione mette in difficoltà struttura pubbliche nell'espletare le proprie funzioni. mi spiego: nessun ginecologo è obbligato a "sbarcare il lunario" in un Ospedale pubblico: in Italia ci sono migliaia di cliniche della"Madonna", "del sangue....", "delle figlie di..." ecc. possono tranquillamente andare a lavorare là dove senz'altro sarebbe molto apprezzata la loro posizione. L'ostinarsi a lavorare in un posto dove l'insieme delle prestazioni da offrire all'utenza prevede anche situazioni di contrasto con le proprie idee, mi sembra un posizione massimamente utilitaristica: sono come le case di cura privata che accettano soltanto malati che siano economicamente produttivi, case di cura che non hanno il pronto soccorso perchè economicamente passivo. sono come coloro che si prendono i pazienti dalle strutture pubbliche e o li visitano privatamente o li dirottano verso strutture convenzionate (sono private); sono come quei medici che lavorando nel pubblico acquisiscono un'esperienza notevole che poi monetarizzano col lavoro nelle strutture private. Senza arrivare ai casi di tragica comicità italica dove si assiste a medici che fanno il giro degli ospedali per attuare quelle IVG che i loro colleghi si rifiutano di fare; secondo me basterebbe arrivare a : 1) abolizione dell'ordine dei medici. e di tutti gli ordini professionali:strutture di origine fascista luogo maxime di interessi corporativi. 2) stipula del contratto di lavoro con previsione della sottoscrizione del singolo ove venga precisato l'obbligo di svolgere ogni, tutte, le mansioni (ovviamente compatibili con la figura professionale)che vengono attuate nella struttura ove si lavora. Per concludere, almeno qui, cito, non ricordo più da dove,: "...l’obiezione implica che non vi siano altri modi per rispettare le proprie convinzioni etiche, morali, religiose o ideologiche se non infrangendo volontariamente e consapevolmente (da qui l’espressione “di coscienza”) la norma cui ci si oppone, e assumendosene la responsabilità in prima persona, senza coinvolgere altri soggetti”. Per questo motivo è arbitrario usare l’espressione “obiezione di coscienza” in riferimento ad alcuni fatti realmente accaduti (spesso ricorrenti e attuali) come, per esempio, il rifiuto di un architetto di dar corso a un progetto difforme dalla sua visione ideologica della società, del diniego di alcuni farmacisti di vendere prodotti anticoncezionali quali pillola o profilattico, alla mancata disponibilità di molti medici ginecologi di strutture sanitarie pubbliche a praticare l’operazione di aborto. Ciò perché in nessuno dei casi citati il c.d. “obiettore” affronta alcuna conseguenza penale o civile, non esistendo alcun obbligo - precostituito per legge - di svolgere le azioni che egli rifiuta di compiere. Tale c.d. “obiezione” è, nei fatti, un’azione priva di qualsivoglia responsabilità personale e le cui conseguenze vanno a carico di soggetto terzo (nel caso di mancata prestazione sanitaria, l’utente richiedente il servizio al sistema sanitario nazionale), ovvero l’esatto contrario dei requisiti necessari per poter parlare di obiezione di coscienza. Quindi basterebbe secondo me una norma che, compresa nel contratto nazionale di lavoro, prevedesse l'"obiezione" come rottura contrattuale con immediata risoluzione del rapporto di lavoro. A questo punto, quanto meno sarebbe possibile "contare" sul serio i veri obiettori dagli "obiettori comodi" che magari continuano a praticare nei loro studi, dietro lauto compenso, quello che la "coscienza" impedisce loro di compiere nel servizio pubblico. Saluti. giuliano 751 - TESTAMENTO BIOLOGICO: BASTA UN EURO - DI EDOARDO SEMOLA Da: il Corriere della Sera di sabato 5 aprile 2008 Un atto di disobbedienza civile, un prezzo politico: un euro soltanto. 7 E’ la battaglia personale del notaio Luigi Aricò, che nel suo studio certifica i testamenti biologici anche se non potrebbe: in 80 si sono già rivolti a lui. Diritti civili? Disobbedienza civile. Mentre in campagna elettorale i temi cosiddetti “etici” faticano a trovare spazi di discussione, a Firenze c’è un notaio si dà da fare con la sua personale battaglia per il testamento biologico. Anzi, di più: li redige direttamente i “testamenti biologici”. Ne ha già certificati ottanta. E tutti al prezzo simbolico, o politico, di un euro. Luigi Aricò è un “disobbediente”. Ha un lussuoso ed austero studio notarile in piazza Strozzi numero uno. Si entra, accomodandosi in una delle due “savonarola” in legno del suo studio, e si comincia: «Buongiorno notaio, vorrei dettare le mie condizioni di fine vita». Linguaggio formale, come si richiede in uno studio notarile. «Dopo poco però – racconta Aricò – passano alle parole che conosciamo tutti: testamento biologico, eutanasia». Eutanasia? Ma è illegale. «E’ quello che vogliono. In un modo o nell’altro, pensano tutti all’eutanasia». «Un anno fa, quando ancora si pensava che i diritti civili avrebbero trovato uno sbocco parlamentare – continua – il Consiglio Nazionale del Notariato si rese disponibile a redigere testamenti biologici e a istituire un registro nazionale, e questa disponibilità non è mai stata ritirata». Aricò non ha fatto altro che passare dalla teoria alla pratica. «Perché non è permesso ma neppure proibito». E perché «ci sono margini d’azione, a cominciare dall’immagine di un notaio che si espone in prima persona». Come oggi, quando il notaio Aricò parteciperà ad un dibattito sul tema nei locali della Chiesa Valdese di via Manzoni numero uno a Firenze, alle 17, insieme a Mario Riccio, l’anestesista di Piergiorgio Welby, e Giancarlo Fornari, Presidente di «LiberaUscita». L’unico problema ad oggi insormontabile è la forza cogente di questi atti: «bisognerà arrivare a rendere “normale” che un medico segua queste disposizioni di fine vita. Senza una legge non lo si può costringere». L’importante è dare un segnale forte: un euro per ogni «living will». «Gratis non potevo, per una questione di dignità professionale, ma era giusto che il prezzo fosse soltanto simbolico». Certo, se poi si vuole registrare l’ultima bio-volontà nel registro nazionale «con l’imposta si passa a 168 euro». Ma chi sono gli avventori dello studio di Aricò che con tanto anticipo pensano a quando la vita porrà loro difficili e dolorose scelte? La voce si è sparsa principalmente attraverso il passaparola: «le persone che vengono da me sono generalmente di medio-alta estrazione sociale, dai 5° anni in su, anche se è venuta anche una ragazza di 30 anni a cui hanno dato 6 mesi di vita. Sono tutti consapevoli, leggono i giornali e spesso hanno anche buone conoscenze scientifiche». Dalle parole ai fatti, dunque. Perché Firenze è un campo di battaglia, di resistenza, civile: «Non conosco i nomi dei medici, ma so che anche a Firenze l’eutanasia clandestina si pratica». E la giustizia? «Nel tribunale di Firenze ci sono magistrati illuminati e all’avanguardia su questi temi – sostiene il notaio Aricò – magistrati che se fossero coinvolti potrebbero e saprebbero motivare bene certe scelte coraggiose». 752 -TESTAMENTO BIOLOGICO: E SE LO PORTO DAL NOTAIO? DI MARCO BAZZICHI Da: Radio radicale – 11.4.2008 Il paziente agonizzante chiede pietà e vuole farla finita, un altro è in coma da 5 anni, in stato vegetativo. Ma i medici impediscono di staccare la spina. "Non è in grado di intendere e di volere" spiegano i ben pensanti, "nel dubbio lasciamo tutto così". Poi salta fuori un amico o un parente con una dichiarazione scritta, dalla quale risulta che lo stesso paziente, quand'era nel pieno possesso delle proprie facoltà, non avrebbe voluto né continuare a 8 sopravvivere ridotto a larva o a pianta, né soprattutto prolungare il massacro affettivo e mentale di chi lo circonda. Quel documento non dà alcun vincolo a medici e magistrati, ma, se non altro, qualora risulti certificato da un notaio e da due testimoni, e magari sia depositato al registro dei testamenti, serve a stabilire l'identità e la volontà di chi l'ha redatto. Per questo, è utile, e sicuramente non dannoso, recarsi da un notaio a depositare un semplice e chiaro testamento biologico, nel quale si ufficializzi la volontà di non continuare a sopravvivere attaccati per sempre ad una macchina o colpiti da un'irreversibile lesione cerebrale. Ma a quale notaio ci si può rivolgere? Per ora, fermo restando che questo genere di documento non è previsto ma nemmeno proibito dalla legge italiana, conosciamo soltanto il notaio Luigi Aricò che, nel suo studio in Piazza Strozzi a Firenze, accetta e ufficializza testamenti biologici alla cifra simbolica di un euro. "L'intervento del notaio - spiega Aricò - dà la certezza dell'identità personale". Già questo non è poco: "nessuno può contestare, in primo luogo, che sia un falso stilato da parenti, associazioni per l'eutanasia o che altro. L'intervento notarile serve a dare la certezza dell'identità delle parti. Il testamento biologico diventa così comunque un atto da esteriorizzare". Oltre all'identità si certifica anche la volontà: "dal punto di vista giuridiconotarile, il fatto che non vi sia un pubblico ufficiale che prenda in mano il testamento biologico", per via del vuoto legislativo, "non crea particolari problemi". Addirittura, se qualcuno, in quanto notaio, lo prende in mano, "è obbligato, secondo la legge vigente notarile del 1913, a registrarlo, il che significa portarne una copia all'ufficio del registro". Perché proprio a un euro? "C'è chi dice che andrebbe registrato gratis e senza tassa, ma questo è da discutere. Tutte le volte c'è l'impiegato che non vuol saperne e si rifiuta di archiviarlo se non si paga una tassa anche minima." E' invece dal punto di vista medico e politico che si pone il problema di farlo rispettare, perché "se ne infischiano tutti", dice Arico'. Mentre per i testamenti normali si può nominare un esecutore testamentario, "il problema nasce quando si arriva con questo testamento biologico, perché c'è il vuoto legislativo". Ad ogni modo non è proibito, anzi, è nel rispetto della legge che un notaio ufficializzi un testamento biologico, "che ha valore al 100% fino a che non si arriva al medico che può dire: 'io me ne infischio'. E che gli fai? Per fortuna Riccio - il medico di Welby - è stato assolto". Andare dal notaio e mettere nero su bianco, con tanto di testimoni, nella speranza che ci aiuti a uscire, il prima possibile, dall'agonia che Welby ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica: è un gesto che è utile, "nonostante il vuoto legislativo, perché non è detto che poi di fatto non venga rispettato e poi perché c'è una base per dare futuro sviluppo al testamento biologico, forzando la mano all'opinione pubblica e ai politici. Stiamo parlando di cose atroci - conclude Aricò - e a me pare che tenere per forza in vita è una crudeltà tremenda. Quanta più gente ne farà, tanto meglio potrà essere regolamentato". 753 - QUANTO E’ CRISTIANA LA DESTRA - DI BARBARA SPINELLI da: La Stampa di domenica 6 aprile 2008 Chi ha visto su Internet il film Fitna, che in arabo significa stato di divisione, guerra civile, sarà stato colpito dalla violenza con cui si parla non tanto dei terroristi che pretendono rappresentare Dio ma del Corano e delle sue sure. Ogni attentato corrisponde a una sura, ogni assassinio attinge ai suoi versetti: come se per parlare dei territori palestinesi occupati si mostrassero le pagine bibliche che incitano allo sterminio dei Cananei e dei tanti popoli insediati nella terra promessa. Autore del film è un parlamentare olandese, Geert Wilders, appartenente all’estrema destra. Un partito minoritario, se non fosse che la sua ideologia in Europa è diffusa, per nulla marginale. È ideologia dominante nel Popolo della libertà che aspira a governare l’Italia: nella Lega, ma anche in Alleanza nazionale e Forza Italia. È solida corrente di pensiero in Francia. 9 E’un’ideologia che ha il potere di tacitare i dissenzienti, intimorire giornali. La sua tesi centrale: questi sono tempi terribili, contrassegnati dal dilagare dei diritti, del permissivismo, della perdita d’autorità e d’identità. Giulio Tremonti nel suo ultimo libro li riassume con due parole, simili a quelle di Oriana Fallaci dopo l’11 settembre: «Al fondo (della difesa dell’identità) c’è qualcosa di molto più intenso che una parodia bigotta della tradizione: è un misto di paura e orgoglio» (La Paura e la Speranza, Mondadori 2008). Paura del diverso, che ci assedia. Orgoglio di chi si esalta, temprandosi, nelle proprie radici e nello scontro di civiltà. Il film di Wilders infiamma questo scontro come si fa con la brace: soffiandoci sopra. Più scontro c’è, più ritroveremo noi stessi. Avere un nemico fa bene all’anima, fuori casa e dentro. Il libro di Tremonti è la traduzione delle immagini di Fitna. Il modo di scrivere è analogo: formule brevi, a scatti, a slogan. Non mancano riflessioni importanti sulla globalizzazione ma il nocciolo è lo scontro di civiltà e la solitudine dell’individuo in Stati e società indeboliti. Quel che lo salva è l’identificazione con comunità chiuse, piccole, etnicamente e religiosamente omogenee. Lì sono le radici: immutabili, impermeabili a qualsiasi incrocio-meticciato col diverso. Il valore da opporre al mercatismo globale è l’esclusione: il contrario del messaggio di Gesù, oltre che della storia laica d’Europa. Quel che dà sicurezza, in chi cerca l’identità con orgoglio e paura, il lettore lo scopre a partire da pagina 77: visto che è nella differenza che si formano comunità unite, visto che l’identità «non è solo ciò che siamo, ma anche differenza da ciò che non siamo», «tutto è chiuso nella coppia dialettica “noi-altri”». «Non vale qui la logica “sia l’uno che l’altro”»: prima veniamo noi con le nostre radici cristiane poi gli altri, con cui non dev’esserci confusione. Un tempo l’avanguardia era la classe, dopo venne la razza, ora ecco l’identità cristiana. Tremonti dice esplicitamente (è un suo merito) che il Noi non serve solo a riempire il «vuoto nell’anima e nel cuore». Serve alla politica per consolidare una «rivendicazione di potere» altrimenti esangue, che non deve temere conflitti con l’Altro. Anche in questo caso, come nel film olandese, non sono pensieri minoritari. Tremonti s’immagina rivoluzionario controcorrente ma le sue sono idee conformisticamente consensuali, che intimidiscono. Hanno impregnato per anni l’America, e solo Obama le contesta veramente. Intimidiscono a tal punto che ogni pensare diverso viene malinteso, demonizzato. Negli stessi giorni in cui appariva Fitna (27 marzo), negli stessi giorni in cui in Italia si discuteva il libro di Tremonti, in Inghilterra era dramma attorno a un discorso, essenziale, dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams. Il capo della Chiesa anglicana è stato accusato - per aver detto che parti della Shariah potrebbero conciliarsi col codice civile - di capitolazione verso il nemico, di appeasement. Quel testo conviene leggerlo: non dice affatto le cose che i giornali gli attribuiscono. È un testo profondo, in cui si difende la laicità (Rowan parla di rule of law, valevole per ciascuno) ma si cercano nuovi orizzonti: a questa laicità, bisogna integrare i fedeli di altre tradizioni, come l’Islam. La shariah non è un sistema di leggi, ma un metodo aspirante al bene che alcuni codificano in modo «primitivista», opprimendo innanzitutto la donna. Non mancano però convergenze, da valorizzare. I diritti nelle società liberali vanno custoditi ma non «attivati per forza»: opporre a essi l’obiezione di coscienza deve essere giuridicamente consentito, anche se tutti, cittadini musulmani compresi, devono potersene avvalere. Esenzioni analoghe già sono concesse per legge agli ebrei ortodossi, o ai cristiani sull’aborto. In fondo, Rowan condivide la distinzione che Gustavo Zagrebelsky fa tra valori e principi. I valori sono un bene finale, imposto dall’alto, senza badare ai mezzi. I principi sono un bene iniziale con cui ci si incammina verso la meta confrontandosi con la realtà. La laicità è un approdo arduo, cui si giunge tramite l’adattamento e la ricerca di punti comuni con l’altro. Per non sciuparla e perderla devi tener conto che ogni persona ha oggi più identità: di fedele e cittadino, di musulmano e italiano, di italiano e europeo. Queste dualità esistono anche nell’Islam, secondo Rowan. 10 Rowan è stato trattato come un erede di chi cedette a Hitler. Ma chi lo attacca ha una singolare concezione della religione, dell’identità, della laicità; sinistramente somigliante a quella degli integralisti musulmani, che piegano la religione alla politica e a comunitarismi tribali. Non a caso la Chiesa è vista, da Tremonti, come strumento di dominio. Serve a riempir vuoti, non tanto spirituali ma di potere. Serve a escludere (con la formula del Noi e gli Altri) e a creare capri espiatori. Non tutta la Chiesa si presta a simile strumentalizzazione, lo si è visto nei giorni scorsi a Milano. Di fronte a uno sgombero eccezionalmente brutale di due campi nomadi (via Bovisasca, via Porretta), il cardinale Tettamanzi s’è indignato: ha detto che «la legalità è sacrosanta», ma «qui si sta scendendo abbondantemente sotto i limiti stabiliti dai fondamentali diritti umani». Il rispetto della persona avrebbe imposto «qualche tanica d’acqua, del latte per i più piccoli, un presidio medico, qualche soluzione alternativa»: «C’è da augurarsi che la conquista dell’Expo non diventi il paravento per nascondere o spostare più in là i drammi di questa città». Questo tipo di Chiesa indispettisce la destra. Ha un «buonismo peloso», protesta Romano La Russa, dirigente An a Milano. Tremonti stesso dice, nel libro: alla «vecchia tradizione puramente caritatevole» bisogna sostituire la «responsabilità verso se stessi, verso la propria famiglia, verso la propria comunità». La carità ai suoi occhi è come il ‘68, contro cui si erge la destra italiana ed europea. In realtà anche il ‘68 è paravento. Quel che si contesta è il patrimonio conciliare e giovanneo della Chiesa, ed è la tradizione liberale del Saggio sulla Libertà di John Stuart Mill (1859). È Mill e non il ‘68 che teorizza il diritto di parola dato a ciascuno - perfino a chi sostiene la poligamia - se non si vuol precipitare nella «tirannia del sentimento predominante» e nel «profondo sonno dogmatico indotto da un’opinione definitiva». Condizione di questo liberalismo è tuttavia non usare la Chiesa. Quando il sindaco Moratti si dichiara «profondamente amareggiata dalle parole del cardinale» (Corriere, 4-4) accampa un ben stravagante diritto: il diritto ad avere un’aspettativa politica verso il proprio vescovo. Tale è l’identità cristiana invocata dalla destra. Non la cura dei poveri, degli ultimi, del diversi. Ma un orgoglio da tener acceso facendo leva sul più orrido dei marchingegni politici: la paura. 754 - I DUE BENEDETTO CONTRO L’ILLUMINISMO - DI MARIO PIRANI da: la Repubblica di lunedì 21 aprile 2008 La vittoria della destra contiene in sé tutte le premesse per l´accentuarsi dell´interferenza religiosa sull´ordinamento laico della Repubblica. E´ facile, infatti, prefigurarsi lo zelo privo di remore ideali di Berlusconi e associati di fronte alle prescrizioni del Pontefice e della Conferenza episcopale sia che si tratti di coppie di fatto, di concepimento assistito o di aborto, di sovvenzioni alle scuole cattoliche o di convenzioni favorevoli alle cliniche di Ordini e Congregazioni. Ma tutto ciò si inquadrerà ancor più di quanto non avvenga in una complessa azione ideologica per ridurre la cultura laica ad una funzione ancillare e di servizio nei confronti della trascendenza e della verità come rivelazione. E´ un´offensiva che ha come teatro l´Europa cattolica con l´Italia da epicentro. Lo "Standard" di Vienna tracciando un quadro sulla ripresa in forza del cattolicesimo militante scrive: «L´ora sembra essere quella di una Riconquista politica... Un clero senza complessi si autoinvita oggi nello spazio pubblico... con una arroganza che non si era più vista da molto tempo nella vecchia Europa». Potrei proseguire con una miriade di citazioni internazionali ma quel che m´interessa è proporre ai lettori una riflessione sul carattere dell´offensiva clericale. Molti affermano che essa sgorga dall´emergere delle questioni "eticamente sensibili", ma a me pare che alla radice vi sia l´antica avversione per l´Illuminismo, per il libero pensiero, per la piena autonomia dell´individuo, per un´etica pubblica sottratta all´imperativo religioso. 11 Siamo di fronte ad un grande balzo culturale all´indietro, a prima della Rivoluzione francese. Mi conforta in questa tesi un bel libro appena uscito, «Il governo della lettura. Chiesa e libri nell´Italia del Settecento» (ed. Il Mulino, Bologna 1908) di Patrizia Delpiano, che analizza e rende di impressionante attualità il conflitto tra la Chiesa e l´Illuminismo e, cioè, quella filosofia della Ragione, banalmente declassata al livello dell´incerto laicismo dei nostri giorni. L´oggetto della ricerca ha, anzitutto, la particolarità di concentrarsi sul XVIII secolo, il "secolo dei Lumi", quando la Chiesa appare sulla difensiva, dopo il periodo trionfante delle Congregazioni dell´Indice e dell´Inquisizione nei due secoli precedenti. Mentre declina la pratica dei roghi la Chiesa «sposta il baricentro dalle tecniche repressive a quelle persuasive». La materia del contendere è il controllo della cultura che allora voleva dire il controllo sui libri e sulla lettura, e la gerarchia ecclesiastica individua il nemico in «categorie culturali che andavano ben oltre l´eresia protestante.... Proponendo una morale laica, del tutto aliena dalla fede dogmatica tridentina, l´Illuminismo pareva travolgere l´ordine costituito e attaccare in nome dell´universalismo cosmopolitico, la stessa identità cattolica e cristiana della penisola». Anche il romanzo e la lettura d´intrattenimento «sono guardati con sospetto in quanto capaci di raggiungere un pubblico più ampio della tradizionale élite di lettori. Furono i due fenomeni (come non paragonarli alla Tv di oggi?, ndr) strettamente intrecciati nell´immaginario ecclesiastico a sollevare... una ricca riflessione sui danni della lettura... uno dei pericoli assoluti cui sembrava esposto quel popolo che la Chiesa in passato aveva cercato di proteggere dai veleni del protestantesimo». Artefice di quella «controrivoluzione attiva» fu il celebre cardinal Lambertini, bolognese, assurto al Soglio come papa Benedetto XIV. Parso a molti il papa della tolleranza, «seppe in realtà trasformare l´Indice (che venne soppresso solo nel 1960 dopo il Vaticanio II) in uno strumento adeguato... a incoraggiare tra i letterati la pratica dell´autocorrezione e dunque dell´autocensura. Nel corso del secolo furono condannati tutti i classici dell´Illuminismo italiano ed europeo... In tal senso la resistenza della Chiesa ai Lumi ha oltrepassato il Settecento, sopravvivendo al tramonto dell´Illuminismo storicamente inteso... Non è soltanto nel breve periodo che bisogna valutare gli effetti di censura e propaganda svolta dalla Chiesa nel Settecento. In quella fase consegnò al futuro indicazioni preziose, seppe approntare un apparato teorico compatto, costituito in gran parte contro il mondo dei Lumi, basato sul ruolo centrale del cattolicesimo nella vita pubblica... sulla difesa dei doveri contro la rivendicazione dei diritti dell´uomo». Nel cancellare le conquiste del Concilio il Benedetto bavarese raccoglie, dunque, l´eredità del Benedetto bolognese. Ecco con cosa i laici debbono confrontarsi. 755 - AI CONFINI DELLA LAICITÀ - DI GAD LERNER da: la Repubblica di mercoledì 23 aprile 2008 Ogni giorno che passa, fra i difensori della laicità si accentua la sensazione desolante di presidiare una frontiera già attraversata in lungo e in largo dalle incursioni nemiche. Ma saranno poi sempre nemiche, tali incursioni? Se il "vescovo rosso" Fernando Lugo vince le elezioni in Paraguay ponendo fine a oltre mezzo secolo di regime di destra, salutiamo in lui un´avanzata della democrazia. E se all´altro capo del mondo, in Polonia, un politico come Lech Walesa dichiara che "sarebbe una disgrazia" la nomina del reazionario monsignor Slawoj Leszek Glodz alla guida della diocesi di Danzica, apprezziamo il coraggio con cui - da cristiano - interferisce pubblicamente in una scelta del suo papa. Gli esempi potrebbero essere numerosi. Basti per tutti l´importanza che l´argomento religioso riveste nella campagna elettorale di Barack Obama. Bisognerà pure che i suoi numerosi estimatori laici riconoscano quanto Gesù è presente nei suoi discorsi. Fin da quando gli ultraconservatori lo attaccavano: «Gesù Cristo non voterebbe per Barack Obama, perché Obama si è comportato in modo inconcepibile per Cristo». Sollecitandolo a invadere 12 il loro stesso terreno con le motivazioni bibliche del suo impegno pubblico: «Dopo la stagione dei condottieri come Mosè, capaci di sfidare il faraone affermando i diritti degli afroamericani, io sento di appartenere alla generazione di Giosuè, dei continuatori». Dovremmo forse accusarlo di integralismo? Al contrario, temo che il ritardo con cui la politica italiana si è emancipata dall´egemonia di partiti fondati su un´appartenenza religiosa, oggi ci stia giocando un brutto scherzo. La nascita del Partito democratico, inteso dai suoi fondatori come superamento degli steccati identitari, è stata così faticosa da sollecitarli a una cautela eccessiva. Tra i democratici italiani prevale tuttora l´idea anacronistica che la motivazione religiosa dell´impegno politico vada sottaciuta. Pena il rischio di urtare le suscettibilità altrui o, peggio, di evidenziare le divisioni culturali esistenti nel campo cattolico. Naturalmente un tale scrupolo è ben lungi dallo sfiorare la destra, protesa nel tentativo di appropriarsi in toto dell´argomento religioso, ma nel frattempo svelta ad accusare di tradimento i pochi pastori d´anime che osano criticare la sua politica. Mentre i benpensanti laici restano appostati in trincea a denunciare ogni sconfinamento tra politica e religione, i leghisti milanesi non hanno esitato un minuto a rivendicare il "loro" Vangelo (in ruvido, discutibile stile padano) volantinando di fronte alle chiese contro l´arcivescovo Tettamanzi, colpevole di eccessiva sensibilità per i diritti degli immigrati senzatetto. Quarant´anni fa, nel 1968, era il dissenso cattolico a osare simili contestazioni pubbliche nei confronti della gerarchia. Trattenuto da una malintesa concezione della laicità, oggi il cattolicesimo di sinistra mugugna stordito nell´attesa che si levi, sempre più rara, la voce di un cardinale amico a rappresentarne il malessere. Il problema italiano non è infatti che Camillo Ruini parla troppo di politica. Il problema è che nessun esponente politico gli risponde sul suo medesimo terreno della testimonianza, della prossimità, della misericordia, della coerenza, della spiritualità. I vari Prodi, Rutelli, Marini, Bindi, Parisi se lo sono proibiti, come se la sfida culturale fosse ancora delegabile ai loro riferimenti conciliari, quasi tutti scomparsi se non altro per ragioni anagrafiche. Così si consolida il luogo comune che nel mondo contemporaneo il messaggio religioso sia appannaggio della destra. E viceversa che non possa più esistere una sinistra religiosa. Tale rinuncia produce l´effetto di una vera e propria mutilazione. Posti di fronte alla ripetuta, frequente violazione del comandamento («Non invocherai il nome di Dio falsamente»); e di fronte allo stravolgimento dello spirito evangelico riguardo a tante persone di cui viene negata la stessa umanità, molti politici religiosi si autocensurano e con ciò si diminuiscono. Evitano di significare pubblicamente le motivazioni più profonde del loro impegno civile. Attardandosi sulla frontiera colabrodo della laicità, rischiamo di esagerare l´importanza dei nuovi compagni di viaggio "teodem", faticando a riconoscerli membri a pieno titolo del Partito democratico. Il fastidio diffuso nei confronti di Paola Binetti si alimenta di un equivoco. Tutt´altro che un retaggio clericale d´altri tempi, né impiccio né residuo, col suo cilicio e la sua affiliazione all´Opus Dei, la Binetti è figura politica modernissima. Il futuro ce ne riserverà sempre di più, non necessariamente agganciate come lei a una relazione fiduciaria con la gerarchia ecclesiale. Del resto il passato del cattolicesimo democratico è ricco di figure capaci di esprimere sé stesse per intero, senza che ciò violi alcun imperativo di laicità. Vale la pena citare un ricordo di Raniero La Valle, estensore trent´anni fa del fondamentale articolo 1 della legge 194 sulla tutela sociale della maternità e l´interruzione volontaria della gravidanza. Intervenendo al Senato in difesa della legge, il cattolico di sinistra La Valle non esitò a citare il fiat evangelico di Maria al concepimento del figlio di Dio come episodio di autodeterminazione imprescindibile della donna, riconosciuta titolare inaggirabile del rapporto col nascituro anche nel Vangelo. La scelta politica e la scelta religiosa si sovrappongono più di quanto certi guardiani retrogradi della laicità siano disposti a riconoscere. Negarlo regala spazio a chi pratica l´ostentazione dei valori come strumento di potere. 13 Come il resto del mondo, è facile prevedere che anche l´Italia sarà palcoscenico in futuro di una sfida tra destra e sinistra religiosa, anche se baldanzosamente la destra s´illude di averla già vinta. Tale sfida rischia ovunque di logorare la tenuta del sistema democratico e il principio di laicità dello Stato. Aggrediti pure dalla miscela di fede, nostalgia, sessuofobia, pregiudizio antiscientifico, disagio esistenziale, cui ricorrono gli integralismi. Ma l´antidoto non sarà mai il divieto di una pulsione incomprimibile. Semmai è la reciproca interferenza, la contestazione dell´oscurantismo sullo stesso terreno della spiritualità. Perché il confronto avvenga proficuamente va preservata una cornice di regole pubbliche, quelle sì da difendere in trincea. La scuola statale di tutti, per prima, come luogo formativo e d´integrazione nei valori democratici. E poi le norme laiche di un codice civile che non s´illuda di replicare mai il modello di convivenza già fallito nella democrazia ex-imperiale britannica: un comunitarismo - per dirla con Amartya Sen - che frantuma la cittadinanza in affiliazioni separate, il cui destino è finire in rotta di collisione. Salvaguardata la laicità dello Stato. Conseguito un sistema democratico moderno i cui partiti ospitano senza distinzioni credenti, non credenti, diversamente credenti. Nel nostro tempo impaurito la politica tornerà a nobilitarsi solo rappresentando una speranza globale, e dunque - perché no - anche religiosa. 756 - ZAPATERO INVENTA LA MORTE DIGNITOSA - DI CLAUDIO SINISCALCHI da: Libero di mercoled’ 23 aprile 2008 In tutto il territorio spagnolo, da oggi, sarà possibile evitare l’accanirnento terapeutico, facendo un testamento sanitario. Al malato viene così riconosciuta la facoltà di disporre delle proprie volontà, in caso si trovasse nell’impossibilità di poterle esprimere. Non è un passo verso I’eutanasia, che resta comunque vietata dalla legge, ma un tentativo di affrontare un problema etico assai dibattuto. La moderna medicina, attraverso terapie farmacologiche, alimentazione, idratazione e respirazione artificiali, riesce ormai a prolungare la vita anche per periodi molto lunghi. Ma è una vita? A domandarselo sono in molti. E ogni tanto il pietoso caso di un malato terminale, o film tra loro molto differenti nel senso come “La farfalla e lo scafandro” e “Mare dentro”, rilanciano il dibattito. Le posizioni al riguardo sono molto distanti. I pro-life si oppongono; i sostenitori dell’eutanasia ovviamente la pensano in maniera opposta. Il confine tra l’accanimento terapeutico e la preservazione della vita ormai si è fatto davvero sottile. Agli spagnoli viene riconosciuto il diritto di poter lasciare per iscritto la loro volontà, nel caso dovessero trovarsi in futuro nelle condizioni di non potersi pronunciare sulla continuazione di cure impiegate per il mantenimento artificiale della vita. Non si tratta dalle più parti auspicata eutanasia “attiva”, che resta illegale in Spagna. Ma un’indicazione da lasciare a medici o parenti, Costretti spesso a dover prendere decisioni sulle scelte terapeutiche più indicate per un malato terminale, o colpito da danni cerebrali irreversibili. La regolamentazione dei “testamenti vitali” completa il percorso avviato dal Parlamento spagnolo con l’approvazione, nel 2002, della cosiddetta “legge sulla autonomia del paziente”. Con la legge divenne possibile istituire nelle comunità autonome appositi registri dove i cittadini potessero indicare, in stato di piena facoltà, la loro decisione di ricevere o meno determinati trattamenti medici. I dati contenuti nei registri finiscono in un archivio centrale, depositato presso il ministero della Sanità, dove attualmente sono raccolti 30.500 “testamenti” inviati da dodici delle diciassette comunità spagnole. La legge tutela comunque i medici dal non dover obbligatoriamente seguire le volontà del malato: la parola definitiva sulle terapie da seguire, o da bloccare, spetta sempre alle équipe sanitarie. La nuova normativa viene incontro solo parzialmente alle aspettative dell’associazione Dmd (Derecho a Morir Dignamente, diritto a morire dignitosamente). Da anni questa associazione si batte per l’interruzione volontaria della vita, e da tempo denuncia le difficoltà burocratiche della legge, poiché ad esempio il registro sanitario contenente le volontà dei malati non è 14 accessibile durante i fine settimana o di notte, e che vi sono ancora lentezze nell’archiviazione digitale dei dati. L’associazione, attiva sin dagli anni Sessanta in favore della “morte dignitosa”, consiglia di compilare il “testamento sanitario” basandosi sull’assistenza medica, al fine di avere tutte le informazioni al riguardo; e soprattutto di lasciarne copie a un notaio o in famiglia. La legge spagnola continua dunque a vietare richieste di eutanasia e di trattamenti contrari alla medicina tesa a salvaguardare la vita, Su questo non ci sono margini di dubbio. Con la nuova normativa sanitaria Zapatero non dovrebbe aprire un nuovo fronte polemico con la chiesa cattolica spagnola. Anche perché già i fronti aperti sono diversi. Quello che resta da capire è se questa nuova normativa serva ad aggirare l’ostacolo. Visto che l’eutanasia non è formalmente raggiungibile, il” testamento sanitario” può rivelarsi un valido escamotage per introdurla nella sostanza della pratica di tutti i giorni, senza di fatto introdurla formalmente. Per il momento non si registrano reazioni da parte della Conferenza Episcopale Spagnola, né vi sono prese di posizione di associazioni e organi di stampa ad essa vicini. Ma da domani ha inizio una nuova fase. Condurrà all’eutanasia? 757 - LEZIONI DI DEMOCRAZIA - DI NELLO AJELLO da: la Repubblica di martedì 29 aprile 2008 In occasione del centocinquantesimo anniversario dell´Unità d´Italia, che cadrà nel 2011, un gruppo di intellettuali ha progettato una serie di iniziative, da rinnovarsi ad anni alterni, che si raccolgono sotto il nome di Biennale Democrazia. A collaborare all´iniziativa sono chiamati la città di Torino e il «Comitato Italia 150», già al lavoro nel capoluogo piemontese. Presidente di Biennale Democrazia è Gustavo Zagrebelsky. Gli abbiamo rivolto alcune domande. Com´è nato, professore, il vostro progetto? «L´idea è sorta fra un gruppo di amici, sulla scìa di un preciso precedente, cioè del ciclo di conferenze che si tenne a Torino nella primavera-autunno del 2004, dedicato alla figura di Norberto Bobbio e centrato su temi etici e politici. Ci impressionò, allora, l´interesse suscitato, anche fra la gente comune, dalla personalità e dall´opera di Bobbio. Nei due teatri, il Regio e il Carignano, che ospitavano le conferenze, affluirono migliaia di persone per conoscere nei particolari il pensiero del filosofo. Quella serie di interventi, di cui fu animatore Pietro Marcenaro, parlamentare del Partito Democratico, venne poi raccolta dall´editore Einaudi nel volume Lezioni Bobbio, uscito nel 2006. Abbiamo pensato di dare un seguito a quell´esperienza in un´accezione più ampia: non un semplice ciclo di conferenze, ma un lavoro continuativo, che si concreterà, ogni due anni, in una settimana di lezioni». Quando esordirà la Biennale Democrazia? «La prima sessione la terremo l´anno prossimo, dal 22 al 26 aprile: una settimana che incrocia l´anniversario della Liberazione. Sarà una sorta di prova generale delle celebrazioni previste per il centocinquantesimo anniversario dell´Unità d´Italia. Nel 2009 saranno cento anni dalla nascita di Bobbio. Alla base di tutto c´è l´aspirazione a considerare l´intera vicenda risorgimentale non solo nella dimensione statale e territoriale, già interamente realizzata, ma anche in senso etico-politico. Disegno, quest´ultimo, che rientra fra i compiti ancora da perseguire». Due fasi distinte, dunque, dell´unificazione nazionale. Con quale rapporto fra loro? «La democrazia è un insieme di aspirazioni mai realizzate una volta per tutte. Già l´unificazione geografica ha creato dei problemi, esemplificati per molti decenni dalla questione meridionale. Ed ecco che essa si presenta, oggi, in una nuova forma: come questione settentrionale. L´una e l´altra "questione" si legano fra loro come fattori confluenti di disgregazione. Ne risulterebbe un paese unificato nel desiderio di scindersi. I fondamenti 15 di legittimità della nostra democrazia sembrano essere entrati in crisi, riducendosi nella pratica a motivi di discordia». Certo, un bel paradosso. Anche perché risulta chiaro che non si tratta di una mera controversia territoriale, ma di una sostanziale contesa etico-politica. «Un vero assetto democratico presuppone la tendenziale uguaglianza fra i cittadini. In Italia ci si trova, invece, di fronte a una situazione nella quale - a cominciare dalla disponibilità delle conoscenze - si verifica uno squilibrio crescente, acuito dallo sviluppo delle nozioni tecnologiche. Alla democrazia si contrappone, in molti casi, la tecnocrazia. Ciò riguarda la condizione interna di ciascuno stato, ma anche la democrazia a livello internazionale». In che modo si presentano, particolarmente in Italia, questi problemi? «Guardi lo stato in cui versa la scuola. Si cerca di risolverne le difficoltà mediante un approccio di tipo tecnico, privilegiando gli aspetti meramente professionali dell´insegnamento: si pensi, per dirne una, alla trovata delle tre «i», concepita nel 2002 da Silvio Berlusconi: inglese, internet, impresa. Un approccio d´indole esecutiva. La democrazia, invece, richiede cittadini capaci non solo di eseguire, ma anche di decidere che cosa realizzare, perché e come. E´ in questa prospettiva che va considerata la sfida che ci pone oggi l´istruzione». L´immigrazione, accanto ai suoi riflessi positivi, presenta una fisionomia tale da aggravare simili inconvenienti. Come si pensa di farle fronte? «Occorre integrare gli immigrati in uno stile di vita che non disconosca le loro particolarità, ma si fondi su un ethos minimo condiviso. Esso dovrebbe in primo luogo comportare la comune rinunzia alla violenza, che genera paura». E viceversa. Ecco un circolo vizioso che va interrotto. Con quali interventi? «Il vero antidoto è l´adozione di un tipo di sicurezza che non agisca a senso unico, ma quale componente d´un contesto generale. Riferiamoci a una proposta attuale: le ronde. Esse, che pure mirano a un obiettivo di sicurezza, diffondono violenza e moltiplicano la paura. Ciò appunto perché non rappresentano un rimedio di sistema. Risentono, al contrario, di pulsioni esclusive e "di parte"». So bene che il tema democrazia è inesauribile. Ma quali proposte concrete avanzerete nella prima sessione della vostra Biennale? «Pensiamo, per cominciare, proprio al coinvolgimento delle scuole. Prenderemo in esame le proposte provenienti dal mondo dell´istruzione: docenti e studenti. Riprodurremo e diffonderemo a Torino esperimenti attuati in altre zone d´Italia». Può farmi qualche esempio? «Eccone uno, denominato "le belle tasse": titolo che venne adottato in epoca non sospetta, prima cioè che il ministro Padoa Schioppa affermasse, con una battuta controversa, che "pagare le tasse è bello". L´esperimento si svolse fra gli allievi delle scuole elementari di Roma. A ciascuno scolaro fu assegnato un gruzzolo in monete di cioccolata per finanziare, mediante tassazione, un qualche progetto comune: una festa, una gita, una recita. Nacquero subito, fra i piccoli contribuenti, alcune domande: alla spesa dobbiamo partecipare tutti nella stessa misura, o qualcuno pagherà di più e qualche altro di meno? E ci sarà chi farà il furbo, evitando di contribuire? Sono, "in nuce", i problemi della democrazia fiscale, dal giusto gravame dei tributi all´evasione e all´elusione». Avete in programma altre iniziative capaci di interessare ampi ceti sociali? «Progettiamo di promuovere esperimenti di democrazia deliberativa, attraverso discussioni fra cittadini informati. Si fornisce a un campione di persone una serie di dati di conoscenza imparziali su un tema controverso: il voto agli immigrati, poniamo. Dopo aver sottoposto l´argomento a dibattito, si confronteranno i risultati della conversazione con le opinioni iniziali dei partecipanti. E´ un esempio dei progetti capillari che confluiranno nelle "lezioni magistrali" previste per la settimana. Ad assistere alle quali inviteremo qualche centinaio di 16 studenti che abbiano partecipato alle iniziative preparatorie. Vorremmo, per ospitarli, predisporre un "campus" con la collaborazione del comune di Torino». Torniamo ai presupposti ideali di Biennale Democrazia. In quale misura al conseguimento della seconda Unità d´Italia, quella etico-politica, potrebbe essere di ostacolo la funzione che in Italia esercita la Chiesa? Mi riferisco all´interventismo della Santa Sede nelle vicende pubbliche. «L´unificazione cui pensiamo implica la partecipazione di tutti i soggetti portatori di istanze etiche. A patto che nessuna di queste forze si erga ad unico interprete autorizzato dell´ethos nazionale». 758 - LA SINISTRA SUCCUBE DELLA DESTRA - DI FABRIZIO RONDOLINO da: la Stampa di martedì 29 aprile 2008 C’è la sinistra in Italia? Dal punto di vista lessicale, per la prima volta dal 1946 non è presente in Parlamento. Non soltanto non ci sono più i comunisti e i socialisti: non c’è più neppure la parola «sinistra», che i Ds ancora portavano sulle loro insegne. I risultati delle ultime elezioni non sono meno drastici: grosso modo, il Pd è fatto per un terzo di ex Margherita e per due terzi di ex Ds; sommando alla quota diessina i voti raccolti da tutte le sinistre antagoniste (compresi Ferrando e Turigliatto) e dal Ps, si arriva al 27,3% dei voti validi. Tre punti in meno di quanto raccolse il Fronte popolare di Nenni e Togliatti nel '48. Sette punti in meno della «gioiosa macchina da guerra» assemblata da Occhetto nel ‘94. Più di cinque punti in meno rispetto ad appena due anni fa. Si è più volte polemizzato, in campagna elettorale, sulle somiglianze fra i programmi del Pd e del Pdl, con reciproche accuse di «aver copiato» e con l’inevitabile evocazione del nuovo mostro, il «Veltrusconi». In realtà, che i programmi dei due partiti che competono per il governo di un qualsiasi Paese occidentale siano relativamente simili è un’assoluta ovvietà. Non è infatti sui programmi che si decide il successo di una forza politica, ma sulla sua identità. In generale, l’idea che far politica e vincere le elezioni significhi presentare una lista della spesa più o meno credibile, più o meno compatibile, e più o meno gradita agli esperti del Sole 24Ore, è un'idea risibile. Sebbene la parola sia carica di equivoci, la politica è fatta di valori, non di programmi. Ciò naturalmente non significa che le «cose», cioè i programmi elettorali e le leggi che (a volte) ne conseguono, non abbiano un peso e un significato: ma quel significato è inscritto e dipende da un sistema di valori che lo precede e lo contestualizza. L’esempio più clamoroso è lo scontro sulla sicurezza. È evidente a tutti che chi commette un reato va punito, e che i crimini vanno prevenuti: non è dunque di questo che si sta discutendo. Negli ultimi sette anni, Berlusconi ha governato per cinque, e se c’è oggi un’emergenza, una qualche responsabilità deve avercela anche il centrodestra: ma all’elettore di Berlusconi quest’ipotesi non viene neppure in mente. Viceversa, né i provvedimenti già presi dal centrosinistra (la criminalità nelle aree metropolitane è oggettivamente diminuita), né quelli annunciati in campagna elettorale, riescono a soddisfare un’opinione pubblica che, si legge sui giornali, «non ne può più». La ragione è semplice. Nell’identità valoriale della destra c’è un’idea di ordine sociale tendenzialmente esclusivo anziché inclusivo, c’è il valore della comunità e della nazione, c’è l'idea un poco paternalistica per cui uno scappellotto ogni tanto fa bene, e così via. I fallimenti pratici dei governi di centrodestra sono oscurati dalla saldezza dell’orizzonte simbolico di riferimento. Per la sinistra, accade esattamente il contrario. I valori storici della sinistra hanno a che fare con la solidarietà e con la difesa dei più deboli. Una politica di sinistra moderna dovrebbe chiedersi come declinare questi valori nel mondo d’oggi; se però, come accade regolarmente, finge che siano andati fuori corso e suggerisce l’impressione di scimmiottare la destra, il risultato è un cortocircuito vistoso che lascia perplessi i simpatizzanti e certo non convince gli incerti. 17 In altre parole, la sinistra su molte questioni suona inautentica a chi non è di sinistra, e ambigua o irriconoscibile a chi lo è, perché nel dibattito pubblico insegue sempre più spesso (magari per moderarne la portata) le proposte della destra, cioè quelle proposte, giuste o sbagliate, che sorgono e fruttificano all’interno di un universo valoriale tradizionalmente di destra. In questo modo la sinistra subisce la scelta del campo di gioco e accetta di giocare una partita non sua. Oggi è la destra a detenere saldamente l’egemonia culturale del dibattito pubblico, di cui regolarmente scrive l’agenda. Si tratta di una novità che pochi, persino a destra, sanno riconoscere. Ma è questa la novità politica del nuovo secolo, e da qui discende tutto il resto. Fare politica significa convincere i cittadini delle proprie buone ragioni, per poi agire di conseguenza una volta eletti; non significa rincorrere l’opinione pubblica in cambio di una poltrona. L’idea stessa di «opinione pubblica» è fuorviante, e andrebbe maneggiata con cura. La sinistra invece ne è diventata succuba, e scambia regolarmente il sismografo per il terremoto; come una mosca impazzita, sbatte contro il vetro dell'avversario senza accorgersi che tutt'intorno lo spazio è aperto. Il moderatismo e il radicalismo, le due malattie mortali della sinistra italiana, sono precisamente questo sbattere senza fine della mosca contro il vetro. Il moderatismo del Pd ha paura di spaventare i «moderati», rincorre la Lega al Nord, nasconde i Radicali e archivia i Dico; il radicalismo dell'Arcobaleno si trincera dietro una serie estenuante di no. Entrambi sono figli del Pci di Berlinguer, che dapprima annacquò il profilo programmatico fino a renderlo indistinguibile da quello di Andreotti, nel tentativo di cancellare l’appartenenza, seppur su posizioni critiche, all’universo sovietico; e che poi, fallita la «solidarietà nazionale», si rifugiò nel fondamentalismo ecopacifista e finì col condividere fin nei dettagli la politica estera di Breznev. Da allora, la sinistra ha sempre oscillato e si è sempre divisa fra il tentativo di cancellare il colore di una pelle di cui si vergogna, e l’esibizione rancorosa della propria impotenza. Eppure non è così difficile, nel mondo, essere di sinistra, «essere sinistra». Lasciamo da parte Blair, che è stato a lungo indicato come modello e che nel frattempo se ne è andato in pensione senza che una sola delle sue idee trovasse ospitalità nella prassi della sinistra italiana. Guardiamo a Zapatero. Il suo straordinario successo elettorale non si deve a una complessa alchimia di alleanze moderate o a un cambio di nome, ma, più semplicemente, all’aver rifondato una sinistra per la Spagna, e all’aver convinto gli spagnoli che quella sinistra avrebbe governato (cioè interpretato) la contemporaneità meglio della destra. Il centrosinistra italiano in sette anni di governo non è stato capace di legiferare sulle unioni civili, sulla libertà di ricerca scientifica, sul conflitto d'interessi, sulle droghe leggere, sulla procreazione assistita, sulla liberalizzazione dell'accesso alle professioni… In compenso i conti pubblici sono un po’ meno in disordine, mentre quelli delle famiglie non quadrano più. Nulla di ciò che segna oggi l’idea e il concetto di sinistra è stato fatto dalla «sinistra» italiana. In particolare, il campo cruciale delle libertà individuali e dei diritti civili è stato congelato in nome di un malinteso rapporto con il mondo cattolico, dimenticando che la sinistra ha sfondato al centro, negli Anni Settanta, grazie alle battaglie sul divorzio e sull'aborto. Se non si comincia da qui, cioè dalla definizione di un un’identità radicata nella tradizione e capace di fruttificare nel presente, la sinistra, nonostante abbia persino smesso di chiamarsi così, continuerà a perdere. Fra l’originale e una confusa contraffazione, non è difficile scegliere l’originale. Paralizzata fra il rifiuto della modernità e l’esaltazione dei suoi aspetti più stupidi, la sinistra dovrebbe invece fermarsi a riflettere, riordinare un po’ le idee, convincersi che il Pci non c’è più (e neppure la Dc), che il mondo non ha bisogno di essere cambiato ma, finalmente, interpretato, e che soltanto fidandosi di se stessa potrà sperare di convincere gli italiani a fidarsi di lei. 18 Francamente, non so se Veltroni abbia il tempo, la voglia, la capacità o l’interesse a compiere un’impresa del genere. Ma fra i tanti effetti collaterali della disintegrazione della sinistra in Italia c'è stata anche, com’è noto, la disintegrazione sistematica dei suoi leader. Veltroni è l'ultimo: non ci sono alternative, né ruote di scorta. Dunque tocca a lui, e speriamo che ce la faccia. 759 - NUOVI SERVIZI DI CITTADINANZA Venerdì 4 aprile si è svolto l’incontro con la stampa e con i candidati alle elezioni comunali e municipali di Roma indetto da diverse associazioni laiche per il lancio dell'appello a favore dei NUOVI SERVIZI DI CIITTADINANZA. La sala riunioni di via Genova, messa a disposizione da LiberaUscita, era piena di candidati di tutte le liste (assenti totalmente quelli del centrodestra malgrado siano stati regolarmente invitati), di rappresentanti di associazioni laiche e di semplici cittadini. I lavori sono stati registrati da Radio Radicale e da GBR TV. Presente anche un inviato di Panorama. Il segretario di LiberaUscita ha aperto la riunione quale responsabile dell'associazione ospitante, Claudio Bocci (Altrevie) ha illustrato il contenuto dell'iniziativa e Francesco Paoletti (UAAR) ha coordinato il dibattito. Al termine è stato diramato il comunicato stampa sotto riportato. COMUNICATO STAMPA All’incontro tenutosi stamattina presso la sede dell’Associazione LiberaUscita, sul tema “Nuovi servizi di cittadinanza”, hanno partecipato numerosi candidati delle diverse liste al Consiglio comunale ed ai Consigli municipali di Roma, rappresentanti delle Associazioni laiche promotrici dell’iniziativa e personalità della politica e della cultura. Le Associazioni promotrici hanno presentato ed illustrato il testo di un Appello rivolto a TUTTI i candidati alle prossime elezioni amministrative di Roma affinché si impegnino, qualora eletti, a promuovere sui territori l’istituzione di “NUOVI SERVIZI DI CITTADINANZA” ispirati al principio della laicità delle Istituzioni come la realizzazione di registri per il testamento biologico e per le unioni civili, di spazi per il commiato laico e il matrimonio civile, l’insegnamento dell’educazione civica e della cultura della laicità. Le adesioni all’Appello, che vanno inoltrate all’indirizzo di posta elettronica [email protected], saranno diffuse alla stampa mercoledì 9 aprile 2008 e contestualmente riportate nel sito web www.altrevie.it nonché nei siti di tutte le Associazioni promotrici. L’Appello ha già raccolto l’adesione di numerosi candidati nonché di personalità pubbliche. Fra gli altri Corrado Augias, Alessandro Battisti, Giorgio Benvenuto, Luigi Berlinguer, Adele Cambria, Franca Coen, Franco Grillini, Sergio Lariccia, Miriam Mafai, Ignazio Marino, Stefano Rodotà, Mina Welby. Le associazioni promotrici (elenco provvisorio): Altrevie, Giordano Bruno, Circolo Mario Mieli, Crides, Democrazia Laica, Fondazione Critica Liberale, Giustizia e Libertà, Gruppo laico di ricerca, Italialaica, LiberaUscita, NoGod, Società laica e plurale, SOS razzismo, UAAR. 760 - AMSTERDAM: LA MORTE ASSISTITA IN EUROPA – DI MARIA ELINDA GIUSTI Il 28 marzo scorso si è svolto ad Amsterdam, in occasione del 35° anniversario della fondazione di NVVE, l’organizzazione olandese per il diritto di morire, un simposio europeo sul tema “La morte assistita in Europa”. La nostra associazione è stata rappresentata da Maria Elinda Giusti, del Comitato Direttivo nazionale di LiberaUscita, la quale ci ha inviato il resoconto che di seguito pubblichiamo.(gps) Il simposio si è svolto in due momenti precisi (mattina e pomeriggio), trattando i due filoni principali del dibattito, ossia i diritti umani e le cure palliative. Dopo una breve introduzione 19 con i ringraziamenti e le formalità di rito, si è entrati nel vivo , focalizzando l'attenzione su una prospettiva europea, partendo ovviamente dalle esperienze di Olanda, Belgio e Svizzera. La legge sull'eutanasia, raggiunta dall'Olanda 6 anni fa, ha avuto il merito di rendere DIBATTIBILI argomenti considerati tabù e ha portato un notevole incremento delle cure palliative, ma paradossalmente, una volta passata la legge, il dibattito sembra essersi sopito, anzi viene deliberatamente scoraggiato. La nuova frontiera da raggiungere è una legge che porti a una fusione di quelle esistenti in Olanda, Belgio e Svizzera, in modo da poter fronteggiare al meglio l'ampia casistica delle problematiche di fine vita. Ludwig Minelli sostiene che molti olandesi e belgi si rivolgono a Dignitas, e questo è un segnale della perfettibilità della legge vigente nei Paesi Bassi. D'altro canto non è stato rilevato alcun caso di eutanasia e seguito di disposizioni di fine vita (testamento biologico) e questo ci mostra quanto ancora resta da fare. Bisogna quindi stimolare il dibattito e il confronto. Il dialogo con gli stessi aspiranti suicidi è spesso la chiave di volta per riuscire ad affrontare coscientemente il problema, Spesso la società reagisce ai desideri suicidi indirizzando il soggetto verso i medici, aumentando così il senso di isolamento dell'individuo, il suo disagio e la sua incapacità di comunicare. Portando ad esempio alcuni episodi realmente accaduti, Minelli riferisce dell'esperienza positiva di Dignitas nell'affrontare le varie fasi del sostegno al desiderio di suicidio. La cooperazione tra Dignitas e gli psichiatri infatti fa si che il 70% dei pazienti che si rivolgono a Dignitas si sentano confortati tanto da non ricontattare più l'associazione nonostante il parere positivo per l'assistenza al suicidio. Se vogliamo prevenire il suicidio dobbiamo essere pronti ad offrire aiuto reale: anche perchè poco si parla dei rischi legati ad un suicidio mancato, che lasciano danni gravissimi e spesso irreversibili (non ci sono vere e proprie statistiche, ma si può valutare circa un 40% di suicidi mancati rispetto alla totalità di quelli riusciti). Non c'è bisogno di regole ulteriori, semplicemente il rispetto di quelle vigenti, che garantiscono la libertà di scelta dell'individuo: la battaglia è ancora lunga per diffondere e discutere di temi così scottanti, e la strada più veloce, purtroppo, è spesso quella dei tribunali, delle sentenze, visto il potere della chiesa, dei medici, del Parlamento. Sheila McLean, con un intervento molto tecnico (è una giurista) sostiene che il termine Human Rights (diritti umani) è un termine abusato, che rischia di non avere alcun significato e che cela il conflitto e il confronto: il vero diritto in realtà è il diritto di scegliere. Se non sosteniamo questo diritto, rischiamo che i medici decidano per noi, decidano chi è in grado di scegliere o no. Secondo la Mc Lean è utile partire dal concetto di libertà di scelta perchè è una piattaforma consolidata e già accettata dalla società, un buon punto di partenza, già avanzato. Dalla platea si chiede ai due relatori quale sia la strada più veloce per ottenere risultati: entrambi citano la Corte Europea dei Diritti Umani (European Court of Human Rights) come metodo più veloce, ma non sempre il più efficace. Come sottolinea anche il moderatore, Erik Jurgens, non si può imporre un punto di vista morale per legge: portando avanti una politica europea in questo senso si rischia un inasprimento delle posizioni all'interno delle singole nazioni. Il malato ha diritto di ricevere o rifiutare un trattamento, ma il medico ha il dovere di rispettarlo? Sheila McLean riferisce anche di sanzioni pecuniarie nel Regno Unito e che la discussione in questo senso si è estesa anche all'aborto. Ludwig Minelli riferisce che in Svizzera dal 2006 IL SUICIDIO E' UN DIRITTO COSTITUZIONALMENTE GARANTITO: se si rispetta questa regola e qualcuno chiede il nostro aiuto restano tre strade, ossia rifiutare, accettare illegalmente o accettare legalmente, e questa è la strada da percorrere, è importante la trasparenza, uscire allo scoperto. Questa affermazione sul diritto al suicidio provoca un acceso dibattito; dalla platea vari interventi mostrano perplessità sul concetto di diritto al suicidio, per il fatto che chi si avvicina a questa 20 scelta spesso è un individuo in crisi, bisognerebbe focalizzare invece l'attenzione sulle cause di questa sofferenza. Inoltre si sottolinea che secondo quest'ottica, la presenza del medico nell'assistenza di fine vita sembra quasi superflua: invece i medici non vanno demonizzati nel loro contributo a vivere e morire, se sono disponibili ad ascoltare le istanze dei pazienti. Sheila McLean sottolinea che bisogna avvicinare la "santità" della vita (da non intendere per forza in senso religioso) al diritto di autodeterminazione, che può voler dire anche il rifiuto delle cure palliative. Il medico va addestrato a capire la persona, perchè solo così la scelta resta a disposizione del paziente. Dopo la pausa pranzo, il dibattito riprende focalizzandosi sulle cure palliative, ed è chiamata a parlare la delegazione francese: in platea siede anche Marie Humbert, che il giorno dopo riceverà un riconoscimento ufficiale per il suo impegno. Si parla naturalmente del caso di Chantal Sébire: il caso ha scosso la Francia, che sta vivendo un momento particolare di sensibilizzazione alle libertà personali. In Francia c'è stato un notevole incremento delle cure palliative ed è legale una sorta di sedazione terminale, che mantiene in stato di incoscienza il paziente terminale nelle ultime ore della sua agonia. Nelle stesse ore in cui si concludeva la vicenda di Chantal, Ugo Klaus, malato di Alzheimer, ha ottenuto l'eutanasia in Olanda, sulla base di una richiesta chiara e cosciente: era ancora nei primi stadi della malattia, quando la coscienza è ancora presente. Come si accennava precedentemente, non avrebbe potuto chiedere l'eutanasia sulla base di un testamento biologico, nonostante il decorso della malattia sia ampiamente documentato. Jean Huss, politico dell'area dei Verdi lussemburghesi, passa poi a descrivere la situazione in Lussemburgo: il 19 febbraio è passata una legge che ha reso legale l'eutanasia, ed è stata la prima volta in 29 anni che il partito cristiano socialista è stato messo in minoranza. La battaglia portata avanti dai Verdi è iniziata nel 1993 ed è continuata faticosamente fino al 2003, quando la votazione venne persa per solo 2 voti. Nel 2004 vennero raccolte firme a sostegno di una petizione popolare, e nel 2008, con 30 voti a favore e 29 contrari la legge è passata. Questo ha portato a reazioni molto forti, soprattutto a una decisa opposizione clericale: l'argomento principe della chiesa è che le cure palliative sono sufficienti, che non esiste il diritto ad uccidere e che possono verificarsi degli abusi. Ora si sta discutendo per arrivare a una legge e sistemare le parti tecniche in modo da non stravolgere la sostanza. Verrà regolamentata anche l'area che riguarda la sedazione terminale, per malati di cancro soprattutto, da effettuarsi anche a casa. L'esempio di Olanda e Belgio è comunque rassicurante, visti i buoni risultati e i pochi casi dubbi. L'ultimo e impegnativo intervento è quello di Stans Verhagen, oncologo ed esperto in cure palliative a Nijmegen. La definizione di "cure palliative" viene data solo nel 2005 e corrisponde a "un intenzionale affievolimento della coscienza di un paziente nell'ultima fase della sua vita, se null'altro sembra funzionare". La società moderna pensa che la condizione normale sia la salute, che ogni malessere sia malattia e che se il corpo si ammala il sistema di controllo della salute sia sbagliato: ecco perchè si parla così poco di cure palliative, anche tra i medici, e non li si prepara. Si arriva a parlare di cure palliative soltanto quando si è allo stadio terminale: si sbaglia a non dare informazioni su TUTTE le alternative al paziente nei primi stadi della malattia, ed è un errore di medici che spesso non sanno usare bene le cure palliative. I dottori spesso fanno fatica a parlare di morte: ma la MIA MORTE è mia, non del dottore, della famiglia, della società, dei giudici. Bisogna capire il che il concetto di dolore è estremamente complesso, non è una semplice reazione nervosa (mi brucio un dito e il sistema nervoso lo comunica al cervello) ma è un dolore a 360°, una sofferenza, fisica, psicologica, emotiva. Il medico deve essere preparato a fronteggiare questa situazione delicatissima. Il suo intervento scatena un acceso dibattito perchè si ha l'impressione che per Verhagen la scelta sia in realtà in mano al medico, più che al paziente. La discussione 21 porta a chiarire che per Verhagen il medico va responsabilizzato nel momento in cui è la porta d'accesso del malato alla gamma delle cure possibili: è fondamentale l'importanza della formazione dei medici per poter rispondere adeguatamente alle esigenze dei pazienti. Al termine dei lavori ci salutiamo con un brindisi. A tutti voi ancora grazie per avermi concesso di rappresentare Libera Uscita. Non mi sono sentita di intervenire, con il direttivo non avevamo programmato un intervento e nel contesto così insolito mi sentivo un pò impacciata, ma la prossima volta non mancherò. Piccola curiosità: non ho notato altre delegazioni dall'Italia, ragione in più per essere fieri della nostra presenza. Un abbraccio Maria Elinda Giusti 761 - FIRENZE - CONVEGNO SU TESTAMENTO BIOLOGICO ED EUTANASIA Sabato 5 aprile si è tenuto a Firenze, presso il Centro culturale protestante, un interessante e partecipato dibattito sul tema “Problematiche di fine vita: tra testamento biologico e diritto all’eutanasia”. All’incontro hanno partecipato, fra gli altri, il dr. Mario Riccio, socio onorario di LiberaUscita, il prof. Giancarlo Fornari, Presidente dell’associazione, Meri Negrelli, coordinatrice per la Toscana, e molti nostri soci. Sullo svolgimento del dibattito riportiamo qui sotto una sintesi di Meri Negrelli ed un commento del ns. responsabile di Firenze, Urbano Cipriani Da Meri Negrelli Sabato 5 Aprile 2008, si è tenuto l’incontro “Problematiche di fine vita – tra testamento biologico e diritto all’eutanasia” con presentazione del libro di F. Chaussoy “Non sono un assassino” organizzato da LiberaUscita Toscana e il Centro Culturale Vermigli di Firenze. Sono stati relatori il dott. Mario Riccio, il dott. Giancarlo Fornari e la dott.ssa Mariella Orsi. Ha moderato l’incontro il prof. Marco Ricca del Centro Vermigli. E’ stato un incontro ben riuscito, la sala gremita di persone, tutti gli interventi apprezzati da un pubblico molto attento. Erano presenti diversi medici alcuni dei quali sono intervenuti con argomentazioni interessanti nel dibattito. In particolar modo è stato apprezzata la presenza del Presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze, dott. Antonio Panti che sollecitato dal prof. Ricca, è intervenuto esprimendo opinioni favorevoli ad una legge sul Testamento Biologico. Sono stati venduti una trentina di libri e distribuiti numerosi moduli per il Testamento Biologico che sono stati richiesti anche da alcuni medici. Del buon esito devo ringraziare il Circolo Vermigli per l’ospitalità e collaborazione ed in particolar modo il prof. Ricca che in prima persona si è attivato e mi ha supportato in tutte le fasi dell’organizzazione e che tanto si è speso per propagandare l’iniziativa. Spero vivamente di poter portare avanti con lui anche altre iniziative. Un ringraziamento sincero anche alla sig.ra Nardini, del Centro Vermigli, che tanto si è adoperata per i comunicati stampa e l’invio degli inviti. Gli interventi al convegno possono essere riascoltati su Radio Radicale: http://download.radioradicale.it/store-11/roma/2008/04/MP476356.mp3 Da Urbano Cipriani Sabato 5 aprile in Via Manzoni 19, nel Centro culturale Protestante, ci siamo trovati, in una sala piena di gente, a parlare della vita e della morte intorno ad un piccolo libro del costo di 10 euro, escluso senza colpa dalla catena di distribuzione. Un medico francese racconta la sua vita di rianimatore concentrata nel momento più umanamente coinvolgente della sua esperienza professionale: quando è intervenuto per soddisfare la richiesta di un ragazzo di poco più di vent’anni, quella di essere sottratto a una cattiva morte con una buona morte. 22 Due uomini a fronte: Frédéric e Humbert. L’angelo della buona morte accusato di assassinio da chi benedice ed esalta i morti per la patria nelle guerre giuste e preventive, da chi tiene nel lettino di tortura di una cameretta dell’ospedale di Lecco - da 15 anni - Eluana Englaro… Non sono un assassino! grida Fréderic Chaussoy dalle 200 pagine del libro, in pubblicazione estrauterina di una editrice d’occasione. Avevo letto il libro tutto d’un fiato appena uscito pochi mesi fa. Mi aveva colpito il modo immediato e diretto di raccontare particolari di vita di famiglia e situazioni di vita d’ospedale, affetti, amori, dolore e morte tutti intrecciati tra casa e ospedale e il rombo improvviso e assordante del fenomeno mediatico, l’interrogatorio di un tenente di polizia, l’incombere del giudice, il sostegno della gente, il turbamento della famiglia, il vario atteggiamento dei colleghi. Può capitare a tutti nella vita un passaggio brusco dalla routine quotidiana di una vita normale al frastuono di una tempesta mediatica che ti rintrona il cervello e ti toglie il sonno durante lunghe interminabili lotte. La cronaca Passiamo a un po’ di cronaca. Titolo dell’incontro di questo sabato pomeriggio d’un Aprile tutto acqua neve e vento: “Problematiche di fine vita: tra testamento biologico e diritto all’eutanasia”. Confronto fra il caso francese Humbert-Chaussoy e il caso italiano WelbyRiccio. Conoscevo tutti i presenti al tavolo di presidenza tranne Mario Riccio, l’anestesista di Welby, che incontravo per la prima volta. E fa sempre piacere la conoscenza diretta. Non intendo fare la cronaca giornalistica che pure sarebbe utile; tocco solo alcune corde che hanno prodotto una vibrazione nel mio animo. Il brano letto da Meri Negrelli, l’organizzatrice di tutto per conto della nostra Associazione Libera Uscita, l’intervento di Mario Riccio nel momento che si sente dire, dal rappresentante dei medici anestesisti (nel pieno della trasmissione di fama mondiale Uscio a Uscio di Biondo Ape) “Sei un assassino”, l’espressione di Giancarlo Fornari, Presidente Nazionale di Libera Uscita, quando ha ricordato che la gerarchia cattolica che ha negato il funerale in chiesa a Welby ha concesso la tumulazione d’onore in una cattedrale romana ad un esponente riconosciuto della banda della Magliana, Mariella Orsi, sociologa, Presidente della commissione di bioetica della Regione Toscana quando a spiegato la differenza tra il tempo di cura e quello di relazione (il medico che fino al giorno della tua morte insiste nel farti le radiazioni chimiche invece di quelle affettive). Ma il momento più intimamente mio l’ho vissuto, ad insaputa di tutti tranne di chi mi legge ora, quando ha parlato Antonio Panti, Presidente dell’ordine dei medici di Firenze, dichiarando la sua adesione umana e professionale alla lettera e allo spirito di quanto detto nel corso della riunione riguardo al trattamento di fine vita. Parlava il rappresentante di quello stesso ordine che aveva in anni neppur molto lontani (1995) espulso dall’albo medico Giorgio Conciani, reo di aver praticato - senza interesse e vantaggio personale - quanto oggi legittimato dalla legge 194, nonché di aver ottemperato alla richiesta di un paziente per l’acquisto di barbiturici. A lui era stato chiuso con sigillo lo studio medico e quando ha deciso di por fine alla sua vita non ha avuto altro mezzo per farlo che una corda al collo (terzo tentativo dopo che persone amiche l’avevano per due volte costretto a ritornare in vita contro la sua volontà). Per tutto il tempo che ha parlato il dott. Panti ho rivissuto quella giornata lì al Girone, tra Firenze e Compiobbi, quando con Paola siamo andati a visitarne la salma ancora esposta, avendo l’occasione di un colloquio allucinante con una persona lì presente che si faceva un merito di aver con tutte le sue forze e mezzi fino all’ultimo tentato di impedirgli il suicidio, costringendolo così a scegliersi l’impiccagione. Tutto per amore. Poco tempo ma tanta acqua d’Arno è passata dal vecchio mulino e dalle antiche gualchiere che fanno ancora bella mostra in quei paraggi a ridosso di Firenze. Il dott. Panti, senza nominarlo, stava con ogni sua parola riabilitando la figura di questo grande uomo e medico compassionevole. Uno dei tanti nostri santi laici. Aspetto con fiducia il momento in cui 23 l’Ordine dei medici fiorentini porga le sue scuse e riabiliti con decreto motivato Giorgio Conciani. Una parentesi: note di cronaca su Giorgio Conciani (articolo di Annalisa Usai - “La Repubblica”, 15 maggio 1997) Firenze - Non avrà funerale e sarà cremato. Queste le ultime volontà di Giorgio Conciani, il ginecologo radicale che si è ucciso ieri sera, impiccandosi in cantina. Il suicidio del “dottor morte” italiano, il giorno dopo, chiede ancora un’ultima risposta, in una vita per il resto lineare e cristallina nelle sue scelte. Perché una morte così cruenta, la morte dei prigionieri in carcere, degli adolescenti, dei disperati? Perché Giorgio Conciani non ha usato su di sé i farmaci che dai lontani anni Ottanta, sfidando ogni legge, prescriveva a molti pazienti che si rivolgevano a lui per cercare una “dolce morte”, e che lui aiutava “perché prolungare la vita di un malato terminale è peggio di qualunque tortura”? La risposta l’ha data poche ore fa all’agenzia Ansa suo figlio Ferruccio, lo stesso che ha trovato il suo corpo senza vita, tornando a casa ieri sera: “Mio padre non ha scelto la “dolce morte” perché riteneva che impiccarsi fosse un mezzo più sicuro. La malattia che lo aveva colpito gli impediva di muoversi per andare in farmacia e, essendo stato radiato dall’ordine dei medici, non poteva prescriversi i farmaci che aveva usato per altri”. Nel novembre del 1995 l’ordine dei medici di Firenze aveva infatti radiato Giorgio Conciani per “motivi etici”, con l’accusa di aver prescritto cocktail di farmaci ad aspiranti suicidi. “Una cosa è provocare l’eutanasia in una persona che soffre gravemente di una malattia terminale per la quale morirà, altra cosa è se uno manifesta desiderio di suicidarsi perché è depresso. Questo da un punto di vista medico è intollerabile”. Questo è quanto ha dichiarato Antonio Panti, presidente dell’ordine dei medici di Firenze. “Il motivo della sua radiazione non aveva niente a che vedere con l’eutanasia. La sua era istigazione al suicidio”. “Era molto depresso dopo la radiazione dall’albo e la grave malattia che lo avrebbe progressivamente portato all’immobilità assoluta”, ha spiegato all’Ansa Ferruccio Conciani. “Spesso mio padre aveva manifestato l’intenzione di togliersi la vita e alle mie osservazioni rispondeva che le idee di un uomo vanno rispettate. Qualche volta speravo che non avesse il coraggio di suicidarsi, ma come potevo sperare, visto che in vita sua ha sempre fatto quello che voleva?”. I brani del libro di Frédéric Chaussoy letti da Meri Negrelli “Tutte queste macchine sono state inventate per impedire agli uomini di morire, giusto il tempo che i medici facciano il necessario per curarli e che l’organismo recuperi le capacità di vivere in modo autonomo. Spesso, funziona. Ma, quando non funziona, bisogna pur risolversi a staccare la spina. Un uomo attaccato al respiratore non cessa mai di respirare, fin tanto che la macchina continua a funzionare. E allora? Cosa fare? Che le cose siano ben chiare, anche se ci disturbano: in numerosi casi, la gente che muore nei reparti di rianimazione, super-attrezzati di macchine per la vita, muore perché a un certo momento è stata presa la decisione di non utilizzare più queste macchine per mantenerla in vita. E non è tutto. Quando si decide di fermare le macchine, cosa succede? Nei film le spie luminose cessano di lampeggiare sul monitor e l’ammalato rende l’ultimo respiro, finalmente tranquillo. Durante un telegiornale, in cui si parlava di Vincent, ho perfino visto l’immagine di una presa maschio che veniva staccata dalla presa femmina, in una camera d’ospedale. Fine della puntata! Come se fosse così semplice! “Si dà il caso che la realtà sia più dura. Il più delle volte, l’ammalato si mette a soffocare. Morirà per asfissia. Morirà, è certo. Ma non subito. Ci vuole tempo, per l’asfissia. Il corpo umano non cede così facilmente. Si batte, per istinto. Cerca l’ossigeno di cui ha bisogno e che non ha più i mezzi per trovare. In alcuni reparti, chiudono la porta della camera, giusto il tempo che “questo” accada. A volte le infermiere, alle quali la situazione sembra insopportabile, vengono a supplicare il medico di “fare qualcosa” perché “questo” cessi. A volte il medico risponde loro di “fare il necessario”. E a volte lo “fa” lui stesso. (pag.120) 24 Il testamento di vita è una buona idea perché mi rafforza nella giustezza della mia decisione: ho rispettato la volontà del mio paziente. Tutti i lettori del libro di Vincent possono attestarlo … Nessun bisogno di aspettare l’avvento di una legge perché ognuno di noi scriva il suo testamento di vita! Anche se, per adesso, questi documenti non hanno nessun valore legale, potrebbero per lo meno illuminare i medici sulla volontà di un paziente che giunge da loro incosciente, o incapace di comunicare. Potrebbero suffragare in modo formale la richiesta dei familiari. Potrebbero, soprattutto, concedere al paziente la libertà di essere l’attore della propria storia, anche se privo di qualsiasi mezzo espressivo … Anche se la legge non lo riconosce ancora, credo che il testamento di vita sia una buona idea. Un modo di dare a ciascuno il tempo di riflettere sulla propria fine, in mancanza della possibilità di poterla scegliere; un mezzo responsabile e adulto per affrontare la propria morte come la propria vita. E non di lasciarne le redini alla famiglia, a un’équipe medica, o addirittura a un procuratore della Repubblica… (pag. 130). Per finire. La vita secondo Woody Allen La cosa più ingiusta della vita è come finisce. Voglio dire: la vita è dura e impiega la maggior parte del nostro tempo… Cosa ottieni alla fine? La morte. Che significa! Che cos’è la morte? Una specie di bonus per aver vissuto? Credo che il ciclo vitale dovrebbe essere del tutto rovesciato. Bisognerebbe iniziare morendo, così ci si leva il pensiero. Poi, in un ospizio dal quale si viene buttati fuori perché troppo giovani. Ti danno una gratifica e quindi cominci a lavorare per quarant’anni, fino a che sarai sufficientemente giovane per goderti la pensione. Seguono feste, alcool, erba e il liceo. Finalmente cominciano le elementari, diventi bambino, giochi e non hai responsabilità, diventi un neonato, ritorni nel ventre di tua madre, passi i tuoi ultimi nove mesi galleggiando e finisci il tutto con un bell’orgasmo! (Urbano Cipriani) 762 - GIANCARLO FORNARI SCRIVE A MARIA ANTONIETTA COSCIONI Il Presidente di LiberaUscita, Giancarlo Fornari, ascoltate da radio radicale le dichiarazioni rilasciate da Maria Antonietta Coscioni, candidata radicale alle elezioni politiche nelle liste del Pd nel Friuli Venezia Giulia, le ha inviato la seguente lettera aperta. <Cara Coscioni, come Presidente di un’associazione che si batte – e lo ha fatto spesso insieme ai radicali – per la causa dell’eutanasia, mi spiace dirle che sono rimasto francamente sconcertato dalla risposta da lei data domenica 6 aprile alla domanda di un’ascoltatrice, in una trasmissione di Radio radicale dedicata alla sua candidatura nelle liste del Pd. La domanda era stata posta da una signora di Roma, la quale, dopo aver ricordato che su Radio radicale c’è una rubrica settimanale dal titolo “Vivere e morire” incentrata sulla difesa dell’eutanasia, ha citato una frase di Ignazio Marino, presidente della Commissione Sanità del Senato, secondo cui l’eutanasia consiste nel somministrare un veleno come si fa nelle camere della morte texane. Come parlamentare - le ha quindi chiesto l’ascoltatrice – Lei pensa di agire attivamente in favore di questa pratica? Ora dovrebbe essere per tutti evidente che questo paragone con l’esecuzione capitale, che effettivamente il senatore Marino ha fatto più volte per giustificare la sua contrarietà all’eutanasia, e che non a caso come associazione noi gli abbiamo contestato ufficialmente mesi fa, è assolutamente infondato. Tanto che il prof. Marino, da quella persona di grande correttezza che è, ci ha risposto assicurandoci che non l’avrebbe più utilizzato. E in effetti l’esecuzione capitale è un atto violento con il quale si uccide una persona che vorrebbe vivere, l’eutanasia è un atto di pietà con il quale si mette fine alla vita di una persona che vuole morire. A prescindere dal mezzo usato, sia lo stesso nei due casi oppure no, è evidente che tra loro c’è una differenza enorme, e ci vuole una buona dose di ipocrisia 25 – cosa che non si può dire certo del senatore Marino, per il quale abbiamo grandissima stima – per sostenere il contrario. Niente di tutto ciò nella sua risposta, nella quale lei ha sorvolato tranquillamente sulle espressioni usate dall’ascoltatrice e lungi dal confermare l’impegno degli eletti del partito radicale in direzione della depenalizzazione dell’eutanasia si è anzi preoccupata di escluderlo, in modo tortuoso. Non ha detto che è a favore e neppure che è contro, ha fatto solo dei discorsi generici sulla vita e sulla dignità della vita che lasciano il tempo che trovano e che non hanno fatto capire minimamente quale fosse il suo pensiero al riguardo. Infatti Lei ha tenuto a precisare – cito testualmente - che “quella trasmissione di Radio radicale non è una trasmissione pro eutanasia tout court, spiega semplicemente cosa succede in Italia, in Europa e nel mondo per quanto riguarda la legislazione sulle scelte di fine vita”. Quindi nulla più che una asettica trasmissione culturale, come potrebbe farla Rai Education. Ed ha aggiunto - riporto sempre testualmente: “Posso dire che l’attività dei radicali, l’attività in particolare dell’associazione Luca Coscioni riguarda la difesa e la dignità della vita in tutti i momenti fino all’ultimo momento utile che una persona ritiene di poter sostenere e di poter vivere. Il nostro impegno è anche quello di far conoscere, di portare in Parlamento la conoscenza di come si muore in Italia, di quanta sofferenza c’è, di quanta sofferenza è soffocata, di quanto… riaprendo tutta quella questione che si è fermata in questa legislatura – l’indagine conoscitiva sul fenomeno dell’eutanasia clandestina. E soprattutto accogliere le istanze della parte degli italiani, che sono davvero molti, per un’assistenza domiciliare, per un’assistenza alla vita, alla dignità delle persona fino al momento della morte”. Queste le sue parole. Quindi dovremo vedere la pattuglia dei deputati radicali, nella descrizione che lei ne ha dato, come una specie di comunicatori della sofferenza, il cui compito è far sapere agli altri deputati come si muore. Impegnati tutt’al più a proporre indagini conoscitive sull’eutanasia ma non certo a chiederne la legalizzazione, ci mancherebbe. E parallelamente impegnati – come lei ha detto testualmente, perché non ci siano equivoci – nell’assistenza alla vita fino all’ultimo istante; una specie di volontari domiciliari della buona morte. Una confraternita. Mentre lei parlava – purtroppo non sono potuto intervenire in diretta perché ero alla guida e non avevo con me il telefonino – si poteva percepire chiaramente il suo imbarazzo nel toccare questi temi. Lei non ha avuto il coraggio di dire che è a favore dell’eutanasia e neppure di dire che è contro. Non ha avuto il coraggio di dire che l’atto di chi raccoglie le drammatiche invocazioni di persone come Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli o Vincent Humbert o Ramon Sampedro o come, proprio in queste ultime settimane, l’infelice Chantal Sébire non ha niente a che vedere con l’atto feroce di chi spegne la vita di un condannato. Non ne è stata capace e ha girato in modo tortuoso e se mi permette, anche un po’ viscido attorno al problema, rispondendo alla maniera dei democristiani di una volta. Ma almeno loro lo facevano in modo meno goffo. E a questo punto mi domando: questa sua reticenza è una posizione personale o è una linea imposta ai radicali (o da loro stessi autoimposta) come tassa di ammissione nel grande calderone delle liste democratiche? Il mascherarsi da democristiani, il silenzio, l’evitare di assumere posizione sui temi eticamente più delicati dipendono da una sua scelta o sono il prezzo pagato dai radicali per entrare alla Camera accanto ai teocon? La candidatura nel Pd è il piatto di lenticchie per il quale si è accettato di vendere l’anima? Il logo con cui adesso vi presentate nella lista di Veltroni, dismessa la Rosa nel Pugno che tante speranze aveva suscitato in molti tra noi, è diventato il Bavaglio? Queste che le sto rivolgendo, gentile signora Coscioni, non sono domande retoriche. Come Presidente dell’associazione Libera uscita mi stavo infatti preparando a indirizzare ai nostri iscritti l’invito a votare, in caso di incertezza, per il partito che sia pure con molti limiti ha al suo interno una pattuglia radicale, capace di rappresentare un contraltare alle troppe 26 presenze fondamentaliste che annovera. Queste sue dichiarazioni sono state per me un brutto colpo. Dopo averla ascoltata mi guarderò bene dal rivolgere un appello in favore suo e del Partito democratico. Se Lei deve parlare più o meno come la Binetti preferisco quest’ultima, che quanto meno ha l’orgoglio delle sue idee ha e non ha paura di difenderle. Mentre lei, ammesso che ne abbia, se le tiene ben nascoste. Se dovesse essere eletta – cosa che a questo punto non mi auguro – non credo proprio che i laici potrebbero contare su lei per le loro battaglie. Ha ancora pochissimi giorni per farmi avere una smentita, che sarei felicissimo di leggere e pubblicare. Ma possibilmente non nello stile dei dorotei. Di quelli ne abbiamo avuti fin troppi nella nostra storia politica, non abbiamo bisogno di loro nipotini in veste pseudo-radicale. Nell’attesa di questo chiarimento, pronto a ritrattarmi quando arriverà ufficialmente, le invio i miei cordiali saluti>. Giancarlo Fornari - Presidente di Libera uscita - Associazione per le depenalizzazione dell’eutanasia e per la legalizzazione del testamento biologico – Roma, 6 aprile 2008 Risponde A. Maria Coscioni: Non è vero, non sfuggiamo il tema dell’eutanasia <Caro Giancarlo, avrei voluto, innanzitutto - per l’impegno che investe la tua Associazione sulle questioni del testamento biologico e dell’eutanasia, che sono da sempre per noi, radicali, dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, urgenti e necessarie per l’agenda politica del nostro Paese - che la lettera pubblicata sul sito di Libera uscita fosse a me spedita direttamente. Provo a spiegare il perché! E’ il dubbio che hai sollevato sulla mia “scelta”, come scrivi tu di “girare intorno al problema”, di “non rispondere” alla ascoltatrice di RadioRadicale, a lasciarmi un po’ esterrefatta. A quel dubbio potrei rispondere raccontandoti alcuni momenti terribili, nella fase terminale di vita di Luca, quando ascoltavo la volontà, la sua lucida volontà, di non voler essere attaccato al ventilatore. Non lo faccio, è troppo doloroso. Ma la sua volontà, è stata rispettata; l’ho, l’abbiamo rispettata. E, puoi starne certo, che lotterò, come in passato, con l’Associazione, con i Radicali, dentro e fuori il Parlamento affinché la volontà della persona, sia rispettata sempre, fino all’ultimo momento della vita che ritenga degno di essere vissuto. Vorrei che in questo momento interrompessi la lettura di questa mia, per scriverne un’altra per invitare urgentemente i tuoi amici e conoscenti a votare i Radicali nell’unico modo in cui possono farlo, votando il PD. Ora provo invece a risponderti, pensando tu sia un cittadino che non sa nulla di me, del mio impegno politico, che non conosce l’Associazione Luca Coscioni, che non conosce i Radicali. Non capisco il tuo riferirti ai radicali come se fossero una “confraternita”, che vuole “mascherarsi da democristiani”, oppure il perché tu abbia scritto che “non ho avuto il coraggio” e che sono costretta “parlare più o meno come la Binetti” oppure che nel filo diretto ho “girato in modo viscido attorno al tema”. Confermo quanto detto nel filo diretto di RadioRadicale all’ascoltatrice che mi chiedeva quale atteggiamento avrei tenuto su una materia come quella dell’eutanasia nell’ipotesi fossi eletta in Parlamento. Come ci hanno insegnato, Luca Coscioni prima e Piergiorgio Welby dopo, la dignità della vita che si sceglie di vivere, la dignità fino agli ultimi istanti di essa, dunque nel processo del morire, la “morte opportuna” – come Piergiorgio la chiamava – sono allo stesso modo, e credo con coerenza, al centro dell’iniziativa radicale tutta. Nel filo diretto ho spiegato che sono candidata nel Friuli Venezia Giulia la terra del socialista e radicale Loris Fortuna., che ha legato il suo nome a straordinarie battaglie di libertà e di liberazione, dimenticato dalla storia patria e dalla neonata Costituente Socialista. Fortuna, assieme a Marco Pannella, Emma Bonino, Gianfranco Spadaccia e tanti altri, ha assicurato al paese tutto, riforme laiche degne di uno stato moderno, quali sono la legge sul divorzio e sull’aborto nonché – e anche questo ho ripetuto durante il filo diretto –un disegno di legge per depenalizzare l’eutanasia. 27 Quanto Luca, Piergiorgio e noi tutti abbiamo fatto per garantire l’autodeterminazione dell’individuo, anche nelle scelte di fine vita, è cosa che a chi dice di essere attento ai radicali non credo di dover riassumere in queste poche righe. Sull’eutanasia in particolare, però - permettimi di ricordarlo a tutti gli associati di Libera Uscita che si recheranno tra pochi giorni alle urne - fuori come dentro il Parlamento non ci siamo fermati un attimo. Negli anni abbiamo presentato proposte di legge di iniziativa popolare per depenalizzare l’eutanasia, abbiamo organizzato la raccolta di decine di migliaia di firme per chiedere un’indagine conoscitiva sul fenomeno dell’eutanasia clandestina in Italia; nell’ultima legislatura abbiamo depositato un progetto di legge in materia. Consentimi infine di notare che, per fugare qualsiasi dubbio, sarebbe bastato andarsi a riprendere le poche righe che ho scritto in occasione della morte di Chantal Sébire, la donna francese scomparsa qualche settimana fa: “Noi crediamo – scrivevo - che sia un atto di misericordia e di amore comprendere e – quando viene esplicitamente richiesto – consentire l’interruzione di inutili sofferenze. Da una parte, c’è l’ipocrisia tetragona di chi preferisce che il fenomeno resti clandestino, ingovernato e ingovernabile, lasciando tutt’al più che a pietosi medici e infermieri e alle loro coscienze il compito di praticare l’eutanasia; dall’altra c’è chi, come noi, si batte perché ci sia una legge che regolamenti il fenomeno, e non come ora, un arbitrio di fatto. Tutti i sondaggi demoscopici certificano che la maggioranza dell’opinione pubblica è sulle nostre posizioni, e che ancora una volta è il mondo della politica a non saper e voler comprendere quello che invece è chiaro ed evidente a tutti. Non per un caso si sono opposti anche a una commissione d’inchiesta che monitorasse la situazione e verificasse lo stato dei fatti. Quanti sono, in Italia, i casi come quelli di Chantal Sebire? E perché deve esser loro negata la possibilità di cui ha beneficiato Hugo Class? Ci siamo battuti e continueremo a batterci, in Parlamento e fuori perché queste inutili sofferenze, a chi lo chiede, siano risparmiate”. Niente altro da aggiungere, da parte mia. Non un momento da perdere, da parte di noi tutti. Domenica 13 e lunedì 14 chi voterà Partito Democratico contribuirà a far sì che il prossimo Parlamento e la politica politicante non eliminino i radicali e quindi chi da sempre si batte, per regolamentare quelle che alcuni definiscono “questioni eticamente sensibili” e che noi preferiamo definire “i nuovi diritti civili”>. Anna Maria Coscioni – Roma, 8 aprile 2008 Commento: Anna Maria Coscioni, candidata radicale nelle liste del Pd del Friuli Venezia Giulia, ha voluto dare tempestivamente alle perplessità che avevamo manifestato nella nostra lettera aperta. Perplessità fugate dal richiamo fatto nella sua risposta all’impegno esemplare che hanno sempre espresso i radicali su questi temi, ma che non sarebbero mai nate se alla precisa domanda dell’ascoltatrice: “I deputali radicali si impegneranno nella difesa dell’eutanasia?”, Coscioni avesse risposto: “Sì, si impegneranno”, magari precisando “sempre che ce lo consentano la situazione politica e la disciplina del gruppo parlamentare”, o addirittura aggiungendo “anche se questo è un impegno che probabilmente non sarà attuale nella prossima legislatura”. Viceversa A. M. Coscioni non ha risposto in modo netto, dando l’impressione di non volersi impegnare su un tema tanto scabroso. Comunque sia, accettiamo questa precisazione, nella certezza che una volta eletti - come ci auguriamo - i deputati radicali torneranno a mostrare, come sempre hanno fatto, meno diplomazia e maggiore determinazione (Giancarlo Fornari). 763 – LE VIGNETTE DI GIULIANO – BERLUSCONI E MALPENSA 28 29