La mia Rassegna Stampa
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La mia Rassegna Stampa
Patrimonio, invio entro il 27 febbraio per i dati sulle concessioni 2014 di Paolo Rossi Guadagna tempo la chiusura delle rilevazione delle concessioni pubbliche in atto al 2014. Infatti, le amministrazioni potranno procedere all'invio dei dati di propria competenza fino al prossimo 27 febbraio, invece dell'iniziale termine di scadenza del 31 gennaio 2016. L'adempimento di rilevazione delle concessioni rilasciate dalla Pa risponde all'esigenza di mantenere sempre viva la ricognizione dei beni patrimoniali e degli attivi dello Stato, come inaugurata e prescritta dalla legge finanziaria del 2010. Proroga di recente comunicata dal dipartimento del Tesoro, l'amministrazione tenuta alla rilevazione nell'ambito del progetto «Patrimonio della Pa». L'invio dei dati Ciascuna amministrazione deve individuare un responsabile per la comunicazione dei dati e dichiarare annualmente le informazioni relative alle concessioni rilasciate dalla stessa amministrazione su beni demaniali o del patrimonio indisponibile. Nel caso in cui l'amministrazione non abbia rilasciato concessioni occorre fare, sempre attraverso l'applicativo, esplicita dichiarazione negativa. Gli utenti abilitati alla comunicazione potranno accedere all'interno della sezione Servizi online concessioni del Portale Tesoro e terminare la rilevazione avendo cura di verificare la correttezza e la completezza dei dati inseriti. L'accesso all'applicativo «Concessioni» è riservato ai soli utenti registrati Le raccomandazioni del Tesoro Il Dipartimento si raccomanda di non attendere i giorni immediatamente precedenti la chiusura della rilevazione. Per maggiori informazioni e assistenza alla comunicazione è possibile contattare [email protected]. Inoltre, il Dipartimento invitando gli utenti a procedere con sollecitudine e verificare correttezza e completezza dei dati inseriti, raccomanda di non attendere i giorni immediatamente precedenti la chiusura della rilevazione. Chi è tenuto all'adempimento Si ricorda che l'adempimento è stato messo in campo dalla Finanziaria 2010 in tema di valorizzazione dell'attivo e del patrimonio dello Stato (articolo 2, comma 222, della legge 191/2009). L'obbligo sussiste per tutte le amministrazioni incluse nell'elenco S13, definito annualmente dall'Istat e per quelle individuate dall'articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI.». Per i piani di riequilibrio correzioni possibili fino al 1° luglio di Giovanni G.A. Dato La deliberazione della Corte dei conti Sezione Controllo Regione Sicilia n. 30/2016/PAR del 28 gennaio 2016 ha esaminato la richiesta di chiarimenti avanzata da un ente locale sulla corretta applicazione delle nuove norme contenute nell’articolo 1, commi 714 e 715, della Legge 208/2015 (legge di stabilità 2016), ed in particolare se la nuova fattispecie possa essere assimilata a quella già prevista nel comma 5 dell’articolo 243-bis del Dlgs 267/2000 (Testo unico enti locali). La previsione del Tuel La deliberazione in commento esclude che la fattispecie di recente introdotta dalla Legge di stabilità 2016 possa considerarsi assimilabile alla facoltà di rimodulazione già prevista dall’articolo 243 bis, comma 5 Tuel nel testo attualmente vigente. Innanzitutto, la previsione racchiusa nel Tuel fa espresso riferimento alla presenza di una deliberazione del Consiglio comunale avente ad oggetto il piano di riequilibrio finanziario pluriennale rispetto alla quale non risulti ancora intervenuto il provvedimento di approvazione o diniego da parte della Corte dei conti. Inoltre, la predetta fattispecie concerne le ipotesi nelle quali dopo l’approvazione consiliare del piano sia subentrata una nuova amministrazione, così che, prima ancora che lo stesso venga sottoposto al giudizio della Corte dei conti, si è ritenuto opportuno concedere la facoltà di rimodularlo in coerenza con gli indirizzi politici e amministrativi perseguiti dalla nuova amministrazione dell’ente. Infine, la facoltà di rimodulazione del piano di riequilibrio risulta condizionata temporalmente con l’individuazione del termine di sessanta giorni decorrenti dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato, di cui all’articolo 4-bis, comma 2, Dlgs n. 149/2011. La nuova fattispecie introdotta dalla Legge di stabilità 2016 La diversa previsione contenuta nell’articolo 1, comma 714 della Legge di stabilità risulta innanzitutto applicabile a tutti gli enti locali che, nel corso degli anni 2013 e 2014, abbiano presentato il piano di riequilibrio o ne abbiano ottenuto l’approvazione nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 243-bis Tuel. I predetti enti hanno la facoltà, entro il 1° luglio 2016, di riformulare o rimodulare il piano di riequilibrio già presentato o approvato coerentemente all’arco temporale dei trenta anni previsto per il ripiano del disavanzo emerso a seguito del riaccertamento straordinario di cui all’articolo 3, Dlgs n. 118/2011. Gli enti locali interessati, pertanto, nel rispetto delle modalità stabilite dal Dm 2 aprile 2015 (che fornisce specifiche indicazioni sulle risorse utilizzabili per il ripiano del disavanzo e sugli adempimenti posti a carico delle amministrazioni interessate) dovranno adottare un’apposita deliberazione consiliare, corredata dal parere del Collegio dei revisori, entro il termine di 45 giorni dalla data di approvazione della delibera della Giunta avente ad oggetto il riaccertamento straordinario dei residui, individuando l’importo annuale del recupero costante che risulterà necessario per il ripiano complessivo del disavanzo come precedentemente accertato. Si chiarisce che il piano di riequilibrio dovrà essere comunque articolato entro un limite temporale di dieci anni, mentre sarà possibile suddividere il disavanzo conseguente al riaccertamento straordinario dei residui in trenta anni. Si stabilisce, altresì, che le anticipazioni riconosciute agli enti sottoposti alla procedura di riequilibrio, sulla base di quanto disposto dagli articoli 243 ter e quinquies del Tuel, possono essere oggetto di restituzione nel termine di trenta anni decorrenti dall’anno successivo a quello della erogazione. Il comma 715 stabilisce, inoltre, per gli enti che hanno già ottenuto l’approvazione del piano, la possibilità di utilizzare, per tutto il periodo di durata dello stesso, le risorse derivanti dalla rinegoziazione dei mutui o dal riacquisto dei titoli obbligazionari emessi, senza vincolo di destinazione. Secondo la deliberazione in esame, la nuova disciplina ha riconosciuto agli enti locali interessati la facoltà non soltanto di “rimodulare”, ma perfino di “riformulare” ovvero di progettare ex novo il piano di riequilibrio con l’esclusivo limite della durata decennale e della necessità di avvalersi della predetta facoltà riconosciuta dalla legge entro il termine di sei mesi dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni. La nuova normativa, peraltro, consente di armonizzare la disciplina relativa al piano di riequilibrio finanziario pluriennale con le norme appositamente dettate dal legislatore per attuare il nuovo ordinamento degli enti a seguito dell’armonizzazione dei sistemi contabili. Conclusioni La deliberazione in esame conclude evidenziando che il recente intervento normativo può servire a riformulare o rimodulare il piano già approvato o presentato solo per consentire il ripiano del disavanzo scaturito dal riaccertamento straordinario dei residui nei termini e con le modalità stabilite dall’articolo 3 del Dlgs n. 118/2011 e dal Dm 2 aprile 2015, ma lascia impregiudicati i vincoli normativi e gli impegni già assunti da ciascun ente al momento dell’approvazione del piano. Le modifiche normative sopravvenute, inoltre, non incidono sui vincoli e sulle condizioni poste dal legislatore agli enti sottoposti alla procedura di riequilibrio, così che restano impregiudicati i poteri di controllo e di verifica riconosciuti alla Corte dei conti dall’articolo 243quater, commi 3 e 6, del Tuel. Il bilancio consolidato parte dal doppio elenco di Daniela Ghiandoni ed Elena Masini Dal 2016 le province e i Comuni sopra i 5.000 abitanti (ad eccezione degli enti sperimentatori) e tutti gli altri enti locali sono tenuti ad applicare il principio contabile del bilancio consolidato, mentre i Comuni fino a 5mila abitanti possono decidere di rinviarlo al 2017 (articolo 233-bis, comma 3, del Tuel). Si tratta di un'altra tappa fondamentale del processo di riforma della contabilità pubblica, che è già stata ricompresa nel Dl 174/2012 tra gli strumenti attraverso cui esercitare il controllo sugli organismi partecipati. Attraverso il consolidamento dei bilanci, infatti, il legislatore ha inteso fornire una rappresentazione completa e veritiera della consistenza del patrimonio, dell'indebitamento e dell'intera situazione economico-finanziaria dell'ente, oggi parzializzata dal fenomeno delle esternalizzazioni. Le regole Le principali norme di riferimento sono tre: • Articoli da 11-bis a 11-quinquies del Dlgs 118/2011; • Allegato n. 4/4 del Dlgs. 118/2011: Principio contabile applicato concernente il bilancio consolidato; • Articoli 147-quater e 233-bis del Dlgs 267/2000. Le attività da svolgere. Cosa devono fare gli enti che per la prima volta si apprestano ad applicare questo nuovo principio? Anche se la scadenza dell'approvazione del primo bilancio consolidato riferito all'esercizio 2016 sia fissata al 30 settembre 2017, è opportuno attivarsi fin da ora, individuando i soggetti che a vario titolo entrano a far parte del «Gruppo amministrazione pubblica» e del perimetro di consolidamento e fornendo loro le necessarie direttive. Il Gruppo Il Gruppo amministrazione pubblica è costituito sia dagli organismi strumentali dotati di autonomia organizzativa ma privi di personalità giuridica (come le istituzioni) sia dai soggetti (enti strumentali e società) in cui l'ente esercita il controllo o detiene una partecipazione qualificata. A questo proposito: • il controllo fa riferimento – in linea con l'articolo 2359 del Codice civile - al potere di nominare o rimuovere la maggioranza dei componenti dell'assemblea o del consiglio di amministrazione, ovvero al possesso della maggioranza dei voti esercitabili o ancora all'obbligo di ripianare le perdite in misura superiore alla propria quota di partecipazione, o infine all'esercizio di una influenza dominante, quale può essere un contratto di servizio pubblico o un atto di concessione, se l'attività dell'ente o della società hanno per oggetto proprio l'esercizio di tali attività. Fino al 2017 sono escluse le società quotate in borsa e loro controllate; • la partecipazione si ha quando viene affidata a una società a totale partecipazione pubblica, sia diretta sia indiretta, un servizio pubblico locale, a prescindere dalla quota di partecipazione. Vengono di fatto escluse dall'obbligo le società in house che gestiscono servizi di natura strumentale non rivolti al pubblico. Dal 2018 (esercizio 2017) saranno considerate partecipate anche le società nelle quali l'ente detiene una quota di capitale superiore al 20% se la società non è quotata o del 10% se la società è quotata. Nel caso di enti strumentali qualsiasi quota di partecipazione rileva ai fini dell'inserimento nel Gruppo. Perimetro di consolidamento Non tutti i soggetti inclusi nel Gruppo finiscono però per essere inseriti nel perimetro di consolidamento. Il principio infatti, a questo scopo individua due criteri oggettivi (uno di irrilevanza e uno di impossibilità oggettiva) al verificarsi dei quali un organismo, ente o società possono essere esclusi. L'irrilevanza si ha quando la dimensione della partecipazione è tale da rendere ininfluente il consolidamento ai fini della rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale, economica e finanziaria. Essa scatta in presenza di una partecipazione al capitale sociale inferiore all'1% (cosiddette micropartecipazioni) o quando tutti e tre i parametri dati dal netto patrimoniale, dal totale dell'attivo e dal totale dei ricavi caratteristici dell'organismo, ente strumentale o società risultano inferiori al 10% di quelli della capogruppo (ente locale, ridotto a 5% per le Province). Questo criterio, unico a prescindere dalle dimensioni dell'ente, porta al paradosso che quando la partecipazione supera l'1%, saranno più frequentemente consolidabili i bilanci da parte di Comuni di minore dimensione demografica rispetto ad altri più grandi. Sarebbe quindi opportuno graduare la soglia per fasce demografiche dei Comuni. Un altro motivo per cui un soggetto incluso nel Gruppo non entra nel perimetro di consolidamento è dato dall'impossibilità oggettiva di reperire le informazioni in tempi ragionevoli e senza spese sproporzionate. Questa situazione si verifica, ad esempio, in presenza di eventi calamitosi quali alluvioni o terremoti che portano all'indisponibilità della documentazione. Le direttive Gli enti sono tenuti ad approvare all'inizio dell'esercizio, mediante deliberazione della Giunta comunale, due separati elenchi: • l'elenco degli enti, aziende e società che compongono il gruppo amministrazione pubblica, avendo cura di evidenziare quelli à che, a loro volta, sono a capo di un gruppo di amministrazioni pubbliche o di imprese. L'elenco deve essere inserito anche nel Dup, affinché possano essere affidati i necessari obiettivi a questi soggetti; • l'elenco di enti, aziende e società componenti del gruppo compresi nel perimetro di consolidamento. Questi elenchi dovranno essere aggiornati al termine del 2016 per tenere conto delle modifiche intervenute durante l'anno, dal momento che si prenderà in considerazione la situazione al 31 dicembre dell'esercizio. L'approvazione a inizio anno – seppure in via provvisoria – dei due elenchi è funzionale alla emanazione di opportune direttive ai soggetti interessati, così che possano essere adottati tutti gli accorgimenti contabili e organizzativi necessari per garantire un miglior risultato finale. Le direttive, in particolare, riguarderanno: • le modalità e i tempi di trasmissione dei bilanci di esercizio, dei rendiconti o dei bilanci consolidati e delle informazioni integrative necessarie all'elaborazione del consolidato. A tal fine il principio contabile .c. individua comunque le seguenti scadenze: 10 giorni dall'approvazione del bilancio e comunque entro il 20 agosto dell'esercizio successivo; • le indicazioni di dettaglio riguardanti la documentazione e le informazioni integrative che i componenti del gruppo devono trasmettere per rendere possibile l'elaborazione del consolidato, ovvero conto economico, stato patrimoniale, operazioni infragruppo (debiti-crediti, utili e perdite, eccetera); • per i soggetti in contabilità economico-patrimoniale, le istruzioni necessarie per avviare un percorso di adeguamento che consenta, in tempi ragionevolmente brevi, di uniformare i bilanci del gruppo, compresi i bilanci consolidati intermedi, ai criteri previsti nel presente principio, se non in contrasto con la disciplina civilistica. Firmato (finalmente) il decreto sul «fondo cuscinetto» per 2.540 Comuni di Gianni Trovati Termina finalmente il lungo iter del decreto con cui il ministero dell'Economia e quello dell'Interno distribuiscono i 29 milioni del «fondo cuscinetto» destinato a 2.540 Comuni medio-piccoli che nel 2015 avevano subito una sforbiciata "troppo" profonda a causa del debutto del nuovo meccanismo legato ai fabbisogni standard nell'assegnazione del fondo di solidarietà comunale. Il meccanismo I numeri sono noti da tempo, perché sono il frutto di un'intesa fra Governo e Comuni arrivata dopo un lungo tira e molla sulle regole. In pratica, l'integrazione del fondo è arrivata in tutte le amministrazioni locali in cui l'applicazione dei nuovi meccanismi nella determinazione del fondo di solidarietà comunale aveva prodotto un taglio superiore all'1,3% delle risorse di base, rappresentate dal gettito di Imu e Tasi e dalla quota di fondo di solidarietà del 2014. Per ragioni di funzionalità, l'assegno è stato cancellato nei casi in cui il calcolo avrebbe prodotto una somma inferiore allo 0,05% delle stesse risorse base: le risorse che avrebbero alimentato questi mini-bonus sono state distribuite fra gli altri Comuni . Tempi lunghi Rimane il fatto che il via libera definitivo al decreto arriva a esercizio abbondantemente concluso, a causa prima dei tempi lunghi della trattativa che ha portato alla definizione delle regole e poi del passo lento con cui il decreto ha ricevuto le firme dei due ministri interessati, Pier Carlo Padoan e Angelino Alfano. Nei Comuni interessati, soprattutto in quelli più piccoli, questo ha acuito naturalmente le tensioni di cassa e le difficoltà nell'assicurare pagamenti puntuali ai fornitori: una volta in Gazzetta Ufficiale, comunque, il provvedimento è essenziale per chiudere i rendiconti 2015. Armonizzazione, la competenza mette i residui sotto esame di Anna Guiducci La corretta applicazione dei principi di competenza finanziaria potenziata passa al vaglio del riaccertamento ordinario dei residui. Secondo le disposizioni recate dall'articolo 228, comma terzo del Tuel, prima dell'inserimento nel conto del bilancio dei residui attivi e passivi, l'ente locale è tenuto a effettuare la revisione delle ragioni del loro mantenimento in tutto o in parte e a verificarne la corretta imputazione, nel rispetto di quanto disciplinato nel principio di competenza finanziaria applicata, allegato 4/2 al Dlgs 118/11. Le novità in ballo La fase del riaccertamento ordinario dei residui, particolarmente delicata e complessa ai fini della corretta determinazione del risultato di esercizio, presenta, per gli enti non sperimentatori, alcune differenze rispetto al passato, legate essenzialmente alla necessità di verificare il perfezionamento degli aspetti giuridici e finanziari delle operazioni di gestione poste in essere nell'esercizio chiuso. Accertamenti di entrata e impegni di spesa In particolare occorre che sia fornita documentazione in merito alla fondatezza giuridica degli accertamenti di entrata e degli impegni di spesa, le cui obbligazioni devono essere perfezionate entro la fine dell'anno. Costituisce eccezione a questo principio la possibilità di finanziare con il fondo pluriennale vincolato le spese di investimento per lavori pubblici indicate dall'articolo 3, comma 7 del Codice degli appalti (Dlgs 163/2006) esigibili negli esercizi successivi, anche se non interamente impegnate. La costituzione del fondo per l'intero importo dell'opera è consentita anche in presenza di impegni relativi solo ad alcune spese del quadro economico progettuale, esclusi gli oneri di progettazione, oppure nel caso in cui siano state attivate procedure di affidamento come previsto dall'articolo 53, comma 2 del Dlgs 163/2006. In questi casi, in assenza di aggiudicazione definitiva entro l'anno successivo le risorse accertate cui il fondo pluriennale si riferisce confluiscono nell'avanzo di amministrazione vincolato per la riprogrammazione dell'intervento in conto capitale e il fondo pluriennale deve essere ridotto di pari importo. In tutti gli altri casi, l'assenza dell'obbligazione giuridicamente perfezionata entro la fine dell'esercizio impedisce il mantenimento di qualunque prenotazione di impegno della spesa. Le modifiche apportate dal Dlgs 118/2011 all'articolo 183 del Tuel non consentono più infatti l'assunzione di impegni di spesa per i quali non risulti perfezionata la relativa obbligazione giuridica, anche se correlati a entrate accertate o a finanziamenti in conto capitale. Tutte le obbligazioni passive giuridicamente perfezionate devono poi essere imputate all'esercizio in cui l'obbligazione diviene esigibile, cioè scaduta. Crediti di dubbia e difficile esazione Il riaccertamento dei residui deve riguardare anche i crediti di dubbia e difficile esazione per i quali occorre procedere ad accantonare una quota del risultato di amministrazione a titolo di fondo crediti dubbia esigibilità. I crediti formalmente riconosciuti inesigibili o insussistenti per prescrizione o per indebito o erroneo accertamento sono definitivamente eliminati dalle scritture e dai documenti di bilancio. Delle motivazioni di inesigibilità deve esserne data adeguata motivazione nella relazione al rendiconto. Così il sistema «Smart» cambia l'invio dei bilanci alla Corte dei conti di Indra Macrì e Paola Mariani Da quest'anno le Regioni e gli enti locali dovranno inviare il rendiconto armonizzato 2015 al nuovo sistema Smart (Sistema monitoraggio armonizzazione territoriale) della Corte dei conti. Con il decreto n. 112 del 21 dicembre 2015, la Corte dei conti ha definito le tassonomie, disponibili nella sezione Smart del proprio sito, che gli enti devono adottare per la rappresentazione elettronica dei loro dati di rendiconto (allegato 10 al Dlgs 118/2011, compresi gli allegati previsti dall'articolo 11, comma 4, lettere dalla a alla k) e dei relativi dati contabili analitici (articoli da 4 a 7 e allegato 7 del Dlgs 118/2011). Il decreto del Presidente della Corte rinvia a successive indicazioni sul sito istituzionale della magistratura contabile la definizione delle modalità con le quali gli enti dovranno trasmettere i loro dati contabili al nuovo sistema Smart (presumibilmente disponibile a partire dal periodo di apertura del Sirtel). Di rilievo, in questo decreto, sono la condivisione ex ante con le diverse amministrazioni interessate (Mef-Rgs, ministero Interno, Istat e rappresentanti delle associazioni di Regioni, Comuni e Province) e l'utilizzo del linguaggio Xbrl, già adottato per il deposito dei bilanci delle società presso le Camere di commercio. L'adeguamento contabile La necessità dell'adeguamento, anche informatico, alla nuova disciplina contabile armonizzata è stata condivisa nel corso del 2015 in un apposito tavolo tecnico, con le istituzioni preposte al monitoraggio della finanza territoriale e con le organizzazioni associative rappresentative di Comuni, Province, Regioni e Province autonome nella prospettiva della razionalizzazione delle fonti e della semplificazione degli adempimenti informativi a carico degli enti. La condivisione della tassonomia, infatti, contribuisce a ridurre l'onere burocratico che grava attualmente sugli enti territoriali. Mentre fino a oggi gli enti territoriali hanno dovuto predisporre le loro informazioni contabili secondo tante distinte rappresentazioni per quante sono le differenti istituzioni richiedenti, dal 2016 gli enti territoriali sono chiamati ad inviare i loro dati contabili secondo un'unica modalità, validata da tutte le istituzioni interessate. L'invio richiesto, nel rispetto del decreto, presuppone l'adeguamento dei sistemi contabili di ciascun ente per la produzione delle tassonomie Xbrl come definite e pubblicate sul sito della Corte dei conti. In particolare per ora sono state individuate due distinte tassonomie, relative ai dati di rendiconto, una per rappresentare i dati previsti dagli schemi di bilancio e l'altra per rappresentare i dati contabili analitici indicati dalla transazione elementare con le voci del piano dei conti (finanziario, economico e patrimoniale) fino al massimo livello di dettaglio. Le tassonomie Entrambe le tassonomie rispettano la diversa rappresentazione dei dati che il Dlgs n. 118 del 2011 ha previsto per le specifiche tipologie di enti. Per inviare le proprie informazioni contabili, tramite la funzione disponibile in Smart, l'ente deve preventivamente effettuare i seguenti passi operativi: • scaricare dal sito della Corte dei conti le tassonomie Xbrl; • produrre le istanze Xbrl popolandole con i propri dati contabili, mediante softwaread hoc (è necessario che gli enti dispongano di un software in grado di comprendere ed elaborare il linguaggio Xbrl); • eseguire primi controlli sui file prodotti; • comprimere i file contenenti le informazioni contabili in un file .zip o .rar. La tempistica In questa prima fase l'ente potrà scegliere se inviare in un unico .zip o .rar sia i dati contabili analitici che gli schemi di bilancio, oppure se inviare le due istanze separatamente e quindi anche in tempi diversi. L'accesso al sistema Smart sarà reso possibile agli utenti abilitati attraverso il portale dei servizi on line della Corte dei conti, analogamente a quanto avviene oggi per il Sirtel. L'invio di dati secondo le tassonomie presuppone, inoltre, il rispetto degli adempimenti previsti dal Dlgs 118/2011 sia con riferimento agli schemi di bilancio e relativi allegati sia per l'adozione del piano dei conti e per la codifica della transazione elementare. L'entrata a regime graduale della riforma concede agli enti che non hanno partecipato alla sperimentazione il rinvio al 2016 dell'adozione del piano integrato dei conti e di alcuni elementi della transazione elementare di cui all'allegato n. 7 del Dlgs 118/2011. In coerenza con il decreto legislativo n. 118 del 2011 il sistema Smart non prevede blocchi per l'eventuale assenza delle informazioni per le quali la norma prevedeva la facoltà di rinvio. Le Regioni e gli enti locali, quindi, indipendentemente dalla partecipazione alla sperimentazione e dall'esercizio delle facoltà di rinvio concesse per l'entrata a regime della riforma, sono tenute all'invio al sistema Smart di quanto richiesto dal decreto. La definizione delle tassonomie Smart rappresenta solo il primo traguardo di un importante progetto di armonizzazione informatica che, gradualmente, partendo dal rendiconto 2015, intende acquisire le altre informazioni contabili (bilancio preventivo, consolidato, eccetera) relative non solo agli enti attualmente coinvolti, ma anche ai loro enti strumentali, sempre secondo i principi di condivisione con le altre istituzioni e nello spirito della semplificazione degli oneri informativi a carico degli enti Contratto di global service legittimo con un tetto di spesa per la manutenzione programmata di Michele Nico Il contratto di global service stipulato da un ente pubblico può comprendere interventi di manutenzione straordinaria, ma solo se risultino accessori rispetto all'oggetto principale dell'appalto, come determinato dal contratto. Questo in sintesi il principio affermato dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 276 del 27 gennaio 2016, che respinge l'appello per l'annullamento della procedura di cottimo fiduciario con cui un Comune affida il servizio di manutenzione programmata di strade e piazze, comprendente il monitoraggio dello stato della pavimentazione e gli interventi sulla segnaletica orizzontale e verticale, il tutto allo scopo di rimediare le avarie e ripristinare lo stato del manto stradale nella forma antecedente ai problemi emersi. La vicenda Nell'ambito del giudizio la società ricorrente sostiene che un contratto di global service di siffatta portata, recante oltretutto clausole per affidare, a richiesta dell'ente, ulteriori interventi da remunerare separatamente rispetto all'originario importo dell'appalto, configura una palese violazione del principio della par condicio e dell'evidenza pubblica. In tale contesto la Sezione rileva che il global service è effettivamente un istituto giuridico «a forte rischio di lesione dei principi della concorrenza (…) con la conseguenza che la scelta di tale tipologia contrattuale, pur attenendo alla sfera delle scelte discrezionali dell'Amministrazione (…), rende indispensabile specificare con esattezza negli atti di gara l'ammontare delle singole prestazioni e la loro incidenza percentuale delle diverse categorie rispetto all'importo complessivo del contratto». In un caso relativo alla fornitura di servizi in ambito ospedaliero, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, con la sentenza n. 598/2009ha censurato la prassi di ricorrere al global service senza una preventiva valutazione preliminare della sua convenienza rispetto all'acquisizione delle forniture con contratti separati, di modo che appare fuori discussione l'esigenza che la stazione appaltante sia molto cauta nel ricorrere a tale modalità di gestione La decisione Fermo restando tutto ciò, nella delibera in commento il global service supera il vaglio di Palazzo Spada, per il fatto che nel capitolato speciale d'appalto la locuzione «interventi di manutenzione straordinaria» non è utilizzata in modo indefinito per qualsiasi necessità che può insorgere nel periodo della durata contrattuale, ma soltanto con riferimento a prestazioni specificamente individuate, previa richiesta dell'ente, ed entro la soglia di un predeterminato impegno di spesa. Rileva appunto il collegio che «se il contratto prevedesse la copertura, pur a pagamento, di ogni intervento successivo di manutenzione straordinaria, di qualsiasi entità, è evidente che si aggirerebbero i limiti finanziari stringenti che invece avvincono le Amministrazioni pubbliche, rendendo quindi del tutto illogica la pretesa azionata dall'attuale appellante». In definitiva, per legittimare il ricorso al global service non basta un generico rinvio al fondamento normativo individuato negli articoli 11 e 1322 del codice civile, nel 16° considerando della direttiva comunitaria n. 92/50 e nel codice dei contratti, con l'intento di offrire alla Pa uno strumento utile alla gestione del patrimonio immobiliare. Occorre anche un impiego avveduto e responsabile di tale istituto giuridico, che deve essere sempre utilizzato secondo le regole del quadro normativo, e segnatamente nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e non discriminazione. Appalti, obbligo di pubblicazione dei dati anche per i contratti in corso di Alberto Barbiero Le stazioni appaltanti devono pubblicare i contratti relativi ad appalti di beni e servizi di valore superiore a un milione di euro, fatta salva la tutela delle informazioni riservate di proprietà dell'amministrazione aggiudicatrice o relative a segreti industriali del fornitore. Il particolare obbligo di pubblicità è previsto dal comma 505 della legge 208/2015, con l'obiettivo di rendere note le condizioni contrattuali relative agli appalti assoggettati all'obbligo di programmazione, stabilito dalla stessa norma. La procedura per la trasparenza I contratti devono essere pubblicati sul profilo di committente (la sezione «bandi e gare» del sito della stazione appaltante) e comunicati sia all'ufficio dell'amministrazione che si occupa del controllo di gestione sia all'osservatorio dei contratti pubblici presso l'Anac. La disposizione si applica anche ai contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di stabilità (1° gennaio 2016) aventi ad oggetto la fornitura alle amministrazioni pubbliche di beni e servizi di importo unitario superiore a un milione di euro: rientrano in questo novero sia i contratti relativi ad appalti nella loro fase finale sia quelli a cavallo del biennio 2015-2016, nonché ai contratti con i particolari parametri dimensionali che verranno ad essere stipulati nel corso del 2016. Pubblicazione integrale La pubblicazione del contratto comprende necessariamente tutte le sue parti integranti, ossia necessarie per comprendere l'effettivo sviluppo delle prestazioni: devono pertanto essere assoggettate all'obbligo anche le componenti allegate, come il capitolato speciale descrittivo delle specifiche tecniche e prestazionali, oltre all'offerta presentata dall'aggiudicatario (essendo documento che evolve le specifiche prestazionali sotto il profilo tecnico ed economico o soltanto economico, a seconda del tipo di criterio scelto per la valutazione delle offerte). Il comma 505 prevede peraltro che siano sottratti alla pubblicazione i dati e gli elementi del contratto che riguardano informazioni riservate sia della stazione appaltante sia dell'operatore economico: nel primo gruppo possono essere ricompresi particolari elementi tecnici o di servizio assoggettati a particolari condizioni di sicurezza, nel secondo i dati e i profili descrittivi di segreti industriali o commerciali presentati dall'aggiudicatario in sede di offerta. Le cautele Proprio le informazioni particolari elaborate dall'operatore economico e immesse nei documenti di gara confluenti nel contratto di appalto rendono necessari alcuni accorgimenti. Le stazioni appaltanti devono anzitutto chiarire agli operatori economici la differenza tra segreti commerciali-industriali e informazioni coperte da brevetto: solo i primi potranno avere specifica tutela (con conseguente estrapolazione dal testo del contratto e dei suoi allegati), in quanto le seconde sono garantite proprio dal regime di pubblicità speciale previsto per prodotti e servizi brevettati. «Segreti» limitati L'amministrazione aggiudicatrice, inoltre, deve rendere noto nel bando e nel disciplinare di gara che i concorrenti che intendono sottrarre alcune parti della loro offerta alla visione di terzi (quindi anche in relazione all'eventuale esercizio del diritto di accesso) devono specificare quali sono quelle coperte da segreto commerciale o industriale. È necessario evidenziare che l'ipotesi dell'intera offerta "secretabile" non è ipotizzabile, in quanto, qualora un operatore economico presenti in una gara un'offerta replicativa di un modello organizzativo o gestionale già sperimentata in un altro ente, proprio questo precedente rende la prestazione assoggettata a un regime di pubblicità fattuale. A titolo esemplificativo questa situazione si verifica quando un certo modello didattico viene applicato a un servizio alla primissima infanzia e reso oggetto di confronto con l'ente e con i genitori dei bambini interessati. Stop ai gazebo se cambiano i vincoli sul decoro urbano di Pippo Sciscioli È legittimo il regolamento con il quale un Comune, per motivi di decoro urbano e in conformità a un parere dell'organo tutorio previsto allo scopo quale la Soprintendenza ai beni culturali e artistici, motivatamente riveda la sua disciplina per l'occupazione di spazi e aree pubbliche e stabilisca le nuove regole per gazebo e dehors a servizio di pubblici esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. E, conseguentemente, faccia decadere le concessioni rilasciate in passato per le quali i relativi titolari non abbiano adeguato le strutture esistenti entro il termine assegnato. La sentenza n. 118 del 15 gennaio scorso della prima sezione del Tar Palermo, nel dare ragione al Comune trapanese di San Vito Lo Capo, nota meta turistica per la bellezza del suo mare e dei beni culturali, è destinata a far discutere incanalandosi nel solco già sufficientemente arato da prevalente giurisprudenza, secondo cui l'occupazione di strade, marciapiedi, vie e piazze pubbliche da parte di gestori di bar, ristoranti e pizzerie con strutture tipo gazebo e dehors non può essere limitata al semplice pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico ma al più complesso provvedimento di concessione comunale, che andrà rilasciata nel rispetto del relativo regolamento comunale e delle prescrizioni in esso contenute. Sicchè se cambia il regolamento, recante diversi e più stringenti vincoli specie se afferenti la tutela dei luoghi e dei beni pubblici, le autorizzazioni già rilasciate dovranno necessariamente essere adeguate, a pena di decadenza, entro un congruo termine fissato dal Comune stesso. La vicenda Nella vicenda specifica decisa dalla sentenza, era accaduto che alcuni proprietari di attività di ristorazione e commerciali aveva impugnato il nuovo regolamento di occupazione di suolo pubblico approvato dal Consiglio comunale di San Vito Lo Capo, redatto sulla base peraltro del parere vincolante e restrittivo della Soprintendenza, che di fatto aveva condotto allo smantellamento di gran parte dei gazebo precedentemente autorizzati ma di fatto impossibili da adeguare alle nuove misure. Secondo la Soprintendenza, nel tempo si erano create situazioni di forte contrasto tra queste strutture e la qualità dei luoghi, specie del centro storico, creando disarmonie e nocumento al contesto di alto valore paesaggistico sottoposto a tutela dal Codice per il Paesaggio (Dlgs 42/2004). La decisione Per il Tar palermitano bene ha operato il Comune essendo il nuovo regolamento immune da vizi di illegittimità, trattandosi di scelte discrezionali e comunque adeguatamente motivate in relazione alla tutela del decoro e dell'arredo urbano. D'altronde, il fatto che in passato siano state rilasciati analoghi provvedimenti concessori non preclude la possibilità che il Comune riveda in seguito il proprio orientamento e adotti un nuovo strumento regolamentare proprio che, sempre allo scopo di perseguire l'interesse generale della tutela paesaggistica del proprio territorio, fissi misure e condizioni più restrittive per l'assentibilità di strutture mobili a servizio delle attività economiche aventi titolo. Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza, il procedimento di assentibilità di tali strutture intanto sconta l'esigenza di un permesso di costruire, dal punto di vista edilizio, in base all'articolo 3, lettera e.5) del Dpr 380/2001 secondo cui sono consiederate nuove costruzioni «l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere», al pari della «realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato», in base alla lettera e.7) dello stesso articolo 3. Ma servirà anche l'autorizzazione paesaggistica semplificata ex Dpr 139/2010 se la strada o la piazza del Comune risale ad oltre 70 anni, la presentazione della pratica per i calcoli statici se la struttura supera determinati limiti dimensionali, ed infine la concessione del suolo pubblico. Ecotassa, nuove misure per incentivare la raccolta differenziata di Mauro Calabrese Scattano le nuove misure di incentivazione del recupero e riuso dei rifiuti attraverso le modifiche alla cosiddetta «ecotassa», per incrementare la raccolta differenziata e sostenere l’economia circolare basata sul riciclaggio e recupero dei materiali riutilizzabili, nonché ridurre il conferimento in discarica, anche con l’introduzione di penalizzazioni tariffarie per i rifiuti non riciclati e con il sistema del «vuoto a rendere». Il Capo VI della Legge 221/2015 Collegato ambientale, dedicato alle «Disposizioni relative alla gestione dei rifiuti», in vigore dallo scorso 2 febbraio 2016, contiene una serie di disposizioni destinate a promuovere la raccolta differenziata e penalizzare il conferimento degli scarti in discarica. Obiettivi di raccolta differenziata In tema di obiettivi di raccolta differenziata, l’articolo 32 della Legge 221/2015, che modifica il testo dell’articolo 205 del Codice dell’ambiente (Dlgs 152/2006), prevede che le percentuali minime debbano, per il futuro, essere raggiunte non solo a livello di Ambiti territoriali ottimali (Ato) se costituiti, bensì anche dei Comuni. Gli obiettivi di raccolta differenziata minima stabiliti dalla norma del Codice dell’ambiente rimangono del 35% entro il 2006, del 45% entro il 2008, di almeno il 65% entro il 2012. La norma in esame, al comma 2, dispone un termine di 24 mesi dalla data di entrata in vigore, per l’adeguamento delle situazioni pregresse al raggiungimento delle percentuali prefissate di raccolta differenziata. Il meccanismo introdotto dalla Legge 221/2015, stabilisce ora che l’addizionale pari al 20% sul tributo speciale al conferimento dei rifiuti in discarica, cosiddetta «ecotassa» prevista nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, come detto anche a livello comunale, si applichi direttamente a danno dei Comuni inadempienti, e non più secondo il meccanismo che ne prevedeva l’attribuzione a livello di Ato, che ne avrebbe quindi ripartito gli oneri tra le diverse municipalità. L’addizionale prevista dovrà confluire in un apposito fondo regionale destinato al finanziamento di interventi di prevenzione della produzione dei rifiuti, per l’acquisto di prodotti e materiali riciclati, nonché il cofinanziamento degli impianti e attività di informazione ai cittadini in materia di prevenzione e di raccolta differenziata. Meccanismi premiali per i Comuni virtuosi Per incentivare, al contrario, i comportamenti più virtuosi delle amministrazioni comunali, l’articolo 32 citato prevede un meccanismo premiale che comporta una riduzione della ecotassa, rimodulata in base alle percentuali di superamento dei quantitativi di differenziata, parametrati ai dati per l’anno precedente, rispetto ai limiti statali, la riduzione del tributo può variare da un minimo del 30%, fino a un massimo del 70%. Il meccanismo premiale introdotto, inoltre, prevede una serie di disposizioni tecniche, relative ai criteri di calcolo, verifica e di validazione dei livelli annuali di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani e del relativo grado di efficienza, demandate alla competenza delle Regioni sulla scorta delle linee guida da adottare, con apposito decreto, dal ministero dell’Ambiente. Il rilevamento, la raccolta, la trasmissione e la certificazione dei dati da parte dei Comuni dovrà avvenire annualmente, sulla base di un apposito sistema informatizzato di catasto regionale dei rifiuti. Maggiori obiettivi di riciclo e recupero L’articolo 32 in esame dispone, inoltre, con la modifica del comma 6 dell’articolo 205 del Dlgs 152/2006, che le Regioni possano stabilire, con apposite disposizione legislative, la fissazione di maggiori obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti, facendo però salvi gli obiettivi fissati dall’articolo 181, comma 1, lettera a), del Dlgs 152/2006, che prevede, entro il 2020, l’aumento pari almeno al 50% in termini di peso della preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, la cui realizzazione è valutata secondo la metodologia scelta dal ministero dell’Ambiente. Estensione dell’ecotassa La disciplina della ecotassa viene quindi ulteriormente rivista, perseguendo le medesime finalità di promozione del riciclo e recupero dei materiali e riduzione dei conferimenti in discarica, ad opera dei successivi articoli 34 e 35, il primo dei quali prevede l’estensione del tributo speciale per il deposito in discarica, anche alle operazioni di conferimento agli inceneritori privi di sistema di recupero di energia, ritenuta modalità meno efficiente di smaltimento; il successivo comma 2 dell’articolo 34, interviene sulla destinazione del gettito della misura al fondo regionale, secondo le finalità citate dal suddetto articolo 32, disponendone l’integrale attribuzione alle Regioni, non più solo nella misura del 20%, ed eliminando la quota del 10% destinata alle Province. Il successivo articolo 35 dispone, in considerazione dell’estensione prevista dalla norma precedente, che il tributo speciale per i rifiuti smaltiti negli impianti di incenerimento senza recupero energetico, nonché verso tutti gli impianti classificati esclusivamente come impianti di smaltimento mediante incenerimento a terra, sarà applicato nella misura del 20% dell’ammontare determinato, su base regionale, moltiplicando l'ammontare dell'imposta per il quantitativo, espresso in chilogrammi, dei rifiuti conferiti in discarica, nonché per un coefficiente di correzione che tiene conto del peso specifico, della qualità e delle condizioni di conferimento dei rifiuti ai fini della commisurazione dell'incidenza sul costo ambientale, stabilito con decreto del ministro dell'Ambiente. Il sindaco sospeso dalla legge Severino può puntare al terzo mandato di Amedeo Di Filippo La sospensione dalla carica di sindaco prevista dalla legge Severino deve essere considerata ai fini del calcolo della durata del mandato, costituendo «causa diversa dalle dimissioni volontarie» di impedimento all'esercizio della carica secondo quanto dispone l'articolo 51 del Tuel. Lo afferma la prima sezione del Consiglio di Stato col parere n. 179/2016. Il caso La prima sezione ha risposto al quesito presentato dal ministero dell'Interno circa l'applicabilità del divieto di rielezione del sindaco per il terzo mandato consecutivo anche nel caso in cui lo stesso, per effetto della sospensione dalla carica prevista dal Dlgs 235/2012, abbia esercitato il mandato per meno di due anni e mezzo. L'articolo 51, comma 2, del Tuel dispone che chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile. Il comma 3 consente un terzo mandato consecutivo «se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie». Un'altra eccezione è stata introdotta dal comma 138 della legge 56/2014 per i soli Comuni con popolazione fino a 3mila abitanti, ai quali non si applicano le disposizioni previste dai commi 2 e 3 dell'articolo 51; ai sindaci di questi enti è comunque consentito un numero massimo di tre mandati. L'incognita Il Viminale prospetta la situazione di un sindaco di un Comune con popolazione superiore a 3mila abitanti che, durante il secondo mandato, è stato sospeso per essere stato condannato in primo grado per uno dei reati previsti dagli articoli 10 ed 11 del Dlgs 235/2012; sospensione venuta meno in conseguenza dell'intervenuta pronuncia d'assoluzione in appello. Poiché per effetto della sospensione l'interessato aveva di fatto esercitato le funzioni di sindaco per un periodo inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, è sorto il dubbio se potesse legittimamente candidarsi per un terzo mandato. Il ministero ha chiesto pertanto al Consiglio di Stato se la durata alla quale si fa riferimento nel Tuel debba essere intesa non in senso formale ma come corrispondente all'arco temporale durante il quale l'organo ha potuto effettivamente svolgere le proprie funzioni. Ad avviso del ministero, sembrerebbe potersi desumere il principio in virtù del quale il lasso di tempo in cui alla persona sia di fatto precluso l'esercizio delle funzioni di sindaco non va computato nella durata del mandato elettorale e assume, dunque, rilevanza per gli effetti previsti dall'articolo 51, comma 3. Sotto questo profilo ipotizza che la sospensione di diritto disciplinata dalla legge Severino, non sembrando equiparabile a un atto intenzionale quali sono appunto le dimissioni volontarie, costituisca una causa idonea a consentire un terzo mandato consecutivo, laddove, per effetto di essa, la durata di uno dei due mandati precedenti si sia ridotta a meno di due anni, sei mesi ed un giorno. La posizione del Consiglio di Stato Il parere dei giudici di Palazzo Spada si concentra sull'inciso dell'articolo 51, comma 3 del Tuel in cui si consente il terzo mandato consecutivo se uno dei due precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno «per causa diversa dalle dimissioni volontarie», per verificare se in questa causa possa ricadere l'ipotesi del sindaco sospeso di diritto in base alla legge Severino. Nell'un caso – la sospensione a seguito di condanna penale costituisce «causa diversa dalle dimissioni volontarie» – del periodo di sospensione si terrebbe conto ai fini del calcolo della durata del mandato; nell'altro – la sospensione non costituisce causa diversa dalle dimissioni volontarie – del periodo di sospensione non si terrebbe conto ai fini del calcolo della durata del mandato. Di fronte al dilemma, la prima sezione non ha dubbi e opta per la prima delle soluzioni in quanto il significato proprio delle parole «non consente di accostare alle dimissioni volontarie dalla carica la sospensione di diritto conseguente a una condanna penale», in quanto non è consentito assimilare la sospensione ope legis alle dimissioni volontarie dalla carica. Straordinari, il fondo tagliato può essere reintegrato di Arturo Bianco Le amministrazioni regionali e locali hanno ampia flessibilità nell'utilizzo del fondo per il lavoro straordinario; gli enti sono vincolati unicamente a non superare il tetto fissato dal contratto nazionale del 1° aprile 1999. In questo ambito possono decidere sia di tagliare queste risorse sia di reintegrarle, a condizione che le somme risparmiate non siano state utilizzate per l'incentivazione del personale, ma siano andate in economia al bilancio dell'ente. Le regole Sono queste le principali conseguenze che si devono trarre dalle indicazioni dettate dall'Aran. L'articolo 14 del contratto dello 1° aprile 1999 ha determinato il tetto del fondo per il lavoro straordinario nella misura dell'importo in godimento nel 1998 con la riduzione una tantum del 3%, riduzione che va a implementare la parte stabile del fondo e che non deve essere incrementata annualmente. Questo tetto non può essere aumentato, salvo che per le consultazioni elettorali e in presenza di «eventi eccezionali», quali ad esempio le dichiarazioni di calamità. Il fondo per il lavoro straordinario non deve essere in alcun modo confuso con quello per il finanziamento del salario accessorio. Gli unici punti di contatto sono, sulla base delle previsioni del contratto nazionale, i seguenti: • il taglio una tantum delle risorse per lo straordinario alimenta la parte stabile del fondo per il salario accessorio; • i risparmi realizzati nei singoli anni vanno ad implementare la parte variabile dell'anno successivo; • per l'Aran, da tempo, è inoltre possibile disporre il taglio del fondo per il lavoro straordinario e con i conseguenti risparmi implementare la parte stabile del fondo per il salario accessorio. Il passaggio ulteriore I chiarimenti forniti adesso dall'Aran offrono un'ulteriore forma di flessibilità nella costituzione del fondo. Viene preso in esame il caso di un'amministrazione che ha tagliato queste risorse e che decide poi di reintegrarle. Questa opzione è possibile a condizione che le risorse siano state utilizzate dall'ente come economie di bilancio e non siano invece state destinate all'incentivazione del personale, quindi non abbiano determinato un aumento del fondo per il salario accessorio. La reintegrazione ovviamente deve restare all'interno del tetto dettato sulla base delle previsioni dell'articolo 14 del contratto nazionale del 1° aprile 1999, un tetto che deve essere considerato come non superabile. I vincoli generali L'Aran chiarisce infine che questa operazione può essere effettuata a condizione che siano rispettati i vincoli dettati dal legislatore sul patto di stabilità (dal 2016 sul pareggio di bilancio) e sul tetto di spesa del personale. Si deve inoltre aggiungere la necessità di tenere conto dei vincoli dettati dalla legge di stabilità 2016 che impongono, fino all'entrata in vigore dei decreti attuativi della riforma Madia in materia di dirigenza e di lavoro pubblico, di non superare le risorse destinate al salario accessorio nell'anno 2015.