Storia scritta da Cabeza de Vaca et alii In che modo gli spagnoli
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Storia scritta da Cabeza de Vaca et alii In che modo gli spagnoli
Storia scritta da Cabeza de Vaca et alii In che modo gli spagnoli possono essere sconfitti. I mapucho (tribù che accompagna johan?) 5 invasioni 1 - viene fermata in modo incredibile: le tribù della Florida, antenati dei Seminole, applicano la tecnica della desparida (scompaiono all’arrivo delle navi castillane abbandonando il porto e la città costiera; salgono sulle colline retrostanti inviando segni della loro presenza. Gli Spagnoli, per raggiungere i monti decidono di inoltrarsi nella piana, unico passaggio tra le paludi, che si rivela però una trappola: in fondo al pianoro, dopo il passaggio degli esploratori spagnoli, si solleva una palizzata che frena l’avanzata. Quindi l’apertura di dighe crea l’allagamento della zona. Gli spagnoli indietreggiano ma l’intero piano viene circondato da un fronte di fuoco preparato per l’occasione. Ogni via di fuga possibile è sbarrata da acquitrini e coccodrilli. Sconfitti gli invasori, gli indiani si impossessano delle navi. Cabeza de Vaca insegna loro come pilotarle, e grazie a queste navi riusciranno a frenare anche la seconda invasione spagnola, utilizzando di nuovo una tecnica di desparida: attendono che la piccola armata sia sbarcata e attaccano le navi semideserte catturando i marinai di guardia e confiscando le nuove navi. Intanto le truppe, compresa la cavalleria e i cannoni, giungono in prossimità della montagna. Scoprono che c’è un fiume in secca con il letto percorribile. Salgono fino alla cima della prima rampa, quando si scopre che il letto sta per essere inondato da un vero e proprio fiume in piena. Gli indios avevano trattenuto con chiuse il fiume deviandolo, ed ora lo liberano facendo cascare tonnellate d’acqua addosso a soldati e cavalli, che travolti muoiono annegati. nella cittadina presso il porto gli abitanti, che fuggono mostrando di essersi allontanati da poco e in gran fretta, hanno lasciato, tra cibo, abiti e attrezzi da lavoro, delle statuette e altri oggetti d’oro, il che convince gli sbarcati che nei pressi della città, forse sulle montagne, esistono delle miniere. Il titolo di questo nostro racconto è i Seminole – un popolo di indios scampati al grande massacro delle tribù americane. La loro origine risale naturalmente a secoli prima che gli Spagnoli giungessero in Florida, la penisola dove vivevano le prime tribù conosciute con l’appellativo di (Creek o) Calusa, cioè gli antenati dei Seminole. Per ritrovare documenti che certificassero questa presenza abbiamo dovuto rivolgerci a narratori non ufficiali, cioè testimonianze scritte da marinai di bassa ciurma che narrando le loro avventure nelle Americhe appena scoperte non si sono certo preoccupati di fare l’elogio dei propri ammiragli e soprattutto dei regnanti e banchieri che ordinavano e sovvenzionavano quelle spedizioni: quei marinai si preoccupavano solo di raccontare la verità. Così abbiamo scovato la testimonianza - quasi un giornale di bordo - di un marinaio dal nome a dir poco grottesco: Caveza de Vaca. La cronaca delle sue peripezie mi è servita per mettere in scena le avventure di “Johan Padan a la descoverta delle Americhe” un testo che ho recitato per molti stagioni. A quel tempo, circa vent’anni fa, ho trovato anche un’altra cronaca autobiografica, molto simile a quella di Caveza de Vaca, raccontata da Hans Staten, un marinaio tedesco, che a sua volta si ritrova nelle Indie e vive un’avventura da Robinson Crusoè; gli capita fra l’altro di essere fatto prigioniero dagli Indios che lo sfamano, lo coccolano, lo ingrassano allo scopo di mangiarselo. Ricercando avventure narrate da marinai di bassa forza sono incappato in Sigàla, un genovese che viaggiando sulle navi di Colombo, raggiunge la Florida e diventa capo tribù degli Indios-Maciuco. Ancora ho incontrato un marinaio di Palos: Gonzalo Guerrier, che diserta dalla spedizione di Tristan de Cabaco per finire prigioniero degli Incas, che dopo averlo condannato a morte ci ripensano e lo eleggono loro santo-stregone. Per finire ho scoperto i racconti di Michele da Cuneo, che fu il braccio destro, il confidente di Colombo. Un marinaio piuttosto spregiudicato testimone di storie a dir poco allucinanti, soprattutto per il linguaggio del tutto spietato con cui si esprime. Cabeza de Vaca [ spedizione di poncho de leon 1513 ] arriva in Florida accompagnato dai Mapucho che lo hanno eletto loro sciamano. Qui trova i Calusa una tribù costretta in schiavitù dagli spagnoli che occupano la penisola, e i mapucho con i Calusa liberati cacciano le truppe spagnole costringendoli a risalire in fretta e furia sulle proprie navi e darsi alla fuga. Trascorrono alcuni mesi di pace e tranquillità; dopo il quinto mese ecco riapparire nuove vele di navi spagnole. Gli iberici sbarcano ma scoprono la città del porto completamente sgombra e in alcune case trovano nelle pentole cibo appena cotto, abiti, attrezzi di lavoro e perfino statuette d’oro purissimo. Evidentemente, pensano i conquistadores, il terrore di essere catturati da noi ha fatto sì che gli abitanti indios abbandonassero anche gli oggetti d’oro. Gli spagnoli pensano subito che senz’altro nell’entroterra troveranno miniere in attività. Sbarcati anche cannoni e cavalli ecco che le truppe spagnole si avviano verso le colline. Qui si trovano costretti a decidere se percorrere la piana attraversando lunghi spazi immersi negli acquitrini della palude oppure attraversare un bosco piuttosto esteso dove però il sentiero percorre uno spazio asciutto. Di lì a poco si rendono conto che si tratta di una trappola preparata da tempo, giacché dalla parte opposta, proprio al momento di uscire dal bosco, la strada è sbarrata da un largo pantano dentro al quale si muovono dei coccodrilli. Decidono quindi di tornare indietro verso l’ingresso. Non sono arrivati a metà del percorso quando, tutto intorno a loro la foresta prende fuoco. Sono in trappola. Le fiamme crescono a dismisura e li circondano come in una morsa, e tutto il piccolo esercito viene divorato da quell’enorme falò. Scampati a questa invasione i Calusa trascorrono altri mesi di tranquillità, ma ecco che di nuovo appaiono navi all’orizzonte. Gli spagnoli sono davvero testardi. Vogliono conquistare la penisola e tutto il territorio che si apre verso l’interno. Il copione di questo secondo sbarco è quasi identico al primo: la città è abbandonata, nelle case qua e là ci sono le stesse pentole con cibo appena cotto, qualche abito e, naturalmente, statuette d’oro finissimo. Le nuove truppe si avviano verso le grandi praterie laggiù sul fondo. Attraversano lo spazio ancora sbruciacchiato di quello che è rimasto del bosco, e provano orrore nello scoprire sotto i propri piedi resti di ossa a mezzo carbonizzate in gran numero, più qualche elmo di foggia spagnola. Attraversata la piana si ritrovano di fronte al profondo letto di un fiume completamente asseccato. I conquistatori percorrono agilmente quella pietraia ma, giunti a metà della cammino, ecco che si ode un frastuono tremendo: è il rumore di una valanga d’acqua che giunge inondando il letto del fiume. In un attimo è la catastrofe. Tutti i conquistatori coi loro cavalli e cannoni vengono travolti dalla inesorabile onda di piena. Non si salva nessuno. Solo un asino delle salmerie riesce a salvarsi, ammaccato ma ancora vivo. Viene soccorso dai Calusa che gridano: “Ecco il simbolo dell’esercito della regina!” Trascorrono altri quindici anni e i Calusa vivono tranquilli in questo loro paradiso. Ma un giorno vedono spuntare all’orizzonte alberi di navi in quantità: una vera e propria armata. A comandarla c'era Panfilo Narvàez [1528 15 anni dopo] , glorioso guerriero. Scende a terra coi suoi uomini, ma non trova nessun selvaggio sulla costa. Come i suoi predecessori si appresta ad attraversare la piana. Naturalmente il suo esercito è costretto ad immergersi fino alla cintola nella palude e muoversi fra coccodrilli che sembrano aspettarli da tempo: infatti gli fanno gran festa. Più in là, si trovano a conoscere serpenti enormi, le anaconde, che nell’acqua dimostrano un’agilità incredibile e compiono gesti d’affetto verso i soldati, tant’è che gli si avvolgono sinuose, con abbracci esageratamente appassionati. Finalmente trovano un terreno asciutto, con alberi altissimi fra i quali saltano babbuini. “Oh, tu guarda: non sapevo che in Florida ci fossero scimmie!” Infatti non sono scimmie, sono uomini travestiti da strani animali. E cominciano a lanciare frecce dall’alto dimostrando una mira eccezionale. E’ una strage. I soldati superstiti sono costretti a darsela a gambe, ma ora non trovano più un guado praticabile. Per di più i Calusa attraversano loro la strada su canoe leggere e velocissime. Scoccano frecce da tutte le direzioni. Quel pandemonio dura per tutta la giornata. Alla fine non si sentono più né grida né colpi di schioppo. Pochi sono gli invasori rimasti vivi. I superstiti vengono fatti prigionieri e alcuni di loro sono invitati dai selvaggi a far parte della loro grande tribù. Tutti naturalmente accettano. Le navi vengono catturate dagli indiani, comprese le armi e soprattutto la polvere da sparo in quantità. Poi di lì a qualche anno, sbarca Luca Vasques de Ayllon, che si inoltra nella Florida: oh, tu guarda... nessuno l’ha visto più ritornare! Sparito. Per i Calusa, le navi lasciate loro in dono, abbandonate, diventano un problema. Per fortuna alcuni dei prigionieri divenuti Calusa sono esperti marinai. Saranno loro a sistemare nel porto le navi catturate. Ma ormai il golfo straripa di navi. nel porto non ce ne stanno più (PORTO???). Il fiume più grande che attraversa la penisola è <sono> navigabile. Quindi i nativi organizzano un deposito di navi nel lago più vicino. Il grande vantaggio di questi indiani è la facilità con cui riescono a trasformare le proprie abitudini lo spirito di adattamento e di trasformazione del proprio costume: di lì a poco, imparano a navigare su quelle imbarcazioni. Non solo, ma apprendono pure la tecnica dello sparare con le colubrine di bordo. Così mettono a segno alcune cannonate all’arrivo di nuove navi che trasportano il figlio di Ancora è toccato al figlio di Vasquez de Ayllon, Miguel Vasquez, che è sceso giusto due anni dopo alla ricerca del padre. Per sua fortuna i colpi non creano gran danno alle navi, tant’è che la maggior parte dell’equipaggio riesce a scendere a terra incolume. Si pone in viaggio e trova lungo Ha trovato il cammino qualche lancia spezzata, corazze ed elmi sforacchiati e ossa... tante ossa. Un suo scrivano che ha racconta l'avventura, dice che ad un certo punto si trovano ad incontrare una tribù di indiani abbastanza benevoli, ma quando i comandanti come al solito estraggono dalle proprie sacche che hanno incontrato degli indios permalosi."Appena i cristiani spagnoli hanno offerto loro vetrini colorati e agitano campanelle davanti agli occhi dei selvaggi, questi stranamente reagiscono con furore: puntano alcuni fucili di produzione spagnola e, incredibile, sparano non solo ai campanellini, ma anche a chi li agita. ascoltare il "dilin dilin" delle campanelline, loro, 'st'indiani, si sono incazzati... hanno cominciato a scagliarci addosso frecce e lance, in così gran numero che alla fine sembravamo tanti porcospini." È un fuggi-fuggi generale. Con fatica gli invasori superstiti riescono a riguadagnare le navi alla fonda e con rapidità incredibile prendono il largo. Qualcuno di loro giura di aver sentito gridare chiaramente e in perfetto castigliano: “Ficcateveli in quel posto i vostri campanellini!”. Trascorrono meno di cinque anni, Non sono trascorsi nemmeno cinque anni, che e i Calusa vedono spuntare un'armata grande, forte di venti navi. A comandarla c’è nientemeno che Hernando de Soto [1539], gran capitano, che si è messo in marcia alla conquista di questa Florida per assoggettarne tutti gli indiani. Alla partenza erano novecento uomini e centocinquanta cavalli... al ritorno erano solo trenta uomini e dieci cavalli, che oltretutto si rifiutavano di rimontare sulle navi. Alla fine i capitani dovettero dar l’ordine di lasciarli liberi. Tutta la ciurma stava pronta per levare l’ancora ma ecco che si ode un gran botto, anzi una serie di boati e le navi tutte saltano in aria, salvo una la cui carica di esplosivo aveva fatto cilecca. Fu giocoforza per i superstiti unirsi ai Calusa giurando lealtà. così malridotti, massacrati, da fare pietà! Il cronista della spedizione racconta: “questi selvaggi hanno imparato a sparare tanto con i fucili che con le bombarde che ci hanno sottratto, e riescono a lanciare frecce a distanze incredibili. I loro archi superano i due metri d’altezza e per tenderli bisogna proprio avere una forza straordinaria. Inoltre sono in grado di inventarsi trappole terribili, Infatti impugnano : "Questi indios si battono come diavoli... e in gran ordine di battaglia. Ti organizzano trappole terribili... trabocchetti e imboscate... e danno fuoco alla foresta proprio nel momento in cui ci troviamo nel bel mezzo." Dieci anni appresso, guidata da Luis Cancel Balvastro, ecco arrivare è arrivata una compagnia di soldati e di frati d’accompagno: il loro compito di questi ultimi era quello di evangelizzare i selvaggi e dare l’ultima benedizione alle vittime degli scontri i caduti. [1549] Chi li comandava era da. Spariti anche quelli. Che peccato! Chissà chi si sarà preso l’onere di dare l’estrema unzione ai conquistatori e i loro frati morenti! Di lì a qualche anno, ancora, sbarca [1559 missione di menèndez] Tristan de la Luna... uomo crudele, prepotente. Alcuni mesi dopo, un’altra spedizione arrivata a cercarlo, di tutto il suo reggimento ha ritrovato ancora solamente qualche elmo bucato, alabarde spezzate e ossa...tante ossa sbiancate. Oh, che peccato! E anche questi del soccorso sono spariti! A 'sto punto, il re Carlo V, ha proclamato: "Basta! 'Sta Florida me ha enfrapado los cojones! Queste spedizioni ci vengono a costare troppo in uomini e mezzi. Piantiamola lì! E' una terra maledetta!" Ma dopo un paio d'anni, ci ripensa... Ha saputo che i francesi si preparano a sbarcare in Florida al posto loro. [1564] Come un fulmine organizza un'altra spedizione e, di lì a poco, rivediamo spuntare un'armata potente con le bandiere di Castiglia e di Leon. Chi la comanda è il capitano Pedro Menéndez de Avilès [1566?] Comanda 700 uomini, arriva in territorio indiano con 300 guerrieri locali d’appoggio. Nei pressi di Lake George tenta di risalire il fiume, ma ecco che centinaia di alberi delle due opposte rive all’istante crollano all’unisono addosso alle navi che vengono letteralmente capovolte da quell’impatto. Un suo cronista, uno dei pochi che si son salvati dal gran disastro, commenta: "I guerrieri di queste parti sono tremendi! Conoscono i cavalli, ed è incredibile come sanno starsene in groppa: scendono e salgono in corsa, si torcono verso il retro sparando mentre stanno in fuga e appresso si lanciano alla gran carica da sconquasso!” Per di più ci sparano coi nostri fucili, armi razziate fin dalle spedizioni di vent’anni fa.” Ma a questo racconto nessuno crede. Il cronista l'hanno chiuso dentro i sotterranei del convento come un matto con le visioni. Dopo 'sto ultimo sconquasso d'uomini, di navi e di cavalli, al re Carlos per poco non schizzano gli occhi: "Adesso ne ho pieni i coglioni davvero! Dichiaro questa Florida maledetta terra inespugnabile. Il che vuol dire che, da questo momento, il primo cristiano spagnolo che disobbedendo ai miei ordini ci mette piede poi, anche se putacaso gli riesce di tornare indietro, giuro che lo impicco io, con le mie mani!" Nel 1539 Hernando De Soto tenta a sua volta di conquistare la Florida. Sbarca in territorio Acuera, della tribù Timicua, e la popolazione fugge nascondendosi dentro le foreste bagnate dall’immensa palude. Hernando de Soto occupa il centro urbano più grande, la città di Anhaica, oggi Tallahassee, e trascorre lì l’inverno del 1539-40. Vi trova cibo sufficiente per sfamare i suoi 600 uomini e 220 cavalli per 5 mesi. Il che ci dimostra che stava sfruttando i beni di una società florida e ben organizzata. Ed è il caso di riconoscere che fu proprio una fortuna per quell’esercito, perché l’armata di de Soto era disorganizzata, tant’è che erano ormai giunti a sperperare le riserve di cibo e acqua. De Soto, consolidata la posizione, invia messaggeri alla roccaforte di a un capo locale, che lui chiamato Acuera, il maggior capo del territorio, invitandolo a scendere da lui per accordarsi pacificamente. Il capo accetta l’incontro per il giorno appresso ma di soppiatto, nottetempo, invia un gran numero di suoi guerrieri che si introducono nella città prendendo posizione in numerosi edifici abbandonati. Come d’accordo il capo Acuera si presenta a De Soto che con l’aria di chi propone un affare irrinunciabile, attraverso un interprete lo consiglia alla sottimossione: “Ti offro di diventare, te e tutta la tua gente, sudditi del re di Spagna, che oltretutto è imperatore conosciuto in tutto il pianeta. Credimi, è un grande onore che ti propongo”. Il capo dei selvaggi lo osserva con occhi meravigliati, poi esplode in una grossa risata: “Ah ah ah! C’è anche da noi questo detto buffonesco! Si chiama la proposta del Coyote che voleva mangiarsi il tacchino!” “Non capisco l’ironia!” esclama De Soto. E di rimando Acuera gli dice: “Senti, Gran capo imperiale, io ti conosco già senza averti mai incontrato! Attraverso quelli della tua razza che sono arrivati prima di te ho imparato che voi spagnoli sapete far moine con le parole e nello stesso tempo afferrare il coltello che tenete nascosto fra le natiche, pronti a estrarlo” “Ma che linguaggio è mai questo!?” “È il linguaggio che si usa verso gli ipocriti come te che vanno intorno da un luogo all’altro, rubando, saccheggiando e scannando persone indifese e innocenti. Sai cosa ti dico? Che non ho nessuna intenzione di stringere amicizia e far pace con te. Preferisco stringere con te e con la tua gente un solenne e totale trattato di guerra.” “Sei proprio un selvaggio incosciente e spudorato! – urla De Soto - Vieni qua solo e indifeso e hai l’ardire di offendere me e la mia gente a ‘sto modo!” “Perché, forse hai in programma di catturarmi e magari uccidermi: io non ho paura di te... anzi ti dirò che sei tu che devi preoccuparti giacché tutto intorno a questo luogo ci sono case che tu credi abbandonate e invece sono piene di gente con fucili, archi e frecce. Basta un mio grido e qui all’istante saremmo in troppi... una riunione davvero affollata.” “Per dio! – urla de Soto insultando le sue guardie – sentite cosa dice questo selvaggio! E voi non ve ne siete accorti» «Non possono accorgersene – gli risponde il capo Acuera – la nostra gente è chiamata gli epucuori, che vuol dire uomini invisibili: ci siamo ma non si riesce a vederci. E sempre con molta discrezione vi faremo guerra per tutto il tempo che vorrete stare sul nostro territorio. E v’avverto che non vi combatteremo in campo aperto: non ci vedrete mai di fronte a voi, ma di fianco, sopra, sotto... e vi accorgerete di noi sempre troppo tardi! Siamo maestri della sorpresa e della trappola... credo che con voi ci si divertirà un mondo... anche a seppellirvi. Tanto per cominciare ho dato l’ordine ai capi delle mie bande di inviarmi ogni giorno due teste di vostri uomini valenti a domicilio. In quel momento si sente uno schianto e due involucri passando dalla finestra vanno a schiantarsi sul tavolo che sta dinanzi al gran generale. “Che è?” “Sono le prime due teste! Noi siamo gente che arriva sempre in orario.” Uno degli ufficiali allunga le mani per verificare il contenuto degli involucri. “Lasciate correre, fa impressione... fidatevi! Li guarderete non appena me ne sarò andato. Ad ogni modo, quando rivedrete il vostro monarca, al ritorno, salutatelo per me e ditegli che io sono il re sulla mia terra. E per quanto vi riguarda, vi dirò che trovo del tutto spregevole colui che accetta di vivere sottoposto al volere di un altro, soprattutto quando si trova nella possibilità di campare da uomo libero. Vi disprezzo di tutto cuore poiché siete servi e state facendo un lavoro infame per conquistare regni non per voi, ma per un vostro padrone. Per voi ci saranno solo gli avanzi, come per i cani da riporto. E dal momento che sono ben consapevole di ciò che venite a combinare su queste terre, vi do un consiglio: prendete la vostra roba e svignatevela più rapidamente che v’è possibile, giacché da questo momento avrete poco tempo per godervi quello che vi resta da vivere.” La risposta del capo è molto dura: “Attraverso quelli di voi che sono già venuti qua, ho imparato a conoscere i castigliani. Per me voi siete incursori che vanno da un luogo all’altro e vi guadagnate da vivere rubando, saccheggiando e uccidendo persone innocenti. Non voglio in nessun modo stringere amicizia o fare pace con voi. Voglio piuttosto una mortale e perpetua inimicizia. Io non ho paura di voi.... E vi prometto di farvi guerra Non vi combatteremo in campo aperto ma ci dedicheremo ad agguati. Ho comandato ai miei capi di portarmi due teste cristiane ogni settimana.” Poi il capo Acuera deride l’offerta di diventare suddito del re di Spagna: “Io sono il re sulla mia terra... io conside- ro spregevoli chi vive sottoposti a un altro quando possono vivere da uomini liberi... Io e la mia gente siamo disposti a morire cento volte pur di restare liberi. Questa è la nostra risposta per il presente e per sempre. Vi stimo ancor meno perché siete servi e state lavorando dei quali potreste godere i frutti. Visto che in questa impresa soffrite la fame, la fatica, e le difficol- tà di altro genere nonché si rischia la vita, sarebbe per voi più onorevole e vantaggioso acquisire le vostre conquiste per voi e la vostra discendenza piuttosto che per qualcun altro... E perché sono ben consapevole di quel che venite a fare su questa terra so bene come comportarmi con voi. Andate via il più velocemente possibile se non volete morire per mia mano”. 1513 - Juan Ponce de León 1517 - Francisco Hernández de Córdoba si fermò sul- la costa della Florida 1521 - Ponce de León - Leon fu ucciso e gli europei si ritirarono nuovamente. 1528 - Pánfilo de Narváez che deve anch’essa ritirarsi. 1539 - Hernando De Soto tenta nuovamente di conqui- stare la Florida. trascorre lì l’inverno del 1539-40. 1540 de Soto e i suoi uomini lascia- rono quei territori ostili per la georgia 1549 - i domenicani cercano di costruire una missione ma sono scacciati. 1566 - Pedro Menéndez de Avilés 1569 - soldati spa- gnoli uccidono due capi Calusa e la missione è abbandonata. 1564 - la Francia lancia una campagna di con- quista della Florida con varie spedizioni, un migliaio tra coloni e soldati. Spedizioni che furono guidate da Jean Ri- bault e René Goulaine de Laudonnière, un ugonotto fran- cese. Jean Ribault ci narra del viaggio e realizza una famosa serie di disegni sugli indiani. Alla foce dell’Ocklawaha in- contrarono parecchi villaggi fortificati con mura di tronchi di palma, abitati da Acuera. All’inizio furono accolti gentilmente dai nativi, ma co- minciarono poi una serie di ostilità. Contemporaneamente c’era però anche lo spagnolo Menéndez, che stava cercando di 1614 - le forze spagnole attaccano la Calusa 1616 - gli spagnoli riescono a impiantare alcune mis- sioni in territorio Acuera ma 1675 - quando i cattolici decidono di abbandonare il pro- getto 1680 - una spedizione spagnola entra in territorio Ca- lusa 1697 - i francescani costruiscono una missione in territorio Calusa, ma dopo pochi mesi rinunciano. Sono passati 184 anni Per tutto il 1700 i territori della Florida restano indipen- denti, anche se la penetrazione europea continua. Non ci sono altri tentativi di colonizzazione diretta. 1710 Calusa, Apalachees, Timucua sono attaccati da una prima ondata d’indiani creek 1713 un gruppo di creek della tribù mikasuki ripopo- la il territorio degli apalachees. 1715 guerra tra indiani yamassee e inglesi (alleati dei creek) 1750 Dopo la sconfitta degli il primo nucleo di seminole è formato dai fuggi- tivi della guerra yamassee: indiani alachua, oconee e creek. Il loro leader era Ahaya piu’ conosciuto come Cowkeeper che sarà il primo dei leader seminole. 1774 molti schiavi neri scappano dalle piantagioni e s’insediano in florida. Erano ottimi guerrieri, molto intelli- genti ed erano bilingui (inglese, creek. Utilissimo). Gli ame- ricani accusano gli indiani di rubargli gli schiavi. I creek senza un consenso dei seminole firmano un trattato, dove attestano di restituire gli schiavi, questo inasprisce i rap- porti creek-seminole. Nel 1763 gli inglesi acquistarono la Florida dagli spagno- li che si ritirarono sulle isole caraibiche portando con loro quasi 300 indiani probabilmente Calusa, di questi 200 mori- rono di lì a poco forse per denutrizione forse per le malattie. Di questa migrazione forzata restano i bacini per l’alleva- mento dei pesci che i Calusa costruirono. 1790 William Augustus Bowles of Maryland è un bian- co atipico che decide di mettersi a capo dei seminole e dei creek meridionali. Fonda Muskogee popolata da muskoge- ans. Muore nel 1805 in una prigione spagnola. Ora in Florida i nativi parlano due idiomi: Hitchiti e Mu- skogee che nonostante siano dello stesso ceppo sono total- mente differenti l’una dall’altra. (Appunto) I Calusa, che possedevano degli omonimi fra le antiche tribù dell’attuale Argentina e di altre località del Sudamerica, ad un certo punto cambiano nome, e, come molti di voi sanno, da Calusa si chiameranno Seminole. Furono gli spagnoli nel ‘600 ad affibbiare loro questo appellativo Cimarrones, che significa fuggiasco, termine che appresso si trasformerà in Seminole. Nel capitolo precedente avevamo accennato al fatto che proprio alla fine del ‘500, i francesi, saputo che l’armata di Carlo V stava sbaraccando dalla Florida, organizzarono subito una spedizione per prendere il loro posto. Dobbiamo, a questo proposito, ricordare che questa penisola aveva ed ha ancora una dimensione notevole, vasta come mezza Italia, 170.000 Km2, con un lago di forma circolare dal diametro di 50 km e altri laghi minori che tempestavano tutta la piana. La palude si estendeva dal sud fino a nord e in certe zone sovrastava di gran lunga lo spazio della cosiddetta terraferma. Questi selvaggi, prima dell’arrivo degli spagnoli, erano in gran parte contadini e allevatori, grazie alla disponibilità di una considerevole prateria che, sopratutto a nord, ricopriva il territorio. I francesi con la loro invasione costrinsero i Seminole ad abbandonare i pascoli e le terre coltivate, e a trovare scampo e protezione dentro le immense paludi. Naturalmente furono costretti a impiantare palafitte sulla laguna, edificate con pali alti più di due metri sul livello dell’acquitrino. Fabbricarono le famose canoe, leggerissime, realizzate su scheletri di canna, sui quali stendevano pelli di animali, sopratutto quelle dei coccodrilli. Naturalmente furono giocoforza costretti a diventare dei formidabili cacciatori di quei rettili. Esistono ancora dei disegni, eseguiti dagli stessi Seminole, che ci mostrano gruppi di cacciatori muniti di un lunghissimo palo che vanno ad infilare in profondo nella gola degli alligatori con un sincronismo da giocatori di rugby. Conosciamo anche delle immagini eseguite da stranieri bianchi nel ‘700 che ci mostrano selvaggi Seminole in lotta con enormi caimani, e si nota subito che l’uomo affronta quel rettile gigantesco assolutamente disarmato, a mani nude! Il lottatore mostra di spalancargli le fauci come un novello Ercole, e quindi lo rovescia pancia in su rendendolo inoffensivo. Sappiamo poi che questa esibizione veniva messa in scena anche in occasione di veri e propri spettacoli a vantaggio dei visitatori e turisti. Questo ci dice che gli abitanti della palude avevano giocoforza imparato a vivere in simbiosi con quella natura e gli animali che la abitano, al punto che sappiamo che in certe situazioni di conflitto trasportavano i caimani a spalle fino al luogo dove servivano da aggressori inesorabili contro i bianchi che tentavano di attraversare la palude. È il caso di dire: i primi caimani da guerra. L’animale simbolo di quei selvaggi era la pantera e tanto che nelle loro storie questo animale viene sempre rappresentato presso il Creatore dell’universo che lo aveva scelto come simbolo del coraggio, dell’intelligenza e soprattutto dell’armonia, a cominciare dall’eleganza del movimento. La pantera è anche il simbolo dell’adattamento infatti è forse l’unico felino che ama l’acqua e riesce a catturare i pesci con grande facilità. Le favole dei Seminole dicono che la pantera nella palude non attacca mai l’uomo e addirittura gioca con i suoi bambini. Cosi come è ormai divenuta abitudine per i caimani che, come nelle favole greche, si caricano i bimbi sul dorso trasportandoli qua e la nella palude. A parte il clima idilliaco che ci offrono le favole degli uomini costretti a vivere nelle paludi dobbiamo ammettere che la sopravvivenza in quei luoghi doveva risultare davvero di grande sofferenza e pericolo. Il procurarsi il cibo senza uscire da quella natura, specie durante le invasioni dei conquistadores e appresso dei franzès, era davvero un’impresa disperata. I Seminole avevano imparato a costruirsi reti e trappole per pesci di tutti i tipi a cominciare dalle ceste conseguenti, cioè un insieme di canestri di trama molto fitta dentro i quali i pesci, attratti da esche, riuscivano facilmente entrare ma la sortita era loro impossibile. I ragazzini erano diventati poi talmente abili che, servendosi di semplici stecche acuminate, riuscivano ad infilzare pesci nuotando sott’acqua. Dicevamo dei francesi che invadono la Florida seguiti subito dagli spagnoli il qui re, Carlo V, piccato all’idea di perdere il gran “boccone” e soprattutto timorosi che se i francesi fossero riusciti a conquistare quella penisola avrebbero potuto dilagare per tutta l’america. Cosi esplode, nelle nuove terre, il primo scontro armato di europei nelle Americhe. I seminole capiscono immediatamente che quello scontro può venire a tutto loro vantaggio, quindi imparano la tecnica delle alleanze. In un primo tempo si mettono a disposizione dei francesi, poi passano nelle file degli spagnoli e cosi via. Insomma diventano, come dicono i francesi, de supportère. Ma di li a poco imparano a proprie spese che quella tattica alla fine non porta vantaggi, anzi il frequentare bianchi dappresso procura loro morbi davvero disastrosi. Per di più imparano la sudditanza e con quella perdono la propria dignità di uomini liberi. Alla fine dopo reciproci massacri i francesi cedono il campo ai loro nemici e gli spagnoli tornano a riprendere la loro politica di aggressione e rapina. La tecnica messa in campo stavolta dai conquistadores è quella di muoversi a loro volta su leggere imbarcazioni che possano muoversi facilmente nella laguna il che impone agli aggrediti di non smontare letteralmente i loro villaggi su palafitte e di non farsi mai sorprendere in gruppi considerevoli. Questo significherebbe essere facilmente sterminati. Così decidono di sparpagliarsi per tutta l’immensa palude a gruppi tre quattro individui al massimo. I bambini dovranno imparare fin dalla nascita a non piangere per nessuna ragione e a muoversi sempre in silenzio e al coperto, fra foglie e rami e riuscendo ad arrampicarsi con la rapidità di gatti selvatici e scoiattoli fino in cima agli immensi alberi dove le fronde si infittiscono a dismisura e in casi estremi anche gettandosi sott’acqua, rimanendoci il più a lungo. Eccoli allora tutti i Seminole che imparano al tecnica che già conosciamo grazie a i vietcong ma che i seminole usavano già nel 500 e che viene in verità messa in pratica da tutti i combattenti in lagune del mondo, cioè quella di respirare immersi per mezzo di canne che si affacciano oltre il pelo dell’acqua. Nel 700 si inseriscono nuovi eserciti nella lotta davvero coloniale per accaparrarsi terre da coltivare e per gli allevamenti di bestiame. Entrano in campo a nord i portoghesi e in centro gli inglesi che scendono anche in florida. Nelle incursioni che seguono a raffica i seminole vengono quasi del tutto sterminati, se ne salvano alcune tribù grazie alla loro rapidità nello spiazzarsi in zone diverse, per poi ritornare immancabilmente a piccoli gruppi ancora in florida. Questi sopravvissuti sono spesso ridotti a poche centinaia di unità. In tutte le americhe le tribù di vari Mohicani, Sioux, cherokee sono quasi del tutto scomparsi o ridotti a vivere una situazione disperata nelle riserve. Ma ecco che quasi all’improvviso i Seminole ricominciano a crescere di numero ad una velocità davvero sorprendente. Qualcuno esclama: quei selvaggi sono più rapidi dei conigli a far figli!. Ma in verità non si tratta di figli messi la mondo da loro ma fuggiaschi di altre razze a cominciare da indiani fuggiti dalle riserve, bianchi evasi dalle galere, perfino orientali, i primi gialli trascinati nelle americhe dai negrieri a lavorare in semi-schiavitù ed evasi dalle piantagioni. E soprattutto c’erano i neri, nigger, come li chiamavano con disprezzo i bianchi, anche loro fuggiti dalla schiavitù rischiando di essere impiccati. Quando si presentarono a centinaia, affamati e stravolti, i seminole non ebbero alcuna esitazione ad accoglierli: sono uomini diversi, ma creati dallo stesso dio, esclamò uno sciamano, anzi era una femmina sciamana. Disse: “E’ un dono che riceviamo e ne avremo un gran vantaggio da tutti questi popoli che vengono da noi. Il Dio che ci inserì lo spirito e la forza della pantera ci diede un fondamentale consiglio. Non isolatevi mai, non scacciate mai i diversi da voi, coloro che si esprimono con altri gesti e idiomi. Imparate tutti i linguaggi e se volete una lingua ricca scegliete da ogni parlata le parole intraducibili e inseritele nella vostra bocca. Solo cosi sarete ricchi. Il cavallo che vince tutte le gare, notate bene non è di una razza unica, pura, ma un bastardo, , è figlio di figli e figlie diversi. Pezzati, neri, bianchi come la neve. Così, solo un albero sul quale sono stati innestati altri rami produce frutti succosi e grandi”. Un vecchio saggio dei Seminole si alzò e, quasi imprecando, disse: “No, non son d’accordo, queste favole ci mortificheranno fino alla perdita della nostra identità. Noi dobbiamo conservare religiosamente quello che ci viene dai nostri padri e madri. Non possiamo inquinare le nostre regole, il nostro parlare, muoverci e respirare, altrimenti non saremo più una razza ma una banda di sperduti senza qualità. Che cosa ci terrà uniti se nemmeno la memoria e il sangue che viaggia nel nostro corpo sono puri?” E la sciamana rispose: «Io, non offendetevi, ma non credo affatto al significato e al valore di razza. Cos’è la razza? Avere lo stesso colore di pelle, la forma del naso, il colore degli occhi e la lunghezza delle dita dei piedi? No, la razza è una stupida invenzione di qualcuno che aveva il terrore di trovarsi solo con il vuoto nell’animo, e ha scoperto l’effetto che produce la parola “sangue”. Io personalmente preferisco l’idea di un popolo che non sta legato per il liquido che va pompando nelle nostre vene, ma per lo spirito che si muove nel nostro cervello. È uno spirito che ha la facoltà di cambiare di valore, suono, colore in ogni momento. E questo si chiama ragione e pensiero. Solo se confrontiamo e uniamo questi nostri valori saremo un popolo degno, una razza che non è legata all’origine delle cose ma al loro divenire, fatto di atteggiamenti e pensieri diversi e nuovi. Cioè possiede una cultura. E così impareremo a rispettarci ed amarci per qualcosa di più importante che non il pulsare del sangue. Una cosa che si chiama solidarietà, rispetto e perfino amore. E basta così.» *2 In completa opposizione, di forma ma non di concetto, rispetto alla storia che abbiamo appena terminato di raccontare è la vicenda di John Horse, John Cavallo. E’ il nome che gli diedero gli indiani Seminole quando lo conobbero da vicino e seppero di lui, delle sue imprese e soprattutto di come aveva indotto una enorme quantità di schiavi neri ad abbandonare le piantagioni di zucchero e di cotone fra la Florida e la Georgia. Questa storia è raccontata da un giovane schiavo nero che assistette al primo incontro di John Horse con gli schiavi, dentro un’enorme capanna dormitorio in una notte di primavera. Eccovelo: «Ci eravamo radunati nel fienile. Tenevamo solo una candela accesa per non farci soprire. La candela stava vicino a Jonh Horse e gli si vedeva il viso mentre raccontava: “Io sono venuto qui rischiando di essere sbranato dai cani per rispondere a un mio sacrosanto dovere: farvi sapere. Perché ho scoperto che voi, miei fratelli neri, poco conoscete del mondo che sta fuori da queste piantagioni maledette. Da quanti anni siete deportati? E quanti di voi sono nati in questa galera e non hanno quasi mai messo piede e occhi fuori da questi campi. Vi dirò che vivere da liberi è davvero molto diverso... pensate che se hai mal di pancia puoi perfino restare a dormire! Perché la terra è tua. Le vacche sono tue. Avete mai visto un negro con una vacca sua? Io ho dieci vacche. E mia moglie non deve andare a scaldare il letto dei bianchi. Sono piccole cose, certo. E qualcuno potrà chiedersi se valga la pena di morire ammazzati per questo. Lo capisco. Ma quando io zappo la terra, il solo pensiero che poi me le mangerò io le verze, la lattuga, le zucche dolci e le carote mi fa sorridere. E anche pensare che il figlio che mi darà la mia donna sarà mio mi dà più gusto quando sto sveglio con lei la notte. E anche quando sto sveglio di giorno. Il problema della schiavitù non è tanto la mancanza di libertà, quanto il fatto che ti cambia il sapore e il valore delle cose. Ad esempio tu, quando pensi alla tua donna e guardi il suo bel culo rotondo, a cosa pensi? Ecco guardate la sua faccia! Se lo sta immaginando, lo vede... fra poco allungherà le braccia per poterlo accarezzare... giù quelle manacce, non è tuo, è del padrone!! E anche tu... che bella espressione hai! Si vede benissimo che in questo momento hai proprio la faccia di uno che guarda due natiche tonde ...che i ricchi chiamano gluteo... e senti dentro di te e dentro il culo rotondo la grandezza dell’opera di Dio... immenso è il tuo potere, Signore, e la grazia delle cose che produci per la nostra felicità! Alleluia!” E tutti ripetono in coro Alleluja (sottovoce) “Piano! Ci sentono! Il nostro Dio... che modella le tonde chiappe delle nostre donne! Che Dio le benedica. Ma poi, putroppo lo sai che subito ti arriva quel tremendo pensiero in testa, come un trapano... Perché quel delizioso pompon, teso come un tamburo... POM POM... che Dio ha creato per te e che ha dato a quella femmina stupenda non è un culo qualsiasi. E’ il pompon di un bianco. Lui solo lo può suonare... POM POM... PAM POM POM... E perché? Che diritto ha di suonarselo? Perché l’ha comprato! E’ suo come le natiche del suo cavallo! TARATOM TARATIM.. TO TO... Lui, il padrone, con le sue chiappe strette... PAM PAM... con una moglie piatta, senza chiappe... CIAC CIAC... ha diritti sul culo della tua donna!! POPPOC!! Ma allora ditemi uomini, ditemi: per che cosa sopportate tutte le angherie e i malanni della vita... il mal di denti, le strizze della fame, le frustate sulla schiena, le coliche di pancia, la merda che vi sbattono in faccia... se poi non potete godere fino in fondo della divinità di tutti i doni piacevolissimi che dio vi ha donato attraverso la donna? Le sue labbra che vi baciano, le sue tette tonde da stringere fra le dita come pomi maturi, e il suo ventre... il suo ventre e il pube che danza per voi! Per questo vale la pena di ribellarsi, di combattere insieme ai vostri fratelli... perché anche se tu dovessi morire, comunque avrai fatto in tempo ad abbracciare, giocare con tutte le curve, controcurve ed anfratti della tua donna dentro i quali ti perdi come impazzito. Dio, dio, perché hai voluto fare in modo che ogni astro, la Luna, Venere, il Sole e la Terra mi ricordassero in ogni momento lo splendido culo della mia donna? Ma lo so: è più che umano che ognuno di noi abbia paura. Il padrone bianco ha tutto, ha le armi, ha i soldati, ha i cannoni, ci sparerà addosso... e addio ai nostri sogni... e soprattutto addio al nostro povero culo. Ma voi mi conoscete davvero? Sapete chi sono? Da dove vengo? Mio padre era un african nigger naturalmente, ed è stato trascinato in catene fin qua. E l’hanno sfruttato a sangue fin quando ha avuto respiro. Io, fin da bambino continuavo a chiedermi: “Ma perché? Qual’è il diritto che i bianchi tengono su di noi? Qual’è la loro supremazia? E così ho scoperto che tutto sta nell’avidità e nel potere. E ho scoperto ancora che la legge loro serve a regolare soprusi, rapina e truffa. Ma cosa potevo fare io, solo, indifeso e sopratutto ignorante. La fortuna mi è arrivata addosso come un fulmine. Un poliziotto a cavallo, un pezzo grosso, capo degli sbirri di Chicago, col suo cavallo imbizzarrito è finito nel fiume. Stava annegando. Io mi sono buttato nel fiume e l’ho tirato fuori. Gli ho fatto vomitare tutto quello che aveva bevuto e così l’ho salvato. Per gratitudine mi ha arruolato nella polizia. Ero il primo poliziotto nero che si fosse mai visto. Ragazzi, che scuola di vita è la polizia! Impari le leggi, i raggiri, le gabole, i soprusi, e sopratutto impari che in questa società tutto è corrotto e corruttibile. E che se sei un lestofante, per salvarti devi montare sempre più in alto e corrompere altri che ti servano come gradino per montare in su, sempre più in su. Ma attenti agli sgambetti e agli inciampi. Succede immancabilmente che qualcuno, troppo sicuro di se, tupicchi nel solito sbucazzo e vada giù come un sasso senza più fermarsi. Ed è questo lo splendido della società dei bianchi. Quelle cadute con sfacelo finale sono la gloria loro. Perché così possono gridare: “Vedete? C’è sempre una giustizia, anche per i grandi”. Io me la sono battuta prima che fosse troppo tardi, stavo diventando a mia volta troppo sicuro di farcela sempre con la truffalderia. Ho sloggiato, ma mi son portato via come bagaglio tutto il sapere di come si fotte nell’alta società. Io l’ho dimostrato che i bianchi sono stupidi quanto molti altri. Lo sapete che ho venduto per 30 volte le stesse due tartarughe allo stesso medesimo generale? Aveva un bel vestito, certo, la spada, due pistole e un fucile. Ma era uno stupido. Per lui le tartarughe hanno tutte le stessa faccia. Nessuno di loro si chiede come facciano ad essere così agili nuotando nel mare con addosso quel coperchio a mò di corazza, così pesante. E non sanno nemmeno che una tartaruga può campare fino a cento, duecento, anche trecento anni, mentre lui, il generale, con la sua sciabola e il cappello, può arrivare al massimo a 80 anni se non lo sforacchiano tutto prima di piombo. È stupido il generale, anche quando sta a cavallo di un cavallo stupido come lui, ecco un asino che sta a cavallo. Dicevo che per lui i negri sono tutti uguali. Non distingue una personalità dall’altra. E perché? Come mai? Perché non osserva, non guarda le cose in profondo. Ma se non sa guardare e non sa distinguere non è sveglio come sembra, e se non è intelligente possiamo batterlo. E allora perché quando pensi di ribellarti i bianchi ti fanno così paura? Credi che a loro volta non se la facciano mai sotto? Per carità! Cantano tronfi inni di guerra in coro per darsi coraggio, urlano dando comandi per sentirsi vivi. Poi se qualche pallottola li becca in pieno petto esclamano: “Cazzo! Che m’è successo? M’hanno beccato! Perchè proprio a me?” E schiattano! Guarda quella porta negro. E’ aperta. Se questa notte vieni con me nessuno ti inseguirà. Puoi farlo. Poi dovrai combattere. Ma saremo in tanti. Saremo uniti, avremo i nostri fucili. E tu sarai un guerriero. Uno che non lascia che un padrone decida per la sua vita. Uno che si è comprato sé stesso. Forse pagando con il sangue. Ma è meglio comunque. Fatelo per la vostra dignità, fatelo per i culi rotondi delle donne, per i vostri figli. Avete mille motivi per ribellarvi, non c’è nessun vantaggio a fare gli schiavi! In completa opposizione, di forma ma non di concetto, rispetto alla storia che abbiamo appena terminato di raccontare è la testimonianza di un uomo bianco di origine inglese, che si fece seminole il cui nome divenne famoso per tutto il ‘700 in america. Eccovela.