Value Partners - China investments in Italy
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Value Partners - China investments in Italy
i n t h e n e w s Ci sono 200 miliardi di palio. Ma occorrono più relazioni Un guru della consulenza strategica analizza i trend dei prossimi anni, che dovrebbero portare centinaia di miliardi di investimenti cinesi i Europa. Giorgio Rossi Cairo* MF, 11 giugno 2012 I cinesi stanno cambiando il modo d’investire all`estero. Per anni si sono concentrati su materie prime e fonti di energia, ora guardano con crescente interesse ai grandi brand e alla tecnologia. Guardano anche, con crescente attenzione, alla produzione fuori dai confini nazionali per ridurre i pesanti dazi doganali ed essere competitivi in Occidente. Nei prossimi cinque anni gli investimenti cinesi all’estero sfioreranno, se verranno confermati i trend, i mille miliardi di dollari. Value Partners stima che in Europa ne arriveranno circa 200 e l’Italia può intercettarne una parte importante. Per riuscirci dovremo però cambiare passo perché nel 2010 l’Italia è stata il fanalino di coda nella classifica dei Paesi che hanno attratto gli investimenti cinesi: 0,2 miliardi di dollari, contro circa 1,5 ciascuno di Germania, Svezia e Inghilterra. Cionondimeno, l’Italia può giocare questa partita se saprà sfruttare i suoi asset competitivi e affrontare i limiti. Ai cinesi l’Italia appare oggi una straordinaria galleria dei brand del lusso: abiti, gioielli, calzature, auto. E i cinesi amano il lusso: nel 2011 hanno acquistato beni di alta gamma per dieci miliardi di dollari, mentre i turisti in viaggio all’estero per il recente capodanno cinese ne hanno spesi più sette. Cifre che crescono senza sosta. Per sfruttare al meglio questa tendenza, per gli investitori cinesi una strada è certamente quella di entrare nel capitale delle imprese che hanno brand affermati. Per le nostre imprese, in sofferenza sui mercati domestici, sarebbe l’occasione per accedere a capitali freschi e affacciarsi su mercati con potenziali di crescita elevati. Non è casuale che le ultime due grandi operazioni finanziarie cinesi in Italia siano state l’acquisizione di Ferretti e de Tomaso e che il marchio Ferré sia stato a lungo nel mirino di NPV China. L’esempio di Ferretti è emblematico. Il compratore Shig Group è una conglomerata controllata dal Governo della provincia di Shandong, che ha già fatto acquisizioni in Francia nei motori marini. La sua strategia è servire un nuovo mercato ad alto potenziale che si sta sviluppando nelle province di Shanghai, Zhejiang, Guangdong, Shandong e Fujian, che insieme hanno una popolazione equivalente a quella dell’Europa, dove sono in costruzione grandi marine. Shig farà leva sulla fama del brand Ferretti, sulla qualità del design e su un know how indiscusso per conquistare subito quote di mercato significative. Per i cinesi l’Italia è inoltre un campione in settori ad altissima specializzazione, come la meccanica fine e la componentistica per auto. Per le imprese cinesi, che vogliono emanciparsi dalla dipendenza tecnologica, trovare un partner in questi comparti è fondamentale. Lo dimostra il viavai di delegazioni in visita alle imprese di componentistica: i cinesi sono a caccia di know how, in particolare per le produzioni ecocompatibili, dove l’Italia vanta eccellenze. Infine, le delocalizzazioni produttive. L’Italia, vista dalla Cina, è un candidato ideale: baricentrica nel Mediterraneo, porti, strutture logistiche avanzate. E 50 milioni di consumatori con un buon potere di acquisto. Sulla carta, insomma, ci sono tutte le premesse per far crescere gli investimenti, ma pochissimi cinesi conoscono la realtà delle medie imprese italiane e sanno come avvicinarle e investono più facilmente in Francia o in Germania, che hanno saputo costruire un sistema di relazioni più solido ed efficace. I cinesi, particolarmente attenti al rispetto delle gerarchie, hanno apprezzato la frequenza con la quale Angela Merkel ha visitato il loro Paese i n t h e n e w s promuovendo un canale di comunicazione privilegiato per le imprese tedesche. I governi italiani non sono stati così abili, ma con un po’ di volontà si può fare di più. E questo è il momento di farlo. Il rallentamento dell’economia potrebbe, infatti, aumentare la propensione degli investitori cinesi a muoversi verso altri mercati e un’attività sistematica di promozione è decisiva. La strategia del governo Monti di coinvolgere sempre più investitori cinesi nei progetti infrastrutturali è un’occasione importante per accelerare la conoscenza reciproca e posizionarci come partner affidabili. Un modo per far crescere il private equity cinese, ancora giovane e con poca esperienza dell’Italia e dell’Europa. Occorre, insomma, riuscire a cogliere le occasioni perdute in passato, per esempio quella della Great Wall Motor (fuoristrada e SUV): aveva inizialmente puntato sull’Italia per una sua base produttiva, attratta dalle dimensioni del mercato e dalla disponibilità immediata di competenze e professionalità, poi ha preferito la Bulgaria. Per i minori costi, certo, ma soprattutto per gli incentivi del governo e le semplificazioni burocratiche. Era il 2008 ma da allora gli strumenti di marketing del governo non sono granché migliorati, a giudicare dalle recenti rinunce a investire in Italia di colossi inglesi o svedesi. La nuova Ice, che assisterà sia gli imprenditori italiani all’estero, sia gli imprenditori esteri per investimenti in Italia, rappresenta un sostegno quanto mai importante e funzionale per una struttura produttiva fatta da eccellenze di medie e piccole dimensioni. Serve, infatti, una strategia di accreditamento del Paese che tenga insieme aspetti istituzionali e contenuti di business. Gli altri paesi europei lo fanno da anni. Il percorso che l’Italia sta compiendo per modernizzare la legislazione del lavoro, snellire l’apparato burocratico e semplificare il fisco è un’opportunità da comunicare subito e al meglio per superare i pregiudizi verso il sistema Italia e alimentare il potenziale flusso degli investimenti. A cominciare da quelli cinesi. *Managing director e fondatore di Value Partners, multinazionale della consulenza presente con 10 uffici in sette Paesi, tra cui anche la Cina, con le sedi di Pechino, Shanghai e Hong Kong, Giorgio Rossi Cairo è attivo da 30 anni nella consulenza al top management. Ha affiancato multinazionali e gruppi italiani contribuendo ai più importanti progetti di rilascio dell’industria e dei servizi e affrontando un ampio numero di tematiche nei settori dell’energia, elettronica, telecomunicazioni, alta tecnologia e media. Gran parte del suo lavoro professionale si concentra sui processi di ristrutturazione, incluse operazioni di M&A e post merger integration, e assistenza a imprenditori e top manager nel riorientare l’organizzazione verso la creazione di valore per gli azionisti.