I sospiri del mio cuore

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I sospiri del mio cuore
Federico Magi
I sospiri del mio cuore
18 luglio 2012
Alternando l’uscita in sala e l’ingresso sul mercato direttamente in dvd, prosegue negli ultimi mesi in
Italia il recupero delle opere dello Studio Ghibli che gli appassionati nostrani non avevano avuto
ancora la possibilità di vedere. Tra di esse, l’inverno appena trascorso ci ha portato in dote, grazie
alla sempre ottima Lucky Red, ma solo per l’home video, l’unico lungometraggio diretto dal
talentuoso e purtroppo prematuramente deceduto (nel 1998, a soli 47 anni) maestro dell’animazione
giapponese Yoshifumi Kondo, già character design e animatore di serie di successo e film, in cui
aveva collaborato con Hayao Miyazaki e Isao Takahata, come Conan il ragazzo del futuro,
Anna dai capelli rossi, Porco Rosso e Una tomba per le lucciole. Tratto dall’omonimo manga di
riferimento, I sospiri del mio cuore è arrivato in Italia oltre 15 anni dopo il grande successo ottenuto
in madrepatria, andando a colmare, pur con considerevole ritardo, un vuoto che gli appassionati di
genere, trattandosi di uno dei lungometraggi che hanno fatto la fortuna dello Studio Ghibli, avevano
quanto meno la curiosità di riempire. A dispetto del titolo da romanzo rosa e del taglio
dichiaratamente adolescenziale, la pellicola diretta da Kondo e sceneggiata con estrema sensibilità e
delicatezza da Miyazaki dimostra una volta di più come la magia e l’incanto, nelle opere dello Studio,
attingano sempre dai sentimenti più puri che nascono dall’esperienza comune – in questo caso:
l’innamoramento – ad ognuno di noi. Dunque i successivi passaggi dal fisico al metafisico, dal reale
al fiabesco, sono sempre un lampo, oppure proprio un sospiro, per restare al titolo, che ci trasporta
in men che non si dica in un universo in cui non solo è lecito, ma è sostanzialmente inevitabile
immergersi nella fabbrica di sogni che quell’ora e mezza o poco più di visione ci regala ogni volta.
Protagonista della storia è Shizuku, una ragazza di 14 anni in procinto di finire la scuola media e
appassionata di romanzi, tutta presa dallo studio ma proprio all’ingresso di quell’età in cui
l’innamoramento arriva in modo imprevisto e fulminante. Shizuku trascorre molto tempo in
biblioteca, sempre pronta ad immergersi ed immedesimarsi nelle storie che legge: leggendo senza
sosta, un volume dopo l’altro, scopre che c’è un ragazzo che prende in prestito i suoi stessi libri. La
curiosità di conoscere qualcuno con la medesima passione la porta inevitabilmente a favoleggiarci su
e un giorno, seguendo un gatto paffuto saltato sopra un vagone della metropolitana si ritrova
all’interno del negozio di un anziano antiquario che le mostra i suoi preziosi tesori. Tra di essi,
Shizuku rimane colpita dalla bambola di un uomo dal volto felino chiamato “Il Barone”. Il destino,
come logico, è in agguato, perché l’anziano antiquario non è altro che il nonno di Seiji, il ragazzo che
leggeva i suoi stessi libri. Tra i due adolescenti nasce un candido sentimento, ma Seiji, che vuol
lasciare gli studi per diventare liutaio, è in procinto di partire per Cremona, dove può apprendere
l’antica arte e misurare il suo reale talento. La lontananza di due mesi del ragazzo farà si che
Shizuku, fino ad allora confusa sui suoi reali obbiettivi nella vita, si lanci nell’impresa di scrivere il
suo primo romanzo, proprio in ossequio all’idea, infusale da Seiji, di sperimentare le proprie abilità,
di coltivare le proprie aspirazioni, di dare respiro ai propri sogni. Sfidando se stessa. Nell’attesa del
suo ritorno.
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Nonostante gli innumerevoli capolavori conosciuti e celebrati distribuiti dallo Studio Ghibli alle
nostre latitudini ci si sorprende ogni volta, e in positivo, nel constatare come il livello medio di questi
lungometraggi animati sia di una qualità complessiva da far invidia alle più grandi produzioni
occidentali di genere. Ciò che è dirimente, nella fattispecie, è proprio la scrittura. Eh sì, nonostante
salti immediatamente all’occhio la pregevolezza delle animazioni (è stato il primo film Ghibli a
sperimentare l’utilizzo del computer per la realizzazione di alcune sequenze), a parere di chi vi parla
il gap sta proprio nella sceneggiatura, qui non a caso firmata da un maestro come Miyazaki il quale
riesce a tenere in piedi una struttura lineare del racconto ricca di cliché di genere con improvvise
spruzzate di magia, misurando con un metro empatico spontaneo e naturale dialoghi e lunghezza
d’insieme, seguendo un’ ideale sentiero narrativo basato su un’armonica progressione dei tempi
emotivi. Non ci sono strappi né digressioni, se non un vago accenno alla storia di Baron e del nonno
di Seiji, ma diversi rimandi alle opere dello Studio, omaggi e auto citazioni (Porco Rosso, Il mio
vicino Totoro, La ricompensa del gatto) che amplificano le fascinose suggestioni della vicenda.
Ne I sospiri del mio cuore risulta centrale, come d’evidenza, l’amore adolescenziale, qui declinato in
forma tanto pura e casta da non precludere la possibile visione anche dei giovanissimi; ma è tutto il
contorno dei sottotemi proposti a render potente e immaginifica la pellicola, peraltro volutamente
scevra da ogni possibile sovrastruttura, proprio per favorire un’adesione diretta e immediata degli
stessi adolescenti. A guardar bene, però, l’accoppiata Kondo-Miyazaki partorisce un’opera che
strizza l’occhio a chi adolescente non lo è più, ricordandogli la magia e l’incanto di un tempo sospeso
tra il non so cosa sarò e il vorrei essere, laddove i sentimenti non conoscevano ostacoli e barriere,
dove tutto era bianco o nero ma soprattutto possibile e in continuo divenire. Kondo e Miyazaki lo
significano così bene tanto da andare a scalfire le incerte certezze dell’età adulta, fino a trovare
ideale consonanza con la celebre invocazione del Faust di Goethe: “Rendimi il tempo della mia
adolescenza, quando non ero ancora me stesso se non come attesa”. Ecco che I sospiri del mio cuore
si palesa, per gli spiriti ingrigiti dalle scorie del presente e per i nostalgici del tempo andato, come
una sorta di specchio in cui riflettere la propria immagine d’adulto trasfigurata dalle convenzioni
interiorizzate crescendo e dalle scelte più o meno corrette compiute lungo il tragitto. Per ritornare
con la memoria al tempo in cui vivere l’emozione dell’attesa era anche più importante che
consumare l’attimo. L’adolescenza diventa così un tempo dell’anima che sfugge alle regole della
naturale progressione lineare; un tempo in cui lo spazio improvvisamente si sovradimensiona nel
quale Miyazaki, con l’ausilio della toccante regia di Kondo, fa scivolare come consuetudine le
tematiche tanto care al suo cinema: l’armonia tra l’uomo e gli animali, l’elogio degli spiriti liberi (il
gatto Moon che vaga di casa in casa essendo un po’ di tutti e di nessuno ne è l’esempio più
lampante), il potere della creazione, la forza di volontà e il sacrificio per una causa giusta; il viaggio,
onirico o reale, interiore o esteriore che sia come ricerca di sé e scoperta del mondo (o sarebbe
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meglio dire: dei mondi) che sovente accostiamo senza mai realmente vedere.
Curiosità: Il tema musicale principale, reinterpretato nel film da Shizuku, è la famosa ballata di
John Denver Take Me Home, Country Roads, ricantata in giapponese con un testo che presenta
alcune differenze di significato. I sospiri del mio cuore è stato campione d’incassi, per l’home video,
in Giappone. Il film di Yoshifumi Kondo è stato inserito da Timeout London e Terry Gilliam al
21esimo posto della classifica dei migliori lungometraggi animati di sempre.
Federico Magi, luglio 2012.
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