La mia Rassegna Stampa

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La mia Rassegna Stampa
Patrimonio, invio entro il 27
febbraio per i dati sulle
concessioni 2014
di Paolo Rossi
Guadagna tempo la chiusura delle rilevazione delle concessioni pubbliche in atto
al 2014. Infatti, le amministrazioni potranno procedere all'invio dei dati di
propria competenza fino al prossimo 27 febbraio, invece dell'iniziale termine di
scadenza del 31 gennaio 2016. L'adempimento di rilevazione delle concessioni
rilasciate dalla Pa risponde all'esigenza di mantenere sempre viva la ricognizione
dei beni patrimoniali e degli attivi dello Stato, come inaugurata e prescritta dalla
legge finanziaria del 2010. Proroga di recente comunicata dal dipartimento del
Tesoro, l'amministrazione tenuta alla rilevazione nell'ambito del
progetto «Patrimonio della Pa».
L'invio dei dati
Ciascuna amministrazione deve individuare un responsabile per la
comunicazione dei dati e dichiarare annualmente le informazioni relative alle
concessioni rilasciate dalla stessa amministrazione su beni demaniali o del
patrimonio indisponibile. Nel caso in cui l'amministrazione non abbia rilasciato
concessioni occorre fare, sempre attraverso l'applicativo, esplicita dichiarazione
negativa.
Gli utenti abilitati alla comunicazione potranno accedere all'interno della sezione
Servizi online concessioni del Portale Tesoro e terminare la rilevazione avendo
cura di verificare la correttezza e la completezza dei dati inseriti. L'accesso
all'applicativo «Concessioni» è riservato ai soli utenti registrati
Le raccomandazioni del Tesoro
Il Dipartimento si raccomanda di non attendere i giorni immediatamente
precedenti la chiusura della rilevazione. Per maggiori informazioni e assistenza
alla comunicazione è possibile contattare [email protected]. Inoltre, il
Dipartimento invitando gli utenti a procedere con sollecitudine e verificare
correttezza e completezza dei dati inseriti, raccomanda di non attendere i giorni
immediatamente precedenti la chiusura della rilevazione.
Chi è tenuto all'adempimento
Si ricorda che l'adempimento è stato messo in campo dalla Finanziaria 2010 in
tema di valorizzazione dell'attivo e del patrimonio dello Stato (articolo 2, comma
222, della legge 191/2009).
L'obbligo sussiste per tutte le amministrazioni incluse nell'elenco S13, definito
annualmente dall'Istat e per quelle individuate dall'articolo 1, comma 2, del Dlgs
165/2001: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni
dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni
educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo,
le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e
associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le
Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni,
tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le
amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia
per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le
Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione
organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto
continuano ad applicarsi anche al CONI.».
Per i piani di riequilibrio
correzioni possibili fino al 1° luglio
di Giovanni G.A. Dato
La deliberazione della Corte dei conti Sezione Controllo Regione Sicilia n.
30/2016/PAR del 28 gennaio 2016 ha esaminato la richiesta di chiarimenti
avanzata da un ente locale sulla corretta applicazione delle nuove norme
contenute nell’articolo 1, commi 714 e 715, della Legge 208/2015 (legge di
stabilità 2016), ed in particolare se la nuova fattispecie possa essere assimilata a
quella già prevista nel comma 5 dell’articolo 243-bis del Dlgs 267/2000 (Testo
unico enti locali).
La previsione del Tuel
La deliberazione in commento esclude che la fattispecie di recente introdotta
dalla Legge di stabilità 2016 possa considerarsi assimilabile alla facoltà di
rimodulazione già prevista dall’articolo 243 bis, comma 5 Tuel nel testo
attualmente vigente.
Innanzitutto, la previsione racchiusa nel Tuel fa espresso riferimento alla
presenza di una deliberazione del Consiglio comunale avente ad oggetto il piano
di riequilibrio finanziario pluriennale rispetto alla quale non risulti ancora
intervenuto il provvedimento di approvazione o diniego da parte della Corte dei
conti.
Inoltre, la predetta fattispecie concerne le ipotesi nelle quali dopo l’approvazione
consiliare del piano sia subentrata una nuova amministrazione, così che, prima
ancora che lo stesso venga sottoposto al giudizio della Corte dei conti, si è
ritenuto opportuno concedere la facoltà di rimodularlo in coerenza con gli
indirizzi politici e amministrativi perseguiti dalla nuova amministrazione
dell’ente.
Infine, la facoltà di rimodulazione del piano di riequilibrio risulta condizionata
temporalmente con l’individuazione del termine di sessanta giorni decorrenti
dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato, di cui all’articolo 4-bis,
comma 2, Dlgs n. 149/2011.
La nuova fattispecie introdotta dalla Legge di stabilità 2016
La diversa previsione contenuta nell’articolo 1, comma 714 della Legge di
stabilità risulta innanzitutto applicabile a tutti gli enti locali che, nel corso degli
anni 2013 e 2014, abbiano presentato il piano di riequilibrio o ne abbiano
ottenuto l’approvazione nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 243-bis Tuel.
I predetti enti hanno la facoltà, entro il 1° luglio 2016, di riformulare o
rimodulare il piano di riequilibrio già presentato o approvato coerentemente
all’arco temporale dei trenta anni previsto per il ripiano del disavanzo emerso a
seguito del riaccertamento straordinario di cui all’articolo 3, Dlgs n. 118/2011.
Gli enti locali interessati, pertanto, nel rispetto delle modalità stabilite dal Dm 2
aprile 2015 (che fornisce specifiche indicazioni sulle risorse utilizzabili per il
ripiano del disavanzo e sugli adempimenti posti a carico delle amministrazioni
interessate) dovranno adottare un’apposita deliberazione consiliare, corredata
dal parere del Collegio dei revisori, entro il termine di 45 giorni dalla data di
approvazione della delibera della Giunta avente ad oggetto il riaccertamento
straordinario dei residui, individuando l’importo annuale del recupero costante
che risulterà necessario per il ripiano complessivo del disavanzo come
precedentemente accertato.
Si chiarisce che il piano di riequilibrio dovrà essere comunque articolato entro
un limite temporale di dieci anni, mentre sarà possibile suddividere il disavanzo
conseguente al riaccertamento straordinario dei residui in trenta anni.
Si stabilisce, altresì, che le anticipazioni riconosciute agli enti sottoposti alla
procedura di riequilibrio, sulla base di quanto disposto dagli articoli
243 ter e quinquies del Tuel, possono essere oggetto di restituzione nel termine
di trenta anni decorrenti dall’anno successivo a quello della erogazione.
Il comma 715 stabilisce, inoltre, per gli enti che hanno già ottenuto
l’approvazione del piano, la possibilità di utilizzare, per tutto il periodo di durata
dello stesso, le risorse derivanti dalla rinegoziazione dei mutui o dal riacquisto
dei titoli obbligazionari emessi, senza vincolo di destinazione.
Secondo la deliberazione in esame, la nuova disciplina ha riconosciuto agli enti
locali interessati la facoltà non soltanto di “rimodulare”, ma perfino di
“riformulare” ovvero di progettare ex novo il piano di riequilibrio con l’esclusivo
limite della durata decennale e della necessità di avvalersi della predetta facoltà
riconosciuta dalla legge entro il termine di sei mesi dall’entrata in vigore delle
nuove disposizioni.
La nuova normativa, peraltro, consente di armonizzare la disciplina relativa al
piano di riequilibrio finanziario pluriennale con le norme appositamente dettate
dal legislatore per attuare il nuovo ordinamento degli enti a seguito
dell’armonizzazione dei sistemi contabili.
Conclusioni
La deliberazione in esame conclude evidenziando che il recente intervento
normativo può servire a riformulare o rimodulare il piano già approvato o
presentato solo per consentire il ripiano del disavanzo scaturito dal
riaccertamento straordinario dei residui nei termini e con le modalità stabilite
dall’articolo 3 del Dlgs n. 118/2011 e dal Dm 2 aprile 2015, ma lascia
impregiudicati i vincoli normativi e gli impegni già assunti da ciascun ente al
momento dell’approvazione del piano. Le modifiche normative sopravvenute,
inoltre, non incidono sui vincoli e sulle condizioni poste dal legislatore agli enti
sottoposti alla procedura di riequilibrio, così che restano impregiudicati i poteri
di controllo e di verifica riconosciuti alla Corte dei conti dall’articolo 243quater,
commi 3 e 6, del Tuel.
Il bilancio consolidato parte dal
doppio elenco
di Daniela Ghiandoni ed Elena Masini
Dal 2016 le province e i Comuni sopra i 5.000 abitanti (ad eccezione degli enti
sperimentatori) e tutti gli altri enti locali sono tenuti ad applicare il principio
contabile del bilancio consolidato, mentre i Comuni fino a 5mila abitanti
possono decidere di rinviarlo al 2017 (articolo 233-bis, comma 3, del Tuel). Si
tratta di un'altra tappa fondamentale del processo di riforma della contabilità
pubblica, che è già stata ricompresa nel Dl 174/2012 tra gli strumenti attraverso
cui esercitare il controllo sugli organismi partecipati. Attraverso il
consolidamento dei bilanci, infatti, il legislatore ha inteso fornire una
rappresentazione completa e veritiera della consistenza del patrimonio,
dell'indebitamento e dell'intera situazione economico-finanziaria dell'ente, oggi
parzializzata dal fenomeno delle esternalizzazioni.
Le regole
Le principali norme di riferimento sono tre:
•
Articoli
da
11-bis
a
11-quinquies
del
Dlgs
118/2011;
• Allegato n. 4/4 del Dlgs. 118/2011: Principio contabile applicato concernente il
bilancio consolidato;
•
Articoli
147-quater
e
233-bis
del
Dlgs
267/2000.
Le attività da svolgere.
Cosa devono fare gli enti che per la prima volta si apprestano ad applicare questo
nuovo principio? Anche se la scadenza dell'approvazione del primo bilancio
consolidato riferito all'esercizio 2016 sia fissata al 30 settembre 2017, è
opportuno attivarsi fin da ora, individuando i soggetti che a vario titolo entrano
a far parte del «Gruppo amministrazione pubblica» e del perimetro di
consolidamento
e
fornendo
loro
le
necessarie
direttive.
Il Gruppo
Il Gruppo amministrazione pubblica è costituito sia dagli organismi strumentali
dotati di autonomia organizzativa ma privi di personalità giuridica (come le
istituzioni) sia dai soggetti (enti strumentali e società) in cui l'ente esercita il
controllo o detiene una partecipazione qualificata. A questo proposito:
• il controllo fa riferimento – in linea con l'articolo 2359 del Codice civile - al
potere di nominare o rimuovere la maggioranza dei componenti dell'assemblea o
del consiglio di amministrazione, ovvero al possesso della maggioranza dei voti
esercitabili o ancora all'obbligo di ripianare le perdite in misura superiore alla
propria quota di partecipazione, o infine all'esercizio di una influenza
dominante, quale può essere un contratto di servizio pubblico o un atto di
concessione, se l'attività dell'ente o della società hanno per oggetto proprio
l'esercizio di tali attività. Fino al 2017 sono escluse le società quotate in borsa e
loro controllate;
• la partecipazione si ha quando viene affidata a una società a totale
partecipazione pubblica, sia diretta sia indiretta, un servizio pubblico locale, a
prescindere dalla quota di partecipazione. Vengono di fatto escluse dall'obbligo
le società in house che gestiscono servizi di natura strumentale non rivolti al
pubblico. Dal 2018 (esercizio 2017) saranno considerate partecipate anche le
società nelle quali l'ente detiene una quota di capitale superiore al 20% se la
società non è quotata o del 10% se la società è quotata. Nel caso di enti
strumentali qualsiasi quota di partecipazione rileva ai fini dell'inserimento nel
Gruppo.
Perimetro di consolidamento
Non tutti i soggetti inclusi nel Gruppo finiscono però per essere inseriti nel
perimetro di consolidamento. Il principio infatti, a questo scopo individua due
criteri oggettivi (uno di irrilevanza e uno di impossibilità oggettiva) al verificarsi
dei quali un organismo, ente o società possono essere esclusi. L'irrilevanza si ha
quando la dimensione della partecipazione è tale da rendere ininfluente il
consolidamento ai fini della rappresentazione veritiera della situazione
patrimoniale, economica e finanziaria. Essa scatta in presenza di una
partecipazione al capitale sociale inferiore all'1% (cosiddette micropartecipazioni) o quando tutti e tre i parametri dati dal netto patrimoniale, dal
totale dell'attivo e dal totale dei ricavi caratteristici dell'organismo, ente
strumentale o società risultano inferiori al 10% di quelli della capogruppo (ente
locale, ridotto a 5% per le Province). Questo criterio, unico a prescindere dalle
dimensioni dell'ente, porta al paradosso che quando la partecipazione supera
l'1%, saranno più frequentemente consolidabili i bilanci da parte di Comuni di
minore dimensione demografica rispetto ad altri più grandi. Sarebbe quindi
opportuno graduare la soglia per fasce demografiche dei Comuni.
Un altro motivo per cui un soggetto incluso nel Gruppo non entra nel perimetro
di consolidamento è dato dall'impossibilità oggettiva di reperire le informazioni
in tempi ragionevoli e senza spese sproporzionate. Questa situazione si verifica,
ad esempio, in presenza di eventi calamitosi quali alluvioni o terremoti che
portano
all'indisponibilità
della
documentazione.
Le direttive
Gli enti sono tenuti ad approvare all'inizio dell'esercizio, mediante deliberazione
della Giunta comunale, due separati elenchi:
• l'elenco degli enti, aziende e società che compongono il gruppo
amministrazione pubblica, avendo cura di evidenziare quelli à che, a loro volta,
sono a capo di un gruppo di amministrazioni pubbliche o di imprese. L'elenco
deve essere inserito anche nel Dup, affinché possano essere affidati i necessari
obiettivi a questi soggetti;
• l'elenco di enti, aziende e società componenti del gruppo compresi nel
perimetro di consolidamento.
Questi elenchi dovranno essere aggiornati al termine del 2016 per tenere conto
delle modifiche intervenute durante l'anno, dal momento che si prenderà in
considerazione la situazione al 31 dicembre dell'esercizio. L'approvazione a inizio
anno – seppure in via provvisoria – dei due elenchi è funzionale alla emanazione
di opportune direttive ai soggetti interessati, così che possano essere adottati
tutti gli accorgimenti contabili e organizzativi necessari per garantire un miglior
risultato finale. Le direttive, in particolare, riguarderanno:
• le modalità e i tempi di trasmissione dei bilanci di esercizio, dei rendiconti o dei
bilanci consolidati e delle informazioni integrative necessarie all'elaborazione del
consolidato. A tal fine il principio contabile .c. individua comunque le seguenti
scadenze: 10 giorni dall'approvazione del bilancio e comunque entro il 20 agosto
dell'esercizio successivo;
• le indicazioni di dettaglio riguardanti la documentazione e le informazioni
integrative che i componenti del gruppo devono trasmettere per rendere
possibile l'elaborazione del consolidato, ovvero conto economico, stato
patrimoniale, operazioni infragruppo (debiti-crediti, utili e perdite, eccetera);
• per i soggetti in contabilità economico-patrimoniale, le istruzioni necessarie
per avviare un percorso di adeguamento che consenta, in tempi ragionevolmente
brevi, di uniformare i bilanci del gruppo, compresi i bilanci consolidati
intermedi, ai criteri previsti nel presente principio, se non in contrasto con la
disciplina civilistica.
Firmato (finalmente) il decreto sul
«fondo cuscinetto» per 2.540
Comuni
di Gianni Trovati
Termina finalmente il lungo iter del decreto con cui il ministero dell'Economia e
quello dell'Interno distribuiscono i 29 milioni del «fondo cuscinetto» destinato a
2.540 Comuni medio-piccoli che nel 2015 avevano subito una sforbiciata
"troppo" profonda a causa del debutto del nuovo meccanismo legato ai
fabbisogni standard nell'assegnazione del fondo di solidarietà comunale.
Il meccanismo
I numeri sono noti da tempo, perché sono il frutto di un'intesa fra Governo e
Comuni arrivata dopo un lungo tira e molla sulle regole. In pratica, l'integrazione
del fondo è arrivata in tutte le amministrazioni locali in cui l'applicazione dei
nuovi meccanismi nella determinazione del fondo di solidarietà comunale aveva
prodotto un taglio superiore all'1,3% delle risorse di base, rappresentate dal
gettito di Imu e Tasi e dalla quota di fondo di solidarietà del 2014. Per ragioni di
funzionalità, l'assegno è stato cancellato nei casi in cui il calcolo avrebbe
prodotto una somma inferiore allo 0,05% delle stesse risorse base: le risorse che
avrebbero alimentato questi mini-bonus sono state distribuite fra gli altri
Comuni .
Tempi lunghi
Rimane il fatto che il via libera definitivo al decreto arriva a esercizio
abbondantemente concluso, a causa prima dei tempi lunghi della trattativa che
ha portato alla definizione delle regole e poi del passo lento con cui il decreto ha
ricevuto le firme dei due ministri interessati, Pier Carlo Padoan e Angelino
Alfano. Nei Comuni interessati, soprattutto in quelli più piccoli, questo ha acuito
naturalmente le tensioni di cassa e le difficoltà nell'assicurare pagamenti
puntuali ai fornitori: una volta in Gazzetta Ufficiale, comunque, il
provvedimento è essenziale per chiudere i rendiconti 2015.
Armonizzazione, la competenza
mette i residui sotto esame
di Anna Guiducci
La corretta applicazione dei principi di competenza finanziaria potenziata passa
al vaglio del riaccertamento ordinario dei residui. Secondo le disposizioni recate
dall'articolo 228, comma terzo del Tuel, prima dell'inserimento nel conto del
bilancio dei residui attivi e passivi, l'ente locale è tenuto a effettuare la revisione
delle ragioni del loro mantenimento in tutto o in parte e a verificarne la corretta
imputazione, nel rispetto di quanto disciplinato nel principio di competenza
finanziaria applicata, allegato 4/2 al Dlgs 118/11.
Le novità in ballo
La fase del riaccertamento ordinario dei residui, particolarmente delicata e
complessa ai fini della corretta determinazione del risultato di esercizio,
presenta, per gli enti non sperimentatori, alcune differenze rispetto al passato,
legate essenzialmente alla necessità di verificare il perfezionamento degli aspetti
giuridici e finanziari delle operazioni di gestione poste in essere nell'esercizio
chiuso.
Accertamenti di entrata e impegni di spesa
In particolare occorre che sia fornita documentazione in merito alla fondatezza
giuridica degli accertamenti di entrata e degli impegni di spesa, le cui
obbligazioni devono essere perfezionate entro la fine dell'anno. Costituisce
eccezione a questo principio la possibilità di finanziare con il fondo pluriennale
vincolato le spese di investimento per lavori pubblici indicate dall'articolo 3,
comma 7 del Codice degli appalti (Dlgs 163/2006) esigibili negli esercizi
successivi,
anche
se
non
interamente
impegnate.
La costituzione del fondo per l'intero importo dell'opera è consentita anche in
presenza di impegni relativi solo ad alcune spese del quadro economico
progettuale, esclusi gli oneri di progettazione, oppure nel caso in cui siano state
attivate procedure di affidamento come previsto dall'articolo 53, comma 2 del
Dlgs 163/2006. In questi casi, in assenza di aggiudicazione definitiva entro
l'anno successivo le risorse accertate cui il fondo pluriennale si riferisce
confluiscono nell'avanzo di amministrazione vincolato per la riprogrammazione
dell'intervento in conto capitale e il fondo pluriennale deve essere ridotto di pari
importo.
In tutti gli altri casi, l'assenza dell'obbligazione giuridicamente perfezionata
entro la fine dell'esercizio impedisce il mantenimento di qualunque prenotazione
di impegno della spesa. Le modifiche apportate dal Dlgs 118/2011 all'articolo 183
del Tuel non consentono più infatti l'assunzione di impegni di spesa per i quali
non risulti perfezionata la relativa obbligazione giuridica, anche se correlati a
entrate accertate o a finanziamenti in conto capitale. Tutte le obbligazioni
passive giuridicamente perfezionate devono poi essere imputate all'esercizio in
cui l'obbligazione diviene esigibile, cioè scaduta.
Crediti di dubbia e difficile esazione
Il riaccertamento dei residui deve riguardare anche i crediti di dubbia e difficile
esazione per i quali occorre procedere ad accantonare una quota del risultato di
amministrazione
a
titolo
di
fondo
crediti
dubbia
esigibilità.
I crediti formalmente riconosciuti inesigibili o insussistenti per prescrizione o
per indebito o erroneo accertamento sono definitivamente eliminati dalle
scritture e dai documenti di bilancio. Delle motivazioni di inesigibilità deve
esserne data adeguata motivazione nella relazione al rendiconto.
Così il sistema «Smart» cambia
l'invio dei bilanci alla Corte dei
conti
di Indra Macrì e Paola Mariani
Da quest'anno le Regioni e gli enti locali dovranno inviare il rendiconto
armonizzato 2015 al nuovo sistema Smart (Sistema monitoraggio
armonizzazione territoriale) della Corte dei conti. Con il decreto n. 112 del 21
dicembre 2015, la Corte dei conti ha definito le tassonomie, disponibili nella
sezione Smart del proprio sito, che gli enti devono adottare per la
rappresentazione elettronica dei loro dati di rendiconto (allegato 10 al Dlgs
118/2011, compresi gli allegati previsti dall'articolo 11, comma 4, lettere dalla a
alla k) e dei relativi dati contabili analitici (articoli da 4 a 7 e allegato 7 del Dlgs
118/2011).
Il decreto del Presidente della Corte rinvia a successive indicazioni sul sito
istituzionale della magistratura contabile la definizione delle modalità con le
quali gli enti dovranno trasmettere i loro dati contabili al nuovo sistema Smart
(presumibilmente disponibile a partire dal periodo di apertura del Sirtel). Di
rilievo, in questo decreto, sono la condivisione ex ante con le diverse
amministrazioni interessate (Mef-Rgs, ministero Interno, Istat e rappresentanti
delle associazioni di Regioni, Comuni e Province) e l'utilizzo del linguaggio Xbrl,
già adottato per il deposito dei bilanci delle società presso le Camere di
commercio.
L'adeguamento contabile
La necessità dell'adeguamento, anche informatico, alla nuova disciplina
contabile armonizzata è stata condivisa nel corso del 2015 in un apposito tavolo
tecnico, con le istituzioni preposte al monitoraggio della finanza territoriale e
con le organizzazioni associative rappresentative di Comuni, Province, Regioni e
Province autonome nella prospettiva della razionalizzazione delle fonti e della
semplificazione degli adempimenti informativi a carico degli enti. La
condivisione della tassonomia, infatti, contribuisce a ridurre l'onere burocratico
che grava attualmente sugli enti territoriali. Mentre fino a oggi gli enti territoriali
hanno dovuto predisporre le loro informazioni contabili secondo tante distinte
rappresentazioni per quante sono le differenti istituzioni richiedenti, dal 2016 gli
enti territoriali sono chiamati ad inviare i loro dati contabili secondo un'unica
modalità, validata da tutte le istituzioni interessate. L'invio richiesto, nel rispetto
del decreto, presuppone l'adeguamento dei sistemi contabili di ciascun ente per
la produzione delle tassonomie Xbrl come definite e pubblicate sul sito della
Corte dei conti. In particolare per ora sono state individuate due distinte
tassonomie, relative ai dati di rendiconto, una per rappresentare i dati previsti
dagli schemi di bilancio e l'altra per rappresentare i dati contabili analitici
indicati dalla transazione elementare con le voci del piano dei conti (finanziario,
economico e patrimoniale) fino al massimo livello di dettaglio.
Le tassonomie
Entrambe le tassonomie rispettano la diversa rappresentazione dei dati che il
Dlgs n. 118 del 2011 ha previsto per le specifiche tipologie di enti. Per inviare le
proprie informazioni contabili, tramite la funzione disponibile in Smart, l'ente
deve preventivamente effettuare i seguenti passi operativi:
• scaricare dal sito della Corte dei conti le tassonomie Xbrl;
• produrre le istanze Xbrl popolandole con i propri dati contabili, mediante
softwaread hoc (è necessario che gli enti dispongano di un software in grado di
comprendere ed elaborare il linguaggio Xbrl);
• eseguire primi controlli sui file prodotti;
• comprimere i file contenenti le informazioni contabili in un file .zip o .rar.
La tempistica
In questa prima fase l'ente potrà scegliere se inviare in un unico .zip o .rar sia i
dati contabili analitici che gli schemi di bilancio, oppure se inviare le due istanze
separatamente
e
quindi
anche
in
tempi
diversi.
L'accesso al sistema Smart sarà reso possibile agli utenti abilitati attraverso il
portale dei servizi on line della Corte dei conti, analogamente a quanto avviene
oggi per il Sirtel. L'invio di dati secondo le tassonomie presuppone, inoltre, il
rispetto degli adempimenti previsti dal Dlgs 118/2011 sia con riferimento agli
schemi di bilancio e relativi allegati sia per l'adozione del piano dei conti e per la
codifica della transazione elementare. L'entrata a regime graduale della riforma
concede agli enti che non hanno partecipato alla sperimentazione il rinvio al
2016 dell'adozione del piano integrato dei conti e di alcuni elementi della
transazione elementare di cui all'allegato n. 7 del Dlgs 118/2011. In coerenza con
il decreto legislativo n. 118 del 2011 il sistema Smart non prevede blocchi per
l'eventuale assenza delle informazioni per le quali la norma prevedeva la facoltà
di rinvio. Le Regioni e gli enti locali, quindi, indipendentemente dalla
partecipazione alla sperimentazione e dall'esercizio delle facoltà di rinvio
concesse per l'entrata a regime della riforma, sono tenute all'invio al sistema
Smart di quanto richiesto dal decreto. La definizione delle tassonomie Smart
rappresenta solo il primo traguardo di un importante progetto di
armonizzazione informatica che, gradualmente, partendo dal rendiconto 2015,
intende acquisire le altre informazioni contabili (bilancio preventivo,
consolidato, eccetera) relative non solo agli enti attualmente coinvolti, ma anche
ai loro enti strumentali, sempre secondo i principi di condivisione con le altre
istituzioni e nello spirito della semplificazione degli oneri informativi a carico
degli enti
Contratto di global service
legittimo con un tetto di spesa per
la manutenzione programmata
di Michele Nico
Il contratto di global service stipulato da un ente pubblico può comprendere
interventi di manutenzione straordinaria, ma solo se risultino accessori rispetto
all'oggetto principale dell'appalto, come determinato dal contratto. Questo in
sintesi il principio affermato dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n.
276 del 27 gennaio 2016, che respinge l'appello per l'annullamento della
procedura di cottimo fiduciario con cui un Comune affida il servizio di
manutenzione programmata di strade e piazze, comprendente il monitoraggio
dello stato della pavimentazione e gli interventi sulla segnaletica orizzontale e
verticale, il tutto allo scopo di rimediare le avarie e ripristinare lo stato del manto
stradale nella forma antecedente ai problemi emersi.
La vicenda
Nell'ambito del giudizio la società ricorrente sostiene che un contratto di global
service di siffatta portata, recante oltretutto clausole per affidare, a richiesta
dell'ente, ulteriori interventi da remunerare separatamente rispetto all'originario
importo dell'appalto, configura una palese violazione del principio della par
condicio e dell'evidenza pubblica.
In tale contesto la Sezione rileva che il global service è effettivamente un istituto
giuridico «a forte rischio di lesione dei principi della concorrenza (…) con la
conseguenza che la scelta di tale tipologia contrattuale, pur attenendo alla sfera
delle scelte discrezionali dell'Amministrazione (…), rende indispensabile
specificare con esattezza negli atti di gara l'ammontare delle singole prestazioni e
la loro incidenza percentuale delle diverse categorie rispetto all'importo
complessivo del contratto».
In un caso relativo alla fornitura di servizi in ambito ospedaliero, la Corte dei
conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, con la sentenza n. 598/2009ha
censurato la prassi di ricorrere al global service senza una preventiva valutazione
preliminare della sua convenienza rispetto all'acquisizione delle forniture con
contratti separati, di modo che appare fuori discussione l'esigenza che la
stazione appaltante sia molto cauta nel ricorrere a tale modalità di gestione
La decisione
Fermo restando tutto ciò, nella delibera in commento il global service supera il
vaglio di Palazzo Spada, per il fatto che nel capitolato speciale d'appalto la
locuzione «interventi di manutenzione straordinaria» non è utilizzata in modo
indefinito per qualsiasi necessità che può insorgere nel periodo della durata
contrattuale, ma soltanto con riferimento a prestazioni specificamente
individuate, previa richiesta dell'ente, ed entro la soglia di un predeterminato
impegno di spesa.
Rileva appunto il collegio che «se il contratto prevedesse la copertura, pur a
pagamento, di ogni intervento successivo di manutenzione straordinaria, di
qualsiasi entità, è evidente che si aggirerebbero i limiti finanziari stringenti che
invece avvincono le Amministrazioni pubbliche, rendendo quindi del tutto
illogica la pretesa azionata dall'attuale appellante».
In definitiva, per legittimare il ricorso al global service non basta un generico
rinvio al fondamento normativo individuato negli articoli 11 e 1322 del codice
civile, nel 16° considerando della direttiva comunitaria n. 92/50 e nel codice dei
contratti, con l'intento di offrire alla Pa uno strumento utile alla gestione del
patrimonio immobiliare.
Occorre anche un impiego avveduto e responsabile di tale istituto giuridico, che
deve essere sempre utilizzato secondo le regole del quadro normativo, e
segnatamente nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e non
discriminazione.
Appalti, obbligo di pubblicazione
dei dati anche per i contratti in
corso
di Alberto Barbiero
Le stazioni appaltanti devono pubblicare i contratti relativi ad appalti di beni e
servizi di valore superiore a un milione di euro, fatta salva la tutela delle
informazioni riservate di proprietà dell'amministrazione aggiudicatrice o relative
a segreti industriali del fornitore.
Il particolare obbligo di pubblicità è previsto dal comma 505 della legge
208/2015, con l'obiettivo di rendere note le condizioni contrattuali relative agli
appalti assoggettati all'obbligo di programmazione, stabilito dalla stessa norma.
La procedura per la trasparenza
I contratti devono essere pubblicati sul profilo di committente (la sezione «bandi
e gare» del sito della stazione appaltante) e comunicati sia all'ufficio
dell'amministrazione che si occupa del controllo di gestione sia all'osservatorio
dei contratti pubblici presso l'Anac.
La disposizione si applica anche ai contratti in corso alla data di entrata in vigore
della legge di stabilità (1° gennaio 2016) aventi ad oggetto la fornitura alle
amministrazioni pubbliche di beni e servizi di importo unitario superiore a un
milione di euro: rientrano in questo novero sia i contratti relativi ad appalti nella
loro fase finale sia quelli a cavallo del biennio 2015-2016, nonché ai contratti con
i particolari parametri dimensionali che verranno ad essere stipulati nel corso
del 2016.
Pubblicazione integrale
La pubblicazione del contratto comprende necessariamente tutte le sue parti
integranti, ossia necessarie per comprendere l'effettivo sviluppo delle
prestazioni: devono pertanto essere assoggettate all'obbligo anche le componenti
allegate, come il capitolato speciale descrittivo delle specifiche tecniche e
prestazionali, oltre all'offerta presentata dall'aggiudicatario (essendo documento
che evolve le specifiche prestazionali sotto il profilo tecnico ed economico o
soltanto economico, a seconda del tipo di criterio scelto per la valutazione delle
offerte).
Il comma 505 prevede peraltro che siano sottratti alla pubblicazione i dati e gli
elementi del contratto che riguardano informazioni riservate sia della stazione
appaltante sia dell'operatore economico: nel primo gruppo possono essere
ricompresi particolari elementi tecnici o di servizio assoggettati a particolari
condizioni di sicurezza, nel secondo i dati e i profili descrittivi di segreti
industriali o commerciali presentati dall'aggiudicatario in sede di offerta.
Le cautele
Proprio le informazioni particolari elaborate dall'operatore economico e
immesse nei documenti di gara confluenti nel contratto di appalto rendono
necessari alcuni accorgimenti.
Le stazioni appaltanti devono anzitutto chiarire agli operatori economici la
differenza tra segreti commerciali-industriali e informazioni coperte da brevetto:
solo i primi potranno avere specifica tutela (con conseguente estrapolazione dal
testo del contratto e dei suoi allegati), in quanto le seconde sono garantite
proprio dal regime di pubblicità speciale previsto per prodotti e servizi
brevettati.
«Segreti» limitati
L'amministrazione aggiudicatrice, inoltre, deve rendere noto nel bando e nel
disciplinare di gara che i concorrenti che intendono sottrarre alcune parti della
loro offerta alla visione di terzi (quindi anche in relazione all'eventuale esercizio
del diritto di accesso) devono specificare quali sono quelle coperte da segreto
commerciale o industriale.
È necessario evidenziare che l'ipotesi dell'intera offerta "secretabile" non è
ipotizzabile, in quanto, qualora un operatore economico presenti in una gara
un'offerta replicativa di un modello organizzativo o gestionale già sperimentata
in un altro ente, proprio questo precedente rende la prestazione assoggettata a
un regime di pubblicità fattuale.
A titolo esemplificativo questa situazione si verifica quando un certo modello
didattico viene applicato a un servizio alla primissima infanzia e reso oggetto di
confronto con l'ente e con i genitori dei bambini interessati.
Stop ai gazebo se cambiano i
vincoli sul decoro urbano
di Pippo Sciscioli
È legittimo il regolamento con il quale un Comune, per motivi di decoro urbano
e in conformità a un parere dell'organo tutorio previsto allo scopo quale la
Soprintendenza ai beni culturali e artistici, motivatamente riveda la sua
disciplina per l'occupazione di spazi e aree pubbliche e stabilisca le nuove regole
per gazebo e dehors a servizio di pubblici esercizi di somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande. E, conseguentemente, faccia decadere le
concessioni rilasciate in passato per le quali i relativi titolari non abbiano
adeguato
le
strutture
esistenti
entro
il
termine
assegnato.
La sentenza n. 118 del 15 gennaio scorso della prima sezione del Tar Palermo, nel
dare ragione al Comune trapanese di San Vito Lo Capo, nota meta turistica per la
bellezza del suo mare e dei beni culturali, è destinata a far discutere
incanalandosi nel solco già sufficientemente arato da prevalente giurisprudenza,
secondo cui l'occupazione di strade, marciapiedi, vie e piazze pubbliche da parte
di gestori di bar, ristoranti e pizzerie con strutture tipo gazebo e dehors non può
essere limitata al semplice pagamento della tassa di occupazione di suolo
pubblico ma al più complesso provvedimento di concessione comunale, che
andrà rilasciata nel rispetto del relativo regolamento comunale e delle
prescrizioni in esso contenute. Sicchè se cambia il regolamento, recante diversi e
più stringenti vincoli specie se afferenti la tutela dei luoghi e dei beni pubblici, le
autorizzazioni già rilasciate dovranno necessariamente essere adeguate, a pena
di decadenza, entro un congruo termine fissato dal Comune stesso.
La vicenda
Nella vicenda specifica decisa dalla sentenza, era accaduto che alcuni proprietari
di attività di ristorazione e commerciali aveva impugnato il nuovo regolamento
di occupazione di suolo pubblico approvato dal Consiglio comunale di San Vito
Lo Capo, redatto sulla base peraltro del parere vincolante e restrittivo della
Soprintendenza, che di fatto aveva condotto allo smantellamento di gran parte
dei gazebo precedentemente autorizzati ma di fatto impossibili da adeguare alle
nuove misure.
Secondo la Soprintendenza, nel tempo si erano create situazioni di forte
contrasto tra queste strutture e la qualità dei luoghi, specie del centro storico,
creando disarmonie e nocumento al contesto di alto valore paesaggistico
sottoposto a tutela dal Codice per il Paesaggio (Dlgs 42/2004).
La decisione
Per il Tar palermitano bene ha operato il Comune essendo il nuovo regolamento
immune da vizi di illegittimità, trattandosi di scelte discrezionali e comunque
adeguatamente motivate in relazione alla tutela del decoro e dell'arredo urbano.
D'altronde, il fatto che in passato siano state rilasciati analoghi provvedimenti
concessori non preclude la possibilità che il Comune riveda in seguito il proprio
orientamento e adotti un nuovo strumento regolamentare proprio che, sempre
allo scopo di perseguire l'interesse generale della tutela paesaggistica del proprio
territorio, fissi misure e condizioni più restrittive per l'assentibilità di strutture
mobili a servizio delle attività economiche aventi titolo.
Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza, il procedimento di assentibilità di
tali strutture intanto sconta l'esigenza di un permesso di costruire, dal punto di
vista edilizio, in base all'articolo 3, lettera e.5) del Dpr 380/2001 secondo cui
sono consiederate nuove costruzioni «l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere», al pari della «realizzazione di
depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività
produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la
trasformazione permanente del suolo inedificato», in base alla lettera e.7) dello
stesso articolo 3. Ma servirà anche l'autorizzazione paesaggistica semplificata ex
Dpr 139/2010 se la strada o la piazza del Comune risale ad oltre 70 anni, la
presentazione della pratica per i calcoli statici se la struttura supera determinati
limiti dimensionali, ed infine la concessione del suolo pubblico.
Ecotassa, nuove misure per
incentivare la raccolta
differenziata
di Mauro Calabrese
Scattano le nuove misure di incentivazione del recupero e riuso dei rifiuti
attraverso le modifiche alla cosiddetta «ecotassa», per incrementare la raccolta
differenziata e sostenere l’economia circolare basata sul riciclaggio e recupero
dei materiali riutilizzabili, nonché ridurre il conferimento in discarica, anche con
l’introduzione di penalizzazioni tariffarie per i rifiuti non riciclati e con il sistema
del «vuoto a rendere».
Il Capo VI della Legge 221/2015 Collegato ambientale, dedicato alle
«Disposizioni relative alla gestione dei rifiuti», in vigore dallo scorso 2 febbraio
2016, contiene una serie di disposizioni destinate a promuovere la raccolta
differenziata e penalizzare il conferimento degli scarti in discarica.
Obiettivi di raccolta differenziata
In tema di obiettivi di raccolta differenziata, l’articolo 32 della Legge 221/2015,
che modifica il testo dell’articolo 205 del Codice dell’ambiente (Dlgs 152/2006),
prevede che le percentuali minime debbano, per il futuro, essere raggiunte non
solo a livello di Ambiti territoriali ottimali (Ato) se costituiti, bensì anche dei
Comuni. Gli obiettivi di raccolta differenziata minima stabiliti dalla norma del
Codice dell’ambiente rimangono del 35% entro il 2006, del 45% entro il 2008, di
almeno il 65% entro il 2012. La norma in esame, al comma 2, dispone un
termine di 24 mesi dalla data di entrata in vigore, per l’adeguamento delle
situazioni pregresse al raggiungimento delle percentuali prefissate di raccolta
differenziata. Il meccanismo introdotto dalla Legge 221/2015, stabilisce ora che
l’addizionale pari al 20% sul tributo speciale al conferimento dei rifiuti in
discarica, cosiddetta «ecotassa» prevista nel caso di mancato raggiungimento
degli obiettivi, come detto anche a livello comunale, si applichi direttamente a
danno dei Comuni inadempienti, e non più secondo il meccanismo che ne
prevedeva l’attribuzione a livello di Ato, che ne avrebbe quindi ripartito gli oneri
tra le diverse municipalità. L’addizionale prevista dovrà confluire in un apposito
fondo regionale destinato al finanziamento di interventi di prevenzione della
produzione dei rifiuti, per l’acquisto di prodotti e materiali riciclati, nonché il
cofinanziamento degli impianti e attività di informazione ai cittadini in materia
di prevenzione e di raccolta differenziata.
Meccanismi premiali per i Comuni virtuosi
Per incentivare, al contrario, i comportamenti più virtuosi delle amministrazioni
comunali, l’articolo 32 citato prevede un meccanismo premiale che comporta
una riduzione della ecotassa, rimodulata in base alle percentuali di superamento
dei quantitativi di differenziata, parametrati ai dati per l’anno precedente,
rispetto ai limiti statali, la riduzione del tributo può variare da un minimo del
30%, fino a un massimo del 70%. Il meccanismo premiale introdotto, inoltre,
prevede una serie di disposizioni tecniche, relative ai criteri di calcolo, verifica e
di validazione dei livelli annuali di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani e
del relativo grado di efficienza, demandate alla competenza delle Regioni sulla
scorta delle linee guida da adottare, con apposito decreto, dal ministero
dell’Ambiente. Il rilevamento, la raccolta, la trasmissione e la certificazione dei
dati da parte dei Comuni dovrà avvenire annualmente, sulla base di un apposito
sistema informatizzato di catasto regionale dei rifiuti.
Maggiori obiettivi di riciclo e recupero
L’articolo 32 in esame dispone, inoltre, con la modifica del comma 6 dell’articolo
205 del Dlgs 152/2006, che le Regioni possano stabilire, con apposite
disposizione legislative, la fissazione di maggiori obiettivi di riciclo e recupero
dei rifiuti, facendo però salvi gli obiettivi fissati dall’articolo 181, comma 1,
lettera a), del Dlgs 152/2006, che prevede, entro il 2020, l’aumento pari almeno
al 50% in termini di peso della preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di
rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei
domestici, e possibilmente di altra origine, la cui realizzazione è valutata
secondo la metodologia scelta dal ministero dell’Ambiente.
Estensione dell’ecotassa
La disciplina della ecotassa viene quindi ulteriormente rivista, perseguendo le
medesime finalità di promozione del riciclo e recupero dei materiali e riduzione
dei conferimenti in discarica, ad opera dei successivi articoli 34 e 35, il primo dei
quali prevede l’estensione del tributo speciale per il deposito in discarica, anche
alle operazioni di conferimento agli inceneritori privi di sistema di recupero di
energia, ritenuta modalità meno efficiente di smaltimento; il successivo comma
2 dell’articolo 34, interviene sulla destinazione del gettito della misura al fondo
regionale, secondo le finalità citate dal suddetto articolo 32, disponendone
l’integrale attribuzione alle Regioni, non più solo nella misura del 20%, ed
eliminando
la
quota
del
10%
destinata
alle
Province.
Il successivo articolo 35 dispone, in considerazione dell’estensione prevista dalla
norma precedente, che il tributo speciale per i rifiuti smaltiti negli impianti di
incenerimento senza recupero energetico, nonché verso tutti gli impianti
classificati esclusivamente come impianti di smaltimento mediante
incenerimento a terra, sarà applicato nella misura del 20% dell’ammontare
determinato, su base regionale, moltiplicando l'ammontare dell'imposta per il
quantitativo, espresso in chilogrammi, dei rifiuti conferiti in discarica, nonché
per un coefficiente di correzione che tiene conto del peso specifico, della qualità
e delle condizioni di conferimento dei rifiuti ai fini della commisurazione
dell'incidenza sul costo ambientale, stabilito con decreto del ministro
dell'Ambiente.
Il sindaco sospeso dalla legge
Severino può puntare al terzo
mandato
di Amedeo Di Filippo
La sospensione dalla carica di sindaco prevista dalla legge Severino deve essere
considerata ai fini del calcolo della durata del mandato, costituendo «causa
diversa dalle dimissioni volontarie» di impedimento all'esercizio della carica
secondo quanto dispone l'articolo 51 del Tuel. Lo afferma la prima sezione
del Consiglio di Stato col parere n. 179/2016.
Il caso
La prima sezione ha risposto al quesito presentato dal ministero dell'Interno
circa l'applicabilità del divieto di rielezione del sindaco per il terzo mandato
consecutivo anche nel caso in cui lo stesso, per effetto della sospensione dalla
carica prevista dal Dlgs 235/2012, abbia esercitato il mandato per meno di due
anni e mezzo.
L'articolo 51, comma 2, del Tuel dispone che chi ha ricoperto per due mandati
consecutivi la carica di sindaco non è, allo scadere del secondo mandato,
immediatamente rieleggibile. Il comma 3 consente un terzo mandato
consecutivo «se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due
anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie».
Un'altra eccezione è stata introdotta dal comma 138 della legge 56/2014 per i
soli Comuni con popolazione fino a 3mila abitanti, ai quali non si applicano le
disposizioni previste dai commi 2 e 3 dell'articolo 51; ai sindaci di questi enti è
comunque consentito un numero massimo di tre mandati.
L'incognita
Il Viminale prospetta la situazione di un sindaco di un Comune con popolazione
superiore a 3mila abitanti che, durante il secondo mandato, è stato sospeso per
essere stato condannato in primo grado per uno dei reati previsti dagli articoli 10
ed 11 del Dlgs 235/2012; sospensione venuta meno in conseguenza
dell'intervenuta pronuncia d'assoluzione in appello.
Poiché per effetto della sospensione l'interessato aveva di fatto esercitato le
funzioni di sindaco per un periodo inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, è
sorto il dubbio se potesse legittimamente candidarsi per un terzo mandato. Il
ministero ha chiesto pertanto al Consiglio di Stato se la durata alla quale si fa
riferimento nel Tuel debba essere intesa non in senso formale ma come
corrispondente all'arco temporale durante il quale l'organo ha potuto
effettivamente svolgere le proprie funzioni.
Ad avviso del ministero, sembrerebbe potersi desumere il principio in virtù del
quale il lasso di tempo in cui alla persona sia di fatto precluso l'esercizio delle
funzioni di sindaco non va computato nella durata del mandato elettorale e
assume, dunque, rilevanza per gli effetti previsti dall'articolo 51, comma 3. Sotto
questo profilo ipotizza che la sospensione di diritto disciplinata dalla legge
Severino, non sembrando equiparabile a un atto intenzionale quali sono appunto
le dimissioni volontarie, costituisca una causa idonea a consentire un terzo
mandato consecutivo, laddove, per effetto di essa, la durata di uno dei due
mandati precedenti si sia ridotta a meno di due anni, sei mesi ed un giorno.
La posizione del Consiglio di Stato
Il parere dei giudici di Palazzo Spada si concentra sull'inciso dell'articolo 51,
comma 3 del Tuel in cui si consente il terzo mandato consecutivo se uno dei due
precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno «per causa
diversa dalle dimissioni volontarie», per verificare se in questa causa possa
ricadere l'ipotesi del sindaco sospeso di diritto in base alla legge Severino.
Nell'un caso – la sospensione a seguito di condanna penale costituisce «causa
diversa dalle dimissioni volontarie» – del periodo di sospensione si terrebbe
conto ai fini del calcolo della durata del mandato; nell'altro – la sospensione non
costituisce causa diversa dalle dimissioni volontarie – del periodo di sospensione
non si terrebbe conto ai fini del calcolo della durata del mandato.
Di fronte al dilemma, la prima sezione non ha dubbi e opta per la prima delle
soluzioni in quanto il significato proprio delle parole «non consente di accostare
alle dimissioni volontarie dalla carica la sospensione di diritto conseguente a una
condanna penale», in quanto non è consentito assimilare la sospensione ope
legis alle dimissioni volontarie dalla carica.
Straordinari, il fondo tagliato può
essere reintegrato
di Arturo Bianco
Le amministrazioni regionali e locali hanno ampia flessibilità nell'utilizzo del
fondo per il lavoro straordinario; gli enti sono vincolati unicamente a non
superare il tetto fissato dal contratto nazionale del 1° aprile 1999. In questo
ambito possono decidere sia di tagliare queste risorse sia di reintegrarle, a
condizione che le somme risparmiate non siano state utilizzate per
l'incentivazione del personale, ma siano andate in economia al bilancio dell'ente.
Le regole
Sono queste le principali conseguenze che si devono trarre dalle indicazioni
dettate dall'Aran. L'articolo 14 del contratto dello 1° aprile 1999 ha determinato
il tetto del fondo per il lavoro straordinario nella misura dell'importo in
godimento nel 1998 con la riduzione una tantum del 3%, riduzione che va a
implementare la parte stabile del fondo e che non deve essere incrementata
annualmente. Questo tetto non può essere aumentato, salvo che per le
consultazioni elettorali e in presenza di «eventi eccezionali», quali ad esempio le
dichiarazioni di calamità. Il fondo per il lavoro straordinario non deve essere in
alcun modo confuso con quello per il finanziamento del salario accessorio. Gli
unici punti di contatto sono, sulla base delle previsioni del contratto nazionale, i
seguenti:
• il taglio una tantum delle risorse per lo straordinario alimenta la parte stabile
del fondo per il salario accessorio;
• i risparmi realizzati nei singoli anni vanno ad implementare la parte variabile
dell'anno successivo;
• per l'Aran, da tempo, è inoltre possibile disporre il taglio del fondo per il lavoro
straordinario e con i conseguenti risparmi implementare la parte stabile del
fondo per il salario accessorio.
Il passaggio ulteriore
I chiarimenti forniti adesso dall'Aran offrono un'ulteriore forma di flessibilità
nella costituzione del fondo. Viene preso in esame il caso di un'amministrazione
che ha tagliato queste risorse e che decide poi di reintegrarle. Questa opzione è
possibile a condizione che le risorse siano state utilizzate dall'ente come
economie di bilancio e non siano invece state destinate all'incentivazione del
personale, quindi non abbiano determinato un aumento del fondo per il salario
accessorio. La reintegrazione ovviamente deve restare all'interno del tetto
dettato sulla base delle previsioni dell'articolo 14 del contratto nazionale del 1°
aprile 1999, un tetto che deve essere considerato come non superabile.
I vincoli generali
L'Aran chiarisce infine che questa operazione può essere effettuata a condizione
che siano rispettati i vincoli dettati dal legislatore sul patto di stabilità (dal 2016
sul pareggio di bilancio) e sul tetto di spesa del personale. Si deve inoltre
aggiungere la necessità di tenere conto dei vincoli dettati dalla legge di stabilità
2016 che impongono, fino all'entrata in vigore dei decreti attuativi della riforma
Madia in materia di dirigenza e di lavoro pubblico, di non superare le risorse
destinate al salario accessorio nell'anno 2015.