UNA BAMBINA AD AUSCHWITZ

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UNA BAMBINA AD AUSCHWITZ
UNA BAMBINA AD AUSCHWITZ
Questa è la storia di Andra, di Tatiana, e del loro cuginetto Sergio.
Qui li vediamo insieme felici in una delle ultime foto, in una delle ultime estati quando Sergio, che
abitava a Napoli, andava a trovare la zia Mira e le cuginette a Fiume, la città dove abitavano.
Per maggior sicurezza , nei giorni di guerra nel 1943, la mamma di Sergio, Gisella, decise di andare
al nord e di raggiunger definitivamente la sorella Mira a Fiume, non sapendo che di lì a pochi mesi
Napoli sarebbe stata liberata e loro sarebbero stati al sicuro.
Invece a Fiume il 29 marzo del ‘44, di notte, nella casa di Andra arrivarono i nazisti e portarono via
tutti. Dopo una fermata intermedia presso la Risiera di San Sabba, il lager vicino a Trieste,
utilizzato dai nazisti per il transito di ebrei, giunsero ad Auschwitz il 4 aprile del ‘44.
Nonna Rosa, che era con loro, fu subito mandata nelle camere a gas; le mamme e i loro figli furono
mandati a Birkenau, un lager enorme a pochi chilometri da Auschwitz. Qui i bambini, a loro volta,
furono mandati nel Kinderblock, una baracca di legno solo per bambini.
Andra sottolinea il fatto, dicendo “Forse vi può meravigliare sapere che c’erano dei
bambini ad Auschwitz- Birkenau: tutti sanno che venivano immediatamente uccisi.
Ma non tutti…”. Il dottor Mengele, che studiava e faceva esperimenti genetici sui gemelli, scelse
Tatiana ed Andra scambiandole per gemelle. E Sergio? Come mai scelse anche Sergio? Si pensa
che il dottore fosse stato affascinato dai bei tratti mediterranei del bambino, dai suoi occhioni
scuri.” In tutto saremmo stati non più di una cinquantina.”
Andra ricorda come le due sorelline in quell’inferno divennero inseparabili “Dove c’era
Tatiana, c’ero io e viceversa: eravamo una cosa sola.
Una cosa mi fu ben chiara in quel posto: che “quella vita” era la vita che era stata
destinata a noi ebrei; era un campo solo di ebrei.
Da quel giorno non ebbi più un nome, ma ero solo un numero. Così quando nei primi
tempi la mamma riusciva a venirci a trovare, ci ripeteva il nostro nome, per non
farcelo dimenticare. Forse aveva capito che di lì a poco non avrebbe più potuto
venirci a trovare, per cui un giorno ci disse “Da domani non verrò più a trovarvi”.
Ricordo cumuli di cadaveri alti e “ordinati”: erano cumuli di gente magrissima e
bianchissima; ricordo che non mi facevano più effetto e di quell’indifferenza, che
avevo acquisito, ora me ne dispiaccio.
Non ricordo le estati, non ricordo l’erba perché non c’era; ricordo il freddo, una
distesa enorme di neve e ricordo che, quando pioveva, la terra diventava pesante e si
affondava con le scarpe. Avevo delle polacchine ai piedi troppo grandi per il mio
piede, senza calze, e per questo cercavo di rattrappire il piede per renderlo più
grosso. Non avevamo sciarpa, cappello o guanti eppure noi bambini giocavamo con
le palle di neve. Provate voi a fare due o tre palle senza guanti. Noi ne facevamo
molte: ricordo un ragazzo più grande di noi che le metteva tutte in fila e poi
cominciavano le battaglie… A volte mi chiedono se ho mai visto un atto di bontà: sì,
una volta, quando mia sorella ricevette una scatola di latta con dei biscotti, che
dividemmo sicuramente anche con Sergio.
Vedevamo costantemente il camino di Auschwitz, con le sue fiamme, il fumo e l’odore
di bruciato, giorno e notte. L’aria era una “eterna foschia”, in cui c’era la cenere,
che si depositava sul terreno.
Un giorno la donna a capo della baracca, che forse ci aveva preso in simpatia, disse
a me e a mia sorella: “ Vi raduneranno e vi chiederanno se volete raggiungere la
vostra mamma, ma voi dovete rifiutare. Non fate mai un passo avanti”. Avvisammo
sicuramente anche nostro cugino Sergio. Noi rimanemmo immobili, ma lui fece quel
maledetto passi avanti e lo portarono via insieme ad altri 19 bambini. Un medico
amico di Mengele aveva infatti richiesto 10 bambini e 10 bambine per fare degli
esperimenti sulla Tbc. Fecero quella domanda subdola, per non creare terrore, ma
sono sicura che se non avessero raggiunto il numero richiesto, avrebbero preso
comunque i bambini. Non so cosa ci abbia fermato, forse era molto che non
vedevamo la mamma e forse la pensavamo morta … Ricordo che, quando Sergio
lasciò Birkenau sull’unico treno che uscì dal lager con persone vive, lui era felice e
sorridente. Li spedirono ad Amburgo dove li usarono per fare esperimenti atroci,
come cavie e poi li uccisero in uno scantinato di una scuola.
Mia zia, la mamma di Sergio, anche dopo la liberazione ha sempre avuto la speranza
di rivederlo; diceva che un giorno Sergio sarebbe tornato e avrebbe bussato alla loro
porta. Ebbe un altro figlio, che ha fatto crescere in un ambiente difficile, ma sereno;
la speranza di Sergio non l’ha mai abbandonata.
Con la liberazione, dopo il 27 gennaio del ’45, ci portarono a Praga in un centro di
raccolta della Croce Rossa, dove restammo un anno e ci mandarono a fare la prima
elementare dalle suore. Erano suore severissime, che appena ti muovevi davano delle
bacchettate sulle dita. Io mi resi invisibile…”.
Nella primavera del 1946 i bambini della Croce rossa vennero radunati “Chi di voi è ebreo?”.
Questa volta le due sorelline alzarono la mano e vennero mandate a Lingfield nel sud
dell’Inghilterra in un centro di raccolta per orfani sopravvissuti ai campi. Fu come ritrovare una
famiglia, tutto avveniva sotto la supervisione di Anna Freud la figlia del padre della psicoanalisi.
“E’ stato il periodo più spensierato della nostra vita, lì ci hanno restituito
l’infanzia”.
Un giorno la direttrice si presentò a loro con una fotografia; era quella dei loro genitori nel giorno
del matrimonio: Andra e Tatiana li riconobbero. Fu un modo per accertarsi che i genitori che
facevano richiesta di queste due bambine fossero proprio quelli giusti. Il viaggio in treno per tornare
a casa terminò a Roma Tiburtina. Ad aspettarle c’era la mamma e una gran folla.
“Ricordo che eravamo tristi che il nostro accompagnatore se ne fosse andato e non
manifestammo alcuna gioia verso la mamma. Fu difficile tornare a vivere con lei, la
sentivamo come un’estranea e dopo la sua morte sapemmo che di questo aveva
sofferto tantissimo; ma non ce lo fece mai pesare. Solo il tempo sanò le ferite”.
Andra e Tatiana andarono a vivere con i ritrovati genitori a Triste, dove crebbero e trovarono
ciascuna la propria strada. Entrambe si sono sposate ed hanno avuto dei figli.
Andra, in particolare, a breve andrà a vivere negli Stati Uniti con una delle figlie, che si è sposata ed
ha avuto un figlio. Questo nipote è l’orgoglio di nonna Andra e lei lo chiama il suo “Obama”.
ANDRA e TATIANA