A cazzicatummula di Monacazzo - versione p. T

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A cazzicatummula di Monacazzo - versione p. T
PAOLO
RUPERT
SANTORO
‘A
CAZZICATUMMULA
DI
MONACAZZO
‘A cazzicatummula di Monacazzo
ovvero
Il 68 a Monacazzo ( aspettando il 69 )
di
Paolo Rupert Santoro
INDICE
ANTEFATTO :1967
FATTO :1968
1: A PRETESSA
2: CICETTO MIO
3: LI CONSIJ DE MAMMA'
4: ER PITTORE
5: ER FATTACCIO SESSUALE
6: A MONACA
7: ER MARCHETTARO
8: LI MARINAI
9: FRATE BARTOLOMEO
10: ER PAPABILE
11: ER PRESIDENTE
12: SORA MIGNOTTA
13: L’EDUCAZIONE SESSUALE
14: NATALINO ER MAGNACCIA
15: MAMMA SIMONA
16: ER CORNUTO
17: IO E L’UTOPIA
POSTFATTO : 1969
A Bastianu e Maruzzedda
A Maruzzedda
- Per una madre che non c’è più.Passano gli anni, scorrono
come l’acqua dell’Anapo eterno..
E passano pure per te..
Passano e lasciano il segno..
La tua faccia ha mille rughe..
Centomila espressioni..
Un miliardo di miliardi di sorrisi..
Tutti per nascondere i dolori di una vita ..
Per dire sempre “va bene”..
Per dare coraggio e fiducia
Alla carne della tua carne..
Alla vita della tua vita…
All’unico frutto del tuo amore…
Solo fiducia, fiducia e coraggio..
Fino alla fine , quando stavi per partire
Per l’ultimo viaggio..
Dicevi “ non è niente, coraggio…”
“ Addio cari atomi eterni ...
Addio cari atomi materni..
Addio.. anzi arrivederci…”
ANTEFATTO:
1967
E già che siamo all’argomento “ liberi tutti “ ; non importa che
siate single, sposati, con o senza figli, eterosessuali, bisex,
omosessuali o dormite solo con dei babbuini: questo libro fa per
voi. Mi ha dato un grande piacere scriverlo, spero che regali a voi
altrettanto piacere. In tutti i sensi. Godetevelo!
Tracey Cox
Il sesso è uno e infinito… non esiste mascolo o femmina...
godetevelo il sesso.. da soli, in due, in tre, in quattro, ma anche di
più.. l’importante è che sia una libera scelta e non una
imposizione..
Micio Tempio da Monacazzo
Chiamiamo libero colui che esiste per se stesso e non per un altro.
Aristotele
Io non sono veramente libero se non quando tutti gli esseri umani
che mi circondano, uomini e donne, sono ugualmente liberi.
M. A. Bakunin
Uno spettro si aggirava per l’Europa: lo studentismo. Dopo circa 180 anni dalla
rivoluzione francese una nuova rivoluzione era nell’aria. Una rivoluzione meno
sanguinaria ma con gli stessi ideali di libertà, fratellanza e uguaglianza . Ma stavolta
non era interessata solo la Francia. Era qualcosa di più internazionale, qualcosa di
soprannazionale. Una voglia di libertà contro i moralisti, i bacchettoni, i bigotti, gli
inquadrati, i servi di partito, i costruttori di regole e regolamenti liberticidi. Contro i
tiranni, i tirannucci e i tirannetti. Grandi e piccoli. E anche a Monacazzo, piccolo
paese della Sicilia, c’era questa voglia di libertà. Anche se molte cose erano cambiate
la realtà era rimasta legata alla tradizione. Anche se il paese era amministrato dalla
sinistra le tradizioni del perbenismo, del bacchettonismo, del moralismo, del
servilismo, dell’autoritarismo erano rimasti in piedi. L’arroganza del potere era
rimasta la stessa. Di certi poteri e di certi potenti. Ingegneri tangentisti e avvocati
delinquenti, preti sfruttatori e gentaglia senza parola e dignità. Magari camuffati sotto
le regole della democrazia, ma sempre in vigore. Il prete, il maresciallo, il preside,
l’assessore, il dottore, l’ingegnere erano sempre il potere che manovrava i fili. Il
mascolo era l’autorità della casa, la femmina la sua serva. Il mascolo che conquistava
tante femmine era cacciatore, la femmina che si lasciava conquistare quella cosa
prima di essere stata benedetta dal parrino era una grannissima buttana patentata. La
vita del cristiano perfetto iniziava col battesimo, proseguiva con la comunione , la
cresima, il matrimonio, la nascita di tanti cristianuzzi perfetti e infine la morte. E nel
mezzo tante processioni, confessioni, digiuni, lacerazioni della carne e dell’anima e
tante tante veglie di preghiera. E soprattutto tante offerte alla santa cattolica
apostolica chiesa locale. Per il sostentamento dei preti, dei loro capricci, dei loro figli
e delle loro amanti. Non solo di bocca mangiavano i parrini, mangiavano anche
d’aceddu e a volte pure di culo.
Ma il sindaco Tonino Incardasciò, barone di sinistra, non apparteneva a quella banda
di ammuccaparticoli e cacadiavoli; e sua moglie, la ginecologa Eusebia Ferretti, s’era
data da fare per fare la sua piccola rivoluzione sessuale. Per dare al mascolo quello
che era del mascolo , ma nello stesso tempo per dare alle donne quello che non
avevano mai avuto. Il diritto a una sessualità fatta anche di piaceri e non solo di
doveri. La parola “orgasmo” girava come un fantasma nelle teste delle femmine di
Monacazzo e metteva paura ai mascoli che iniziavano a soffrire di “ ansia da
prestazione”. Le gloriose minchie siciliane, quelle dotate di una gran coppola dello
zio Vincenzo, iniziavano a incrinarsi come la torre di Pisa e qualcuna era anche
crollata. Crollata inesorabilmente prima di trasiri dentro. Il famoso “ Phallus
gloriosus” di Monacazzo era diventato “ Phallus ingloriosus.”
Ma intanto la chiesa continuava a insistere sui peccati della sessualità. E circolava
voce che il papa stava elaborando una enciclica fortemente repressiva in materia di
sesso. Non solo quello omo, anche quello etero. La chiesa voleva controllare a suo
piacimento gli affari della minchia e dello sticchio di tutti e farli lavorare solo come
voleva lei. Cunnomentulamachie erano possibili solo secondo certi canoni. Le
alternative erano da escludere al cento per cento. Intanto a Monacazzo le nuove
generazioni pensavano a vivere la loro vita e se ne strafottevano di quello che
dicevano le mamme scassacazzo, le nonne rompicoglioni, i preti sessuofobi e
cacaceddi, le monache scassaminchia e tanta altra gente religione-dipendente. Il detto
di Marx “ La religione è l’oppio dei popoli “ era più che mai attuale. Ma le nuove
generazioni , più libere in tutto e quindi anche nel sesso, preferivano altre droghe alla
droga religiosa, alla teo-dipendenza. Per esempio la droga politica. O altro. Tanto
altro. La marijuana dilagava. E non solo quella. Se la cocaina era stata la droga dei
signori ricchi, adesso c’era la droga per tutti. “ Proletari di tutto il mondo, ecco il
vostro spinello” . Oppure, se uno era catto-comunista, “ Padre nostro, dacci il nostro
spinello quotidiano”. Le nuove generazioni erano stanche anche di quella cazzo di
frase che recitava “ Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
Quella era una frase coniata per fare andare a braccetto il potere religioso e quello
politico. <<La settimana lavoriamo e diamo a Cesare, la domenica preghiamo e
diamo a Dio. Ma quando daremo qualcosa a noi stessi?>> si chiedevano in tanti.
Adesso era venuto il tempo di pensare a sé stessi, al proprio corpo , al proprio
piacere: il tempo di abbandonare il concetto che la vita è un dono di Dio. Ma di
credere che la vita è nostra e che possiamo farne quel cazzo che ci pare. L’importante
è non rompere i coglioni agli altri. E in questa atmosfera di poteri forti, che si
sentivano minacciati e in pericolo, cresceva la voglia di libertà in tutti i campi, e si
preannunciava la rivoluzione del sessantotto.
Forse aveva ragione Michele Nostraddammuso, che parlava sempre di palingenesi.
<< Fimmini e masculi falliti e senza parola, senza ciriveddu e cu la facci stolla,
ata cripari quantu prima cu nu tumuri o na lu sticchiu o na la ciolla..>>
E invocava la palingenesi rigeneratrice. Soprattutto la famosa frase di Nostradamus:
<< L’anno 1999, al settimo mese , dal cielo una grande catastrofe calerà..>>
Ci volevano ancora trentanni. Ma poteva sucedere dell’altro.
<< La terza guerra mondile , per esempio. O un terremotu cu li baddi .>> pinsava
Michele.
La libertà di pensare è la libertà primaria…
L’utero è mio e lo gestisco io..
Slogan femminista
Io sono mio e no di dio.. mio è il mio corpo, la me ciolla e il mio
ciriveddu... soprattutto il mio ciriveddu..
Micio Tempio da Monacazzo
A Monacazzo , nume della libertà totale e generale, era lo scrittore Micio Tempio.
Che scriveva pure su un giornale locale, La Gazzetta di Monacazzo, dove difendeva i
locali martiri della libertà. Questo prestigioso giornale era diretto dal veneziano
Giorgio Baffo, uomo di cultura studiata e vissuta, e soprattutto amante della libertà
pura, della libertà al cento per cento. E regista per passione. Famoso il suo motto:
<< Tutti sa cossa che boge in te la so pignata de belo...
......tutti sa che ne la mona ghe boge ben l’uselo.>>
Tra i casi di cui si era occupato Micio Tempio quell’anno, c’erano quello della
ragazzina scappata da casa per sfuggire al matrimonio imposto dalla famiglia e quello
di un’altra ragazzina, anche lei scappata da casa, che era stata costretta a fuirisinni
con la forza. Costretta a questo da un mascolo invasato che poi l’aveva ripetutamente
violentata. E che adesso doveva, secondo tradizione, per salvare il violentatore dal
carcere e sé stessa dall’essere considerata una buttana, maritarselo. Ma le due ragazze
si erano ribellate. E per la massa si erano conquistate la patente di buttanone
grannissime. Come buttanone erano quelle che lasciavano il marito o si facevano un
amante. Se ha fare questo era il mascolo, era solo uno sperto a cui la minchia
tracimava dalle mutande. Micio Tempio difendeva a libertà in quanto tale. Micio
Tempio difendeva queste vittime della società liberticida. E la sua era anche una
battaglia continua contro la censura.
La “ parolaccia” era interdetta sia in pubblico che in privato. Troppe signore a sentire
la parola “ minchia” arrossivano e stavano male, e alcune arrivavano a svenire. Per
tanta gente adulta il sesso era e restava un tabù. Una cosa assolutamente privata.
<< E chiddi ca parrunu di educazione sessuali sunu buttani nati e crisciuti e curnuta
cu la testa cina di corna... quannu mai si deve insegnari chiddu ca s’avi da fari sul
talamo nuziale... la fimmina deve arrivare sul talamo pura e innocente..e lu maritu ca
la deve fare diventare esperiente na li ioca di lettu.. per il suo piaciri personale .. si la
deve ammaestrare come na cagnuledda.. la cosa di idda deve essere come na trottola
ca truttulia su lu cosu di iddu.. comu, quannu e quantu voli iddu.. pirchì iddu è
sempre sperto..pirchì l’omu sicilianu porta la sua minchia a scuola.. a scuola dalle
buttane .. perché sono le signore buttane, da che munnu e munnu, ca insegnunu a la
minchia chiddu ch’avi a fari cu nu cunnu..>>sosteneva il vecchio cavaliere Paolo
Sebastiano Michele Addolorato Masculuchebaddi.
La sessuofobia pertanto era sia fisica che ideologica. E ci stava troppa gente, sia
fimmini ca masculi, ca si lu faceunu strittu strittu. Parravanu sulu pulito assai assai,
anche se sparavano minchiate incommensurabili. Specialmente gli uomini . In
pubblico parlavano pulito e lavato con la candeggina, ma in privato facevano volare
cazzi e minchie a tutto spiano. E a volte anche le loro signore. In privato però. In
pubblico la parola “ minchia “ e i suoi parenti e compari erano e restavano interdette.
E Micio Tempio aveva dedicato alla sua amata Monacazzo, terra di cazzi amari e
cunna duci, una bella poesia che illustrava la sua lunga vita dalle origini greche a
oggi. “ MONACAZZO BEDDA E PITITTUSA”
Monacazzo bedda , pitittusa , di la vita sperta e sapienti
Picchì bedda e sapienti di pititta è la to genti…
Terra millenaria da lu suli abbruciata,
Terra bedda, terra biniritta da soccu diu anticu, terra amata…
Forse da Giove, o da soccu autru bossi di l’Olimpo..
Pari ca iddu sicuru fu ,ca gudiennu cu na fimmina bona,
Ammentri ca scoppiaunu lampi e trona,
Dissi ” Viva sta minchia e la banna ca la sona.”
Ma a diri lu veru veru, cu minchia lu sapi
Qualu diu si innamurau di stu paisi di uommini e di crapi,
Di scecchi e di vacchi, di puorci e di lupi, di genti cu e senza marruna ,
Di ommini, mezzommini, uomminicchi, piglianculu e quaquaraquà..
E di tanti fimmini ca la danu e si la godunu tutta
E di quarcu fimmina ca si la teni stritta e poi si la fa fritta…
Forsi fu Priapo ca cu lu so granni capitali
Capiu ca cà ci stavunu travagghi pilusi da fari…
Monacazzo, petri antichi di la magna grecia …
Balati e balateddi, archi trionfali e curtigghia…
Petri popolari, petri nobbili, petri colti di lu teatro grecu..
Petri cini di cultura ca da mill’anni e autri mill’anni,
Da quannu li sarausani ficinu stu paisi filici e ranni,
Vistunu lu minnitta di Medea , la sofferenza di Prometeo
O la rabbia di Edipo ca si cucca cu la matri
E pi la gioia canta nu gloriapatri…
Petri ca sanu puru di filosofia e di Platone
E quannu nu culu di spettatore si assetta
Capisciunu se apparteni a pirsuna colta o a un coglione…
Terra bedda e antica pronta a ririri
Di l’aceddi di Aristofane e di li corna di Anfitrione
Ammentri ca Alcmena cu lu diu si la annaca
Dintra nu lettu a forma di naca
Pi fari nu picciriddu nicareddu e beddu a lu maritu
E nu Erculuni cinu di curaggiu
Cu tantu di palli e di battagghiu….
A lu Giovi eternu, pluvio, tonanti e trombanti
dintra li cunna beddi e vacanti…
E puru li proverbi di Monacazzo sunu beddi assai
“ Nicchiu nacchiu , nicchiu nacchiu
Viva lu piripicchiu e lu piripacchiu. “
“ Mentula ranni, mentula bedda
ficchiti dintra ogni vanedda”.
“ O cunnu sanu o cunnu ruttu,
lu pitittu di lu brigghiu veni prima di tuttu .”
Monacazzo bedda epicurea ca purtavi Veniri Callipigia in processioni
E ci cantavi la litania di li natichi tunni e boni..
“ Natichi , a tutti li latidunini duci emisferi,
colline iperboree, isoterme di lu piaciri,
torti, ‘npanati, mezzelune e puru vasteddi
da ‘npastari cu sti manazzi pitittusi .Beddi
Natichi profumati c’attirati tutti l’aceddi…”
Mentri a Priapo l’itifallico ca la teni sempri additta
Ci addumavi na cannila biniritta..
Priannu pi la saluti di lu to citrolu
Ca avia siri sempri prontu a spiccari lu vulu…
Ma poi, na matina, vinni lu viscuvu Marzianu
E lu paisu addivintau cristianu…
A Veniri ci misinu li mutanni , la vistina e la scialletta
E a Priapu ci la tagghianu tutta cu nu cuorpu d’accetta…
E da allura lu sessu nun fu ciui na cosa naturali
Ma addivintau piccatu ranni e mortali….
Addio Monacazzo terra bedda e antica cina di fantasia…..
Addio Monacazzo , terra di cunnomentulamachie …
Una città deve essere costruita in modo
da dare ai suoi abitanti sicurezza e felicità.
La città ideale . Aristotele
FATTO : 1968
Quella categoria di uomini votati all’ufficio divino e dediti alla
contemplazione e alla preghiera devono astenersi
completamente dal frastuono degli affari temporali.
Uomini di Chiesa. Decretum Gratiani, testo medievale
Cazzicatummuli d’amuri su buoni a tutti l’uri.
Detto popolare
Esiste il sesso, poi c’è il buon sesso e infine c’è il sesso super.
Sto parlando di quello che fa arricciare le dita, attorcigliare lo
stomaco e per cui si sarebbe disposti a vendere la propria
madre. Il tipo di sesso che non basta mai.
Tracey Cox
Il sesso dovrebbe essere divertente, ricordate? E per questo che
genitori, insegnanti e preti ,continuano a dire agli adolescenti di
non farlo. Se non fosse divertente, non avremmo la tentazione di
farlo, o no?
Tracey Cox
Nessun precedente sconvolgimento politico, per quanto violento,
aveva mai sollevato un entusiasmo così appassionato, perché
l’ideale proposto dalla rivoluzione non consisteva in un semplice
cambiamento del sistema francese, ma in una vera e propria
rigenerazione dell’intera razza umana. Creò un’atmosfera di
fervore missionario ed assunse davvero tutti gli aspetti di una
rinascita religiosa, spesso con grande costernazione degli
osservatori contemporanei. Sarebbe forse più esatto dire che si
andò sviluppando in una specie di religione, anche se
singolarmente imperfetta, dato che non aveva un Dio, né un
rituale, né prometteva la vita futura. In ogni modo, questa strana
religione, come l’islamismo, ha invaso il mondo intero con i suoi
apostoli, militanti e martiri.
A. de Tocqueville
UNO : A PRETESSA
Gaude mihi…
Selten habt ihr mich verstanden
Selten auch verstand ich Euch..
Heine
Attenzioni a li babbi arrinisciuti….
<< Buongiorno a tutti i telespettatori. Apriamo il telegiornale parlando della grave
situazione che si è verificata questa mattina a Roma, dove il centro storico è rimasto
paralizzato a causa di violenti scontri tra le gloriose forze dell’ordine della
cattolicissima capitale e un gruppo di giovani studenti comunisti di estremissima
sinistra. Gli scontri sono ancora in corso e pare che ci siano dei feriti tra le forze
dell’ordine. Comunque adesso ci colleghiamo con il nostro inviato Giorgio
Alliccadiccì..>>
L’avvocato Cicciu Cicidda spalancò i suoi occhietti di rapace della vita in tutte le sue
manifestazioni e si tuccau tri voti li palli. Poi si fici tri voti il segno della croce.
L’avvocato Cicciu mittia sempre insieme le cose sacre e le cose profane. Prima le
profane , poi le sacre. Le prime le viveva per sé, le seconde le recitava per gli altri.
Cioè per la massa deficiente.
<< Ciolla di ciolla ca fai la stolla.. Io lo dicevo che finia ammalamenti.. la democrazia
teni li rini lenti.. Ahhhh…Se ci fosse ancora iddu.. se ci fosse ancora la buonanima..
sta minchia ca facissiru stu bordello al centro di Roma caputtimmundi. >>
E si toccava la minchia. La sua Roma caputtimmundi. Ma soprattutto taliava il busto
della buonanima che stava sulla scrivania: il Duce. E al Duce ogni anno faceva dire
una messa. Perché anche se lui non credeva a certe cose, l’importante era far credere
il popolo bestia.
<< Tempi brutti si preparano.. questi rossi stanno addiventando pericolosi.. abbisogna
fermarli al più presto.. magari con una nuova marcia su Roma…>> diceva nella sua
testa.
Cicciu era figlio del fu Concetto Cicidda, avvocato pure lui e podestà di Monacazzo
dopo la tragica morte di Calogero Incardasciò. Podestà per tanto tempo. Podestà fino
alla caduta del fascismo. Quando gli abitanti di Monacazzo si erano in parte vendicati
dei tanti suoi abusi di potere. E l’avvocato Ciccio, in una stanza del suo palazzo, avia
realizzato un piccolo museo personale di cimeli fascisti. C’erano la divisa del padre e
tutte le sue uniformi di balilla, balilletto, balillino, figlio della lupa , figlio di buttana e
altro. Ma soprattutto ci stavano tre lettere scritte personalmente al suo caro genitore
da sua Eccellenza il Duce del Popolo Italiano.
Quella sera, a sentire quelle notizie che arrivavano da Roma, il povero avvocato si
impressionò nu tanticchia e si intisi già prigioniero politico in una Italia russificata,
stalinizzata, lieninizzata e altro. Quella notte non dormì. Pinsau che pure a
Monacazzo c’erano cazzi da pelare. Gli studenti erano in agitazione da tempo. E tra i
tanti c’era pure quella testa di minchia male arrinisciuta di suo figlio Benito. Che però
si faceva chiamare Ben. Ben Cicidda.
<< Proprio a mia mi doveva capitare un figlio comunista.. chista disgrazia ranni.. Un
figlio solo e pure degenerato.. e la mamma che lo protegge.. Chidda stronza
ammuccaparticoli che dice sempre ” Minchiati di picciotto sono.. peccati di
gioventù.. e poi diciamolo pure, essere di sinistra è quasi una moda..” . Accussì lu
giustifica, la mia signora . Sta minchia. Io lo manderei in esilio, al confino, tanto per
impararsi l’educazione politica giusta. Lì imparerebbe a vestirsi, a pettinarsi, a
rispettare il papà e la mamma e a non rompere chiù i cabasisi. E invece sta in casa e
fa lu comunista.. Comunista sta minchia.. perché poi campa coi soldi del paparino
fascista.. Sto figlio di buttana rannissima…Vuole fare la rivoluzione proletaria..
vuole… Vuole mettersela in culo con le sue stesse mani.. stronzo comunista
cacalibertà e pisciaminchiati…>>
Ciccio passò la notte insonne stinnicchiato accanto alla sua cara moglie, la signora
Mariannella Manuzza in Cicidda. Quella dormiva, anzi eseguiva il solito concerto in
re maggiore rumpicugghiuna per naso e in fa minore piritante per culo . E lui, il
marrugghio della casa, il mascolo con le appendici giuste, pinsava. All’oggi, al
passato, ma soprattutto al futuro. E dentro si sentiva ardere una fiamma, una fiamma
tricolore , come quella che era il simbolo del suo partito, l’MSI. Il Movimento
Sociale Italiano. Partito per il quale stava assittato dentro il consiglio comunale.
All’opposizione ma dintra il palazzo, con due piedi e quel culo enorme da obeso che
non ci stava dentro la scanno di consigliere.
<< Pi tia ci voli la poltrona da sindaco. Lì ci sta posto per il tuo culone.>> gli
dicevano gli amici scherzando.
<< Ver’è.>> rispondeva lui secco.
E d’altra parte aveva veramente sperato di diventare sindaco. Ma gli elettori
avevano scelto il barone Tonino Incardasciò che era nobile e comunista, quindi
bastardo e senzadio.
<< I monacazzesi non capiscono una mona e neanche un cazzo. Hanno preferito un
uomo con le palle sullo stemma a uno con le palle vere. Hanno paura , questi
scoglionati, degli uomini con un paio di coglioni come due meloni. >> diceva a sé
stesso.
Ben Cicidda era uno dei leader dell’MSM, il Movimento Studentesco di Monacazzo.
Capelli lunghi e neri, pullover sformato, ginsi strazzati ed eskimo erano la sua divisa
in quella primavera del 68, una primavera ancora freddosetta in quel di Monacazzo.
Insieme ai giovani del paese , che tra l’altro era guidato da una giunta di
centrosinistra, stava cercando di fare la sua rivoluzione. La sua e quella dei giovani in
generale. Per cambiare il mondo, per cambiare la Sicilia, per “aggiornare” la testa ai
tanti suoi concittadini che la tenevano chiù dura della pietra lavica. Tinia diciottanni e
si apprestava a sostenere l’esame di maturità. Ma se ne strafotteva della scuola e di
quei cacaceddi dei professori, un pugno di ammuccaparticoli assetati di titoli e di
stupidità e che non sapevano cos’era la vera cultura. La cultura con la C maiuscola.
Ma soprattutto non sapevano cos’era la vita. Per loro era solo una sceneggiata fatta di
atti pubblici. Vissuta per gli altri. Una recita a tempo pieno. I professori erano dei
semplici nozionisti, delle semplici comparse della vita sociale, degli amanti dei titoli
che piazzavano dappertutto. Sulla porta di casa, nei bigliettini da visita, nell’elenco
del telefono. Per esempio , quella di scienze del geometra, nota ammuccaparticoli,
non trattava mai il darwinismo e saltava tutto intero l’apparato riproduttore.
<< Solo a parlarne si fa peccato.. E poi, può indurre in tentazione i giovani…>>
diceva la professoressa Addolorata Nattrovulaceddu.
Poverina, era creazionista convinta e signorina di quelle vere. Quella di italiano,
Filippa Cacciaballe, non parlava mai di certe opere e di certi autori.
<< L’Aretino? Nu lurdu. Boccaccio? Nu ‘ngrasciatu. Cecco Angiolieri? Nu
piromane.>>
E la stessa cosa accadeva nelle altre scuole di Monacazzo. Ma il più rompicoglioni di
tutti era padre Bernardino Cacaceddu, il professore di religione, che li obbligava a
recitare una preghiera all’inizio di ogni lezione. Ben non recitava la preghiera, nun si
facia il segno della croce e non diceva né “ amen” né “ così sia”. E tanti la
recitavano, ognuno a modo suo. Ma il parrino era convinto che i carusi partecipassero
col cuore e con la mente. Poi faceva discorsi sulla purezza e contro il peccato, sul
valore della famiglia e contro la moderna visione della sessualità. Sparava contro quei
partiti che volevano introdurre in Italia il diavolo del divorzio e legalizzare l’aborto
assassino. Parlava a ruota libera ed esponeva idee antiche. Parlava del mal’esempio
che dava quella scatola maliritta ca era la televisione. E di quella porcheria pubblica
che era diventato il cinema.
<< Comu si poli chiamare un film “ Porcile” ? O “ La dolce vita”? Comu nun
mettenu in galera chiddu porcu di Micio Tempio ca avi scrittu nu libbru sulle
porcherie che facia lu fimminaru di Giove cu li fimmini di terra e di celu? Poteva
scrivere la vita di san Ciciddu di Palazzolo, di santa Ciolletta di Monacazzo, di san
Micio di Buscema o di san Micittu di Buccheri... E poi, se fossi pi mia ,io
distruggerei la funtana maliritta di Giove e Danae. Io ci mittissi chidda di l’amore
puro di Pippinu di Testa dell’Acqua e Marietta di Cunnusantu....>>
Ma il tasto che più batteva era quello della purezza. I peccati che più lo
angustiavano erano gli atti impuri. E su questo si batteva con eroico furore. Da
perdente, ma con eroico furore. Perché padre Bernardino voleva la purezza dei suoi
alunni, purezza di corpo e di anima, di pensieri e di atti. Guai a toccarsi l’aceddu o le
sue palle. Guai a grattarsi la chitarrina a quattro corde e il bottoncino.
<< Cu si tocca addiventa cecu e babbu ranni.. ci sicca lu ciriveddu e lu citrolo ca sta
dintra li mutanni..>> diceva il parrino.
<< E se è la fimmina ca si tocca?>> ci addumanna qualcunu per provocarlo.
<< Allura ci cauria assai la funnacellazza e nun ci abbasta di lu sceccu mancu la
minciazza..>>
<< Non correte appresso ai vostri genitali.>> era la sua frase preferita.
Ma anche gli altri professori non scherzavano.
<< Sono il Professore X.. il Professore Y.. >> dicevano loro.
<< Il professore sta minchia.. >> pensava Ben.
<< Ci vorrebbe una nuova rivoluzione francese..>> dicevano spesso gli studenti.
E quell’anno c’erano stati scioperi a minchia cina, ma il peggio, o il meglio, ( dipende
dai punti di vista ) doveva ancora venire. Ma era imminente. Era nell’aria la tempesta
sessantottina.
Ben era studente dell’Istituto Tecnico per Geometri “ Ingegnere Benedetto
Immacolato Marrugghione ”. E la sua scuola si trovava al piano terreno dell’ex
palazzo della cultura del fascio. Un edificio di tre piani. Ogni piano una delle tre
istituzioni scolastiche di Monacazzo. Al piano terreno il geometra, al primo piano
l’Istituto Tecnico per Ragionieri “ Dottore Concetto Carmelo Ciollone ”, e al piano
nobile, al piano superiore, il Liceo Classico & Scientifico “Salvatore Ferdinando
Brigghione.” E dati i nomi degli illustri monacazzesi cui le scuole erano intitolate, il
palazzo veniva indicato come la “ scola di li minchioni”. Brigghione, Ciollone e
Marrugghione , in dialetto siciliano, erano sinonimi di minchia. Anzi di grande
minchia. Di minciazza. Ben frequentava il geometra e la sua carusa, Maria Concetta
Immacolata Portusodoro , detta Iatata, il liceo classico.
Iatata era una bella ragazza. Magra ma con le curve al punto giusto. Occhi scuri ,
capelli lunghi, ricci e neri, nasino che era un diamante incastonato in quel viso
preraffaellita che la picciotta si trovava. Teneva anche due belle cosce che la
minigonna, suo abituale capo d’abbigliamento, mettevano generosamente in mostra.
<< Cosce per arrampicarsi.. >> dicevano i mascoli.
Tanto che il gioco preferito da certi compagni di classe di Iatata era quello di vedere
di che colore quel giorno la picciotta portava le mutande. Ma Iatata era bella anche
nelle parti che non si vedevano. Era bella di culo, di minne e del resto. E Ben lo
sapeva. Soprattutto pazziava per quelle minne quarta misura che la ragazza esibiva
sotto pulloverini aderenti se era inverno o sotto magliette altrettanto aderenti e molto
ma molto scollate se era estate. Ben pazziava per quelle tette che a suo tempo aveva
conquistato con difficoltà ma che adesso erano alla portata delle sue mani e della sua
minchia quando , quanto e come voleva. Così come Ben era ha disposizione di lei.
Iatata era stata la sua prima ed unica ragazza. O per lo meno, l’unica con cui aveva
fatto l’amore. Prima volta per lui e prima volta per lei. E stavano ancora insieme.
Iatata lo amava con la A maiuscola. E lui pure. E lei era pure brava a scuola. Una
delle migliori della III C, la sua classe. Dove stava assittata all’ultimo banco, perché
si sentiva più libera, libera di fare quel cazzo che voleva. Al ginnasio era stata presa
in giro per quel suo vizio di portarsi una banana per la ricreazione. E tutti, mascoli e
femmine , la taliavano quando si sbucciava il frutto esotico e poi se lo ammuccava.
Con innocenza e senza malizia alcuna. Ma le compagne s’erano fatte l’idea che la
carusa fosse una buttanona di prima qualità; e i compagni che la ragazza fosse una
grandissima sucaminchia pompinara. E avevano iniziato a fare battute. Ma Iatata ,
sperta di lingua e senza inibizioni, li aveva messi a posto. Adesso era amica di tutti.
Adesso, quando qualcuno faceva qualche battuta, la faceva riferendosi a Ben.
<< Ma Ben.. la banana.. la teni ancora sana o ci l’hai mangiata tutta..>>
<< La banana di Ben se la passa ben..>>
<< La mattina la banana vegetale, il pomeriggio la banana di carne..>>
Ma lei rispondeva per le rime.
<< Ben la teni tutta.. anche perché è tanta…>>
<< Vegetariana la mattina, carnivora la sera, ma tu? ..banana a mano.. >>
Qualcuno le cantava qualche canzonetta ironica. “Ventiquattro mila morsi.. Fatti
mandare dalla mamma a sucare il latte di brigghiu.. Zum, zum, zum, zum… Finché
la minchia va.. lasciala andare.. Attisa .. il pomeriggio sempre attisa.. Io, tu e la rosa..
io , tu e la banana .. Prendi questa minchia zingara..”
Ma lei replicava dicendo che loro potevano cantare solo Mina. Perché solo il verbo
minare sapevano cantare, recitare, declinare e mettere in atto.
<< Io mino… tu mini… egli mina… noi miniamo .. voi minate.. essi minano.. .>>
<< E tu inveci scopi..>> replicava qualcuno.
<< Alla faccia vostra…Banane a mano eravate e banane a mano siete rimasti...>>
Così andava avanti la vita. Ma lei la sua vita sessuale l’aveva veramente. Con Ben
oramai erano marito e moglie per quanto riguarda il sesso. Farsi una scopata e uno
spinello era il loro modo di essere felici. Non una o due pacchetti di sigarette più un
litro di vino e mezza bottiglia di liquore. A loro bastava uno spinello. Solo uno. E poi
una ficcata. Ma se quella raddoppiava non era un problema. Anzi, era un piacere.
Iatata era figlia di Sconcepito Portusodoro e Piccatuzza Originale. Due figli di NN, di
nullun momen. Nessun nome. Come s’usava allora. Da piccoli erano stato depositati
da mani ignote nella “ Rota di Lignu Santissimu a Santissimi Casciuledda di lu
Cummentu delle Innoccenziane degli Innoccentissimi Picciriddi Figghiuzzi di
Mentula e Cunnus Anonimi ”. Accussì recitava la formula di chista rota dove
venivano deposti i futuri figli di NN. A cui la fantasia delle monache davano un nome
che era tutto un programma. Ma Cepito e Tuzza, come avevano deciso di chiamarsi,
fattisi ziti ammucciuni già dentro il convento , si erano ben inseriti nella società
altamente classista di Monacazzo. Lui era uscito dal convento prima e s’era messo a
travagliare con un falegname, poi era passato alla muratura e era diventato bravo.
Guadagnava assai assai e si era accattato anche na bella motocicletta. Quindi si era
messo a lavorare nella putia della signorina Concettina Inconsolata Cazzamari. Che
lo prese a ben volere. E ci desi gratis l’appartamentino per stari nel suo palazzuccio.
Le malelingue si misero subito a dire che il picciotto, appena diciottino, ripagava la
vecchia signorina a dosi di minchia. Quella era in arretrato da una vita e adesso che ci
era capitata questa ghiotta occasione, la sfruttava a più non posso .Questo dicevano
le malelingue pettegole di Monacazzo. Per loro la notte Cepito la passava sempre tra
le cosce della signorina Cazzamari. E c’era pure qualcuno pronto a giurare di aver
sentito, in piena notte, le grida di incontenibile piacere della signorina al culmine del
godimento. Erano certi che la signorina Cazzamari ultimamente era chiù allegra e
contenta. E questo miglioramento si poteva spiegare solo con le alti dosi di fresca e
giovane minchia che gli venivano somministrate. A lui invece lo vedevano stanco,
afflitto e nu tanticchia deperito, segno del superlavoro che doveva fare per soddisfare
quello sticchio affamato. Nella realtà tutto era diverso. La signorina Cazzamari era
contenta di avere trovato un valido aiuto, ma era contenta anche per un altro motivo.
Cepito invece era giù perché gli mancava Tuzza. Comunque tutto questo era
successo in soli sei mesi. Ma a iddu , come detto, gli mancava Tuzza. E la notte di
natale di quel suo primo anno di libertà, approfittando della messa di mezzanotte, si
ni fuiu con la sua carusa. O meglio , si la purtau a casa sua e ammentri li campani
sunaunu la mezzannotti e annunciavano al mondo la nascita di Gesùbamminu, anche
lui figlio del mistero, loro due consumavano il loro amore. E per tutta la notte lui fece
nascere e rinascere la sua minchia nello sticchio fresco, giovane e ardente della sua
carusedda. Tutto col permesso della signorina Concettina Inconsolata Cazzamari che
l’aveva preso a trattare come un figlio. Quel figlio che la vita non le aveva dato, visto
che uno straccio di marito non l’aveva mai trovato. Ma adesso il signore glielo aveva
mandato sotto forma di figlio di NN. E non solo aveva trovato un quasi figlio, ma
quello gli aveva adesso portato una quasi figlia. E lei, la signorina Concettina
Inconsolata Cazzamari, era contenta. Se da cosa nasce cosa, dall’attività pilusa del
quasi figlio e della quasi figlia, sarebbero prima o poi arrivati dei quasi nipotini. E le
cose andarono proprio così. Idda non poteva più tornare in convento e lui se la
doveva per forza sposare, se non voleva finire in carcere. Lui sarebbe stato
felicemente obbligato a maritarisilla. Ed era quello che il picciotto voleva. Iddu era
giovane ma con la testa sopra le spalle. Idda tinia appena quattordici anni. Era
picciridda. Era innoccenti e pura. E carusi carusi si maritano. Adesso erano
proprietari di una putia, la putia della signorina Concettina, che per un prezzo
stracciato o addirittura simbolico, l'aveva venduta a quei quasi figli che gli avevano
dato tre quasi nipoti.
“Nonna “ la chiamavano i ragazzi. Anche adesso che erano grandicelli e sapevano la
verità. Ma i rapporti che si instaurano tra le persone spesso vanno al di là della
parentela e dei legami di sangue. La putia, ovvero il negozio di generi alimentari, li
facia guadagnare bene. Pertanto tenevano tutte le comodità moderne come la
televisione, la macchina , il frigorifero e la lavabiancheria. Ma soprattutto tenevano
tre gioielli, i frutti del loro amore, la gioia dei loro occhi, il cuore del loro cuore.
Questo erano per loro i figli . Maria Concetta Immacolata, detta Iatata, Maria
Concetta Innocenza, detta Macoin e infine Palmiro. Perché dopo la nascita della
seconda figlia, Cepito e Tuzza avevano litigato, e di grosso, con quel fottisoldi
autorizzato di padre Bernardino Cacaceddu, che era il padre confessore attuale del
convento dove erano cresciuti. Non si è mai saputo il motivo della litigata, ma si sa
che Cepito uscì dalla sagrestia gridando come un ossesso:
<< Se faccio un altro figlio lo chiamò Palmiro o Palmira. Come Togliatti. Perché da
questo momento Cepito è comunista. E pure sua moglie Tuzza è comunista. E pure i
suoi figli diventeranno comunisti. Affanculo a padre Cacaceddu ca cerca sempri unni
fari cagari lu so aceddu…>>
Tanti che erano in chiesa sentirono chiaramente questa ultima frase, ed escludendo
che il parrino si potesse essere interessato a Tuzza, pinsarono che sicuramente si era
interessato a Cepito. Che era un bell’esemplare di mascolo siciliano, di quello che
sapeva batacchiare col suo batacchio che sicuramente doveva essere un pezzo da
novanta. D’altre parte tutti a Monacazzo sapevano delle inclinazioni di padre
Cacaceddu per i mascoli. Ma il problema era che lui alcuni li voleva soltanto come
marito e altri come moglie. Ovvero, alcuni come mascoli attivi e altri come mascoli
passivi. Insomma , da alcuni voleva il marrugghio che pinnuliava tra le loro cosce, da
altri il portuso che giaceva tra le loro natiche. E tanti si chiesero: da Cepito, il parrino
cosa voleva? ‘U davanti o ‘u darreri? Comunque Cepito e Tuzza da allora non
avevano più frequentato la chiesa, si erano iscritti al PCI e quando era arrivato il terzo
figlio l’avevano chiamato Palmiro.
Il compagno di banco di Iatata, al liceo, era un ragazzo romano , tale Pompeo
Sorcaealtro. Figlio del direttore della banca di Monacazzo, da due anni viveva in
questo paesino siciliano e si trovava bene. Dalla Romacaputtimundi a
Monacazzocaputtiminchia. Aveva portato con sé le sue idee libertarie, di sinistra
estrema, maoista, anticlericale, radicale e altro. Ma soprattutto aveva portato la sua
visione liberale del sesso in tutte le sue forme e varianti. Del sesso come fonte di
piacere e basta. Citava sempre l’espressione latina “ Gaude mihi”. E lui era uno che
godeva e faceva godere. E aveva reso famoso il detto “ A li mortacci tui e de tu
nonno…io vado in culo a tutto er monno.. “. Con Iatata era amico al cento per cento.
Un amico che ci aveva provato. Un amico che taliava sempre le sue zinne portentose.
Ma avendo capito che non ci stava niente da fare, si era rassegnato. Si accontentava
di dare una taliata e di immaginare.
<< Ammazza er cazzo.. che zinne che tieni.. >> le diceva ogni tanto.
<< Sono impegnate .>> rispondeva Iatata.
<< Me metti er foco nei cojoni, me metti er foco pure ar bucio der culo..>>
<< E fatti nu bidet .. l’acqua stuta il fuoco.. io sono tutta impegnata..>>
<< Impegnata o no.. sei na bella fregna e m’attizzi er cazzo.. a li mortacci tui e de tu
nonna.. te farei sbrodolare la sorca come na porca…. te rimetterei a novo ogni bucio
cor mio creapopoli…>>
Lei rideva. Del suo romanesco e delle sue sparate. E lui le sparava sempre più grosse.
Più monumentali:
<< Anche le mani sono impegnate? Sine o none?>>
<< Sì.>>
<< Tutt’e due? >>
<< Sì. >>
<< Allora mi sego da me. E che cazzo..faccio cinque carrubba e un carzarato..>>
Una volta gliel’aveva anche fatta vedere. Se l’era tirata fuori e lasciata sotto la
cammisa. Poi s’era messo a cantare:
<< Alimò e Taccitù erano due fratelli Indù..
Alimò ci aveva i guanti, tacci vostri a tutti quanti…>>
<< Silenzio..>> aveva detto Iatata << che se ci sente quella cacacazzi della
professoressa, sono cazzi acidi e amari per te e per me.>>
Ma lui aveva continuato.
<< E daje de tacco, e daje de punta… Come si l’ammucca la sora Assunta…
E daje de mano, e daje de bocca . ..La bella Iatata me la tocca…
E daje de naso, e daje na vardata… A questa cicia disperata..>>
Ma lei niente.
<< E che cazzo.. e che cazzo.. Talia stu cazzu di ciciazzu...>>
A queste parole lei s’era girata e aveva visto il creapopoli dell’amico in tutto il suo
splendore. Paria un missile. Pronto a sparare a vuoto. E la mano dell’amico che
faceva su e giù. Ed era scoppiata a ridere.
Le gemelle Marietta e Maruzza Cacapitruddi, che sedevano davanti a Pompeo e a
Iatata, si erano firriate e avevano fatto in tempo a vedere la minchia del romano che si
la minava. Ma era stato un lampo. Il ragazzo aveva fatto sparire l’uccello tiso sotto la
cammisa. Il sipario era calato di botto.
<< Ahhhh..>> avevano gridato le due verginelle ammuccaparticoli e cacadiavoli. Ed
erano svenute. Per trenta secondi. La professoressa di scienze, la signorina
Crocefissa Sucato, che stava spiegano la partenogenesi, si bloccò di colpo.
<< Ragazzi, che succede? >> disse, facendosi il musso a culo di gallina.
<< Professoressa.......>> dissero in coro le due ragazze che intanto erano rinvenute.
<< Pompeo teneva la pompa di fuori…>>
<< Ehhhh…che dite?>>
<< Pompeo aveva il pipì eretto all’aperto… e se lo accarezzava..>>
<< Ahhhh.. vergogna grande e portentosa.. scandalo infinito.. profanazione della
purezza visiva delle animi innocenti.. >> gridò la professoressa Sucato.
<< Cazzo.. la Sucato s’incazzò.>> disse Iatata.
<< E scenne dar cazzo e se la fa a mano. Come fazzo io per corpa tua.>>
<< Pompeo fuoriiii…>> gridò la Sucato.
<< Non posso, professoressa...le giuro, non posso.>> Il caruso era con la minchia tisa
sotto la cammisa. E cercava di rimetterla dentro le mutande. Non poteva alzarsi in
quelle condizioni.
<< Pompeo fuoriiii…..>> rigridò la Sucato.
<< Non possoooo.. e come ci-a-zeta-due-o glielo devo dire…>>
<< Pompeo.. è vero quello che dicono le tue compagne.>>
Intanto Iatata aveva tirato fuori dalla borsa la sua solita banana e l’aveva passata a
Pompeo.
<< Sì…anzi no.>> aveva detto Pompeo impadronendosi della banana dell’amica.
<< O è sì o è no. E che fai, mi corbelli?>> aveva replicato la professoressa
acidissima.
<< No prof. cara. Non la corbello. Ma fuori non ci vo’. No. E poi no . None. >>
<< Allora fuori lo stesso… Fuori.. Fuori lo stesso... Bugiardo..>> gridava la
professoressa Sucato.
<<None.>>
<< Fuoriiii..>>
<< None.. e che cazzo.. non capisce?>>
Intanto non riusciva a sistemare l’uccello. Era quasi in crisi. Non perché aveva la
minchia di fuori, non per la professoressa Sucato, che poteva venire a controllare.
Aveva paura di perdere l’anno. Del resto se ne fotteva.
<< Fuoriiii.. o chiamo i bidelli…>> gridò la Sucato che in vita sua forse non aveva
mai “sucato” una minchia. Era Sucato solo di nome. Pompeo stava per sentirsi male.
Temette di svenire. E fece una taliata sofferente a Iatata.
<< Aiutami.>> disse con gli occhi.
La ragazza fece cadere l’astuccio suo e si calò per riprenderlo. Nel fare ciò aiutò
l’amico a rimettere la minchia dentro le mutande. E fu costretta a toccarla. Era calda
come la lava e dura come il ferro.
<< Come quella di Ben. >> pensò Iatata.
In fondo il materiale era lo stesso. Cambiava solo il proprietario. Poi Pompeo fece il
resto. Ed era anche contento . S’era sistemato l’uccello dentro l’uccelliera in maniera
definitiva.
<< Fuoriiii..>> gridava l’isterica.
<< Va bene. Ma sono innocente.. comunque non era la mia banana .. era quella di
Iatata..>> disse Pompeo che oramai aveva risolto i suoi problemi di uccello scappato
fuori dalla tana. E Pompeo si alzò, mostrando la banana dell’amica. La sua era al
sicuro.
<< Fuoriiii..>> disse la professoressa.
<< Fuori da solo o con la banana?>> chiese Pompeo.
<< Fuoriiii con la tua banana e non con quella di Iatata.>> gridò l’isterica
professoressa.
Pompeo andò fuori e passando davanti alla cattedra lasciò la banana alla
professoressa.
<< Per lei, signorina Sucato.. se la goda tutta…>> disse piano piano.
<< Fuoriiii…. >> gridò la professoressa.
Pompeo fu mandato dal preside con tanto di nota della professoressa Sucato. Aprima
passò dal cesso e si fece uno spinello.
“ L’alunno Pompeo Sorcaealtro dopo aver sottratto la banana alla compagna di banco
simula, utilizzando la stessa, l’organo riproduttore maschile e compie gesti che
appartengono al biblico personaggio di Onan. E come se non bastasse, fa uso di
parolacce..” Questa la nota della professoressa Sucato.
Ben fu sospeso per cinque giorni. Per avere giocato con una banana. La professoressa
e il preside si ammuccarono la versione della banana. Ma i compagni di classe
sapevano la verità. Le gemelle invece furono prese dal dubbio: quella cosa che
avevano visto era una banana o era una minchia? Una se la ricordava gialla l’altra
color carne. Una con la punta rossa, l’altra con la punta gialla. Se veniva fuori la vera
verità Pompeo sicuramente ci appizzava l’anno. Le gemelle invece furono prese in
giro da tutti perché non sapevano distinguere tra una minchia e una banana.
<< Grazie.. >> aveva detto Pompeo a Iatata.
Poi Pompeo Sorcaealtro era diventato amico anche di Ben. D’altra parte lui non
cercava una ragazza , cercava solo avventure. Avventure a trecentosessanta gradi. E
siccome era un picciotto bello, biondo e con gli occhi azzurri le caruse ci correvano
appresso. Ma appresso ci curria pure il professore di religione, padre Bernardino
Cacaceddu. Il prete aveva capito che il ragazzo andava con mascoli e femmine. E
s’era messo in testa l’idea che potesse andare anche con lui. E per la prima volta
aveva avuto un desiderio fuori dal comune, dal normale. Voleva quel picciotto sia
come marito che come moglie. Era la prima vota che questo succedeva, ma lui adesso
voleva così. Ma Pompeo, che tenia un creapopoli che era una delle sette meraviglie
del mondo, aveva risposto picche. Lui era si bisessuale, anzi multisessuale come
amava dire lui, ma andava con chi cazzo voleva lui e faceva quel cazzo che voleva
lui. E mai sarebbe andato con quel sacco di merda obeso, pelato e brutto come un
franchistainni di paese. E per giunta parrino. Mai. E in occasione del primo natale
passato a Monacazzo Pompeo organizzò uno bello scherzo al parrino. Andò a
confessarsi, tanto per giocare, perché lui era ateo convinto e straconvinto, e ci cuntau
quattro fesserie altamente studiate a tavolino. Quattro fesserie misero il fuoco nelle
vene del parrino e lo indussero a osare. A osare di ottenere l’impossibile.
<< Innominepatrifijuetspiritusanti dimmi li to piccati tutti quanti.>> esordì il prete
con voce impostata tra il finocchiesco e il predicatore..
<< Da dove comincio? Sono tanti.>>
<< Figghiu beddu, inizia da li piccati di l’aceddu.>> propose il prete.
<< Ehhh.. non ho capito.. sono romano..>>
<< I peccati dell’uccello. Per esempio, ti tocchi?>>
<< Sine.>>
<<Assai o poco.>>
<< Assai. Assai assai. Fino alla fine. Pijo er crescinmano piccolo piccolo e lo sbatto a
destra e a sinistra. Fino a quanno er crescinmano non scoppia. >>
<< Capii?>>
<< Fai tutto da solo?>>
<< Non sempre da solo, a volte con qulcun’altro?>>
<< Altra, vorrai dire.>> precisò il prete.
<<Altro…altra…. con chi capita capita… tanto il creapopoli che cazzo capisce.. Il
sesso è sesso.. sesso e basta... >> disse Pompeo.
<< Solo cose di mano?>> chiese il prete sorridendo mentalmente.
<< None. E che so cojone. De mano all’inizio, de bocca poi e alla fine, o de culo o de
fregna. >>
<< Ehhhh..>> disse il prete.
<< De fregna.. de sorca.. di sticchio, come dite voi..>>
<< Capii..>>
<< A dire er vero faccio anche er cocchittelli..>> >>
<< Ehhhh..>>
<< L’ammucchiata.. l’orgia.. il chi dà dà, il chi pija pija, il chi ficca ficca, il chi riceve
riceve.. insomma , er casino generale…>>
<< Ahhhh.. il casino generale.>> replicò il prete.
<< Sine, ce mettemo nudi tutti e ce passamo er fumo...>>
<< Il fumo?>>
<< Sine, come a quello che usate voi...>>
<< Noi?>>
<< Sine, voi fumate l’incenso annacandolo dintra l’incensiere , poi lo respirate..>>
<< Capita..>> rispose il prete.
<< Noi invece ce passamo la canna..>>
<< La canna?>>
<< Sine, e ce famo de tiaccaccì..>>
<< Cosa?>>
<< De tetra-idro-cannabinolo .. e che cazzo..>>
<< Ma .. ma .. allora sei un drogato?>>
<< Sine, come te.. io de marijuana e tu de incenso...>>
<< La droga è peccato..>> propose il prete.
<< Ma è robba leggera.. statti zitto, che sei oppio dipendente..>> disse Pompeo al
prete.
<< Io oppio dipendente?>>
<< Sine.. la religione è l’oppio dei popoli.. Carlo Marx.. pertanto stai zitto... a li
mortacci tui e se tu nonno.. ma tornamo all’argomento “ casino generale”. Ce famo
prima de fumo e poi de sesso...come capita capita.. e che cazzo...>>
Al prete piacio quel capita capita, Poteva capitare tra lui e il picciotto.
< E vai solo con coetanei o anche con adulti..>>
<< Con chi cazzo me pare e piace.. Se uno o una me piace dico “sine”, se uno o una
me sta sul creapopoli dico “ none “.>>
E di questo passo contò tante minchiate, tutte regolarmente false, mica poteva dirle
cose vere. Gli affari del suo creapopoli erano affari suoi e basta; se andava a ficcarlo
a destra o a manca erano cazzacci suoi e non degli altri. In ogni caso non erano fatti
di competenza di quello scassacojoni autorizzato. Comunque i discorsi di pilo fecero
effetto sul prete. Gli piacque a padre Bernardino la parola “ crescinmano”. E alla fine
il prete osò. Si tirò fuori l’arnese , che era già cresciuto di suo sotto la tonaca, e disse
a Pompeo, dopo avergli dato l’assoluzione, di aiutarlo ad uscire dal confessionale.
<< Vieni Pompeo, viene a bere il vin santo.>> disse il prete.
Pompeo si alzò e fece per aprire la porta del confessionale. Ma appena aprì quella
porta si trovò il prete impegnato a praticare l’antica arte di Onan.
<< Vieni.. Pompeo bello, ciucciami tutto.. ammuccati il crescinmano..>> disse padre
Bernardino.
<< Sto cazzo…..io la cicia la pijo da chi me piace e la ficco dove me piace..e tu non
mi piaci.. me fai schifo.. a me e pure ar cazzo..vaffanculo, oppio dipendente..>>
rispose il romano. E scappò via.
Successivamente, con l’aiuto di Carmela, che era la sua amica del momento,
appiccicò una bella poesia al confessionale di padre Cacaceddu. Una poesia in
romanesco, la sua lingua “ de romano de Roma”, di appassionato lettore e amatore di
Gioacchino Belli e di altri poeti romaneschi. Questa la poesia. O meglio, il sonetto.
Un sonetto codato. Titolo “ A PRETESSA”.
Conosco n'prete detto la pretessa,
grosso frocione molto conosciuto,
e in parrocchia tanti so so' fottuto
poiché je piace er cazzo e no la fessa.
E da vedè quanno che dice messa,
parla cor culo - perché io l'ho veduto e se lo smena peggio de la badessa
quanno ch'ariceve er frate pizzuto.
Mo' , sto pretaccio fottuto e puttano,
l'antro ieri, ner corso de la confessione,
su la patta me mette la mano.
Poi me fa " fijo mio, come sei bello,
io te do' subito l'assoluzione
se tu me fai n'certo ber giucarello".
Al ch'io " sor puttanello,
ite affanculo voi e l'assoluzioni
che mo' m'avete rotto li cojoni".
Se vogliamo essere liberi, creiamo noi stessi la nostra libertà e
non attendiamola da altra parte.
C. H. de Saint-Simon
In una libera comunità dovrebbe essere lecito ad ognuno
pensare quello che vuole e dire ciò che pensa.
B. Spinoza
Le persone virtuose e colte difficilmente fanno una
rivoluzione, perché sono sempre in minoranza.
Aristotele
DUE : CICETTO MIO
La rappresentazione del pericolo quando ci si è abbandonati al male
della masturbazione, è forse il più potente motivo di correzione: è un
quadro spaventevole, quanto mai adatto a far indietreggiare per l’orrore.
Sulla masturbazione. S.A.A.D. Tissot
Li ricchi moderni virunu cazzi pi lanterni…
Le tre scuole di Monacazzo , doppio liceo, geometra e ragioneria, per i cazzi del
destino, o il destino del cazzo, erano in mano alle tre sorelle Stoccacitrolo. Cirina,
Alfia e Filadelfia Stoccacitrolo. Le “tre disgrazie di Monacazzo” erano chiamate
dagli studenti. E tre disgrazie a tempo pieno erano. Le tre scuole infatti, più che
scuole dalla Repubblica Italiana, laica almeno sulla carta, parevano tre dependance
dell’arcivescovado o tre conventi di frati oranti e di monache di clausura. Le tre
sorelle scassacazzi avevano imposto il grembiule nero e lungo fino al polpaccio alle
ragazze, che dovevano indossare solo e sempre la gonna; vietato quella porcheria che
si chiama ginsi ai ragazzi, che dovevano usare sempre la giacca e la cravatta; e poi
ancora avevano proibito le barbe e i capelli lungi e imposto finanche la preghiera
mattutina. Ma nel corso del famigerato anno sessantasette avevano dovuto, a forza di
scioperi, retrocedere su tanti punti . Avevano ceduto sul vestiario, ma non su quelli
che loro chiamavano “Valori”.
<< La femmina con i pantaloni è un mascolo mancato, il mascolo con il capelli
lunghi è una femmina mancata.>> dicevano pubblicamente.
Le tre presidi abitavano nella stessa casa, ma solo una era sposata. Cirina era la
moglie del dottor Paolo Sebastiano Concetto Minchiatrina. E a dire il vero, il
fortunato dottore o sfortunato, a seconda dei punti di vista, maritandosi Cirina si era
idealmente maritato anche Filadelfia e Alfia. Se erano mogli legalmente virtuali,
perché la trigamia in Italia è vietata, nella realtà, carnalmente parlando, lui era il
marito di tutte e tre. Il destino di un cognome come Minchiatrina. Il destino di avere
tre nomi. Lui era Paolo per la moglie ufficiale Cirina, Sebastiano per la moglie
ufficiosa Alfia e Concetto per l’altra moglie virtuale Filadelfia. E quando uscivano
per la passeggiata al corso erano tutti e quattro a braccetto. Lui nel mezzo, a destra la
consorte legittima, a sinistra, alternativamente, le altre due sorelle Stoccacitrolo. Che
tante stoccacitrolo non erano, o meglio, lo stoccavano, ma lo stoccavano con piacere,
con arte e con passione. Erano si ammuccaparticoli e cacadiavoli specializzate, ma
anche ammuccaminchia e cunnacuntenti di madre natura. E tanti ammiravano il
dottor Minchiatrina che a casa aveva tre cunni a disposizione del suo aceddu. Che
senz’altro doveva essere una minchia, s’intende, di qualità. Con tre fornaci da
soddisfare. Vita bella ma nu tanticchia dura. Infatti il dottor Minchiatrina era l’unico
medico di Monacazzo che non avesse una bella amante. Già a casa, di lavoro da fare
per la sua minchia, ci ni stava abbastanza, che andarsi a trovare altri lavori fuori,
magari più piacevoli, non era proprio il caso. Anche se la sua minchia era di ottima
fattura e resistenza sempre di carne era e l’osso non lo teneva.
<< Minchia chi avissa statu bellu se la minchia tinissi l’ossu.. unu passassi la vita
sempri a ficcalla na soccu fossu.>> scherzava con gli amici il dottor Paolo
Sebastiano Concetto Minchiatrina. L’uomo con una minchia e tri cunna.
Nella valle di Pantalica si era stabilita da tempo una comunità hippy. “I figli dei fiori”
li chiamavano la gente comune. A vederli erano uno spettacolo. Quando scendevano
a Monacazzo mettevano colore al corso. Coi loro abiti colorarti, i loro capelli lunghi e
tutto il resto. Soprattutto con la loro voglia di libertà totale. Erano dio per qualcuno e
il diavolo per tanti altri. I mascoli anziani di Monacazzo taliavano quelle ragazze con
le cosce di fuori che vivevano liberamente. E le invidiavano. Le consideravano
buttane, ma invidiavano i mascoli di oggi. Invece ai loro tempi per vedere nu
tanticchia di coscia c’era da fare la prima guerra mondiale e pure la seconda. Per
arrivare poi a toccare una minna o quell’altra cosa, l’oscuro oggetto del desiderio,
bisognava fare dei miracoli. Per evadere la sorveglianza, per convincere la picciotta a
fare soccu cosa e per trovare il momento giusto per attuare l’impresa. Adesso invece
il pacchio era abbondante e alla portata di tutti.
E infatti la comunità hippy “ I Figli della Kanapa” ( questo era il loro nome ufficiale )
praticava la comunità di tutti i beni, sia materiali che immateriali. Anche i loro corpi e
i loro sessi erano della comunità. Praticavano quello che suonava tanto pericoloso,
rivoluzionario, peccaminoso, osceno e immorale all’orecchio di tutti i benpensanti. Il
libero amore. A Monacazzo tanti avevano gridato allo scandalo. C’erano state
interpellanze al consiglio comunale e denunce anonime e firmate contro questi
hippy. Li accusavano di tutto. Di fatti veri e di fatti irreali. Era una sorta di santa
inquisizione alle prese con un modello nuovo di stregoneria. Li accusavano di stare
nudi all’aperto e di fare il bagno in tale tenuta, di consumare droghe , di diffondere
idee illegali e sovversive , di essere miscredenti, di praticare il libero amore, di
adorare satana, di essere sdisanorati e senza onore, orgoglio , morale, dio e patria.
In una lettera anonima arrivata ai carabinieri stava scritto “ .. e fanno ficca ficca come
capita capita e senza taliare dove ficcano e con chi ficcano.. e ficcano anche ai bordi
del fiume.. sotto gli occhi dei compagni.. e a volte fanno pure le orge come gli
antichi romani di Roma.. e giuro.. perché io li ho visti dentro il mio binocolo. Un
rispettabile e preoccupato padre di famiglia .”
Infatti erano tanti i rispettabili padri di famiglia di Monacazzo, di quelli che la
domenica andavano in chiesa in doppiopetto , un doppio petto sotto il quale
nascondevano una marea di altarini, che amavano fare i talia talia. Questi
rispettabilissimi padri di famiglia spesso andavano a Pantalica e armati di binocolo si
mettevano a spiare gli hippy. Si eccitavano a taliare le picciotte nude dicendo “ che
culo.. che sticchio.. chi minni.. chi ci facissi.. comu ci la mittissi .. unni ci la mittissi.”
Ma dicevano “ che schifo.. che vergogna..” appena nel loro campo visivo trasiva
qualche battagghio a riposo o additta. Ma si eccitavano chiù assai se trovavano una
coppia in azione. Eccitazione che aumentava se acchiappavano due femmine in
amore. Ma anche due mascoli. Perché molto spesso questo ricordava loro episodi
omoerotici di quando erano picciuttazzi senza testa. Ma il massimo dell’eccitazione
era vedere un mascolo con due femmine o addirittura l’amore di gruppo. La prima
combinazione molti mascoli di Monacazzo l’avevano concretizzata. La seconda no.
Era pertanto bello per questi mascoli vedere dal vivo quello che spesso sognavano la
notte, ma che non erano mai riusciti a concretizzare. L’orgia, ovvero il ficca ficca
generale.
Tra i mascoli che si recavano a vedere gli hippy, tutto travestito da barbone e pertanto
irriconoscibile, c’era padre Bernardino Cacaceddu. Si addivertiva a vedere tutta
quella gente nuda. Gli sembrava una scena dantesca. Un girone dell’inferno di carne
umano. Un giudizio universale del piacere. Un quadro di Hieronimussu Bosci dal
vivo. Taliava tutto il parrino, ma soprattutto taliava i mascoli. E puntava il suo
potente binocolo sui loro genitali e sui loro culi. E nel taliare si alliccava il musso. E
poi valutava. Infine tornava a casa e si la minava. Davanti allo specchio della camera
da letto. Gli piaceva mettersi in poltrona nudo e taliare le sue performance nella parte
di Onan. Gli piaceva taliare il suo corpo obeso, taliare il suo grasso e cercarsi la
minchia tra tanta ciccia. E poi, quando la trovava, darsi da fare. Fino alla fine ,
quando sborrava contro lo specchio.
Il professore Ferdinando Bisticchiò , detto Ciccillone uno e due, si era maritato con la
signora Nina Mezzacappella. Nina era affezzionatissima alla sorella Gina. Pertanto
Ciccillone si trovò in casa sempre più spesso la cognata. E a forza di averla tra le
palle, finì che se la ritrovò, col permesso della moglie, sopra la minchia. Iniziò
accussì una storia a tri che andava avanti felicemente e che molti mascoli di
Monacazzo invidiavano. Avere una femmina da fottere e una che faceva l’assistente
alla minchia era una bella cosa.
<< Il cavaliere con due cavalli..>> lo chiamavano.
Il professore Ciccillone Bisticchiò insegnava Topografia al geometra. Ed era un
insegnante di Ben. Ogni mattina i ragazzi scherzavano.
<< Questa notte il professore si è trombato la moglie o la cognata? O tutte e due?>>
<< Ma perché non cambia disciplina? Dalla Topografia alla Topagrafia. Con due tope
a disposizione passa per un esperto. O no? >> si chiedevano altri ragazzi.
<< Bello studiare grafia della topa.. >> diceva Ben.
<< Certo.. tu ci faresti il disegno della topa di Iatata..>> diceva qualcuno.
<< Sta minchia.. quella è mia e me la gestisco io..>> rispondeva Ben.
<< Ma una rappresentazione grafica che ci sta di male? >>
<< se volete ve la faccio della mia minchia.. >>
<< Fanculo...>>
<<Altrettanto a voi..>> rispondeva Ben.
Anche i carabinieri andavano spesso a fare dei controlli tra gli hippy. Cercavano i
loro i documenti e li identificavano. Comunicavano eventuali nuove denunce contro
di loro e poi cercavano di capire se la cosa aveva un riscontro o no, ma finora non
avevano mai trovato hascisc e roba simile. O forse non l’avevano voluto trovare.
Avevano trovato solo vino e birra. E quello era materiale che non era reato detenere.
Non avevano mai trovato materiale satanico e altra roba vietata. E neanche ragazzi
minorenni scappati di casa o altro. L’unica accusa che aveva trovato conferma sin
dalla prima volta era “ l’oltraggio al comune senso del pudore”.
<< Ma in che cosa consiste?>> aveva chiesto Ianka, che era uno dei capi, e che tinia
una faccia di quelle alla “ io mi ni futtu di tuttu.” Era una domanda fatta tanto per
fare. Per dire una minchiata in pù.
<< Nel fatto che state nudi.>> aveva risposto il maresciallo Minico Mezzocazzone.
<< Ahhh.. allora io la offendo..?>>
<< A mia no.. a mia non me ne fotte una amatissima e stimatissima minchia se lei sta
col piscia piscia di fuori.. e nemmeno ai miei colleghi.. ma a quelli che hanno
presentato la denunzia sì. La sua minchia e quella dei suoi amici, li disturbano…>>
rispose il maresciallo Minico Mezzocazzone.
<< E chi l’ha presentata? Se è lecito saperlo?>> chiese Ianka.
<< E’ anonima. Na minchiata anonima è..>>
<< Ahhhh…. >> disse Ianka.
<< Ehhhh..>> disse il maresciallo Mezzocazzone.
<< Ihhhh…>> aggiunse il suo compagno, l’appuntato Gerlando Pirlabon di Venezia.
<< Uhhhh..>> concluse l’altro appuntato, Puddu Purceddu, che era sardegnolo.
<< Tirka.. porta tre birrette per i picciotti..>> disse Ianka.
E vinni subito una bionda tutta nuda ca purtau tre belle birrette ai carabinieri.
<< Non possiamo.. siamo in servizio.>> dissero i C.C.
<< Per una birretta…>> disse la femmina che teneva le tette all’altezza degli occhi
dei carabinieri.
Era nuda, bionda e bella assai assai. Le palle degli occhi dei carabinieri non sapevano
dove taliare. Passavano in un amen dalle tette al pilo del pacchio e poi risalivano
verso la faccia, ma subito tornavano alle altre parti. Soprattutto al pilo del pacchio.
Perché lì c’era il mistero da esplorare. Lì c’era da vedere quello che stava tra quelle
cosce. La porta santa del piacere. Ma quannu Tirka si allontanò non riuscirono a
staccare lo sguardo dal culo della picciotta. Restarono come imbambolati. L’unica
cosa che non era rimasta come paralizzata era la loro minchia. Che s’era messa in
piedi automaticamente. E non era una cosa bella, perché la minchia di un carabiniere
deve essere sempre ligia al dovere e non deve mai attisare in servizio. Ma la loro era
attisata. E tisa restò. Mentre quella di Ianka era tranquilla come una pasqua. Ianka
l’aveva capito e sorrideva.
<< Bella Tirka.. ehhhh.. Un culo con la parola.. o quasi.. un culo che dice
“mangiami.. mangiami..”>>
<< Sì.>> risposero laconici i C.C. << Beato chi se lo mangia..>>
Ianka spiegò che i nomi utilizzati all’interno della comunità contenevano tutti la
lettera K.
<< K come Kanapa. Ma anche K come Kanna. E K pure come Kamasutra. Ma anche
K come Kazzo e Kunno. Come Kunnilingus e Kazzolingus. E pure come Kulo e
Kulilingus.. >>
<< Ahhhh..>> fecero i C.C. che tenevano il P.P. sempre tiso.
<< E pure K come Koglioni.. come i Koglioni che ci addenunziano e quelli che ci
spaino...>> aggiunse Ianka.
Poi i C.C. salutarono e andarono via. Con uno strano gonfiore sotto il biddico e
taliando a destra e a sinistra tutto quel ben di dio di pilo di femmina che stava a
disposizione della comunità.
<< Tornate quando volete.>> disse Ianka.
<< E se volete, venite pure a fare un bagno con noi. Quando volete. Siete sempre i
benvenuti.>> gridò da lontano Tirka, che stava per dedicarsi un po’ allo yoga.
In macchina, ritornando al paese, i tre C.C. parlarono di quella bella vita che
conducevano gli hippy.
<< Sapete come si dice in Sicilia?>> chiese Minico Mezzocazzone.
<< No.>> risposero Gerlando e Puddu.
<< Che bella sta vita ca fazzu, mangiu , futtu e nun fazzu nu cazzu.>>
Gerlando e Puddu risero .
<< E come a Venexia. “ Xè bela sta vita, sta vita xè bona, mansò, fo gnente e vo
sempre in mona”.>>
<< E pure come in Sardegna. “Io fazzu l’uminuddu beddu, nun lavoro, magniddu, e
ficchiddu sempri l’aceddu”.>> disse Puddu.
Risero, ma poi Minico sparò:
<< Chidda cacacazzi di mia madre Rosina, ca mi scassa li baddi a minchia cina, mi
dice che devo risparmiare per mettere su famigghia.. che mi devo maritare con una
carusedda seria, onesta e immacolata per fare poi tanti picciriddi.. Insomma, mi dice
che me la devo mettere in culo con le mie mani… mi devo inculare da me..
autoincularmi devo… >>
<< Casso.. come la mia.. xè te progetta na vita de merda.. tal e qual la mi mama... sai
che me dise la mi mama? “ Fai attension , anima mia benedeta, la dona che te dà la
mona, poi te frega la moneta. >> disse Gerlando.
<< E chi voli dire? Na minchia ci capii?>> disse Minico.
<< Attenzione a le puttane, te danno la mona ma vogliono i soldi.>>
<< E mica te la possono dare gratis.>> rispose Minico. << Quelle lavoravano, sono
impiegate della minchia. E il lavoro si paga. Qualunque tipo di lavoro.>>
<< Si paga sì.. anche la figa se paga.. ma loro dovrebbero pagare il casso?>> disse il
veneziano.
<< Perché non fanno una comunità di buttane ? Così, a disposizione di chi tiene la
minchia tisa. Assistenza all’aceddu gratis…>> disse Minico.
<< Anche la mia mammedda rompe pure li cugghiunedda..>> disse Puddu.
<< E uno che minchia deve fare? Mica ni la putemu fari sempri a manu. Quannu si
carusu, si carusu. Ma ora che sei granni cerchi un furnu pi infilari lu filuni, magari a
pagamento, ma lu cerchi.>> disse Minico.
<< Invece la mi mama, e meno male che la mama l’è solo una, voli che mi sposi e
faccia ghemì e ghemà solo con la moglie.>>
<< Ghemì e ghemà?>>
<< Ficca ficca.>>
<< Ahhhh..>> disse Minico.<< Ghemì e ghemà.. I figli dei fiori lo fanno sempre e
gratis.>>
<< Beati loro… xè vano sempre in mona. E la mona ha sempre un casso ha
disposizione..>>
<< Sai che ti dico? Uno di questi giorni vado a farmi con bel bagno con i figli dei
fiori.>> sparò Minico.
<< Xè vegno pure mi.>> rispose serio Gerlando.
<< Io no ..>> disse Puddu.
<< Tu santo diventerai.. santo Minchia Ammano.>> disse Minico.
<< E voi diavuliddi . Nu diavuliddu sicilianu e uno veneziano.>> replicò Puddu.
Restarono poi intesi che l’impresa dell’andare a fare il bagno con i figli dei fiori
doveva essere imminente.
<< Intanto stasera vado all’Arcazzo.>> disse Minico Mezzocazzone che tanto
mezzocazzone non era.
<< Mi pure.. alla faccia de la mi mama.>> replicò Gerlando Pirlabon che tanto pirla
non era, ma minchiabon di sicuro sì.
<< Io sto in caserma.. eventualmente lu cazzu a manu mi lu fazzu. >> soggiunse
Puddu.
<< A manu è gratis… accussì risparmi..>> disse Minico.
<< Casso in mano e vado felice e sano..>> disse Pirlabon.
<< Parola di Purceddu.. m’aviti ruttu l’aceddu.>> disse Puddu.
<< Ahhhh.. che bello, lavorare a mano..>> dissero Gerlando e Minico.
<< E migghiddu ca iri a buttaneddi.. che poi, se mi pigghiddu li malatiei all’aceddu,
su cazzi niriddi pi mia. Li buttaneddi fanu mali a li sacchitteddi, a li cugghiunedda e
alla minchiedda. .>> specificò Puddu.
<< Vaffanculo..anzi, vaffanculiddu e vaffanculeddu sia a tia che a lu to aceddu...>>
risposero i colleghi.
Ciccio Cicidda era sempre più preoccupato dalla situazione italiana. La vedeva
degenerare verso l’anarchia.
<< Purtroppo la buonanima è morta….>> diceva dentro la sua testa di fine parlatore.
E soffriva. E si preoccupava. E risoffriva, soprattutto per quel suo amato figlio, frutto
della sua simenta, portatore del suo cognome, generato per volontà e capacità della
sua minchia. Quel pezzo di carne della sua carne era un comunista ateo rivoluzionario
marxista leninista stalinista maoista e chi più ne aveva più ne metteva. Era rosso e
miscredente.
<< Figghiu di buttana..>> diceva dentro la sua testa. Ma poi aggiungeva: << … di
buttana per modo di dire ..>>
Perché di sua moglie tutto si poteva dire tranne che fosse una buttana. Purtroppo Ben
si era lasciato influenzare dalla moda, dall’ideologia dominante, dalla pubblicità
occulta o semiocculta, che propagandava solo e soltanto idee di sinistra. Ed era
caduto nella rete, dalla testa ai piedi. Per lui suo figlio era un ragazzo debole, un
ragazzo senza carattere, senza coglioni. Un ragazzo che non aveva rispetto per il
nome che portava . Tanto che si era innamorato della figlia di due NN.
<< Chista minchiata rossa. Mio figlio che si fa zito con una figlia di due enne enne.
Con il prodotto di due simenti anonime, con il frutto di due figghi di buttana…. Due
enne enne ..>>
E Ciccio Cicidda dava della simbolo NN una sua particolare interpretazione.
<< NN.. Nun saccio cu fu la minchia ca mi siminau.. nun sacciu cu fu lu sticchiu ca
mi cacau…>>
L’idea che il figlio, il suo unico figlio, finisse maritato a una figlia di NN lo mandava
in bestia.
<< Speriamo che mette ciriveddu presto… e capisci qualu è lu postu giustu pi pisciari
bene e felice, pi iddu naturalmenti.. per il figlio di Cicciu Cicidda.. pirchì quest’anno
si piglia la maturità e poi deve pensare al suo futuro.. come professionista e come
mascolo.. come professionista vuole fare l’architetto.. e io, il suo caro papà, accettò
l’idea.. ma come mascolo è un fallimento.. io ci l’haiu dittu… taliti attorno.. ci sunu
tanti beddi partiti.. sciglitinni unu ca ti piaci.. naturalmenti devi sira bedda.. per il tuo
piaciri personale.. tu ti ci devi coricare.. ( non aveva osato dire “ per il piacere della
tua minchia “ ) .. ma secondo mia deve avere anche un’altra caratteristica.. deve
essere ricca.. ca li picciuli o la proprietà fanno bene all’anima, allo spirito e al corpo (
e anche stavolta non aveva osato dire “ alla minchia” ). >>
A dire il vero papà Ciccio una bella idea in testa l’aveva. Una delle due vicine di
casa, le sorelle Devozione e Consolata Bucochiuso. Ricche da fare schifo, sante e
pure da potere stare sull’altare, appitittate di zito, da trasformare in marito, da potere
stare in un postribolo.. e tutto sommato pure belline.. ma bucochiuso di nome e di
fatto.. Cercavano zito, ma non uno qualsiasi.. erano ragazze che seguivano il
consiglio di mamma e papà.
Il marito PLM. Professionista, laureato e possibilmente minciazza.
Pompeo era diventato amico di Ben e una sera , tanto per fare una cazzata, decisero di
fare una scappata all’Arcazzo, il quartiere delle buttane di Monacazzo. Arcazzo
perché si sviluppava a ridosso di un grande arco di epoca romana. E non perché in
quel quartiere si trattassero affari legati “ar cazzo”. Questa invece era stata
l’interpretazione che ne aveva dato il romano Pompeo.
<< Se si chiama Arcazzo il nome sarà senz’altro legato ar cazzo.>>
Ogni tanto ci andavano per taliare. Ma stavolta volevano consumare.
<< Annamo a fare un giro all’Arcazzo.>> proponeva spesso Pompeo.
<< Vedere e non consumare, alla minchia fa male.>> rispondeva Ben.
<< Fa male a chi non scopa.. ma a chi scopa può solo aumentare l’ispirazione e farle
crescere il crescinmano. Annamo a vedere le zoccole che zoccoleggiano...>>
D’altra parte loro non avevano bisogno di fare sesso a pagamento. Pompeo aveva
fatto del sesso già a Roma e a Monacazzo si era subito ambientato anche dal punto di
vista sessuale. Aveva già messo su un discreto curriculum che comprendeva
rappresentanti di entrambi i sessi. Ben invece aveva fatto sesso solo con Iatata. Se il
primo era bisessuale, il secondo era stato , almeno fino ad un certo punto,
eterosessuale al cento per cento. Anche se Ben aveva capito che Pompeo lo
corteggiava e voleva avere una storia di pilu con lui. Una storia da aggiungere al suo
ricco curriculum. E Ben, a dire il vero, era tentato di accettare le avance dell’amico.
Tanto per provare. Per sperimentare. Per concretizzare quel detto che recitava “ Il
sesso è conoscenza”. Ogni volta che erano stati a passiari all’Arcazzo si erano
sottratti all’invito pressante delle “impiegate della minchia” ed erano tornati al paese
eccitati ma felici. Avevano discusso a lungo del sesso a pagamento ed avevano
concluso che era una cosa buona e giusta. Ma una volta avevano approfondito
l’argomento.
<< Se ti piglia il pititto, paghi e ti spititti.>> diceva Ben.
<< Giusto. La mignotta offre un servizio a pagamento. Ma se il pititto piglia a una
femmina?>> chiese Pompeo.
<< Ehhhh..>> tentennò Ben << ..ehhhh.. se lo tiene…>>
<< .. oppure?>> replicò Pompeo.
<< .. oppure.. oppure si cerca un mascolo..>>
<< ...oppure?>> richiese Pompeo.
<< .. oppure.. oppure.. oppure si la mina?>> sparò Ben.
<< Sine. Può essere un’alternativa.. ma se la femmina in questione vuole un
mascolo, che fa?>>
<< Boh…>> rispose Ben.
<< Ma va da un mignotto, da un prostituto..>>
<< Ehhhh..>>
<< Va da un buttano mascolo , paga e si piglia la sua dose di creapopoli. Come il
mascolo, pagando, se pija la sua dose de fregna.>>
<< Noooo….>> disse Ben.
<< E invece sì. Le regole della democrazia devono essere uguali sia per i maschi che
per le femmine. Se ci sta la buttana, ci deve stare pure il buttano. Se c’è la zoccola, ci
deve stare lo zoccolo. Se ci sta la mignotta, ci deve stare il mignotto. Se ci sta il bucio
a pagamento per al cicia, ci deve stare la cicia a pagamento per il bucio...>>
Alla fine Ben si fece convinto che i due sessi avevano lo stesso diritto al piacere.
Anche di quello a pagamento. E che se una femmina andava con un prostituto non era
certo una buttana, ma solo una che s’era livato il pititto di farsi una ficcata senza
impegni e complicazioni.
<< Che fai adesso?>> aveva chiesto Ben quella volta.
<< Vado casa e mi faccio una sega. E tu? Vai da Iatata?>>
<< No . Iatata ha un impegno di famiglia . Vado a casa anch’io.>>
<< A fare cinque sbirri e un prigioniero?>>
<< Può darsi?>>
<< Allora vieni a casa mia. Facciamo dieci sbirri e due prigionieri.>> aveva proposto
Pompeo. Spontaneamente Ben rispose di sì.
A casa di Pompeo non c’era nessuno. Andarono nella stanzetta del ragazzo e
incominciarono a scherzare.
<< Sotto i ginsi il tuo creapopoli sta scoppiando. Come il mio. >> disse Pompeo.
Pompeo si tolse i pantaloni. La coppola dello zio Vincenzo stava soffocando e decise
autonomamente di pigliare una boccata d’aria. Si affacciò dal bordo dello slippi. Ben
scoppiò a ridere. Per tutta risposta Pompeo gli aprì la patta e gli prese in mano la
minchia tisissima. Ben lasciò fare. Non avvertiva differenza tra le mani dell’amico e
quelle di Iatata. Il su e giù era lo stesso. Chiuse gli occhi e pensò che quella mano
fosse quella della sua ragazza. E senza accorgersene allungò la mano verso il basso
ventre dell’altra persona, cercava la fica di Iatata ma trovò il cazzo dell’amico.
Risautò ma lo acchiappò. E fece anche lui su e giù. Fino alla fine. Vennero insieme
ma non dissero niente.
Adesso invece stavano andando insieme a buttane. Tanto per fare l’esperienza del
sesso a pagamento. E ci andarono. Una volta fuori si raccontarono i fatti e conclusero
che il sesso a pagamento era nu tanticchia insoddisfacente. Bello ma insoddisfacente.
Questo il resoconto di Ben.
<< Mi disse “spogliati” , poi mi acchiappò per la cicia e mi portò al lavandino. Qui
mi sciacquò l’aceddu e poi mi riportò verso il letto. Si livau
la sottana
semitrasparente e fu nuda. Si assittau nella sponda del letto e ancuminciau ad
alliccari. L’aceddu nun vulia gonfiare. Non c’era desiderio nel suo gesto. Era solo
una pratica d’ufficio da sbrigare. Ma poi comunque il meccio alzò la cresta. Ma
prima la femmina mi aveva taliato ammalamenti perché la cicia non s’era gonfiata in
un amen. Poi si era buttata nel letto, a cosce larghe, dicendomi “ accomodati pure e
sbrigati.” Stavo per lasciare. E la mia cicia stava per calare le corna. Poi , orgoglio o
altro, tanto i soldi li avevo già dati, le sono saltato addosso e sono entrato tanto per
entrare. Con poco pititto e poco desiderio. Quattro colpi e sono venuto. “Bravo” mi
disse idda. Che buttana stronza, il bello dell’amore è farlo durare .. non avere fretta..
o no? >>
<< Hai ragione. E il racconto che potrei farti io è la fotocopia del tuo. E pertanto
lascio perdere. Abbiamo fatto l’esperienza, ma io non la rifarò mai più.. credo..
comunque “mai dire mai”..>> concluse Pompeo.
<< Io nemmeno.. credo..>> aggiunse Ben.
<< E intanto non vedo l’ora di farmi una doccia..>> disse Pompeo.
<< Io pure.>>
Passeggiando fecero ritorno a Monacazzo.
Una volta in paese Pompeo disse: << Vieni a casa mia?>>
Ben disse di sì. Nella domanda e nella risposta era automaticamente inserita una
nuova voglia di sperimentare ulteriormente il loro omoerotismo. E accussì fu.
Pompeo corse sotto la doccia e invitò Ben a seguirlo. Ben , dapprima indeciso, si
godeva lo spettacolo dell’amico che si insaponava un po’ di qua e un po’ si là . Ma
alla fine finiva sempre ad insaponare il marrugghio. Come se lo volesse sciacquare
all’infinito, purificare da quel sesso a pagamento fatto poco prima. Dell’aroma, degli
odori e degli umori di quella rispettabile mignotta con cui si era accompagnato. La
ciolla era tisa e Pompeo la strapazzava. Quella era anche una minata camuffata da
doccia.
<<Vieni..>> disse Pompeo. Ben era eccitato ma continuava a taliare. Taliava
l’aceddu dell’amico. Ma pure il suo culo. Era bello il culo del romano. Si sentì preso
dal desiderio. Ci l’avrebbe ficcato veramente volentieri nel culo all’amico. Ma poi
quello avrebbe voluto fare la stessa cosa. Certo, sarebbe stata una esperienza in più.
Se è vero che il sesso è conoscenza. Ma lui ci teneva all’integrità del suo culo. Al
massimo ci poteva giocare Iatata. Che ci lo cartigghiava e a volte ci ficcava il ditino
piccolo, il mignolo. Ma una cosa era il mignolo della sua zita, un'altra la minciazza
dell’amico. Eppure la sua minciazza nel culo di Iatata ci trasiva con facilità. Anche se
la prima volta era stata una avventura. Comunque rinunciò all’idea di inculare
Pompeo. Solo e soltanto per la scanto di dovere ricambiare il favore.
<< Vieni.. io ti aspetto. E lui pure.. >> disse Pompeo indicando il suo creapopoli tutto
insaponato. Ben finalmente si decise , si spogliò e lo raggiunse. Spogliandosi
l’uccello si era acquietato. Pompeo prese ad insaponarlo e le sue cure si
concentrarono sul creapopoli dell’amico che in quattro e quattr’otto rimise le ali e
riprese il volo interrotto. A questo punto si abbracciarono. Seguì un bacio intanto che
le relative appendici erette sciabolavano tra di loro in un duello virtuale. Una vera
bimentulamachia. Poi Pompeo passò ai capezzoli, quindi scese più in basso e fece un
pompino all’amico. Questi chiuse gli occhi e pensò che inginocchiata davanti a lui,
sotto la doccia, ci fosse Iatata. Alla fine concluse pensando che le bocche erano tutte
uguali. Non c’erano bocche di mascoli e bocche di femmine, c’erano solo bocche
brave a fare pompini e bocche che non li sapevano fare.
<< Sai >> disse Pompeo dopo essersi rialzato << quando ero alle elementari dissi
alla maestra “ Signorina, perché chiama Giovanni Giovannino, Paolo Paolino e me
solo e sempre Pompeo?>>
Ben scoppiò a ridere. Intanto le mani di Pompeo gli accarezzavano la testa e lo
spingevano verso il basso. Ben capì cosa voleva l’amico. Capì che era un invito a
provare. E Ben provò. Con ansia e preoccupazione. Alliccò i capiccia tisi dell’amico.
Poi ci ficcò la lingua nell’ombelico. Intanto sentiva l’aceddu romano sotto il mento.
Sentiva il salsicciotto caldo, duro. Prima lo vasò, poi l’alliccò e alla fine si
l’ammuccò, si lu sucò e il latte s’ingoiò. Ma decise anche che era meglio farsi
ciucciare che ciucciare.
<< Comunque il sesso è sesso. Il sesso è il centro del mondo . Dell’universo. E’
necessario come il pane, l’acqua e il resto. E’ una primaria necessità . O da soli o in
compagnia, bisogna fare sesso e cosi sia. E un diritto dovere imposto dal testosterone.
Un imperativo categorico. Ficca e fai ficcare. Mina e fai minare. Incula e fai inculare.
Suca e fai sucare. >> disse con atteggiamento da predicatore Ben.
<< E se non trovi nessuno per fare per giocare cu la to cicia? >> addumannò curioso
Pompeo.
<< Faccio da me... mi do una mano.. e se necessario anche due... altro non posso
fare...>>
<< Altro si potrebbe.. cazzo fregna culo cazzo.. ma io non ci riesco..>> disse serio
Pompeo.
<< Altro cosa?>> chiese Ben.
<< Ho letto che ci sono mascoli che riescono a ciucciarsi il loro ciuccettto.. a farsi
l’autopompino..>>
<< No.. impossibile...>>
<< Sine invece.. l’ho letto su una rivista scientifica..>>
<< E che altro c’era scritto?>>
<< C’era la storia del “ penis captivus “. Di quando la cincia s’incolla alla fregna...e
devi annà all’ospedale per farti scollà..>>
<< Cazzo.. e poi? Qualche latra curiosità? >>
<< Sedicimila le donne dell’harem di re Tamba.... quattordicimila le partner di John
Holmes.. E 46 centimetri la cicia più lunga mai misurata..>>
<< A riposo o tisa?>>
<< Boh.. non sono stato io il cazzometra..>> rispose Pompeo ridendo.
<< E altri pettegolezzi di pacchio o di minchia?>>
<<Sine, cicione bello.. nel 1300 a. C. , il re d’Egitto Meneptha sconfisse i libici e i
loro alleati... e tanto per festeggiare fece tagliare la cicia ai morti.. per un totale di
circa tredicimila creapopoli... e in un antico monumento che si trova a Karnak ci sta
l’elenco.. 6 cicie di generali libici... 6139 di creapopoli libici.. 222 minchie di
siciliani...542 verghe etrusche..6111 phallus greci...insomma, una minchiateca di
lusso..>>
<< Cazzo... la strage delle minchie..>> disse ben tenendosi stretto l’aceddu.
Dopo questi discorsi culturali si fecero una canna.
Su quell’esperienza dei viaggi a vuoto all’Arcazzo Pompeo scrisse, come al solito,
un bel sonetto romanesco intitolato “ CICETTO MIO”.
<< Cicetto mio bono, ndo' cazzo vai?>>
<< Torno a casa, a simana è terminata. >>
<< Ecchè, prima n'ta dai na scaricata,
viè qui che tutto tutto te rallegrerai,
n'occasione è, ndo cazzo troverai
chi te fa fa pe' n'verdi na chiavata .>>
<< No sora porca, manco arigalata,
la tua carne è zozza , mai e poi mai.
E poi avete le carni così mosce,
ch'er mi ciciotto n'drebbe testi'n giù
solo a vedevve allarga' un po' le cosce.
Mbè, hai capito ?No. Ecchite er mio pensiero:
nz'chè cagare ner monnezzaro ch'hai tu,
sai che fo'? Cinque sbirri e un prigioniero.>>
Non si deve temere di uscire dalla legalità, quando non si
ha altro mezzo per rientrare nel diritto.
A. Briand
L’insurrezione è il più santo dei doveri.
M.J. de La Fayette, 1790
TRE : LI CONSIJ DE MAMMA’
’A mamma sta ’n capo o’ cape ’e casa; è nu cappiello.
R. Viviani; dialetto napoletano
Sutta sta coppola di celu jarrusu
lu megghiu iocu è lu iocu pilusu..
Un pomeriggio Ben era andato a trovare a casa Iatata. Sapeva che i genitori di lei e il
fratello e la sorella erano andati a Catania e sarebbero tornati la sera. Mancava poco
alle vacanze pasquali. La ragazza era raffreddata e teneva pure la febbre. Bussò tre
volte ma non rispose nessuno. Stava per andare via ed era già sulle scale quando sentì
aprire la porta. Si girò e tornò indietro. Ad aprirgli era stato Pompeo.
<< Entra … stavamo studiando.>> disse il romano.
<< Cosa?>> chiese Ben entrando.
<< Anatomia, e per la precisione questo....>> E gli diede una manata sul cazzo.
<< Dal vivo o sulla carta.>> chiese ridendo Pompeo.
<< A li mortacci tui.. E che fai , me cojoni? Ma dal vero. Che vuoi mette, un culo de
carne con un culo de carta? Che vuoi mette, du zinne vere con du zinne dipinte? Con
un modello come il sottoscritto e una modella come Iatata che vuoi che ce ne famo
dei modelli cartacei.>>
<< Hai ragione..>> rispose Ben dando una pacca sulla spalla all’amico.
Arrivati nella stanzetta di Iatata Ben salutò la zita che stava sotto le coperte. Era bella
anche con la febbre e i lunghi capelli ricci tutti scomposti. Sul letto stava aperto il
libro di anatomia. Stavano studiando veramente l’apparato riproduttore.
<< Cazzo.. interessante l’argomento.>> disse Ben.
<< Certo.. bisogna conoscere il funzionamento della minchia..>> rispose Iatata.
<< E corrisponde la teoria della minchia con la pratica della stessa?>> chiese
Pompeo.
<< Non so.. non ho capito bene.. pratico con una soltanto. Mi manca il paragone, il
confronto.. per questo mi stavo applicando virtualmente su Pompeo..>> rispose
provocatoria la ragazza.
<< Io ti ho offerto la mia. Quando vuoi, è a disposizione. >> disse il romano.
<< Stronzissimi..>> sparò Ben che non era per niente geloso di Pompeo.
<<A proposito.. sai che mi hanno dato le punture da fare?>> disse Iatata a Ben.
<< Bella questa.. ti devono spurtusiare il culetto.>> disse Ben.
<< Già fatto. Ci ho pensato io.>> rispose Pompeo.
<< Ahhhh… e com’era il culo della mia ragazza ? Bello o brutto?>>
<< Bello è. Ma ora io vado via. Così dopo l’iniezione di medicine che gli ho fatto io,
tu gli fai la puntura di carne che da me non ha voluto farsi fare.>>
<< Esatto..>> risposero in coro Ben e Iatata.
Andato via Pompeo Ben si buttò sul letto della zita malata e le diede un bacio ad hoc.
Poi la scoperchiò e andò ad esplorare la valle del piacere. Come previsto la zita era
senza mutande.
<< Cazzo… le mutande però potevi metterle.>>
<< Per poi farmele abbassare.>> rispose lei.
<< Hai ragione..>>
Ben ficcò un dito nella vagina calda di lei e poi titillò a lungo il clitoride della zita.
Forse cercava segnali di corna, o forse no. Lei invece le abbassò i pantaloni e gli
ciucciò il birillo che era già tiso . A lui piaceva essere ciucciato dalla zita. Gli piaceva
vedere quella testa con una marea di capelli neri, ricci e lunghi piegarsi su di lui. Si
eccitava a sentirsi la minchia circondata da tutti quei capelli. Si eccitava al punto tale
che alcune volte si era masturbato tra quei capelli. Era venuto in quella foresta di peli
neri. Aveva ficcato con i capelli. E la considerava una bella esperienza erotica: la
tricofilia. Ma poi, un po’ prima di venire, Ben disse:
<< Fammi vedere il culetto. Vediamo il portuso che ti ha fatto Pompeo.>>
Iatata si girò e lui le alzò la cammisa da notte. Ben prese a massaggiare il culetto. Si
vedeva il puntino lasciato dall’ago. Il massaggiò cauriò la carusa e accese ancora di
più la candela di carne di lui. Che piazzò l’aggeggio nella vallata intrachiappale.
<< Che fai, amore mio?>> chiese lei sapendo dove voleva andare a parare lo zito.
<< Niente, voglio farti una gnizione anch’io. Nel culo. Un poco più al centro.>>
<< Fai, fai, ma fai piano.>>
E Ben fece. Iatata lasciò fare. Poi parlarono a lungo. Iatata le raccontò tutta la storia
della puntura. O meglio, quasi tutta. Lei la gnizioni non voleva farsela fare, ma non
per vergogna. Non voleva farsela fare per non mostrare il culo all’amico che la
desiderava non solo come amica. Ma Pompeo aveva insistito.
<< Ti vergogni? E daje, Iatata bella, i culi sono tutti uguali. Un culo in più, un culo in
meno, cosa vuoi che sia. E che cazzo..>> le aveva detto lui ironico come sempre..
<< Sì.>> aveva risposto lei mentendo << Io col culo di fuori e tu vestito di tutto
punto.>>
<< Se vuoi, mi spoglio...>> aveva risposto lui papale papale.<< Te faccio uno
spogliarello. Solo per te, per i tuoi occhioni belli.. bella fregna per chi te se fa..beata
la cicia che t’incicia...>>
<< Se ti spogli, allora si che mi puoi fare la puntura, altrimenti niente. Occhio per
occhio, dente per dente e culetto per culetto. Solo se ti metti col culo di fuori mi puoi
fare la puntura. >> replicò acidina Iatata.
<< Io mi posso spogliare anche tutto, non ho problemi. Non mi vergogno a metterme
cor cazzo de fora. Se voi, lo espongo pure ar barcone.. esposizione di cicia
romana..>>
<< Mi accontento di vedere il culo. Culo per culo…>>
<< Non sai quello che ti perdi, Iatata.. bella fregnetta de mamma tua..e de Ben che te
la ficca...nun sai che te stai a perdere...>>
<< Lo so. Mi ricordo la visione avuta a scuola. O era veramente una banana? >>
<< Stronza.. e che fai? Mi cojoni? Quello era il mio creapopoli in tutto il suo
splendore tridimensionale che si esibiva in una minata solo e soltanto per la tua bella
sorchetta dolce.. minata in minchia maggiore…bella sorchetta dolce..>>
<< Dolce? E come fai a saperlo?>> chiese lei curiosa.
<< L’immagino.. e poi fa ciauro di zucchero… a parte er fatto che una cicia accussì
non può che essere uno zuccherino...>>
<< Uno zuccherino?>>
<< Famo nu zuccherone..>>
<< Va bene. Ma la finiamo con le chiacchiere. Ti spogli o no?>>
<< Me voi vede’ er culo? E culo sia. In un amen. Subito.>>
Allora Pompeo aveva improvvisato uno strippi. E si era fermato allo slippi. Aveva
sculettato a lungo in quella tenuta. Il romano era eccitato. Il pacco ballava. Lei
conosceva la misura del giovane. Di vista naturalmente.
<< Voglio vedere il tuo culo.>> disse lei.
E lui , girandosi, si abbassò le mutande. Solo allora lei accettò di farsi fare la
gnizione. Si mise a pancia in giù e si lasciò la cammisa da notte abbassata.
<< Fai pure la punturina .... ma piano piano piano…>> disse lei.
Lui si piazzò a cavacecio sulle sue cosce e iniziò a sollevare piano piano la cammisa
da notte. E intanto cantava. “ Ta, ta, ta, tan, tan, tam, tim, tum..”
<< Guarda che non porto le mutande.>> disse lei.
Alla fine lui mise il culo della picciotta a bella vista. E finalmente ci azziccò la
puntura, ma solo dopo aver massaggiato a lungo la zona interessata. Scendendo
spesso al limite tra la natica e la zona tra le cosce. Scostando spesso la natica destra
dalla sinistra e taliando così il buchetto di Iatata. Poi finalmente gliela fece. Gliela
fece col creapopoli che s’affacciava dall’elastico delle mutande. Forse voleva taliare
pure lui. Infine lei, girandosi e vedendo la situazione che s’era venuta a creare,
scoppiò a ridere. Lui era sempre a cavacecio sulle sue cosce e dalle mutande veniva
fuori, tutta sorridente , la sua coppola dello zio Vincenzo. Una risata a bocca
spalancata e incontenibile si impadronì di lei. E più lei rideva più la cammisa da notte
si alzava. Pompeo invece taliava l’alzata di quel sipario particolare. E taliava pure la
punta della sua minchia. Sperava di vedere San Cunno affacciarsi. E più la cammisa
s’alzava, più Santa Mentula s’affacciava. Iatata continuava a ridere e finalmente San
Cunno venne fuori. Lui taliava. Sempre a cavacecio sulle sue cosce. Anche la
minchia taliava il cunno di Iatata. E la cammisa saliva ancora. Adesso anche
l’ombelico era a bella vista. Lei rideva sempre più e la cammisa saliva ancora. Lui
continuava a taliare. La minchia pure. Ma anche lei taliava santa Mentula uscire
sempre più fuori dalle mutande. E rideva. Accussì la cammisa-sipario salendo liberò
pure le tette. Lei rideva e forse non si rendeva neanche conto di essere esposta tutta
sana sana allo sguardo di Ben. L’ultima ondata di riso incontenibile si estese anche
alla muscolatura delle gambe e Iatata allargò involontariamente le cosce. Anche se
per poco, Pompeo vide la fregnetta tutta pelosetta di lei. A portata del suo creapopoli.
A quel punto non ce la fece più e attaccò a minarsela davanti a lei. Poteva tentare un
approccio. La sua minchia tisa era a poca distanza dalla fica di lei. Lui era sempre a
cavacecio sulle sue cosce, ma per rispetto di lei e di Ben attaccò a minarsela.
Convinto che la sua simenta sarebbe finita su quella fica ,su quella pancia, su quelle
tette. E forse anche su quel viso. A quella vista lei smise di ridere. Capì che quella
sega era un omaggio alla sua bellezza. E un segno di rispetto per lei e Ben.
<< Avvicinati.. fatti dare una mano almeno..>> gli disse.
Lui non sentì neanche. O non volle sentire. Allora lei sgattaiolò da sotto le sue gambe
e andò a dargli una mano. E quando capi che la simenta stava per uscire, non avendo
fazzolettini di carta a portata di mano, per evitare di sporcare per terra o il letto o di
farsi sporcare lei, pigliò la decisione di ammuccarisi il cannolo dell’amico e di
agghiuttirisi il suo spumante personale. Il latte di creapopoli romano.
<< Grazie…. >> disse lui.
<< Prego….>> rispose lei.
<< Grazie per la mano.. >> ridisse Pompeo.
<< Grazie a te per il latte di minchia...>> ririspose Iatata che teneva ancora nelle sue
mani la minchia dell’amico. E intanto si passava la lingua sul musso.
<< Sapi come quello di Ben…>> aggiunse la ragazza.
<< Latte di cicia sempre è.. anche se cambi fontana.. sempre quello è..>> disse
Pompeo contento.
Proprio allora bussarono alla porta. Lui si rivestì di fretta . Ribussarono. Lei si
sistemò la cammisa e si rimise a letto. Bussarono ancora una volta. Solo allora
Pompeo andò ad aprire.
Adesso lei aveva raccontato tutto allo zito, tutto tranne l’ultima parte. Allo zito disse
che aveva fatto una sega a Pompeo e che poi l’aveva pulito con un fazzolettino. Il
racconto riaccese il desiderio di lui. Lui che era già stato soddisfatto , mentre lei non
lo era. Per questo Ben si diede da fare con la sua lingua esperta e la fece godere
come una maiala. Se il latte del suo brigghiu era finito nel culo di lei, adesso era lu
sculu della passerina dolce di lei che riempiva la sua bocca, l’odore stimolava il suo
naso, e la vista della stessa i suoi occhi. Il suo aceddu era sempre arrapatissimo.
Allora lui la convinse a fare ancora sesso, ma sul letto dei genitori. Lo fecero nel
lettone, nella classica posizione del missionario. Dopo questa ficcata lui, taliando in
giro, vide una vecchia foto sul cantarono, una foto che lo fece rabbrividire.
<< Cu minchia è questo signore?>> chiese Ben a Iatata.
<< E mio padre a diciott’anni.>> rispose lei raggiungendolo di spalle e stricandogli la
passera sul culo.
<< Minchia.. ma lo sai che assomiglia sano sano a mio nonno..>>
<< Tuo nonno chi?>>
<< Il fascista. A Concetto Cicidda. Chiddu ca facia il podestà di Monacazzo. E
rompeva a tutti il cazzo. E non solo quello, il bastardo..>>
<< Ma non mi dire? Mio padre che assomiglia a tuo nonno. Questa è bella.>>
<< Ti dico la verità. Se vuoi, domani ti porto la foto.>>
<< E portimilla. Ca videmu sta somiglianza….>>
Poi parlarono a lungo. Anche dei loro genitori. Il papà di Ben e quello di Iatata
avevano la stessa età. Solo che il primo era figlio del podestà, l’altro di NN. Uno era
figlio di simenta certa e documentata ma non assomigliava al padre, l’altro era figlio
di simenta ignota ma assomigliava al padre dell’altro.
<< Casi del destino o casi del cazzo?>> chiese Iatata che adesso gli stava arriminando
i cabasisi.
<< Non credo al destino, ma al cazzo sì.>> rispose Ben .
<< Anch’io. Non credo ai miracoli, ma ai miracoli del cazzo.>>
E il cazzo di Ben stava rinascendo. Era un ennesimo miracolo del cazzo. Era meglio
sfruttare l’occasione. E tornare a letto. Ma Ben volle fare tutto additta. E accussì
fecero. Conclusero sucandosi la stessa canna.
Cepito Portusodoro se la passava bene e desiderava la stessa cosa per i figli. Era
contento di Iatata che s’era messa con Ben. Lui stimava il picciotto. Ma gli stava sulla
coppola della minchia suo padre, quel bastardo di Ciccio Cicidda. E soprattutto il
padre di suo padre, l’oramai defunto Concetto Cicidda, il tanto odiato podestà di
Monacazzo. Se lo ricordava quando portava i “ regali del fascio” ai carusi frutto di
simenta ignota. Parlava e diceva minchiate mirabolanti. Qualcuno diceva che era un
grande figlio di buttana. Che forse lì dentro c’erano pure figli suoi. Tutti sapevano
che era un buttaniere patentato e che non faceva un piacere a nessuno se qualche
femmina della famiglia in questione non gli dava quella certa cosa.
<< Spingiti la vistina e fammi fari na futtitina.>> era il suo detto preferito.
Alla caduta del fascismo lui e il figlio si erano rifugiati nel convento e avevano
vissuto per parecchio tempo nascosti nella cantine. Come due cani arrabbiati. Poi ,
quando le acque si erano calmate , l’ex podestà era tornato a vivere a casa sua
insieme col figlio. E con due criate. Era stato processato da un tribunale della
Repubblica e assolto. Poi si era risposato. Ma per fortuna la simenta maliritta non
aveva dato altri frutti. E la nuova moglie era morta giovane. Lui era vissuto ancora
un po’. Poi si era sparato nel suo studio; ma su questa notizia che tutti sapevano era
caduto il silenzio. Tutti parlarono di incidente intanto che l’ex podestà puliva i suoi
cimeli del periodo nero.
Tutti invece sapevano quello che era successo alla caduta del fascismo. L’uomo era
stato sorpreso dietro la scrivania da dieci antifascisti intanto che una nota signora ,
una dama di una famosa confraternita locale, gli faceva un pompino sotto la stessa.
La signora era stata rispedita a casa in un amen, ma solo dopo che aveva fatto lo
stesso piacere ai dieci componenti il “ tribunale della libertà ”. E tutto sotto gli occhi
di Concetto Cicidda, che era stato denudato e attaccato a una colonna come un
sammastiano. Processato seduta stante da quella sorta di tribunale popolare il podestà
era stato condannato alla fucilazione.
Ma il desiderio di vendetta era nelle menti e nei cuori di tanta gente. Qualcuno lo
voleva torturare in quelle stesse sale dove tanti nemici del fascismo erano stati
torturati. Qualcuno voleva una sua pubblica confessione. Quante femmine si era
fatte? Quanti figli aveva? Ma forse non lo sapeva neanche lui. Alla fine fu deciso di
sodomizzarlo. Tanto per fargli assaggiare nel culo quella minchia che lui aveva fatto
assaggiare a tante femmine del posto in tutti i posti possibili. Stinnicchiatu sulla
scrivania e tenuto da quattro persone fu sodomizzato a ripetizione .
Poi gli fu appeso alla minchia una cartello che diceva ” questo cazzo di questa testa
di cazzo che si chiama Concetto Cicidda ha offeso e umiliato le femmine di
Monacazzo”. E così conciato fu portato in processione per il paese. E tutti lo
sputavano. In faccia, sul culo, ma soprattutto sulla minchia.
Tutto questo in attesa di essere fucilato. Qualcuno lo voleva sodomizzare in
pubblico. Ma non si arrivò a questo. E neanche all’esecuzione. Un gruppo di
fedelissimi mascherati lo portò in salvò. Così, coperto da un mantello, arrivò al
convento dove altri fedelissimi avevano già portato suo figlio. E li dentro papà
Concetto e suo figlio Ciccio erano vissuti per un po’ di tempo in incognito.
Commare Filomena Senzazonna, vedova del falegname Turi Minabrigghiu, teneva
due figlie in età da marito. Le ragazza avevano il diploma di “sarte specializzate in
abiti femminili e vestiti maschili” e lavoravano con la mamma nella sartoria di
famiglia. Che teneva la sede in due tammusa che stavano sotto casa Cicidda. Mentre
al primo piano dello stesso abitavano. E allato a loro c’era casa Sorcaealtro. La
figlia grande teneva diciott’anni e si chiamava Tonina, la piccola ne aveva diciassette
e si appellava Ninetta. E alla mamma ci parevano già due sticchiaredda acidi ca ci
sarebbero arristati sulla panza. Tutti le volevano le figlie sue ma nessuno si li
pigliava. Le caruse tenevano pititto dello zito ma avevano una idea dell’amore fuori
dal comune. E la colpa di tutto era della mamma che le aveva fatte crescere con l’idea
del peccato che si ficcava dappertutto e specialmente in certi posti. Mamma Filomena
era la sessuofobia fatta persona.
<< Se un picciotto vi ferma per strada portatelo subito a casa. Se ha intenzioni serie
verrà, altrimenti acqua davanti e ventu darreri.>>
<< Sì, mammà.>> rispondevano le ragazze col forno già accesso anche se senza
tizzone a disposizione.
<< Perché io debbo valutare il partito.. se è buono oppure no.>>
<< Sì, mammà..>>
<< Se vi fate ziti, con lo zito dovete solo parlare in mia presenza…>>
<< Sì, mammà. >>
<< E quando uscite al corso ci devo essere io. Voi davanti e io darreri con zia
Ciccina.>>
<< Sì, mammà.>>
<< E se tiene la vespa non ci dovete mai acchianare perché quello è uno strumento
del diavolo. Se vi assittate davanti lui vi fa sentire il diavolo darreri. Se vi assittati
darreri gli appoggiate le minne sulle spalle e gli spalancate inferno. E a lui, a sentire
quel ciauro, perché se è mascolo mascolo il ciaru lo deve sentire, ci si arrispiglia il
satanazzo dentro le mutande. E se il satanazzo s’incazza sono cazzi amari . >>
<< Sì, mammà. E che fa poi col satanazzo incazzato ?>> chiedevano le picciotte che
si divertivano a sentire la mamma fare il suo corso di diseducazione sessuale
altamente professionale.
<< Fa di tutto pi farivillu abbidiri, maniari, e autro.. l’intenzione è quella di
somministrarvelo almeno una volta.. picchi il mascolo sapi che se la fimmina
assaggia lu diavolo nell’inferno suo poi lo vorrebbe lì dentro in eterno. In
seculaseculorummu. >>
<< In eterno? In seculaseculorummu ?>> chiedevano le caruse.
<< In eterno, ma siccome la minchia è senz’osso bisogna accontentarsi di quello che
passa il convento.>>
<< Bisogna accontentarsi.. ma prima bisogna sposarsi.>>
<< Esatto. Prima nenti, dopo in seculaseculorummu dintra lu cunnu.>>
Alle caruse a dire il vero piacevano i vicini di casa Ben Cicidda e Pompeo
Sorcaealtro. Ma l’uno ficcava con la zita e l’altro ficcava unni capitava capitava.
Mica si sarebbero messi a perdere tempo con loro, che non sapevano di dove
minchia ancuminciari per rendere felice n’aceddu. Comunque i due vicini erano due
picciotti biddazzi. La mamma invece pensava e ragionava a suo modo.
<< Iennuru lario o bruttu mi ni futtu..
l’importanti ca teni nu travagghiu,
pirchì ‘nsi campa sulu di pani e furmagghiu..
se poi teni na bedda minciazza
a li figghi miei ci vinci sempri la filazza…
pi sapillu ci sta la leggi di la maniglia,
prima la madri e appriessu la figlia..>>
Poi pensava alla sua vicina e al suo famoso detto.
<< Sticchiu ca nunn’è annincatu, o è fracitu o è malatu. .>> diceva donna
Santinedda Cunnucinu, la moglie del ragioniere Sacchettavacanti.
In realtà tanti si facevano avanti per prenotare la mano di Tonina o di Ninetta, ma
visto che poi era impossibile dialogare “ sessualmente “con loro le mandavano
affanculo. In quattro e quattr’otto.
<< Che travagghio fai?>> era la prima dumanna che facevano al malcapitato.
<< Il campagnolo.>> dicevano molti.
<< Allora arrivederci, che non sei cosa pi noi. Per noi la mamma ha detto che ci voli
come minimu un impiegato. Sempre pulito e in ordine e soprattutto stipendio
fisso..>>
<< Certo, stipendio fisso e minchia babba.. Inveci la zunna nostra fa puzza di merda
di vacca.>> dicevano i picciotti di campagna.<< Affanculo a voi e alla vostra
mamma.
<< Impiegato sono.>> diceva qualcuno.
<< Allora si poli trattari.>> rispondevano le sorelle. << Se tieni intenzioni serie devi
venire a casa e parlare con mammà. E decidere quale sorella vuoi. E se tieni un
amico, portalo. Si può pigliare l’altra.>>
<< Ma prima ci dobbiamo conoscere.. frequentare..>> diceva il malcapitato di turno.
<< Prima a casa.. poi ci conosceremo.. così, di vista.. ma non coi fatti.. mani a posto,
bocca pure e diavolo in galera..>>
<< Diavolo in galera..>>
<< Il diavolo.. il diavolo che cerca il nostro inferno.. in galera dentro le mutande deve
stare.. fino alla notte del matrimonio… quannu poli fari chiddu minchia ca voli…>>
<< Addio signorine belle.. meglio andare a buttane e pagare il servizio, che avere a
che fare con una cacacazzi come voi.. come zita prima e moglie appriessu..>>
rispondeva qualcuno.
<< Meglio l’arte di Onan che una cacacazzo e cacatutto come voi.>> rispondeva
qualcun’altro.
<< Sta minchia.. aufidersenni, aurevuarri, adiè mon amur.. e iti a fare in cul.>>
rispondevano altri ancora.
Accussì il tempo passava e Tonina e Ninetta sognavano sempre l’arrivo di una
minchiazza impiegata. Dalla finestre della loro camera taliavano sempre casa
Sorcaealtro e spiavano Pompeo. Si divertivano a taliare le sue nudità. Perché il
caruso stava sempre smutandato. L’avevano visto pure intento a segarsi o farsi segare
da una carusa. Ma anche alle presse con dei mascoli.
<< Che porco. >> diceva una.
<< Porco.. porcazzo.. >> diceva l’altra . E ridevano.
<< Che bella minchia che tiene. >> diceva l’una.
<< Che minchia bella.. >> diceva l’altra sospirando.
<< Che buttana la carusa. Mina come una professoressa laureata in minatologia..>>
<< Ma lui però è felice di testa e di minchia..>>
<< Ficca.. ficca. ..la buttana ci la duna sana sana..>>
<< Maronna.. na lu culu ci la passau..>>
<< Metodo anticoncezionale è..>>
<< Ma pure piacere proibito..>>
<< E peccato mortalissimo è….>>
<< Beddamatri .. cu nu masculo si misi..>>
<< Magari ricchiuni è..>>
<< Ricchiuni attivo è.. >>
<< Na lu culu a l’autru ci la misi..>>
<< Ricchiuni passivo è.. >>
<< Na lu culu si la fici mettiri..>>
<< Iu ci la minassi.>> dicia la prima.
<< Io pure. >> rispondeva la sorella.
<< E poi ci la sucassi..>>
<< Io pure.>>
<< E alla fine ci dassi pure il culo..>>
<< Io pure..>>
<< E forse forse anche lo sticchio ci farei ingignari io a quella bella minchia
romana..>>
<< Io no.. buttana addiventerei..>>
<< E allora io che sono buttana..?>> chiedeva la sorella.
<< Sì. Buttana di pinsero sei..>> rispondeva l’altra.
E scoppiavano a ridere. E correvano sul letto a fare il tocca tocca. Che questi erano i
soliti commenti delle sorelle Tonina e Ninetta Minabrigghiu. Avevano infatti assistito
a tante cose.. a un pompino e a una ficcata lampo con una carusa che loro
conoscevano. E la carusa se l’era fatta mettere prima davanti e poi l’aveva fatto finire
di darreri. E loro s‘erano fatti infiniti segni della croce. Ogni volta che Pompeo
trasiva si segnavano, ogni volta che usciva sospiravano. Ma erano rimasti sorpresi
quando lo avevano scoperto con un altro mascolo. Erano scappati sotto le coperte del
letto matrimoniale che condividevano e si erano strette l’una all’altra. Poi s’erano
accarezzate le minne e alla fine la filazza. Che era poi questo il loro gioco preferito.
In attesa di avere anche loro una bella minciazza a disposizione. Minchia maritale
naturalmente.
Pompeo sapeva di essere spiato e a volte si la minava contro il vetro della finestra
apposta. Perché sapeva di essere guardato. Aveva anche sentito raccontare le idee
medievali che circolavano in quella casa. E s’era convinto che quelle due sarebbero
restate zitelle vita natural durante. Pertanto con i compagni di classe decise di
organizzare uno scherzo. Costruirono due minchie di cartapesta e le spedirono alle
due sorelle. Insieme a un sonetto, scritto sempre in romanesco da Pompeo, che
s’intitolava “LI CONSIJI DE MAMMA'.” E che era tutto un programma.
<< Fija, so che c'è uno che te viè appresso :
io t'arraccomanno de fa attenzione,
de nun fatte , mai e poi mai , oprì er portone,
per poi fatte cagare dentr'ar cesso.
Fija , si lo so che niente è successo,
per cui, p'incastra bene sto cojone,
senti mò, quello che te dic'adesso :
serv'anche a sarvà la reputazione.
Devi restà vergine com'ha Maria :
quindi ecchite quello che devi fare
- m'arraccomanno , segui st'idea mia -.
Dunque, lui é omo e lo devi soddisfare,
gnente scrupoli, ciò nun è peccare :
o lo piji in bocca o te fai inculare.>>
Maximeque reliquiae earum rerum moventur in animis et
agitantur , de quibus vigilantes aut cogitavimus aut egimus.
Cicerone
QUATTRO : ER PITTORE
Dobbiamo strappare alla pittura la sua antica abitudine di copiare,
per renderla sovrana. Invece di riprodurre gli oggetti, essa deve
provocare eccitazioni mediante le linee, i colori e i contorni ricavati dal
mondo esterno, ma semplificati e frenati: una vera magia.
A. Rimbaud
Li strunza criscinu suli…
Il giorno dopo Ben tornò a trovare la zita. La mamma aprì la porta.
<< Buon giorno signora, come sta Iatata?>>
<< Bene. Bene. Oggi non tiene più febbre. Accomodati. E nelle sua stanza. >>
Ben raggiunse la zita che s’era nascosta sotto le coperte. Con la cammisa alzata e
senza mutande. Lui trasì e ficcò la testa sotto le coperte, a metà letto, e la mozzicò nel
pacchio.
<< Ahi..>> disse lei.
<< Ti mangio tutta . >> rispose lui.
<< Ti ho portato la foto.>> rispose lui . E gliela diede.
<< Minchia..>> disse Iatata << .. e tale è quale mio padre.. minchia…>>
<< Che ti dicevo.. >>
E tornò a mozzicare il pacchio.
<< Minchia.. questo è diverso dal mio.. manca qualcosa.>> disse Ben.
<< E diverso e tiene la sorpresa ammucciata. >> rispose Iatata allargando le cosce.
Lui mozzicava e alliccava, lei taliava la foto del nonno di Ben. Il podestà e Cepito
avevano la stessa faccia.
<< Cazzo.. cazzo.. cazzo.. hanno la stessa faccia…ho un’idea.>> disse la ragazza.
<< Anch’io.>> rispose lui con la voce che pareva venire dall’oltretomba.
Infatti stava con la faccia sotto le coperte e la lingua infilata nella filazza. L’idea che
avevano era la stessa. Ma non c’era modo di verificarla.
Una sera Ben e Pompeo volevano parlare dei fatti loro . Pompeo aveva quella sera la
macchinona del padre, un vecchio Mercedes. Pertanto decisero di andare a mangiare
una pizza fuori paese . Era una bella serata primaverile. Ma nel locale il discorso non
fu neanche iniziato. C’era troppa gente e Ben non trovava le parole adatte per dire
quello che sentiva. E neanche Pompeo le trovava queste benedette parole. Dopo la
pizza passeggiarono a lungo, ma poi Pompeo sbottò.
<< Ti devo chiedere scusa per quello che è successo tra me e la tua ragazza. Ma è
stato un caso, un incidente di percorso.. Una cojonata..>>
<< Lo so.. Iatata mi ha detto tutto. E stata lei ha dirti “ avvicinati..”>>
<< .. io me la stavo minando per rispetto di te e di lei.. che voi, quer culo mi aveva
attizzato er cazzo.. infiammato i cojoni.. per rispetto del tuo diritto di “ proprietà der
bucio e der resto” io stavo facendo cinque carruba e un carzarato...>>
<< Ma futtitinni... E’ stato un gioco.. un gioco sessuale.. e poi una sega non è
tradire.. e fare l’amore tradire.. una sega si può fare anche per amicizia.. per dare una
mano a un amico.. un aiuto nel momento del bisogno..>>
Pompeo era sorpreso da tanta liberalità.
<< Date da bere agli assetati, date da mangiare agli affamati, date una mano, se non
potete dare altro, agli arrapati..>> concluse Ben.
Pompeo scoppio a ridere. Ben lo imitò. Si abbracciarono. Pompeo baciò l’amico.
<< E’ un bacio d’amicizia .. non d’amore.. >> precisò.
Pompeo sentì che l’amico era eccitato. E a dire il vero era eccitato anche lui. Erano al
buio e dietro un albero. Pompeo si rese conto che poteva dare di più. E ficcò la mano
dentro le mutande dell’amico. Che contraccambiò il gesto. Nel momento del bisogno
si stavano reciprocamente dando una mano. Ma Pompeo capì che poteva dare ancora
di più. Lo pregò di ritornare in macchina e lì gli abbassò i pantaloni e iniziò a
ciucciare. Ben lasciò fare. Il pompino era una bella cosa, l’importante era farlo bene.
E Pompeo sapeva pompare. Ma non lo fece venire il romano. Pompeo sapeva di
potere dare e fare di più. Infatti smise di ciucciare, si abbassò i pantaloni e gli offrì il
sedere.
<< Date er culo se non potete dare la fregna .. e io non tengo la fregna.. date er culo
pertanto se non potete dare altro..>> disse Pompeo che sapeva che Ben amava il culo
in sé stesso. Il culo per il culo.
Ben l’inculò e venne dentro quel bel culo. Si sentiva soddisfatto ma vedeva l’amico
con la minchia sempre tisa. Voleva ricambiare il favore ma non se la sentiva. Non
adesso. Non ancora. Allora usò le mani. Ma capendo che Pompeo venendo avrebbe
sporcato la macchina, all’ultimo momento usò la bocca e ingoiò la simenta amica.
Involontariamente aveva fatto , nei confronti di Pompeo, lo stesso gesto di Iatata.
<< Certo che sei eccezionale e imprevedibile.. non sapevo che ti piacesse er latte de
cicia ...>> aveva detto Pompeo all’amico.
<< Lo so. Ma anche tu non scherzi..>> rispose Ben.
<< Io sono un artista. Un artista del cazzo e della fregna.>> disse Pompeo.
<< Ma dimmi? Ho tradito Iatata facendo l’amore con te?>> chiese Ben.
<< No, questa è storia di mascoli, storia omosessuale, fatto de culo.. quella è n’autra
cosa...>> rispose il romano.
<< Fatto di culo questo è. E allora quando scatta il tradimento?>> chiese Ben.
<< Quando fai un fatto de fregna cu n’autra femmina e per amore..>>
<< Per amore.. n’autra fregna..>> ripeté Ben.
<< Esatto..>>
<< Ho capito. >> concluse Ben. Poi risero a iosa. Incularsi era n’autra cosa.
Uno dei rompicoglioni chiù rompicoglioni di Monacazzo era lo scrittore Micio
Tempio. Scrittore di pilo e basta. Ma anche ateo. E a proposito dei preti citava sempre
Müntzer : << Finché essi vivono non è possibile che vi liberiate dal timore umano.
Non si può parlare di Dio finché essi signoreggiano su di voi. >>
Per lui dio tutt’al più era la reazione chimica che aveva scatenato il binghi-benghi.
Micio interpretava la storia del mondo come una cunnomentulamachia. Tutto firriava
intorno al sesso. Paria figlio di Froiddi chistu tizio. Se Giove s’era maritato con sua
sorella e in Egitto era tutto un casino, anche il cristianesimo per lui non scherzava con
il suo misterioso caso, scientificamente non verificabile, di partenogenesi nella specie
umana. Lui si sentiva ateo e innocente, invece tutti i credenti in qualche zona del
mondo avevano dovuto combattere qualche guerra santa. Fare una crociata. Una
inquisizione più o meno santa. Un processo. Una censura. Lanciare un anatema.
Lanciare una scomunica. Chiedere confessioni e lanciare assoluzioni. Una guerra
continua e sempre di parte. Un dio contro un altro, ma anche una guerra di uomini
contro altri fratelli uomini. E le guerre che avevano insanguinato il mondo nel passato
erano sempre state, gira e rigira, guerre di religione. E anche adesso erano la stessa
cosa. Micio invece amava la libertà totale. Aveva in mente il modello francese, dove
la rivoluzione del 1789 aveva fatto piazza pulita del passato. Piazza pulita violenta fu
purtroppo. Ma il passato era troppo “duro e crudo ” e non c’erano alternative. Se oggi
l’Europa era un po’ più libera di altre zone della terra lo doveva a quella rivoluzione.
Lì era stata stato lanciato il seme che aveva dato un po’ di libertà all’uomo. Micio
amava la Francia e il modello francese. I suoi paesani invece non amavano né lui né
la sua opera infetta, lurda, fitusa, ingrasciata e pornografica.
<< Scannulu vivente.>> l’aveva definito la mamma.
<< Scannulu continuo e porcu al cento per cento.. luvannici lu battesimu.. >> l’aveva
definito il parrino della sua parrocchia.
<< Satana rinato e Lucifero reincarnato.. >> lo chiamava una vicina.
<< Lurdu e fitusu ..>> l’aveva soprannominato uno zio ammuccaparticoli.
<< Ingrasciatu e sdisanuratu ranni. >> lo definivano in tanti.
<< E nun s’è mancu maritatu...>> puntualizzavano alcuni.
La sua carriera era incominciata per caso. Avia scritto per i cazzi del caso, o per i
casi del cazzo, un romanzo piluso dal titolo “ Cent’anni di pilazzu” . E per i casi della
minchia , o per le minchie del caso, aveva vinto il primo premio per la narrativa al
TERRE DI FICUPALA che si era svolto nel comune di Ciappacuppini, uno dei paesi
della famosa Ficupalandia. Il concorso era intestato a un prestigioso rappresentante
della cultura locale, certo Turiddu Evva. Ma quel concorso era stato organizzato
male . Ed era nato ancora chiù male. Per esempio, tanto per dirne una, il sindaco del
paese in questione aveva stanziato solo la metà della somma necessaria per pagare i
premi. E il coordinatore aveva coordinato e scoordinato a suo piacimento. Il concorso
era stato partorito nel caos e nella confusione e forse già siminato ammalamenti.
Infatti il povero Micio aspettava il premio in lire e la stampa del libro. Ma non
arrivava nè l’una nè l’autra cosa. Poi scopriu per caso che il secondo arrivato era stato
pagato dal coordinatore in persona.
<< Chi arriva secunnu veni paiatu e cu arriva primu veni inchiappettatu. Sta
minchia..>> pinsau Micio Tempio.
E si rivolse ad un avvocato per risolvere la questione. Ma prima scrisse a destra e a
manca e ci fu pure una bella trasmissione radiofonica che si occupò del caso. E
accussì vennero fuori certi retroscena da far mannari affanculo la sicilietta intera.
<< Ci sono regioni e regioni, province e province e comuni e comuni. >> aveva detto
il famoso conduttore radiofonico.
<< E minchia se aveva ragione…la sicilietta è e resta terra di cazzi amari...>> disse
Micio Tempio a sé stesso.
Per esempio, il coordinatore si era giustificato dicendo che il secondo era stato
pagato in quanto non siciliano . Allo scopo di non far parlare male della Sicilia.
<< Evviva sta minchia e la banna ca la sona . Adesso gli italiani si dividono in non
siciliani e siciliani. In sopra lo stretto e sotto lo stretto. Questo è razzismo made in
Sicilia. Viva sta minchia e la banna ca la sona.>> disse Micio. E pensò a Cecco
Angiolieri. Il suo sonetto era il suo Pater. Altro che porgi l’altra guancia.
<< Viva sta minchia e la banna ca la sona.“ S’io fossi foco”.>> disse ancora a sé
stesso.
E come dire che il diavolo fa li pignati ma i cupeccia li mette solo dove vuole lui. Il
coordinatore aveva intascato i soldi , ma aveva pagato solo chi voleva lui. In base a
un codicillo che non si sapeva dove minchia stava scritto. Ma a parte questa schifosa
vicenda di malasicilia, e la Sicilia di cazzate ne combinava dai tempi che era magna
Grecia, lo scrittore continuava a scrivere di pilo, pilo e poi ancora pilo.
<< Beati i secondi , saranno i primi..>> diceva spesso Micio Tempio.
Adesso era nelle librerie con un libro in dialetto dal titolo molto ma molto esplicito.
“Sticchio glorioso” . Il volume era dedicato a uno degli amori più belli di Zeus.
Quello per Danae. E Micio come capezzale teneva proprio la “ Danae” di Gustav
Klimt. Bello assai quell’amplesso divino. Lu beddu sticchiu di la principissa
rappresentato con una cosciona in primo piano, una bella minna a vista e la faccia di
chi si abbannua a lu piaciri. Perché Danae è raffigurata nel momento dell’abbandono.
Nel momento in cui Zeus ci passa la so bedda minchia divina sotto forma di pioggia
d’oro. Una pioggia di cazzi. Di cazzi d’oro. Una pioggia di simenta d’oro per un
alluvione di sticchio. E da chidda futtuta divina e preziosa nasciu nu omminu cu li
baddi, tale Perseo.
<< Tutto il corpo della donna è una dépendance del suo organo sessuale, la donna è
un essere che entra in coito dappertutto.>> aveva scritto nel 1903 il teorico viennese
della misoginia Otto Weininger. E Klimt aveva reso su tela quel momento .. divino.
O meglio, quel momento di.. minchia divina.
<< Futtiri accussì è futtiri da diu..>> diceva Micio ogni volta che taliava il quadro. E
se Micio aveva dedicato a Danae chista opera dal titolo esplicito, non era solo pirchì
nu sticchiu ca infiamma il dio capo non può che essere glorioso. C’era anche un altro
motivo. Storico. O meglio, mitologico. Pare, secondo una leggenda riportata da
Virgilio di Munipuzos nella sua “ Danaede” , che Acrisio, il papà di Danae, saputo
del vaticinio che gli preannunciava la morte per mano del futuro nipote , per
sicurezza facissi chiuriri la figlia nella torre di bronzo del suo castello . Per
proteggerla dalle tentazioni del cazzo. Ma non la rinchiuse in Grecia, bensì nella
lontana città di Munipuzos. Città bellissima ma lontanissima, città della magna
Grecia. Cioè l’antica Monacazzo. Ma in quella torre Zeus l’aveva fecondata.
<< Perché il bronzo può essere una cintura di castità inespugnabile per una minchia
qualsiasi, ma non per quella di Zeus..>> diceva Micio Tempio.
<< Un uselo normale non riesse ad andar sempre in mona.. ma l’uselo de Zeus non
perdona.. >> dice Giorgio Baffo.
Adesso Micio era superultraincazzato perché padre Ciollardente aveva minacciato di
scomunica i lettori della sua opera.
<< Pinna e mecciu lurdu, incapaci finanche si farsi una famiglia.. non leggetelo,
perché rischiate di addivintari come lui.. e soprattutto di finire all’inferno.. >> aveva
detto il prete in preda alla più lucida follia.
<< Pirchì stu saccu di merda non si fa li cazzi suoi?>>s’era chiesto Micio.
E per tutta risposta, un giorno che era più incazzato del solito, aveva spedito una
lettera al prete della parrocchia dov’era nato e vissuto pregandolo di cancellare il suo
nome dalla lista dei battesimati, dei comunicati e dei confermati. Che lui non aveva
bisogno del battesimo, della comunione e della cresima. Che gli erano stati imposti
dai suoi quando lui non capiva un cazzo. Lui era fatto di atomi e atomico voleva
restare. Era ateo, rispettava coloro che professavano il cattolicesimo come e allo
stesso modo di coloro che professavano altre religioni. Ma lui era ateo e come tale
voleva essere rispettato anche lui.
<< Caro padre Bartolomeo Ciollardente, nessuno conosce o possiede la verità. Nè io
né lei. Esistono molte verità, ognuno crede alla sua. Ma per favore, non cerchiamo di
imporla agli altri. Teniamoci la nostra e amen. E cosi sia. Perché è l’imposizione che
fa nascere gli odi. E gli odi non portano bene. La storia insegna. Voi poi avete avuto
il rogo facile. E non solo quello. Avete avuto il carcere.. la tortura.. avete avuto e
avete la confessione , questa specie di interrogatorio poliziesco.. E poi avete avuto e
avete la penitenza... ricordo di aver letto che per la masturbazione maschile, tra il VI
e il IX secolo, erano previsti 15 anni di prigione.. e per quella femminile solo 6..
questa, scusasse la volgarità, è pazzia..pazzia da scassacazzi.. Ma per fortuna adesso
la fiamma si è spenta. Il gas è stato tagliato. Basta con le crociate e le imposizioni. Io
la rispetto tantissimo, ma esigo il suo rispetto. Io rispetto tantissimo il suo credere in
un “ Dio “, ma lei, per favore, rispetti il mio credere in un “ non dio”. Con tanta
simpatia e stima. Parli di inferno e paradiso ai suoi fedeli, ma lasci la parola
“infedeli” fuori dal suo vocabolario di persona colta e penso molto civile. Io non mi
sento un infedele. Mi sento un uomo libero di pensarla a modo mio. E rispetto e stimo
chi la pensa diversamente. Non condanno nessuno all’inferno, e neanche al
purgatorio. E naturalmente non spedisco nessuno in paradiso. A parte le femmine, ma
quella è una spedizione reciproca. E poi, i tre siti in questione, non si trovano in
nessun atlante geografico. E neppure in nessun atlante astronomico. Per me il
paradiso sta tra le cosce di una fimmina. Gli altri facciano come minchia credono.
Comunque io auguro a tutti un paradiso, ma siamo noi che dobbiamo costruirci il
nostro paradiso sulla terra.. e poi , se vogliamo, possiamo, a seconda delle nostre idee
, pensare anche ad altri paradisi.. Come quelli artificiali. Ma soprattutto lasci stare di
fare il critico letterario. Lei capisce una mazza di certe cose. Il parlo di sesso in modo
chiaro. Ma anche la Bibbia ne parla. Sodoma, Gomorra, gli angeli spediti là, Loth a
letto con le figlie... allora basta... basta.. o sarà guerra...Con affetto. Micio Tempio.
PS. E si ricordi di sbattezzarmi, di scomunicarmi e di scresimarmi. E per quanto
riguarda l’essere celibe le rispondo citando Prisciano “Caelebs, caelestium vitam
ducens. Il celibe vive vita beata.” Comunque grazie. >>
E nella piazza principale del paese di Monacazzo, figlio legittimo dell’antica
Munipuzos, ci stava proprio una bella fontana dedicata a Danae e Zeus. Bello il
gruppo scultoreo di Carmelino Canovedda, posto al centro di una enorme vasca
circolare. Una femmina in stato di abbandono sensuale , sdraiata su tanti puttini, che
offriva il suo corpo alla pioggia continua che le piombava addosso.
<< Una trummiata barocca..>> diceva Micio parlando della vasca.
<< Danae se gode il suo uselin, chi varda se gratta il pisellin..>> era invece il detto di
Giorgio Baffo.
<< La divina cazzicatummula d’amuri di Giove..>> diceva poeticamente parlando
Micio Tempio.
<< Una chiavata intermittente.. >> diceva qualcuno facendo riferimento alla cronica
mancanza d’acqua pomeridiana che si verificava Monacazzo, specie nel periodo
estivo. E poi c’era sempre qualcuno che litigava davanti alla fontana.
<< O ficca la matina o nenti..>> diceva qualche spiritosa amata minchia alla sua
consorte.
<< Sempre chiù assai di mia ficca..>> rispondeva la consorte acida al marito.
<< Chi voi.. chidda minchia soprannaturali è...>>
<< E la tua invece sottonaturali è.. anzi , oramai morta è.. >>
<< Non offendere la minchia mia e il suo proprietario..>> diceva il marito incazzato.
<< Io la verità dicevo..>>
<< I miei problemi di minchia dipendono da te.. e adesso zitta.. altrimenti cu nu
tumbuluni ti fazzu cazzicatummuliari dintra la vasca..>>
<< Provaci.. e vediamo chi cazzicatummulia prima. Io o tu..>>
Litigavano anche le coppiette di ziti.
<< La statua fotte e io no..>> diceva qualcuno alla zita.
<< A un dio nun si poli diri di no.. e poi chiddu si la pigghiu cu la prepotenza.. chi
avia fari idda, mischinedda ...>> rispondeva la zita.
<< Allora io fazzu comu a lu diu..ti fazzu mia cu la prepotenza..>>
<< Sta minchia.. ti arriva nu tumbuluni ca cazzicatummulì dintra la vasca in un amen
e accussì ti arrifrischi lu ciriveddu e l’aceddu..>>
<< Ma prima o poi ti la ficcu..>>
<< Prima no, dopo lu matrimonio sì..>>
<< Megghiu mo frati ca si iu in Germania a travagghiari.. si manteni nu pacchiu di
lussu senza binirizioni di lu parrinu..>>
<< Virivogna.. na la stati quannu la porta cà, tutti la talinu comu na buttana..e a iddu
comu nu curnutu.. >>
<< Intanto iddu passa lu tempu a ficcari.. e cu talia si la poli sulu minari.. comu a
mia...>>
<< Lurdu.. la minata è piccatu..>>
<< Cu nun poli usari lu pacchiu, usa lu culu. Cu nun poli usari lu culu, usa la ucca.
Cu nun poli usari la ucca, usa li manu di la zita. Ma cu nun poli usari mancu chiddi
ch’avi a fari? Se avi li picciuli, va a buttani , altrimenti, pianu pianu, si la fa a
manu..>>
<< Porcu...>>
Litigavano pure le vecchie signorine.
<< E’ uno scannulu chista statua na la ciazza..>>
<< No..è una opira d’arti..>>
<< Sarà.. ma opira d’arti lurda è..>>
<< E’ una ca ficca cu l’acqua..>> diceva la signorina Genoveffa Nullaresi.
<< Ma pirchì iu quannu mi fazzu la doccia non godo?>> chiedeva la signorina assai
assai appitittata Gelsomina Senzaciolla.
<< Pirchì na cosa è na minchia di carni dura e tisa, e na cosa è na minchia
d’acqua..>> sentenziava la signorina all’anagrafe Addolorata Millecicie.
Sui bordi della vasca , dove questa gente stava assittata per cazzuliari, un bassorilievo
raccontava le avventure di Perseo, il frutto di quella divina ficcata.
Come diceva Giorgio Baffo all’amico Micio , << Zeus , questo xè il belo, sapeva
sempre dove metter l’uselo..>>
Durante la messa di mezzogiorno di quella sessantottina domenica delle palme padre
Bartolomeo Ciollardente, durante la predica, ci andò pesante con il modernismo,
questa droga dilagante che minacciava la famiglia e lo stato . E in particolare si
scagliò contro i nemici della fede. E disse che a Monacazzo , purtroppo, oramai
c’erano parecchi nemici mortali della fede. Invitò i fedeli a fare attenzione, a non
cadere nelle loro trappole artificiali, nei loro paradisi peccaminosi , ad alzare il livello
di attenzione generale. Poi parlò di una missiva che aveva ricevuto e senza fare
nomi lesse parte della stessa. Infine lanciò una sorta di anatema, di condanna, di
scomunica contro il peccatore pubblico ma ignoto e lo invitò, se era in chiesa, se
aveva coraggio, a farsi avanti e a chiedere perdono a lui, alla comunità cristiana e
soprattutto a Dio.
<< Questo pubblico e grande peccatore mi ha chiesto ufficialmente di essere
cancellato dal Santo Registro Parrocchiale dei Sacramenti di Santa Romana Chiesa
Cattolica Apostolica dei Battesimati, da quello dei Comunicati e da quello dei
Cresimati. Meno male che non è sposato, altrimenti mi chiedeva di cancellarlo pure
dal registro dei matrimoni. Io rispondo a questo infinito peccatore che io potrei anche
cancellarlo da questi Santi Registri dei Sacramenti.. potrei, ma non lo faccio.. perché
l’eventuale cancellazione sulla carta non può mai e poi mai cancellare quello che lui
ha ricevuto da Dio.. >>
Seguì il quasi anatema o scomunica o altro che lo vogliamo chiamare. E l’invito a
farsi avanti e chiedere perdono. Ma nessuno si fece avanti. D’altra parte quell’uomo
non frequentava la chiesa. Tanti comunque avevano capito che quell’uomo era lo
scrittore pornografico Micio Tempio.
Micio quella mattina, intanto che il prete sparlava di lui anonimamente, passeggiava
al corso con l’altro libertario di Monacazzo, Giorgio Baffo. E gli raccontava della
missiva che aveva spedito a messer Ciollardente di nome e di fatto. Poi parlarono di
viaggi e pilo, che erano i loro argomenti preferiti, oltre all’arte e al teatro, alla politica
e all’impegno sociale ma laico. Passeggiavano in quell’insulso annavanti e annarerri
da esaurimento nervoso, che sicuramente un novello Froiddi avissa interpretato in
modo diverso. Ovvero come pititto di fare trasi e nesci, annavanti e annarerri, in un
altro tipo di corso, corso Ciolla Sticchiale. Micio e Giorgio passeggiavano e
cazzeggiavano.
<< Lo sai che la dottoressa Fighetta s’è fatta l’amante?>> chiese Micio.
<< Ma non mi dire? Finalmente trovò la misura ad hoc. Il minciulin per il suo
buchettin..per fare din don din...>>
<< Trenta centimetri di minchia voleva e forse li attruvò.>>
<< Xè bona quela mona.. casso, xè proprio bona.. beato l’uselo che va in quel buco
belo.. beato il ciollin del fortunato.>> rispose Giorgio in veneziano.
<< Beato dalla minchia beata..>>
<< M’hanno detto che padre Ciollardente, che scassa l’uselo a tutti, a Siracusa tiene
tre figli da tre femmine diverse.>> disse Giorgio.
<< Lo so. E una la conosco, Boccadifuoco come la mamma si chiama.>> disse Micio.
<< E che? Te la sei fatta, trombata , scopata, ingallata..>>
<< No. >>
<< Non ci credo. Sei sempre alla ricerca di un buco novelo per metterci dentro
l’uselo.. com’è la mona della signorina Boccadifuoco? Di fuoco o i chiaccio?>>
<< Ma no, Giorgio.. mai con la figlia del parrino.. di quel parrino..>> disse Micio.
<< Ma come.. saria belo.. non potendo fottere il padre..>>
<< .. metterglielo in culo alla figlia..>>
<< Tre figli.. il porcasso scassacasso.. >>
<< Tre atti di fede furono.>>
<< Tre cagate d’uselo. >>
<< O tre atti di minchia?>>
<< Ciollardente di nome e di fatto..>>
<< Cambiamo discorso che è meglio…>>
<< E cambiamo.. spariamo altre quattro monate…>>
<< Dimmi, che ne pensi del 68 ?>>
<< E bello e promette bene. Ma io preferisco il 69. Mi da più piacere…>>
<< Io penso che dal 68 avremo piaceri e sorprese piacevoli.. come dal 69.>>
<<Lo penso anch’io.. e saranno cazzi amari per i conservatori del cazzo..>>
<< Quelli che tengono sempre la minchia conservata dentro le mutande…>>
<< .. e quando la tirano fuori è solo per fare una stronzata..>>
<< .. sanno fare solo minchiate, cagate , stronzate…>>
<< .. ma soprattutto, questi conservatori del cazzo, che tengono la fica delle loro
donne in cassaforte.. >>
<< ..sotto chiave.. >>
<< .. hanno paura delle altri chiavi.. >>
<< … che chiavando la loro personale serratura possano far funzionare meglio
l’ingranaggio..>>
<< .. e allora il conservatore sarebbe solo una minchia a perdere reale..>>
<< .. una minchia piena d’aria..>>
<< .. una minchia impotente…>>
<< .. un marrugghio smarrugghiato.>>
<< .. una sasizza andata a male..>>
<< .. un cetriolo sfatto..>>
<< ..una banane moscia..>>
<< … un chiodo arrugginito..>>
<< .. un creapopoli che non crea un cazzo…>>
<< .. una cannolo di ricotta acida…>>
<< .. un piripicchio che non piripicchia..>>
<< .. nu brigghiu siccu..>>
<< .. ca nun piscia latti..>>
<< .. pirchì una testa di cazzo lo è già..>>
<< .. una testa di cazzo a perdere…>>
<< .. una minchia morta..>>
<< .. e sepolta..>>
<<…addio minchia bella.. che non sai scappellare la cappella..>>
E continuavano nella loro squisita arte del cazzeggio. Passeggiavano e curtigghiavano
e si facevano sfacciatamente i cazzi degli altri. Fu allora che si sentì una voce.
<< Micio.. ma chi minchia cumminasti? Padre Ciollardente ha detto che sei il diavolo
di Monacazzo. Non ha fatto nome, ma cu tia l’avia . Minchiaaaa.. comu l’avia cu
tiaaaa. Minchiaaaa...>> gridava il professore Bisticchiò.
<< Chi fu? Chi successi? >> chiese Micio.
<< Il parrino ha lanciato una sorta di scomunica contro un tizio, e non faccio nomi,
che gli ha scritto un lettera che lui ha definito diabolica, frutto del diavolo che sta
dintra quel cristiano satanico posseduto da satana personalmente…>>
<< E a mia chi mi ni futti del pensiero, chiamiamolo pensiero, di messer Ciollardente
di nome e di fatto.. di questo messer che vorrebbe raffreddare tutte le ciolle altrui..
mettere il contaficcate alla gente.. applicare il divieto d’ingresso a certi purtusa.. e
soprattutto vorrebbe farci diventare tutti suoi fedelissimi… ma fedelissimi
fedelissimi.. perché il suo desiderio è quello di castrare la libertà.. di mettere i
coglioni del libero pensiero dentro un casciolo e buttarne la chiave nel cesso.. di fare
della libertà un eunuco… perché lui, questo è il suo desiderio neanche tanto
inconscio, vorrebbe controllare sia gli atti che i pensieri di tutti…>> disse Micio che
era stato preso da una incredibile e improvvisa logorrea .
<< Casso che scassacasso..>> disse Giorgio Baffo.
<< Minchia chi cacaceddu..>> disse il professor Bisticchiò .
<< Minchiaaaa.. >> replicò Micio << adesso quello mi ha scassato veramente la
minchia…. >>
<< E il culo no?>> chiesero gli amici.
<< Quello glielo scasso io a lui, se non la smette con questi metodi del cazzo da santa
inquisizione della minchia di porco, scuffato e iarruso Ciollardente che è...bastardo
sacco di merda...>>
<< Cazzo..>>
<< E cazzi amari saranno… cazzi acidi per lui.. cazzi non zuccherati.. cazzi amari..
cazzi avvelenati..cazzi teatrali.. perché se lui fa il teatro.. io lo posso fare meglio di
lui.. anzi, lo so fare meglio di lui... reciterò io e farò recitare pure lui.. ma io saprò la
mia parte , lui no...>>
<< Cazzo mio in culo alla monaca.. >> disse Bisticchiò.
<< Mona de sorela su la mi capela. >> disse Giorgio.
<< Culo di parrino sul mio pisellino.. >> concluse l’eretico ed erotico Micio Tempio,
che tutto era tranne che un pisellino.
La sera della domenica delle palme a Monacazzo si svolse una bella processione ma i
ragazzi non parteciparono. Iatata , Ben e Pompeo erano insieme.
<< Minchia, la prucissioni.. chi ruttura di coglioni..>> disse Ben.
<< Mejo fare na rivoluzione che na processione.. >> aggiunse Pompeo.
<< L’importante è fare quel cazzo che ci pare..>> sentenziò Iatata.
<< Mejo er fumo nostro che quello dei preti..>> disse Pompeo.
<< Meglio la cannila mia che quella di cera dei parrini..>> aggiunse Ben.
<< Meglio stutari una cannila di carne che una di cera.. è un piacere diverso..>>
precisò Iatata.
<< Voi mette era cazzo co la cera?>>
Tutti i ragazzi delle scuole superiori decisero di disertare le manifestazioni religiose e
di riunirsi allo stadio per fare una sorta di assemblea generale . O meglio, un sit-in di
protesta contro quello che stava succedendo in Italia e nel mondo. E per capire megli
fumarono assai. E Pompeo quella sera diede agli amici un sonetto che aveva scritto in
loro onore. Titolo “ER PITTORE “
So n'artista ,so er mago der pennello,
la mia arte è moderna, mica antica,
quarcuno nun la capisce , lo dica:
io so pronto, je'llumino er cervello.
Dice “ è ambigua”. Ma questo è er bello.
Devi sape' che costa assai fatica
dipingere n'cazzo e dì ch'è na fica.
So capac’io, parola 'e Pompeobello.
Er mi studio è tutta n'antra cosa:
c'è un grande letto che fa da pedana
n'dove li modelli se mettono n'posa.
Io fo all'amore con queste persone,
n'frocetto n'zuccherato e na puttana,
fino a trovare l'ispirazione.
Via la mano brutale, infame sbirro! Te stesso frusta, non quella puttana!
Tu bruci dalla voglia di far con lei ciò per cui la punisci.
W. Shakespeare
CINQUE : ER FATTACCIO SESSUALE
La donna, in verità, o Gothamo, è un fuoco sacrificale. Seguendo questa
immagine, l’organo sessuale maschile è il combustibile; la seduzione, il
fumo; la vulva, fiamma; l’accoppiamento, i carboni; il piacere, le scintille.
In questo fuoco gli Dei offrono lo sperma; dall’oblazione nasce il feto.
Upanishad, testo indiano
Tanto la minchia chi ni capisci..
Arrivarono le vacanze pasquali. Il tempo era bello. Quasi una estate anticipata. La
sera dei sepolcri, il giovedì santo , le gemelle Marietta e Maruzza Cacapitruddi ,
nella chiesa di san Sebastiano, abbordarono Pompeo e Ben. I ragazzi accettarono il
loro invito a girare le sette chiese. Secondo tradizione. Quando non ci sta un cazzo da
fare anche le tradizioni possono essere utili. Pompeo era libero di suo, Ben quella
sera tinia la zita impegnata in questioni di famiglia. Era bello conoscere due
verginelle e magari farici, se possibile , una stricatina. Magari farici canusciri qualche
funzione della minchia, fariccilla taliari e maniari e tutt’al più ammuccari Perché
sperare di più era impossibili. Verginelle erano, ma anche curiose. Le ragazze
passando sotto casa loro, proposero ai carusi di salire un attimo, per sbrigare un
improvviso bisognino biologico.
<< Devono cangiare l’acqua allo sticchio..>> disse Ben
<< E noi la cambiamo alle olivette..>> rispose Pompeo.
Pompeo e Ben salirono, la casa era vuota. La signora e il signor Cacapitruddi erano
andati in comunità e sarebbero tornati a notte fonda. Nella stanzetta delle ragazze
Pompeo e Ben stavano taliando un giornale di moda intima femminile quando
Maruzza e Marietta ritornarono dal cesso.
<< Se permettete ci scappa pure a noi la piscia ..>> dissero i mascoli.
<< Andate.. andate pure a fare pipì..>> E li accompagnarono al cesso.
Ma invece di tornare indietro restarono dietro la porta ed entrarono dentro appena
sentirono il rumore della piscia che veniva giù. I ragazzi stavano pisciando, pipì
contro pipì. Pompeo continuò a pisciare tranquillo, Ben si coprì l’aceddu e si pisciò le
mani.
<< Cazzo.. ma che cazzo fate?>> disse Pompeo ridendo.
<< Volevamo vedere due uccelli dal vivo.>>
<< Ma una volta il mio l’avete visto.. anche se l’avete scambiato per una banana..>>
disse Pompeo.
<< Sì, per una banana di carne.>> dissero le ragazze.
<< Ma il mio non l’avevano mai visto. Io non mi esibisco per nessuno.>> rispose
Ben.
<< Sto cazzo.. lui si esibisce solo per Iatata..per lei alza e abbassa la cicia.. per lei la
gonfia e la sgonfia.. Ah Ben,, an vedi chi ti la ficca...>> aggiunse Pompeo.
<< Ma adesso l’abbiamo visto.. anche se di sfuggita.>> dissero le ragazze.
<< Fanculo..>> sussurrò Ben.
<< E allora, perché non ci fate uno strippi.>> proposero in coro Maruzza e Marietta.
<< Uelà.. ma che siete tutte matte?>> sparò Ben.
<< No.>> disse Pompeo.
Le ragazze misero il muso.
<< E va bene.. improvviserò... volete vedere un cazzo.. e v’acconteterò..>> disse il
romano.
Pompeo attaccò. E coinvolse Ben, che accettò suo malgrado.
<< Nudi, nudi .. vogliamo vedere l’aceddi..>> dicevano le gemelle.
Ma loro si fermarono alle mutande. E non certamente per vergogna.
<< Adesso fatelo voi. >> chiese tanto per chiedere Pompeo che sapeva della
sessuofobia della madre come anche della sessuofilia delle figlie. Sessuofilia
ideologica naturalmente. Le ragazze accettarono ed eseguirono mentre i maschi,
sdraiati sul divano, taliavano. Taliavano e si tenevano le mani sul pacco. Le ragazze
tolsero tutto e loro taliarono tutto. Erano belle.
<< Ci sta qualche sorpresa.. la cosa è strana.. >> disse Ben all’amico.
<< Me sa de sì.. le fregnette belle vogliono forse farci la festa.? A causa di un
desiderio incontenibile de cicia..>> rispose il romano. Che per spezzare la tensione
disse:
<< Siete bone de tutto.. de zinne.. de culo.. de fregna..beato chi la cicia v’incicia.>>
E intanto per taliare le belle fregnette si affacciarono pure le loro coppole dello zio
Vincenzo. Erano, i loro uccelli, interessati assai assai a quella vista.
<< Adesso rivestiamoci. >> proposero i maschi, che però speravano in una sega.
<< No. Adesso completate voi . Via le mutande.>>
<< Va bene. Giusto.>> dissero Ben e Pompeo che ripresero sperare in una sega.
E si alzarono per togliersi le mutande. Invece le due ragazze li acchiapparono e li
buttarono sul lettino. In un attimo li smutandarono. Loro pensarono a un gioco. La
sega si stava concretizzando. E pertanto lasciarono fare. Prima alle mani e poi alle
bocche. Le ragazze erano esperte. Ma non conclusero li travagghi in questo modo. La
minchia, per fare le cose giuste, deve finire nel cunno. Pertanto Maruzza acchianau
addosso a Pompeo e Marietta supra a Ben.
<< No. La fica no, lasciatela stare sana. Sennò poi non vi potete maritare.>> dissero i
ragazzi.
Ma quelle si erano già impalate. Le minchie dei ragazzi erano scivolate dentro in un
amen, senza ostacoli di sorta e barriere. E pensare che tutti le consideravano vergini.
<< Vergini sto cazzo..>> pensò Pompeo. La stessa cosa pensò Ben.
Alla fine si rivestirono. E le femmine diedero loro il benservito con la sorpresa.
<< Grazie di tutto , grazie per aver dato un padre a nostro figlio.>> dissero in coro.
<< Chi minchia avete detto? >> chiese Ben.
<< Noi siamo incinte e la colpa è vostra…>>
<< Nostra? Abbiamo ingallato oggi .. e non siamo i primi.. la primizia non c’era.. era
stata già raccolta.. ma a quanto pare, vi avevamo già messo incinte col pensiero. Può
darsi…ma andate a fare in culo..>> disse Ben per niente incazzato.
<< A li mortacci vostri.. Andate a farvi fottere da chi cazzo ve pare e piace e non
state a romperci li cojoni, brutte zoccolette che fate le verginelle e poi cercate di
fottere il prossimo.. Le signorine bucio sano.. bucio sano sto cazzo..>> aggiunse
Pompeo.
<< Ma noi siamo incinte… di voi..>>
<< Non di noi, dello spirito santo o altro forse..>> disse incazzatissimo Ben.
<< Ma annate a cagare. >> disse il romano.
<< Siamo incinte di voi.>> dissero quasi isteriche le gemelle.
<< Sto cazzo.. Guarda che ci stanno le analisi per vedere se er pupo è fijo de la
simenta de li me cojoni .. o è frutto de la simenta dei cojoni di quarcun’artro.…
Informatevi prima di scaricare i frutti der cazzo altrui a chi non c’entra un cazzo.. a li
mortacci vostri.. e di sti fiji de mignotta che dovete cagare dalla fregna..>> disse
incazzatissimo Pompeo.
<< E ci stanno pure gli avvocati per farla pagare cara ai bugiardi patentati. Se
qualcuno ha seminato, i frutti vanno al seminatore.. al padrone della simenta che è
germogliata e non a chi capita capita.. a mia mi ni futti na minchia.. la genetica e gli
avvocati la rimetteranno in culo a queste due buttanelle di paese che ci la vogliono
mettere in culo a noi.. >> aggiunse Ben.
A questo punto le ragazze scoppiarono a piangere. E raccontarono la cosa. Due
gemelli della vicina Buccheri le avevano messe incinte. Erano i fratelli Memè e Mimì
Cazzicchiò. Due ragazzi che frequentavano la ragioneria. A forza di parole le
avevano fatte crollare.
<< E allora.. è a loro che dovete chiedere di pagare il danno. Se è vero che in Sicilia
chi rompe paga, loro hanno rotto e devono pagare… e pagheranno…>> disse
Pompeo.
<< An vedi se pagheranno.. pagheranno sia loro che le loro cicie.. che inciciano e poi
si scordano le inciciate fatte...ma non potevano seminare fora dal bucio, ste fij de na
mignotta mignottona mignottissima..>>
<< Ihhhh… Non vogliono pagare.. ihhhh..>>
<< Non vogliono sposarci…ihhhh …>>
<< Non vogliono riconoscere i loro figli..ihhhh.. >>
<< Dicono che non sono di loro....ihhhh....>>
<< Ma voi avete avuto a che fare con altri cazzi?>> chiese Pompeo.
<< No, solo con loro. E oggi col vostro..>>
<< E allora pagheranno..>> disse Ben.
<< Pagheranno..ihhhh.. >> dissero le gemelle.
<< Pagheranno. Ci penseremo noi .>> dissero i ragazzi a cui le gemelle facevano
pena.
<< Se riuscirete a convincerli vi regaleremo l’altra nostra verginità.. >> dissero le
gemelle Maruzza e Marietta Cacapitruddi.
<< Quale?>> chiese ironico Pompeo.
<< Quella posteriore.>> dissero le caruse.
<< Er culoooo? Perché? Non l’hanno accora raccolta sti stronzi dei vostri carusi?>>
chiese Pompeo.
<< No.>>
<< E allora dateci un anticipo.>> dissero i ragazzi.
<< No.>>
<< Un assaggino..>> E allungarono le mani sul culo della ragazze.
<< No.>>
<< Ma scusate.. cassaforte non se ne scassa.. la semenza non ingrana.. e allora? Fateci
fa na bella inculata...>> chiese il romano.
<< Allora, datecelo.. questo bel culetto ca tinite..>>
<< No.. dopo..>>
<< Solo la coppola.. solo la coppola dello zio Vincenzo dentro.. il resto fuori.>>
propose Ben.
<< Ma un anticipo.. una mezza inculata.. mezza cicia dentro e mezza fora dar
bucio.>> propose Pompeo.
Le ragazze si talianu un attimo tra di loro.
<< E pigliatevelo.. >> dissero le caruse come se si stavano sottoponendo a un
supplizio.
Ben e Pompeo non si fecero pregare. E poi, ci pareva una giusta ricompensa. Se la
minchia in fica era stata una scelta delle caruse, la minchia in culo era una loro
scelta. Tutto accadde con piacere anche se la trasuta fu nu tanticchia complicata.
Perché non trasiu solo la coppola o solo mezza cicia. Trasiu la minchia tutta.
<< Forse il bucio de retro era davvero sano… >>commentò poi Pompeo.
<< Forse..>> aggiunse Ben.
<< Comunque è stata una bella esperienza..>>
<< Una quasi violenza la prima parte..>>
<< Una bella inculata soddisfacente la seconda parte..>>
Finito che ebbero si fecero uno spinello. I ragazzi. Le ragazze si arrifiutano. Ma poi,
alla fine sucanu magari iddi. Prima la canna di erba e poi la canna di carni.
<< Bello questo tour dei sepolcri..>> disse Pompeo una volta fuori.
Le sorelle Tonina e Ninetta Minabrigghiu avevano adocchiato un bel ragazzo.
Ragazzo per modo di dire. visto che era trentino. Il ragazzo era l’ingegnere Nicola
Cannolo s’era fatto fare un vestito su misura da loro. Il vestito l’avevano cucito loro
personalmente. E loro avevano seguito tutte le procedure. Dalla pigliata delle misure
alle prove , dalle prove alla consegna. L’ingegnere Nicola era un ragazzo buono e un
buon partito e godeva fama di essere scicchigno. Quannu era arrivato nel loro atelier
le ragazze si erano precipitate. Ingegnere di qua e ingegnere di là.
E insieme ci avevano preso le misure. Le spalle. Il petto. Il giro vita. I fianchi. E in
particolare quella del cavallo. Che non corrispondeva mai. L’avevano dovuta
riprendere più e più volte sia Tonina che Ninetta. E la misura non coincideva mai.
Colpa di quella cosa che si muoveva dentro le mutande dell’ingegnere. Forse anche
lei , trattandosi di minchia di un ingegnere, voleva partecipare ai calcoli.
La prima misurazione del cavallo l’aveva fatta Tonina. La mano ci trimau quando
toccò il punto dove la gamba destra incontra quella sinistra. Li ci stava un ospite che
tinia la testa troppo grossa. E ci stavano pure due palle che erano grandi e grosse più
del normale. Questo pensò Tonina , anche se a dire il vero lei non sapeva cosa fosse
normale e cosa no. Ma le voci popolari erano le voci.. e le voci hanno sempre un
sottofondo di verità.
Se girava voce che l’ingegnere era scicchignu.. vuol dire che era scicchignu. La
stessa sensazione ebbe Ninetta. Nicola invece stava soffrendo un po’. Quelle mani
sempre nei pressi del cavallo lo avevano allupato. Quelle teste delle picciotte sempre
vicine alla cittera ci faceva pensare cose oscene. Pinsau addirittura a dei pantaloni col
portaminchia. La stessa cosa pinsarono le sorelle Ninetta e Tonina.
<< Se i pantaloni tenevano il portaminchia, noi adesso dovremmo prendere le misure
alla minchia dell’ingegnere. Che bella cosa il portaminchia. Il misurarlo, il
realizzarlo, ma soprattutto il provarlo. .>> Le sorelle andavano oltre col pensiero.
<< Perché non si fanno anche le mutande su misura?>> si chiesero.
Alla prima prova, dietro il séparé necessario a spogliarsi e vestirsi, misero uno
specchio posizionato ad hoc. In modo da taliare lo spogliarello dell’ingegnere. Se
invece lui preferiva il camerino, ci stavano dei purtusa da dove guardare. Li avevano
fatti dei cuginetti mascoli per taliare le signore durante le prove e fare la classifica
delle minne più grosse.
Alla prima prova l’ingegnere si piazzò dietro il séparé e loro si taliarono la scena.
Nicola si tolse i pantaloni e prima di uscire cu li causi incimati, si sistemò il pacco.
Che era veramente grosso.
Ninetta e Tonina videro che cadevano a puntino. Li avevano tagliati con cura e
incimati con amore. Specie nella zona che a loro interessava di piu. Non c’era
cerniera però e neanche bottoni. Per vedere l’esatta caduta del nuovo pantalone
Tonina ci mise due spille. Stando attenta a non pungere la minchia del professionista.
Ma per piazzare le spille dovette infilare una mano dentro. E per causa di forza
maggiore sentì la coppola della minchia del professionista che bussava alla sua mano.
Ninetta gelosa volle piazzare la seconda spilla. La minchia dell’ingegnere bussò pure
alla sua mano. Quando Nicola si tolse il modello, dietro il séparé, aveva veramente un
pacco esplosivo. Alla seconda prova, siccome si era sentito taliato, l’ingegnere scelse
il camerino. Si tolse i pantaloni e indossò il modello. Non c’erano ancora nè bottoni
nè altro. Cadeva bene il pantalone, secondo lui. Tonina mise la prima spilla, Ninetta
la seconda, ma per sbaglio pungiu l’aceddu.
<< Ahi..>> disse Nicola.
<< Chi fu? Chi successi? Pungemmu soccu cosa?>> chiesero le sorelle preoccupate.
<< Mi sa di si? Ma babbiata fu.>> disse ridendo Nicola.
<< Ingegnere caro, se voli pigliamo lo spirito, il cotone e la disinfettiamo.>> dissero
le sartine minchiofile.
<< E chi disinfetta?>> chiese il professionista che ci stava pigliando gusto a quel
gioco.
<< Noi. Noi ficimo il danno e noi lo ripariamo.>>
<< Ma è una zona delicata, non adatta a delle signorine..>>
<< Siamo signorine sì, ma anche professioniste. Abbiamo una nostra deontologia
professionale. Come le infermiere, siamo pronte ad intervenire su qualsiasi punto del
corpo..>>
<< Ahhhh.. ma adesso mi pare che cade bene? >> chiese l’uomo.
<< Sì. N’autra prova finale e basta.>>
L’uomo tornò in camerino e le ragazze si piazzarono dietro li purtusa. Lui si tolse il
modello. Poi si taliò lo slippi. C’era una macchiolina rossa. Le ragazze si alliccavano
il musso. Nicola volle vedere cosa era successo. E si calò le mutande.
<< Minchia.. la cappella mi pungiu. >> disse a sé stesso.
Le sartine taliavano a occhi spalancati quella minchia che era un capolavoro di
madre natura. Nicola si accorse allora di essere taliato e con occhio da ingegnere
individuò subito i buchi nella parete. E si esibì per loro. Con la scusa di vedere il
purtusiddu fatto dallo spillo ci stricau l’aceddu vicino agli occhietti. E il pensiero
mise lo strumento sull’attenti. Se non era per quella maledetta parete ci l’avissi
stricato facci facci. Per un attimo pensò di minarsela. Ma rinunciò all’idea. Si rivesti
ed uscì. Loro s’erano taliati tutto. E chiesero curiose.
<< Controllau se danno ci fu?>>
<< Niente successe. >> rispose Nicola. E andò via .
Quella notte Ninetta e Tonina non riuscirono a dormire. L’idea della minchia, la
visione del cazzo dell’ingegnere le ossessionò per tutta la notte. Solo alle prime luci
dell’alba, dopo allisciamenti a non finire, si addormentarono. Ma il poco sonno fu
inquieto. Il fantasma della minchia di Nicola fu il protagonista dei loro sogni.
All’ultima prova Nicola decise di provocare. E intanto che era nel camerino, in
mutande, fece la finta di svenire. Le ragazze lo soccorsero e lo misero sul tappeto. Poi
contemplarono il pacco. Taliavano il pacco e si taliavano tra loro. Quindi, come per
un tacito accordo discusso a forza di taliate, calarono lo slippi all’ingegnere. E si
taliarono il giocattolo che a loro mancava, quello che poteva farle diventare femmine
praticanti e non solo di forma. Ninetta osò parlare per prima.
<< Che bidduzzu. Penni e riposa sui cabasisi..>> E lu tuccau.
Pure Tonina allungò la mano. E la minchia iniziò a crescere.
<< Maronna.. s’allonga..>>
<< Uncia..>>
<< Attisa… >>
<< Si metti additta..>>
<< Si scoperchia.. mette cappello..>>
<< Crisci..>>
<< Pari na bestia.. un ciclope.. come Pollifemo.. quello con un occhio..>>
<< E questa >> disse Ninetta toccando la cappella << è quella che chiamano la
coppola dello zio Vincenzo..>>
<< Sarà.. ma questa è la coppola dell’ingegnere Nicola.>>
Intanto la minchia, che prima pendeva verso i piedi, adesso riposava sulla pancia e
arrivava sopra il biddico. Presero il metro. Venticinque centimetri. Nicola continuava
a fingere. Fu allora che le sartine attaccarono a minare. Poi Ninetta disse.
<< Io lo voglio assaggiare. Il cannolo dell’ingegnere Cannolo.>>
<< Ma che sei pazza? E se quello si sveglia.>>
Ma Ninetta non intese ragione e alliccò la cappella.
<< E duci.. cannolo duci è..>> esclamò Ninetta.
<< Di ricotta o di cioccolata..>> disse la sorella.
<< Cannolo di minchia è..>>
Allora pure Tonina alliccò. Poi Ninetta osò di più. Si l’ammuccau. E Tonina la imitò.
Nicola faceva finta di essere ancora privo di sensi. Ma sentiva che stava per venire.
Loro non smettevano. Una alliccava a destra e l’altra a sinistra. E lui venne verso
l’alto. E la simenta, per la forza di gravità, ricadde sulle facce delle caruse, che si
scantarono.
<< Pisciò.. >> disse una.
<< Ma non è pipì.. è simenta..>> aggiunse l’altra.
<< Lo so.. simenta pisciò…>>
<< Ma come sapi?>>
<< Boh..? >>
Alliccarunu insieme e siccome il sapore ci piaciu, lo pulirono tutto con la lingua.
Neanche una goccia di simenta andò persa. Quella era la panna del cannolo
dell’ingegnere Cannolo. Poi lo rivestirono di mutande e pantaloni e aspettarono il
risveglio. Nicola fece passare ancora dieci minuti e poi iniziò ad aprire gli occhi e a
fare la sceneggiata.
<< Chi fu? Dove sono? Che successe? Chi siete? Angeli siete? O diavoli? Morto
sono? Ma i diavoli non possono essere belli. Angeli siete. In paradiso sono. Meno
male..>>
Ninetta e Tonina non parlavano. Non sapevano che dire. Poi lui le riconobbe.
<< Ahhhh… Siete le gentilissime sartine mie.. belle , gentili e brave..>>
<< Ingegnere, si è sentito nu tanticchia male…>>
<< Lo so.. ogni tanto mi capita.. e la terza volta che mi succede…ma adesso mi sento
bene…>>
E si alzò. Pareva che non fosse successo niente. Invece era successo tanto, ma non ne
potevano parlare.
La notte successiva nessuno dormì. Nicola Cannolo aveva problemi di cannolo. Ma a
un certo punto si alzò e fece quello che faceva sempre in questi casi. Andò con due
buttane contemporaneamente.
Ninetta e Tonina si allisciarono a lungo ma non ottennero nessuna soddisfazione. Il
cannolo era il cannolo. Non potevano certo uscire di notte per accattare una guantiera
di cannoli. Alla fine si alliccanu e arrussicanu due chili di banane. Poi ebbero la mala
nottata. Per il mal di pancia.
Il venerdì mattina , il venerdì santo, era prevista la consegna, e consegna ci fu. Poi
l’ingegnere pagò il conto e l’invitò per la sera successiva a mangiare fuori. Ninetta e
Tonina accettarono. Tutti avevano in testa il caso Bisticchiò. Lui pensava ad avere
due amanti. Loro ad essere l’una una moglie ufficiale e l’altra una moglie ufficiosa.
Ben e Pompeo, il venerdì mattina, scrissero una bella e seria lettera anonima ai
genitori di Memè e Mimì. Poche parole non tanto studiate. Quasi una comunicazione
d‘ufficio. Tanto per fare sapere ai genitori quello che i loro amatissimi figghitti
avevano combinato a Monacazzo, ficcannu senza tante precauzioni l’aceddu dintra un
pacchio.
“ Gentilissimo Signori Cazzicchiò, vi informiamo che i vostri figli hanno messo
incinte due sorelle di Monacazzo. Le gemelle Cacapitruddi. Pertanto, o si provvede al
matrimonio riparatore oppure preparate pure due casse da morto per i vostri figli e
abiti neri per voi. Un amico degli amici delle due sorelle. Ma anche vostro amico. Se
fate le cose giuste. Altrimenti sarò nemico vostro per sempre, e mortale per giunta.
Congratulazione e figli maschi . Oppure condoglianze. Fate voi. L’omminu di la
pace.”
Pompeo invece, durante la notte insonne, sulla vicenda scrisse un bel sonetto. Anzi ,
tre, in sequenza. Titolo “ ER FATTACCIO SESSUALE”
Io tengo un ber pennolo bello bello,
n'saccoccia a du palle pe' compagnia,
mo' propongo de fa co te Maria,
un certo - mo' te spiego - giucarello.
Tu devi accarezzare mi fratello.
E lui per via della tua gran magia
farà un miracolo tipo messia:
alzerà la testa e metterà cappello.
Se tu l'accarezzerai con amore,
lui ,dall'occhio ch'ha, te darà n'occhiata,
como a dirti " Cocca bella ch'onore".
Poi de corpo farà n'improvvisata,
pe' di " mo' te farei n'inciciata",
dannote n'faccia na gran sputazzata.
Fija mia, t'è piaciuto ieri er sollazzo:
sappi che du palle so li cojoni
e producheno li gran sputazzoni
mentre er pennolone se chiama cazzo.
Fija mia bella, nun è p'esse pazzo
se mo' propongo certe situazioni
di cui te do pure le spiegazioni.
Ch'io in ste cose so er primo der mazzo.
Fija , tu n'mezzo e cosce tiè un casotto,
che fra l'antro e ancora bell'e murato,
capace e contenè sto sarsicciotto.
Mo' fija bella, se t'arzi la vesta,
io co sto cazzo già bell'e arrapato,
in un attimo te faccio la festa.
Cazzo! Dunque a sto gioco nun sei nova.
Visto ch'io de corpo so tutt'entrato
e l'ostacolo mica l'ho trovato.
Chissà quante vorte hai fatto sta prova.
Evviva a mangia salame cull'ova!
Fija mia, sei n'ottima attrice, hai recitato
così benone che ce so cascato.
Brava, brava, chi cerca, se sa , trova.
Che dire, sei na bona puttanella,
in cerca de no straccio de marito,
così fai la parte de la verginella.
Cu me però sbaj, io nun so cojone.
Se voi, er fatto po' durà, sia chiarito,
come puttana però , moje none.
Se pensate alla rivoluzione, sognate la rivoluzione, andate a letto
con la rivoluzione per trent’anni: verrà il giorno che la rivoluzione
la farete.
N. Lenin
SEI : A MONACA
Non girino la testa con leggerezza, ma lo facciano con gravità quando è
necessario; la tengano un poco inclinata, senza piegarla né da un lato né
dall’altro. Di solito abbiano gli occhi bassi. Quando parlano non osservino
fissamente i loro interlocutori.
Antiche disposizioni per le Suore di Nazareth
Quannu manca lu stigghiolu va bene pure nu citrolu….
Il venerdì santo, durante la processione dei “santi addolorati “ di Monacazzo, una
monaca dell’ordine delle Phallofiline Poppanti scappò con un vigile urbano, tale
Michele Sciccazzo, che era cognato dell’avvocato Cicidda. Da parte sua suor
Giggetta delle Sette Pene lasciò la processione con la scusa di un mal di pancia e salì,
vista da qualche occhio pettegolo assai e altrettanto assai curtigghiaro, sulla
cinquecento del suo vecchio moroso. Scapparono in una casetta di campagna e lì
consumarono il loro amore. Suor Giggetta in fondo era stata solo una vittima del
sistema.
Siccome da carusa dimostrava assai assai predisposizione orale verso l’altro sesso, e
non certo nel modo reso qualche tempo fa celebre da Clinton, ma semplicemente
chiacchierando e annacandosi più del normale quando c’erano dei carusi maschi.
Parlare e mettersi in mostra , solo questo faceva Itria Alliccacannili, la futura suor
Giggetta. Poi, crescendo, la ragazza, che era sempre in calore o quasi, per un
semplice fatto ormonale, si parrava sempri chiù ammucciuni e sempre chiù stritta con
Michele. Un caruso più grande che faceva Sciccazzo di cognome e godeva già fama
di essere sciccazzo anche nelle parti interessate. E siccome una volta a Itria la
attruvanu che arriminava dentro li causi del suo morosetto, prima che la minchiata
succirissi e lu papa trasissi a Roma, era doveroso pigliare provvedimenti. E su
consiglio di un parente parrino, che però era un grande buttaniere, la carusa fu chiusa
dintra il famigerato carcere – convento - collegio delle Maddalenazze. Qui le ragazze
venivano sfruttate alla sanfasò nel nome di Dio, trattate come buttane patentate , rese
sessuofobiche al mille per mille e soprattutto costrette a tormentare e mortificare la
loro femminilità. Fasce castranti sul seno, capelli a zero e tuniche sporche, rognose e
informi addosso. Ma soprattutto dovevano lavorare. Lavorare per la santissima gloria
di Dio e per il santissimo portafoglio delle monache.
Per “ presunte tendenze alla buttanità” la famiglia la chiuse in quel carcere che era la
reale porta dell’inferno anche se prometteva il paradiso. Era l’inferno reale che
prometteva il paradiso dopo la morte. In quel lager Itria soffrì assai . L’unica
consolazione a Itria gli arrivava dai cetrioli.
Solo una volta aveva toccato il cetriolo di carne dello zito. Ed era stata scoperta. Lei
soffriva e pensava a quel giocattolo che non era riuscita neanche a vedere, ma solo a
toccare. Ma l’aveva toccato a lungo e ricordava tutto. Ricordava la sua lunghezza, la
sua grossezza, ricordava la sua coppola, le palle che stavano sotto. Ma ricordava pure
le sue vibrazioni, il suo calore. E ricordava anche quel liquido caldo che era venuto
fuori e le aveva incilippiato le manine innocenti. Proprio allora la mamma, quella
grande scassapiselli autorizzata, l’aveva scoperta in fragrante reato di “masturbatio
peccaminosa” e l’aveva sgridata nel peggiore dei modi. Michele era scappato con la
cittera aperta, lei invece era corsa in casa alliccandosi le mani, per cancellare le tracce
del peccato commesso. Ma la mamma, che sapeva dei giochi che fanno i mascoli e le
femmine , prima di passare al gioco finale, l’acchiappò e ci ciaurau li manu.
<< Buttana… chistu ciaru di latti di brigghiu è..>>
<< Ehhhh….>> disse l’innocente Itria.
<< Latti di minchia.. latti di cugghiuna.. latti di masculu.. na figghia buttana minatura
mi arrinisciu…>> disse la mamma.
Seguì una discussione in famiglia. Ovvero tra moglie e marito. La madre la sottopose
anche a una visita ginecologica fatta da lei stessa. Ma non convinta di quello che
vedeva, la portò da una mammana che confermò l’integrità fisica della carusa.
<< Sana è…>> disse la mammana.
<< Sì.. ma io vulissi sapiri se iddu la tuccau..>>
<< Questo non si può sapere.. bisogna fidarsi di chiddu ca dici idda.. ma se voli sapiri
di più, vada da una dittoressa ginecologica come la signura Ferretti, la moglie del
sindaco..>>
<< Mai.. se la porto dalla dittoressa ginecologica la genti pensa che mia figlia avi una
vita minchiasessuale..>>
<< Pi mia, vergine è.. >> disse la mammana << Pi mia la minchia l’avi sulu maniata..
forsi assaggiata cu la ucca di supra .. ma non certamente cu chidda di sutta..>>
Non convinta la mamma la portò da un maiaro. Tale Mago Iside.
<< Assatanata è di quel diavolo che toccò.>> disse il maiaro.
<< Ma lo toccò solamente? >> chiese la madre.
<< Ora lo vediamo? Facciamo il Tetraesorcismo di Santa Mentula Tisa di
Cunnopolis, Kulopolis , Oralis e Manualis…..>>
E tirò fuori dalla muarra di maiaro un particolare pendolino che anziché una pallina
teneva una minchietta ca paria di plastica ma invece era fatta di simenta di diavolo
capo impastata cu pila di cunno di strega arsa a Campo dei Fiori nel 1600. Nello
stesso giorno di Giordano Bruno. Accussì sosteneva il maiaro. In realtà si trattava di
materiale sintetico termosensibile.
<< Chistu è il Minchiandolo . Se lu stigghiolu uncia vuol dire che chiddu postu
visitatu fu da Don Minciazza. Se si riscalda e basta, voli dire che la simenta ci arrivò,
ma lu spargisimenta no. Se non succede niente il posto vergine è.. vergine d’aceddu
naturalmenti.>> spiegò il mago.
E accussì il mago fece il tentativo di esorcizzare quel diavolo che lei, poverina, sulu
una volta aveva solo maniato.
<< Stinnicchiati nuda e mettiti al centro del cerchio magico?>> disse il mago Iside.
<< Nuda?>> disse la carusa.
<< Nuda?>> addumannò la mamma.
<< Nuda.. altrimenti l’esorcismo poli dari risultati falsi. Per me lo possiamo fare
anche cu idda vistuta. Ma non garantisco sui risultati. Se lei, signora carissima, voli la
vera verità, la carusa nuda si deve mettere, tutta nuda, come nuda è la verità.>> disse
Iside serio serio.
Itria si denudò tutta quanta e con una mano sul piripacchio e l’altra davanti a li minni
andò dentro il cerchio magico.
<< Stinnicchiati con la stessa disposizione dell’uomo vitruviano.>> disse il maiaro.
<< Ehhhh…>> dissero madre e figlia.
<< Come lu masculu cu l’aceddu di fora di messer Leonardo.>> precisò il maiaro
facendo vedere la stampa in questione.
La ragazza obbedì e si mise come l’uomo vitruviano. Così facendo allargò le braccia
e le gambe ed espose tutte le sue cosette alla vista del maiaro. Il mago allora prese il
Minchiandolo e lo mise sulla mano destra.
<< Manu santa, ritta e biddazza, maniasti o no la minciazza?>>
La minchietta si riscaldò e gonfiò.
<< Cu chista manu lu tuccau. E l’aceddu la pisciau.>> disse il mago.
<< Buttana di manu è..>> disse la mamma.
Fece lo stesso con la mano sinistra.
<< Manu manca di carusa, tuccasti la cosa iarrusa?>> chiese il mago sistemando il
Minchiandolo. L’aggeggio gonfiò e si riscaldò.
<< Pure con questa lu tuccau. E pure chista l’aceddu pisciau.>> disse il mago.
<< Doppia buttana di manu è…>> disse la mamma.
Poi avvicinò il Minchiandolo alla bocca.
<< Ucca bedda , risolenti e ranni, t’ammuccasti chiddu ca sta dintra li mutanni?>>
chiese il mago.
La minchietta si riscaldò ma non si gonfiò.
<< Assaggiau la simenta ma non la lu strummientu ca servi pi siminari.>> disse il
maiaro.
<< Allora avi dittu la virità. Ca si alliccau li manu pi lu scantu di essere
scoperta….>> disse la mamma. Poi aggiunse: << Pompinara mancata è.. ma buttana
assai assai resta..>>
Finalmente il mago mise il Minchiandolo davanti al cunno. Lu stigghiolu restò freddo
e non gonfiò.
<< Cà nun successi nenti.. mancu di luntanu lu visti.. mancu lu ciauru intisi cu la ucca
di sutta..>> precisò il mago.
<< Meno mali.. >> disse la mamma. << ma…>>
<< Ma chi cosa?>> chiese il mago.
<< Nun criru ca successi qualche cosa na l’autra porta?>>
<< Ora controllamu?>> disse il mago che si era eccitato a causa di tutto quel ben di
dio.
<< Girati.>> disse alla ragazza.
La ragazza si firriò ed espose il suo culetto giovane e fresco alla sguardo assatanato di
quel vecchio porco che era il mago. L’uomo sistemò il Minchiandolo sopra le
chiappe.
<< Ucca bedda e ciaurusa di culu, dimmi se nu marrugghiu trasiu dintra stu postu
scuru?>> disse il mago. Ma non successe niente.
<< Vergine pure di darrerri è..>> concluse il mago.
<< Sulu buttana minatura è… e pompinara mancata puru. >> disse la mamma.
Poi Iside fece l’esorcismo per santificare le mani e la bocca . Alla fine disse:
<< Vai figghia bedda, santa sì in ogni posto e in ogni vanedda.>>
Dopo tutte queste faccende e questi controlli la carusa fu ficcata in collegio.
Ma Michele, che s’era fatto amico interessato del commerciante che portava la frutta
e la verdura al convento, pinsò di consolare Itria con qualche palliativo. Se lui
pensava alle mani di lei sul suo aceddu, la carusa sicuramente pensava a chiddu
aceddu che aveva toccato. Allora prese ad inviargli un citrolo firmato. “Pi tia.
Michele.” Itria lo pigliava e se lo portava nella sua stanza . Poi si lu alliccava, si lu
passava tra li minni e tra li cosci e alla fine se lo mangiava. Intanto fu cumminciuta a
farsi monaca. E si ci fici. Ma continuava a trafficare col citrolo che gli mandava
Michele. E na vota, pigliata da un raptus erotico più forte del solito, si lu ficcau dintra
lu sticchiu. Gudiu assai assai, e poi, anche se insanguinato, si lu mangiau. Dopo
quella prima volta, col citrolo di Michele, ci faceva sempre l’amore. Fino a quando
qualche consorella acida e gelosa ci fici la spia. Scoperta e condannata a tre mesi di
celletta d’isolamento, restò senza citrola. Ma decise, in quell’isolamento totale, di
scappare appena possibile. Di riprendersi la libertà. Ma soprattutto la sua vita.
<< Affanculu alla tonaca..>> disse a sé stessa.
E la sera del venerdì santo scappò. Passando dal cetriolo vegetale al cetriolo di carne.
Da una sessualità vegetariana a una carnivora. Ma soprattutto dal carcere alla libertà.
Quella sera al corso l’ingegnere Nicola osservò a lungo la gente che passeggiava.
Taliò assai le tre sorelle Stoccacitrolo con il loro uomo comune, il dottore
Minchiatrina. E gli sembrò di capire che il medico fosse stanco, stanco di corpo e di
testa. E sicuramente stanco di minchia. Anche se felice. E capi che tre femmine erano
assai. Taliò il professore Bisticchiò e gli parve di vederlo tranquillo. Una annacata a
destra e una a sinistra. Procedeva a testa alta con allato la moglie da una parte e la
cognata dall’altra. Ci parse la cosa ideale. Uno e due. Uno e due. Dava l’idea di
marciare. Una e due. Una ficcata con la moglie e una con la cognata. Tanto per non
cucinare l’aceddu sempre dentro lo stesso pentolino.
Lui aveva in testa le sorelle Minabrigghiu. Se ci riusciva poteva diventare il novello
Bisticchiò. D’altra parte guadagnava bene e poteva campare due mogli come due
signore. E quannu visti passari a Tonina e Ninetta con la loro mamma, si scappellò
assai assai e fece un inchino che quasi quasi vasò il terreno. Le caruse si misero il
petto in avanti e si annacarono il culo. La mamma si arritirau la panza e si fici
abballari li minnazzi spropositati ca tinia. Si sintia già suocera dell’ingegnere
Cannolo.
All’ingegnere invece ci vunciau lu cannolu e corse di nuovo dalle due buttane solite.
Che ci costavano parecchio. Meglio maritarsi una femmina che tinia una sorella e
organizzare il triangolo in famiglia. Era più genuino e costava meno. E sicuramente
dava più soddisfazioni. Sei i due vertici femminini del triangolo erano di primo pelo,
e Ninetta e Tonina lo erano, lui le poteva ammaestrare a suo piacimento e farle
diventare strumenti di piacere. Per il piacere della sua minchia. Del cannolo
dell’ingegnere Cannolo.
L’indomani la madre badessa fece la denuncia e raccontò il fatto ai carabinieri. Tutto
raccontò, anche la storia del citrolo.
<< Tanto tenete il segreto . Come i parrini quannu confessano..>> disse la madre
badessa.
<< Certo. Chiddu ca sta scrittu qua, su queste carte, è segreto segreto. >> rispose
Minico Mezzocazzone.
Ma chissà come fu, il giorno stesso, la storia della “ monica col citrolo” fu sulla
bocca di tutti. La storia del citrolo si diffuse in un amen. E Pompeo ci scisse su un bel
sonetto. Titolo “A MONACA”
So suor Giggetta e er fatto sia detto:
poiché nun potei avere un certo lui
- me dicea sempre "li mortacci tui" me misi sto vestito maledetto.
A notte me sentivo sola a letto,
sempre senza er cazzo e li cojoni sui,
er tempo nun passava, fatto per cui
da me m'accarezzavo prima er petto,
poi le cosce, er culo e pe' finì la monna,
che tra l'altro era ancora tutta sana
facendomi sentire na madonna.
Così na brutta sera m'enbriacai,
poi pijai n'cetriolo e da gran puttana
tutto quanto dentro me l'infilai.
La sorte dei poveri, sempre sottomessi, sempre soggiogati e
sempre oppressi, non potrà mai migliorare con mezzi
pacifici.
J. P. Marat
SETTE : ER MARCHETTARO
Più l'uomo coltiva le arti, meno scopa. Si ha un divorzio sempre più
sensibile fra lo spirito e il bruto. Soltanto il bruto fotte bene, e
fottere è il lirismo del popolo . Scopare è aspirare ad entrare in
un altro, e l'artista non esce mai da se stesso.
C. Baudelaire
La fimmina lu poli sulu pigghiari.
Lu masculu fa comu cazzu ci pari.
A casa Cazzicchiò, l’arrivo della lettera anonima il sabato mattina, fece succedere il
finimondo. Fece quasi quasi scoppiò la terza guerra mondiale. Alla mamma ci pigliò
il solito firticchio. Al papà la solita botta di nervoso con relativa cacaredda.
<< Quelle due buttanitte di Monacazzo si futtenu li gioia miei innoccentitti.. li
figghitti miei mancu lu ciaurittu sinteunu di certe cositti.. e chiddi buttanazzi
cauriatitti ci spalancanu li coscitti e ci dissiru “trasitti cà.. ficchitti cà.. sburritti cà..” E
li babbitti ubbidienu e adesso sunu futtutitti e controfuttutitti alla grande..>> disse la
mamma prima di svenire.
Al papà ci pigliò il solito attaccò di coliti spastica e fici un siccio e una sporta di
cacaredda fitusa.
<< Ci lu dicia sempri a chisti strunzitti di li me figghitti.. se vi capita di inzuppari lu
biscuttittu, mittitivi la capputteddittu di plastichitta. >>
A mezzogiorno, quannu turnanu Memè e Mimì, ci fu lu secunnu attu di l’opera
teatrale “Cazzicchiò sciò”.
<< Memè.. Mimì.. che minchia avete cumminatu con i vostri acidditti?>> chiese il
papà.
I ragazzi , che studiavano a Monacazzo, capirono cos’era successo e confessarono
subito. Avevano scopato con due sorelle, ma non sapevano di averle messe incinte.
In realtà lo sapevano, ma fecero finta di non saperlo per convenienza.
<< Ma almeno erano verginitte? O erano buttanitte? Lu sticcittu era novu o usato? >>
chiese la mamma.
<< Nuovo era. Sì..>> risposero imbarazzati i ragazzi .
<< Allora dovete riparare il dannitto fattitto..>> dissero mamma e papà.
<< Riparamo subititto.. riparamo subititto ..>> dissero i gemelli pensando di
cavarsela a buon mercato.
<<Matrimonio riparatore e sticcittu sempre a portata di minchitta. Posiamo sempre
cazzicatummulitti di minchia unni cazzu ci pari...>> pensarono all’unisono.
Ma la cosa non poteva finire là. Mammà e papà Cazzicchiò erano maneschi. Pertanto
una passata di legnate ci vulia. Anche a scopo educativo. Papa acchiappò a Mimì e ci
calau causi e mutanni e ci desi quattro naticati ca lu culu da iancu si fici russu. La
mamma fici lu stissu cu Memè, ma raddoppiò la dose. Lu culu di Memè addivintau
chiù russu di chiddu di Mimì. Ma intanto che la mamma e il papà natichiavano, ai
curusi, sarà stato masochismo o altro, ci attisau. La mamma si intisi la ciolla del figlio
crescere tra le ginocchia e circau di stritolariccilla. Per punizione. Il papà fece lo
stesso con l’altro figlio. Papà e mammà si talianu e si capenu. La punizione doveva
andare oltre. Pertanto li firrianu e ci desunu quattro tumbulati na l’aceddu tisu. O
forse è meglio dire quattro minchialati. E in più na bedda sputazzata na li stissi parti
colpevoli. Bum.. e la minchia ia a destra.. Bam.. e la minchia ia a sinistra .
<< Ahi..>> gridavano i carusi. La loro minchia abballava il ballo si san Vito. O forse
il ballo di san Cazzo. Erano comunque cazzicatummulitti di lu cazzu.
<< Puhhhh.. cosa lurditta e fitusitta..>> disse la mamma intanto che tumbuliava la
minchia del figlio. La stessa cosa fece il padre con l’altro figlio. Poi li chiurenu in
camera. Ma la cosa nun finiu lì.
Alle due, il pranzo poteva aspettare, arrivò lo zio canonico, il fratello del signor
Cazzicchiò. Informatosi del tutto meditò per cinque minuti. Poi chiese di benedire gli
acidditti dei nipoti.
<< Memè e Mimì.. viniti cà, ca lu ziittu vi deve benedire, santificare e perdonare
l’acidditti .. pertanto calativi li causitti e li mutannitti e ammusciatici allo zio lo
strumentitto con cui avete fattitto il piccatitto rannitto rannitto ..>>
Li carusi si talianu na li palli di l’occhi. Non restava che obbedire. E lo zio fece
quello che doveva fare. E consigliò il matrimonio riparatore per dare un padre e una
madre a quelle anime innocenti che stavano per arrivare. Erano le tre quando,
mediatore lo zio canonico, genitori e figli si abbracciarono piangendo. E le tre e
mezzo quando stavano festeggiando con salsiccia, vino e pure lo spumante.
<< Ai futuri nipotinitti. >> dissero la mamma, il papà e lo zio canonico.
<< Alla salute della nostra minchitta..>> pensarono Mimì e Memè.
Che dopo pranzo corsero nella loro stanzetta, si chiusero a chiave e presero a
minarsela. Per vedere se lo strumento, dopo quelle botte e la benedizione portasfiga
dello zio canonico, funzionava ancora. Funzionò. Poi telefonarono alle zite. A
Marietta e Maruzza Cacapitruddi. E dissero che era tutto a posto. Mamma e papà
avevano dato il benestare al loro matrimonio. Il problema adesso era dirlo ai signori
Cacapitruddi. Raccontarono anche delle tumbulate ricevuti sulla minchia.
<< E se i giocattoli si sfascianu?>> chiesero le zite telefonicamente.
<< Abbiamo già verificato...>>
<< Come? >> chiesero quelle gelose.
<< Cu li manitti...>>
<< Na dose di minchia persa fu.>>
<< Non è vero.. invece diamoci un appuntamentitto.. per festeggiare.. a base si
minchitta, sticcittu e sciampagnittu...>>
E si misero d’accordo.
Arrivò la sera del sabato. E Minico Mezzocazzone e Gerlando Pirlabon , che erano
liberi fino a lunedì, decisero di andare in pizzeria. Alla “Napoli di Sicilia” . E
mangiando e bevendo chiacchierano assai. Decisero poi, che dopo la pizza, avrebbero
potuto fare un salto all’Arcazzo. Tanto per svacantarsi le olivette. E decisero anche di
andare a Pantalica, dai Figli della Kanapa, per la pasquetta. Per fare un bagno, un bel
bagno liberatorio.
<< E che , ti vuoi mettere con l’uselo de fora?>> chiese Gerlando.
<< Sì. A tutti lo voglio ammusciare il mio cazzone sano sano. Parole di Minico
Mezzocazzone.>> disse il siciliano.
<< Intanto andiamo .. poi , la questione uselo de fora o no, si vedrà?>> disse il mona
venexiano.
Al tavolo accanto c’erano Iatata , Ben e Pompeo. Parravano di quello che doveva
succedere dopo la pasqua. Il dilemma era tra occupazione e autogestione. Intanto
decisero di andare anche loro a Pantalica, per la pasquetta naturalmente, insieme ad
altri amici che avevano organizzato.
<< Sicuramente faremo il bagno nudi..col cicio e fora...>> disse Pompeo.
<< E che minchia significa?>> chiese Ben.
<< Niente.. chi si vergogna è avvisato..>> replicò il romano.
<< Io me ne strafotto .. il culo te l’ho visto.. la minchia pure..>> disse Iatata.
<< E io ho visto le tue cosette belle..>> disse il romano.
<< Tu guardi, Ben ficca..>> rispose ridendo.
<< T’ho fatto anche la puntura .. >>
<< Ma non con la minchia..>> intervenne Ben.
Ad un altro tavolo ancora c’era la famiglia Cazzicchiò al completo. C’era pure lo zio
canonico. Domani sarebbero andati tutti insieme a casa Cacapitruddi, a chiedere la
mano di Maruzza e Marietta. Ben e Pompeo ogni tanto taliavano la famiglia di
bucchirisi e li vedevano calmi e tranquilli. Forse la lettera non era ancora arrivata. Ma
a un certo punto entrarono Maruzza e Marietta e corsero ad abbracciare i loro ziti.
Abbracciarono pure i futuri suoceri e lo zio canonico, che toccò loro le panze con
tanto affetto. In un momento di distrazione altrui Maruzza e Marietta taliano Ben e
Pompeo e lanciarono loro uno sguardo che vulia solo dire << Grazie di tutto..>>
Risposero con uno espressione che voleva dire << Grazie per la bella violenza..
grazie per averci violentato…ma soprattutto grazie per il culo...>>
Poi Maruzza, Marietta, Memè e Mimì decisero di andare a Pantalica per la pasquetta.
A fare un bel bagno. Possibilmente nudi. Insieme ad altri ragazzi della scuola che
avevano organizzato.
Ad un altro tavolo c’erano padre Cacaceddu e padre Ciollardente. Mangiavano come
maialini affamati. Costate di porco e salsiccia a iosa annaffiata da tanto buon
“Minciazzone”, il vino nero locale . Poi decisero di andare, per la pasquetta, a dare
una taliata ai peccatori di Pantalica. Ognuno secondo le sue intenzioni.
Ad un altro tavola c’era il sindaco con la moglie, la signora Eusebia Ferretti e degli
amici. Parlavano di politica e querelle complicate.
Ad un altro tavolo ancora c’erano le tre sorelle Stoccacitrolo e il loro marito comune,
il dottor Minchiatrina. Il dottore somministrava il vino con classe alle sue tre signore.
E nel somministrarlo paria dire “Così come vi sparto il vino, vi sparto la minchia e il
latte di minchia..”
Ad un altro tavolo c’erano Micio Tempio, Giorgio Baffo e dei loro amici di entrambi
i sessi. Molti forestieri. Tra loro la bellissima gnocca russa Kosetta Fikaminkianova.
Che quando era comparsa al corso per la prima volta aveva fatto arrapare il
novantanove per cento dei mascoli di Monacazzo. Micio e Giorgio parlavano di quel
mona di padre Ciollardente, che stava assittato a pochi tavola di distanza.
<< I preti, come diceva Froiddi, sono la gente chiù malata di lu munnu..>> disse
Micio.
<< Che vadano in mona o in contromona, questo xè il belo, rompono sempre
l’uselo..>> sparò Giorgio.
Micio alzò la voce un po’. Lo fece apposta. Per fare arrivare il messaggio.
<< Anche quando di nome fanno “ brigghiu acceso” rompono li cabasisi lo stesso..>>
Padre Ciollardente si girò. Il messaggio era arrivato a destinazione.
<< Ma io non mi lascio calpestare da un pirla..>>
<< Mona monassa, i preti so na brutta rassa..>> specificò Giorgio.
Decisero poi che il lunedì di pasqua sarebbero andati a fare una passeggiata a
Pantalica. Anzi, se la giornata era bella, il bagno.
<< Magari nudi..>> disse Micio.
<< Con l’uselo de fora..>> aggiunse Giorgio.
<< Azzo.. col bischero all’aria aperta.. fora de su ‘asa..>> disse Bona, una cara amica
fiorentina.
<< E naturalmente pure col culo di fuori..>> disse Cicì Colibrì che era notoriamente
omosessuale.
Ad un altro tavolo, situato in un angolo, c’erano l’ingegnere Nicola Cannolo con le
signorine Tonina e Ninetta Minabrigghiu. Stavano cenando alla grande. Tutto a base
di pesce. Le caruse erano estasiate. Essere a cena con l’ingegnere era una bella cosa.
Si alzava il loro prestigio sociale. Intanto che cenavano arrivò il professore
Bisticchiò con la moglie e la cognata. Nicola fu contento di vedere il suo modello di
vita. Il problema era convincere le due sorelle Ninetta e Tonina ad accettare il
triangolo. Allungò un piede e ci toccau il piede a Ninetta. Fece la stesa cosa con
l’altra. Le caruse risautarono. Poi lasciò cadere il tovagliolo e si chinò per prenderlo.
Voleva taliare da un altro punto di vista. E vide che le sorelle, appena lui fu con la
testa sotto il tavolo, allargarono entrambe le cosce per fargli vedere il colore delle
mutandine. Bianco immacolato era e semitrasparente. Si vedevano li pila del conno.
A Nicola ci attisò. E si lu tirau fora dalla cittera. Le ragazze, per istinto o altro, si
calano e taliano. In contemporanea. Videro quel cannolo tiso e si taliano in faccia.
<< E pi mia o e pi tia?>> si chiesero con gli occhi.
Poi, pensando al professore Bisticchiò, seduto lì vicino, si dissero, sempre con lo
sguardo, che forse era per tutt’e due.
<< Che fare?>> si chiesero, sempre con gli occhi.
A pizza finita Ben , Pompeo e Iatata decisero di fare una passeggiata all’Arcazzo e
vedere le Buttane davanti alla porta. E videro uscire i C.C. Pirlabon e Mezzocazzone
dalla porta di Checca, la buttana più famosa dell’Arcazzo. Perché poteva e sapeva
accontentare anche cinque mascoli contemporaneamente. Pompeo decise di andare
con Pietruccio, l’unico mascolo che si prostituiva all’Arcazzo. Ma scolo ma in abiti
femminili. Senza pili e senza minni. Truccato e coi capelli lunghi. Ma con tanto di
ciolla dintra le mutandine di pizzo di san gallo. E per giunta Entrarono tutti tre e
mentre Pietruccio e Pompeo fecero quello che fecero nella stanza da letto, Ben e
Iatata aspettarono nel salottino in finta pelle dell’anticamera.
Sentivano gemiti arrivare dalla stanzetta e si eccitarono. Incominciano allora a
baciarsi, accarezzarsi, toccarsi, arriminarisi li paesi alti e quelli bassi. E siccome il
pititto crisciu assai, tanto per imitare Pompeo e Pietruccio, Ben ci calau li ginsi alla
zita e ci lu ficcau in culo. A cose fatte Iatata disse:
<< Ma io non posso ricambiare.>>
<< E che ti posso fare…>> rispose Ben ridendo.
<< Prestami la tua minchia..>>
<< Svitala se sei capaci.. mi piace l’idea di ricevere in culo il mio uccello..>>
La ragazza fece il gesto di svitare l’uccello e di avvitarlo davanti alla sua fica. Poi
Ben si mise a pancia in giù e lei ci accarezzau lu culo a lu zito. Quindi fici finta di
iniziari a ficcariccilla.
<< Inculami..>> diceva lui.
<< Aspetta..>> rispondeva lei.
<< Dammillu tutto sano sano…>>
<< Aspetta che trasu la cappella..>> diceva lei.
<< Tutto.. la cappella e pure il resto voglio..>>
<< Anche il resto ti do.>> diceva lei.
<< Tutto lo voglio.. tutto dentro.. ahhhh.. che cappella grande che hai...>>
<< Per sfondarti il culo meglio..>>
<< Che minchia grossa che hai…>>
<< Per allargarti il culo meglio…>> rispondeva lei.
<< Che cazzo lungo che tieni..>>
<< Per arrivarti dentro assai assai…>> diceva Iatata stando al gioco e dimenandosi
come una ossessa sopra il culo dello zito.
Iatata sapeva simulare bene i colpi di reni dell’inculatore. E lui si adattava ai suoi
colpi. Un cazzo virtuale collegava la fica di lei al culo di lui.
Intanto con le mani Iatata ci stimolava il bucio del culetto allo zito. Ci l’avia
lubrificato bene. Lui, tanto per accontentarla, facia segnali audio di dolore e piacere.
E quannu si stava stancannu di recitare, col buco del culo ca ci mangiava assai assai,
e la minchia che era risorta e minacciava l’eruzione, Iatata ci fici la sorpresa e ci
ficcau un dito lì. Di botto. Di colpo. Fu una bella sensazione.
<< Ahi…>> disse Ben venendo sul divano.
Proprio in quel momento Pietruccio e Pompeo stavano uscendo.
<< Ohhhh.. >> gridarono. E ritornarono indietro.
Iatata e Ben si sistemarono. Poi , visto che non c’erano clienti, chiacchierarono a
lungo. Di sesso e di libertà sessuale. Pietruccio raccontò gli abusi subiti. Familiari
prima, quindi preteschi , e poi per finire dai compagni militari e non . L’unica scelta
autonoma della sua vita era stata quella di prostituirsi. Disse anche che s’era, da
grande, laureato in lettere classiche con 110 e lode. Con una tesi su “ Sodomia nella
letteratura e nel diritto”. E citò Anacreonte.
<< O giovinetto dallo sguardo di fanciulla, io ti ammiro, ma tu non te ne avvedi e non
sai che sei diventato l’auriga dell’anima mia. >>
Poi Luciano sulla pedofilia.
<< L’amore, come si fosse costruita una scala del piacere, ha nella visione il suo
primo gradino, e il suo scopo è di vedere, poi, quando ha veduto, desidera avvicinarsi
e toccare; e in realtà anche se lo ha soltanto sfiorato, il brivido del godimento
percorre l’intero corpo. La terza prova è quella del bacio . Poi, sfruttando il
cedimento dell’altro, si prova in più tenaci abbracci mentre non lascia mai inerti le
mani: la mano destra, furtiva, insinuatasi languidamente sotto la veste stringe il
ventre palpitante e anche la prima lanuggine del fiore della giovinezza .Conseguita
tanta libertà, l’amore si muove verso più calde azioni: e, a partire dalle cosce,
colpisce nel centro . A me accade di amare così i fanciulli. >>
E infine citò una ordinanza del Consiglio dei Dieci di Venezia del 1461
<< Si stabilisce che si dia ordine a tutti i medici e barbieri che effettuano medicazioni
in Venezia, che se medicheranno qualcuno maschio o femmina nella parte posteriore
rotta per sodomia, dovranno darne notizia entro tre giorni ai Capi di questo
Consiglio.>>
E ci contò che molti mascoli etero venivano da lui e ci raccontavano della frigidità
della moglie.
<< A Monacazzo ci sunu troppo sticchia congelati.>> disse Ben.
<< E altrettante minchie sofferenti.>> aggiunse Iatata.
<< E vengono a cercare conforto ni mia.. conforto di cuore, di ciriveddu, di manu, di
ucca, d’aceddu... e a volte pure di culu..>> precisò Pietruccio.
<< E tu ci lu sblocchi, vero?>> addmannò Pompeo.
<< Certo.. e cerco di scongelarcipure lo sticchio delal loro signora dando loro vecchie
ricette magiche. Tipo “Alla donna che non li gusta usar con l’huomo: untarai il
membro del homo con fele di gallina bianca, et videbis! “ tratto da un Ricettario
magico del XVI sec. Oppure le ricette di Caterina da Forlì. Come quella di un
afrodisiaco a base di miele e semi di canapa .
“E vederai che istarà sempre duro tutta la notte. “
Ma anche queste altre due. “Piglia li testiculi del cervio overo la somità de la coda de
la volpa e li testiculi del caulo, acende la femina a lebidine. “
“ Se la verga de l'uomo è unta cum fele de verro e de porco selvagio excita da fare
tosto la luxuria delecta a le femine. “>>
<< Solo che gli ingredientisonoun po’difficile da trovare.>> disse Iatata.
<< Cazzo, quant’è colto..>> disse Pompeo, quannu funu fora.
Ove esista una comunità maschile, le prostitute sono inevitabili,
non altrimenti delle fogne e dei depositi di immondizia.
Parent-Duchatelet
Dopo cena l’ingegnere Nicola , Ninetta e Tonina si ficiro una passiata. All’aria
aperta. Avevano bevuto assai. Nicola faceva finta di barcollare. Loro lo
abbracciavano e facevano finta di sostenerlo. Lui , brillo per finta, toccava per
davvero. Le picciotte lasciavano fare. Nicola ne approfittò. Toccava ora una minna,
ora nu culu, ora na coscia. Poi chiese se sapevano guidare.
<< Sì.>> dissero.
Allora chiese se lo potevano accompagnare casa.
<< Sì.>> dissero.
Una volta a casa Nicola , sempre barcollando, disse:
<< Mi scappa di pisciare.. chi mi accompagna.>>
Tonina e Ninetta si guardarono e decisero di dargli una mano.
<< Tanto è ubriaco..>> dissero a sé stesse.
Lo accompagnarono al cesso e gli aprirono la patta per tirarci fuori l’uccello. Ma
quello non pisciava. Nelle loro mani gonfiò, nonostante il “pissi pissi” delle due
ragazze. Che vista la minzione mancata, pensarono di risistemarlo al suo posto. Ma il
coso vunciato non ci stava piu dentro le mutande. Nicola da parte sua continuava a
fare la sceneggiata dell’ubriaco. E in preda all’alcol poteva dire tutto.
<< Buona notte. Portatemi a letto e spogliatemi. Buona notte.>>
Lo portarono a letto e lo spogliarono. Nudo come un bambino.
<< Fatemi un pompino. >> disse Nicola
<< Pompino?>> dissero le donne.
<< Sì.>>
Ninetta e Tonina si talianu e con gli occhi discussero la questione “pompino sì o no”.
Decisero per il sì.
<< Chi mi fa il pompino più bello me la sposo.>> disse Nicola.
Ninetta e Tonina si impignanu assai. Ma iddu nun vinni. Si alzò e barcollando iu a
pigghiari na buttigghia di champagne francisi.
<< Brindiamo all’amore. >> disse barcollando sia lui che il aceddu tisu.
E bevvero. Lui fici finta di essere brillo totale. Loro lo catafuttenu sul letto.
Poi si consultarono con gli occhi. Era ora di approfittare dell’occasione. Per
assaggiare il cannolo nel loro portacannolo. E prima Ninetta e poi Tonina si
impalanu. Fu un autoinfilamento, una autoficcata, una autosverginazione, una
autoscopata, una autochiavata. La minchia c’era ma il proprietario era assente.
Partecipava coi movimenti del corpo ma con la testa era nella terra degli ubriachi.
Nel mondo dei folli. Nicola Cannolo sapeva recitare. Bene. Molto bene. Sia col
cannolo che con la testa. Perché in realtà era presentissimo sia di testa che di minchia.
I suoi progetti si erano dimostrati giusti. Il pititto di quelle due femmine era tanto e
tale che esse si sarebbero pigliate il primo cannolo messo a loro a disposizione in
forma anonima.
A impresa fatta decise di aprire la bocca e chiese ancora da bere. Ma lo somministrò a
loro e li fece ubriacare completamente. Con calma poi, ci la mise nel culo prima a
Ninetta e dopo a Tonina. Finalmente, a cose fatte, si addormentarono tutti e tre, nudi,
e uno sull’altro.
A casa Minabrigghiu la mamma non vide arrivare le figlie e passò la notte in attesa.
Pregando assai assai. Fece una sorta di veglia pasquale per motivi personali. Voleva
andare dai C.C., ma se poi , per caso, trovavano le figlie con l’ingegnere, le
classificavano automaticamente come “ buttane”. La notte di pasqua poi, a
Monacazzo, era una notte speciale. C’era la “veglia degli insonni ” . E tanta gente
passava da una chiesa all’altra per vegliare mezzora. Accussì passava la nottata. E se
c’era gente che aveva visto le sorelle Minabrigghiu entrare a casa dell’ingegnere, ci
sarebbe stato qualcuno che le avrebbe viste uscire.
Alle cinque del mattino Tonina e Ninetta tornarono a casa. Si erano svegliate, e senza
disturbare Nicola, si erano rivestite e si erano avviate verso casa, che tanto distante
non era. La mamma le aspettava con il manico della scopa in mano.
<< Buttane, buttane, che cazzo avete fatto fino alle cinque? Ci l’aviti minato
all’ingegnere? Ci l’aviti sucato all’ingegnere? Vi siete fatto scassare il portone
dall’ingegnere? O ci aviti offerto il culo? Buttane. Buttanissime.>>
E dava colpi di scopa a minchia cina.
<< Dopo quello che ha fatto la minchia di Nicola, se qualche cosa è restato sano, ve
lo scasso io con questo manico. Buttane. Buttanissime.>> disse la mamma.
<< Mamma, siamo state alla veglia. Con Nicola, ma alla veglia..>>
<< Veglia.. veglia o veglia.. di minchia?>>
<< Veglia…>>
Su quella serata con Pietruccio, Pompeo scrisse il sonetto “ ER MARCHETTARO”
Io so Pietruccio è fo, fo, fo er puttano,
però de qualità e no de strapazzo:
se tu me dai er culo, mbè , io te do' er cazzo,
se invece me dai er cazzo io te do' l'ano.
Na vota er bucio der culo era sano,
mo' pare er portone d'un gran palazzo.
Io in sto lavoro so er primo der mazzo
e a fine resto 'gnissempre un cristiano.
So pure nu poco specializzato:
so er kamasutra tutt'a memoria,
per questo da tutti so ricercato.
So bello, so bono , so na gloria,
so detto " culo-e-cicia mozzafiato
È una delle superstizioni dell’animo umano immaginare che la
verginità possa essere una virtù.
Voltaire
OTTO : LI MARINAI
Sfuggi al piacere di veneri feconde .
Voltala invece, il culo rosato godendo.
Antologia Palatina, testo greco
Na minchia nun fa nu masculu. E due mancu.
Il giorno di Pasqua ci fu lu scontru. In piazza, cu la maronna ca calava di cursa e lu
signuri ca acchianava di cursa. Addolorata infelice l’una e infelice e addolorato
l’autru, ma impegnati in una ricerca continua e spasmodica. Lei infelice alla ricerca
del figlio che sa risorto ma non trova. Lui addolorato alla ricerca della mamma che lo
sa morto. E poi , tanta era la foga che ci mettevano i “spaddanuristi “, ca si passavano
accanto e non si incontravano, non si riconoscevano . E pirtanto firriavano attorno
alla piazza. E firriavano fino a quannu uno dei gruppi di portatori, i maronnanti da
una parte o i signuruzzi dall’altra, non si stancavano. Allora costoro si fermavano e
aspettavano il riconoscimento da parte dell’autro gruppo. Pertanto ogni anno c’era la
curiosità di sapere se si fermavano prima i maronnanti o i signuruzzi. Era una sfida
che si riproponeva di anno in anno tra due parrocchie del paese. Tutto iniziava alle
dieci di mattina. Ma non si sapeva quando finiva. E quell’anno c’erano tutti. Il
sindaco con la famiglia, i coniugi Cicidda, la famiglia Portusodoro, Ben con la zita,
Pompeo col cugino appena arrivato e tanti altri. C’era pure Micio Tempio. A cui lo
scontro piaceva particolarmente. E anche Minico Mezzocazzone e Gerlando
Pirlabon. E c’erano anche l’ingegnere Nicola con Tonina e Ninetta e la vedova
Minabrigghiu. E c’era soprattutto la famiglia Cazzicchiò al completo. I figli con le
zite, i genitori e lo zio canonico. Avevano telefonato a casa Cacapitruddi ed erano
attesi subito dopo lo scontro. Forse per un altro scontro. O forse no. Dopo lo scontro
le caruse e i carusi rimasero fuori a passeggiare ancora nu tanticchia.
La questione “ panza cina e matrimonio riparatore” se la dovevano vedere i grandi.
Ma con lo zio canonico sarebbe andato tutto liscio. Quello era l’uomo della pace. E i
coniugi Cacapitruddi erano gente di chiesa, ammuccaparticoli e basta. Non erano
capace di cagare diavoli. E infatti, quannu Marietta e Maruzza, turnanu a casa con i
fidanzati, attruvanu li genitori che li aspettavano a braccia aperte e piangendo
lacrime di felicità. Abbracciarono pure i futuri generi. Ma non avevano capito ancora
chi era il marito di Marietta e chi il marito di Maruzza. A dire il vero questo non
l’avevano capito neanche i signori Cazzicchiò. E a dire il vero neanche lo zio
canonico, a cui un sospetto era venuto. Infatti tra le gemelle e i gemelli c’era stato un
interscambio continuo. Anche se all’inizio le coppie erano state Memè e Maruzza e
Mimì e Marietta. Ma adesso , giustamente, dovevano dare una forma ufficiale alle
coppie.
La mattina di Pasqua arrivò da Siracusa, dove era fermo con la nave su cui prestava
servizio, il marinaio Checco Leccafregna, cugino per parte di madre di Pompeo.
Aveva tre giorni di libertà e decise di passarle col cugino e la sua famiglia. Il giovane,
bello come un Adone, possente come un maciste, dolce come una verginella, era
leggermente più grande di Pompeo e arrivò a Monacazzo nella sua candida uniforme
di marinaio. Era lui che aveva svezzato il cugino Pompeo sessualmente. Già nel
pomeriggio, dopo la digestione, si fece una bella doccia. E sotto lo scroscio
dell’acqua calda il cugino lo raggiunse. E fecero una bella rimpatriata, una bella
bimentulamachia. Anche lui era bisessuale.. Ai Ben e Iatata, Pompeo lo presentò al
solito modo.
<< Questo è mio cugino Checco.. Detto Checchino quando fa il bravo, e Checcazzo
quando fa il cattivo..>>
Quella sera, uscendo con Pompeo , Ben e Iatata, Checco raccontò le sue avventure in
giro per il mondo. Illustrò poi le usanze sessuali di mezzo mondo. Di come era
difficile trombare in certe nazioni, mentre in altre il sesso era facile assai assai. Poi
raccontò la storia di un suo amico, un marinaio di Trapani, che aveva messo incinta la
sua ragazzina giocando e scherzando sulla doppia patta dei pantaloni della divisa.
<< Doppia patta, doppio creapopoli..>> disse ridendo.
<< L’uomo bicicia..>> disse Pompeo.
<< Sarebbe bello.. una per la fica e una per il culo. >> disse Ben.
<< Doppia minchia per voi, doppio piacere per noi.. Homo sapiens bimentula..>>
aggiunse Iatata.
Allora Checco raccontò nei particolari la storia dell’amico trapanese.
<< E tu ci credi?>> chiese Ben.
<< No, ma è una bella storia però..>> rispose Checco.
<< Quando si stanca la cicia uno, uno usa la cicia due.>> disse Pompeo.
<< Oppure uno si fa fare due pompini contemporaneamente.>> aggiunse Checco.
Quella notte i cugini Checco e Pompeo la passarono nello stesso letto. Minchia
contro minchia. Ma soprattutto fecero delle mentulastomamachie e delle
culomentulamachie eccezionali.
La sera di Pasqua Marietta , Maruzza e i due bucchirisi uscirono per andare alla festa
popolare che si svolgeva a Monacazzo. Invece andarono nella solita casetta di un
curtigghio del paese e si di diedero alla pazza gioia. Tutti e quattro nello stesso letto.
Infatti il loro era un amore trasversale. Si amavano tutti e quattro. E pertanto decisero
di formare le coppie ufficiali in base ai risultati di un sorteggio. Fecero i puositi e
Marietta risulto essere la zita di Memè e Maruzza quella di Mimì. Ma questo era per
le famiglia, per la gente, per l’occhio sociale, per il comune e il parrino. Per loro no.
Marietta e Maruzza sarebbero state mogli comunitarie , e i ragazzi sarebbero stati
mariti comunitari. Come prima e più di prima. Anche perché dopo sposati sarebbero
andati a vivere in una bella villetta formata da due appartamenti che papà
Cacapitruddi aveva costruito per le sue figlie amatissime. Due appartamenti per due
coppiette, ma per loro sarebbe stata una casa unica con una famiglia di quattro
persone. Due mariti e due mogli reciprocamente intercambiabili. Quella sera fecero
cazzicatummuli d’amuri alla sanfasò.
E i bucchirisi chiesero l’altra verginità. Le ragazze concessero quello che non
avevano più. Memè e Mimì furono contenti di aver finalmente cazzicatummuliatu la
loro ciolla in culo alle ragazze.
La serra di pasqua l’ex suor Giggetta fece la sua comparsa al corso in compagnia del
suo Michele. E il paese intero cazzuliò e curtigghiò sulla nuova coppia. E sulla
storia del citrolo. Lei elegantissima e felice se ni strafotteva degli sguardi ipocriti
degli ammuccaparticoli del suo paese. Lei aveva scelto la libertà. A quei coglioni che
la taliavano fissa, lei rispondeva con un sguardo duro che stava a significare .
<< Stronzi, perché non vi fate i cazzi vostri? Perché non taliate le minchiate di casa
vostra?>>
Michele da parte sua era felice e non parlava più di andare all’Arcazzo. In passato, se
a lei spediva un cetriolo autografato, lui invece andava sempre dalla stessa buttana, la
faceva vestire con un costume da suora e poi se la strafottteva alla sanfasò. Era un
modo reale per fare l’amore virtuale con la sua Giggetta. Per illudersi. Ma adesso
erano insieme.
Lei , il giorno dopo la fuga, era stata chiamata dai carabinieri. Ma non s’era
presentata. Pertanto Gerlando Pirlabon , Minico Mezzocazzone e Puddu Purceddu si
erano precipitati a casa di Michele.
<< Ma io >> aveva risposto l’ex monaca << sono scappata per mia libera scelta.>>
<< Sa, signuredda, noi abbiamo ricevuto una denunzia, da parte della madre badessa,
che parla di sottrazione di persona votata alla castità da parte di un misterioso
masculiddu. >> disse il Purceddu.
<< La madre badessa , con la sua denuncia ci si può anche pulire il suo puzzolente
culo sfunnato da tante sostanziosi battagghi preteschi .Che adesso la denuncia, per
tutte le porcherie che succedono in quel carcere, la faccio io. Faccio scoppiare uno
scandalo. Così quella buttana della madre badessa s’impara. Vero Michele?>>
<< Certo. Abbiamo già parlato con l’avvocato..>> rispose l’uomo che stava
abbracciato stretto stretto al sua donna. << Quel lager deve chiudere. Se la
buttanazza della madre badessa non ritira la denuncia, la settimana prossima la
denuncia la facciamo noi.. su quel bordello a trecentosessanta gradi che è quel posto
infame..>>
Nicola passeggiava con Tonina e Ninetta . E sotto lo sguardo di tutto il paese rideva
felice, mentre le ragazze si annacavano. Una alla sua destra e una alla sua sinistra. Un
colpo di culo glielo dava Ninetta e un altro Tonina. E ad ogni colpo di culo
rispondeva il suo aceddu tiso. Che oscillava ora verso Tonina ora verso Ninetta. Se
solo la sua minchia poteva, si affacciava e si scappellava sia per l’una che per l’altra
sorella. Ma soprattutto per dare una sputazzata , di quelle che lui sapeva dare, in
faccia a tutte chidda gente curiosa , curtigghiara, ammuccaparticoli e cacadiavoli che
taliavano il suo proprietario e padrone e quei due sticchiazzi che l’affiancavano.
Quella s’era , dopo la struscio al corso, Nicola portò le sorelle Minabrigghiu a cenare.
Poi le invitò a casa sua, per un brindisi. Tonina e Ninetta accettarono in un amen.
Avevano assaggiato il cannolo di carne e lo rivolevano. Al più presto. Era vero che
una volta assaggiata la minchia la femmina pazziava per la stessa. Come per i
mascoli, che una volta ingignato il pipì lo volevano mettere sempre lì. Più che in altri
posti.
<< Quannu ti pigghia forti lu firticchio e sulu pitittu di na minchia na lu sticchiu.>>
diceva donna Pippina Minchiacina.
Loro lo volevano ardentemente. Una volta a casa brindarono a champagne e si
annacianu alla sanfasò. E senza parole e gesti particolari si trovarono nudi sul letto. E
ficcanu e controficcanu con la massima serenità mentale. Senza sceneggiate alcune.
Riaccompagnandole a casa Nicola le invitò a fare la pasquetta a Pantalica.
<< Ma là ci sono i figli dei fiori che stanno nudi.>> disse Ninetta.
<< E ci spogliamo pure noi.>> rispose Nicola.
<< Noi noooo. Chi si matto. A casa sì, a Pantalica noooo..>> rispose Tonina.
<< E mi spoglio solo io .>> disse Nicola.
<< E noi che facciamo? Passeggiamo con uno che tiene la cicia di fuori?>> dissero in
coro le sorelle.
<< No. Scherzavo Noi ci portiamo il costume e ci facciano il bagno.>>
<< Questo sì .>> dissero le sorelle.
Mamma Filomena e la zia Ciccina taliavano dalla finestra. Videro le caruse scendere
dalla macchinona dell’ingegnere e fecero un sospiro soddisfatto. Una da suocera,
l’altra da zia di professionista.
<< Ma cu è la zita di Nicola? Tonina o Ninetta?>> chiese la zia.
<< Nun lu saccio. >> rispose la mamma.
<< Ma nun ti l’ana confidato?>>
<< No. >> rispose sconsolata la mamma.
<< Ma nun lu teni lu ‘ngigneri n’amicu pi sistimari l’autra picciotta?>>
<< Sai Ciccina cara, mi sa ca si sono sistemate tutte due con l’ingegnere.>>
<< Tutti rui?>> chiese la zia con la faccia amminchiolita.
<< Sì. >> rispose la mamma sempre con l’espressione consolata.
<< Minchia… I casi dl destino..>>
<< Cazzu.. lu stissu destino nostro.. Ti ricordi quannu io e tu stavamo ficcati nello
stesso letto con la buonanima di tuo marito ..>> disse Ciccina.
<< … che poi era tuo fratello…>>
<< .. io lo amavo a mio fratello Turi…>>
<< … lo saccio.. me lo confessò la prima notte di nozze..>> disse la vedova
Minabrigghiu.
<< ..tutto gli avevo dato a mio fratello Turi.. Tutto tranne una cosa.. quella cosa gliela
avevo promessa come dono di nozze .. le vostre nozze..>> disse Ciccina.
<< .. e infatti quella notte non riusciva consumare.. io fici tutto quello che mi aveva
detto la mammuzza mia.. ci la minai.. ci la sucai.. mi la stricai minni minni e culu
culu.. e la cosa vunciava sempre ..ma poi, appena ci allargavo le cosce, la cappella
della buonanima della minchia della buonanima di Turi tuppuliava a lu purtuni di lu
sticchiu miu sanu, pirchì sanu era, e subito si ammosciava..>> raccontò
sconsolatissima la vedova Minabrigghiu.
<< .. tutto so.. a mia pinsava.. voleva il mio regalo di nozze prima di consumare il
matrimonio..>> disse Ciccina Minabrigghiu.
<< ..e me lo confessò.. la buonanima.. mi disse che aspettava ancora il ..il regalo della
amatissima sorella.. che tu glielo avresti portato a mezzanotte..>>
<< .. parole sante dicisti..>>
<< ..e a mezzanotte arrivasti tu, Ciccina bedda, a portarci quella cosa a tuo fratello.. il
tuo regalo di nozze pregiatissimo.. preziosissimo.. unico.. >>
<< .. avevo la chiave … trasii… mi spogliai e mi catafuttii nel vostro letto.. tu
capisti.. e svenisti.. ma iddu non si preoccupò più di tanto.. pinsava a mia.. si pigliò il
mio regalo.. e poi, appena tu ti arrispigghiasti, mezza confusa e mezza rincoglionita,
lui consumò con il mio aiuto.. io facevo l’assistente alla minchia del mio caro
fratello..>>
<< .. e io ti lassai assistere l’aceddu della buonanima..>> disse la vedova.
<< .. e accettasti, cognata mia cara, la mia presenza.. io mi trasferii a casa vostra e
insieme ci gudimmu la minchia della buonanima..>>
<< .. che poi ci lasso soli.. morì all’improvviso..>> ridisse la vedova.
<< .. morì. Ma ci lassau quel regalo bello..>>
<< .. l’aceddu bifronte della zia monaca.. suor Cunnufilici..>>
<< .. e con quello ci siamo spitittate per tanto tempo….>>
<< ..ma punta dintra lu sticchiu miu, l’autra dintra quello tuo..>>
<<… quello che la buonanima non aveva potuto fare vita natural durante si
concretizzò , grazie a quella minchia doppia di legno levigato, dopo la dipartita del
caro congiunto..>> disse la sorella.
<< …che si portò nel tabuto la minchia di carne, con tutti i suoi problemi di
debolezza e deperimento, ma ci ni lassau una di legno e doppia..>>
<< .. se chidda ciria per stanchezza, chista si poli fare tutti li ficcati ca vulemu n’autri
e senza pericolo di défaillance..>>
<< .. e ci ni semu fatti..>> disse la vedova Minabrigghiu.
<< .. e questo finu a quannu tu ti fissasti con la comunità..>>
<< .. allora tu ti ni isti..>> disse la vedova.
<< .. le nostre vite si separarono..>>
<< .. tu sciglisti la minchia di carne che occasionalmente ti capitava..>>
<<..e tu la santità di sticchio..>>
<< .. e adesso Tonina e Ninetta lo stesso destino..>>
<< .. speriamo solo che l’aceddu ci campa..>>
E si misero a piangere. Il defunto congiunto. E la buonanima dell’aceddu morto. Poi
si ittanu nel letto e ancumincianu a fare tocca tocca. Ad un certo punto la vedova
Minabrigghiu si susiu e tirau fora l’aceddu bifronte. Quello che seguì fu affar loro.
Tonina e Ninetta acchiananu in casa e si aspettavano un cazziatuni. Invece non
successe niente. Nella loro camera si catafuttenu sul letto e si addormentarono l’una
nelle braccia dell’altra. Pensando alla minchia dell’ingegnere Nicola Cannolo.
Pompeo quella notte diede sfogo alla sua vena poetica componendo, sull’argomento
“marinai” , un bel sonetto codato.
A Peppa , li marinai nei carzoni
cianno du patte, tu 'o sai perché?
No, nun lo sai. Mo' te lo spiego io cos'è:
e ch'hanno du cazzi e quattro cojoni.
Gesùmmaria che dorci sensazioni:
varda che cosa mi è capitato a me.
O marinaio dice " viè, viè cumm'e,
che te ne darò le dimostrazioni".
Così semo iti in un ber casolare;
lì , lui tira fora er primo gemello,
già sull'attenti, pronto p'inciciare.
Io vedenno quer grosso manganello
me sentii tutta ma tutta sudare
che già pregustavo quer coso bello.
Io già er su' giucarello
che pareva er bilisco de san Pietro
mo' sognavo sia avanti che de retro.
Io me sentii de vetro
quanno, zum zum, lui varcò er mio portone
mentr'io me scuajavo dall'emozione.
Mbè, tante bell'e bone
cose cor primo cazzo seppe fare,
'gni tipo 'e bucio voleva otturare,
ognissempre a chiavare.
Dopo ecchilo tirà fora er siconno
ch'era un cazzetto ciuco, corto e tonno,
ch'io dissi " Porco monno,
ch'è sto cicetto tutto spaventato
ch'accarezzallo n'se manco arrapato".
Dice " Mbè, diosagrato,
devi capillo, è geloso, è arrabbiato,
voleva esse' er primo e s'è incazzato."
Non s'inchinava a nessuna autorità e non accettava nessun
principio senza esame.
I.S. Turgenev
Quando si hanno vent’anni si crede di aver risolto il mistero del
mondo, a trenta ci si comincia a pensar su, a quaranta si scopre
che è insolubile.
A. Strindberg
NOVE : FRATE BARTOLOMEO
Le vostre donne sono un campo per voi:
andate quindi al vostro campo come meglio vi piacerà.
Corano
La ciolla al vento è segno di libertà..
La pasquetta venne fuori che era quasi estate. L’ideale per tutti quelli che avevano
programmato una scampagnata a Pantalica. Gli hippy erano già sul posto e alle dieci
erano già tutti belli e stinnicchiati al sole. Poco dopo arrivarono Gerlando Pirlabon e
Minico Mezzocannone. Vestiti sportivi non parevano manco carabinieri. Ianka e
Tirka, nudi come al solito, li accolsero con gioia.
<< Benvenuti nella nostra comunità.>> dissero.
<< Grazie.. grazie per l’invito..>> disse Minico.
<< Grassie anche da mi.>> disse il Pirlabon
<< Fate quello che più vi piace.>> propose Tirka. << Intanto, per semplificare le
cose, applicando le nostre regole, vi ribattezzo Niko e Gerka. Così anche voi avete la
K nel nome.>>
<< Ci piace sta cosa.. ci piace assai.>> disse il novello Niko.
<< Anche a mi?>> aggiunse il novello Gerka.
<< Adesso, se volete spogliarvi, fate pure..>>
<< Nudi?>>
<< Come volete voi? >> disse Ianka.
<< Dove possiamo mettere le nostre cose?>> chiese Niko.
<< Ci penso io. >> si propose Tirka. E li accompagnò nella sua tenda. Ed entrò con
loro.
<< Mettete tutto lì. >> disse ai ragazzi. E attese. Ma i due non si spogliavano.
<< Forza.. via i vestiti.. che fa? Vi vergognate?>>
Alla fine Niko e Gerka si decisero. Girando le natiche a Tirka si tolsero tutto, tranne
il costume . Si vergognavano perché erano eccitati.
<< Andiamo kuli belli.. andiamo.. mettetivi col culo di fuori.. e pure con l’uccello.. e
poi fuori.. . >> disse la ragazza.
I due tentennavano. Stavano di culo e non si giravano.
<< Facci riposare un po’. Siamo .. siamo .. siamo emozionati..>> dissero.
Tirka appena i due si girarono scoppiò a ridere.
<< Siete emozionati.. se adesso si dice così.. per me siete eccitati.>> disse.
Si alzò e toccò loro il pacco. Niko e Gerka restarono immobili, come due statue, uno
accanto all’altro. Tirka abbassò loro il costume e li prese per la minchia. Li mise
aceddu contro aceddu e attaccau a sucari le due minchie contemporaneamente. I
ragazzi, immobili, vennero in un amen. Poi lei ci scippò i costumi e nudi se li portò
in riva al fiume. Niko e Gerka, a vedere tutto quel pacchio esposto, che pareva di
essere al mercato dello sticchio, si stavano di nuovo eccitando. Pertanto si misero a
pancia in giù. Tirka rise. Ma li lasciò stare. Loro parlavano e taliavano: pacchio a
destra e pacchio sinistra, pacchio davanti e pacchio darreri. E tante ciolle
indifferenti, non perché insensibili ma perché abituate al nudismo.
In un posticino tranquillo, prossimo al campo degli hippy, l’ingegnere Nicola, Tonina
e Ninetta si erano sdraiati al sole. In costume intero loro, col microcostume lui. A
mezzogiorno in punto fecero il bagno. Giocarono come bambini. Lu si tolse il
costume e senza farsi vedere pigliò le sorelle per le mani. E diede loro il regalino già
bello tiso.
<< Ohhhh..>> fecero quelle. Che per onorare il loro cognome fecero a Nicola una
sega acquatica perfetta.
Proprio intanto che l’ingegnere pisciava la sua simenta nel fiume, passarono i C.C.
Pirlabon e Mezzocazzone che venivano tirati per l’uccello da un pezzo di sticchio da
novanta.
<< Buona giornata ingegnere.. due volte buona giornata.. e buona giornata alle
signorine Minabrigghiu..>> dissero i C.C. rivolgendosi a Nicola e alle sue
accompagnatrici.
<< Buongiorno ..>> rispose Nicola.
<< Meno mani che l’aceddu stava sott’acqua.. nessuno ha visto quello che stavamo
facendo..>> dissero Ninetta e Tonina.
<< Nessuno.. >> disse l’ingegnere. << ma voi avete visto quello che facevano i
carabinieri a quella ragazza.>>
<< La scorta. >> dissero le caruse ridendo.
<< E lei a loro?>>
<< Lei faceva la minatrice.. >> spararono le ragazze.
<< Che non è il femminile di minatore.>> disse Nicola Cannolo.
<< No. La minatrice è colei che mina il minareto masculino. >>
Nicola le abbracciò e le convinse a levarsi il costume. Loro accettarono.
Erano le undici quannu arrivanu Ben, Iatata, Pompeo, Checco e altri amici. Si
piazzarono poco distanti dagli hippy. Si misero in costume e corsero subito in acqua.
E si sciaquariarono assai assai. E fecero anche un gioco. Il cambio dei costumi. Tra
mascoli e femmine. Nell’acqua le trasparenze erano eccitanti e alla fine se ne videro
di tutti i colori. Era un gioco che portava i carusi a taliare li minni e il resto delle
caruse. Mentre le ragazze puntavano a certi particolari e poi facevano calcoli di
cazzometria pura e applicata.
Alle dodici arrivarono Marietta, Maruzza, Mimì e Memè. E si unirono al gruppo.
Adesso il gioco era diverso. I ragazzi bendati dovevano riconoscere le ragazze
toccando loro il seno. Ben riconobbe la robba sua, cioè Iatata. Ma riconobbe anche
Marietta e Maruzza. I bucchirisi riconobbero sia Maruzza che Marietta.
Toccò poi alle ragazze riconoscere i carusi. Si doveva decidere da cosa. Il petto non
andava bene. Ci stava il culo. Ma alla fine, osando, decisero per il marrugghio. Ben
fu riconosciuto dalla zita, ma anche da Marietta e Maruzza. Pompeo da Iatata e dalle
caruse pregne.
Era l’una quando si ricomposero per mangiare panini , coca e birra. E per farsi un po’
di fumo.
In un posticino tranquillo c’erano il famoso artista Nikj Sciò, sua moglie Meg e il
loro figlio Alex con la zita , una certa Tuta di Roma. Con loro Nitta Santonocito, che
era simenta di casa Incardasciò, e il suo compagno Vic Wilde. Tutti nudi anche loro.
Aspettavano altri parenti. E infatti arrivò il sindaco Tonino Incardasciò con la bella
moglie Eusebia Ferretti e il piccolo Pascal di appena quattro anni. Eusebia si tolse il
costume, Tonino no . Il piccolo Pascal faceva leva e metti. Levava per fare come la
mamma, metteva per essere come il padre. Tonino, col costume , si sentì troppo
imbarazzato, quasi fuori luogo. E all’improvviso, nessuno ci credeva, se lo tolse.
<< Viva il sindaco con la minchia di fuori.. viva il sindaco con la minchia di fuori..>>
iniziarono a gridare gli altri del gruppo.
<< …e viva anche il figlio del sindaco col pipì di fuori..>> gridò il piccolo Pascal
buttando all’aria il costumino.
La minchia di Tonino era irrequieta e Nikj scherzò:
<< Diamogli almeno la fascia tricolore. Nudo ma con la fascia..>>
Pascal era nell’età del perché. Quando chiese improvvisamente al padre perché i
maschi avevano pipì di grandezza diversa. Colto di sorpresa il papà non rispose.
Intervenne la mamma.
<< E come per i nasi.. ci sono nasi piccoli e nasi grandi. Allo stesso modo ci sono
pipì piccoli e pipì grandi.>>
<< Ma le donne preferiscono il pipì grande, vero?>> chiese Pascal.
<< Così si dice, ma è solo una voce , un detto. Ogni pipì troverà la sua piscialera,
ogni piscialera il suo pipì.>> disse papà.
<< Tu hai trovato quella della mamma.>>
<< Sì. E sono stato fortunato . Ma devi sapere che il pipì.. il pipì >> intervenne il
papà << è a grandezza variabile.. ora è piccolo piccolo.. ora è grande grande.. >>
<< Lo so. E a volte è mollo mollo e a volte duro duro.. ho visto il tuo sia quando è
piccolo piccolo, sia quando è grande grande.. come quando giochi con la
mamma...>> rispose il bambino.
Tutti scoppiarono a ridere. Poi Pascal iniziò a fare un giro per vedere chi dei maschi
aveva il pipi più grande e chi l’aveva il più piccolo. Quando si stancò, perché di pipì
ci ni staunu assai, torno da papà Tonino e ci comunicò i risaltati della sua personale
classifica dei pipì visti in zona.
<< Papà... Il pipì più piccolo è quello di zio Nikj, il più grande è quello di un signore
che sta di là. Tu lo conosci, fa le case, e parente del cannolo.>>
Papà Tonino capì. L’ingegnere Nicola Cannolo era famoso per la sua scicchitudini.
<< A proposito, il tuo sta a metà classifica.>> disse al padre.
E si mise a studiare cula di femmine, minne e triangoli di pilo che stavano sopra la
piscialera. E capì che la cosa ci dava più piacere. Il pipì suo diventava duro. Ma
restava piccolo.
Allora arrivarono Vanni Santonocito con la bella moglie Immacolata Cicoriazza. I
due si smutandarono in un amen. Erano belli sia lui che lei. Immacolata era una
Venere Callipigia ( l’aveva detto Nikj e pare che volesse dire che tinia un culo
bellissimo ) e lui un Ercole con tanto di mazza e di ercoloni ( anche questo l’aveva
detto Nikj e pare che avesse aggiunto “ beato chi si gode quella mazza” ).
Pascal corse dal papà.
<< Vanni tiene il pipì grande come il parente del cannolo.>>
Alex fu turbato dalla vista della cugina Immacolata. Il suo pipì iniziò a dare segni di
nervosismo. Faceva piccoli scatti e gonfiava nu tanticchia. Pascal penso che Alex era
“nervoso di minchia”. Alex da parte sua andò in acqua con Tuta. Poi si fece una
passeggiata con la ragazza. Pascal ci andò appresso. Tanto per vedere, per curiosare.
E vide Tuta che maniava il pipì tiso e duro di Alex.
<< Tuta.. Tuta.. Tuta.. Tuta .. ciucciami.. ciucciami. >> diceva Alex.
Lei si abbassò e attaccau a leccare come se il pipì fosse un gelato. Poi si l’ammuccò
come se fosse un cannolo. E Pascal tutto contento, e col pipì duro in mano, corse
verso i due gridando:
<< Mi piace questo gioco. Tuta.. Tuta.. Tuta… ciucciami il pipì.>>
Tuta e Alex si guardarono e si capirono. E Tuta iniziò a giocare col pipì di Pascal. E
ci lu vasau magari. Poi gli disse:
<< Questo è un gioco segreto.. si fa, ma non si dice. Pertanto segreto è tra te, me e
Alex. Giura..>>
Pascal giurò contento di avere un segreto, di aver fatto una cosa che si fa ma non si
dice.
Sullo sperone roccioso di Pantalica padre Bernardino Cacaceddu e padre Bartolomeo
Ciollardente si erano assittati su un masso e taliavano in basso. Con tanto di binocolo
tedesco di ultima generazione. Padre Cacaceddu cercava mascoli, padre Ciollardente
femmine. E taliavano. E tra una taliata e l’autra si ienu sucaunu na bottiglia di vino
rosso di Pachino.
Poco distante c’era l’eremo dove si era spontaneamente rinchiuso padre Augustin. Il
mitico confessore delle Orsoline, amico assai assai di suor Carmelina , la famosa
santa botanica.
Non molto distante dai ragazzi e dagli hippy si trovavano Micio Tempio, Giorgio
Baffo e dei loro amici, alcuni dei quali frustieri venuti in vacanza in Sicilia . Tra cui
una cara amica di Micio, Kosetta Fikaminkianova ,una russa esponente della “ Body
art”. Il gruppo faceva discorsi colti e li inframmezzava con battute al vetriolo su tutto
l’urbe e l’orbe pure. Comunque erano in costume.
Micio era incazzato con padre Ciollardente e meditava vendetta. Kosetta, che doveva
passare due mesi di tempo in Sicilia, ebbe un’idea e ne parlò a lungo a Micio. Soli
soletti passeggiarono e discussero. E Micio quell’idea l’ampliò.
<< Cazzo.. mi piace..>> disse lo scrittore.
<< Cazzo.. anche a me..>> disse Kosetta.
<< Mi hai messo il fuoco al cazzo.>> disse Micio.
<< E tu al portacazzo.>> rispose lei.
<< E allora mettiamo il cazzo nel portacazzo.>> rispose lui.
E per festeggiare corsero in acqua… dopo aver lasciato i costumi sulla sabbia. E
nell’acqua, in un posto isolato, scoparono. Ritornarono nel gruppo nudi e col costume
il mano. Gli altri li imitarono passando dal costumismo al nudismo.
Non molto distante da loro c’erano un gruppo di tedeschi che facevano nudismo.
Famiglie intere con picciriddi al seguito . Era quello un esempio felice di paradiso
terrestre.
Piu in là ancora c’era il famoso critico Calogero Bellarmino - Gugliotta che con
alcuni amici faceva il nudista pure lui. Con lui anche la sorelle Bona. Il critico
parlava di tutto. Soprattutto di sesso. Il sesso nell’arte e nella vita. Perché per lui tutto
firriava intorno al cunnus e alla mentula.
Ninetta e Tonina, dopo essersi tolte il costume, restarono nude nude e per proteggersi
da sguardi libidinosi indiscreti si abbracciarono strette strette all’ingegnere. Che
sentiva quattro capiccia contro il suo torace villoso. Mentre le ragazze sentivano
tornare a nuova vita il cannolo dell’ingegnere Cannolo. Proprio allora passarono
Calogero Bellarmino - Gugliotta e altri.
<< Buon giorno onorevole..>> disse l’ingegnere.
<< Buongiorno Nicola … a te e alle tue amiche..>> rispose l’onorevole.
Le caruse si strinsero ancora di più. Per non farsi vedere in faccia . Per non farsi
vedere li minni. Si vedeva solo mezzo culo. Che emergeva dall’acqua.
Poi uscirono dal fiume, in un momento che non passava nessuno, e si distesero al
sole. Di culo, a pancia in giù. Nicola invece si sdraiò in mezzo a loro, a pancia in su
e a cosce larghe. Come per esporre alla vista di tutti il suo cannolo. Taliava con un
occhio il culo di Ninetta e con l’altro il culo di Tonina. E anche la gente che passava
dava una sbirciata.
<< Beato l’ingegnere >> pensavano i conoscenti << che tiene un bel cannolo felice e
contento.. e due culi per la gioia e la felicità del suo cannolo.>>
Dopo la mangiata gli hippy si passarono qualche canna. Fumarono anche Niko e
Gerka a cui , chissà perché, l’uccello stava sempre in piedi. Dopo un po’ Tirka se li
portò a fare una passeggiata. Arrivati in un posto isolato la “figlia della Kanapa”
Tirka si diede da fare per far godere e stragodere i C.C. E ci riuscì. Tanto che alla fine
li ricevette alternativamente, uno nella sala davanti e uno nella sala di dietro.
Questa scena fu taliata dall’inizio alla fine da padre Ciollardente e da padre
Cacaceddu. Che continuavano a bere vino. Erano già nu tanticchia ubriachi, ma
soprattutto erano eccitati. In preda ai loro diversi desideri sessuali. Avevano
comunque riconosciuto i carabinieri Pirlabon e Mezzocazzone.
<< Minchia.. ‘u carabinieri pulintuni ci sta cu chidda buttana di li nudisti. Pirlabon di
nome e di fatto è..>> disse padre Cacaceddu ammirando la pirla tisa del veneto.
<< Coppola di minchia mia.. veru è.. e magari Minicu ci sta.>> disse Ciollardente.
<< Ma cui? Mezzucugghiuni?>> aggiunse padre Cacaceddu usando il soprannome
con cui era noto il C.C. siciliano.
<< Cugghiuni tutto veramente è.. .>>
<< Cugghiuni tutto è.. ma anche cazzuni sanu sanu è...>> disse Cacaceddu che stava
taliando il marrugghio tiso del carabiniere.
<< Scannulu.. nu carabinieri cu li cosi di fora è scannulu..>>
<< E chidda buttana cu tutti li virivogni di fora?>>
Intanto bevevano e ognuno taliava le cose a cui era interessato. Padre Cacaceddu
cazzi e cula di mascoli, padre Ciollardente cula, pacchi e minni di fimmina. Ma poi
furono piacevolmente costretti, tra na sucata di vino e n’autra , a talari la performance
sessuale dei tre. E i parrini si eccitanu assai assai. Padre Ciollardente avrebbe voluto
essere al posto dei carabinieri, padre Cacaceddu al posto della buttana nudista figlia
di chiddi buttani ciuri. Ma in mancanza di altro si la minano tra di loro. Sotto le
tonache.
Quando ripresero in mano il binocolo si imbatterono in Nicola Cannolo, Ninetta e
Tonina Minabrigghiu che stavano in acqua. Le signorine Minabrigghiu ci la stavano
minando all’ingegnere .
<< Minchia. Pure l’ingegnere Cannolo sta nudo col cannolo di fora.. e con due
femmine.>> disse padre Cacaceddu.
<< E chi stanu facennu?>> chiese il Ciollardente.
<< Boh.. ma aspetta che piglio il cannocchiale.>> E tirò fuori dallo zaino un
cannocchiale piccolo ma sofisticato.
<< Minchia.. bonu sei attrezzato.>> disse padre Bartolomeo Ciollardente.
<< Sono astrofilo. Studio le costellazioni.>> rispose serio padre Cacaceddu.
<< Ahhhh.. le costellazioni.. ma non di stelle.. di minchie… la minchia dell’orsa
minore.. la minchia dell’orsa maggiore.. la minchia del capricorno.. la minchia
dell’acquario.. eccetera eccetera.. di minchia in minchia.. di aceddu in aceddu.. di
cazzu in cazzu. E nell’intervallo qualche culo..>> replicò padre Ciollardente. Padre
Cacaceddu rise e si mise al lavoro col cannocchiale.
<< Le femmine ci la stanno minando all’ingegnere.>> disse soddisfatto.
<< E cu su li fimmini?>> chiese padre Ciollardente.
<< Minchia cu su.. le signorine Minabrigghiu..>>
<< Tutte e due col cannolo dell’ingegnere Cannolo?>> chiese l’autru parrino.
<< Sì. >>
<< Destino di un nome. Minabrigghiu ca minanu nu brighhiu.. destino di famiglia.. il
papà si la facia con due femmine contemporaneamente: la moglie e la sorella.. >>
<< Minchia..>>
Intanto l’uno teneva in mano la ciolla dell’altro. Sempre sotto la tonaca.
Nel primo pomeriggio i ragazzi si spinellarono un po’. Poi presero a giocare al “ Vasa
Vasa”. Una variante del “Tuca Tuca”. Al posto delle mani si usava la bocca per
toccare il corpo del partner.. che poteva essere dello stesso sesso o del sesso opposto.
Le coppie venivano sorteggiate. Ed era bello sedersi a cerchio e taliare il
comportamento dei ballerini. Le zone da vasare erano la fronte, le labbra, i capezzoli
e l’area genitale. Le ragazze baciavano tutto alle compagne, ai mascoli baciavano
tutto tranne l’area genitale. Anzi, si mantenevano lontane con le labbra. Non si
sapeva mai. Qualche minchia particolarmente irrequieta poteva sbucare fuori e fare la
sorpresa. Meglio mantenere le labbra alla distanza di sicurezza, venticinque
centimetri. I ragazzi, più sfrontati, vasavano con grande piacere i capezzoli e l’area
genitale delle ragazze. Si imbarazzavano a vasare le labbra e l’area genitale degli
altri mascoli. A parte Pompeo e Checco che vasavano tutto. Anche le proboscidi che
stavano incarcerate sotto i costumi. E quando il caso li accoppiò nel gioco del “Vasa
vasa” il loro fu uno spettacolo. Si annacarano come buttane patentate e i marrugghi
eretti ballavano dentro il microcostume bianco. I baci sulle labbra e sui capezzoli
erano con lo scroscio. E quelli sull’area genitali col doppio scroscio. A un certo punto
a Checco la punta dell’uccello ci sciu di fora. Tutti taliavano quella coppola che
pareva dire “ Ciao .. ciao..” , ma lui non ci faceva caso o forse non se n’era manco
accorto. Solo che Pompeo , quando fu il momento, ci desi il bacio non sul costume,
ma direttamente sulla coppola. Tutti risero, ma Checco non ci fece manco caso.
Anzi, ci lu tirau fora al cugino e ci ricambiò il bacio sulla coppola. Altre risa ; ma lui
oramai era partito. E si fece il girò del cerchio vasando la coppola a tutti i maschi e le
minne a tutte le femmine. Sempre con la sua coppola dello zio Vincenzo di fuori.
<< Checco.. Checco.. >> chiamò proprio allora qualcuno da lontano, dalle parte
degli hippy.
E s’avvicinò un gruppo di ragazzi nudi. Erano romani de Roma, amici di Checco.
Tali Patrizia , Claudio , Adriano e Massimo. Ma si presentarono come Paki , Kal ,
Akri e Mak. Per un po’ parlarono. Poi gli hippy dissero di aver visto uno con una
minchia scicchigna pazzesca.
<< Aoh… Pareva er ‘bilisco di san Pietro..>> disse Paki.
<< Con tanto di cupola michelangiolesca..>> aggiunse Mak.
<< E c’erano anche gli affreschi della cappella Sistina?>> chiese Pompeo.
<< E che fa? Mi cojoni. Sto cazzo c’era. Bono per il culo tuo e de tu cugino.>>
rispose Mak.
<< Ma pure per il tuo. Occasionalmente, naturalmente..>> disse Pompeo che si
ricordava di avergli suonato una sinfonia intera nel suo culetto bello.
<< Ma addò sta sto cazzo speciale?>> chiese Checco.
<< De là. In compagnia de du fregne che hanno un culo stratosferico che attizza pure
li cazzi dei romani morti ar tempo de Cesare..>>
Ci furono poi presentazioni a iosa e quindi decisero tutti di spostarsi dalla parte degli
hippy. Su invito di Paki & company. Ma prima furono convinti a lasciare i costumi.
Quasi tutti lo fecero. Ma intanto che si spostavano Checco chiese a Paki:
<< ‘Ndo cazzo sta er creapopoli da oscar.>>
<< Là. >> E indicò un uomo sdraiato con allato due culi a cui mancava solo al parola.
<< Cazzo…>> disse Checco.
<< Cazzo e minchia..>> disse Pompeo. << Ma è un professore del geometra.>>
<< Cazzo.. cazzo… cazzo.. è il professore di Topografia. E altro..>> disse Ben.
<< Vorrai dire di Topagrafia. Grafia della Topa. >> disse il romano Kal.
Allora i ragazzi decisero di fare una sorpresa al loro professore. Si avvicinarono
piano piano e quando furono a pochi metri gridarono.
<< Buongiorno professore. >>
Nicola risautò. Era con gli occhi chiusi e sognava fiche gemelle o sorelle
<< Buongiorno ragazzi.. >> disse imperturbabile Nicola coprendosi, come per caso,
l’aceddu con le mani.
<< Buongiorno signorine. >> dissero i ragazzi.
<< Buongiorno .>> risposero quelle girando solo la testa e taliando quella marea di
cazzi giovani che pinnuliava tranquilla.
Nicola aveva insegnato al geometra, come docente supplente, per tre mesi. E parte di
quei ragazzi li conosceva bene. Ma conosceva anche tanti della ragioneria e del liceo.
Monacazzo, in fondo in fondo, era piccola. Prima di andare via Nicola ,Tonina e
Ninetta furono invitati a raggiungere gli hippy.
<< Più tardi verremo. Grazie per l’invito.>> disse Nicola.
<< Verremo. Verremo. Noi veniamo sempre, se c’invitano. Venire è sempre un
piacere. Se si è invitati.>> dissero le due sorelle.
Tutti scoppiarono a ridere., il verbo “venire” declinato con innocenza era poi stata
interpretato da tutti con malizia.
La comunità dei figli della Kanapa era in allegria, in totale euforia. Le canne
continuarono a firriari. Forse firriò anche qualche altra cosa. Arrivò Nicola col suo
batacchio e le sue due gnocche. Fumanu anche loro. Nell’euforia generale finenu tutti
in acqua. Anche gli studenti che erano rimasti col costume a un certo punto se lo
tolsero . Poi si formarono tante coppiette. Ma anche triangoli , quadrilateri e
pentagoni. La formazione più complessa fu un esagono. Ben e Iatata fecero una
coppia. I C.C. e Tirka un triangolo. Un altro triangolo lo formarono Nicola , Tonina e
Ninetta. Maruzza, Marietta, Memè e Mimì fecero un quadrilatero. Parecchi furono i
pentagoni. Ma solo uno l’esagono: Pompeo, Checco, Paki, Kal, Akri e Mak. Patrizia
li accontentò tutti e cinque contemporaneamente e a rotazione. Due con le mani, uno
con la bocca, uno con la fregna e l’altro col culo. Furono cazzicatummuli sessuali a
trecentosessanta gradi.
I parrini continuavano a taliare. Sotto l’effetto del vino s’erano spogliati di tutto. E
taliavano. C’era solo l’imbarazzo della scelta in quella valle piena di pacchio e di
cazzo. Una valle del piacere e del peccato era. Novella Sodoma e Gomorra. Pertanto
si eccitanu troppo . E a causa dell’effetto del vino iniziarono a spogliarsi. E taliannu
taliannu si la riminaunu. Poi, visto che uno amava pigliare l’aceddu dei mascoli e
l’altro darlo alle femmine in tutti li purtusa disponibili, visto e considerato che le
condizioni generali erano quelle che erano, la ciollardente di padre Bartolomeo finì
dentro il bucio del culu di padre Cacaceddu.
A cose finiti, soddisfatti e nudi com’erano, decisero di scendere a valle per iniziare
una attività di missione contro gli atti impuri.
Per disgrazia, verso le cinque del pomeriggio, si trovarono a passare dalla valle di
Pantalica, Santuzzo Minchianova e Santinedda Ficasana. Due fidanzatini vecchio
stampo. Volevano fare una passeggiata nella valle incantata, respirare un po’ d’aria
pura, raccogliere qualche fiorellino e farsi al massimo una stricata.
Perché oltre quello non andavano l’impiegato della mutua Santuzzo Minchianova,
detto “ Minchiaimpacchettata”, e la maestrina dell’asilo Santinedda Ficasana ,detta
“Sticchioincassaforte” . Avevano promesso a sé stessi e a Dio di non consumare
prima del santo matrimonio, che tra l’altro era previsto per il prossimo dicembre. Si
toccavano con le mani ma non si scoperchiavano. Oramai erano pratici nell’arte di
infilare le mani nel posto giusto, per arrivare dove volevano. Il “tocca tocca” era la
loro solo sessualità. Eppure avevano trent’anni lui e ventinove lei. Ma erano entrambi
vergini.
Adesso erano a Pantalica e avevano visto tanta gente nuda in giro, ma non ci avevano
fatto caso. Anche se soltanto con la coda dell’occhio, lei taliava li beddi cazzi e lui li
beddi sticchia. Ma tanto per curiosità.
<< Virivogna… che porci che ci sono in giro…>> dissero all’unisono. Ma
continuavano a sbirciare.
Videro i tedeschi tutti biondi e belli e si schifano ancora di più.
<< Parunu angeli.. ma sono diavoli..>> dissero in simultanea.
Ma lei taliava, sempre con la coda del suo santo e innocente occhio, quello che
meglio si prestava al caso, quei cazzi bianchi che giacevano felici sul pelame biondo;
e anche se in fase di ammosciamento gli parevano chiù grandi di quello di Santuzzo
che conosceva solo di mano. Santuzzo invece taliava quelle fiche bionde che
luccicavano sotto i raggi del sole siciliano. Videro Micio Tempio e i suoi amici , tutti
nudi come vermi.
<< Porci.. cosi lurdi scrivi e cosi lurdi fa… . >> disse Santuzzo.
<< Un intellettuale come lui dovrebbe dare l’esempio..>> replicò Santinedda.
<< Invece dà il mal’esempio..>>
<< Porci, con quei marrugghiazzi al vento..>>
<< Porci.. porci.. porci senza battesimu..>>
Ma lei taliava quelle minchie scicchigne, lui quei pacchi da copertina. Lei stava
pensando che forse era arrivato il momento di vedere la cosa dello zito, anche per
fare un confronto con tutti quei volatili maschili che c’erano da quelle parti. Per
sapere se il suo zito era nella norma o al di sotto della norma. Sopra non c’era
sicuramente. Lui invece si sentiva attratto da tutto quel pacchio esposto. Solo potendo
sarebbe corso tra le cosce di qualche pacchio per sperimentare il suo volatile. Tanto
per farsi un’idea: che significava stare dentro una femmina, dentro un pacchio di
femmina. E non essere più chiamato “ Minchiaimpacchettata. “
Finalmente si stavano appartando. Ma per disgrazia ienu a sbattere contro una coppia
in amore: Ben e Iatata. Lui era a terra e lei cavalcava. Accennarono un saluto. Ma
quelli non li videro neanche.
<< Giocano al cavallo e al cavaliere. >> disse lei tutta rossa.
<< Cavallo col palo e cavaliere impalato..>> aggiunse lui altrettanto rosso.
<< Ma non ho visto l’aceddu...>> disse Santinedda.
<< Era dintra .. >> disse lui.
<< Dintra.. dove?>> chiese lei.
<< Dove ci sta posto..>>
<< Davanti o darreri?>> riaddumannò lei.
<< Che ne so. Da qualche parte il pipì sarà ospite. Se chidda fa acchiana scinni, lu
pipì da qualche parte devi fare trasi e nesci.>> sparò Santuzzu a cui la vista aveva
addumatu l’acidduzzu.
<< Che schifo però.. come gli animali…>> disse lei cercando di intravedere il pipì
fare trasi e nesci.
<< Se lo sapesse l’avvocato Cicidda..>> concluse lui.
<< Ammuccassi amaru e si stassi zittu .>> disse lei.
Cambiarono strada alla ricerca di un nuovo posto, ma andarono a sbattere contro un
trio: due uomini cuccati allato a una femmina che gliela minava a tutti e due. Lui
riconobbe subito i C.C. Pirlabon e Mezzocazzone. Lei taliò altrove. Taliò
direttamente l’aceddi.
<< Minchia, beddamatri do carmini.. du masculi e na fimmina..>> sparò Santinedda.
<< Ma l’hai riconosciuti i mascoli? >> chiese lui.
<< No. Taliavo le mani della fimmina..>>
<< .. che ci la minavano ai mascoli..>>
<< Sì. >> disse rossa come un pomodoro.
<< ..e quindi taliavi l’aceddi dei mascoli.. piccatura.. il mio non lo tali e chiddi di li
strani sì..>>
<< ..mi pareunu ranni.. ranni.. ranni.. non erano minchie.. erano minchione..>>
<< Impressione visiva fu.. scherzi dell’occhio furono.. due minchie come l’autri
sono.. ma sai chi erano i proprietari.>> addumannò Santuzzo.
<< No. >>
<< Erano i C.C. Pirlabon e Mezzocazzone. >>
<< I carabinieri?>>
<< Sì . >>
<< Minchia chi virivogna . Due carabinieri con la minchia di fuori..>>
Cambiarono strada ma trovarono un altro trio. Nicola sdraiato con Ninetta impalata
sulla minciazza del professionista e Tonina impalata sulla sua linguazza di esperto
alliccatore.
Cambiarono ancora strada ma trovarono un quartetto . Anzi un quadrato. Un mascolo
ci la alliccava una femmina che ci la sucava a n’autro mascolo che a sua volta
alliccava n’autra femmina che da parte sua ci la sucava al primo mascolo.
<< Maronna … Le vicine di casa tua .. cu li ziti..>> disse Santuzzu.
<< Ma chi? Maruzza e Marietta erano quelle sdisanorate che sucavano minchie?>>
<< Sì. E se idde sucavanu li cannola a li masculi, li musculi alliccavanu li spaccazzi a
li fimmini.>>
<< Che schifooooooo..>> disse Santinedda..<< lu piscialoru na la uccaaaa…>>
<< Che schifooooooo…>> disse lui.
<< Alliccari la piscialera ..>> aggiunse Santuzzo.
<< Ma sicuru ca erunu iddi?>> chiese lei.
<< Sì. Li visti in facci.. >> disse lui.
<< Io taliai altrove.>> disse Santinedda.
<< ‘U sacciu unni taliasti.. l’aceddi taliautu.. ma sti aceddi traseunu e scieunu da li
ucchi. E li ucchi sunu na al facci. >>
<< Sì. Lu saccio. Ma io mi concentrai su l’aceddi.>>
Idda poi si fici tri voti la cruci, ma lui iniziò a pensare che forse stava sbagliando a
non ingignari l’aceddu. Forse era l’unica minchia impacchettata del paese. E
Santinedda l’unica vergine della sua età. Cambiarono strada ancora una volta e
s’imbatterono in una scena spaventosa. Una femmina che dava adenzia a tanti
mascoli. Lui riconobbe Pompeo, il romano de Roma. Lei non riconobbe nessuno. Lei
taliava solo l’aceddi dei mascoli che ci parsero monumentali. Soprattutto taliava
quello che entrava ed usciva dalla bocca della femmina e i due che facevano avanti e
annareri nella mani della stessa.
<< Scappamu ..altrimenti facciamo peccati di vista e di pensiero.>> disse lui.
<< No. Fammi taliari.. >> disse lei..
<< E una cosa vergognosa..>> rispose lui. << Una femmina con quattro mascoli..>>
<< Prego, cinque >> disse lei.
<< Cinqu? E il quinto dov’era?>>
<< Nel culo della picciotta.>>
<< Minchia, magari na lu purtusu di lu culo della genti vai a taliare. >> disse lui. Che
avrebbe voluto essere uno di quei cinque.
Cambiarono ancora strada e finalmente attruvanu un posto tranquillo. Una grotta. Li
incominciano a stricarisi. Santuzzu ci allisciava lo sticchio a Santinedda.
<< Fammelo taliari. >> disse lui.
<< No, ne hai già visto abbastanza oggi di pacchio.>>
<< Allora ti faccio vedere la mia pipì?>> chiese Santuzzu. << Così, se ti piace
l’assaggi.>>
<< No. Ne ho visti troppi oggi di cazzi. Ho la nausea. Mi accontento di toccarlo.>>
Santuzzu provò il pititto di spogliarsi nudo e di correre sul primo pacchio disponibile.
Poi si calmò. E pinsau di aspettare la sera per andare all’Arcazzo. Ma all’improvviso
trasiu un ragazzo nudo.
<< Scusate il disturbo.. ma mi ero venuto a pigliare un po’ di fumo. Anzi, se volete
favorire… visto che non siete dei nostri.. sapete , e roba buona.. fatta in casa..
pakistano di ottima qualità..>>
<< Sì, grazie..>> dissero Santuzzu e Santinedda che amavano le cose genuine.
E pensarono che Pakistano era la qualità di quel tabacco che qualcuno amante delle
cose genuine coltivava. E si la pigghiano la strana sigaretta che pensavano
sicuramente fatta dai genitori di qualche caruso. Sulu ca ci avia vinuto un po’ male.
Era di forma leggermente conica e non cilindrica.
<< Scusate… ma non mi sono presentato.. sono Kard.. della comunità “I figli della
Kanapa.”>>
<< Bihhh.. chi coincidenza.. anche noi facciamo parte di una comunità. “ I figli del
giglio. “ Il giglio della purezza..>> disse Santinedda.
<< Noi ci ispiriamo a san Tetaidro di Cannolicchio.. >> specificò Santuzzo.
<< Noi a Tetraidro Cannabinolo.>> disse Kard e accese loro le strane sigarette.
<< Buon divertimento.. e fumate così.. per sucare il fumo meglio..>> disse Kard
andando via e facendo vedere come fumare la canna.
Fumarono e poi ripresero a stricari. Erano stranamente allegri.
<< Fammillu vedere. >> disse Santinedda.
Non si oppose Santuzzo, anzi si calau li pantaloni. L’aceddu era piccolo ma a lei ci
parse enorme. Adesso fu lui che gli tolse li causi e le mutande. E ci taliò la fica che
era bella pelosetta. Ci la vasau e lei lasciò fare. Poi fu lei che ci vasò, e non solo, il
piccolo aceddu tiso. Allora i due persero il controllo di sé in modo definitivo. Lei si
buttò per terra, a cosce spalancate, gridando “ dammelo “. E lui, per tutta risposta, ci
si ittau di supra, con l’intenzione di ficcare la sua minchia nel portaminchia di lei.
Ma non riusciva a trovare la direzione giusta. La cappella del suo aceddu non trovava
la porta del portuso da sfondare. Fu lei che lo indirizzò verso il punto giusto. E
finalmente Santuzzo ficcau il marrugghieddu nel posto giusto. Lei fici appena
“Ahi..”. Poi fecero insieme tanti sospiri.. fino alla fine. Quannu il pipì di Santuzzo si
pisciau dintra il portapipì di Santinedda,
Fu allora che successe il fattaccio. Lui tirò fuori l’aggeggio tutto rosso e si spaventò.
<< Minchia.. la minchia si ruppi.. e un portuso nella panza ci fici.. minchia..
all’ospedale la devo portare.. e pure io ci devo andare..>>
Lei vide l’uccello insanguinato di lui e si spaventò assai assai.
<< Minchia.. la minchia di Santuzzo si ruppi.. lu giocattolo nuovo subito si sfasciò.>>
Poi vide il sangue tra le sue cosce e lo spavento si decuplicò.
<< Minchia. Tutta mi spurtusiau. All’ospedale devo andare. I punti mi devono
dare.>>
Il panico si impadronì dei due ragazzi che si misero a gridare.
<< Aiuto.. aiuto.. la minchia si ruppi.. aiuto.. aiuto.. un portuso mi fici.. aiuto.. aiuto..
chiamate l’ambulanza.. aiuto .. aiuto.. ferito di minchia sono.. aiuto .. aiuto.. ferita di
sticchio sono .. aiuto.. aiuto..>>
Arrivarono dei ragazzi. Alcuni erano hippy - e c’era pure Kard- e alcuni erano di
Monacazzo. I ragazzi capirono subito quello che era successo. Li acchiappanu e li
catafuttenu in acqua. Santuzzo e Santinedda ritornarono subito in sé e si misero a
piangere. Furono consolati dai ragazzi e si convinsero che quello che avevano fatto
era una bella cosa.
Proprio allora arrivarono due uomini di mezza età, nudi e con una bottiglia di vino a
testa. I ragazzi di Monacazzo riconobbero subito padre Bernardino e padre
Bartolomeo.
<< Confessatevi peccatori.. confessatevi peccatori..>> gridavano i due.
I ragazzi capirono anche in questo caso cosa era successo. Li acchiapparono, quattro
a testa, e li catafuttenu in acqua. Anche loro ritornarono in sé in un amen.
<< Minchia.. minciazza..>> dissero arriprendendosi la capacità di intendere e volere.
<< Minchia.. minciazza....>>
<< Buonaseraaaaaaa.. padri carissimi.. >> dissero i ragazzi in coro.
<< Buonaseraaaaaaa .. >> risposero imbarazzatissimi e calandosi in acqua per
proteggere i loro gioielli di famiglia da sguardi indiscreti.
<< Buonaseraaaaaaa ..>> risposero i ragazzi.
<< Buonasera.. >> dissero i preti focalizzando la situazione e riconoscendo alcuni dei
presenti..
<< Ciao Ben.. Ciao Iatata.. Ciao Marietta e Maruzza… Ciao Memè e Mimì.. Ciao
Pompeo.. Ciao Minico e Gerlando.. Ciao Ninetta e Tonina…Buonasera ingegnere
Nicola.. Ciao Santuzzo e Santinedda.. Buonasera e ciao a tutti..>>
<< Ciaooooo.. anche a voi…>> dissero i ragazzi.
<< Ciaooooo.. >> ripeterono i preti . E svennero.
Li portarono all’asciutto e li deposero sul terreno . Ma propino allora comparvero una
marea di carabinieri. Qualcuno li aveva chiamati e loro si erano precipitati per
identificare i nudisti. Accussì venne fuori che c’erano tanti carusi di Monacazzo.. che
c’erano due carabinieri.. due preti.. uno scrittore.. un ingegnere.. intellettuali di fuori.
E che c’era anche un onorevole e altra gente particolarmente importante.
Il giorno dopo l’accusa di “ possesso e consumo di stupefacenti” fu cancellata per
ordine superiore. E decadde pure quelle di “atti osceni in luogo pubblico” . Restò in
piedi solo l’accusa di “offesa al comune senso del pudore”. Alla fine vene fuori che i
carabinieri Pirlabon e Mezzocazzone erano in missione… segreta… che i due parrini
Cacaceddu e Ciollardente erano in missione… religiosa… che i ragazzi di
Monacazzo erano in missione.. goliardica.. che i giocherelloni ragazzi della comunità
“ I figli della Kanapa” erano in missione scassaminchia a tempo pieno … che lo
scrittore e i suoi amici era in missione.. culturale... e che l’onorevole Calogero
Bellarmino- Gugliotta era in missione… politica.
Qualcuno disse che forse i carabinieri erano in missione di.. esercitazione.
A quanto pare le uniche che avevano sbagliato erano state le cognate Filomena
vedova Minabrigghiu e Ciccina Minabrigghiu. Scassamarruna per vocazione ed
ispirazione, avevano deciso di fare una passiata nella parte alta di Pantalica. Ma con
tanto di binocolo. S’erano imbattute in padre Cacaceddu e Ciollardente che firriavano
nudi ed erano scappate dall’altra parte. A dire il vero cercavano di scoprire cosa
stavano combinando Ninetta e Tonina con l’ingenere Nicola Ciolla. E taliavano.
Avevano visto gente nuda da tutte le parti. Era un carnaio quella valle.
<< Sodomia e Gomorria è.>> disse Ciccina.
<< Ma chissà se Ninetta e Tonina sono nude anche loro?>> si chiese mamma
Filomena vedova Minabrigghiu.
<< No. Che dici. Sante caruse sono.>>
<< Chissà se l’ingegnere Cannolo si è messo col cannolo di fuori?>>
<< Ma che minchia dici. Mascolo serio è.>>
Intanto esploravano la valle e vedevano gente nuda dappertutto. Avevano pure
riconosciuto qualcuno. E gira e rigira acchiapparono disteso sulla riva l’ingegnere
Cannolo col cannolo tiso e Ninetta e Tonina di culo ma con le mani sulla minchia
dell’ingegnere.
<< Ahhhh..>> gridò la mamma.
<< Ahhhh..>> gridò la zia.
Tornarono alla cinquecento e alla prima cabina telefonica chiamarono i carabinieri .
Erano la mamma cornuta e la sorella incestuosa che avevano causato tutto quel
trambusto. Non spaventati da qualche ciolla all’aria aperta. E neanche da tutto quello
sticchio. Non spaventati dal vedere due parrini con la ciolla di fuori. Che poi quella di
padre Ciollardente la conoscevano bene entrambe. Non spaventati dall’aver visto
ragazzi e ragazze che conoscevano bene come ragazzi e ragazze modello, come
appartenenti a ottima famiglia, e che adesso erano tutti con le virivogne di fuori.
Quello che le aveva mandato in bestia era stato vedere Ninetta e Nicola con in mano
il cannolo di Nicola.
Sulla bella esperienza Pompeo elaborò un bel sonetto dedicato a quel paraculo di
padre Bartolomeo.
Giuro ch'a me oprono tute le porte;
io, 'n'nome de san Pavolo e de san Pietro,
entro sia de davanti che de dietro,
a faccia de mariti minchiemorte.
Co le femmine io so già la mia sorte ;
devo cavalcarle com'un puledro
col mio gran cazzo che misura un metro.
Deosgrazie, er mio re entra sempre a la corte.
Sono fra Bartolomeo entra-e-esce,
benedico cor mio ber manganello,
pe' penitenza fo' assaggià er mio pesce.
A le donne in peccato je do più che oro,
perché ste 'ddu ova e sto gran pazzariello
ch'ha un solo occhio, so tutt'er mio tesoro.
Non credere al messia ascetico che t’invita a soffrire oggi per
essere felice tra mille anni.
Slogan anarchico, ca 1890
Non si straccando gli heretici e gl'inimici, non so s'io devo dir più
presto de questa Santa Sede o dell'anime proprie, di seminar
continuamente le zizanie de i loro errori nel campo della
cristianità con tanti libri perniziosi che alla giornata mandano
fuori di novo, è necessario che non sidormi, ma ci affatichiamo di
estirpargli almeno in quei lochi dove potiamo.
R. Bellarmino
DIECI : ER PAPABILE
Non si può dire tanto male della corte Romana che
non meriti che se ne dica di più.
F. Guicciardini
La libertà di un paese si misura sui centimetri di pelle
che si possono mettere in mostra.
Il martedì a Monacazzo si parlava solo e soltanto di quello che era successo a
Pantalica. Ognuno parlava di fonti attendibili. E ognuno faceva il suo personale
elenco dei mascoli e delle femmine sorprese cu li discursa di dio all’aria, in
esposizione. E a volte in attività. Si disse che c’erano tutti. O quasi tutti. Ognuno
teneva il suo personale elenco attinto a fonti certe, anzi certissime.
<< L’ingegnere cazzicatummuliava lu so cannolo ora a una ,ora all’altra..>>
<< I carusi di Monacazzo cazzicatummuliavano alla sanfasò..>>
<< Facevano cazzicatummuli d’aceddu magari due carabinieri..>>
<< E poi chiddi hippy cazzicatummuliavano l’aceddu uni capitava capitava..>>
<< C’erano pure gli Incardasciò.. e chiddu porco di Micio Tempio. E altri.. tanti
altri..tutti a fare cazzicatummuli più o meno sessuali..>>
<< Ma soprattutto c’erano, forse per sbaglio, Santinedda e Santuzzu... e pare che
Santuzzu per la prima volta cazzicatummuliò la sua minchia impacchettata nel
pacchio murato di Santinedda rapennici la vanedda...Ma fu pi sbagghiu ca successi...
eranu nu tanticchia brilli...>>
<< Ma lu fattu fu ca c’erano pure due parrini ca si la cazzicatummuliavano in
acqua...>>
A questo elenco di nomi veri ognuno aggiungeva i suoi personaggi preferiti.
Quella mattina riaprirono le scuole e i ragazzi alle otto in punto entrarono in massa
con zaini stracolmi e borse e sporte varie. Alle otto e cinque l’intero palazzo fu
occupato. Al personale docente e non docente fu impedito l’accesso alla scuola. E
neanche le tre sorelle Stoccacitrolo, le presidi, poterono entrare nell’edificio
scolastico. Il cortile divenne il punto d’incontro di liceali , ragionieri e geometri.
Ben, Pompeo e Iatata erano tre dei leader dell’occupazione. Si erano insediati nella
presidenza del geometra. Gli ordini generali erano di non fare casini. Niente danni.
Niente scritte sui muri. Né pulite né oscene. Solo la sporcizia legata all’occupazione
era ammessa. Da casa i ragazzi s’erano portati acqua, bevande varie, biscotti, latte,
fornellini elettrici, fette biscottate, pane di casa e accattato, salumi, formaggi e tante
altre cose. Soprattutto scatolame vario. Speravano comunque nell’arrivo di provviste
dall’esterno, in qualche forma di comunicazione col mondo esterno.
Le sorelle Stoccacitrolo, non potendo trasiri, passarono subito dai carabinieri e
comunicarono la cosa.
<< Che dobbiamo fare?>> chiese il maresciallo Mezzocazzone che teneva un fratello
a ragioneria.
<< Non sappiamo?>> dissero le tre presidi.
<< Se volete, chiamiamo i rinforzi e sgomberiamo la scuola. Ma dovete fare la
richiesta voi. E in un amen li catafuttemu fora.>>
<< No. Niente violenza, meriterebbero una lezione, questo sì. Ma non adesso, lo
sgombero forzato no. Qualcuno si potrebbe far male.>> dissero le sorelle
Stoccacitrolo.
<< E allora? >> chiese il maresciallo.
<< Aspettiamo e vediamo che succede.>>
<< E aspettiamo. Il buon giorno si vede dal mattino. .>> disse il C.C.
La prima notte di occupazione tra i tre piani ci fu traffico. Traffico di parole, gesti ed
atti. Anche e soprattutto atti sessuali. Per terra era già un porcile . Ma piuttosto che
scopare il pavimento con lo scopone dei bidelli, i ragazzi preferivano scoparsi tra di
loro. Quella prima notte Pompeo, Ben e Iatata si ficcarono , in mutande e maglietta,
dentro lo stesso sacco a pelo. Lei nel mezzo e loro di lato. E parlarono, discussero,
filosofarono, sognarono ad occhi aperti. Parlarono molto di sesso . Parlarono della
giornata di pasquetta. E dei figli della Kanapa. Dello loro liberalità su tutto .
Soprattutto sul sesso. I ragazzi tenevano le braccia incrociate dietro la testa e
guardavano il soffitto. Iatata taliava pure lei il soffitto, ma teneva le mani sul petto dei
ragazzi e li accarezzava.
<< Mi piace fare la punta ai vostri capezzoli.>> disse la ragazza. << Ma se non
volete, smetto.>>
<< Fai pure ..>> risposero lo zito e l’amico.
Era bello sentire quella mano giocare con le punte tise dei loro capiccia. Poi Iatata
scese al biddico. E col ditino mignolo ci lu stimolava.
<< Mi cartigghi. >>disse Ben.
<< Mi fai il solletico .>> disse Pompeo.
Ma la ragazza continuò. Poi di colpo iniziò a scendere verso il sesso. Piano piano la
sue mani s’impadronirono delle cicie dello zito e dell’amico. Iatata toccò la coppola,
giocò con il filetto, accarezzò i coglioni . E intanto gli aggeggetti diventarono
aggeggioni. Ben e Pompeo non dicevano niente. Le braccia sempre dietro la testa e lo
sguardo rivolto al soffitto. Iatata parlava a ruota libera. E intanto prese a remare con
quei remi di carne. Un colpo su e uno giù. Parlava e remava. Un colpo a destra e uno
a sinistra. E loro, i maschietti, mugolavano. E in un tempo relativamente breve,
approdarono alle rive dell’isola del piacere, pisciando le manine delicate della
minatrice. Iatata parlava ancora. E intanto risaliva con le mani incilippiate verso le
facce dei ragazzi. A cui fece alliccare la loro stessa simenta.
<< Come sapi? E’ buona o no la crema dei vostri coglioni?>>
<< Buona.. bella saporita è la crema dei nostri coglioni.>> risposero i ragazzi.
Ben e Pompeo si taliarono. E intanto che lei parlava si misero di fianco. E fecero la
stessa cosa che aveva fatto lei, conquistarono una minna testa.
Poi passarono alla pancia e infine, dopo essersi taliati, Pompeo voleva il permesso da
Ben, gli calarono le mutandine e iniziarono ad esplorare la fica di idda. Due labbra
allo zito, due all’amico. E il grilletto a turno. La fecero pisciare dal piacere e i
mugolii di lei furono musica per le orecchie dei mascoli e nutrimento per la loro
minchia. Iatata saltò addosso allo zito di botto e s’impalò. Ben, lì accanto , taliava il
soffitto e si la minava. Ben e Iatata si taliano negli occhi, tra un sali e scendi e
n’autro, e si scambianu mille opinioni. Poi dissero insieme:
<< Pompeo, vai dietro.>>
Pompeo capì al volo e ci la mise nel culo a Iatata. Solo dopo si addormentarono. Tutti
di fianco. Come un panino imbottito. Iatata nel mezzo sentiva la minchietta molle di
Pompeo tra le natiche. Ben davanti ci appoggiava la sua cicia tra le cosce.
Il martedì sera Ninetta e Tonina fecero le valigie e si trasferirono a casa
dell’ingegnere Nicola Cannolo.
Il martedì sera l’avvocato Cicidda era chiù incazzato del solito. Suo figlio stava
occupando un edificio pubblico. In none del comunismo e roba simile. Maledisse la
sua simenta e maledisse l’Italia intera. Queste porcherie succedevano perché non
c’era più gente con i coglioni quadrati. Gente come la buonanima del duce. Se lui
fosse stato il preside, a calci nel culo li avrebbe sbattuto fuori. A calci nel culo li
avrebbe fatti arrivare in un amen in mezzo alla strada. Ma le sorelle Stoccacitrolo, a
parte che non avevano gli attributi per motivi biologici, e a parte che non li avevano
neanche in senso virtuale, erano solo e soltanto delle stoccacitrolo di nome e di fatto.
Ai ragazzi potevano stoccare il citrolo ma non la volontà o la schiena. Non
appartenevano a quella razza di uomini che sapevano spezzare le reni anche alle
nazioni. E il maresciallo, quel tale Mezzocazzone di nome e di fatto, poteva,
volendo, decidere lui l’intervento della forza pubblica.
Pure il sindaco poteva decidere in tal senso, ma quello era comunista e stava
sicuramente dalla parte degli occupanti. Magari era capace di portare loro una bella
bandiera rossa, la benedizione di qualche esponente del partito e il necessario per
organizzare qualche sagra all’interno dell’edificio scolastico. Magari faceva una
delibera per offrire a quel gruppo di sdisanorati qualche passatempo serale: musica ,
teatro o altro. Per non farli annoiare. Magari la dentro si scassavano i coglioni.
Il martedì notte le tre sorelle Stoccacitrolo si fecero passare il firticchio sfogandosi
con la minchia del dottor Minchiatrina.
Quella notte Pompeo sognò di essere papa. Il papa del movimento studentesco. Papa
urbi et orbi. Papa rosso però. Ma poi sognò anche di dimettersi poco dopo perché il
papa non poteva farei tanti papetti per guidare e salvare l’umanità. Su quel sogno
scrisse in seguito un bel sonetto titolato “ ER PAPABILE ”
Varda che bella e grossa cojonata,
volevo fa er prete, volevo fare,
ma visto ch'er cazzo nun ponn 'usare,
dissi de no pe' sta legge disgraziata.
Ma i preti lo sonano e che sonata.
E allora li si dovrebbe castrare,
zac, un colpo netto p'anna' a cantare
con le voci bianche " Maria sia lodata".
A sto sarsicciotto ce so' 'ttaccato,
chi l'assaggia dice ch'è de qualità,
che sa mejo assai de nu ber gelato.
Vantamme no, ma s'ero Sua Santità,
me scejevo na papessa che Dio 'o sa,
pe'fa tanti papetti all'umanità.
Tutta la storia finora fu scritta dal punto di vista del successo.
F. Nietzsche
UNDICI : ER PRESIDENTE
Potere, la preda che san cogliere
due forze sole: numero e denaro.
Sofocle
Chi di minchia ferisce di minchia perisce…
Dopo la prima notte di occupazione Pompeo e Ben si svegliarono con la minchia tisa.
La minchia di entrambi era alloggiata tra le cosce della ragazza. E l’aceddi si
toccavano. I due pigliarono a muoversi e le minchie ha strofinarsi l’una contro
l’altra. E contro le cosce di Iatata. Accussì, tra le cosce della picciotta, i due mascoli
fecero l’amore tra di loro . Iatata si svegliò quando senti il liquido caldo tra le sue
cosce. E capì subito quello che era successo. La simenta di Ben e Pompeo si era
mescolata davanti alla sua porta dl piacere. Ma lei non era stata scomodata. Era un
omaggio quello. O no. C’è chi da fiori e chi da simenta. O no.
Quella mattina i vertici del movimento studentesco locale decisero di invitare, di
giorno in giorno , degli esperti. Per parlare di argomenti di particolare importanza. Fu
fatta una lista e tra i tanti nomi spiccavano la dottoressa ginecologa Eusebia Ferretti,
il critico tuttologo Calogero Bellarmino - Gugliotta, il sindaco barone e comunista
Tonino Incardasciò, il pittore Nikj Sciò, lo scrittore Micio Tempio e altri ancora.
Questi signori sarebbero stati tutti invitati, ma avrebbero accettato?
<< Sì. >> dissero i ragazzi.
Il telegiornale dell’una di quel giorno parlò delle dimostrazioni studentesche che
crescevano in tutta Italia. E anche nel resto dell’Europa. In particolare, in Francia la
situazione stava diventando veramente esplosiva. C’era aria di rivoluzione tout court.
Quel pomeriggio Iatata dovette tornare a casa . La nonna virtuale Concettina
Inconsolata Cazzamari era morta improvvisamente.
<< Tra tre giorni, appena finisce il lutto , torno.>> disse Iatata andando via.
Ben voleva accompagnarla. Pompeo pure. Ma lei li convinse a restare sul posto, a
continuare la lotta.
<< Magari l’Italia si accende come la Francia. E diventa più democratica, più
libertaria, più laica, più femminista e meno maschilista. >> disse Iatata.
<< E soprattutto meno democristiana.>> aggiunse Ben.
<< E magari più laica, meno papalina dipendente o papalina ubbidiente o papalina
osservante.>> aggiunse Pompeo che come romano sapeva bene cos’era o cos’era
stato il potere papale.
<< Ciao.. e buona rivoluzione.. in tutti i campi..>> saluto Iatata dando un bacione a
Ben e un bacetto a Pompeo.
<< La faremo.. alla grande..>> risposero i due maschietti.
Quella sera Pompeo e Ben si ficcarono insieme nello stesso sacco a pelo. In mutande
e maglietta. Sentivano freddo. Ma il loro era un freddo interno, un freddo mentale,
un freddo dovuto alla mancanza di un affetto, di una voce , di un corpo, di due mani
che sapevano fare le carezze. Era un freddo dovuto al dolore di Iatata che a quell’ora
stava piangendo per la sua cara nonnina acquisita. Scoppiarono a piangere . Si
abbracciarono. Ma intanto tremavano. Sentivano la mancanza di Iatata. Ben voleva
scappare e raggiungere la zita, per starle accanto. Pompeo le avrebbe fatto volentieri
compagnia. Si abbracciarono ancora di più. E senza dire parola l’uno prese in mano
l’uccello dell’altro. E senza parole si parlarono a sguardi. E si dissero fin troppe cose.
Pompeo si abbassò le mutande e si mise a pancia in giù. E aspettò che Ben si
sfogasse. Che Ben sfogasse il suo desiderio, la sua rabbia, il suo dolore nel suo culo.
Fu un atto d’amore reciproco quell’inculata. Nella simenta di Ben che finì dentro il
corpo di Pompeo c’era tutta la sua rabbia. Dopo si parlarono ancora, in silenzio.
Sguardi, gesti, carezze. E si dissero ancora tante cose. Pompeo era disteso sul lato
sinistro del corpo e teneva in mano la ciolla soddisfatta dell’amico. Ben stava a
pancia all’aria e teneva le mani incrociate dietro la nuca. La minchia tisa di Pompeo
si appoggiava sul suo fianco e lo solleticava, sembrava chiedergli aiuto. Fu allora che
Ben si girò piano piano e diede le spalle all’amico. La minchia di Pompeo seguì
quella rotazione e alla fine si trovò puntata contro il culo di Ben . Il ragazzo siciliano
si sistemò meglio. Il suo corpo aderì a quello del romano. La minchia di Pompeo si
collocò tra le chiappe di Ben. Solo allora il romano iniziò a muoversi. A poco a poco
la punta trasiu. Poi trasì il resto. Se la sera prima Pompeo aveva visitato il culo di
Iatata, questa sera visitò quello di Ben. E la cosa durò a lungo. Ogni tamto i due
acceleravano i movimenti. Quando il romano capiva che stava per venire , rallentava.
E rallentava il ritmo pure Ben. Poi ripigliavano. Avrebbero voluto far durare
quell’esperienza tutta la notte.
<< Sicuramente >> pensò Ben nella sua testa <<questo è un evento unico e
irripetibile.>>
<< Sicuramente non succederà più.>> pensò pure Pompeo.
E cercavano pertanto di farlo durare il più a lungo possibile. E durò abbastanza. Alla
fine Pompeo svuotò i suoi coglioni nel culo dell’amico. Poi si addormentarono di
colpo. Pompeo con la minchia soddisfatta che giaceva tra le chiappe dell’amico.
L’indomani Ben si svegliò con la ciolla dell’amico in mano. E si accorse che Pompeo
teneva la sua. Rise. Il dolore e la rabbia della sera prima erano scomparsi. Contento e
felice era pure Pompeo.
Nel pomeriggio si svolse il funerale della signora Concettina Inconsolata Cazzamari,
la nonna di Iatata. E quella sera Cepito trovò tra le carte della cara estinta una lettera
indirizzata a lui. Chiusa e sigillata. Sulla busta stava scritto “Per Sconcepito
Portusodoro. Da aprire dopo la mia morte. Firmato Concettina Inconsolata
Cazzamari.” L’ansia lo prese. E aprì di corsa e lesse.
<< Caro, carissimo Sconcepito, quando avrai questa tra le mani io sarò dentro il mio
cappottino nuovo di legno, sarò dentro un bel tabuteddu che tu avrai scelto. Mi hai
chiamato mamma pensando a quella mamma che non hai mai conosciuto. Mi hai
dato dei nipoti che mi chiamavano nonna pur sapendo la verità. E io ti ho chiamato
figlio sapendo la verità. La vera verità , caro Sconcepito, è che tu sei.. sei veramente
mio figlio. >>
Cepito scoppiò a piangere. Poi continuò.
<< Tu mi chiamavi mamma inconsapevolmente, ma io ti chiamavo figlio sapendo che
lo eri veramente. Non ti ho detto mai niente per non causarti un trauma. Ma adesso
che io non ci sono più, devi sapere. Devi sapere la vera verità. Io, Concettina
Inconsolata Cazzamari, sono tua madre.. ma non mi odiare.. e se c’è una madre, ci
deve essere pure un padre..>>
Cepito pianse più forte. Qual era la verità che doveva ancora apprendere? Chi era suo
padre? Era del posto? Era ancora vivo o era morto? Continuò a leggere.
<< Io ero giovane negli anni trenta, molto giovane. E mio padre , Giovanni
Kazmayer, era un tirolese che la vita aveva portato a vivere a Monacazzo. Era anche
ebreo e comunista. Mi ricordo che era circonciso. Poi si sposò. Sua moglie era
siciliana, di Canicattini. Ma a Monacazzo l’aria non era certamente bella. Né per gli
ebrei né per i comunisti. Il podestà era quel figlio di buttana di Calogero Incardasciò
che poi mani sante scannarono come un porco. Ma il suo uomo di fiducia era più
figlio di buttana e più porco di lui. Erano due porci criminali. E quando papà fu
arrestato quell’uomo di fiducia venne a casa e disse che poteva aiutarci. Che papà
poteva essere rimesso in libertà. Bastava cancellarlo con un semplice tratto di penna
dalla lista dei comunisti. E per quanto riguarda la circoncisione si poteva dire che era
stata fatta per problemi di fimosi. Ma in cambio voleva la mamma e me a letto, per
almeno dieci volte. La mamma scoppiò a piangere. Lui andò via dicendo “ O
prendere o lasciare.” Mamma lasciò. Ma io presi. Andai da sola nel suo ufficio e mi
offrii. “ Per venti volte. Le dieci tue e le dieci di tua madre “. disse lui. E sulla
scrivania di quell’ufficio schifoso lui si ammuccò la mia purezza. Mi prese per la
prima di quelle venti volte concordate. Lo ripeto: andai di mia spontanea volontà.
Ma restai incinta. Lo dissi a lui. Ma lui mi rise in faccia. Mi disse che potevo abortire.
O trovarmi un marito campagnolo a cui scaricare quel figlio che portavo in grembo.
Oppure farlo nascere e metterlo nella ruota. Scelsi questa soluzione. Anche se non
potevo tenere quel figlio, non potevo non farlo nascere. Era carne della mia carne .
Oltre che carne di un porco figlio di buttana. Quel figlio era mio. Visto che veniva
ripudiato dal padre. Pertanto era tutto e soltanto figlio mio. Lo feci nascere e lo
abbandonai. A proposito. Mio padre finì al confino e non seppi più niente di lui, mia
madre si ammazzò. Io andai a Roma e fini per fare la buttana. Simona era il mio
nome di battaglia. Volevo stare a Roma perché volevo ammazzare il signor Benito
Mussolini. Feci carriera e diventai maîtresse di un casino di regime. Quelli dove di
spiavano i dirigenti. Ma io volevo ammazzare il capo. E quasi quasi ci riuscì. Una
volta che venne in visita per farsi una famosa ragazza. Gli diedi una mazziata intanto
che lui mazziava la ragazza con la sua mazza di carne. Io scappai in un convento. Ma
lui si salvò . Della cosa non parlarono i giornali. Tornai a Monacazzo nel dopoguerra,
ma il mio nome nel frattempo non era più Kazmayer. Era stato italianizzato in
Cazzamari. Qui a Monacazzo , con i soldi fatti al casino, mi accattai la bottega che
adesso hai tu. E attesi la tua uscita dal collegio. E mi diedi da fare per farti venire a
lavorare da me. Il resto è storia nota. Ma non ti ho ancora detto la cosa che forse
vorresti sapere. Chi era l’uomo di fiducia di Calogero Incardasciò. Quello che tradì
mio padre, che mise incinta la sottoscritta e che portò al suicidio mia madre. Ma che
è anche e pur sempre tuo padre. Se lo vuoi sapere, il suo nome e la sua fotografia
stanno in una busta sigillata misa dentro il quadro della beddamatri del rosario. Se lo
vuoi sapere, altrimenti niente, amatissimo figlio mio.
La tua mamma Concettina Inconsolata Cazzamari.
P. S. Tutto quello che possiedo in mobili e immobili è tuo, di Tuzza e dei tuoi figli.
Grazie per avermi chiamato mamma, grazia anche a tua moglie che mi chiamava pure
lei mamma . E grazie ai tuoi figli che mi chiamavano nonna. Grazie. >>
Cepito era basito. Era una statua di marmoro ma dentro tinia la voglia di conoscenza
di uno scienziato, ma a lui interessava scoprire solo una cosa. Il nome dell’uomo di
fiducia di Calogero Incardasciò. Con gli occhi pieni di lacrime e le mani tremanti
prese il quadro della beddamatri del rosario e circau di rapillu. Di togliere la
copertura posteriore per pigliare la busta. Ma non riusciva ad aprirlo. Non si
capacitava se era colpa della sua imperizia, della sua emozione o del fatto che il
quadro fosse vecchio. Iniziò a perdere la pazienza e alla fine si mise a gridare.
<< Rapiti beddamatri. Rapiti.. rapiti e dammi la littra. Consegnami la posta mia.
Dammi la lettera col nome segreto.. dammilla..>>
Ma la copertura posteriore del quadro non si staccava. Intanto le grida erano state
sentite dalla moglie Tuzza e dai tre figli. Che corsero verso la stanza da letto della
cara estinta. E trovarono Cepito che gridava come un ossesso, rivolto al quadro della
beddamatri del rosario che teneva in mano.
<< Beddamatri dammi la posta .. dami la littra .. dammi il none.. dammi la verità..>>
<< Minchia.. >> dissero la moglie e i figli << papà impazziu. Perse il senno, pazzo
addivintau..>>
Ma Cepito continuava. E visto che il quadro non si apriva lo sbattiu contro lo la
tistera del letto. Il vetro si ruppe, la beddamatri pure, ma la littra vinni fora.
<< Nunn’era pazzu.. >> disse Palmiro. << La beddamatri la posta tinia..>>
<< Nunn’era pazzo.. >> dissero la moglie e le figlie.
Cepito non s’era manco accorto della loro presenza. Aprì la lettera e lesse il nome:
<< Minchiaaaa no . >> gridau e svinni.
La moglie e i figli si precipitarono sulla lettera. Era una foto. E dietro c’era scritto
Concetto Cicidda. Poi la moglie e Palmiro si presero cura di Cepito. Iatata e sua
sorella invece acchiappanu la lettera e si misero a leggere.
<< Minchiaaaa >> dissero. << Nonna Concettina era.. era veramente la nonna. E quel
nome che stava dintra la beddamatri è.. è.. quello del nonno.>>
<< Minchiaaaa..>> disse Palmiro.
<< Minchiaaaa..>> disse Tuzza e svenne pure lei.
I figli li sistemarono nel letto della cara estinta e aspettarono il ritorno dei sensi sia
nella mamma che nel papà. Iatata raccontò la storia della foto del nonno di Ben da
giovane. Il podestà che somigliava tanto ma proprio tanto a papà Cepito. A lei e a
Ben era venuto il sospetto che la cosa potesse essere andata come era realmente
andata. In fatto di paternità. Mai fatti pensieri su nonna Concettina. Ma comunque
non c’erano strade per verificarlo. La somiglianza c’era , ma da sola non bastava a
giustificare la paternità di Concetto Cicidda nei confronti di Cepito Portusodoro,
figlio di NN.
Quella notte Iatata pensò a mille cose. Lei e Ben erano mezzi cugini. Solo mezzi,
perché avevano solo il nonno in comune . La nonna era diversa. Non vedeva l’ora di
rientrare a scuola per comunicargli la cosa. Ma si chiese anche come avrebbe reagito
Ben. Era un ragazzo moderno e per niente geloso. Non aveva detto niente per la
minata fatta da lei a Pompeo.
<< Date una mano a chi ne ha bisogno.>> aveva detto . E in quel momento Pompeo
ne aveva veramente bisogno. E vero che poteva fare da solo, ma una amica è sempre
la benvenuta.
Poi c’era stata la giornata libertaria di Pantalica. Tutti nudi. Quindi l’occupazione e
quella notte passata insieme nello stesso sacco a pelo. La sua voglia di minarcela ad
entrambi i ragazzi e la loro disponibilità a quel gioco sessuale a tre. Lei, lo zito e
l’amico. E c’era stata anche la storia della messa in culo. Lei e Ben avevano, intanto
che scopavano, dato via libera a Pompeo per accedere alla suo bel culetto.
Pertanto Ben non poteva preoccuparsi di un semiincesto. Lei d’altra parte era sicura
che tra i due ci fosse stata qualche cosa a sua insaputa. Una storia omo. Ben era
eterosessuale convinto, ma sicuramente si era lasciato convincere a provare con un
altro mascolo. Ed era anche sicuro che in sua assenza, Ben s’era lasciato consolare
dai gesti, dalle parole, dalle mani e dal corpo di Pompeo. Ma anche il romano aveva
bisogno di conforto. E Ben si era sicuramente prestato. Insomma, i due si erano
consolati a vicenda, mentre lei che aveva bisogno di tanta ma tanta, anzi tantissima
consolazione, non aveva proprio nessuno che la consolasse. Neanche un cazzo a sua
disposizione. Sia in senso reale che metafisico. Non vedeva l’ora pertanto di rientrare
a scuola per farsi consolare dal suo ragazzo e dal suo amico . Era una bella cosa
quella liasonni a trua. Come dicono i francesi.
Quella notte Pompeo e Ben non pensarono a niente. Non fecero niente. Dormirono e
basta.
Al circolo si parlava solo della storia delle sorelle Ninetta e Tonina che s’erano
piazzate felicemente nel letto dell’ingegnere Nicola Cannolo. E si parlava del cannolo
dell’ingegnere Cannolo che aveva due purtusa a disposizione. Ma si parlava pure
dell’occupazione delle scuole e di questo pugno di sdisanorati nullafacenti
mangiapane a tradimento che volevano fare pure la rivoluzione. Cioè gli studenti.
<< Gli studenti di oggi sono solo un pugno di aricchiuna e di tappinari, drogati ,
ubriachi e scansafatiche e senzadiu..>> era l’opinione corrente.
Il giorno dopo il comitato studentesco fu infornato che padre Ciollardente e padre
Cacaceddi, d’accordo con suor Carmelina e padre Fringuelli, volevano indire una
giornata di espiazione e preghiera totale e continua, una ventiquattrore come la
famosa corsa automobilistica, per i peccati di Pantalica e adesso anche per quelli che
si stavano commettendo nelle scuole occupate di Monacazzo. Le sorelle Stoccacitrolo
erano d’accordo. Anzi, avevano pregato i due parrini di effettuare, a occupazione
finita, la benedizione dell’istituto , per purificarlo da tutti le porcherie commesse in
quel periodo nefasto.
Padre Ciollardente quella mattina, vestito da prete in pompa magnissima e con tanto
di cugino sacrestano che teneva in mano l’incensiere, bussò alla porta del triplice
istituto, con l’intenzione di esorcizzare il diavolo rosso che si annidava là dentro.
Appena Ben e Pompeo aprirono la porta il vecchio marpione iniziò col dire parole
belle e dolci.
<< Accomodatevi… >> dissero i ragazzi.
Il prete si rivolse all’assemblea e parlo come ispirato . Solo parole belle e dolci. Paria
fatto di zucchero quel giorno padre Ciollardente. Poi si fece più amaro e cercò di
convincere i ragazzi a porre fine all’occupazione. Ma tutti dissero no.
<< Vi posso almeno benedire?>> chiese il prete diventato di nuovo di zucchero.
<< Sì. >> risposero i ragazzi.
Padre Ciollardente li benedì in silenzio. E il sacrestano intanto incensava l’aria. Poi
l’incensò finì.
<< Ci pensiamo noi. >> dissero Ben e Pompeo.
E ci misero dell’incenso ma anche tanta marijuana. Il sacrestano riprese ad incensare.
Ma il fumo gli andava nel naso e iniziò a fare effetto. L’uomo si mise a incensare
ballando. Anche il prete respirò quel fumo. E all’improvviso disse:
<< Satana ..satanazzo.. fuori da questo palazzo.. >> E intanto barcollava.
Ben e Pompeo risautano.
<< Carusi, rinunciate al satana rosso che è in voi?>> chiese il parrino mentre il
sacrestano , famoso come “ autominatore”, ovvero “ colui che si la mina da sé ”,
diffondeva incenso e marijuana a destra e a manca. Ben e Pompeo ci pinsanu un
secunnu. Poi si taliano e pigliano la draconiana decisione. “Mister Ciollardente fuori
dalla ciolla e dai ciollini”.
<< Fuori dai coglioni..>> gridarono in contemporanea.
Ma quello continuava a gridare e a dimenarsi. E il sacrestano a incensare. Ben e
Pompeo chiamarono i rinforzi . E tutti insieme si caricano il parrino e il sacrestano e
li deposero sugli scalini. Il sacrestano continuava ad incensare e il parrino a lanciare
anatemi.
Quel pomeriggio una infuocata assemblea studentesca decise di imitare il modello
francese. Fuori dalle scuole ogni simbolo di propaganda religiosa. E in Sicilia, nel
paesino stracattolico , conservatore e moralista di Monacazzo, di simboli religiosi in
circolazione ci ni stava solo uno.
Imposto dal regime fascista e definito “ arredamento “ di ogni aula scolastica, il
crocefisso imperversava. Pertanto si provvide a togliere tutti i crocefissi e a
impacchettarli ben bene. Fu presa anche la provocatoria risoluzione di spedirli al
mittente. Ma nessuno conosceva l’indirizzo. Mentre nell’antichità , il dio Giove
aveva una casa sull’Olimpo, quest’altro non aveva una residenza nota. Allora si
decise di spedire tutto al suo rappresentate sulla terra. Il papa.
Quella sera il telegiornale diede la notizia che durante la notte precedente un noto
esponente politico era stato arrestato. Era presidente di un ente finito nel mirino dei
controlli . E adesso era in galera. Ma già il suo avvocato aveva presentato la richiesta
di arresti domiciliari per il suo assistito perché le sue condizioni di salute erano
inconcepibili con il carcere. La richiesta era stata accettata. E da un momento all’altro
si aspettava la sua uscita dal carcere. Quindi in galera sì, ma solo per un giorno, notte
esclusa. Al massimo le condizioni di vita dell’onorevole erano compatibili solo con
gli alberghi a cinque stelle, le buttane di lusso due alla volta, i ristoranti prestigiosi e
l’auto blu con tanto di autista. Naturalmente tutto in conto al partito, allo stato o
all’ente dui cui era presidente. Pompeo si straincazzò e quella sera stessa compose un
bel sonetto titolato “ ER PRESIDENTE.
Che dicevo? O faranno presidente.
A faccia do' cazzo. Visto 'o buffone,
mo' s'aggiusterà la sua posizione.
Se voi giuro su Dio onnipotente.
Fu fascista stronzo e pur'impotente,
sminchiato ,fottuto e grande cojone,
pronto a leccare er culo ar sor Puzzone,
cattolico e poc'assai intelligente.
Per mezzo secolo è stato inculato
E mo' er popolo vorrebbe inculare:
ma dije ch'è solo un grande disgraziato.
Anche se vole, nun sa comannare:
spompato com'è, nun sa esse incazzato,
che vada a morì o a fasse ammazzare.
Possa io andare all’inferno, ma un tal Dio non otterrà mai il mio
rispetto.
J. Milton
Ogni stregoneria discende dalla libidine della carne, che nelle
donne è insaziabile.
San Giovanni Crisostomo
La storia ricorda una sola rivoluzione veramente radicale: il
diluvio universale.
H. Ibsen
DODICI : SORA MIGNOTTA
Dio mio, tutte le donne pubbliche con cui ho peccato, beatele!
N. Tommaseo
I moralisti vedono il mondo ma non lo capiscono.
Di mattina presto Cepito partì per il cimitero. Con tutta la sua famiglia. Veniva
seppellita mamma Concettina. Dopo la cerimonia Cepito, con gli occhi rossi per la
rabbia e il dolore, disse che aveva da fare. E andò a fare una visita alla cappella di
quel porco di “suo padre “ Concetto Cicidda, l’uomo che l’aveva seminato per forza
e per libera scelta l’aveva abbandonato. Anzi, non l’aveva manco voluto conoscere.
Arrivò nella cappella Cicidda . L’uomo era sepolto tra la prima e la seconda moglie.
Tra lo sticchio vecchio e lo sticchio giovane. Oramai fracito sia l’uno che l’altro.
Come pure il suo aceddu fascista e schifoso . Si avvicinò alla lapide. C’era solo
scritto Concetto Cicidda. E la foto. Lui lo taliò in faccia e poi lo sputò. Na sputazzata
data con piacere e dolore. Poi iniziò la crisi di sputtanamento generale.
<< Porco.. porco.. porco… delinquente.. sventrapassere.. scassafiche.. rompisticchi..
violentatore di femmine oneste.. seminatore di figli non riconosciuti.. porco..
delinquente.. assassino.. bastardo… bastardazzu.. bastarduni.. anche se sei mio padre,
ti odio.. porco.. >>
E ci risputò. Ma proprio in quel momento traisu Cicciu Cicidda. Aveva sentito solo
le ultime parole. “ Anche se sei mio padre, ti odio.. porco..”
<< Porco a mio padre.. e lo chiami pure padre.. oh.. figghiu di simenta ignota , ma
che minchia dici? Scisti fora di testa?>>
<< Dico la verità. >> rispose Cepito.
<< Senti..>> riprese Ciccio. Ma Cepito lo bloccò
<< Leggi.>> disse Cepito incazzatissimo a Cicciu. E gli diede una fotocopia della
lettera di Concettina Inconsolata Cazzamari.
Il signor Cicidda lesse la lettera tutta in una tirata e, già prima della fine, incominciò a
capire unni quello scritto andava a parare. Non attese il biglietto finale . A quel nome
ci arrivò da solo.
<< Minchia.. frati semu.. >> disse il professionista.
<< Facciamo fratasci. Fummu siminati dallu stissu marrugghiu ma in due tirrina
diversi..>> precisò Cepito.
<< Abbracciami, fratasciu miu.. >> disse il politico Cicidda che pensava già a quanti
voti nuovi ci portava la nuova parentela.
Pinsava pure a suo figlio Ben, che saputa la cosa, avrebbe per dovere morale lassato
la mezza cugina per evitare il mezzo incesto. Anche se già Ben si l’avia futtuta e
controfuttuta il peccato era stato commesso inconsapevolmente. Adesso, con quella
parentela, Ben non poteva non lasciare la mezza cugina. E magari pensare a una delle
sorelle Bucochiuso.
Cepito si rifugiò in quelle braccia mezzo germane. Anche se il parente ritrovato era
un pochino ingombrante in tutti sensi, gli faceva comunque piacere avere dei parenti
e degli antenati. Era contento di aver scoperto le sue origini, anche se comprendevano
persone antipatiche. Era contento di sapere da dove veniva la sua simenta. Aveva un
passato, poco piacevole , ma l’aveva.
All’uscita dalla cappella Ciccio e Cepito passanu davanti alla tomba del cavaliere
Turi Chiappazza. La signora Carmela Filazzaddumata, la vedova del cavaliere, stava
potando le piante di Rosa cornutella che circondavano la tomba. Tutti a Monacazzo
conoscevano la signora Carmela come “ la vedova allegrissima “ . Bastava chiedere
la cosa per averla . E tanti chiedevano. E lei dava volentieri. Si calcola che a
Monacazzo era quella che , a parte le buttane dell’Arcazzo, avesse maniato, e non
solo maniato , il più grande numero di minchie di persone diverse. Cicciu disse a
Cepito:
<< Ma chista invece di potare la Rosa cornutella , pirchì non ci pota le corna
minchiute al marito?>>
Cepito scoppiò a ridere. La signora Carmela si girò e li rimproverò.
<< Per favore, un po’ di rispetto per i cari defunti ..>>
<< Ma lei, cara signora , abbia rispetto lei per le propaggini del caro estinto..>>
<< Chi su sti propaggini.. n’autro nome delle rose?>> chiese la vedova allegrissima
che era allegra sì ma babba anche.
Quella mattina Pompeo e Ben uscirono col pacco pieno di crocefissi e lo spedirono al
papa. L’impiegato postale Filomeno Bollettino non voleva manco fare la spedizione.
<< Ma chi siete voi che spedite un pacco a Sua Santità.>> chiese il signor bollettino.
<< Siamo due ragazzi che abbiamo raccolto delle cose che vogliamo regalare al papa
per beneficenza.>>
<< Ahhhh. Allora spediamo.. spediamo subito..>> rispose l’impiegato che era
membro di una comunità religiosa. E il pacco partì.
Quella sera le sorelle Devozione e Consolata Bucochiuso, che frequentavano il terzo
e quarto anno del liceo scientifico, si recarono a trovare Pompeo e Ben. Loro erano
interessate a farsi zite . Si erano immesse sul mercato da tempo ma nessuno le cacava.
Volevano troppe qualità nel caruso. Troppe nello stesso caruso. Impossibili da trovare
concentrate nella stessa persona. Ma la cosa più brutta è che lo volevano portare
subito a casa. Il loro “ sì “ era condizionato dal “ sì “ dei genitori.
Volevano tastare il terreno in quanto erano interessate a quei due.
<< Permessoooo. Possiamo trasiriiiì? >> dissero le sorelle, che avevano quel modo
tanto particolare di parlare strascicato e che erano chiamate le sorelle ammosciatutto.
<< Avanti.>> dissero Ben Pompeo.
<< Ciaooooo..>> dissero le belle sorelle Bucochiuso.
<< Ahhhh.. siete voi. Accomodatevi..>> dissero i leader.
Le sorelle Bucochiuso non erano andate a Pantalica per volere dei genitori.
<< Quella è la valle del peccato.. .>> dicevano i benpensanti signora e signor
Bucochiuso. Poi le ragazze avevano saputo quello che era successo a Pantalica e si
erano rattristate per essersi persi quello spettacolo di discorsi di dio al vento. Almeno
potevano catalogare visivamente i ragazzi di Monacazzo in minchiette, minchie e
minciazze. E poi tra i tanti minciazza scegliere e selezionare quelli benestanti e con
un futuro da professionista. Ma nella loro testa comunque c’erano Pompeo e Ben. Il
romano era libero, e Ben prima o poi avrebbe lasciato quella culodifuori di Iatata. La
presidenza era pulita a parte un po’ di puzza. Infatti Ben e Pompeo pisciavano
spesso nel grande vaso di banano della preside.
<< Ci sta un brutto odoreeee...>> disse Devozione.
<< E l’acqua biologica che usiamo per annaffiare il banano della capa.>> specificò
Pompeo.
<< Acqua biologicaaaa…?>> chiese Consolata.
<< Sì. Quella che i francesi chiamano “ eau pisciologique “ oppure “ eau d’uasò”.>>
<< Ma ch’è sta acqua biologicaaaa… ?>> chiese Devozione.
<< E una nostra produzione personale. Bio-accadueo. Adesso te faccio vedere, fregna
bella...>> disse il romano.
Non si capiva se la sorelle avessero o meno capito. Sta di fatto che Pompeo disse
piano piano a Ben:
<< Annaffiamo, ‘npari caro e bello. Famo vedere er cazzo a ste cojoncelle
Bucochiuso . E speriamo che prima della fine dell’occupazione diventino bucio
aperto , esperto e sapiente nell’arte d’inciciare. >>
I due si alzarono e dato il culo alle sorelle Bucochiuso e cervello corto si misero a
pisciare sul banano.
<< Ma che fateeee.. ? >> chiese la moscia ammosciatutto di Consolata che non era
buona manco a consolare n’aceddu arrapato.
<< Annaffiamo con l’acqua biologica. >>
<< Bohhhh.. >> disse Devozione a Consolata. << Andiamo a vedere.>>
I ragazzi pisciavano tranquilli.
<< Ora arrivano le stolle e poi scapperanno gridando allo scandalo.>> disse Ben
piano piano all’amico. E infatti arrivarono le due sorelle.
<< Ohhhh.. L’acqua biologicaaaa è la pipì del pipìììì….>> dissero quelle vedendo i
ragazzi pisciare sul banano presidenziale. Ma non gridarono né scapparono.
Restarono a taliare. Non avevano mai visto una minchia dal vivo. A parte quella di
qualche neonato. E quelle di qualche opera d’arte. A loro piaceva da morire quella
michelangiolesca del David. Bella, piccolina e di marmoro. Ma soprattutto firmata.
Una minchia d’arte. Quindi non pericolosa, a differenza di quella di carne che poteva
pazziare e fare danno irreparabile. Ma loro restarono comunque a taliare la minzione.
Lo spettacolo teatrale “ Pisciata di una coppia di minchie di Monacazzo”.
<< Che, vi paralizzaste? E solo una cicia come le altre . Anzi, due cicie..>> disse
Pompeo.
<< Non avete mai visto una minchia che piscia?>> chiese Ben.
<< Noooo… Maiiii… >> dissero serie le sorelle Bucochiuso.
Ben e Pompeo scoppiarono a ridere. Non volevano credere alle loro orecchie. Intanto
le loro minchie cominciarono a gonfiare. I ragazzi abbandonarono lo strumento per
darsi la mano. Avevano giurato che quelle erano stolle. Ne avevano avuto la
conferma. E la piscia finì intanto fuori dal vaso. Per terra, sui pantaloni, sulle scarpe
dei ragazzi.
Le sorelle si misero a ridere anche loro e poi di colpo fecero quello che nessuno, né le
ragazze né i ragazzi, avrebbero mai pensato fosse realizzabile. Si precipitarono sullo
pompa per pisciare e la diressero sul banano. Tenendola con solo due dita. Come
fosse una cosa infetta. O una cosa che muzzica.
<< Per non sporcareeee.. >> dissero emozionate da quella prima toccata d’aceddu.
I ragazzi lasciarono fare. Fino alla fine. Poi Ben e Pompeo restarono a taliare le
caruse con le minchie in mano. Ferme come se aspettassero ordini.
<< E adessoooo.. >> dissero le sorelle.
<< Se volete, potete lasciare. Altrimenti potete accarezzare la pompa e farle ripisciare
un altro tipo di piscia..>>
<< Un altro tipoooo?>>
<< Sì. >> disse Ben.
<< Sì, dall’acqua biologica al latte di cicia..>> aggiunse Pompeo.
<< Al latte di ciciaaaa ?>> chiesero le sorelle.
<< Sì.>>
<< Omogeneizzatoooo o naturaleeee?>>
<< Dipende dallo stato di agitazione.>> dissero i ragazzi
<< E come dobbiamo fareeee..?>>
<< Basta fare su e giù con le mani.. farlo scappellare e incappellare.. farlo scivolare
tra le mani.. e lui farà il suo dovere. Dovere di minchia , care le mie sorelle
Bucochiuso.>> disse Ben.
<< Cinque sbirri e un carzarato..>> precisò Pompeo.
<< Pippinu e i cinqu picciriddi.>>
<< Salsicciotto in pugno. >>
<< U monucu affucatu. >>
<< Lo svuotacoglioni a mano.>>
Le ragazze ci misero tanta buona volontà, ma erano piuttosto maldestre. Per fare certe
cose non basta la voglia, ci vuole l’ispirazione. O meglio, l’istinto. Ben e Pompeo si
fecero nu tanticchia male e quell’esperienza ci passi na minata giurassica, na minata
del tempo in cui le mani dovevano perfezionare la loro capacità di strumenti
multiuso. Tra cui la capacità di maniare con gioia, delicatezza, arte e sapienza il
marrugghiu maschile. In ogni modo, tra alti e bassi, più bassi che alti, la minata
andò avanti. A un certo punto Ben e Pompeo capirono che stavano per venire.
<< Il latte di cicia sta per uscire. Caldo e naturale come le palle lo fecero.. se volete,
potete bere, basta attaccarsi alla pompa .>> disse Pompeo.
<< Oppure mettersi davanti alla stessa a bocca aperta..>> aggiunse Ben.
Le ragazze non risposero, fecero. Spalancano le loro boccucce innocenti e assoporanu
il nuovo prodotto biologico.
<< Buono sapiiii..>> dissero le sorelle . E si alliccarono il musso.
<< E duci o amaro?>> chiese Ben.
<< Duci è.. come il cannolo di ricottaaaa...>> disse Devozione.
<< Solo che questo di carneeee è.>> disse l’altra sorella.
Quella notte Ben e Pompeo parlarono dell’esperienza fatte con le sorelle Bucochiuso.
Era stata una bella esperienza , solo nu tanticchia dolorosa. Ad entrambi faceva male
la minchia. La cappella in particolare. Quelle ragazze avevano bisogno di
perfezionare la loro manualità. E iniziarono a pensare a uno scherzo per le sorelle
Bucochiuso.
Devozione e Consolata quella notte non dormirono molto. Erano felici di aver visto e
maniato la prima minchia dal vivo. E di averla vista anche pisciare latte di minchia.
E di averlo bevuto. Ma erano anche stanche. Tutto quel lavoro con le mani. La
muscolatura delle braccia era stanca.
<< Sicuramente si sarà accumulato tanto ma tanto acido latticoooo..>> disse
Devozione a Consolata.
<< Sicuramenteeee…>>
Ma il sonno non arrivava. Allora Consolata si susiu e dallo zainetto tirò fuori due
banane. Con quelle tornò dentro il sacco a pelo. Se la stricarono tra le mani, sulla
bocca, tra le tette e poi se la piazzarono tra le cosce . Ma quella era fredda e non
pisciava. All fine , ognuna con la sua banana tra le mani, si addormentarono. E
sognarono di fare le dottoresse minchiologhe.
Accussì tutti i mascoli di Monacazzo, e non solo, sarebbero venuti da loro per farsi
controllare l’aceddu. E loro avrebbero toccato, valutato e catalogato. E nessuno le
poteva pigliare per buttane perché erano dottoresse minchiologhe. E le dottoresse con
quella specializzazione studiano e curano le minchie e i problemi della minchia.
La tranquillità della notte fu disturbata da una lite tra due ragazze. Lite per un caruso
di ragioneria. Pompeo e Ben dovettero intervenire per risolvere la querelle. Le
picciotte si accusavano tra di loro di essere delle buttane patentate. Ma a sua volta il
caruso le aveva accusate di essere due buttane da strapazzo, buttane di nome ma
senza arte né parte. Che lui, da parte sua, godeva di più quando andava da quella
signora mezza matura che esercitava all’Arcazzo e che rispondeva al nome di Peppa
delle Pippe. Quella era un dizionario enciclopedico dell’ars amandi, del kamasutra e
di tutto il resto. D’altra parte veniva da uno dei più famosi casini di Catania, dove
aveva fatto felici l’aceddi dei pezzi da novanta di quel paese . Il caruso sparò che nei
nuovi programmi ministeriali non ci voleva solo il corso di educazione sessuale, ma
ci voleva pure il laboratorio di educazione sessuale. Per esempio, su bei manichini, le
ragazze potevano apprendere l’arte della minata. Di come trattare l’aceddu dello zito.
Potevano apprendere pure l’arte della fellatio. E apprendere la topografia delle zone
erogene maschili. I ragazzi potevano fare lo stesso con un manichino femminile.
Sapere come accarezzare una tetta, come succhiare o alliccare un capezzolo. Ma
soprattutto come suonare la chitarrina e il bottoncino del campanello del piacere.
Capire come portare la femmina al piacere. E qui non bastava il docente di scienze, ci
voleva l’esperto scientifico, ovvero il ginecologo e l’andrologo. Ma ci voleva pure
l’esperto pratico. Ovvero una buttana patentata e doc. Su quella storia Pompeo scisse
il sonetto “SORA MIGNOTTTA.”
An vedi che faccione de mignotta.
Vardala che gran culo tonno tonno,
più 'o vedo , più me pare er mappamonno.
Io giuro che in ogni bucio è rotta.
Er su prezzo è dumila a la botta
e cià un buco così largo e tonno
che ce vo un maxicazzo p'arrivà n'fonno.
Damose er cuplone a sta carne scotta.
Le zinne fanno sue giù inutirmente,
na cavarcate più lei che le cavalle,
se la vedi intra a bocca è senza un dente.
Che la morte se possa caricalle,
a lei co tutte l'antre amorvendenti,
a ufo rompicazzi e consumapalle.
Ultimamente è giunta a noi la nuova, con nostra grande costernazione,
che, in talune parti dell’Alta Germania, nelle province, nelle città, nei
territori, nei paesi e presso i laghi di Mainz, Colonia, Treviri,
Salisburgo e Brema, gran numero di persone d’ambo i sessi, dimentichi
della salvezza dell’anima loro e contro la fede nel Credo Cattolico, si
sono donate ai demoni sotto forma di ‘incubi’ e di ‘succubi’. Con i loro
incantesimi, esorcismi e atti infami distruggono il frutto nel grembo
delle donne, delle vacche e di vari altri animali; distruggono messi,
vigneti, frutteti, prati, pascoli, frumento, orzo e altre piante vegetali;
recano dolore e afflizione, grandi sofferenze e malattie terrificanti (sia
esterne che interne) a uomini, donne e bestie, greggi ed altri animali;
impediscono agli uomini di generare e alle donne di concepire; rendono
impotenti tanto le mogli che i mariti.
Summis desiderantes affectibus, bolla di papa Innocenzo VIII, 1484
TREDICI : L’EDUCAZZIONE SESSUALE
Piglia duecento ova di formiche et once una d'olio comune bono e sei once
di latte di pecora o capra et impasta ogni cosa assieme e metti in vaso di
vetro che vi stia almeno per una notte e nel l'hora che tu vuoi usare il
coito, ongi il membro che starà durissimo.
Ricettario magico del XVI sec.
Minchia di masculu la fimmina voli
.. ma a chidda di lu sceccu pensa.
Quella mattina l’assemblea studentesca era riunita nel cortile perché aspettavano
un’esperta . La dottoressa Eusebia Ferretti, la moglie del sindaco barone Tonino
Incardasciò. Erano tutti nel cortile, la giornata era bellissima. Mancavano solo le
sorelle Bucochiuso.
<< Stanno dormendo con una banana in mano.>> disse Cettina Localdo.
<< Desiderio inconscio di banana di carne.>> aggiunse Monja Ladò.
<< Pititto del mio aceddu…>> disse Calogero Cannuni.
<< Desiderio di uccelli da mettere in gabbia…>> disse la studentessa Marinella
Cacatore .
Pompeo prese la parola: << Ragazzi, fare silenzio e non scassate er cazzo e manco li
cojoni. In attesa della dottoressa propongo di organizzare uno scherzo alle sorelle
Bucochiuso. Sapete la loro condizione. Sine o none. Lo vojono ma non lo pijano..>>
<< La sappiamo. >> dissero maschi e femmine.
<< Io propongo di organizzare una sfilata di mascoli nel teatrino della scuola. In
platea tutte le femmine. Con le sorelle Bucochiuso in prima fila. E poi i maschi che
non vogliono partecipare alla sfilata..>>
<< Sfilata di moda ? >> chiese Carmelo Obesone che voleva fare il modello e lo
diceva sempre. Il modello per le grandi forme.
<< No. Sfilata di cicie. >> rispose Pompeo.
<< Sì.>> dissero tutti ridendo a crepapelle.
Sia i mascoli che si dovevano esibire, sia le femmine che dovevano taliare. D’altra
parte in un giornale era venuta fuori la notizia che all’estero, dove la società era più
libera e aveva il portuso del culo molto più largo della signora morale italiana, che
era una signora ammuccaparticoli e cacadiavoli, c’erano di locali dove i mascoli si
spogliavano nudi per la gioia di un pubblico femminile.
<< Organizzeremo per una di queste sere.>> dissero Ben e Pompeo.
Proprio allora fecero la loro comparsa, mezze assonnate, le sorelle Bucochiuso.
<< Cosaaaa.. cosa ci sarà una di queste sereeee?>> chiesero.
<< Uno spettacolo teatrale fatto dai maschi per le femmine.>>
<< Belloooo..>>
<< Certo.. sarà una sorpresa.>> disse Mela Ficcatora
<< Bello sì. Amoooo le sorpreseeee.. .>>
<< E vedrai che cazzo di sorprese.>> specifico Mary Lovoglio.
<< Belloooo… Anzi, bellissimoooo…>> risposero tutti in coro.
Devozione e Consolata si taliano in facci.
<< Ma ci stannoooo pigliando per il culoooo?>> si chiesero.
<< Io vi prenderei volentieri .. per quello e altro..>> sparò Bastino Acchiladò.
<< Sta minchiaaaa..>> risposero le sorelle.
In quel momento entrarono i fratelli Cecè e Fefè Sparaminchiati con lo scheletro del
laboratorio di biologia. Solo che avevano aggiunto tre palloncini belli lunghi che
simulavano tre minchie. E sotto sei palloncini piccoli. Tutti scoppiarono a ridere. Su
ogni palloncino lungo ci stava scritto un nome: Alfia, Cirina e Filadelfia. Poi lo
misero sul piedistallo del cortile. Alla base posarono un cartello che diceva “ Homo
dottoratus trimentulas.” Tutti capirono che quello era il dottore Minchiatrina e che
quelle tre minchie di plastica erano per le tre sorelle Stoccacitrolo.
Finalmente arrivo la dottoressa. Aveva con sé il piccolo Pascal. Quattro anni di peste
bubbonica concentrata in pochi chili di carne. La dottoressa Eusebia a vedere il
manchino scoppiò a ridere.
<< Mamma.. mamma.. il morto con tre pipì. E sei palle...>> gridò Pascal. Tutti risero.
<< Salve ragazzi..>> esordì la dottoressa.
E fece una bella discussione sulla sessualità responsabile. Parlò dell’intromissione
ignobile della religione in genere sui fatti legati al sesso e la relativa negazione del
piacere da parte della gente di chiesa. Poi rispose alle domande poste dei ragazzi.
Senza omissioni e senza censure, ma soprattutto senza bacchettonismi. Intanto il
piccolo Pascal girava e si fermava a parlare solo con le ragazze molto belle. Così, per
istinto. Sentiva già il “ ciauro di sticchio.” E quelle belle facevano più ciauro delle
altre. E il Pascal ne era attratto.
Un ragazzo chiese se la masturbazione consuma il coso.
<< No. Il pene non si consuma con l’uso . E la masturbazione è un atto che fa parte
della vita sessuale di ogni essere umano. E naturale passare attraverso una fase
masturbatoria. E un preludio all’attività sessuale con un’altra persone. Negarsi
questo piacere è una cosa negativa. E soprattutto innaturale.>>
<< Ma non è peccato? >> chiese un ragazzo.
<< No. Il peccato è una invenzione dei moralisti. Il peccato , scientificamente
parlando, non esiste. Il piacere sì. Figuratevi che in passato menti malate e contorte,
che minacciavano di cecità chi si toccava il pene , avevano anche inventato il corsetto
antimasturbatorio.>>
<< E che robba era?>> chiese Francesco Arrapatazzo.
<< Uno strumento di tortura che impediva di toccarsi il pene e che i ragazzi dovevano
indossare prima di andare a dormire.>>
<< Ma le femmine si possono masturbare?>> chiese Turri Lallupato.
<< Certo. Anzi, lo devono fare. Anche il loro toccarsi è una fase della loro vita
sessuale.>>
<< Io voglio la moglie vergine.>> disse Minico Anticazzu.
<< Libero di fare quello che vuoi. Ma al matrimonio si arriva attraverso la
conoscenza. E il sesso è conoscenza, soprattutto in vista del matrimonio.>> rispose la
dottoressa.
<< Dottoressa carissima, cosa ne pensa degli omosessuali?>> chiese Bastiano
Autrasponna, che da tutti veniva sfottuto per le sue preferenze masculine e per come
sculettava.
<< Che è solo e soltanto una delle componenti della sessualità umana. Tutti abbiamo
una componente omosessuale, tutti attraversiamo una fase omosessuale. Solo che poi,
nella maggioranza delle persone, prevale la componente etero. Ma in alcuni resta
dominante la componente omo. Ed ecco che il maschio si sente attratto da un altro
maschio e la femmina da un’altra femmina. Ma non ci sta niente di scandaloso. Il
sesso è anche quello. E soprattutto non è peccato.>>
<< Ma come, il parrino chiede sempre se uno si tocca, se uno fa cose con altri dello
stesso sesso o con persone di sesso opposto.>>
<< Lasciate stare il parrino.. se ci sta una cosa dove è incompetente è il sesso.. il
sesso non è legato a tradizioni o leggi. Il sesso è anarchico.. per questo la chiesa ha
avuto sempre paura delle persone libere.. lei vuole controllare l’attività sessuale delle
persone. E dirigerla a suo piacere. Ma questo accadrà sempre meno. La vita è nostra e
la sessualità pure… pertanto io direi al prete che fa queste domande “ carissimo
signore, si faccia i cazzi suoi.”>>
Tutti risero. Anche Pascal. E alla fine volle parlare anche lui.
<< Io lo dico sempre a padre Ciollardente. “Padre, si faccia i pipì suoi.” E vi dico
anche che io voglio venire in questa scuola perché questa è più bella e più divertente..
ci stanno i morti con tre pipì e tante belle ragazze con la minigonna .. e poi non ci
stanno le maestrine scassapipì che la mattina rompono le palline con tutti quei
discorsi del pipì.. e io so pure perché sono sempre incazzate.. sono tutte signorine..
signorine vere.. rimaste senza il pipì di un mascolo per farsi confortare quannu ci voli
il conforto..>> Tutti applaudirono.
<< Una domanda dottoressaaaa…>> chiesero le sorelle Bucochiuso.<< Ma maniare
un coso di mascolo e bere il latte di brigghiuuuu fa… fa nesciriiii incinteeee?>>
Tutti risero. E capirono che le sorelle Bucochiuso finalmente avevano maniato una
minchia e forse assaggiato la stessa.
<< Ma di chi?>> fu la domanda che ossessionò da quel momento in poi la testa delle
ragazze e il cervello dei carusi che sospettavano l’uno dell’altro. Alla fine
concordarono tutti sui noni di Ben e di Pompeo. E naturalmente sulle rispettive
minchie. Loro soli dormivano in due in presidenza. E la terza incomodo, Iatata, era
assente per motivi di famiglia.
<< Care ragazze.. ma che mi dite.. siamo nel sessantotto..>>
<< .. e si sta avvicinando il sessantanove .. >> urlò qualcuno dalla platea.
<< Carissime.. >> riprese Eusebia Ferretti maritata Incardasciò << il sesso orale è
sempre esistito… la mentulalingus.. o fellatio.. sul mascolo.. e il cunnilingus sulla
femmina… e come ha gridato qualcuno, ci sta pure il sessantanove, quando il sesso
orale è praticato contemporaneamente.. e dalla bocca il seme maschile non può mai e
poi mai arrivare alla cellula uovo.. tra via digerente e via genitale non ci sta nessuna
comunicazione… Comunque adesso vi saluto e vi auguro di stare bene e di non fare
fesserie.. il sesso è un piacere non una malattia.. la paternità e la maternità devono
essere scelte volontarie e non imposte dal caso.. il sesso è conoscenza e non disgrazia
o maledizione.. quindi pigliatevi il piacere che vi tocca ma non combinate guai …
per fare picciriddi ci sta tanto tempo..>> . Tutti applaudirono.
<< Dottoressaaaa.. n’autra domandaaaa.. per favoreee…>>
Erano ancora le sorelle Bucochiuso.
<< Dite ragazze mie belle..>> disse Eusebia.
<< Dottoressaaaa.. ma la verginità bisogna per forza conservala fino al
matrimonioooo…>>
<< Ognuno fa come vuole.. ma la verginità è solo e soltanto un cosa simbolica, una
cosa che certe credenze anno caricato di significati che con l’eros, il sesso, il piacere
e la stessa biologia non c’entrano un cazzo.. >>. I ragazzi applaudirono.
<< Scusate.. ma il cazzo mi è scappato..>> disse la dottoressa.
<< Il cazzo ci scappò alla mamma… >> disse Pascal.
<< Mi scappò ma ci voleva.. >> riprese Eusebia << perché la verginità è lui che se la
porta via una volta per sempre e libera la donna di quel simbolo che hanno caricato di
significati assurdi… e siccome è una cosa a perdere.. e siccome non è il caso di
aspettare il matrimonio.. e siccome è una cosa bella da dare via.. l’importante è darla
per amore.. la prima volta deve essere con un ragazzo che si ama.. deve essere una
bella esperienza.. con calma.. con dolcezza. Con serenità.. il ragazzo e la ragazza, in
una vera escalescion del piacere reciproco, devono conquistarsi l’un l’altro.. fino al
dono d’amore di lei a lui.. ma anche di lui a lei .. il pene che entra e che si prende
quella membranuccia che è un dono che la ragazza fa al suo amore.. e pertanto io vi
consiglio di farlo solo e quando lo volete voi e non lui.. lui è sempre pronto.. ma
dovete essere voi ad essere pronti.. la prima volta deve essere bella per entrambi… se
poi, qualcuno vuole aspettare il matrimonio.. faccia pure.. comunque il discorso è
illogico, innaturale, antibiologico e antiormonale.. il sesso è una delle tante attività
dell’organismo come il mangiare.. il bere.. e altro.. >>
<< Grazie dottoressaaaa.. ci ha chiaritoooo le ideeee..>> dissero le sorelle.
<< Allora arrivederci… e ricordatevi che nel mio studio ci sta sempre una amica per
voi ragazzi.. e gratis naturalmente….>> disse Eusebia andando via.
Quella sera Micio Tempio e la sua amica russa Kosetta Fikaminkianova si recarono
da padre Ciollardente e gli dissero che volevano sposarsi. Fare famiglia secondo
tradizione.
<< In chiesa?>> chiese il prete stupito, rincoglionito e amminchiolito al mille per
mille.
<< Sì.>>
<< Come mai?>> chiese il Ciollardente basito.
<< Così. Per amore di Kosetta.>> rispose Micio Tempio.
<< Ahhhh.. l’amore.. che cosa bella.>> disse il prete rincoglionito assai assai.
<< L’amore muove il mondo.. >>
<< E altre cose..>> disse il prete.
<< Muove tutto…>> aggiunse Kosetta.
<< Anche l’anima..>> aggiunse il prete.
Padre Ciollardente fu preso da un brivido di piacere e assaporò il gusto della vittoria.
Il pornografo laico calava le corna. Davanti a lui. Per amore di uno sticchio ma li
calava.
<< Va bene , organizzeremo una bella cerimonia.>> disse il prete.
<< Noi vorremmo fare tutto nella seconda metà di luglio. Sa , in quel periodo ci sono
tutti gli amici di fuori..>> dissero Micio e Kosetta.
<< Va bene.>> rispose il prete a cui la vittoria aveva fatto attisare l’uccello.
<< Allora, facciamo il.. venticinque se è possibile.>>
Padre Ciollardente consultò la sua agenda. Il venticinque luglio andava bene. Segnò
la data, la data del suo trionfo su quel miscredente di Micio Tempio. La data del
ritorno del nuovo figliol prodigo, la data della nuova suonata delle trombe di Gerico
e della caduta delle mura ideologiche che circondavano le idee malefiche di Micio
Tempio. La pecorella assai assai smarrita ritornava all’ovile. Questi pensieri
eccitarono il parrino assai assai. Oramai aveva un cannone sotto tonica. Doveva
sparare. A mano o in altra maniera doveva espellere la tensione attraverso la sua
ciolla, ma a mano non c’era tanto piacere. Meglio avere una collaboratrice.
Infatti appena Micio e Kosetta andarono via padre Ciollardente telefonò a donna
Carmela , la sua parrocchiana preferita, e la pregò di raggiungerlo in canonica per
affari urgenti. Donna Carmela si precipitò. Sapeva che gli affari urgenti di padre
Ciollardente era affari di ciolla addumata che lei, con amore e passione, doveva
stutari in qualche modo. E donna Carmela era sperta assai nell’arte di stutari cannili
addumati.
Quel pomeriggio i maschi si riunirono in assemblea. Per parlare dello scherzo da fare
alle sorelle Bucochiuso. Programmarono per il sabato. E aderirono tutti alla proposta
di Ben e Pompeo. Sfilare nudi o parzialmente nudi, ma obbligatoriamente con
l’uccello di fuori.
<< E se a qualcuno ci attisa?>> chiese Giovanni Sempreduro.
<< Fa niente. Ognuno sfilerà nello stato in cui si trova. L’importante è offrire una
parata di cazzi alle sorelle Bucochiuso . Con la speranza che escano da qua col bucio
spalancato. E io faccio gli auguri a tutti voi. O meglio, al vostro creapopoli. Allargate
il bucio alle sorelle senza incrementare la popolazione di Monacazzo. Auguri a tutti.
E speriamo che non rompano più li cojoni. >> disse Pompeo.
<< Speriamo.. >> dissero i ragazzi.
Quella sera Devozione e Consolata Bucochiuso ritornarono in presidenza a fare
quattro chiacchiere con Ben e Pompeo. Alla fine , non sapendo che cazzo fare, Ben e
Pompeo convinsero le sorelle a giocare a scopa.
<< A scopaaaa?>>
<< A scopa con le carte? >>
<< Ahhhh.. E che ci giochiamoooo? >>chiesero quelle.
<< Gli abiti..>> risposero Ben e Pompeo.
<< Gli abitiiiì.. tuttiiii? Anche le mutandeeee ?>>
<< Sì. Tutto. Tutto. Tutto.>>
Giocando con arte Pompeo e Ben a volte vinsero e a volte persero. Pertanto ci fu un
progressivo spogliarello reciproco. Alla fine erano tutti e quattro in mutande. La
partita conclusiva fu persa dalle ragazze che restarono nude. Ben e Pompeo invece
erano in mutande.
<< E adessoooo che ci giochiamoooo ?>> chiesero quelle.
<< Io propongo di ballare.>> disse Ben.
<< Ballareeee ? Belloooo…e cosaaaa?>>
<< Il “ Suca Suca “….>> propose Pompeo.
<< Il “ Sucaaaa Sucaaaa “ ?… E come si ballaaaa ?>>
<< Si balla nudi.. e si usa la bocca per dare una sucata al naso.. ai capezzoli e alla
minchia.. per le ragazze.. una sucata al naso, una alle minne più una alliccata al
cunno per ragazzi..>>
<< Belloooo.. belloooo.. il “ Sucaaaa… Sucaaaa..”>> dissero le sorelle.
Ben e Pompeo si tolsero le mutande e incominciò il balletto. Lo stato di eccitazione
crebbe per tutti. Alla fine i ragazzi buttarono le caruse per terra e ci si piazzarono di
sopra . Con la testa tra le cosce. E la minchia che pendeva sulle facce di Devozione e
Consolata.
<< Che gioco è questo…>> chiesero le ragazze.
<< Per voi sempre il “Suca Suca”. Per noi il “Licca Licca”.>>
Devozione e Consolata capirono che dovevano brindare ancora col latte di brigghiu.
Ma fu piacevole anche quella lingua che alliccava il loro buco chiuso e quel
pezzettino di carne che nei libri di biologia era indicato col nome di clitoride. I
ragazzi volevano fare di più, ma le ragazze posero l’alt.
<< Il Sucaaaa sucaaaa sì. Il ficcaaaa ficcaaaa.. no.>>
Quella notte Devozione e Consolata dormirono con le banane. Pompeo e Ben si
proposero di rompere il buco alle sorelle prima del ritorno di Iatata. Erano felici ma
sentivano la mancanza della zita e dell’amica. Devozione e Consolata erano il nulla.
E visto che non avevano potuto trasiri nel corpo delle ragazze entrarono, a turno, nel
loro corpo.
<< Ti amo..>> disse Pompeo a Ben alla fine
<< Anch’io.. ma amo anche Iatata...>> precisò Ben.
<< Anch’io.. e vorrei fare l’amore con lei.. entrare nella sua sorca..>> disse il
romano.
<< Al ritorno lo farai .. se lei vorrà..>>
<< E non sei geloso. ?>> chiese Pompeo.
<< No, siete i miei amori.. e se i mie amori si amano sono contento..>>
<< Vorrà… e io la prima volta vorrei entrarci con te.. >> disse il romano.
<< Io ci sto.. se ci sta lei..>> puntualizzò Ben che nelle cose di pilu voleva la
democrazia massima. Dormirono tenendosi la rispettiva ciolla in mano e pensando
alla fica di Iatata . Che volevano visitare insieme contemporaneamente.
Su quel corso di sessualità libera Pompeo scisse poi un bel sonetto.
< < Oggi, se fa educazione sessuale,
Anzi, viè tu, Toto, sei interrogato.
Hai capito quello che ieri ho spiegato?
Dico, non è che ora risponni male?
Te farò na domanna molto banale:
tu ciai undicianni o me so sbajato?>>
<< No. Anzi, professore, lei ha indovinato,
so proprio undici compiuti a Natale.>>
<< Mo, fijo bello, dimme, se o sai tu,
dove cazzaccio stavi vent’anni fa:
è facilissimo, pensaci un po’ su.>>
<< Certo co so. Peddio, ecchite la verità:
stavo, stavo in paradiso co Gesù.>>
<< No , cazzo, eri nei cojoni di papà.>>
Conquisterò quella donna; la toglierò al marito che la profana: ardirò
rapirla sinanche al Dio che ella adora. Che delizia essere a volta a volta
l’oggetto e il vincitore dei suoi rimorsi! Lontano da me l’idea di
distruggere i pregiudizi che la circondano! Aumenteranno la mia
felicità e la mia gloria. Creda alla virtù, ma me la sacrifichi, le sue
colpe la spaventino, ma non la fermino.
Ch. de Laclos
Il genere umano che ha creduto e crede tante scempiaggini, non crederà
mai né di non saper nulla, né di non essere nulla, né di non avere nulla
da sperare.
G. Leopardi
QUATTORDICI : NATALINO ER MAGNACCIA
Quanno ’a matina, ’nfracetata ’e suonne,
t’a avuote ’int’ ’e llenzole e quanno ’a sera
jesce a fa’ ’a vita cu’ nu sciallo argiento, tu
sempre, Granda, ’Nfame, m’arravuoglie.
S. Di Natale; dialetto napoletano
La fica è la cosa chiù moderna e chiù antica...............................................
Quella mattina arrivò il tuttologo Kalò Bi- Gi. Che parlò e sparlò a trecentosessanta
gradi. Ma sempre di sesso.
<< Il pilo tira da che mondo è mondo.. io ne ho combinate tante e spero di
combinarne ancora tante.. se oggi il mondo è più libero lo dovete pure alle mie lotte..
e non per vantarmi…>>
Tutti applaudirono.
<< Oggi vi parlerò della bellezza.. quella bellezza corporea che era la gioia egli
antichi.. pensate a come gli dei dell’Olimpo pazziavano tra di loro.. pensate agli
amori maestosi di allora.. pensate a Pasifae, che per farsi un toro dalla minchia
possente e dalle palle quanto due meloni , si mise dentro una vacca di legno.. pensate
a quell’altro eroe , Teseo, che sodomizzò Elena carusedda…pensate alla bellezza
greca e romana.. pensate.. perché poi arrivarono i cristiani mortificatori della carne ..
e allora addio alle feste dionisiache.. ai misteri eleusini.. ai banchetti saffici.. ai
dialoghi platonici.. ai saturnalia romani .. al culto di Priapo.. si disse addio ai misteri
della carne per passare a quelli della fede. I genitali divennero, ideologicamente
parlando, proprietà ecclesiastica. Il sesso tabù. La bellezza segno del diavolo. La
pulizia sinonimo di corruzione. Santa Paola disse “La purità del corpo e delle sue
vesti significano l’impurità dell’anima.” I pidocchi furono appellati le perle di Dio.
L’eremita sant’Abramo, dopo la conversione, visse cinquant’anni e non si lavò mai
più. Sant’Ammone non si taliò mai nudo. La vergine Silvia si lavava solo le dita. E
questo per tutta la vita. Santa Maria Egiziaca non si lavò mai. Il matrimonio divenne
il carcere del sesso. Si trombava solo per fare figli. Poi basta. “Tagliare con la scure
della verginità il bosco del matrimonio” diceva san Gerolamo. San Nilo dopo aver
fatto due figli si separò dalla moglie. Sant’Ammone , la prima notte di nozze, fece
alla consorte, che si apprestava a consumare, una bella arringa sui mali del
matrimonio. E così i due si separarono. Santa Melania convinse il marito a disertare il
letto coniugale. Ma se questo era il modello che veniva imposto alla gente normale,
la gente di chiesa si divertiva, e adorava san Cunno e santa Mentula alla grande.
Papa Giovanni XXIII , me medioevo , fu condannato per incesto e adulterio. L’abate
maggiore di sant’Agostino, a Canterbury, nel 1171 aveva diciassette figli illegittimi
in un solo villaggio. Un abate di san Pelagio, in Spagna, aveva , nel 1130, settanta
concubine. Il vescovo Enrico III di Liegi fu deposto nel 1274 perché aveva 65 figli
illegittimi. E su questo potrei citare casi a iosa. . Anche di parrini di Monacazzo e
dintorni. Ma lascio ai posteri l’arte del cazzeggio locale. Per fortuna ci fu , a suo
tempo, la rivoluzione francese. E l’Europa iniziò a liberasi dal cappio strangolatore
della chiesa. Quel cappio che circondava il collo di tutti. E non solo. Circondava
anche i coglioni e la testa della ciolla. Pronta a strozzare gli uccelli del maschi. E a
sterilizzarli. Mentre ai buchi femminini quelli volevano mettere il tappo. Poi i roghi si
spensero e la mentula e il cunnu iniziarono il loro cammino verso una nuova libertà.
Che è ancora poca, ma in futuro migliorerà.>>
Tanti fecero domande e il tuttologo rispose.
Il venerdì sera le sorelle Devozione Consolata Bucochiuso tornarono in presidenza. E
quella sera avevano pitittu di sentire la banana di carne , se non nel buco chiuso, che
chiuso doveva restare, almeno nel buco alternativo. Ne avevano discusso e avevano
deciso di facilitare l’operazione, nel caso che Ben e Pompeo non ci avessero provato.
Andarono a trovarli che era tardi. I ragazzi erano già nel sacco a pelo. Loro ci si
ficcarono piano piano, dopo essersi smutandate. E dopo aver giocato con i piselli di
carne si misero a pancia in giù. Tutto accadde come previsto e senza dire una sola
parola. Fu quella la messa in culo del silenzio. Solo quando Ben e Pompeo ripartirono
all’attacco dell’altro buco Devozione e Consolata dissero << Noooo…>>.
<< E allora scambiamoci banane e culi. >> dissero i ragazzi.
Le ragazze risposero << Sìììì.>>.
Il giorno dopo venne Micio Tempio. Che parlò del suo matrimonio con Kosetta
Fikaminkianova . E invitò tutti a vedere la cerimonia, che sarebbe stata esplosiva.
Poi parlò del sesso nella letteratura. Parlò di robe antiche e di robe moderne. Parlò di
Elena di Troia e di una guerra fatta per una fica. Parlò di autori greci e latini che
scherzavano col sesso degli dei e degli uomini. Parlò delle posizioni preferite dagli
antichi per fare l’amore. Il cavallo di Ettore e la Venere a posteriori. Parlo
dell’Aretino, del Boccaccio. Di conventi simili a bordelli e di frati e monache che si
passavano il tempo a fare ficca ficca. Concluse parlando del suo “ Sticchio glorioso”.
Un omaggio al buco che muove e smuove il mondo. Che muove e smuove i
sottapanza masculini.
<< La fimmina ca sapi usari lu cunnu
poli addivintari regina di lu munnu.>> disse Micio Tempio.
E citò femmine della storia che con la fica avevano conquistato il potere.
Quella sera gli occupanti videro tutti insieme un film su un magnaccia. Non alla tv
moralista e bacchettona. Ma sulla parete del teatrino della scuola e utilizzando il
proiettore della stessa. Il film era stato affittato a Catania. E su quello fecero un
dibattito. Tutti erano contrari allo sfruttamento del sesso. Si poteva fare la buttana sì,
ma in piena autonomia. Non perché lo imponeva o lo desiderava il magnaccia. Il film
era bellissimo. E per la prima volta di vedevano dei nudi maschili e femminili.
Nudi frontali. Con pacchi beddi pelosi e cazzi in erezione. Ci mancava solo il sesso in
azione. Ma era ben simulato. Il film era tedesco. Su quella storia il solito Pompeo
esercitò la sua arte poetica scrivendo il sonetto “NATALINO ER MAGNACCIA”
Io so Natalino e fo er magnaccia,
vivo sur lavoro de le cristiane
ch'aricevono uccelli in cerca 'e tane.
Così tiro avanti sta vitaccia.
So un tipo ch'a ha tutti rido in faccia,
nun ho gnente da perde , monno cane,
nun m'accontento d'un tozzo de pane,
nun penso mai a sarvà l'animaccia.
E donne pe' me vanno a fasse fotte
in cambio de na certa protezione.
E per chi la sbaja un sacco de botte.
Mo' renno grazie - e non p'esse cojone a san Cazzo patrono de mignotte
che ma fatto fa' na gan posizione.
Ubi rationabilitas, ibi necessario libertas.
Dove avrai spazio per ragionare, lì necessariamente la libertà.
G. Scoto Eriugena
Disgrazia a chi provoca le rivoluzioni, ma anche a chi le fa.
G. Danton
QUINDICI : MAMMA SIMONA
Ner monno ha fatto Iddio 'ggni cosa deggna:
Haffatto tutto bbono e tutto bbello.
Bono l'inverno, più bbona la leggna:
Bono assai l'abbozza, mmejjo er cortello.
Bona la santa fede e cchi l'inzeggna,
Più bbono che cce crede in der ciarvello:
Bona la castità, mmejjo la freggna:
Bono er culo, e bbonissimo l'uscello.
G. Belli; dialetto romanesco
“Minchia.. e chi chiovunu cazzi pi mia..”
disse Danae intanto che Giove la futtia.
Arrivò il sabato sera. La sera della sfilata. Tutte le ragazze erano in platea. Nessun
ragazzo aveva rinunciato ad esibire le sue qualità nascoste. Sul palco c’erano i
presentatori ufficiali della serata. Ben Cicidda e Pompeo Sorcaealtro. Erano in pareo.
<< Care e belle spettatrici buonasera dal vostro Ben Marrugghiu ..stasera assisterete
a una sfilata unica di modelli.. tutti maschili.. moda di modelli maschili ma per le
donne… fatevi e rifatevi gli occhi.. il cuore .. e la mente..e se volete, pure qualche
altra cosa...>> disse Ben.
<< E buonasera anche da Pompeo Creapopoli.. Fatevi e rifatevi quello che volete..
alcuni modelli sono liberi.. disponibili.. altri impegnati... .godetevi questa sfilata di
maschi.. solo di maschi.. ma più che altro una sfilata di cicie.. tanti modelli di cicie
coi relativi proprietari o padroni.. >> aggiunse Pompeo.
<< Vedrete modelli di Giovanni Verga.. di Attilio Pene.. di Giuseppe Belin.. di
Antonio Minchia.. di Cola Marrugghiu.. di Berto Bischero.. di Umberto Creapopoli..
di Ludmillo Pirla… di Giacinto Kazzone..e tanti tanti altri.. ma tutti modelli giovani..
tutti giovani e belli.. tutti efficienti.. si spera per i proprietari.. lunghezza, grossezza,
bellezza e stato di grazia dipenderanno dal proprietario.. dal momento.. dalle
circostanze, dal testosterone.. dai segnali visivi e uditivi che arriveranno dalla platea..
per quanto riguarda i costumi, più assenti che presenti, sono stati improvvisati con i
materiali a disposizione… Questo, care e belle spettatrici, è uno spettacolo unico. Il
titolo è semplice.. “ Mentulavisione.” Visione delle mentule… pertanto godetevi
questa sfilata di aceddi, di minchie, di brigghia, di marrugghia, di passeri, di
sventrapassere, di belin, di pirla, di bischeri, di creapopoli.. >> disse Ben.
<< I nostri costumi , come vedete, sono semplicissimi..>> disse Pompeo. << Sono
stati realizzati con due scialli delle signore Stoccacitrolo… e non vi sto a pijare pel
culo. Non vi sto a cojonare. E che cazzo.. sono scialli che fanno ciauro di
Stoccacitrolo.. >>.
<< E prima di iniziare vi dico a tutte voi “buona, buona e felicissima mentulavisione
a tutte.” E tanto per iniziare gradite la mentulavisione dei presentatori.>> concluse
Ben. Così dicendo Ben e Pompeo fecero cadere il loro pareo e restarono nudi, con la
ciolla semigonfia esposta alla pubblica visione.
<< Ohhhh.. >> fecero le ragazze che sapevano in cosa consisteva lo spettacolo.
Anche le sorelle Devozione e Consolata fecero “Ohhhh..”. Ma la loro era sorpresa
autentica. E per la prima volta pensarono che tipo di sfilata poteva essere. E
indovinarono. Col commento di Ben e Pompeo sfilarono tutte le minchie dei tre
istituti. Sarebbe stato bello avere in platea anche le sorelle Stoccacitrolo per
contemplare la gamma varia e variabile dei citroli di quelle tre scuole. Sfilò di tutto.
Cazzi piccoli e grandi, cazzi mosci, semimosci e cazzi duri, cazzi chiari e cazzi scuri,
minchie incappellate e minchie scappellate, minchie nude e minchie ficcate dentro un
preservativo, cazzi col fiocco e cazzi colorati, cazzi con la panna e cazzi con la salsa.
I commenti dei due presentatori furono esilaranti.
<< Modello da sera.. modello stile impero.. cazzo barocco.. capitello dorico.. minchia
ionica.. coppola scoppolata con coppola si seta.. cazzo duro con cappotto di plastica..
brigghiu dorico.. colonna pompeiana.. minchia con affresco...>>
E durante la sfilata la minchia di Ben e il creapopoli di Pompeo , a picca a picca
gonfiarono. Si arrivò alla fine che i due tenevano la minchia dura come il marmoro.
Dura come il marmoro ma calda come la lava. Le ragazze taliarono estasiate la
sfilata. In particolare le sorelle Bucochiuso. Alla fine Pompeo e Ben si abbracciarono
davanti a tutti. E nell’abbraccio si trovarono minchia contro creapopoli. Per salutarsi
non si diedero la mano, ma si presero l’uccello in mano.
Accussì, mentre tutti i modelli tornavano sul palco, lo spettacolo finì. Finì che tutti
diedero il culo alla platea. Una marea di culi. E una marea di applausi segnò la fine
dello spettacolo.
Quella notte Devozione e Consolata decisero di darla via. Era corsa voce che Iatata
sarebbe rientrata il giorno dopo. Anche se non aspiravano ad avere Ben e Pompeo
sempre per loro, desideravano la loro prima volta con quei due ragazzi . E quella
notte raggiunsero decise la presidenza . Entrarono senza bussare. E sentirono subito
dei sospiri.
<< Minchiaaaa . Qualcuna ci sta con i ragazziiii. >> disse piano piano Consolata alla
sorella.
<< Mi pareeee di sìììì..>> rispose Devozione.
<< Andiamoooo.. torniamoooo indietroooo…>> disse la prima.
<< Noooo… voglioooo vedere chi è questa buttanaaaa…>>
E accese la luce. Non c’era nessuna ragazza. Ben e Pompeo si la stavano minando
reciprocamente. E intanto si baciavano.
<< Frociiii sonoooo..>> disse Devozione.
<< No. La minchia è abbondanteeee e in mancanza di altroooo se la minanoooo tra
di loroooo…>> rispose l’altra.
<< A noi la minchia ci esonda dalle mutande.. ci tracima dalle bocche.. e pertanto a
volte ci finisce in culo.. ma se volete, ci inculiamo in esclusiva per voi... a voi
lasciamo decidere chi deve essere l’inculato e chi l’inculatore.. a voi, belli sticchi di
Sicilia...>> disse Ben tranquillo come una pasqua.
<< Forza.. Chi la deve dare e chi la deve pijare..A noi ci finisce ‘nder culo e ci allarga
il bucio. Così gli stronzi escono mejo..>> aggiunse il romano sorridendo.
Le sorelle scoppiarono a ridere .
<< Voi la dateeee e noi la pigliamoooo..>>
Adesso risero i ragazzi . E smisero anche di minarsela. Devozione e Consolata si
avvicinarono facendo volare via la cammisa da notte.
<< Facciamo l’amore.. vogliamo fare l’amore con voi..>> dissero.
Pompeo e Ben le taliarono con la faccia assai assai rincoglionita. Le femmine ci si
buttarono addosso. Per la sorpresa le candele si ammosciarono. E nonostante i baci
bocca a bocca e la conseguente glossomachia le candele non si riaccesero. Ma le
mani e la bocca delle ragazze fecero poi il miracolo. E finalmente le sorelle
Bucochiuso si fecero aprire in loro buco. Con calma, tranquillità, passione, e
delicatezza le candele dei ragazzi entrarono dentro e in un crescendo di piacere le
portarono all’orgasmo. Dopo, tanto per sperimentare, le sorelle cambiarono
marrugghio. Dormirono insieme quella notte e l’indomani mattina fecero ancora del
buon sesso. Si fecero un giro doppio di minchia .
Quella sera domenicale rientrò Iatata . Bella piu che mai. Rientrò che erano le dieci di
sera. Ben e Pompeo ci avevano perso la speranza. Le sorelle Bucochiuso ci sperarono
fino alla fine. Potevamo passare una nuova notte coi loro amici di sesso. Invece Iatata
rientrò e dopo aver raccontato a tutti quattro cose si chiuse in presidenza con l’amico
e lo zito. E raccontò della scoperta di suo padre Cepito. Concettina era la vera nonna.
E Concetto Cicidda, il nonno di Ben, era anche suo nonno.
<< E io e te siamo cugini.>> disse allora Ben
<< Cugini incestuosi.. la cicia di Ben inciciava il portacicia della cugina Iatata>>
aggiunse Pompeo.
<< Ma non lo sapevamo..>> disse Iatata .
<< E adesso che lo sapete , che fate?>> chiese Pompeo che credeva in quell’amore a
tre. Ben e Iatata si taliarono negli occhi e dissero:
<< Continuiamo a fare i cugini incestuosi..>>
<< E io che faccio?>> chiese Pompeo..
<< L’amico del cuore dei cugini incestuosi..>>
<< Solo amico del cuore?>> chiese Pompeo.
<< No. Amico di tutto. Amico del cuore, della minchia, del culo e naturalmente
anche del pacchio...>> dissero i cugini fidanzati.
Pompeo e Ben raccontarono a Iatata che si erano consolati l’un l’altro. L’uno nella
braccia dell’altro. E che avevano anche fatto l’amore. L’uno con l’altro.
<< E senza di me.>> disse lei seria.
<< Senza di te, ma pensando a te. Al tuo ritorno.>> dissero in coro Pompeo e Ben
<< Adesso sono qua. >> E iniziò a spogliarsi. Si spogliarono anche i ragazzi. E si
ficcarono nello stesso sacco a pelo. Iatata acchiappò i due uccelli e li baciò a lungo.
Poi disse : << Voglio fare l’amore con voi.>>
<< E noi pure. >> risposero i ragazzi.
Lei si mise di fianco e gli uccelli dei due ragazzi si ficcarono tra le sue cosce. Le
cappelle si strofinarono tra di loro. La fica di Iatata li pisciò entrambi. Loro avevano
in testa di ficcare lo strumento insieme nella fica di lei. Ma non sapevano da dove
iniziare. Lei li voleva e basta.
Allora i ragazzi iniziarono a puntare la propria cappella contro la fica di lei. Una volta
la trasia uno. Una volta l’altro. E lei sospirava in modo diverso, come in un gioco
prestabilito. Se trasia Ben facia “Ihhhhh… “, se trasia Pompeo facia “ Uhhhh….”. E
loro stettero a quel gioco improvvisato. E ogni volta trasivano di più. Fino a quando
si presentarono entrambi all’ingresso.
E lei fici “ Ehhh…”. Iniziarono ad entrare insieme .Pronti a smettere se lei lo
chiedeva. Invece a sorpresa lei disse:
<< Trasite tutt’e due, trasite per carità, trasite tutto dentro.>>
E loro entrarono. La fica di Iatata li ricevette entrambi. Nonostante fossero due belle
minciazze. Uno trasiva, l’altro usciva. La sensazione delle due minchie che si
toccavano era bella e piacevole per entrambi.
<< E’ bello essere chiavata da due cazzi..>> disse lei
<< E’ bello scopare in compagnia. Sentire la mia minchia che si strofina con un’altra
minchia.>> precisarono i ragazzi. Alla fine vennero. L’orgasmo fu trino.
<< Vi amo..>> disse la ragazza.
<< Anche noi..>> risposero i ragazzi.
<< Ti amo.. >> dissero tutti insieme. E si diedero un complicato bacio a tre.
Poi si riposarono e Iatata raccontò quello che aveva appreso su nonna Concettina.
Compreso il suo passato di buttana nei casini romani. Col nome d’arte di Simona. E
la carriera fatta poi, tanto da dirigere un casino di stato . O meglio, un casino di
regime. Fino al rientro a Monacazzo e il ritorno a una vita semplice e normale.
Stava albeggiando quando Iatata chiese di vedere come si erano consolato in sua
assenza. Ben e Pompeo glielo mostrarono. Senza censure e omissioni se la misero nel
culo con passione. Dichiarandosi il loro amore. Questo riaccese il desiderio nella
bocca del culo di lei.
<< Voglio essere inculata.. >> disse.
I ragazzi l’accontentarono. Uno alla volta però. Per dovere di ospitalità iniziò
Pompeo che a sua volta fu inculato da Ben. Poi si scambiarono le parti.
Successivamente, mentre i cugini incestuosi dormivano, Pompeo dedicò una bella
composizione a Simona, il nome d’arte di Concettina Inconsolata Cazzamari per fare
la buttana.
Questa la composizione dedicata a Simona.
Quanno a Roma imperiava Mussolini
mamma mia bella lavorava nei casini.
Lo faceva per il bene dell’impero italiano,
per lo sfogo dei soldati dell’impero puttano.
Era pure al seguito della marcia su Roma:
burini, fantini, le altre e lei, Simona.
Era pure l’amante di uno der mazzo:
lui regnava sulla polizia, lei sur suo cazzo.
Era sul palco d’onore d’ogni manifestazione,
non temeva nessuno, era un cervellone.
Così fu incaricata di organizzare i casini di stato,
per il bene, la salute e lo sfogo dell’eroe soldato.
Ed ecco nascere il primo casino del “ cazzo imperiale “.
A Roma, in una traversa di via Nazionale.
Sulla grande insegna, sistemata tra due portoni,
un cazzo sproporzionato con tre coglioni.
Qui Simona dirigeva il traffico degli amplessi
tra zoccole rispettose e fascisti stupidi e fessi.
C’erano pure dei reparti speciali, riservati.
Per dirigenti, podestà e alti.. alti prelati.
Ognuno di questi signori era catalogato,
ogni loro discorso veniva registrato.
Così tra infinite fottute e altrettanti pompini
il regime spiava i suoi stessi aguzzini.
Così si sapeva che il signor tale preferiva il coito orale,
che un ministro inculava al suono della “marcia reale”,
che un alto prelato fotteva gridando “ Dio sia lodato”,
e che un principino inculando voleva essere inculato.
Insomma, si sapeva chi erano i fedeli e chi i farabutti,
e il regime la dava un po’ in culo a tutti
Poi l’organizzazione si estese a tutto in neo impero romano,
e lei, novella Poppea , regnava con il cazzo in mano.
In quanto a me sarei figlio di un certo cardinale,
ma non è escluso che sii figlio di qualche altro tale.
Alla fine della guerra mamma sposò un conte decaduto
e brindò alla faccia del regime che s’era trovato fottuto.
Una volta che a Roma non imperiava più Mussolini
mia madre non lavorava più nei casini.
Quel tale era morto ammazzato a la pompa della benzina
mentre l’Italia era ridotta a una grande rovina
dove regnavano miseria , morte e devastazione
frutto di vent’anni di potere nelle mani di un coglione.
D’altra parte, con l’avvento de regime demo- clericale,
Mamma divenne presidentessa di una organizzazione sociale:
si occupava un po’ di tutto, dai bambini abbandonati
ai vecchi, ai vedovi, agli infermi e pure di matti e sbandati.
Da tutti era adorata , da tutti era temuta.
Nessuno osava più dire che fu una prostituta.
Alla morte un grande e lussuoso funerale,
la messa solenne, in duomo , celebrata da un cardinale.
Fra le tante corone, quella del capo ello stato,
in quanto al Vaticano anche lui era rappresentato.
Sulla lapide fu scritto “Qui giace Badalamenti Simona,
esempio fulgido di donna virtuosa, pia e buona.”
O compagno, giù la zappa; scappa scappa!
Conosci tu ladroni peggio dei padroni?
P. Bettini
Mi stupisco non di coloro che cercano di spiegare l’incomprensibile,
ma di coloro che credono di aver già trovato la spiegazione.
G. Flaubert
SEDICI : ER CORNUTO
Si vergognano gli uomini, degli atti sessuali, tanto che anche i rapporti
coniugali, pur distinguendosi per la dignità dello stato matrimoniale, non
sono mai esenti di vergogna.
San Tommaso
Li corna d’oro sunu sempri nu tesoro..
Li corna pizzenti fanu sulu parrari la genti.
La mattina del primo maggio, in attesa di Nikj Sciò, i ragazzi fecero una gara di
battute in latino vero o maccheronico. Queste le più belle.
<< Penis erectus coscientiam non habet..>>
<< Masturbator non fecit liberos…>>
<< Si in deserto eris et puellam non habueris et camellum non inverenis, bugicto in
terra facto incula mundum…>>
<< Masturbatio mattutina est plus bona quam medicina..>>
<< Non exagerare cum segis et ditalinibus..>>
<< Noli mingere contra ventum si non habes paraventum..>>
<< In amore cave amicam..>>
<< Masturbatio repetita trisboratio manifesta..>>
<< Post coitum omnia animalia tristia solus gallus cantat..>>
<< Deprendi modo pupulum puellae trusantem: hunc ego protelo rigida mea
cecidi..>>
<< Mentula…de meo ligurrire libido est..>>
<< Huc est mens deducta tua culpa atque .>>
Il primo maggio venne Nikj Sciò. Il pittore che aveva patito sotto il fascismo per due
motivi. Fare arte degenerata ed essere frocio. Lui e il suo Alessjo erano stati
minacciati da quei coglioni in camicia nera.
<< E il capo di quei coglioni, il coglione capo, era quel testa di cazzo di mio fratello
Calogero Incardasciò....>> disse ai ragazzi che ascoltavano incantati quell’intreccio
d’amore e arte che era la vita del più famoso figlio di Monacazzo.
<< Sono omosessuale e non mi vergogno di niente… lo era Giove .. lo erano Apollo..
Achille… Alessandro Magno.. Cesare.. Michelangelo che scriveva lettere d’amore a
Tomaso de Cavalieri.. e ancora Leonardo .. e qui mi fermo perché non voglio fare
l’elenco telefonico dei froci della storia… Poi ho fatto un figlio con una amica che
oggi è mia moglie.. io e il mio Alessjo facevamo sesso a tre, con la speranza di avere
un figlio insieme.. e questo figlio è Alex.. oggi so che è mio, ma allora era solo un
dono d’amore.. poteva essere mio come di Alessjo.>>
Nikj cito pure Orazio “Già prima di Elena la fica fu causa orrende di guerre “. Parlò
degli amori di Eracle e Iolao, Teseo e Piritoo, Achille e Patroclo, Oreste e Pilade e
altri ancora. Citò Eschilo. “ la sacra comunione delle cosce”. Parlò di Apollo e dei
suoi amanti: Giacinto, Ciparisso e Admeto. Parlò di Platone e del concetto di “ phlìa
dià tòn érota” , ovvero di amicizia che nasce dall’amore.
<< Il cazzo e il culo, cari miei, non lo furono mai e mai lo saranno.>> disse poi
convito Nikj.
Raccontò che all’inizio, vista la differenza di età, tra lui e Alessjo, il loro era stato il
classico rapporto greco tra erastes ed eromènos , tra amante e amato, ma poi col
tempo si era trasformato. Erano diventati solo amanti.
Nikj passo la notte all’interno della scuola occupata e insieme ai ragazzi dipinse un
murales rivoluzionario. Una sorta di Giudizio universale laico.
Nella sala d’ingresso raffigurò una serie di rivoluzionari con le bandiere rosse.
C’erano Cristo, Platone, Apollonio di Tiana, Marx, Bakunin, Garibaldi, Darwin ,
Galileo, Voltaire, Diderot, Lenin, il Che, Mao, Castro, suo figlio Alex , Pompeo, Ben
e Iatata e altri… Ci si mise, su richiesta dei ragazzi, anche lui . E aggiunse Alessjo.
E su richiesta dei ragazzi pittò pure Eusebia Ferretti, per la rivoluzione sessuale,
Tonino Incardasciò, per la rivoluzione politica, Calogero Bellarmino - Gugliotta per
la rivoluzione critica e libertaria. Tutti nudi e con la bandiera rossa. E al vento pure
gli stigghioli. E sotto i loro piedi, in una sorta di inferno laico, preti e coglioni vari.
Nudi anche loro. Si riconoscevano padre Augustin, padre Ciollardente , padre
Cacaceddu, le tre sorelle Stoccacitrolo, la santa botanica e autri scassacazzi e
rompicoglioni autorizzati di Monacazzo.
La sera del tre maggio una mano anonima consegnò un pacco. Era indirizzato a Ben,
Iatata e Pompeo. Dentro c’era una bobina. Di quelle fatte in casa. Un biglietto scritto
a stampatello diceva. FILMATO SULLE TRE SIGNORE MINCHIATRINA. DA
VEDERE TUTTO.
I ragazzi capirono che era qualche sceneggiata di quelle che si fanno a casa per
lasciare un ricordo ai posteri. Qualche compleanno o roba simile. Comunque
montarono la bobina e diedero il via alla proiezione. Infatti era un compleanno. Era la
festa dei cinquant’anni del dottor Minchiatrina. Una festa strana , non c’erano invitati.
Erano loro quattro, nella villa di campagna del dottore. C’era il tavolo tutto bello
apparecchiato e la cinepresa in posizione fissa. E i quattro che mangiavano.
<< Basta.. e una cagata..>> disse qualcuno.
<< Distruggete quella porcata ..>> disse qualcun altro.
<< Affanculo alle tre sorelle Stoccacitrolo e al citrolo del dottore Minchiatrina. >>
disse un altro. Anche Ben , Pompeo e Iatata si stavano scassando i coglioni. Quel
filmato era una cagata mastodontica.
Ma all’improvviso la scena si animò. Purtroppo non c’era il sonoro. La tre sorelle
Stoccacitrolo si misero a ballare in modo sensuale. Sculettavano e sia annacavano le
minne. Facevano la mossa. E il dottore si mise a ballare con loro. E loro
incominciarono a spogliarlo. Ci scippanu la cammisa, li causi, la canottiera e lu
lassanu cu li mutanni. E sutta li mutanni paria ca c’era na bestia.
<< Forse il dottor Minchiatrina teneva veramente tre minchie.>> si chiese qualcuno.
In platea c’era il massimo silenzio. Un religioso silenzio. Tutti avevano capito che
quello era un documento di particolare importanza. Le tre ammuccaparticoli e
cacadiavoli erano invece delle grandi minchiofile. Tutti taliavano e volevano vedere
dove minchia andava a parare quel filmato. Che sicuramente qualcuno aveva rubato.
Perché la cinepresa era su posizione fissa. E loro, i protagonisti, si esibivano sapendo
sempre dove taliare. E infatti la sorpresa arrivò. E fu esplosiva. Il dottor Minchiatrina
era rimasto solo avanti alla cinepresa. Solo e in mutande . Ma taliava la cinepresa con
uno sguardo fisso. Uno sguardo erotico pieno di pititto come quello che teneva
dentro le mutande e che rischiava di esondare, tracimare, sciri fora. E infatti sciu la
cappella del dottore, si affacciau. Anche lei paria taliare verso la cinepresa. In realtà
la minchia e la faccia del dottore taliavano oltre la cinepresa. Dove stava succedendo
qualcosa di bello. Qualcosa che veniva messo in atto dalle sorelle Stoccacitrolo.
Sicuramente uno spogliarello. E così stava la situazione. Perché all’improvviso tre
femmine nude comparvero . Ma erano di spalle. Comunque erano le tre sorelle. Si
avvicinarono al dottore e ci scipparono le mutande.
<< Ohhhh..>> fecero maschi e femmine. Il dottore Minchiatrina non aveva tre
minchie, ma teneva un cazzo scicchignu che era veramente un capolavoro della
biologia. Nessuno dei ragazzi, neanche i più dotati, poteva fare concorrenza a quella
bestia. Ecco perché il dottore riusciva a soddisfare tre femmine. E le tre femmine,
una volta scippate le mutande la dottore, iucanu un po’ con quell’aceddu e poi si
misunu a sucari. In tre. Ma ci stava materiale sufficiente. Il filmi finì col dottore che
sputava simenta sulle facce delle sorelle Stoccacitrolo.
<< Minchia..>> dissero tutti.
<< Le sorelle Stoccacitrolo lo sanno stoccare….>>
<< Al dottore ce lo stoccano con la bocca.. a noi ce lo stoccano in culo..>>
<< Questo lo prendiamo in consegna io e Pompeo. Poi vedremo che uso farne.
Domani lasceremo la scuola. Ci sta aria di rivoluzione. Dobbiamo scendere in piazza.
Col popolo, con gli operai e i lavoratori, contro i padroni affamatori..>>
In piazza. E intanto cantarono “Contessa.”
A maggio scoppiò la rivolta francese. Parigi insorse contro i benpensanti, i moralisti,
i conservatori. Le barricate del liberalismo sorsero spontanee. Anche in Italia
successe un sessantotto. A Monacazzo la scuola fu sgomberata dalla polizia. Ma era
già vuota. Trovarono tutto a posto, in ordine, pulito. A parte una raccolta di
profilattici usati sulle scrivanie delle tre presidenza, i ritratti di Marx al posto dei
crocefissi, e lo scheletro sistemato all’ingresso con le tre minchie di plastica. Per il
resto era tutto in ordine. Tutto, tutto, tutto.
Ma la protesta interna passò, si spostò sulle piazze. Operai e contadini si unirono agli
studenti. Le barricate si svilupparono anche nel profondo sud. Ciccio Cicidda si intisi
in pericolo. Padre Ciollardente pensò alla rivoluzione francese e a quella russa, e si
sentì straminacciato. Padre Cacaceddu si immaginò in qualche prigione del popolo .
E si sentì quasi pronto ad andare davanti a un tribunale laico. Per essere condannato e
diventare un martire.
Le sorelle presidi Stoccacitrolo presentarono una denunzia contro ignoti per “ furto
dei sacri crocefissi, offesa alla loro dignità per la volgare e insinuante messinscena
dello scheletro con tre organi genitali e per aver trasformato l’edificio scolastico in un
lupanare.”
Come prova e conferma di ciò consegnarono uno scatola piena di profilattici usati. E
un pacco di giornali porno scritti in tedesco.
<< Sono proprio ingrasciati , assai ingrasciati sono, maresciallo caro.. ci sono
marrugghiazzi al lavoro che parunu colonne di chiesa e fimmini in cauro che si li
fanno piazzare dove capita capita.. e non dico di più perché mi vergogno.. mi affrunto
come una picciridda innocenti…>> disse Cirina Stoccacitrolo.
<< Avete ragione, presidentessa cara . E una virivogna…>> disse il maresciallo
Mezzocazzone che dentro di sé rideva per la storia dello scheletro con tre minchie.
Tutti sapevano che le tre sorelle erano le mogli del dottore Minchiatrina.
Poi venne fuori la ricevuta e si scoprì che i crocefissi erano stati spediti al papa in
persona. Della cosa si occuparono i giornale con giudizi diversi. L’impressione fu
che era iniziata una nuova campagna per la libertà d’opinione e la laicità dello stato.
In Italia c’erano ancora la censura, la religione di stato e mancavano il divorzio e
l’aborto. C’era insomma la dittatura cattolica. E l’Europa rideva di noi.
Intanto che a Monacazzo infuriava la protesta di piazza, padre Ciollardente si
presentò a scuola con il cugino sacrestano e incensò, benedisse e esorcizzò tutte le
aule e gli uffici di segreteria . In ogni aula recitò la formula:
<< Qua ci stanno lu spiritu di cunnu e di cicidda..
iti fora pi sempri, diavulu e diavulidda…>>
Con particolare cura, assistito dalle sorelle Stoccacitrolo in abito da cerimonia,
purificò le relative presidenze. Padre Ciollardente trovò scandaloso l’affresco di
Nikj.
<< Chiddu è porco di matri natura.>> disse.
Padre Ciollardente si scandalizzò assai assai per il murales. Si riconobbe e chiese
ufficialmente di cancellarlo. Le presidi ci tenevano a quell’opera d’arte. Poteva
diventare una attrazione turistica. Lurdu o no , era un murales di Nikj Sciò. E questo
nonostante ci fossero loro tre nude.
<< Ci poteva mettere pure il nostro maritino.>> aveva detto Cirina la prima volta che
aveva visto il murales.
<< Certo che poteva.. col suo cicione avrebbe fatto una bella comparsa… lui e noi
pure.. >> aveva detto Alfia.
<< Noi che siamo le amministratrici uniche di quel capolavoro di minchia.>> aveva
aggiunto Filadelfia.
Ma alla fine, nonostante fosse un murales di Nikj Sciò, si impegnarono per una
imminente cancellazione. Padre Ciollardente era peggio di quegli stupidotti che
avevano messo le mutande al giudizio di Michelangelo. Almeno avevano messo le
mutande soltanto. Qua si prometteva la cancellazione totale. Non un nuovo
Brachettone, ma un cancellatore doveva quanto prima entrare in azione.
La domenica successiva padre Ciollardente parlò di quella porcheria del murales. E
chiese di pregare per l’autore. E per i suoi collaboratori. Raccontò pure che la scuola
era diventata una novella Sodoma e Gomorra. Pertanto si doveva pregare per i
peccatori. Raccontò che erano stati trovati parecchi strumenti del demonio come tanti
profilattici, tra l’altro usati, e dei giornali di una oscenità che vedendoli aveva pianto.
Pertanto bisognava pregare anche per coloro che avevano procurato quel materiale. I
cappottini di plastica e il giornali osceni. Il cugino sacrestano invece si alliccò il
musso. Se n’era fottuto uno e lo teneva nascosto, niente a che vedere con i giornali
che vendevano in Italia. Qui c’era tutto e il contrario di tutto. E soprattutto si vedeva
tutto. E lui su quel giornale esercitava la sua arte minatoria. Intanto il parrino
elencava le sue argomentazione e chiedeva di pregare per tizio o caio.
<< Preghiamo per l’artista che pittò quello scandalo..>>
<< Amen..>> rispondeva la gente.
<< Preghiamo peri suoi peccati presenti , passati e futuri…>>
<< Amen..>>
<< Preghiamo per tutti i peccati della carne secondo natura commessi lì dentro..>>
<< Amen..>>
<< Preghiamo per chi ha commesso peccati della carne anche contro natura....>>
<< Amen….>>
<< Preghiamo per chi ha praticato l’arte di Onan..>>
<< Amen..>>
< Preghiamo per chi accattato quelle porcherie di plastica..>>
<< Amen..>>
<< Preghiamo per chi li usò.>>
<< Amen..>>
<< Preghiamo per chi procurò quei giornali del diavolo..>>
<< Amen..>>
<< Preghiamo per chi li fece…>>
<< Amen..>>
<< Per chi li stampò..>>
<< Amen…>>
<< Per chi li taliò..>>
<< Amen..>>
<< Per chi li usò…>>
<< Amen..>>
Tutti rispondevano amen , tranne il cugino sacrestano. Lui rispondeva sempre “ ma
minu.. ma minu.. ma minu..” Alla fine il prete annunciò il matrimonio di Micio
Tempio e di Kosetta Fikaminkianova. Tutti si taliano nelle balle degli occhi.
<< Vero? Si maritano ? In chiesa? Veramente? Sicuro ?>> queste le domande che i
monacazzesi si fecero con gli occhi o sottovoce.
Padre Ciollardente, come interpretando il pensiero dei suoi fedeli, disse.
<< Sì. Si mariteranno in questa chiesa il venticinque luglio prossimo…>>
E nel dire ciò ebbe una erezione spontanea. Il suo trionfo ideologico si concretizzava
in quell’erezione. Era doveroso ricorrere a una parrocchiana e alla sue amorevoli curi.
Ai moti di piazza partecipo anche Alex Incardasciò, il figlio di Nikj Sciò. E guidò la
rivolta con capacità e classe da rivoluzionario che sapeva cosa minchia fare quando
c’era un problema. Con lui era un bella fregna tedesca che per la rivoluzione aveva
l’istinto scritto nel DNA.
Ai primi di giugno tutto finì.
<< Anche le rivoluzioni vanno in vacanza..>> commentò Ciccio Cicidda.
<< È tempo di mare.. la rivoluzione può aspettare.. settembre…>> dissero le sorelle
Stoccacitrolo.
<< Se ho convertito Micio Tempio.. Convertirò anche loro..>> disse Padre
Ciollardente.
Gli esami di stato andarono bene. C’era stata una sorta di grazia imposta dall’alto. Il
presidente della commissione del geometra era un notorio cornuto di un paese vicino.
Fece poche domande e si immischiò picca. Ci piaceva cazzuliare, abbabbiare. Il
presidente era si un cornuto notorio, ma era grande grandissimo uomo di cultura. Ma
anche uomo d’ordine. Per lui i moti di piazza avevano svalutato tutto. La vita adesso
era quasi una barzelletta, e tutto era di conseguenza diventato una barzelletta. Anche
la scuola.
<< Oramai non si imparava, si cazzeggiava.>> Questa era la sua idea fissa.
Quella del liceo era la signora del primo, e se quello era un cornuto, la moglie poteva
essere solo una cosa. E lo era.
Ben prese sessanta. Parlò del tragico pessimismo leopardiano e lo contrappose al
gioioso splinni baudeleriano . Parlò della vita grama di Leopardi e la paragonò a
quella felice e gaudente di Verlaine e Rimbaud. Tra L’infinito e I fiori del male , per
lui, erano migliori questi ultimi. Discusse molto su la “VENERE ANADIOMENE” di
Rimbaud.
<< Come da un verde feretro di latta, una testa
di donna dai bruni capelli molto impomatati
da una vecchia tinozza si erge, lenta e balorda,
deficiente e male in arnese;
poi il collo grasso e grigio, le scapole larghe
e sporgenti; le strette spalle gobbe e storte;
i fianchi tondi che sembrano spiccare il volo,
e sotto la pelle affiora il grasso in piatte falde.
La schiena è arrossata, il tutto ha un gusto
orribile e bislacco; si nota soprattutto, qualche
particolarità da osservare con una lente,
due profonde parole incise sulle reni: Clara Venus.
E tutto il corpo si muove e allarga il grosso buco
disgustosamente bello per un'ulcera all'ano.>>
Discusse molto del “ buco “ nella letteratura.
<< Ma a dire il vero >> disse . << Io preferisco la giocosità dei sonetti del mio amico
Pompeo Sorcaealtro.>>
E fece una colta disquisizione sull’opera dell’amico. In particolare citò anche
Pasolini, il più grande poeta , cineasta e scrittore del dopoguerra. E citò un poesia che
l’amico aveva dedicato al sommo poeta.
Poi parlò di topografia. E di cose del geometra. Materie tecniche.
Pompeo prese sessanta. Parlo della morte di dio e del superuomo. E fece un
escursussu che lasciò i professori a bocca spalancata. Parlò poi del laicismo e della
libertà nella letteratura e nell’arte. Citò un quadro di Courbet, che sicuramente un
giorno sarebbe stato pubblicamente esposto, e che si intitolava L’origine del mondo.
E con l’idea di libertà arrivò a citare l’eretico autore locale che con il suo ultimo
lavoro aveva esaltato l’anatomia femminile. “Sticchio glorioso” era il titolo del
lavoro. Ma Pompeo , senza citare il titolo e senza nominare la parte interessata, fece
una bella disquisizione erotico - sessuale- artistica. E parlo dell’importanza che quella
cosa aveva avuto nella letteratura. Dalla “cosa” di Elena di Troia alla “cosa “ di
Moravia passando per la “cosa” di Dulcinea che faceva sempre attisare la “ lancia” di
Don Chisciotte, , della “ cosa “ di Beatrice che metteva l’alloro del poeta sul “ coso”
di Dante alla “ cosa “ di Laura, di Silvia, di Ofelia, della locandiera, di Lucia
Mondella. Perché il mondo firriava attorno a quella “ cosa”. Quella “cosa” era il
mondo che firriava intorno all’asse terrestre. Ma l’asse terreste era di carne e teneva
una altro nome. E Moravia ci dialogava. Ma parlò tanto anche di Satana. Perché la
“cosa” e il “coso” secondo molti erano l’incarnazione di Satana. Prima , durante e
dopo il Boccaccio, la” cosa “ era l’inferno e il “ coso” il diavolo. Citò a memoria la
bellissima “ LE LITANIE DI SATANA” di Baudelaire.
<< Oh tu, che sei il più bello e il più sapiente degli Angeli, Dio tradito
dalla sorte, spogliato d'ogni lode.
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Principe dell'esilio, cui è stato fatto torto, e che ti rialzi, vinto, sempre più forte.
Satana, abbia pietà del mio lungo penare!
Tu che conosci ogni cosa e regni sul sottosuolo, guaritore abituale delle angosce
umane.
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
O tu che anche ai lebbrosi, ai paria maledetti, per mezzo dell'amore insegni il gusto
del Paradiso.
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu che dalla Morte, tua vecchia e forte amante, generasti la Speranza, affascinante
folle!
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu che dai al proscritto lo sguardo calmo e altero, che danna tutto un popolo intero
attorno ad un patibolo.
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu che sai dove, in quali angoli delle terre invidiose, Dio, geloso, ha nascosto le tue
gemme,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu, il cui occhio limpido sa gli arsenali profondi in cui, sepolto, dorme il popolo dei
metalli,
Satana abbi pietà del mio lungo penare!
Tu, la cui lunga mano nasconde i precipizi che s'aprono al sonnambulo vagante
sull'orlo delle cose,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu che, magicamente, addolcisci le vecchie ossa del nottambulo ubriaco calpestato
dai cavalli,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu che per consolare l'uomo debole che soffre, ci insegnasti a mischiare lo zolfo col
salnitro,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu che imprimi il tuo marchio, complice sottile, sulla fronte dell'impietoso e vile
Creso,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Tu che poni negli occhi e nel cuore delle ragazze il culto della piaga, l'amore dei
cenciosi,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Sostegno degli esuli, luce degli inventori, confessore degli impiccati e dei cospiratori,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Padre adottivo di tutti coloro che con nera furia Dio Padre ha cacciato dal paradiso
terrestre,
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!
Preghiera
Siano gloria e lodi a te, o Satana, nel più alto dei cieli, dove tu regnasti, e nelle
profondità dell'Inferno, dove tu, vinto, sogni in silenzio! Fa' che un giorno la mia
anima riposi presso di te sotto l'Albero della Scienza, nell'ora che sulla tua fronte i
suoi rami come un nuovo Tempio s'intrecceranno!>>
Iatata prese sessanta. Parlò del divo Gabriele e dell’idea del Piacere che poi estese ad
altri campi.
<< Perché il piacere è come una sfera della quale noi occupiamo il centro.>> disse
Iatata. << Ma è anche una sfera che occupa il nostro centro. Noi siamo circoscritti e
inscritti in una sfera di piacere. Pertanto, se vogliamo godere, ci sta sempre la
direzione giusta per godere. Ci sono, in ogni momento, le coordinate giuste per
godere. Si tratta di saperle calcolare. Calcolare la latitudine e la longitudine del
piacere è comunque sempre possibile. Perché noi abbiamo lo strumento adatto:
l’organo sessuale. Quando la mentula o il cunnus ci lanciano il segnale , quello è il
momento giusto. E non bisogna scandalizzarsi se il segnale è dovuto a un organo
sessuale dello stesso tipo del nostro. O anche a più di un organo sessuale. Il sesso, in
fondo, è solo e sempre conoscenza. Matemata. Conoscenza totale. E dal punto di
vista biologico è solo e soltanto una esigenza come il mangiare, il bere, il dormire, il
defecare, il pisciare. È solo una esigenza corporea, fisiologica, ormonale. >>
Poi parlò del sacro e del profano. Citando la bellissima “A UNA MADONNA” di
Baudelaire.
<< Ex voto di gusto spagnolo.
Voglio innalzare per te, mia Madonna, mia amante, un altare sotterraneo nel profondo
della mia disperazione, e scavare, nell'angolo più nero del mio cuore, fuori dal
mondano desiderio e dall'occhio schernitore, una nicchia smaltata d'oro e d'azzurro
ove tu possa ergerti, Statua piena di stupore. Coi miei versi lucenti, intrecciati d'un
puro metallo, con sapienza costellato di rime di cristallo, porrò sul tuo capo una
grande corona; e nella mia gelosia, o mortale Madonna, ti taglierò un Mantello, di
gusto barbarico, rigido e pesante, foderato di sospetto: così che, come una garitta,
chiuda le tue grazie. E non sarà ornato di perle, ma di tutte le mie lagrime! La tua
Veste sarà il mio desiderio, fremente, ondulante, il mio desiderio che sale e scende,
che si culla sulle cime, si riposa nelle valli, e copre d'un bacio tutto il tuo corpo
bianco e rosa. Ti farò, col mio Rispetto, delle belle Scarpe di raso, umiliate dai tuoi
piedi divini: imprigionandoli in una molle stretta, ne conserveranno l'impronta come
uno stampo fedele? Se io non posso, malgrado la mia arte diligente, farti sgabello
d'una Luna d'argento, porrò almeno il Serpente che mi morde i visceri sotto i tuoi
piedi, affinché tu calpesti e schernisca, Regina vittoriosa e feconda di redenzioni,
questo mostro gonfio di odio e di sputi. Vedrai i miei Pensieri, disposti come i
Ceri dinanzi all'altare fiorito della Regina delle Vergini, costellando di riflessi il
soffitto dipinto in azzurro, guardarti fissamente con degli occhi di fuoco: e poi che
tutto in me ti ammira e ti ama, tutto si farà Benzoino, Incenso, Olibano, Mirra; e
senza posa verso di te, vetta bianca e nevosa, in Vapori s'innalzerà il mio Spirito
tempestoso. Infine, per completare la tua figura di Maria, e per mischiare amore e
barbarie, nera Voluttà, farò, boia pieno di rimorsi, dei sette Peccati capitali sette
Coltelli ben affilati, e come un giocoliere insensibile, prendendo il più profondo del
tuo amore come bersaglio, li pianterò nel tuo Cuore ansimante, nel tuo Cuore
singhiozzante, nel tuo Cuore ruscellante.>>
Conseguirono la maturità anche gli altri. Non ci furono bocciati nell’anno gloriosus
1968.
La sera della pubblicazione dei risultati Ben , Pompeo e Iatata la passarono a fare
cazzicatummuli d’amuri sulla sabbia. Passarono infatti la notte su una spiaggia
deserta dalle parte di Vendicari.
I ragazzi maturati decisero di festeggiare la fine degli esami con uno spettacolo in
piazza. Volevano proiettare un documentario sull’occupazione. Ottenuto il premesso ,
organizzarono la serata. Il venti luglio nella piazza principale di Monacazzo. C’erano
anche i C.C. Pirlabon, Mezzocazzone e Purceddu. Oltre ad altri. C’erano anche dei
vigili urbani. La gente curiosa riempì la piazza. E pensavano di vedere cose
peccaminose. In effetti Giovanni Lampaestampa, il figlio ragioniere del fotografo,
aveva girato del materiale. Ma niente di particolare. Si vedeva qualcuno in mutande.
Ma niente di piu. Si vedeva anche l’inizio della sfilata di minchie. Ma da lontano.
Appena il pareo di Ben e Pompeo cadeva la scena cambiava. E dal fondo del teatrino
della scuola non si capiva se quelli erano nudi o con le mutandine. La gente taliava
curiosa. Si vide pure lo scheletro con tre minchie. E si lessero i nomi delle tre sorelle.
La piazza rise e alla grande. Il filmato finì con una sorpresa . Due culi in primo piano
e della piscia che cadeva sul banano della preside. Ma non si vedevano le facce dei
piscianti e neanche le loro ciolle impegnate nella biologica funzione della minzione.
Il pubblico rise a vedere quei culi. Qualche spiritosa amata minchia gridò:
<< Minchia chi culu beddu.. ci ficcassi lu me aceddu.>>
N’autro cantò “ Scende la pioggia”.
<< Chi è birra caura? .>> chiese n’autro.
<< Adesso va in onda il secondo tempo. Ed è molto più interessante.>> disse un
ragazzo al megafono.
E partì il filmato delle sorelle Stoccacitrolo. I ragazzi si allontanarono. La gente capì
subito che quello non era un filmato sull’occupazione , ma un filmato privato del
dottore Minchiatrina. Tutti taliavano curiosi. Il filmato era stato rimontato. Iniziava
col dottore che ballava in mutande da solo.
<< Nudo.. nudo.. nudo.. vogliamo vedere i tre aceddi..>> gridarono dei sdisanorati
che erano in piazza.
I carabinieri e i vigili urbani non sapevano che cazzo fare. Il dottore continuava a
ballare sullo schermo. In mutande. E si vedeva uno strano gonfiore. Qualcuno gridò:
<< Tri sono. Oppure è una proboscide di elefante.>>
I carabinieri si avvicinarono al proiettore. Pronti ad intervenire se vedevano cose
strane. Ma non succedeva niente. Il dottore ballava e basta. Ballava in mutande. Ma a
dire il vero si vedeva la coppola dello zio Vincenzo del dottore. Ma siccome era un
filmato di quelli amatoriali l’immagine non era bella netta e la gente non ci fece caso.
Solo il maresciallo Pirlabon, che era sotto il palco, notò la cosa. Ma all’improvviso
comparvero tre donne nude . Di spalle. Le facce non si vedevano ma tutti capirono
che erano le sorelle Stoccacitrolo.
<< Dai, forza.. stoccate il citrolo al dottore.>> gridò qualcuno.
Il C.C. Pirlabon salì sul palco e di corsa. Capì che stava per succedere qualcosa di
brutto. E diede una pedata al proiettore proprio nel momento in cui le sorelle
scippavano le mutande al dottore . Fu un lampo. Non tutti si resero conto che quella
cosa che passò veloce sullo schermo era la minchia del dottor Minchiatrina. Tanti
videro e non videro. Capirono e non capirono. Compresero e non compresero.
<< Ma chidda bestia era nu pupazzo o era di lu dutturi lu cazzu?>> si chiesero in
tanti.
<< Ma la viristru la bestia .. fu nu lampu, ma si visti…>> dissero altri.
<< Nenti ci capii.. chi minchia cumpariu all’ultimo momento?>> si chiesero la
maggior parte delle persone che erano in piazza.
<< Minchia.. lu dutturi teni na minchia quantu a chidda di lu sceccu..>> dissero i
pochi che videro chiaramente.
Tra i presenti Nicola Cannolo con Tonina e Ninetta, padre Ciollardente e padre
Cacaceddu, l’avvocato Cicidda con la moglie, Cepito e Tuzza e tanti altri. Non
c’erano, per loro fortuna, le sorelle Stoccacitrolo. E naturalmente neanche il loro caro
maritino comune. Il materiale fu sequestrato.
Intanto che i C.C. facevano il loro lavoro, i maturati, con le macchine a disposizione,
partirono per Noto. A fare un bagno notturno. Nudi e al buio.
E nell’acqua ne successero di tutti i colori. Ci mancò poco che il mare e i pesci della
zona scisseru incinti. E che quel seme versato nell’acqua si issi ad infilare nel buco di
qualche carusa e la facissi addivintari madre di un picciriddo di simenta ignota.
Quella fu l’orgia finale. Dopo cinque anni di carcere nelle galere delle sorelle
Stoccacitrolo, quella era e fu l’orgia della libertà.
La sera successiva ci fu la prima della divertente commedia intitolata
Crisochoiropsàles . ( Colui che tocca la vulva ricca) di Micio Tempio . La commedia
aveva per protagonisti i fratelli Bastiano e Paolo Mentularanni ed era ambientata
nell’antica Munipuzos. Narrava di due fratelli itifallici che amavano cazzeggiare . E
per poterlo fare vita natural durante circavano un pacchio ricco. Anzi, una moglie
assai assai ricca. Magari laria ma senz’altro ricca. E la trovavano in Cunnedda
Cunnodoro. E per lei, o meglio, per i suoi soldi, entravano in competizione.
<< La vuogghiu pi mugghieri e no pi lu piaceri.. perché poi di cunnu è chinu lu
munnu..>> diceva uno dei protagonisti.
Ma la femmina alla fine si marita un terzo uomo, Carmelo Ciaciapotente. Tanto per
avere nu marrugghiu in servizio.. garantito.
<< Nu maritu è miegghiu di nu itu.. che poi stu munnu pazzu è cinu di cazzu...>>
dice alla fine la protagonista.
Lo spettacolo, per la regia del veneziano trapiantato a Canicattini, Giorgio Baffo,
apriva la rassegna “ Teatro per le notti di mezza estate “ al teatro greco di
Monacazzo.
Il successo fu grande. Nonostante il tema. Ma in tanti a Monacazzo avevano il vizio
di circarisi na mugghieri ricca. Magari laria ma ricca.
<< Tantu cu è minchia ricca, trova sempre nu sticchiu pi fari ficca ficca . >>
dicevano i mariti che più che taliare la fimmina e le so biddizzi avevano taliato il suo
conto in banca o le sue proprietà immobiliari.
Feroce il commento di Giorgio Baffo.
<< Xé paese gran bordeo e casin... mandan giù ostie e caghen diavulin..>>
Ma poi riflettendo il veneziano disse:
<< No ghe carne senz’osso ghe sia bona ne casso senza mona .
Ma se la mona ghe piena de quatrin ghe entra megio il minciulin..>>
Anche l’autore commentò sarcastico:
<< E’ sempre bello con la moglie fare ficca ficca.
Ma si ficca meglio se la moglie è ricca..>>
Sul presidente policornuto Pompeo dedicò un bel sonetto intitolato “ ER
CORNUTO”.
A faccia de sor Peppino er cornuto.
Mica a corpa è tutta sua , cazzo.
E omo de gnente, carne da strapazzo,
in vita è stato sempre un fottuto.
Io, quello che so o so pe' me, so muto.
Peppino sta pe' diventà un gran pazzo
E prima o poi dirà " tutti v'ammazzo ".
Poverino , io 'o so quante n'ha bevute.
A moje p'amante tiene un dottore,
e storie da fija so tutte vere,
lui è ar monno grazie a Sarvatore.
Come di ch'è cornuto in tre maniere
- so pronto a giurà sur suo onore de mammma , de fija e pur'e mujere
La tradizione di tutte le generazioni del passato pesa come una
montagna sul cervello dei viventi.
K. Marx
L’amore non può aiutarci, l’amore non può salvarci; abbiamo
amato abbastanza; ora vogliamo odiare.
G. Herwegh
DICIASSETTE : IO E L’UTOPIA
Regione non esistente in alcun luogo; paese immaginario. La parola
‘utopia’ si dice talvolta nel figurato del progetto di un governo
immaginario, sulla scorta della Repubblica di Platone.
Definizione di Utopia. Dictionnaire de Trévoux, 1771
Se il petto ti radi per bene
e le braccia, le gambe ed il pene
e rasato con ottimo taglio,
tutti lo sanno, Labieno – non sbaglio –
che lo fai per l’amica del cuore.
Ma per chi poi depili l’ano,
questo resta poi un arcano .
Marziale
Micio Tempio, autore di pilo ma non solo, stava preparando anche la
rappresentazione del dramma “ Guglielmo , Sciarra e Benedetto in arte Bonifacio,
ovvero la cazzicatummula di Anagni.” Questo lavoro doveva chiudere il dieci
settembre il Festival della drammaturgia dialettale contemporanea di Palazzolo.
Questo importante festival premiava ogni anno tre nuovi autori teatrali.
Al momento c’era solo una piccola bazzecola da risolvere. Un quisquilia scoppiata
improvvisamente. Il sindaco di Palazzolo Paolo Guerra aveva promesso seicento
mila lire per premiare i primi tre classificati. Trecento mila al primo, duecento al
secondo e cento al terzo. Ma adesso ne voleva dare solo trecento. E il coordinatore
Sebastiano Guardo aveva vivamente protestato. E adesso i due non facevano altro
che litigare.
<< Paolo , mi avevi promesso seicento...>>
<< No. Sebastiano caro.. solo trecento..>>
<< no.. nun ti rimangiari la parola..>>
<< Erano trecento...>>
<< Ahhhh..>>
<< Ehhhh..>>
<< Ihhhh...>>
E non si capiva dove cazzo stava la verità.
Il lavoro serio di Micio raccontava lo storico, drammatico e meraviglioso scontro tra
l’ultraottantenne scassacoglioni Benedetto Caetani, papa col nome di Bonifacio VIII,
il nobile Sciarra Colonna e il cancelliere francese Guglielmo di Nogaret. Lo scontro
tra il fanatico teocrate , il vendicatore di famiglia e il potere statale.
Questa la prima scheda che Pompeo aveva ideato per poi passarla a tutti. Per far
conoscere il teocrate per eccellenza. L’inventore del giubileo.
<< Meno male che messer Dante lo piazzò all’inferno.. aveva già capito con chi
cazzo aveva a che fare..>>
Pompeo, Ben e Iatata ciclostilarono il foglio e lo diffusero in tutta Monacazzo.
<< Benedetto Caetani, nato ad Anagni nel 1235, fu eletto Papa col nome di Bonifacio
VIII, il giorno della vigilia di Natale del 1294 dal Conclave radunatosi nel
Castelnuovo di Napoli, in base alla costituzione di Gregorio X sull'elezione
pontificia, dieci giorni dopo il "gran rifiuto" di Celestino V. Alla sontuosa e solenne
cerimonia di incoronazione, che ebbe luogo il 23 gennaio del 1295 in San Pietro a
Roma, erano presenti tutti i nobili romani e re Carlo II con suo figlio Carlo Martello.
Su quest'elezione, in ogni modo, aleggiava l'ombra del sospetto che Celestino V fosse
stato costretto ad emettere la bolla della propria abdicazione. Come noto, Celestino
V, fu imprigionato nella rocca di Fumone, nei pressi di Ferentino, poiché si ritenne
che sarebbe stato meglio che egli non circolasse liberamente. L'ordine di cattura fu
eseguito da Guglielmo l'Estandard. Morì il 19 maggio 1296. Il primo, vero e proprio,
atto politico di Bonifacio VIII fu quello di ratificare il trattato (precedentemente
vergato da Celestino V) tra Carlo II e Giacomo II d'Aragona, in base al quale la
Sicilia si sarebbe riunita al regno angioino . A dire il vero i siciliani non avevano
l'intenzione di rinunciare alla loro autonomia e, in seguito, riconobbero come loro
unico signore Federico (già governatore di Sicilia da quando suo fratello Giacomo II
era re di Aragona) e lo elessero re nel 1296 nel duomo di Palermo. Da questo
momento la Sicilia sarebbe diventata un avamposto per l'espansione spagnola nel
Mediterraneo. Questo fu un grande smacco per Bonifacio VIII ma non fu l'unica
sconfitta che la sua politica anacronistica e accentratrice avrebbe subito, convinto
com'era della "plenitudo potestatis" della sua sovranità, che poteva spaziare anche
nell'ambito temporale, proprio per la concezione tipicamente medievale della sua
origine divina. Questi suoi principi furono esternati nella bolla Clericis laicos, emessa
nel 1296, con la quale egli minacciava di scomunicare i laici che avessero imposto
tasse agli ecclesiastici, senza il consenso della Chiesa di Roma, diffidando gli stessi
ecclesiastici a versare tali oboli. In Germania e in Inghilterra i sovrani si
uniformarono a tale disposizione; in Francia, invece, il re Filippo il Bello emanò due
editti contrari, con l'approvazione dei vescovi francesi. Davanti a tale irrigidimento,
che avrebbe potuto portare a Bonifacio VIII gravi ripercussioni economiche,
autonomistiche e politiche, il pontefice fece retromarcia, autorizzando il re a
riscuotere le imposte del clero solo in casi di emergenza. Anche in Italia Bonifacio
VIII avrebbe dovuto fare i conti con l'ostilità di alcuni membri dell'aristocrazia
romana, in particolare con la famiglia Colonna: i due cardinali Giacomo e Pietro
dichiararono nulla la sua elezione e montarono contro il papa un'opposizione sia da
parte del popolo che del clero, che si estese anche all'ordine degli Spirituali
Francescani, il cui portavoce, Jacopone da Todi, inveì contro Bonifacio VIII
chiamandolo "novello anticristo". Il 10 maggio 1297 i Colonna e gli Spirituali, con il
"manifesto di Lunghezza", dichiararono nulla l'elezione papale. La reazione di
Bonifacio VIII fu aspra e violenta: i due cardinali furono destituiti e in una bolla
definiti "dannata stirpe e del loro dannato sangue". Il papa ordinò la confisca dei
loro beni, li scomunicò, espellendoli dallo Stato della Chiesa e li umiliò
pubblicamente; le rocche di Zagarolo e di Palestrina furono distrutte; Jacopone
imprigionato in un convento e scomunicato; i beni dei Colonna furono divisi fra i
Caetani e gli Orsini. In questo clima di pace ritrovata Bonifacio VIII indisse il Primo
Giubileo della storia della cristianità. Con la bolla Antiquorum habet fidem, del 22
febbraio 1300, concedeva l'indulgenza plenaria a chi nell'anno in corso e in ogni
futuro centesimo anno, avesse visitato le basiliche di San Pietro e di San Paolo in
Roma, con l'intento redimere i peccati e le pene per i peccati. Il Giubileo fu istituito
come anno della riconciliazione tra i contendenti e della conversione della penitenza
sacramentale. Il tema dell'indulgenza era stato peraltro già affrontato durante le
crociate, nel corso del '200, secolo di altissime manifestazioni spirituali ed artistiche:
proprio mentre San Bernardo di Chiaravalle parlava di un "anno" di perdono rivolto
ai combattenti della seconda crociata, il monachesimo cistercense innalzava le
meravigliose chiese abbaziali di Fossanova e Casamari, in stile gotico, slanciato ed
austero. Quest'evento fu di portata storica: duecentomila pellegrini affluiti, secondo le
stime dei cronisti dell'epoca. Lo stesso Dante fa riferimento a notevole afflusso di
massa sia per la Veronica, sia per il Giubileo. L'enorme traffico di pellegrini e gli
abbondanti proventi finanziari, derivanti dalle offerte e dall'incremento turistico,
rafforzarono il prestigio di Bonifacio VIII, che vedeva i principi di tutto il mondo
prostrarsi ai suoi piedi come davanti a un essere divino. Egli stesso rinforzò questa
sua immagine di sovrano spirituale e temporale, mostrandosi ai pellegrini con le
insegne imperiali, esclamando: "Io sono Cesare, io sono l'Imperatore". Anche
Filippo il Bello aderiva a questa idea di "cesarismo": sopra di sé egli non considerava
sovrano nessuno, assumendo talora atteggiamenti apertamente anticlericali, con atti di
usurpazione verso i beni della Chiesa francese. Nel 1299 aveva firmato un'alleanza
con il nuovo re di Germania, Alberto d'Asburgo, accusato da Bonifacio VIII di aver
assassinato Adolfo di Nassau e, per questo, invitato a presentarsi a Roma. Il papa, con
la bolla Salvator Mundi, del 1301, ritirò a Filippo i privilegi concessi in precedenza
mentre successivamente, con la bolla Ausculta fili, convocò per il 10 novembre il re e
l'episcopato francese per un concilio che definisse i rapporti tra Stato e Chiesa,
precisando che solo Dio era al di sopra di ogni monarca. Nell'aprile 1302 Filippo
convocava a Parigi gli Stati Generali, in cui si ribadiva che il re non era soggetto a
nessun'altra autorità e in cui si diffidava l'episcopato francese dal partecipare al
Concilio; nonostante ciò 39 vescovi francesi vi presenziarono e a loro il re confiscò i
beni. Contro di lui, il 18 novembre 1302, Bonifacio scaglia la bolla di condanna
Unam Sanctam che stabiliva che "nella potestà della Chiesa sono distinte due spade,
quella spirituale e quella temporale; la prima viene condotta dalla Chiesa, la
seconda per la Chiesa, la prima per mano del sacerdote, l'altra per mano del re ma
dietro indicazione del sacerdote. Il potere spirituale é superiore a quello temporale".
Filippo, sentendo odore di scomunica, inviò in Italia Guglielmo di Nogaret con
l'ordine di condurre il papa prigioniero in Francia. E' il 3 settembre 1303, Nogaret,
affiancato da Sciarra Colonna, lo trova ad Anagni, maestosamente seduto sul trono,
coi paramenti sacri: qui avviene un'aggressione nei suoi confronti, si tramanda uno
"schiaffo" del Colonna col guanto di ferro. E' un momento di eccezionale portata
storica, in quanto ne prima ne dopo nella storia della cristianità, vi fu una affronto
così grande nei confronti di un pontefice. Anche se Caetani non era un papa amato e
sospettato per di più di simonia dallo stesso Dante, lo stesso poeta fiorentino
considerò l'offesa come rivolta a Cristo stesso (Purgatorio, XX, 86-90): "veggio in
Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un'altra
volta esser deriso; veggio rinovellar l'aceto e 'l fele". Tutti insorsero contro il
sacrilegio. La borghesia cristiana di Anagni liberò il suo concittadino, ma quando
Bonifacio VIII rientrò in Roma, sotto la protezione degli Orsini, era già distrutto sia
moralmente sia politicamente, essendo stato violato il dogma del potere assoluto del
papato. Morì, infatti, pochi giorni dopo, l'11 ottobre 1303. Le sue spoglie vengono
sepolte in San Pietro, nella cappella Caetani, costruita dietro sua commissione da
Arnolfo di Cambio. Roma intanto si era ripopolata ed era diventata splendida. Mai
prima d'allora un papa si era fatto ritrarre da vivo in statue e dipinti: a Orvieto,
Firenze, Bologna, Anagni e nel Laterano in sculture di marmo e di bronzo,
nell'affresco di Giotto, attualmente conservato a Milano, che lo ritrae dalla loggia di
San Giovanni mentre proclama il Giubileo. Egli fu uno dei papi più energici nella
lotta per l'affermazione del primato della Chiesa sul potere temporale dei re e
imperatori. Con lui finisce la teocrazia, la divinizzazione della propria sacra persona,
in antitesi con il ruolo di "servus servorum Dei" indicato da San Gregorio Magno. Ma
con lui inizia anche la strada del rinnovamento, con il Giubileo, un'occasione
ecumenica unica di penitenza e di riconciliazione spirituale.>>
Micio Tempio era innamorato del personaggio di Sciarra Colonna. E vedeva nello
schiaffo un atto di giustizia.
<< Pare che nella sola distruzione di Palestrina , fatta per ordine del papa, morirono
seimila persone.>> cuntava Micio ai ragazzi del gruppo teatrale “Cuntu lu cuntu pilu
pi pilu “ che provavano la tragedia sotto la guida di Giorgio Baffo.
La scena è la sala del trono del palazzo papale di Anagni. Con Guglielmo, Bonifacio
e Sciarra. Ma attraverso dei flash back vengono raccontati i momenti salienti della
vita del pontefice. Nel primo Benedetto Caetani ha come amanti, nello stesso
momento, madre e figlia.
<< Fare l’amuri è come stricari na mano cu l’autra ....>> dice Benedetto nella piece
teatrale. Suggestiva la scena in cui Benedetto s’impegna per fare eleggere Pietro da
Morone papa. Quasi comica quella in cui Benedetto, nella parte dello Spirito Santo ,
suggerisce a Celestino V dormiente quello che deve fare.
<< Cilistinu.. Cilistinu.. lassa perdiri.. lu travagghiu di papa nunn’è pi tia..>>
E Celestino abdica. Fa il gran rifiuto. Poetica la frase detta da quest’ultimo, dopo
l’elezione a papa di Benedetto. Quasi una profezia.
<< Ti pigghiasti lu tronu come na vurpi, arregnerai da liuni, ma quannu sarà ura di
cripari, creperai comu nu cani..>>
Un altra scena si svolge a fine 1300. Il papa si conta i sordi incassati col giubileo.
<< Minchia di papa.. ricco sono...>>
Ma il momento clou naturalmente è quello in cui Sciarra schiaffeggia il vecchio
pontefice tutto allicchittiato in pompa magna. Il Colonna entra nella sala armato,
pronto al papacidio, e grida con tutta la rabbia che ha in corpo:
<< Lassa lu postu di papa.. abdica.. lassa lu postu ca futtisti a Cilistinu..>>
Il papa neanche si scamovi. Sta pinsannu. A voce alta.
<< Iu sugnu la chiesa.. iu e basta.. iu tiegnu du spadi.. anzi du spaduna.. megghiu, du
spadazzi.. una è chidda spirituale e l’autra chidda temporali..cu chidda spirituale
fazzu la guerra io pirsunalmente.. cu chidda temporale la fazzu fari a chiddu babbu do
re... e iu ci dicu soccu a fari.. ammazza a chistu.. scanna a chiddu.. e se iddu nun lu fa
iu lu scumunicu .. e iddu perdi lu postu di re.. e per giunta si ni va pure a lu ‘nfiernu..
per aver disobbedito a lu papa... pirchì il potere spirituale è superiore a chiddu
temporale.. lu papa cumanna e basta.. ma lu re cumanna lu populu bestia ma deve
calari li corna davanti al papa.. e iu sugnu lu papa...>>
<< Minchiati.. stu pazzu lesu e furiusu cunta sulu minchiati..>> dice Sciarra. Poi
gridando con tutta la forza e la rabbia dice: << Firma li dimissioni..o ti scannu..>>
D’altra parte il Colonna avi giurato minnitta. E la minnitta si fa cu lu sangu.
<< No... mancu pi lu cazzu.. megghiu cripari ca dariti stu piaciri .. a tia.. Colonna
spizzata da li manu miei.. colonna di ricotta.. e forse pure la colonnina tieni di
ricotta.. Colonna sbaddatu.. senzabaddi..smarrunatu...>>
A chistu puntu Sciarra , incazzatu niuru, tumbulia lu papa. E la tiara fa na bedda
cazzicatummula. Ma mancu lu tempu di cazzicatummuliari la tiara ca cu n’autru
tumbuluni cazzicatummulia puru lu papa. Che piano piano si rimitte in piedi
tremando. Qui il nobile uomo solleva la spada pronto a colpire. Pronto al papacidio.
<< Ti scannu.. armaru fattu papa..>>
<< Scannami.. eccu lu coddu.. eccu la testa..ma arricordati.. nessunu si poli sarvari se
non scuta lu papa di Roma...nessunu....>>
Sciarra sta per scannarlo. Ma interviene il francese. Lo vuole vivo per processarlo.
Per ordini superiori. E Sciarra si accontenta di umiliarlo mettendolo a nudo. A picca a
picca ,con la spada , lo priva di tutti gli indumenti. Di quelli di sopra e di quelli si
sotto. E poco prima di restare nudo come un verme Bonifacio dice:
<< Dominus dedit, Dominus abstulit... Diu duna e Diu leva...>>
Alla fine , col pontefice nudo come un verme, Sciarra si fa una risata che fa
impressione. Poi dice:
<< Puru Sciarra leva... e ora levita da li cugghiuna... Binirittu di merda..>>
<< Sugnu lu papa.. lu papa.. sugnu Bonifacio VIII.. lu capu di lu munnu....>>
<< Bonifacio sta minchia... si sulu Binirittu lu malirittu....>>
<< Papa sugnu.. papa.. papa..>
Su queste parole le luci si spengono, tranne un occhio di bue.
Il papa viene liberato e portato a Roma. Al Laterano. Ma orami è completamente
fuori di testa. L’umiliazione lo ha distrutto. Quel tumbuluni resterà nella storia. E a
Roma il papa , sempre nudo, si mette , in un crescendo impossibile ,a gridare come
un ossesso una frase della Unam Sanctam.
<< C’e una sola chiesa cattolica e apostolica..ad fuori della quale non ci sta salvezza
né remissione di peccati... e io sono quella chiesa.. io.. io..io..>>
E intanto si sbatte la vecchia capa vuota e da folle contro i muri. Fino a crepare.
Solo. Come un cane. Come aveva profetizzato Celestino V.
Micio era contento del testo e del lavoro dei ragazzi. Pure Giorgio era stracontento.
<< A un bel goder, un bel patir..Bonifacio godette prima e poi soffrì.. invece ci sta
gente che soffre prima e non gode mai... a fa faccia del casso di quel scassacasso de
Bonifasso che rompeva sempre il casso e pure il portacojonasso che sta sotto al
casso.>>
<< Bonifacio ottavo è lu patri spirituale di patri Ciollardente.... Minchia, quasi quasi
scrivu la “Divìna cummedia di Monacazzu” e lu piazzu tra li diavoli di lu
infirnazzu... a stu granni testa di cazzu..>> precisò Micio Tempio.
Poi pinsò a Guicciardini e a memoria citò: << Non si può dire tanto male della corte
Romana che non meriti che se ne dica di più. >>
Il venticinque luglio padre Ciollardente si alzò contentissimo. Quel giorno avrebbe
unito in matrimonio Micio Tempio , l’ex diavolo ed ex pornografo oramai
convertitosi , con la bella e oramai convertita anche lei Kosetta Fikaminkianova. Era
il trionfo della sua politica dura contro gli immoralisti. Era un trionfo della purezza e
della castità sui comportamenti degenerati. Se si era convertito quel diavolo di Micio,
si potevano convertire anche gli altri.
Una settimana prima del matrimonio arrivò la bella sorella gemella di Kosetta ,
Kazzetta. Erano due gocce d’acqua. La voce era l’unica differenza. Kosetta aveva una
voce dolce, Kazzetta una voce un po’ più dura. Ma era bella e faceva attrintari li
marrugghia a tutti li mascoli ca la taliavano. Due sticchi gemelli che erano la gloria
personificata di tutti gli uccelli.
Il venticinque luglio la chiesa di padre Ciollardente era strapiena. Invitati e curiosi
parevano sardine. Il giorno prima Micio Tempio e Kosetta Fikaminkianova si erano
confessati. Con affetto e tanta voglia di pentimento. Lui aveva raccontato al prete i
suoi peccati di pilo. I suoi peccati fatti con la penna stilografica e quelli fatti con la
penna di carne. Ed era stato assolto. Lei pure si era confessata, ma era stata meno
chiara. Il parrino aveva indagato e aveva capito che la donna andava sia con i mascoli
che con le femmine. Per lo meno in passato aveva fatto questo. Ma da quando aveva
conosciuto il Priapo vivente Micio Tempio non era più andata con nessuno.
<< Solo e soltanto con lui.>> aveva chiesto padre Ciollardente.
<< Sì. >> aveva risposto la russa che parlava benino l’italiano.
Al parrino era venuta la curiosità di vedere lo strumento carnale di Micio. Se quella
dopo tante e tante avventure adesso si accontentava solo di lui , Micio doveva
necessariamente avere un micione tra le cosce. Comunque le diede l’assoluzione.
Alle cinque di quel venticinque luglio 1968 padre Ciollardente era pronto per la
cerimonia. Tutto allicchittiato in pompa magna, ca paria nu Wanda Osiris, si
apprestava a celebrare il suo trionfo su satana. Affiancato da due chierichetti di quelli
che più figli di buttana non si può , da quattro parrini di quelli che più stronzi non si
può nemmeno e da quattro monachelle di quelle che più ammuccaparticoli e
cacadiavoli non è possibile, diede l’avvio alla cerimonia.
I testimoni degli sposi erano la sorella di Kosetta per la sposa e Giorgio Baffo per lo
sposo.
Tutto andò liscio fino alla fatidica domanda del prete:
<< Se qualcuno conosce qualche impedimento alla celebrazione di questo
matrimonio lo dica. Parli adesso o taccia per sempre.>>
<< Io ho qualche cosa da dire. >> gridò un tizio mai visto a Monacazzo. Tra l’altro
non si capiva neanche se era mascolo o femmina. Era chiù colorato di nu mazzu i
ciura .
<< E parla.. parla figliolo..>> disse il prete che iniziò a sudare freddo.
Luigino Minchiallegra e Giggetto Ciciacontenta, i due chierichetti, sorrisero con le
loro belle faccette mignottelle. Si taliarono sofferenti i quattro parrini e addolorate le
quattro monache. Quella era una domanda retorica a cui nessuno aveva mai risposto .
Era la prima volta che , nella sua carriera di parrino, qualcuno aveva qualcosa da
dire. E se quello voleva parlare lo dovevano lasciar parlare.
<< Scusate.. intanto io non sono figliolo a te.. meglio orfano che cu nu padre
parrinu....>> La gente rise.
<< Scusate.. ma io debbo dire una cosa molto molto delicata.. posso parlare
pubblicamente e liberamente...signor Ciollardente...>> disse il misterioso
personaggio.
<< Padre.. prego.. padre Ciollardente...>> precisò il prete.
<< Certo. Ma allora lei mi chiami architetto pittore modello pornostar.. magari solo
pornostar .. che è il mio titolo preferito... >>
Micio e la sposa erano tranquilli. I testimoni pure. Il parrino no . Gli altri parrini e le
monache nemmeno. I chierichetti si aspettavano qualche minchiata. Il pubblico pure.
<< Parla…. solo pubblicamente si può parlare in questo caso..>> disse il prete.
<< Io.. io mi chiamo Basilio…>> disse il tizio con voce impostata.
<< Ah.. sei un uomo.. sai … con i capelli accussì lunghi e quell’abito sgargiante non
si capiva..>> disse il prete che pensava già a figli segreti o matrimoni nascosti.
<< Io mi chiamo Basilio… ma tutti mi chiamano Basilia..>>
Tanti risero. Quello era omosessuale al cento per cento. Anzi, era un travestito.
<< Abbiamo capito.. ci sta qualche problemuccio, >> disse il parrino << ma a noi
interessa sapere quello che hai da dire su Micio e Kosetta.>>
<< Kosetta è.. è.. è il mio amante..>>
Micio e la sposa restarono tranquilli. Il prete sbiancò. Gli altri parrini e le monache
impallidirono. I chierichetti pinsarono che era tutta una questione di “ ficca ficca.”
<< La tua amante.. vorrai dire.>> disse il prete riprendendosi un po’.
<< No. Il mio amante. La sposa è.. è.. è… è un maschio come a mia.>>
Il prete sbiancò. E preso da un raptus improvviso strappò la parte superiore della
vistina da sposa di Kosetta. Vennero fuori due belle minne. Il pubblico sgranò gli
occhi.
<< Fimmina è.. bugiardo.. bugiardo..>> gridò il parrino contemplando du minni
deliziosi e bianchissimi.
Monache, preti e chierichetti sgranarono gli occhi taliando chiddi minni.
<< Certo.. femmina come il sottoscritto..>> disse Basilio - Basilio.
E il misterioso personaggio si aprì la camicetta. Anche lui aveva due belle tette. Gli
occhi del pubblico tutto si spostarono sulla nuova scena.
<< E’ come me. Come me… >> disse Basilio- Basilia << Donna sopra e maschio
sotto. >>
E si scippò i pantaloni. Sotto era nudo. C’era solo una cicia enorme. Tutti arristanu
amminchiuluti. Padre Ciollardente, gli altri preti e pure il pubblico.
Gli altri parrini taliano lo strano essere nel suo complesso. Tinia la cicia come loro
ma tinia anche li minni comu li fimmini. Padre Ciciotto, padre Belinsanto, padre
Favazza e padre Citrolone passavano con lo sguardo da li minni alla cicia e viceversa.
Le monache erano invece interdette. Taliavano fisse la ciolla. Era la prima che
vedevano in assoluto. Suor Luigina Ficalà, suor Carmelina Monalì, suor Santina
Sorcasì e suor Salvuccia Fregnanò taliavano fisse l’aceddu dell’uomo cu li minni.
Luigino e Giggetto invece sorridevano.
<< Minchia chi cicia.. speriamo che la nostra addiventa tanta...>> disse Luigino.
<< E speriamo che la zita nostra abbia minni come quelle..>> aggiunse Giggetto.
Kosetta e Micio erano tranquillissimi. Giorgio e la sorella della sposa sorridevano
ironicamente. Il pubblico era interdetto. Padre Ciollardente era al limite del crollo
nervoso. Il suo trionfo stava crollando a pezzi, la sua minchia, che all’inizio della
cerimonia era tisa come una minchia crisoelefantina, si era ammosciata e si stava
ritirando. Anche i coglioni si stavano rimpicciolendo. E la sacca scrotale si stava
ritirando. Si stava praticamente volatilizzando tutto. Il parrino sentiva che stava per
diventare un eunuco. Preso da un nuovo raptus scippò la gonna alla sposa. La sposa
era senza mutande.
<< Minchia..chi minchia... la sposa masculo masculo è.. la minchia teni.. e chi cazzu
di minchia.. >> gridò il prete nel microfono.
La gente non vedeva l’aceddu della sposa. Vedeva solo un culo bellissimo. Giorgio e
la sorella della sposa, per la sorpresa che già conoscevano, ridevano .
Le monache svennero. Quella minchia a portata di mano era troppo. I preti
agghiarnanu. I chierichetti scoppiarono a ridere alla sanfasò. Il pubblico gridava:
<< Girati.. girati sposina bella .. girati.. facci vedere l’aceddu della sposa..>>
La sposa si girò. Altro che aceddu. Aveva un aciddazzu tiso e spaventoso. Era
femmina nelle sembianze ma tra le cosce era mascolo con la M maiuscola. Il prete
vide crollare il suo trionfo definitivamente e iniziò a tremare. Micio invece acchiappò
il microfono e fece il suo comizio laico.
<< Signori.. questo matrimonio era una farsa.. una farsa per colpire con la messa in
scena chi della messa in scena ha fatto arte e parte. Io avevo a suo tempo scritto al
signor Ciollardente di sbattezzarmi, scomunicarmi e scresimarmi. Lui mi ha chiamato
pubblicamente diavolo, satana, bastardo, pornografo , peccatore.. e tanto e tanto
altro ha detto su di me.. Lui ha fatto il vendicatore solitario, io anche. Chi di
sceneggiata ferisce, di sceneggiata perisce….>>
Il prete tremava. La sposa esibiva il suo fallo e le sue tette senza vergogna.
<< Caro Ciollardente.. >> riprese Micio Tempio << io non ho mai peccato.. ho solo
fatto l’amore.. con chi era disponibile.. mai una imposizione o un obbligo.. ogni atto
d’amore che ho fatto è stato sempre col partner consenziente.. e soprattutto non ho
mai fatto figli.. per poi abbandonarli al loro destino… >>
<< Peccatore delinquente.. penetratio ma non seminatio…>> disse il prete tremando
come una foglia al vento.
<< Eccolo, non cambia. Io non sono un peccatore.. tu sei il peccatore.. tu che a
Siracusa tieni tre figli da tre femmine diverse.. e che portano il nome delle loro
mamme . Non so se ci ni stanno altri.. ma tre ci sono.. sappi che una , Cettina
Boccadifuoco, è bellissima ..>> disse Micio.
Il parrino tremava e faceva segni su segni . Della croce naturalmente.
<< Tu volevi che io ti chiedessi perdono.. ma di cosa cazzo ti dovevo chiedere
perdono? No, caro mio. Tu devi chiedere perdono e a tanti…per la tua attività
continua di rompicoglioni...tu sei falso come Bonifacio ottavo.. quello Dante lo
piazzò all’inferno.. ma io non credo a niente e ti piazzò solo nella categoria dei
quaquaraqua...tu, come quello che inventò il giubileo per fare soldi, sei assetato di
soldi.. e naturalmente, visto il nome, anche di fimmini.. ma io, sappilo, sono un erede
siciliano di Sciarra Colonna.. e in siciliano la parola “sciarra “ si presta bene .. e
soprattutto non mi scanto di tia.. Ciollardente di merda...>> continuo lo scrittore.
Il prete non capì. Tremava. Si sentiva sminchiato e scoglionato. Una ciolla a perdere.
Un fottuto per sempre. Non riusciva a capire che minchia ci trasivano sua santità
Bonifacio VIII e Sciarra Colonna. In quel momento non pensava allo schiaffo
d’Anagni.
<< Ma adesso ti svelo il segreto della mia messa in scena. Tanti sanno che Kosetta è
una femmina.. e che femmina.. vorresti sapere se me la sono fatta? Cazzi miei. Quello
che ti ho detto nel confessionale erano solo minchiate. E anche Kosetta ti ha detto
minchiate.. perché tu sei l’uomo delle minchiate.. tanti l’hanno vista nuda a Pantalica,
il lunedì di Pasqua.. e sanno che è femmina sopra e sotto e anche dentro. Il lunedì di
pasqua.. quando anche tu stavi con la ciolla di fuori abbracciato a padre Cacaceddu.
In missione Cunnu tu e in missione Mentula lui. E invece poi hanno detto che eravate
in missione spirituale.. eravate lì per vedere, e io lo so, lui cazzi e tu sticchia .
Qualcuno ha detto anche che avete fatto cose ignominiose per voi. Peccati ranni
insomma. Confessi Ciollardente?>>
<< Sì. >> disse il prete. << Confesso.. io .. io.. io.. ci la misi nel culo a padre
Cacaceddu. >> disse piangendo.
<< Allora è tutto vero. Peccatore sei e nel cerchio dei sodomiti andrai.>>
<< Sì. Sì .Sì.>>
<< Ma adesso, come dicevo, tutti sanno che Kosetta donna è. E infatti Kosetta non è
lei. Lei è il fratello omosessuale di Kosetta. >> disse Micio.
Il prete barcollò. Il pubblico era in religioso silenzio e seguiva la messa in scena di
Micio Tempio. Ovvero “Il finto matrimonio”.
<< Peccatore è.. come a mia è.. >> disse il parrino.
<< Ma per finire con questa bella messa in scena voglio dirti che tua figlia, Cettina
Boccadifuoco, bocca di fuoco è di none e di fatto. Io e lei abbiamo avuto una storia
mesi fa. E ti posso assicurare che tua figlia
Boccadifuoco è veramente
“boccadifuoco”, ma anche “ culodifuoco “ e “ sticchiodifuoco.” D’altra parte è figlia
illegittima di uno che è Ciollardente di nome e di fatto…>>
A quella parole il parrino non ci vide più. Si alzò di botto e pigliato un cero beddu
ruossu fece per romperglielo sulla cocuzza dura a Micio Tempio. Ma lo scrittore
maledetto evitò il colpo .
<< Ciollardente ottavo... chi ti credi di essere? Ciollardente Colonna ? Io sono Micio
Colonna.. io.... fottisoldi e fottifemmine a tradimento...tu sei solo un piccolo
Bonifacciuzzo da strapazzo....>>
E da parte sua Micio ci piazzò un tumbuluni speciale su quella faccia rossa che il
povero parrino fece na cazzicatummula da medaglia d’oro alle olimpiade delle
cazzicatummuli. Una cazzicatummula da oscar. E dopo quella spettacolare
cazzicatummula finiu sotto gli scalini dell’altare. A cosce larghe e gioielli di famiglia
in esposizione. Perché quel giorno, per godersi meglio l’erezione della vittoria sul
miscredente, padre Ciollardente non s’era messo le mutande. Anche il cero fici una
bella cazzicatummula e finiu addosso al cugino sacrestano. Lo acchiappò proprio là.
Nella sede del peccato. E pure il sacrestano cazzicatummuliò. E i pantaloni dell’uomo
presero fuoco. Proprio là. A livello del meccio.
<< Minchia.. lu meccio fuoco pigliò.. acqua.. acqua.. stutatimi il meccio.. il giocattolo
con cui gioco sempre fuoco pigliò.. mica mi la posso minare col meccio
bruciato....>> gridava il sacrestano. E iniziò a spogliarsi.
Ma il parrino cazzicatummuliannu aveva fatto cazzicatummuliari una processione di
candele accese e disposte sulle balaustre dell’altare maggiore. O meglio, ne aveva
fatta cadere una. Ma quella, col suo cazzicatummulio, come in una reazione a catena,
aveva fatto cazzicatummuliare le altre. E una di queste candele era finita addosso a
padre Ciollardente. O meglio, tra le sue cosce. Così anche la sua tonaca prese fuoco.
Padre Ciollardente si alzò gridando :
<< Aiuto.. aiuto.. aiuto.. la mia ciolla veramente ardente diventerà. >>.
E si spogliò nudo anche lui. E iniziò a correre chiesa chiesa gridando come un
ossesso :
<< Aiuto.. aiuto.. aiuto.. aiutatemi a scappare dall’inferno. Fatemi scappare
dall’inferno…mi vogliono bruciare.. satana mi vuole dare fuoco alla ciolla.. vuole
dare fuoco alla ciolla di padre Ciollardente....>>
E il sacrestano , nudo anche lui, ma con l’incensiere in mano, che correva dietro
padre Ciollardente . E la gente a taliare e a scappellarsi la minchia dalle risate.
Ma una candela, sempre cazzicatummuliando, diede fuoco alla sottana del primo
chierichetto, Luigino Minchiallegra.
Che iniziò a spogliarsi pure lui gridando << Al fuoco.. al fuoco..>>
E facendo cazzicatummuliare i suoi abiti diede fuoco alla tonaca di Giggetto, l’altro
chierichetto, che si spogliò pure lui. Intanto le candele continuavano a
cazzicatummuliari . E una finiu addosso al primo dei parrini cerimonianti. E da quella
prima tonaca le fiamme si estesero al secondo, poi al terzo e infine al quarto parrino.
Che si spogliarono anche loro. Quattro giovani nudi e con una discreta minchia che
cazzicatummuliava sotto gli occhi delle quattro monache a cui cazzicatummulivavano
gli occhi e la muscolatura dello sticchio. Ma le candele della balaustra erano collegate
da un sottile filo a quelle dell’altare. E anche queste cazzicatummulianu a terra . E in
parte sulle monache. Che per non arrostirsi come le streghe si denudarono pure loro
in un amen. A occhi bassi si misero col pacchio di fuori.. Quelle quattro fichette
incontaminate fecero cazzicatummuliare gli occhi e gli aceddi a tutti i mascoli
presenti. Compresi i quattro preti e i due chierichetti. A cui la ciolla cazzicatummuliò
verso l’alto. E verso l’alto cazzicatummulianu sempre più le ciolle di padre
Ciollardente e del cugino sacrestano che correvano come matti da una navata
all’altra. Il prete davanti, il cugino dietro, sempre incensando con l’incensiere.
Ma una cannila satanica cazzicatummuliò addosso a Micio. E pure Micio si spogliò.
Mentre la finta sposa lo era già. Micio, facendo cazzicatummuliare i suoi abiti
infuocati, causò l’incendio di quelli dei testimoni. La sorella della finta sposa e
Giorgio Baffo. Che per non finire al rogo, come i loro antenati liberi pensatori, si
spogliarono pure loro facendo cazzicatummuliare i loro abiti.
Per la gioia Micio e la finta femmina fecero tante belle cazzicatummuli sull’altare. E
cazzicatummuli sul corridoio centrale e sulle navate laterali fecero gli amici di Micio
Tempio. Fu insomma tutta una cazzicatummuliata.
Padre Ciollardente, nudo, e con il sacrestano nudo che lo seguiva, continuava a girare
chiesa chiesa. Ci paria di essere in un bolgia dantesca. Poi talio verso l’alto e ci parse
che pure gli angeli, gli arcangeli e i serafini del soffitto cazzicatummuliassero pure
loro. E cazzicatummuliavanu anche i santi. Poi taliò dietro l’altare. E ci sembrò che
tutti i protagonisti del “ Giudizio universale” dipinto da Michilangilieddu da
Monacazzo, cazzicatummuliassero anche loro. Infine, illusione delle illusioni o
effetto allucinogeno dell’incenso addizionato a tutta quella carne e al suo personale
testosterone, a padre Ciollardente ci parse che Sammastiano scissi dal camerino per
cazzicatummuliare anche lui. Ed ebbe la sensazione che il santo stava per levarsi il
costume e tuffarsi tra la folla.
<< Chistu è troppo..>> disse il prete a sé stesso.
E partiu verso l’uscita della chiesa. Verso l’imponente scalinata della chiesa sempre
gridando.
<< Fatemi scappare dall’inferno.. fatemi scappare dall’inferno.. Micio Satana mi
perseguita. Vuole la mia anima.. >>
La piazza era piena di curiosi. Come sempre quando ci stava un matrimonio. Era una
bella occasione per curtigghiari sulle corna della sposa, su quelle dello sposo e su
chiddi degli invitanti. Ma in quell’occasione c’era una marea di curiosi. Vedere Micio
Tempio uscire dalla chiesa dopo essersi regolarmente maritato era un .. miracolo da
non perdere.
E invece era spuntato padre Ciollardente nudo seguito dal sacrestano che lo
incensava. Anche lui nudo. E dietro tanti altri nudi. Quattro parrini, quattro monache ,
due chierichetti. E poi lo sposo, la finta sposa, testimoni e altri ancora.
Il parrino e il sagrestano , passando tra la folla correndo, si ienu a catafuttiri dintra la
fontana di Zeus e Danae che stava al centro della piazza. Al fresco di quelle chiare,
dolci acque monocazzesi.
Anche gli altri si ienu a catafuttiri nella grande vasca. Dove tutti cazzicatummulianu
con gioia. Era il 25 luglio, c’erano trentotto gradi Celsius, e una bella
cazzicatummuliata nell’acqua ci stava bene.
E tanti picciotti che erano in piazza, tanti sessantottini - e c’erano Ben, Iatata e
Pompeo ma anche tanti altri - imitanu Micio Tempio. Vistuti si cazzicatummulianu
nella grande e capiente vasca. E lì, cazzicatummuliannu, ficinu cazzicatummuliari i
loro vestiti. Paria di essere alle terme dell’antica Roma. Tutti erano convinti di quello
che facevano. Tutti tranne padre Ciollardente e il sacrestano. Che parevano drogati
d’incenso.
Padre Ciollardente taliò la facciata della chiesa. E ci parse che anche il Sammastiano
che stava li, dopo essersi denudato, si cazzicatummuliassi nella vasca. A quella
visione il parino gridò: << No.. tu no..>> E svenne.
Pare che in quell’orgia di carne e testosterone, estrogeni e progesterone, qualcuno
cazzicatummuliassi l’aceddu dintra qualche portuso. D’altra parte la fontana era
dedicata a Zeus che si fotte Danae sotto forma di pioggia.
Da cui il detto popolare, quannu chiovi assai.
<< Chisti tempi pazzi.. pari ca ciovunu minchi e cazzi..>>
Micio Tempio recitò dintra la so testa, intanto che si dava da fare cu Kosetta e
Kazzetta, i versi del suo famoso omonimo poeta di pilo catanese. Versi relativi alle
dimensioni della somma minchia divina.
<< Giovi, a cui era in aria lu carru
Comu ‘ntra mari la varchitta, o scarmu,
Era ha di tempi lu primu futtarru,
E avia la minchia chiù dura d’un marmo.
Cuntava di diametru, se nun sgarru,
Triccentu ottanta canni e mezzu parmu;
E a Giunoni, cu chiddu cazzu santu,
Ci l’avia fattu addivintari tantu.>>
<< Cu chidda minchia>> pinsau Micio Tempio da Monacazzo << poli pisciari nu
mari di simenta.. eccu spiegata la pioggia continua ca si futti e controfutti lu beddu
pacchio di la principissa.. Giove era spertu e no fissa.. e ci piacia assai la fissa.. e non
solo quella, naturalmente....>>
Intervennero i C.C. Padre Ciollardente finì in una clinica neuropsichiatrica. Come le
monache e i parrini. Erano sotto sciocchi. Micio Tempio finì in prigione. Con la finta
sposa. Lei per ventiquattrore. Lui per una settimana. Poi ottennero la libertà
provvisoria e si godettero il loro laicismo in attesa del processo. Gli altri
spogliarellisti improvvisati furono soltanto identificati e rispediti a casa.
I due chierichetti furono minacciati di essere messi in collegio.
Quello stesso giorno uscì una enciclica che si occupava di sesso. E che condannava
tutto. Tranne il ficcare per figliare.
Padre Ciollardente dopo quindici giorni uscì dalla clinica e si rifugiò in seminario.
La messa in scena della tragedia sul contrasto dei poteri fu un successo. “ Guglielmo ,
Sciarra e Benedetto in arte Bonifacio, ovvero la cazzicatummula di Anagni.” fu
appezzata da tutti. Alla compagnia di dilettanti assai assai appassionati fu offerta una
na bedda turnè. L’unico problema , la sera , al ristorante, fu che il sindaco e il
coordinatore litigarono ancora.
<< Paolo, mi avevi promesso seicento...>>
<< No.. trecento..>>
<< Ehhhh...>>>
<< Ohhhh..>>
E tutti risero. Meno male che non c’erano le telecamere. Altrimenti avrebbe riso
l’Italia intera. E con i sottotitoli tutto il mondo .
Il primo ottobre una macchina sbandò sull’autostrada del sole , nel tratto calabro. Tre
giovani morirono sul colpo. Erano di Monacazzo. Stavano tornando dopo aver fatto il
giro delle capitali europee. Erano Ben Cicidda, Iatata Portusodoro e Pompeo
Sorcaealtro. Il funerale fu maestoso. L’autopsia confermò che Iatata era incinta. Da
una lettera trovata a bordo della macchina si ottenne la conferma di quella che era la
voce di popolo. I tre erano un terzetto in fatto di sesso. Ciascuno era l’amante degli
altri due. Facevano ficca ficca tra di loro. E pure i mascoli ficcavano tra di loro. E per
quanto riguarda il figlio che Iatata portava in grembo poteva essere sia dell’uno che
dell’altro. Avevano deciso i ragazzi di vivere insieme. Invece riuscirono solo a morire
insieme. Quella fu la loro ultima cazzicatummula. Cazzicatummula mortale.
Nelle stesse ore del funerale due imbianchini cancellarono il murales di Nikj Sciò. I
pennelli cazzicatummuliavano sull’affresco. E cancellavano tutti. Anche quella fu
una cazzicatummuliata mortale.
Dopo il funerale, fatto in piazza e senza parrini, gli ammuccaparticoli e cacadiavoli
del paese si scatenarono su quello che era il comportamento dei giovani d’oggi. E li
dipinsero diavoli con le corna.
<< Sunu sulu boni a cazzicatummuliarsi da una minchiata all’altra.>>
Devozione e Consolata Bucochiuso si accorsero di essere incinte. Non ne parlarono
con nessuno. Si attruvarono , in quattro e quattr’otto, due picciotti assitati di sticchio,
e si li purtanu a letto. Cu quattru cazzicatummuli d’amuri si attruvanu maritu. Poco
dopo si maritanu. I figli di Pompeo e Ben , o forse di uno solo di loro, diventarono
figli d’altri.
Incinte erano pure Tonina e Ninetta. Il cannolo dell’ingegnere Cannolo ave
cazzicatummuliato bene nel pacchio delle due femmine. E aveva fatto il suo lavoro
ben benino.
Maruzza e Marietta invece erano già belle e appanzate. E pure maritate. Coi ragazzi
di buccheri. E facevano maritali cazzicatummulitti d’amuri.
Spissu la sira, dicennisi li cosi di diu, ci arraccumannavano l’anima di Ben e Pompeo
allo stesso. E per essere buone anche quelle di Iatata.
Nel portafoglio di Pompeo fu trovato il suo testamento spirituale. Una poesia
intitolata “ IO E L’UTOPIA”
Percorro la strada amara della vita
tutto pieno di rabbia cristallina.
Eppure non bestemmio, perché la mia intelligenza
m’impedisce di prendermela
con il nulla fatto tutto,
con il dio creato per essere sfruttato,
che parla attraverso e non direttamente…
E cammino per questa strada paesana :
guardo per terra e vedo uno stronzo di cane,
intanto da una porta scassata e cadente
una dolce puttana m’invita con un gesto chiaro
a comprare una unione senza senso
per dimostrare ancora una volta il mito dell’uomo
chiavarolo che tiene il cervello sulla punta del cazzo…
No, non entro, non la guardo manco in faccia
ho troppi pensieri a cui pensare. Proseguo.
Ma ecco che vedo un gatto in calore
che cerca refrigerio nello sporco piscio celeste.
MIAU. MIAU. MIAU. MIAU UN CAZZO.
Vaffanculo gattaccio nero dagli occhi diamantini,
tanto non puoi essere l’inviato di quel diavolo che non c’è…
E cammino. Intanto dal muro la “ maschera “ del sindaco
che batte e puttaneggia per il suo partito
m’invita sorridente a dargli la mia fiducia.
Ma come, io dare al fiducia a una testa di cazzo,
io che avendolo in mano so bene cosa gli farei.
Per il momento mi accosto al muro
e con una mirabile erezione politica gli piscio in faccia….
Poi.. poi con un pennarello rosso accecante
gli “ pianto “ sulla testa un bel paio di corna,
gli “ sbatto” sotto il naso dei baffetti hitleriani – e gli stanno anche benegli “ infilo “ un cazzo in bocca a mo di sigaro,
quindi mi calo i pantaloni, faccio una bella cagata,
la raccolgo e gliela tiro addosso. Bello. Bello.
Sarebbe più bello farlo su di lui in persona…
E cammino. E pensando ai miei pensieri
dolorosamente pericolosi penso. Ah, se fossi… No. No.
Meglio essere se stessi e poi la mia arma,
la mia maledizione ai raggi KOGLIONIX.
Toh , chi incontro. Il reverendo che esce dalla casa della sua amante
col volto rosso e gli occhi lucidi di una libidine non del tutto spenta,
ma col sorriso frutto della gioia di chi ha peccato…
E cammino. Le pietre mi sembrano telecamere,
la polvere molecole luminose in agguato,
le stelle tante spie, una per ogni potente,
il paese un bordello con tante puttane e qualche protettore.
E io ? Uno zero, un atomo nella materia finita e infinita,
il nulla nel niente con qualche eccezione privilegiante:
qualche fotone di energia intellettiva ben usata…
E cammino. E arrivo al sottoscala di merda, entro:
una sedia sgangherata, un letto sfatto e sporco,
una mutandina bianca macchiata di mestruo,
un copricazzo di gomma con lo sperma secco appiccicato
residuo di qualche lontana felice o infelice chiavata,
un odore che fa stare male chi non gli è amico,
e lì, sul tavolo zoppo dove balla un topo,
lei, la mia cara e dolce creatura :la maledizione ai raggi KOGLIONIX…
E finirete di camminare potenti del potere,
niente siete e niente ritornerete. Zero + zero.
Finirete di camminare voi che fate l’amore col denaro:
ficcatevelo tutto in culo, con la merda ci sta bene.
Per voi padroni occulti o visibilissimi,
politicanti o carrieristi di professione,
profeti o dirigenti per vocazione è la fine…
Palazzi bianchi, rossi, neri, arancioni, verdi, gialle,
bi, tri, quadri, penta o esacromatici,
circolari, ellittici, iperbolici o parabolici,
cubici, parallelepipedo, cilindrici o piramidali,
a croce latina, greca o egizia, cupolati o no.
con lo stemma a due o più palle o stelle,
dovunque e comunque sarete presto scatole vuote…
Potenti, la commedia è finita, cala il sipario delle tenebre.
E’ la fine. E’ la fine. Thanatos è già presso di voi,
pronto a infilzarvi sul suo cazzo mortale.
Thanatos vi vuole, vi ama , vi avrà , vi possiederà .
Presto sarete tutti suoi. Anch’io sarò suo,
pronto al sacrificio, ma non sono un eroe:
do la mia vita per potere ottenere la vostra..
Un patto tra me e la mia creatura, non Faust e Mefistofile.
Non sto vendendo al diavolo l’anima destinata a dio,
dio non c’è, non c’è il diavolo, io non ho anima.
Sto solo vendendomi a una geniale intuizione
che chiede la mia vita per divenire realtà indomabile:
miliardi di miliardi di quanti velenosi saranno generati
non appena mi darò all macchina in un felice amplesso
distruttore.
E così sia.
Il radicale inventa le opinioni. Quando lui le ha consumate, il
conservatore le adotta.
M. Twain
POSTFATTO:
1969
La causa delle rivoluzioni è in ciò: che niente perdura ma tutto si
trasforma in un certo ciclo.
Platone
Il principio dell’Inquisizione è il sapere e il conoscere che la cosa sii,
e sii possibile, et conveniente, et da quale si cave profitto.
G. Bruno
La libertà dell’Homo sapiens
inizia da suo organo sessuale …
Nascienu i figghi di Memè, Mimì, Marietta e Maruzza. Furono chiamati Ben e
Pompeo Cazzicchiò. E i neonati non facevano altro che cazzicatummuliari nel letto,
tra le braccia dei genitori.
Nascienu i figghi di Devozione e Consolata Bucochiuso. Funu chiamati Ben
Minchiolone e Pompeo Ammuccabaddi. Erano figli dei cari estinti ma portavano in
nome dei padre legali. E anche loro cazzicatummuliavano tra le braccia delle mamme
e le corna dei papà.
Nascienu pure due portacannolicchi in casa dell’ingegnere Cannolo. Le sorelle
Minabrigghiu diedero alla luce due belle bambine. Furono chiamate Bona e Bella
Cannolo. Crescendo sarebbero state, sia Bona che Bella, belle e bone per nuove
cazzicatummuli d’amuri.
Finalmente fu completata la cappella per Ben, Iatata e Pompeo. I tre ragazzi furono
seppelliti insieme. Dal diario della ragazza era venuto fuori che lei li presentava come
“ I miei amanti. Il mio amante zito, e il nio amante amico.” E loro dicevano “ La
nostra amante.” La tomba fu disegnata da Nikj Sciò. Era una tetraedro . E dentro, le
bare furono disposte con le teste al centro e dirette verso i vertici del triangolo
isoscele che faceva da base al tetraedro. Il tetraedro regolare era un omaggio al
tetraidro cannabinolo tanto amato dai ragazzi. Nessun simbolo religioso. Dentro la
tomba furono deposti solo tre oggetti cari ai tre ragazzi. Un Kamasutra illustrato di
Iatata, un Priapo di giada di Ben e un vasetto pieno di marijuana di Pompeo.
Su una parete fu collocato un bassorilievo di Nikj Sciò. Raffigurava i tre ragazzi nudi
su una nuvoletta che in realtà era una bandiera rossa. In più c’era un bambino senza
volto. Era il figlio comune del trio che non era riuscito a nascere. Era rimasto nella
pancia di Iatata. A taliarli sembrava che i quattro volessero rituffarsi nel mare della
vita per fare nuove cazzicatummuli d’amore e politica.
Sotto il bassorilievo i soli nomi. Iatata, Ben, Pompeo e Mary Juano o Mary Juana.
Perché questo era il mone che i tre ragazzi volevano mettere al piccolo. O alla
piccola.
Il lunedì di pasqua del sessantanove, nella valle di Pantalica, si tenne un raduno in
memoria di Ben, Iatata e Pompeo. Fu una festa dionisiaca. Un orgia del piacere, del
sapere, del vedere, del pensare. Fu un inno alla libertà a trecentosessanta gradi.
C’erano tutti. E tutti nudi. C’erano Gerlando Pirlabon e Minimo Mezzocazzone, che
lasciati i C.C., erano entrati nella comunità i figli della Kanapa. C’era Bartolomeo
Ciollardente, oramai ex prete, con la sua compagna, Carmelina Culodoro. C’era
Bernardino Cacaceddu, anche lui ex prete, col suo compagno, Ciccillo Birrillone.
C’erano Micio , le sorelle Fikaminkianova e altri amici. Mimì, Memè e le mogli.
Nicola Cannolo con le sorelle Tonina e Ninetta. Le sorelle Bucochiuso con i mariti.
C’erano Kalò Bi - Gi e i suoi amici. C’erano gli Incardasciò. Il sindaco, la moglie, il
piccolo Pascal, Nitta con Vic, Vanni con Immacolata Cicoriazza, Alex con una nuova
compagna, Nikj con Meg. C’era il dottor Minchiatrina senza le sorelle Stoccacitrolo.
C’era il cugino sacrestano del prete Ciollardente.
Fu rappresentata, da parte di un gruppo universitario, la commedia goliardica
“Processo penale contro don Sculacciabuchi. “ Quindi il piccolo Pascal lesse una
poesia. “Apologia del 69”.
<< Se per verso divino il primo posto
ebbe Dante tra gli italici cantori,
se con penna immortale cantò l’Ariosto ,
le donne , i cavalieri, l’armi e gli amori,
e se dovunque strepito e fracasso
fece il poema di Torquato Tasso,
e se Petrarca sopra gli occhi chiari
di Laura bella scrisse tanti versi
e molti altri poeti illustri e rari
spesero del tempo in temi sì diversi,
ora io vo’ vendicare l’ingiusto oblio
in che cadesti tu, Venere bella.
Tempra tu stessa questo scettro mio
e infondine la tua dolce favella
ond’io con la scienza arguta e dotta
cantar potrò la lingua della potta.
Questo e il mio grande e portentoso tema
cui spesi volentieri tempo e fatica.
Non vi par cosa degna di un poema
la leccatura della bella fica?
Per me,chi non la lecca .è empio e pazzo
e non ha sangue al cuor né sugo al cazzo.
Se frequenti il bel sesso e se tu hai
stoffa d’indagator qual io t’assembro,
con gran facilita t’accorgerai
che per la donna non è tutto il membro.
Onde la sua lascivia ben s’estingua
val più d’un cazzo un pezzettin di lingua.
Armati di costanza e d’accortezza
e quando la vedrai tutta vibrante
non espugnar d’un tratto la fortezza
come sol fare qualunque collegiante
che dà tosto l’assalto alla trincea
per piantare l’asta della sua bandiera.
Ma gioca ognor d’astuzia e l’arte adopra
che alla donna riesce assai gradita
e quando alfin la cavalchi sopra,
fà che d’ogni finezza resti conquìta.
Solo allor dov’e del gaudio il centro
sfodera il brando e piantaglielo dentro.
Adotta tal sistema e sempre avrai
dalla tua donna amor costante e stima.
Non dalla fica cominciar dovrai;
leccale il lobo dell’orecchio prima.
Baciala, Metti a lei la lingua in bocca.
Succhiale le mammelle. Il collo toccale,
l’ebbrezza le vedrai dipinta in viso
le poppe dure, il seno, eretto, ansante
beata ella sarà nel suo sorriso.
La bocca sua bacia allora anelante.
Discendi costeggiando piano piano
Quasi un pennello la tua lingua fosse.
Serpeggia dall’orifizio al deretano
con lievi tratti e delicate mosse.
Indi la fatta via torna a rifare
e lecca sempre e mai non ti stancare
chè all’ombelico infine è giunta l’ora
in cui la sensualissima ragazza
per la libidine sarà resa pazza.
Poichìella è presa da rrama ardente
l’aver tra le sue cosce la tua testa,
spingila tosto avidamente
poi con la scaltrezza e manovra lesta
prendi, mentr’ella languida si muove,
la posizione del sessantanove.
Mentri in tal modo tu resti impegnato
il cazzo tuo tanto superbo è ardito
dalle mani di lei sarà impugnato
nella sua bocca messo e ben forbito.
Indi la lingua con lascivia smossa
Chiamerà il tuo sperma alla riscossa
Allor vedrai che nello stesso istante
due bocche succhieran lo stesso umore.
Vedrai che un cazzo e una fica ansante,
uniti, succhieran lo stesso umore
ed in tal momento di supremo desio
Scorderai persin la terra e dio.>>
Il piccolo aggiunse poi di suo: << A me pare una cazzata. Tutte queste parole per
descrivere quello che si può dire con due . Allicca allicca. O con un numero: 69.
Oppure, come dicono la mia mamma e il mio papà, cunnoglo… cunnoglossosto…
counnoglossostoma.. cunnoglosssomentulastomamachia.. e che minchia di
parola….>>
Tutti risero e applaudirono. Dopo si ballò e quando la luna fece la sua comparsa il
comitato organizzatore invitò i presenti ad onorate i defunti in due modi. O facendo
l’amore a tre o , in onore del nuovo anno, facendo tanti 69. E sesso fu. Duetti e
terzetti alla sanfasò. Tranne il sacrestano che come al solito si la minò. E tranne
Pascal, che firriò in giro, a curiosare. Furono cazzicatummuli di piaceri in ogni senso.
Dalle carte di Pompeo venne fuori un trattato satirico sull’etica sessuale. Era una
risposta giocosa a chi voleva regolamentare la cosa più bella che aveva l’Homo
sapiens: il sesso. Questo l’ironico trattato intitolato “ A PROPOSITO
DELL’ETICA SESSUALE “
So Pompeuccio, er segretario papale,
che mo’, nella mia qualità de cardinale,
dall’ex Sant Uffizio so’ stato incaricato
di rendere noto er seguente trattato.
Io ve potrei contà quarche retroscena
e dirvi de Sua Santità la granne pena.
Egli dice “ Er monno diventa pazzo,
mo’ ar posto da croce metteranno er cazzo.
La gente pena solo e sempre al sesso,
e sto monno s’è ridotto a un gran cesso.
E allora prega Dio, la Madonna e i Santi
e chiede de daje una mano, visto che so’ in tanti.
Suppergiù dice “ Padre nostro che nei cieli sei,
aiutami un po’ a risolvere i cazzi miei.”
Per farla finita er papa ha deciso de regolamentare
Er comportamento vostro in campo sessuale.
Voi potete dì “ Santità se faccia i cazzi sui”.
Ma no fratelli, i tempi so’ troppo bui
e se sua Santità ve sta a rompe li cojoni
lo fa solo per sarvarvi da certe tentazioni.
Soprattutto ve vo’ sarvà da le pene infernali
del famigerato reparto “ Fatti e fattacci sessuali”.
Così, ispirandosi a san Paolo sant’Agostino,
e dicenno pane ar pane e vino ar vino,
è stato stabilito e successivamente decretato
che toccarsi er creapopoli è gran peccato
Eppure er cazzo è assai assai importante:
senza de lui, come se farebbe ad annare avanti?
Voi ve chiedere “ Come se farà ad annare a pisciare?
Forse quarche angelo ce verrà ad aiutare? “
Ma no, ma no. Infinite sono le vie del signore.
E intanto guai, guai, guai a come fate l’amore.
Mai e poi mai er coitus interruptus,
quello analis est magum delictus.
Non parlamo poi de cunnilingui e de pompini,
quella è robaccia zozza da casini.
Guai ad usare quarche anticoncezionale.
Chi ha più figli avrà meno tempo per pensare.
E mo, non è certamente per fare er burino,
ma ve proibisco pure Knaus e Ogino.
Guai senza matrimonio annare a letto.
La mussa e il belin non è ancora benedetto.
Guai ad annare con uomini o donne altrui.
Ognuno s’accontenti delle fregne e dei cazzi sui.
Guai a zoccole, lesbiche e finocchi.
Andranno all’inferno privi degli occhi.
Guai al ragazzo che si sarò masturbato.
Verrà un diavolo , sarà evirato.
Così, senza più er cazzo e manco li cojoni,
non potrà risponnere a certe tentazioni.
‘Nsomma, sto papa bono, pe’ voi se preoccupato
e ha deciso de savarvi tutti dal peccato.
Certo che voi potete di’, che in fonno in fonno,
uno dei più granni puttanieri der monno
fu er famoso san Mentulino
che da boccia nun fu certo un santarellino.
Ficcanno oggi e pure domani, ebbe un fijo naturale,
ma poi capì che viveva ner peccato mortale.
Fu allora che preso da una santa ispirazione
sentenziò la seguente stupenda decisione:
“ Omini e femmine di sto monno pazzo,
atturatevi a fregna e tajatevi er cazzo”.
D’allora la morale cristiana si fonna sur tabù
e sur fatto che Maria vergine ce cagò Gesù.
Grazie a ciò fu arrostito Bruno Giordano,
bruciò Savonarola, fu carzarato Galileo sano sano,
se dette a fa assai assai la santa inquisizione
e tutto quanto er monno divenne più cojone.
Così, oggi, quer fijo bello de sua santità.
vorrebbe regolà er sesso a tutta l’umanità.
Ma poi, er sesso, non è affatto immorale.
Artrimenti Dio, essere soprannaturale,
ner creare tutto quanto sto monno fetente,
sicuramente pe’ fa riprodurre la gente,
quarche artro sistema avrebbe escogitato.
Nun l’ha fatto, dunque er sesso nun è peccato.
Ma la chiesa deve difenne le sue posizioni,
deve di no ad ogni modernizzazione,
Er papa ha fatto voto de vive in castità.
E poi che volete, con do senza voto, alla sua età.
‘nsomma, è stato deciso e poi ribattuto
che er popolo ancora doveva essere fottuto
Mo ho finito, Bene e pace, pace e bene,
ognuno anneghi nelle sue sante pene.
Un Credo e un Pater per ogni mancanza,
oltre a una offerta per la mia santa panza.
Un me pento, un me dolgo e un’Ave Maria
pe’ restà sempre un pugno de stronzi. E cosi sia.
Pietruccio Sorcaealtro .
Fine 11-1-2003
Grazie a Rimbaud, a Baudelaire, a Peter de Rosa, ai curatori di “Ifigonia e canti
goliardici”, al sito www.racine.ra.it , agli autori delle tante citazioni. Grazie
anche a Paolo Rupert Santoro.
Paolo Rupert Santoro
Le citazioni sono degli autori citati.
La poesia “ Venere Anadiomene” è di Arthur Rimbaud.
Le poesie “Le litanie di Satana” e “A una madonna” sono di Baudelaire.
La poesia “Apologia del 69” è tratta da “ Ifigonia e canti goliardici”
Le poesie sono dell’autore.
La scheda di Bonifacio VIII è tratta dal sito www.racine.ra.it . E stato cambiato il
termine “ francese “ con “ Colonna”.
Altre notizie su Bonifacio VIII sono tratte da “ I vicari di Cristo” di Peter de Rosa.