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LUCI ED OMBRE DELLA NUOVA NORMATIVA PENALE
CONTRO IL MALTRATTAMENTO DI ANIMALI
di Vincenzo Musacchio
Le nuove disposizioni concernenti il divieto di
maltrattamenti agli animali nonché di impiego degli
stessi in combattimenti clandestini o competizioni non
autorizzate riportate in legge 20 luglio 2004, n. 189
(G.U. n. 178 del 31 luglio 2004) sono ora entrate in
vigore. Si tratta di un provvedimento atteso da qualche
tempo. Molte sono le associazioni che hanno contribuito alla realizzazione della nuova legge con la presentazione di diverse proposte e l’accompagnamento
dell’iter legislativo presso la Commissione Giustizia
(1). Il movimento animalista nel suo complesso si è
espresso con favore sulla nuova normativa ritenendo
di individuarvi il rimedio alle inadeguatezze del precedente art. 727 del codice penale (2).
La nuova legislazione ha, senza dubbio, alcuni
aspetti positivi. Si affronta finalmente la spinosa questione dei combattimenti tra cani, ricorrendo ad una
serie di sanzioni penali (pecuniarie e detentive) che
possono costituire un efficace deterrente. Le pene detentive, addirittura, compaiono in tutte le nuove fattispecie di reato. Questa è sicuramente una novità che
mette l’Italia al passo con altre legislazioni europee
(3). Un altro aspetto corretto è la sistemazione della
normativa dopo il Titolo IX del Libro II del codice penale. Al contrario, la legislazione precedente (modifica del vecchio 727 c.p.), aveva lasciato la norma
nella parte del codice riguardante i reati contravvenzionali. Il mantenimento della stessa all’interno di un
ambito attinente comportamenti umani contravvenzionali, contrastava con l’intento del legislatore di salvaguardare specificamente la soggettività animale.
Questo era stato un punto molto criticato al quale,
oggi, la nuova legge pone rimedio. Ora, l’attacco alla
vita e all’incolumità degli animali configura un «delitto» e non più una «contravvenzione» (4).
Queste osservazioni preliminari non possono tuttavia nascondere un giudizio critico su alcune discrasie che indeboliscono la ratio della legge.
La prima osservazione riguarda l’art. 544 quater.
Si ricorderà come la precedente modifica dell’art. 727
avesse evidenziato la protezione dal «sentimento di ripugnanza» che poteva invadere uno spettatore a seguito di casi di maltrattamento, alla vera e propria soggettività animale che tale maltrattamento subiva. Ora,
nel nuovo testo di legge appare un nuovo articolo, il
544 quater, che tratta di spettacoli o manifestazioni
vietati e che stabilisce sanzioni più gravi. Si è preferito
introdurre un articolo nuovo, con conseguenze penali
più gravi del precedente, anziché aggiungere un
comma al 544 ter che avrebbe prefigurato un aggravamento della fattispecie di reato: ciò induce a ritenere
che la vecchia impostazione, che attribuiva più importanza alle ragioni d’aspetto sociale rispetto alla difesa
della soggettività animale, rientri dalla finestra dopo
essere uscita dalla porta. A ben vedere, in effetti, la
presenza dell’articolo de quo si giustifica poco ed è
possibile che possa non garantire una maggiore coper-
tura degli interessi degli animali impiegati in spettacoli, manifestazioni e/o feste (5).
Alcune osservazioni possono essere mosse anche
all’art. 727 che il legislatore ha scelto di mantenere.
Francamente, non si comprende perché tale norma
debba avere ancora diritto d’esistenza riducendosi ad
un’enclave depotenziata. Le fattispecie incluse
nell’art. 727 potrebbero, in effetti, essere inserite nella
norma precedente. Non sembra proprio di ravvisare
motivi per i quali questa scelta non è stata fatta. Ma,
a prescindere da questa considerazione, c’è un altro
aspetto che non convince. Esso attiene alla parziale
mancanza di corrispondenza tra il titolo del 727 e il
successivo dettato normativo.
Questi sono alcuni elementi che meritavano di essere evidenziati. Ma, come osservato, non sono aspetti
fondamentali: occorre dirigere altrove l’attenzione.
Ad un più attento esame del testo legislativo si nota
un difetto dell’impianto costruttivo che rende la medesima legge regressiva rispetto alla norma precedente e apre alcuni interrogativi sull’entusiasmo iniziale per essa (6).
L’art. 544 ter è quello su cui deve concentrarsi la
nostra attenzione. Ma prima di affrontare il problema
occorre fare un passo indietro e ritornare al vecchio
dettato (art. 727 c.p.) che recitava così: «Chiunque incrudelisce verso animali senza necessità o li sottopone
a strazio o sevizie o a comportamenti e fatiche insopportabili per le loro caratteristiche, ovvero li adopera
in giochi, spettacoli o lavori insostenibili per la loro
natura, valutata secondo le loro caratteristiche anche
etologiche, o li detiene in condizioni incompatibili con
la loro natura o abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con
l’ammenda da lire due milioni a lire dieci milioni. La
pena è aumentata se il fatto è commesso con mezzi
particolarmente dolorosi, quale modalità del traffico,
del commercio, del trasporto, dell’allevamento, della
mattazione o di uno spettacolo d’animali, o se causa la
morte dell’animale: in questi casi la condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca degli animali oggetto del maltrattamento, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Nel caso di
recidiva la condanna comporta l’interdizione
dall’esercizio dell’attività di commercio, di trasporto,
di allevamento, di mattazione o di spettacolo. Chiunque organizza o partecipa a spettacoli o manifestazioni
che comportino strazio o sevizie per gli animali è punito con l’ammenda da lire due milioni a lire dieci milioni. La condanna comporta la sospensione per almeno tre mesi della licenza inerente l’attività
commerciale o di servizio e, in caso di morte degli animali o di recidiva, l’interdizione dall’esercizio dell’attività svolta. Qualora i fatti di cui ai commi precedenti
siano commessi in relazione all’esercizio di scommesse clandestine la pena è aumentata della metà e la
condanna comporta la sospensione della licenza di atRIVISTA PENALE 01/2005
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tività commerciale, di trasporto o di allevamento per
almeno dodici mesi (7)».
Si tratta, dunque, di sei fattispecie di reato che tentano di coprire, con una certa elasticità, le attività d’aggressione alla soggettività animale. Sicuramente la
prima fattispecie, assai generica, potrebbe comprendere tutte le altre, le quali si caratterizzano per una
maggiore determinatezza del contenuto normativo. Si
può addirittura pensare che quell’espressione centrale,
«senza necessità», prolunghi la sua ombra anche nei
punti successivi.
Sul termine «necessità» si è scritto molto. Spesso si
stenta ad andare in profondità, ma si presume che la
necessità sia socialmente determinata, in altre parole
sia costruita, prima ancora che sul piano giuridico, intorno ad una serie d’atti sociali che si traducono in
leggi soltanto in ultima istanza. Il concetto di necessità, dunque, è un concetto ampio. Ma proprio perché
tale, diventa un campo di tensione in cui i difensori degli animali e i sostenitori della società specista possono
combattersi nel tentativo, degli uni, di affermare diritti
ancora inespressi; degli altri, di mantenere i vantaggi
che la società specista comporta.
Secondo parte della dottrina, la nozione di necessità
deve intendersi come una situazione di cogenza verificata non in conformità ad usi o pratiche generalmente
accettate, ma in base alla valutazione comparativa degli interessi umani e animali coinvolti, e alla constatazione che: a) i primi, riguardano beni vitali o in ogni
caso d’estrema importanza per l’uomo; b) non vi sia altro modo per soddisfarli; c) vi siano fondate ragioni per
ritenere che il sacrificio degli interessi animali coinvolti sia idoneo a consentire il soddisfacimento degli
interessi umani in questione (8).
Purtroppo, l’introduzione del concetto di necessità
diventa un’arma a doppio taglio. È vero, com’è stato
rilevato, che la nozione di necessità rischia di mantenere in vita quella sorta di passpartout che ha finito per
legittimare vari tipi di comportamenti, qualora vantassero la benché minima, anche solo apparente, ragionevolezza. Ma è anche stato rilevato che questa fattispecie può svolgere una funzione senz’altro più rilevante
se riletta e corretta alla luce dei principi in precedenza
rilevati (bilanciamento degli interessi tra animali).
Così inteso, il divieto di incrudelire verso animali
senza necessità, altro non è che l’espressione di quel
fondamentale dovere generale, etico prima che giuridico, di non causare sofferenze e morte inutilmente ad
esseri sensibili (9).
Ora, forse si riesce a vedere meglio il concetto di
necessità come campo di valori compresenti nella società, ma non componibili, perché ontologicamente diversi. Un luogo di tensione dove si combatte un conflitto tra le interpretazioni di certe pratiche dolorose.
Un conflitto d’interessi tra umani che pensano di poter
infliggere impunemente sofferenze ad animali, e uomini che sostengono l’inutilità e la non necessità di
certe azioni.
Questo era il vecchio reato di maltrattamento d’animali, non si sa quanto frutto del caso e delle cattive trascrizioni dei pensieri. Comunque, esiteva, in ambito
giuridico, una terra di nessuno sulla quale gli animalisti potevano tentare di estendere l’influenza civile e
culturale di cui, almeno nelle intenzioni, sono portatori. Si consideri, inoltre, un aspetto assai importante,
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che insieme al precedente ci si permetterà di dare un
giudizio chiaro sull’evoluzione della legislazione sui
maltrattamenti agli animali. L’art. 727 c.p. è stato visto
anche come strumento di raccordo con la più ampia legislazione speciale inerente agli animali. È stato rilevato che la legislazione speciale è composta di solito
di provvedimenti di carattere concreto e analitico; in
altre parole di provvedimenti dotati di una certa articolazione nell’individuazione delle modalità di trattamento degli animali, emanati per lo più in attuazione
di Convenzioni e Direttive europee. Ma spesso si tratta
di provvedimenti privi di sanzioni. Così, pare che l’art.
727 c.p. assuma una funzione di prescrizione generale
riuscendo a risolvere le incertezze che la legislazione
speciale non riesce, o non può, sciogliere in materia di
maltrattamento (10).
Siamo ora in grado di entrare ancor più nel merito
della nostra analisi: possiamo leggere e interpretare
l’impianto della nuova normativa. Analizziamo l’esordio (art. 544 ter c.p.): «Chiunque, per crudeltà o senza
necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo
sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a
lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno
e con la multa da 3.000 euro a 15.000 euro. La stessa
pena si applica a chiunque somministra agli animali
sostanze stupefacenti ovvero li sottopone a trattamenti
che procurano un danno alla salute degli stessi. La
pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al
comma 1 deriva la morte dell’animale».
Non può sfuggire come la «non necessità» che,
adesso, può persino essere interpretata come semplice
sinonimo d’esternalità rispetto ai casi previsti dalle
leggi speciali, non definisce una fattispecie, ma rappresenti una precisazione che esclude un enorme ambito dalla pertinenza della norma. Senza «necessità»
perde l’indistinzione e non rimanda più a riflessioni
etiche prima che giuridiche sulla base delle quali è possibile confliggere per far passare la propria visione
delle cose. Ora, non è più possibile interpretare in
modo evolutivo la norma. Se prima si poteva sostenere
che l’art. 727 c.p. rivestiva la funzione di una norma
generale che, posta a chiusura delle varie discipline di
settore, poteva realizzare l’esigenza di tutela ampia e
penetrante, adesso questo non è più immaginabile (11).
Con la nuova legge, non si potrà più esibire questo
ragionamento, giacché essa ingabbia la casistica in una
specie di «vicolo cieco» per coprire situazioni certamente residuali. Non a caso essa sembra costruita con
un’attenzione particolare per la problematica dei combattimenti clandestini. In definitiva, probabilmente domani non si potrà più, con la stessa facilità d’oggi, reclamare che i visoni abbiano uno spazio maggiore
nella loro gabbia della morte, perché il nuovo articolo
544 ter sarà interpretato sulla base del suo esiguo contenuto. Analogamente, non si potrà pretendere che gli
animali esotici non siano venduti nei negozi per la
stessa ragione. L’art. 727 c.p., con il notevole potenziale della prima fattispecie (incrudelimento su animali senza necessità), ha offerto delle possibilità notevoli al movimento animalista, che avrebbe potuto
impegnarsi in battaglie durissime, ma ricche d’evoluzione. Basti pensare come non ci sia alcuna necessità
nell’allevare fagiani da prendere a fucilate per puro divertimento. Come non ci sia alcuna necessità di ali-
mentare gli zoo con nuovi arrivi, nel detenere animali
dentro teche di cristallo in barba alle loro caratteristiche etologiche e alla loro tanto conclamata «natura».
Persino la caccia poteva essere messa in discussione.
Ma queste battaglie, domani saranno rese più difficili,
se non impossibili, dalla riscrittura del nuovo articolo
del codice penale (12).
È ora possibile fare un passo indietro e prendere in
esame lo scarno articolo con il quale la legge prende
l’avvio: articolo «544 bis. (Uccisione di animali).
Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la
morte di un animale è punito con la reclusione da tre
mesi a diciotto mesi» (13).
L’articolo non era previsto nel testo originario licenziato dalla Commissione Giustizia della Camera e
si presume che sia stato introdotto in seguito ad osservazioni che hanno accompagnato l’iter del disegno di
legge. Una delle critiche più pesanti che la legge n.
473/93 aveva dovuto sopportare, infatti, era stata
l’esclusione di una fattispecie fondamentale nella
nuova ottica di protezione: l’uccisione gratuita. L’uccisione degli animali era considerata reato se sopraggiungeva a seguito del maltrattamento ed era trattata
come aggravante del maltrattamento stesso, ma in sè
non era considerato reato.
L’orientamento del legislatore diventa abbastanza
chiaro alla luce di quanto è stato in precedenza detto.
I seicentocinquanta milioni d’animali che sono mandati a morte ogni anno in Italia, si presume non subiscano la loro sorte per motivi di crudeltà, bensì per
supportare l’esigenza umana di sopravvivenza. Magari, si riconoscerà che sparare chiodi in testa a bovini,
suini, capre, o sgozzare polli, non è un’azione proprio
graziosa, ma s’insisterà nel sostenere che il «fine» non
è la crudeltà in se stessa, ma quello di soddisfare una
legittima esigenza umana (14).
Sappiamo che ogni anno molti animali d’affezione
vengono sottoposti ad eutanasia, da veterinari compiacenti, senza alcuna necessità che non sia quella di liberarsi di un animale venuto a noia, o troppo vecchio,
o inefficiente secondo logiche aberranti. Questa pratica è seguita da molti e rappresenta un’alternativa
all’abbandono: forse meno crudele dell’abbandono
stesso, ma altrettanto odiosa. Tale pratica, inoltre,
serve a molti allevatori per regolare l’incrocio della
domanda del mercato con l’offerta. Possiamo pensare
che tali atti rientrino nella fattispecie di reato? La scrittura della norma sollecita immagini cruente d’aggressioni al corpo animale come lapidazioni o squartamenti ben lontane da quelle asettiche e silenziose che
si materializzano dentro un ambulatorio veterinario.
Riteniamo, quindi, che nessun giudice sarà disposto a
condannare il soggetto responsabile di tali atti.
In conclusione, ad undici anni da quella modifica,
è proposta una riscrittura della norma e nuovamente,
grazie anche alle dimenticanze di coloro che hanno
presentato varie proposte di legge, l’uccisione gratuita
dell’animale non è prevista come ipotesi di reato. Insomma, se la Commissione Giustizia ha licenziato un
testo privo di quest’importante copertura, la responsabilità ricade anche su chi non ha saputo ricordarle
un’ipotesi che avrebbe dovuto essere assolutamente
presente nella legge (15).
Quasi per un’invisibile forza gravitazionale, l’attenzione, quando si parla di maltrattamento, si rivolge
inevitabilmente al destino dei cani e dei gatti e, eventualmente, di quelli che stanno sciaguratamente sostituendoli nelle case degli italiani grazie anche all’inesistente opera di contrasto.
Ora, pur non recedendo di una virgola rispetto a
quanto sostenuto in precedenza, riconosciamo che se,
almeno su questo piano, si riesce ad ottenere dei risultati, si potrebbe scontare un primo significativo
successo. Ma questa norma ha qualche possibilità di
mostrarsi veramente efficace? Da sola, sicuramente
no! Non sono nostri i dati che dichiarano la dispersione sul territorio di centinaia di migliaia d’animali
d’affezione. Si tratta di un fenomeno strutturale che
dipende da una sciagurata legislazione speciale che
potra il nome «legge n. 281/91». Una legge che, oltre
a permettere l’ingresso di privati nel business dei canili, oltre a dimenticarsi completamente d’animali che
le nuove mode permettono di portare nelle case, lascia
perfetta libertà agli umani di intraprendere con leggerezza azioni che si traducono inevitabilmente in successivi maltrattamenti e abbandoni. Anche per quanto
riguarda questa partita, dunque, l’entusiasmo per le
modifiche del codice penale è certamente insufficiente. A meno che non ci si accontenti di punizioni
esemplari, ma del tutto episodiche, perché non è certo
possibile sanzionare centinaia di migliaia di persone.
Allora, confidiamo nell’assunzione di una semplice considerazione: si realizzi collettivamente un testo unico sugli animali d’affezione, costruito sul confronto e sulla riflessione anziché sull’isolamento e
sulla fretta e, se si riuscirà a convincere il Parlamento
a legiferare nel senso voluto, anche la nuova normativa sui maltrattamenti potrà generare benefici effetti
sia pure in un ambito ristrettissimo (16). Se una
«nuova legge 281» riuscirà a fare incontrare una produzione limitata con un consumo responsabile, la marginalità dei casi di maltrattamento potrà effettivamente essere gestita con una strumentazione leggera
quale la normativa del codice penale. Solo allora la
legge sui maltrattamenti (almeno pe quanto riguarda
un ambito assai ristretto) potrà introdurre un primo
successo e dirsi effettivamente operativa. Altrimenti,
costituirà soltanto il consueto gioco di specchi attraverso il quale una società cerca di mostrarsi migliore
di quanto effettivamente non sia.
Metta la testa a modo di struzzo chi nel mondo ambientalista ed animalista sta gridando vittoria. Cani e
gatti, nella nuova formulazione della legge, mantengono apparentemente una tutela, ma in realtà l’aver
aggiunto furbascamente una postilla, quella di sanzionare chi detiene gli animali in condizioni incompatibili con la loro natura solo se «provochino gravi sofferenze», renderà la violazione sostanzialmente
inapplicabile e assolutamente discrezionale. Peggio
andrà agli animali oggetto di caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione
scientifica (vivisezione), attività circense, giardini zoologici, esclusi esplicitamente dall’applicazione (17).
È questa una logica che differenzia i diritti secondo la
specie e la razza. Si crea, si accetta o si sostiene che
una parte minoritaria della comunità, per motivi puramente ludico-ricreativi quali la caccia, possa straziare un uccello da richiamo. Certo, nel periodo fascista la caccia era considerata attività prioritaria perché
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preparava l’uomo ad uccidere in guerra. Oggi è ancora
così?
(1) Protezione degli animali, maltrattamenti e sevizie: assegnato alla 2a (Giustizia) in sede deliberante in data 28 aprile 2004. Assegnazione annunciata nella seduta n. 593 del 28
aprile 2004. Pareri della 1a (Affari Costituzionali); 5a (Bilancio); 7a (Istruzione pubblica, beni culturali); 9a (Agricoltura
e produzione agro-alimentare); 10a (Industria, commercio,
turismo); 12a (Igiene e sanità); 13a (Territorio, ambiente, beni
ambientali); 14a (Politiche dell’Unione europea); Commissione parlamentare per le questioni regionali (www.parlamento.it).
(2) Si rinvia per un’ampia e specifica panoramica a vari
siti: www.ambienteweb.org; www.animali.com; www.infolav.org; www.notiziarioanimalista.it; www.lexambiente.com.
(3) Si rinvia a QUAGLIUOLO, Nuove forme di criminalità
ambientale: il racket degli animali ed i combattimenti tra cani, in http:/www.diritto.it/osser_scienze_criminali/dottrina/
quagliulo.html. Si veda anche VOLPE, Bracconaggio e traffico illegale di fauna selvatica, aspetti diversi di una medesima realtà: la «zoomafia», in Diritto e giurisprudenza agraria 2000, fasc. 12, pp. 733-737, pt. 1 in cui si evidenzia tra
i nuovi business della criminalità organizzata è da registrare
quello legato allo sfruttamento degli animali, che si sostanzia
nel combattimento tra cani, corse clandestine di cavalli e in
particolar modo nel bracconaggio e nel traffico di fauna selvatica. Questa attività criminosa viene definita con l’espressione di «zoomafia». L’autrice esamina questa tematica trattando i seguenti punti: fonti normative; profili del
bracconaggio e del traffico illegale di fauna selvatica; prospettive e conclusioni.
(4) In tal senso ci eravamo espressi già ben undici anni fa:
MUSACCHIO, Nuove norme contro il maltrattamento di animali, in Riv. pen. 1994, fasc. 3, pp. 253-255 in cui si analizzano le innovazioni introdotte dalla legge 22 novembre 1993,
n. 473, lo scopo della norma e qualificazione dei nuovi elementi ed il problema della vivisezione.
(5) In tal senso interessante è lo scritto di SANCHINIBAVAZZANO, Utilizzo di animali come premio per vincite ai
giochi al luna park (nota a Tar Torino, sez. I, 17 marzo 2003,
n. 959), in Il Foro toscano 2003, fasc. 3, pt. 6, p. 398. Con
la sentenza in commento, il Tar ha ritenuto legittima la norma
del Regolamento comunale che vieta l’utilizzo di animali
come premio per le vincite ai giochi, in quanto detta norma
non è in contrasto con le finalità perseguite dalla legge 281/
1999 e dalla legge regionale TO n. 43/1995, rispondendo il
divieto in questione all’esigenza di prevenire l’abbandono di
animali acquistati non in base ad una scelta consapevole e
meditata, ma per effetto di una vincita occasionale. Gli AA.
richiamano la vicenda processuale, mostrando di non condividere la soluzione accolta dal Tar, che non considera la relazione sinallagmatica dell’equazione denaro per giocare/
premio per la vincita. Ciò che deve essere considerato è, infatti, secondo gli autori la natura contrattuale e quindi consensuale del rapporto che si instaura tra il giostraio e il giocatore acquirente del biglietto, il quale ha la consapevolezza
che, acquistando il biglietto e giocando, nel caso in cui la sua
abilità gli permetta di raggiungere lo scopo del gioco, acquisirà la vincita.
(6) In questo senso anche MAURIZIO ROZZA - Responsabile delle politiche ambientali dei Verdi del Friuli-Venezia
Giulia, in http://www.animalsemergency.com/comstampa.htm.
(7) Per una panoramica acuta della vecchia normativa si
rinvia a PADOVANI, Commento alla legge 22 novembre 1993,
n. 473 - Nuove norme contro il maltrattamento degli animali,
in La legislazione penale 1994, fasc. 4, pp. 603-609, pt. 2;
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POSTIGLIONE, La tutela dell’animale nell’ordinamento penale italiano, in Diritto e giurisprudenza agraria 1996, fasc.
2, pp. 84-90, pt. 1.
(8) Vedi MAZZA, L’incrudelimento verso animali senza
giustificato motivo (nota a Cass. pen., sez. III, 29 luglio 1999,
n. 9668), in Diritto e giurisprudenza agraria 2001, fasc. 4, pt.
2, p. 270. Approfondita la tematica relativa alla condotta di
incrudelimento verso gli animali, punita dall’art. 727 c.p.,
l’autrice argomenta la correttezza della prima delle sentenze
in rassegna, ove si sostiene che la crudeltà è sempre caratterizzata dall’assenza di un motivo adeguato e costituisce
espressione di particolare compiacimento o di insensibilità
da parte dell’agente. Non può, infatti, revocarsi in dubbio, afferma l’autrice, che costituisce un gesto di incrudelimento un
violento calcio sferrato ad un cane che, sbalzato da terra, rotolava sul terreno, potendosi conseguire nel caso di specie
l’allontanamento dell’animale con mezzi non violenti, ma altrettanto persuasivi. Suscita, invece, perplessità, l’altra pronuncia in rassegna dove, pur facendosi riferimento espresso
alla condotta di incrudelimento come ipotesi esclusivamente
dolosa, si sostiene poi che l’art. 727 c.p. comprende anche
comportamenti i quali possono essere tenuti a titolo di colpa,
come la detenzione di un animale in condizioni insopportabili. Nella fattispecie si è addebitato al padrone di un cane di
avere lasciato quest’ultimo chiuso in una macchina per mera
negligenza, in condizioni, quindi, di non vivibilità, di talché
l’animale, per insufficienza respiratoria, veniva colpito da un
collasso cardiocircolatorio da cagionarne la morte. Più che di
incrudelimento si tratta di una condotta, che ha sottoposto il
cane a gravi sofferenze fisiche punite in modo autonomo e distinto dall’art. 727 c.p. le quali, pertanto, devono essere specificamente contestate all’imputato, per non incorrere nella
violazione del principio di correlazione fra addebito e decisione.
(9) Interessante il lavoro di DI PIETRO, Disparità di trattamento e principio di legalità in tema di maltrattamento di
animali (nota a Corte cost. 27 luglio 1995, n. 411), in Diritto
e giurisprudenza agraria 1996, fasc. 11, pp. 673-676, pt. 2.
La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 727 c.p., sollevata in riferimento
agli artt. 3 e 10 Cost., «nella parte in cui non prevede come
comportamento sanzionabile l’uccisione immotivata di animali propri realizzata al di fuori di comportamenti rilevanti
individuati nella stessa norma». L’autrice esamina l’art. 727
c.p. per quanto riguarda l’oggetto della tutela. Ritiene che sia
consentita una lettura opposta di tale articolo a quela operata
dal giudice a quo, in riferimento alla fattispecie dove il proprietario aveva provocato la morte del cane a bastonate. È
difficile, infatti, pensare che un tale comportamento non abbia provocato dolore e sofferenza all’animale. Sarebbe auspicabile, semmai, un trattamento sanzionatorio dell’uccisione del proprio animale, uniforme con quello previsto dall’art.
638 c.p. Si veda anche MARTIELLO, Maltrattamento di animali (nota a Cass. pen., sez. III, 20 dicembre 2002, n. 2110),
in Studium iuris 2003, fasc. 6. La sentenza annotata riguarda
la corretta interpretazione dell’art. 727, comma 1 c.p., nella
parte in cui richiede che l’incrudelimento verso l’animale sia
attuato «senza necessità». L’autore spiega che, secondo la
Corte di cassazione, il concetto di necessità qui è più ampio
di quello contemplato nell’art. 54 c.p., in quanto comprende
ogni altra situazione in cui l’incrudelimento non sia altrimenti evitabile per la tutela di valori giuridicamente significativi
e sia comunque strettamente contenuto entro i limiti imposti
dalla concreta situazione giustificatrice.
(10) Cfr. PEVERATI, Maltrattamento di animali (nota a
Cass. pen., sez. III, 16 marzo 1998, n. 406), in Studium iuris
1999, fasc. 3, pp. 330-331; l’autrice riporta la decisione della
Cassazione penale in cui la suddetta autorità si adopera
nell’interpretazione del contenuto dell’art. 727 c.p., disponendo che ai fini dell’integrazione del reato di cui all’articolo
in commento, è necessario l’accertamento di uno stato di sofferenza a carico degli animali, connesso a modalità di detenzione non consentite dalla legge, o, comunque, incompatibili con la natura dell’esemplare. Viene, dunque, escluso, in
forza di questa chiave di lettura della norma citata, che lo stato di cattività dell’animale, in sè considerato, integri gli
estremi del reato di cui all’art. 727.
(11) Cfr. MARTIELLO, Maltrattamenti di animali (nota a
Cass. pen., sez. III, 20 dicembre 2002, n. 2110), in Studium
iuris 2003, fasc. 6, e in tal direzione ROCCA, Che fine fanno
gli animali maltrattati? Finalmente una pronuncia di grande
civiltà (nota a ord. Trib. Terni 29 giugno 2002, n. 322), in Riv.
pen. 2002, fasc. 10, pp. 931-932). Secondo il Tribunale di
Terni un animale maltrattato non può essere restituito al soggetto imputato del maltrattamento anche se si tratta del padrone dell’animale medesimo, sia in corso di indagine che
nella fase di mora della definizione del giudizio che in caso
di patteggiamento, condanna o emissione di decreto penale
di condanna.
(12) Su questo aspetto illuminante è PALLADINO, Maltrattamenti di animali: verso nuovi spazi di intervento? (nota
a Trib. Saluzzo 26 novembre 1999), in Cass. pen. 2002, fasc.
2, pp. 790-793. La norma prevista dall’art. 727 c.p. è stato
oggetto di un’interessante interpretazione evolutiva, evidenzia l’autrice, cheè frutto della mutata sensibilità comune nei
confronti degli animali; così mentre in relazione alla precedente formulazione legislativa dell’art. 727 c.p. si è formato
un prevalente orientamento c.d. autopocentrico, attualmente
in ordine alla vigente disposizione è sempre più diffusa l’affermazione per cui l’oggetto giuridico va individuato anche
negli animali in quanto essere viventi, dotati di una propria
sensibilità. Per quello che attiene alle condotte incriminate
dal comma 1 dell’art. 727, rileva l’autrice, è discusso se esse
configurino distinti titoli di reato o modalità alternative di
esecuzione di un medesimo fatto, ma il dettato legislativo induce ad optare per questa seconda soluzione, per cui deve ritenersi che se l’agente pone in essere più comportamenti fra
quelli previsti dalla norma, commette più reati. La Cassazione, nella sentenza in esame, ha quindi, affermato che, se è necessario uccidere un animale, il mezzo da usare deve essere
scelto tra quelli più idonei ad evitare inutili patimenti e a non
ingenerare ripugnanza. Emerge, secondo l’autrice, la portata
innovativa della decisione che potrebbe avere, sul piano applicativo, effetti di significativo rilievo.
(13) GUIDORIZZI, Uccisione o danneggiamento di animali altrui (nota a Cass. pen., sez. II, 18 febbraio 1998, n.
1010), in Studium iuris 1999, fasc. 2, pp. 198-199. Nella sentenza annotata dall’autore, la Cassazione dispone circa il
concetto di necessità contenuto nell’art. 638, comma 1, c.p.
La Suprema Corte afferma che la «necessità» suddetta non
comprende soltanto lo stato di necessità in senso stretto previsto dall’art. 54 c.p., ma anche tutte le altre situazioni in cui
l’uccisione o il danneggiamento dell’animale sia l’effetto di
un’azione tesa ad evitare un pericolo imminente o un aggravamento del danno giuridicamente apprezzabile, ed in altro
modo inevitabile, sofferto dalla propria o altrui persona o
avente ad oggetto i beni.
(14) Cfr. DE PAOLIS-DUBOLINO, Novità giurisprudenziali (Rassegna di giurisprudenza), in Studium iuris 1999,
fasc. 9, pp. 1008-1023.
(15) Cfr. MAGLIA, Sull’uccisione gratuita di animali, in
Riv. pen. 1998, fasc. 4, pp. 325-326. Esaminati i vari tipi di
norme in materia di maltrattamenti di animali e, in particolare, quelle relative alla loro uccisione, l’autore rileva l’assenza di una norma specifica che riguardi l’uccisione immotivata, non crudele, di un animale. L’art. 727 c.p., infatti,
opera in caso di uccisione a seguito di maltrattamenti. È auspicabile un intervento legislativo che, partendo dal concetto
della tutela diretta dell’animale, colmi le gravi incongruenze
del nosro sistema giuridico per quanto concerne la protezione degli animali. Occorre altresì responsabilizzare i proprietari di animali perché siano rispettate le norme igieniche e di
sicurezza che il possesso di animali comporta, al fine di evitare fenomeni vergognosi e ingiustificabili di uccisione di ritorsione nei confronti di versi o presunti danni subiti da animali.
(16) In questo senso ci siamo già più volte espressi e per
tutti rinviamo al nostro scritto MUSACCHIO, Nuove norme
contro il maltrattamento di animali, op. cit., 255.
(17) Si veda STRIPPOLI, Circhi e animali: istruzioni per
l’uso, in Riv. giur. amb. 2002, fasc. 6, pp. 1011-1020.
RIVISTA PENALE 01/2005
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