Storia scritta da Cabeza de Vaca et alii In che modo gli spagnoli

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Storia scritta da Cabeza de Vaca et alii In che modo gli spagnoli
Storia scritta da Cabeza de Vaca et alii
In che modo gli spagnoli possono essere sconfitti.
I mapucho (tribù che accompagna johan?)
5 invasioni
1 - viene fermata in modo incredibile: le tribù della Florida, antenati dei
Seminole, applicano la tecnica della desparida (scompaiono all’arrivo
delle navi castillane abbandonando il porto e la città costiera; salgono
sulle colline retrostanti inviando segni della loro presenza. Gli Spagnoli,
per raggiungere i monti decidono di inoltrarsi nella piana, unico
passaggio tra le paludi, che si rivela però una trappola: in fondo al
pianoro, dopo il passaggio degli esploratori spagnoli, si solleva una
palizzata che frena l’avanzata. Quindi l’apertura di dighe crea
l’allagamento della zona. Gli spagnoli indietreggiano ma l’intero piano
viene circondato da un fronte di fuoco preparato per l’occasione. Ogni
via di fuga possibile è sbarrata da acquitrini e coccodrilli. Sconfitti gli
invasori, gli indiani si impossessano delle navi. Cabeza de Vaca insegna
loro come pilotarle, e grazie a queste navi riusciranno a frenare anche la
seconda invasione spagnola, utilizzando di nuovo una tecnica di
desparida: attendono che la piccola armata sia sbarcata e attaccano le
navi semideserte catturando i marinai di guardia e confiscando le nuove
navi. Intanto le truppe, compresa la cavalleria e i cannoni, giungono in
prossimità della montagna. Scoprono che c’è un fiume in secca con il
letto percorribile. Salgono fino alla cima della prima rampa, quando si
scopre che il letto sta per essere inondato da un vero e proprio fiume in
piena. Gli indios avevano trattenuto con chiuse il fiume deviandolo, ed
ora lo liberano facendo cascare tonnellate d’acqua addosso a soldati e
cavalli, che travolti muoiono annegati.
nella cittadina presso il porto gli abitanti, che fuggono mostrando di
essersi allontanati da poco e in gran fretta, hanno lasciato, tra cibo, abiti
e attrezzi da lavoro, delle statuette e altri oggetti d’oro, il che convince
gli sbarcati che nei pressi della città, forse sulle montagne, esistono delle
miniere.
Il titolo di questo nostro racconto è i Seminole – un popolo di indios
scampati al grande massacro delle tribù americane.
La loro origine risale naturalmente a secoli prima che gli Spagnoli
giungessero in Florida, la penisola dove vivevano le prime tribù
conosciute con l’appellativo di (Creek o) Calusa, cioè gli antenati dei
Seminole. Per ritrovare documenti che certificassero questa presenza
abbiamo dovuto rivolgerci a narratori non ufficiali, cioè testimonianze
scritte da marinai di bassa ciurma che narrando le loro avventure nelle
Americhe appena scoperte non si sono certo preoccupati di fare l’elogio
dei propri ammiragli e soprattutto dei regnanti e banchieri che
ordinavano e sovvenzionavano quelle spedizioni: quei marinai si
preoccupavano solo di raccontare la verità.
Così abbiamo scovato la testimonianza - quasi un giornale di bordo - di
un marinaio dal nome a dir poco grottesco: Caveza de Vaca. La cronaca
delle sue peripezie mi è servita per mettere in scena le avventure di
“Johan Padan a la descoverta delle Americhe” un testo che ho recitato
per molti stagioni.
A quel tempo, circa vent’anni fa, ho trovato anche un’altra cronaca
autobiografica, molto simile a quella di Caveza de Vaca, raccontata da
Hans Staten, un marinaio tedesco, che a sua volta si ritrova nelle Indie e
vive un’avventura da Robinson Crusoè; gli capita fra l’altro di essere fatto
prigioniero dagli Indios che lo sfamano, lo coccolano, lo ingrassano allo
scopo di mangiarselo.
Ricercando avventure narrate da marinai di bassa forza sono incappato
in Sigàla, un genovese che viaggiando sulle navi di Colombo, raggiunge la
Florida e diventa capo tribù degli Indios-Maciuco. Ancora ho incontrato
un marinaio di Palos: Gonzalo Guerrier, che diserta dalla spedizione di
Tristan de Cabaco per finire prigioniero degli Incas, che dopo averlo
condannato a morte ci ripensano e lo eleggono loro santo-stregone. Per
finire ho scoperto i racconti di Michele da Cuneo, che fu il braccio destro,
il confidente di Colombo. Un marinaio piuttosto spregiudicato testimone
di storie a dir poco allucinanti, soprattutto per il linguaggio del tutto
spietato con cui si esprime.
Cabeza de Vaca [ spedizione di poncho de leon 1513 ] arriva in Florida
accompagnato dai Mapucho che lo hanno eletto loro sciamano. Qui
trova i Calusa una tribù costretta in schiavitù dagli spagnoli che occupano
la penisola, e i mapucho con i Calusa liberati cacciano le truppe spagnole
costringendoli a risalire in fretta e furia sulle proprie navi e darsi alla
fuga.
Trascorrono alcuni mesi di pace e tranquillità; dopo il quinto mese ecco
riapparire nuove vele di navi spagnole.
Gli iberici sbarcano ma scoprono la città del porto completamente
sgombra e in alcune case trovano nelle pentole cibo appena cotto, abiti,
attrezzi di lavoro e perfino statuette d’oro purissimo. Evidentemente,
pensano i conquistadores, il terrore di essere catturati da noi ha fatto sì
che gli abitanti indios abbandonassero anche gli oggetti d’oro. Gli
spagnoli pensano subito che senz’altro nell’entroterra troveranno
miniere in attività.
Sbarcati anche cannoni e cavalli ecco che le truppe spagnole si avviano
verso le colline. Qui si trovano costretti a decidere se percorrere la piana
attraversando lunghi spazi immersi negli acquitrini della palude oppure
attraversare un bosco piuttosto esteso dove però il sentiero percorre
uno spazio asciutto. Di lì a poco si rendono conto che si tratta di una
trappola preparata da tempo, giacché dalla parte opposta, proprio al
momento di uscire dal bosco, la strada è sbarrata da un largo pantano
dentro al quale si muovono dei coccodrilli. Decidono quindi di tornare
indietro verso l’ingresso. Non sono arrivati a metà del percorso quando,
tutto intorno a loro la foresta prende fuoco. Sono in trappola. Le fiamme
crescono a dismisura e li circondano come in una morsa, e tutto il piccolo
esercito viene divorato da quell’enorme falò. Scampati a questa
invasione i Calusa trascorrono altri mesi di tranquillità, ma ecco che di
nuovo appaiono navi all’orizzonte. Gli spagnoli sono davvero testardi.
Vogliono conquistare la penisola e tutto il territorio che si apre verso
l’interno. Il copione di questo secondo sbarco è quasi identico al primo:
la città è abbandonata, nelle case qua e là ci sono le stesse pentole con
cibo appena cotto, qualche abito e, naturalmente, statuette d’oro
finissimo. Le nuove truppe si avviano verso le grandi praterie laggiù sul
fondo. Attraversano lo spazio ancora sbruciacchiato di quello che è
rimasto del bosco, e provano orrore nello scoprire sotto i propri piedi
resti di ossa a mezzo carbonizzate in gran numero, più qualche elmo di
foggia spagnola. Attraversata la piana si ritrovano di fronte al profondo
letto di un fiume completamente asseccato. I conquistatori percorrono
agilmente quella pietraia ma, giunti a metà della cammino, ecco che si
ode un frastuono tremendo: è il rumore di una valanga d’acqua che
giunge inondando il letto del fiume. In un attimo è la catastrofe. Tutti i
conquistatori coi loro cavalli e cannoni vengono travolti dalla inesorabile
onda di piena. Non si salva nessuno. Solo un asino delle salmerie riesce a
salvarsi, ammaccato ma ancora vivo. Viene soccorso dai Calusa che
gridano: “Ecco il simbolo dell’esercito della regina!”
Trascorrono altri quindici anni e i Calusa vivono tranquilli in questo loro
paradiso. Ma un giorno vedono spuntare all’orizzonte alberi di navi in
quantità: una vera e propria armata. A comandarla c'era Panfilo Narvàez
[1528 15 anni dopo] , glorioso guerriero. Scende a terra coi suoi uomini,
ma non trova nessun selvaggio sulla costa. Come i suoi predecessori si
appresta ad attraversare la piana. Naturalmente il suo esercito è
costretto ad immergersi fino alla cintola nella palude e muoversi fra
coccodrilli che sembrano aspettarli da tempo: infatti gli fanno gran festa.
Più in là, si trovano a conoscere serpenti enormi, le anaconde, che
nell’acqua dimostrano un’agilità incredibile e compiono gesti d’affetto
verso i soldati, tant’è che gli si avvolgono sinuose, con abbracci
esageratamente appassionati.
Finalmente trovano un terreno asciutto, con alberi altissimi fra i quali
saltano babbuini. “Oh, tu guarda: non sapevo che in Florida ci fossero
scimmie!” Infatti non sono scimmie, sono uomini travestiti da strani
animali. E cominciano a lanciare frecce dall’alto dimostrando una mira
eccezionale. E’ una strage.
I soldati superstiti sono costretti a darsela a gambe, ma ora non trovano
più un guado praticabile. Per di più i Calusa attraversano loro la strada su
canoe leggere e velocissime. Scoccano frecce da tutte le direzioni. Quel
pandemonio dura per tutta la giornata. Alla fine non si sentono più né
grida né colpi di schioppo. Pochi sono gli invasori rimasti vivi. I superstiti
vengono fatti prigionieri e alcuni di loro sono invitati dai selvaggi a far
parte della loro grande tribù. Tutti naturalmente accettano. Le navi
vengono catturate dagli indiani, comprese le armi e soprattutto la
polvere da sparo in quantità.
Poi di lì a qualche anno, sbarca Luca Vasques de Ayllon, che si inoltra
nella Florida: oh, tu guarda... nessuno l’ha visto più ritornare! Sparito.
Per i Calusa, le navi lasciate loro in dono, abbandonate, diventano un
problema. Per fortuna alcuni dei prigionieri divenuti Calusa sono esperti
marinai. Saranno loro a sistemare nel porto le navi catturate. Ma ormai il
golfo straripa di navi. nel porto non ce ne stanno più (PORTO???). Il
fiume più grande che attraversa la penisola è <sono> navigabile. Quindi
i nativi organizzano un deposito di navi nel lago più vicino.
Il grande vantaggio di questi indiani è la facilità con cui riescono a
trasformare le proprie abitudini
lo spirito di adattamento e di
trasformazione del proprio costume: di lì a poco, imparano a navigare su
quelle imbarcazioni. Non solo, ma apprendono pure la tecnica dello
sparare con le colubrine di bordo. Così mettono a segno alcune
cannonate all’arrivo di nuove navi che trasportano il figlio di
Ancora è toccato al figlio di Vasquez de Ayllon, Miguel Vasquez, che è
sceso giusto due anni dopo alla ricerca del padre. Per sua fortuna i colpi
non creano gran danno alle navi, tant’è che la maggior parte
dell’equipaggio riesce a scendere a terra incolume.
Si pone in viaggio e trova lungo Ha trovato il cammino qualche lancia
spezzata, corazze ed elmi sforacchiati e ossa... tante ossa.
Un suo scrivano che ha racconta l'avventura, dice che ad un certo punto
si trovano ad incontrare una tribù di indiani abbastanza benevoli, ma
quando i comandanti come al solito estraggono dalle proprie sacche che
hanno incontrato degli indios permalosi."Appena i cristiani spagnoli
hanno offerto loro vetrini colorati e agitano campanelle davanti agli
occhi dei selvaggi, questi stranamente reagiscono con furore: puntano
alcuni fucili di produzione spagnola e, incredibile, sparano non solo ai
campanellini, ma anche a chi li agita. ascoltare il "dilin dilin" delle
campanelline, loro, 'st'indiani, si sono incazzati... hanno cominciato a
scagliarci addosso frecce e lance, in così gran numero che alla fine
sembravamo tanti porcospini." È un fuggi-fuggi generale. Con fatica gli
invasori superstiti riescono a riguadagnare le navi alla fonda e con
rapidità incredibile prendono il largo. Qualcuno di loro giura di aver
sentito gridare chiaramente e in perfetto castigliano: “Ficcateveli in quel
posto i vostri campanellini!”.
Trascorrono meno di cinque anni, Non sono trascorsi nemmeno cinque
anni, che e i Calusa vedono spuntare un'armata grande, forte di venti
navi. A comandarla c’è nientemeno che Hernando de Soto [1539], gran
capitano, che si è messo in marcia alla conquista di questa Florida per
assoggettarne tutti gli indiani.
Alla partenza erano novecento uomini e centocinquanta cavalli... al
ritorno erano solo trenta uomini e dieci cavalli, che oltretutto si
rifiutavano di rimontare sulle navi. Alla fine i capitani dovettero dar
l’ordine di lasciarli liberi. Tutta la ciurma stava pronta per levare l’ancora
ma ecco che si ode un gran botto, anzi una serie di boati e le navi tutte
saltano in aria, salvo una la cui carica di esplosivo aveva fatto cilecca. Fu
giocoforza per i superstiti unirsi ai Calusa giurando lealtà. così malridotti,
massacrati, da fare pietà!
Il cronista della spedizione racconta: “questi selvaggi hanno imparato a
sparare tanto con i fucili che con le bombarde che ci hanno sottratto, e
riescono a lanciare frecce a distanze incredibili. I loro archi superano i
due metri d’altezza e per tenderli bisogna proprio avere una forza
straordinaria. Inoltre sono in grado di inventarsi trappole terribili, Infatti
impugnano : "Questi indios si battono come diavoli... e in gran ordine di
battaglia. Ti organizzano trappole terribili... trabocchetti e imboscate... e
danno fuoco alla foresta proprio nel momento in cui ci troviamo nel bel
mezzo."
Dieci anni appresso, guidata da Luis Cancel Balvastro, ecco arrivare è
arrivata una compagnia di soldati e di frati d’accompagno: il loro compito
di questi ultimi era quello di evangelizzare i selvaggi e dare l’ultima
benedizione alle vittime degli scontri i caduti. [1549] Chi li comandava
era da.
Spariti anche quelli. Che peccato! Chissà chi si sarà preso l’onere di dare
l’estrema unzione ai conquistatori e i loro frati morenti!
Di lì a qualche anno, ancora, sbarca [1559 missione di menèndez] Tristan
de la Luna... uomo crudele, prepotente.
Alcuni mesi dopo, un’altra spedizione arrivata a cercarlo, di tutto il suo
reggimento ha ritrovato ancora solamente qualche elmo bucato,
alabarde spezzate e ossa...tante ossa sbiancate.
Oh, che peccato! E anche questi del soccorso sono spariti!
A 'sto punto, il re Carlo V, ha proclamato: "Basta! 'Sta Florida me ha
enfrapado los cojones! Queste spedizioni ci vengono a costare troppo in
uomini e mezzi. Piantiamola lì! E' una terra maledetta!"
Ma dopo un paio d'anni, ci ripensa... Ha saputo che i francesi
si
preparano a sbarcare in Florida al posto loro. [1564]
Come un fulmine organizza un'altra spedizione e, di lì a poco, rivediamo
spuntare un'armata potente con le bandiere di Castiglia e di Leon. Chi la
comanda è il capitano Pedro Menéndez de Avilès [1566?] Comanda 700
uomini, arriva in territorio indiano con 300 guerrieri locali d’appoggio.
Nei pressi di Lake George tenta di risalire il fiume, ma ecco che centinaia
di alberi delle due opposte rive all’istante crollano all’unisono addosso
alle navi che vengono letteralmente capovolte da quell’impatto.
Un suo cronista, uno dei pochi che si son salvati dal gran disastro,
commenta: "I guerrieri di queste parti sono tremendi! Conoscono i
cavalli, ed è incredibile come sanno starsene in groppa: scendono e
salgono in corsa, si torcono verso il retro sparando mentre stanno in fuga
e appresso si lanciano alla gran carica da sconquasso!” Per di più ci
sparano coi nostri fucili, armi razziate fin dalle spedizioni di vent’anni fa.”
Ma a questo racconto nessuno crede. Il cronista l'hanno chiuso dentro i
sotterranei del convento come un matto con le visioni.
Dopo 'sto ultimo sconquasso d'uomini, di navi e di cavalli, al re Carlos per
poco non schizzano gli occhi: "Adesso ne ho pieni i coglioni davvero!
Dichiaro questa Florida maledetta terra inespugnabile. Il che vuol dire
che, da questo momento, il primo cristiano spagnolo che disobbedendo
ai miei ordini ci mette piede poi, anche se putacaso gli riesce di tornare
indietro, giuro che lo impicco io, con le mie mani!"
Nel 1539 Hernando De Soto tenta a sua volta di conquistare la Florida.
Sbarca in territorio Acuera, della tribù Timicua, e la popolazione fugge
nascondendosi dentro le foreste bagnate dall’immensa palude.
Hernando de Soto occupa il centro urbano più grande, la città di Anhaica,
oggi Tallahassee, e trascorre lì l’inverno del 1539-40. Vi trova cibo
sufficiente per sfamare i suoi 600 uomini e 220 cavalli per 5 mesi. Il che
ci dimostra che stava sfruttando i beni di una società florida e ben
organizzata. Ed è il caso di riconoscere che fu proprio una fortuna per
quell’esercito, perché l’armata di de Soto era disorganizzata, tant’è che
erano ormai giunti a sperperare le riserve di cibo e acqua.
De Soto, consolidata la posizione, invia messaggeri alla roccaforte di a un
capo locale, che lui chiamato Acuera, il maggior capo del territorio,
invitandolo a scendere da lui per accordarsi pacificamente. Il capo
accetta l’incontro per il giorno appresso ma di soppiatto, nottetempo,
invia un gran numero di suoi guerrieri che si introducono nella città
prendendo posizione in numerosi edifici abbandonati.
Come d’accordo il capo Acuera si presenta a De Soto che con l’aria di chi
propone un affare irrinunciabile, attraverso un interprete lo consiglia alla
sottimossione: “Ti offro di diventare, te e tutta la tua gente, sudditi del
re di Spagna, che oltretutto è imperatore conosciuto in tutto il pianeta.
Credimi, è un grande onore che ti propongo”.
Il capo dei selvaggi lo osserva con occhi meravigliati, poi esplode in una
grossa risata: “Ah ah ah! C’è anche da noi questo detto buffonesco! Si
chiama la proposta del Coyote che voleva mangiarsi il tacchino!”
“Non capisco l’ironia!” esclama De Soto.
E di rimando Acuera gli dice: “Senti, Gran capo imperiale, io ti conosco
già senza averti mai incontrato! Attraverso quelli della tua razza che sono
arrivati prima di te ho imparato che voi spagnoli sapete far moine con le
parole e nello stesso tempo afferrare il coltello che tenete nascosto fra le
natiche, pronti a estrarlo”
“Ma che linguaggio è mai questo!?”
“È il linguaggio che si usa verso gli ipocriti come te che vanno intorno da
un luogo all’altro, rubando, saccheggiando e scannando persone indifese
e innocenti. Sai cosa ti dico? Che non ho nessuna intenzione di stringere
amicizia e far pace con te. Preferisco stringere con te e con la tua gente
un solenne e totale trattato di guerra.”
“Sei proprio un selvaggio incosciente e spudorato! – urla De Soto - Vieni
qua solo e indifeso e hai l’ardire di offendere me e la mia gente a ‘sto
modo!”
“Perché, forse hai in programma di catturarmi e magari uccidermi: io
non ho paura di te... anzi ti dirò che sei tu che devi preoccuparti giacché
tutto intorno a questo luogo ci sono case che tu credi abbandonate e
invece sono piene di gente con fucili, archi e frecce. Basta un mio grido e
qui all’istante saremmo in troppi... una riunione davvero affollata.”
“Per dio! – urla de Soto insultando le sue guardie – sentite cosa dice
questo selvaggio! E voi non ve ne siete accorti»
«Non possono accorgersene – gli risponde il capo Acuera – la nostra
gente è chiamata gli epucuori, che vuol dire uomini invisibili: ci siamo ma
non si riesce a vederci. E sempre con molta discrezione vi faremo guerra
per tutto il tempo che vorrete stare sul nostro territorio. E v’avverto che
non vi combatteremo in campo aperto: non ci vedrete mai di fronte a
voi, ma di fianco, sopra, sotto... e vi accorgerete di noi sempre troppo
tardi! Siamo maestri della sorpresa e della trappola... credo che con voi
ci si divertirà un mondo... anche a seppellirvi. Tanto per cominciare ho
dato l’ordine ai capi delle mie bande di inviarmi ogni giorno due teste di
vostri uomini valenti a domicilio.
In quel momento si sente uno schianto e due involucri passando dalla
finestra vanno a schiantarsi sul tavolo che sta dinanzi al gran generale.
“Che è?”
“Sono le prime due teste! Noi siamo gente che arriva sempre in orario.”
Uno degli ufficiali allunga le mani per verificare il contenuto degli
involucri.
“Lasciate correre, fa impressione... fidatevi! Li guarderete non appena
me ne sarò andato. Ad ogni modo, quando rivedrete il vostro monarca,
al ritorno, salutatelo per me e ditegli che io sono il re sulla mia terra. E
per quanto vi riguarda, vi dirò che trovo del tutto spregevole colui che
accetta di vivere sottoposto al volere di un altro, soprattutto quando si
trova nella possibilità di campare da uomo libero. Vi disprezzo di tutto
cuore poiché siete servi e state facendo un lavoro infame per
conquistare regni non per voi, ma per un vostro padrone. Per voi ci
saranno solo gli avanzi, come per i cani da riporto. E dal momento che
sono ben consapevole di ciò che venite a combinare su queste terre, vi
do un consiglio: prendete la vostra roba e svignatevela più rapidamente
che v’è possibile, giacché da questo momento avrete poco tempo per
godervi quello che vi resta da vivere.”
La risposta del capo è molto dura: “Attraverso quelli di voi che sono già
venuti qua, ho imparato a conoscere i castigliani. Per me voi siete
incursori che vanno da un luogo all’altro e vi guadagnate da vivere
rubando, saccheggiando e uccidendo persone innocenti. Non voglio in
nessun modo stringere amicizia o fare pace con voi. Voglio piuttosto una
mortale e perpetua inimicizia.
Io non ho paura di voi.... E vi prometto di farvi guerra Non vi
combatteremo in campo aperto ma ci dedicheremo ad agguati. Ho
comandato ai miei capi di portarmi due teste cristiane ogni settimana.”
Poi il capo Acuera deride l’offerta di diventare suddito del re di Spagna:
“Io sono il re sulla mia terra... io conside- ro spregevoli chi vive sottoposti
a un altro quando possono vivere da uomini liberi... Io e la mia gente
siamo disposti a morire cento volte pur di restare liberi. Questa è la
nostra risposta per il presente e per sempre.
Vi stimo ancor meno perché siete servi e state lavorando dei quali
potreste godere i frutti. Visto che in questa impresa soffrite la fame, la
fatica, e le difficol- tà di altro genere nonché si rischia la vita, sarebbe per
voi più onorevole e vantaggioso acquisire le vostre conquiste per voi e la
vostra discendenza piuttosto che per qualcun altro... E perché sono ben
consapevole di quel che venite a fare su questa terra so bene come
comportarmi con voi.
Andate via il più velocemente possibile se non volete morire per mia
mano”.
1513 - Juan Ponce de León
1517 - Francisco Hernández de Córdoba si fermò sul- la costa della
Florida
1521 - Ponce de León - Leon fu ucciso e gli europei si ritirarono
nuovamente.
1528 - Pánfilo de Narváez che deve anch’essa ritirarsi.
1539 - Hernando De Soto tenta nuovamente di conqui- stare la Florida.
trascorre lì l’inverno del 1539-40.
1540 de Soto e i suoi uomini lascia- rono quei territori ostili per la
georgia
1549 - i domenicani cercano di costruire una missione ma sono scacciati.
1566 - Pedro Menéndez de Avilés
1569 - soldati spa- gnoli uccidono due capi Calusa e la missione è abbandonata.
1564 - la Francia lancia una campagna di con- quista della Florida con
varie spedizioni, un migliaio tra coloni e soldati. Spedizioni che furono
guidate da Jean Ri- bault e René Goulaine de Laudonnière, un ugonotto
fran- cese. Jean Ribault ci narra del viaggio e realizza una famosa serie di
disegni sugli indiani. Alla foce dell’Ocklawaha in- contrarono parecchi
villaggi fortificati con mura di tronchi di palma, abitati da Acuera.
All’inizio furono accolti gentilmente dai nativi, ma co- minciarono poi una
serie di ostilità.
Contemporaneamente c’era però anche lo spagnolo Menéndez, che
stava cercando di
1614 - le forze spagnole attaccano la Calusa
1616 - gli spagnoli riescono a impiantare alcune mis- sioni in territorio
Acuera ma
1675 - quando i cattolici decidono di abbandonare il pro- getto
1680 - una spedizione spagnola entra in territorio Ca- lusa
1697 - i francescani costruiscono una missione in territorio Calusa, ma
dopo pochi mesi rinunciano. Sono passati 184 anni
Per tutto il 1700 i territori della Florida restano indipen- denti, anche se
la penetrazione europea continua.
Non ci sono altri tentativi di colonizzazione diretta.
1710 Calusa, Apalachees, Timucua sono attaccati da una prima ondata
d’indiani creek 1713 un gruppo di creek della tribù mikasuki ripopo- la il
territorio degli apalachees.
1715 guerra tra indiani yamassee e inglesi (alleati dei creek)
1750 Dopo la sconfitta degli il primo nucleo di seminole è formato dai
fuggi- tivi della guerra yamassee: indiani alachua, oconee e creek. Il loro
leader era Ahaya piu’ conosciuto come Cowkeeper che sarà il primo dei
leader seminole.
1774 molti schiavi neri scappano dalle piantagioni e s’insediano in
florida. Erano ottimi guerrieri, molto intelli- genti ed erano bilingui
(inglese, creek. Utilissimo). Gli ame- ricani accusano gli indiani di rubargli
gli schiavi. I creek senza un consenso dei seminole firmano un trattato,
dove attestano di restituire gli schiavi, questo inasprisce i rap- porti
creek-seminole.
Nel 1763 gli inglesi acquistarono la Florida dagli spagno- li che si
ritirarono sulle isole caraibiche portando con loro quasi 300 indiani
probabilmente Calusa, di questi 200 mori- rono di lì a poco forse per
denutrizione forse per le malattie. Di questa migrazione forzata restano i
bacini per l’alleva- mento dei pesci che i Calusa costruirono.
1790 William Augustus Bowles of Maryland è un bian- co atipico che
decide di mettersi a capo dei seminole e dei creek meridionali. Fonda
Muskogee popolata da muskoge- ans.
Muore nel 1805 in una prigione spagnola.
Ora in Florida i nativi parlano due idiomi: Hitchiti e Mu- skogee che
nonostante siano dello stesso ceppo sono total- mente differenti l’una
dall’altra.
(Appunto) I Calusa, che possedevano degli omonimi fra le antiche tribù
dell’attuale Argentina e di altre località del Sudamerica, ad un certo
punto cambiano nome, e, come molti di voi sanno, da Calusa si
chiameranno Seminole. Furono gli spagnoli nel ‘600 ad affibbiare loro
questo appellativo Cimarrones, che significa fuggiasco, termine che
appresso si trasformerà in Seminole. Nel capitolo precedente avevamo
accennato al fatto che proprio alla fine del ‘500, i francesi, saputo che
l’armata di Carlo V stava sbaraccando dalla Florida, organizzarono subito
una spedizione per prendere il loro posto. Dobbiamo, a questo
proposito, ricordare che questa penisola aveva ed ha ancora una
dimensione notevole, vasta come mezza Italia, 170.000 Km2, con un lago
di forma circolare dal diametro di 50 km e altri laghi minori che
tempestavano tutta la piana. La palude si estendeva dal sud fino a nord e
in certe zone sovrastava di gran lunga lo spazio della cosiddetta
terraferma. Questi selvaggi, prima dell’arrivo degli spagnoli, erano in
gran parte contadini e allevatori, grazie alla disponibilità di una
considerevole prateria che, sopratutto a nord, ricopriva il territorio. I
francesi con la loro invasione costrinsero i Seminole ad abbandonare i
pascoli e le terre coltivate, e a trovare scampo e protezione dentro le
immense paludi. Naturalmente furono costretti a impiantare palafitte
sulla laguna, edificate con pali alti più di due metri sul livello
dell’acquitrino. Fabbricarono le famose canoe, leggerissime, realizzate su
scheletri di canna, sui quali stendevano pelli di animali, sopratutto quelle
dei coccodrilli. Naturalmente furono giocoforza costretti a diventare dei
formidabili cacciatori di quei rettili. Esistono ancora dei disegni, eseguiti
dagli stessi Seminole, che ci mostrano gruppi di cacciatori muniti di un
lunghissimo palo che vanno ad infilare in profondo nella gola degli
alligatori con un sincronismo da giocatori di rugby. Conosciamo anche
delle immagini eseguite da stranieri bianchi nel ‘700 che ci mostrano
selvaggi Seminole in lotta con enormi caimani, e si nota subito che
l’uomo affronta quel rettile gigantesco assolutamente disarmato, a mani
nude! Il lottatore mostra di spalancargli le fauci come un novello Ercole,
e quindi lo rovescia pancia in su rendendolo inoffensivo. Sappiamo poi
che questa esibizione veniva messa in scena anche in occasione di veri e
propri spettacoli a vantaggio dei visitatori e turisti. Questo ci dice che gli
abitanti della palude avevano giocoforza imparato a vivere in simbiosi
con quella natura e gli animali che la abitano, al punto che sappiamo che
in certe situazioni di conflitto trasportavano i caimani a spalle fino al
luogo dove servivano da aggressori inesorabili contro i bianchi che
tentavano di attraversare la palude. È il caso di dire: i primi caimani da
guerra.
L’animale simbolo di quei selvaggi era la pantera e tanto che nelle loro
storie questo animale viene sempre rappresentato presso il Creatore
dell’universo che lo aveva scelto come simbolo del coraggio,
dell’intelligenza e soprattutto dell’armonia, a cominciare dall’eleganza
del movimento. La pantera è anche il simbolo dell’adattamento infatti è
forse l’unico felino che ama l’acqua e riesce a catturare i pesci con
grande facilità. Le favole dei Seminole dicono che la pantera nella palude
non attacca mai l’uomo e addirittura gioca con i suoi bambini. Cosi come
è ormai divenuta abitudine per i caimani che, come nelle favole greche,
si caricano i bimbi sul dorso trasportandoli qua e la nella palude. A parte
il clima idilliaco che ci offrono le favole degli uomini costretti a vivere
nelle paludi dobbiamo ammettere che la sopravvivenza in quei luoghi
doveva risultare davvero di grande sofferenza e pericolo. Il procurarsi il
cibo senza uscire da quella natura, specie durante le invasioni dei
conquistadores e appresso dei franzès, era davvero un’impresa
disperata. I Seminole avevano imparato a costruirsi reti e trappole per
pesci di tutti i tipi a cominciare dalle ceste conseguenti, cioè un insieme
di canestri di trama molto fitta dentro i quali i pesci, attratti da esche,
riuscivano facilmente entrare ma la sortita era loro impossibile. I
ragazzini erano diventati poi talmente abili che, servendosi di semplici
stecche acuminate, riuscivano ad infilzare pesci nuotando sott’acqua.
Dicevamo dei francesi che invadono la Florida seguiti subito dagli
spagnoli il qui re, Carlo V, piccato all’idea di perdere il gran “boccone” e
soprattutto timorosi che se i francesi fossero riusciti a conquistare quella
penisola avrebbero potuto dilagare per tutta l’america. Cosi esplode,
nelle nuove terre, il primo scontro armato di europei nelle Americhe. I
seminole capiscono immediatamente che quello scontro può venire a
tutto loro vantaggio, quindi imparano la tecnica delle alleanze. In un
primo tempo si mettono a disposizione dei francesi, poi passano nelle
file degli spagnoli e cosi via. Insomma diventano, come dicono i francesi,
de supportère. Ma di li a poco imparano a proprie spese che quella
tattica alla fine non porta vantaggi, anzi il frequentare bianchi dappresso
procura loro morbi davvero disastrosi. Per di più imparano la sudditanza
e con quella perdono la propria dignità di uomini liberi. Alla fine dopo
reciproci massacri i francesi cedono il campo ai loro nemici e gli spagnoli
tornano a riprendere la loro politica di aggressione e rapina. La tecnica
messa in campo stavolta dai conquistadores è quella di muoversi a loro
volta su leggere imbarcazioni che possano muoversi facilmente nella
laguna il che impone agli aggrediti di non smontare letteralmente i loro
villaggi su palafitte e di non farsi mai sorprendere in gruppi
considerevoli. Questo significherebbe essere facilmente sterminati. Così
decidono di sparpagliarsi per tutta l’immensa palude a gruppi tre quattro
individui al massimo. I bambini dovranno imparare fin dalla nascita a non
piangere per nessuna ragione e a muoversi sempre in silenzio e al
coperto, fra foglie e rami e riuscendo ad arrampicarsi con la rapidità di
gatti selvatici e scoiattoli fino in cima agli immensi alberi dove le fronde
si infittiscono a dismisura e in casi estremi anche gettandosi sott’acqua,
rimanendoci il più a lungo. Eccoli allora tutti i Seminole che imparano al
tecnica che già conosciamo grazie a i vietcong ma che i seminole usavano
già nel 500 e che viene in verità messa in pratica da tutti i combattenti in
lagune del mondo, cioè quella di respirare immersi per mezzo di canne
che si affacciano oltre il pelo dell’acqua. Nel 700 si inseriscono nuovi
eserciti nella lotta davvero coloniale per accaparrarsi terre da coltivare e
per gli allevamenti di bestiame. Entrano in campo a nord i portoghesi e
in centro gli inglesi che scendono anche in florida. Nelle incursioni che
seguono a raffica i seminole vengono quasi del tutto sterminati, se ne
salvano alcune tribù grazie alla loro rapidità nello spiazzarsi in zone
diverse, per poi ritornare immancabilmente a piccoli gruppi ancora in
florida. Questi sopravvissuti sono spesso ridotti a poche centinaia di
unità. In tutte le americhe le tribù di vari Mohicani, Sioux, cherokee sono
quasi del tutto scomparsi o ridotti a vivere una situazione disperata nelle
riserve. Ma ecco che quasi all’improvviso i Seminole ricominciano a
crescere di numero ad una velocità davvero sorprendente. Qualcuno
esclama: quei selvaggi sono più rapidi dei conigli a far figli!. Ma in verità
non si tratta di figli messi la mondo da loro ma fuggiaschi di altre razze a
cominciare da indiani fuggiti dalle riserve, bianchi evasi dalle galere,
perfino orientali, i primi gialli trascinati nelle americhe dai negrieri a
lavorare in semi-schiavitù ed evasi dalle piantagioni. E soprattutto
c’erano i neri, nigger, come li chiamavano con disprezzo i bianchi, anche
loro fuggiti dalla schiavitù rischiando di essere impiccati. Quando si
presentarono a centinaia, affamati e stravolti, i seminole non ebbero
alcuna esitazione ad accoglierli: sono uomini diversi, ma creati dallo
stesso dio, esclamò uno sciamano, anzi era una femmina sciamana.
Disse: “E’ un dono che riceviamo e ne avremo un gran vantaggio da tutti
questi popoli che vengono da noi. Il Dio che ci inserì lo spirito e la forza
della pantera ci diede un fondamentale consiglio. Non isolatevi mai, non
scacciate mai i diversi da voi, coloro che si esprimono con altri gesti e
idiomi. Imparate tutti i linguaggi e se volete una lingua ricca scegliete da
ogni parlata le parole intraducibili e inseritele nella vostra bocca. Solo
cosi sarete ricchi. Il cavallo che vince tutte le gare, notate bene non è di
una razza unica, pura, ma un bastardo, , è figlio di figli e figlie diversi.
Pezzati, neri, bianchi come la neve. Così, solo un albero sul quale sono
stati innestati altri rami produce frutti succosi e grandi”.
Un vecchio saggio dei Seminole si alzò e, quasi imprecando, disse: “No,
non son d’accordo, queste favole ci mortificheranno fino alla perdita
della nostra identità. Noi dobbiamo conservare religiosamente quello
che ci viene dai nostri padri e madri. Non possiamo inquinare le nostre
regole, il nostro parlare, muoverci e respirare, altrimenti non saremo più
una razza ma una banda di sperduti senza qualità. Che cosa ci terrà uniti
se nemmeno la memoria e il sangue che viaggia nel nostro corpo sono
puri?”
E la sciamana rispose: «Io, non offendetevi, ma non credo affatto al
significato e al valore di razza. Cos’è la razza? Avere lo stesso colore di
pelle, la forma del naso, il colore degli occhi e la lunghezza delle dita dei
piedi? No, la razza è una stupida invenzione di qualcuno che aveva il
terrore di trovarsi solo con il vuoto nell’animo, e ha scoperto l’effetto
che produce la parola “sangue”. Io personalmente preferisco l’idea di un
popolo che non sta legato per il liquido che va pompando nelle nostre
vene, ma per lo spirito che si muove nel nostro cervello. È uno spirito che
ha la facoltà di cambiare di valore, suono, colore in ogni momento. E
questo si chiama ragione e pensiero. Solo se confrontiamo e uniamo
questi nostri valori saremo un popolo degno, una razza che non è legata
all’origine delle cose ma al loro divenire, fatto di atteggiamenti e pensieri
diversi e nuovi. Cioè possiede una cultura. E così impareremo a
rispettarci ed amarci per qualcosa di più importante che non il pulsare
del sangue. Una cosa che si chiama solidarietà, rispetto e perfino amore.
E basta così.»
*2
In completa opposizione, di forma ma non di concetto, rispetto alla
storia che abbiamo appena terminato di raccontare è la vicenda di John
Horse, John Cavallo. E’ il nome che gli diedero gli indiani Seminole
quando lo conobbero da vicino e seppero di lui, delle sue imprese e
soprattutto di come aveva indotto una enorme quantità di schiavi neri
ad abbandonare le piantagioni di zucchero e di cotone fra la Florida e la
Georgia.
Questa storia è raccontata da un giovane schiavo nero che assistette al
primo incontro di John Horse con gli schiavi, dentro un’enorme capanna
dormitorio in una notte di primavera. Eccovelo:
«Ci eravamo radunati nel fienile. Tenevamo solo una candela accesa per
non farci soprire. La candela stava vicino a Jonh Horse e gli si vedeva il
viso mentre raccontava: “Io sono venuto qui rischiando di essere
sbranato dai cani per rispondere a un mio sacrosanto dovere: farvi
sapere. Perché ho scoperto che voi, miei fratelli neri, poco conoscete del
mondo che sta fuori da queste piantagioni maledette. Da quanti anni
siete deportati? E quanti di voi sono nati in questa galera e non hanno
quasi mai messo piede e occhi fuori da questi campi. Vi dirò che vivere
da liberi è davvero molto diverso... pensate che se hai mal di pancia puoi
perfino restare a dormire! Perché la terra è tua. Le vacche sono tue.
Avete mai visto un negro con una vacca sua? Io ho dieci vacche. E mia
moglie non deve andare a scaldare il letto dei bianchi. Sono piccole cose,
certo. E qualcuno potrà chiedersi se valga la pena di morire ammazzati
per questo. Lo capisco. Ma quando io zappo la terra, il solo pensiero che
poi me le mangerò io le verze, la lattuga, le zucche dolci e le carote mi fa
sorridere. E anche pensare che il figlio che mi darà la mia donna sarà mio
mi dà più gusto quando sto sveglio con lei la notte. E anche quando sto
sveglio di giorno. Il problema della schiavitù non è tanto la mancanza di
libertà, quanto il fatto che ti cambia il sapore e il valore delle cose. Ad
esempio tu, quando pensi alla tua donna e guardi il suo bel culo rotondo,
a cosa pensi? Ecco guardate la sua faccia! Se lo sta immaginando, lo
vede... fra poco allungherà le braccia per poterlo accarezzare... giù quelle
manacce, non è tuo, è del padrone!!
E anche tu... che bella espressione hai! Si vede benissimo che in questo
momento hai proprio la faccia di uno che guarda due natiche tonde
...che i ricchi chiamano gluteo... e senti dentro di te e dentro il culo
rotondo la grandezza dell’opera di Dio... immenso è il tuo potere,
Signore, e la grazia delle cose che produci per la nostra felicità! Alleluia!”
E tutti ripetono in coro Alleluja
(sottovoce) “Piano! Ci sentono! Il nostro Dio... che modella le tonde
chiappe delle nostre donne! Che Dio le benedica. Ma poi, putroppo lo sai
che subito ti arriva quel tremendo pensiero in testa, come un trapano...
Perché quel delizioso pompon, teso come un tamburo... POM POM... che
Dio ha creato per te e che ha dato a quella femmina stupenda non è un
culo qualsiasi. E’ il pompon di un bianco. Lui solo lo può suonare... POM
POM... PAM POM POM... E perché? Che diritto ha di suonarselo? Perché
l’ha comprato! E’ suo come le natiche del suo cavallo! TARATOM
TARATIM.. TO TO... Lui, il padrone, con le sue chiappe strette... PAM
PAM... con una moglie piatta, senza chiappe... CIAC CIAC... ha diritti sul
culo della tua donna!! POPPOC!!
Ma allora ditemi uomini, ditemi: per che cosa sopportate tutte le
angherie e i malanni della vita... il mal di denti, le strizze della fame, le
frustate sulla schiena, le coliche di pancia, la merda che vi sbattono in
faccia... se poi non potete godere fino in fondo della divinità di tutti i
doni piacevolissimi che dio vi ha donato attraverso la donna? Le sue
labbra che vi baciano, le sue tette tonde da stringere fra le dita come
pomi maturi, e il suo ventre... il suo ventre e il pube che danza per voi!
Per questo vale la pena di ribellarsi, di combattere insieme ai vostri
fratelli... perché anche se tu dovessi morire, comunque avrai fatto in
tempo ad abbracciare, giocare con tutte le curve, controcurve ed anfratti
della tua donna dentro i quali ti perdi come impazzito. Dio, dio, perché
hai voluto fare in modo che ogni astro, la Luna, Venere, il Sole e la Terra
mi ricordassero in ogni momento lo splendido culo della mia donna?
Ma lo so: è più che umano che ognuno di noi abbia paura. Il padrone
bianco ha tutto, ha le armi, ha i soldati, ha i cannoni, ci sparerà
addosso... e addio ai nostri sogni... e soprattutto addio al nostro povero
culo.
Ma voi mi conoscete davvero? Sapete chi sono? Da dove vengo? Mio
padre era un african nigger naturalmente, ed è stato trascinato in catene
fin qua. E l’hanno sfruttato a sangue fin quando ha avuto respiro. Io, fin
da bambino continuavo a chiedermi: “Ma perché? Qual’è il diritto che i
bianchi tengono su di noi? Qual’è la loro supremazia? E così ho scoperto
che tutto sta nell’avidità e nel potere. E ho scoperto ancora che la legge
loro serve a regolare soprusi, rapina e truffa. Ma cosa potevo fare io,
solo, indifeso e sopratutto ignorante. La fortuna mi è arrivata addosso
come un fulmine. Un poliziotto a cavallo, un pezzo grosso, capo degli
sbirri di Chicago, col suo cavallo imbizzarrito è finito nel fiume. Stava
annegando. Io mi sono buttato nel fiume e l’ho tirato fuori. Gli ho fatto
vomitare tutto quello che aveva bevuto e così l’ho salvato. Per
gratitudine mi ha arruolato nella polizia. Ero il primo poliziotto nero che
si fosse mai visto. Ragazzi, che scuola di vita è la polizia! Impari le leggi, i
raggiri, le gabole, i soprusi, e sopratutto impari che in questa società
tutto è corrotto e corruttibile. E che se sei un lestofante, per salvarti devi
montare sempre più in alto e corrompere altri che ti servano come
gradino per montare in su, sempre più in su. Ma attenti agli sgambetti e
agli inciampi. Succede immancabilmente che qualcuno, troppo sicuro di
se, tupicchi nel solito sbucazzo e vada giù come un sasso senza più
fermarsi. Ed è questo lo splendido della società dei bianchi. Quelle
cadute con sfacelo finale sono la gloria loro. Perché così possono gridare:
“Vedete? C’è sempre una giustizia, anche per i grandi”. Io me la sono
battuta prima che fosse troppo tardi, stavo diventando a mia volta
troppo sicuro di farcela sempre con la truffalderia. Ho sloggiato, ma mi
son portato via come bagaglio tutto il sapere di come si fotte nell’alta
società. Io l’ho dimostrato che i bianchi sono stupidi quanto molti altri.
Lo sapete che ho venduto per 30 volte le stesse due tartarughe allo
stesso medesimo generale? Aveva un bel vestito, certo, la spada, due
pistole e un fucile. Ma era uno stupido. Per lui le tartarughe hanno tutte
le stessa faccia. Nessuno di loro si chiede come facciano ad essere così
agili nuotando nel mare con addosso quel coperchio a mò di corazza,
così pesante. E non sanno nemmeno che una tartaruga può campare fino
a cento, duecento, anche trecento anni, mentre lui, il generale, con la
sua sciabola e il cappello, può arrivare al massimo a 80 anni se non lo
sforacchiano tutto prima di piombo. È stupido il generale, anche quando
sta a cavallo di un cavallo stupido come lui, ecco un asino che sta a
cavallo. Dicevo che per lui i negri sono tutti uguali. Non distingue una
personalità dall’altra. E perché? Come mai? Perché non osserva, non
guarda le cose in profondo. Ma se non sa guardare e non sa distinguere
non è sveglio come sembra, e se non è intelligente possiamo batterlo.
E allora perché quando pensi di ribellarti i bianchi ti fanno così paura?
Credi che a loro volta non se la facciano mai sotto? Per carità! Cantano
tronfi inni di guerra in coro per darsi coraggio, urlano dando comandi per
sentirsi vivi. Poi se qualche pallottola li becca in pieno petto esclamano:
“Cazzo! Che m’è successo? M’hanno beccato! Perchè proprio a me?” E
schiattano!
Guarda quella porta negro. E’ aperta. Se questa notte vieni con me
nessuno ti inseguirà. Puoi farlo. Poi dovrai combattere. Ma saremo in
tanti. Saremo uniti, avremo i nostri fucili. E tu sarai un guerriero. Uno che
non lascia che un padrone decida per la sua vita. Uno che si è comprato
sé stesso. Forse pagando con il sangue.
Ma è meglio comunque. Fatelo per la vostra dignità, fatelo per i culi
rotondi delle donne, per i vostri figli. Avete mille motivi per ribellarvi,
non c’è nessun vantaggio a fare gli schiavi!
In completa opposizione, di forma ma non di concetto, rispetto alla
storia che abbiamo appena terminato di raccontare è la testimonianza di
un uomo bianco di origine inglese, che si fece seminole il cui nome
divenne famoso per tutto il ‘700 in america. Eccovela.