scuola, più italiano e aritmetica
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scuola, più italiano e aritmetica
SCUOLA, PIÙ ITALIANO E ARITMETICA Il ministero vuole garantire una preparazione solida nelle materie fondamentali Alle elementari e medie si darà spazio alla grammatica e alle tabelline di Alessandra Migliozzi Il Messaggero, 17.8.2010 ROMA (17 agosto) - Per i programmi della scuola primaria e della secondaria di primo grado si prepara un ritorno al passato. Il ministero vuole «ripartire dalle basi», garantire agli studenti «una preparazione più solida nelle materie fondamentali, a partire da italiano e matematica». I risultati dei test Invalsi (l’Istituto nazionale di valutazione), del resto, parlano chiaro: analisi del testo, grammatica e geometria mettono in croce i ragazzini. La lacuna comincia a formarsi nelle prime classi e poi diventa una voragine alle superiori dove il bubbone esplode definitivamente: a quindici anni, come hanno più volte dimostrato le prove internazionali OcsePisa, i nostri ragazzi non sanno lavorare attorno ad un testo letterario. Dalla comprensione all’elaborazione per loro è tutto un calvario. Gravi anche le carenze scientifiche. All’università gli studenti arrivano che sanno a malapena scrivere bene in italiano o far di conto. E agli atenei da qualche anno tocca persino fare i corsi di recupero. A tutto questo «bisogna porre rimedio» è l’orientamento di Viale Trastevere. La prima mossa scatterà con la revisione dei programmi della scuola primaria e della secondaria di primo grado, il cosiddetto primo ciclo, prevista dalla riforma Gelmini. A settembre si riunirà la commissione di esperti che ha già stilato i programmi per i nuovi licei post-riforma. Ci sono dentro nomi altisonanti dell’università da Luca Serianni a Giorgio Israel, passando per Giorgio Bolondi. «L’orientamento - spiega Max Bruschi, che guiderà la commissione ed è consigliere del ministro Gelmini - è quello di ripartire dalle basi. Di dare ai docenti indicazioni molto più precise che in passato su quali sono gli obiettivi che dovranno raggiungere, su cosa gli studenti dovranno sapere obbligatoriamente alla fine del ciclo. Oggi - continua l’esperto - i test Invalsi ci dicono che un terzo degli alunni ha conoscenze di base insufficienti in matematica e italiano. Questo processo va invertito. Ora o mai più». Il bagaglio in mano ai tecnici è quello delle prove fatte dall’Istituto di valutazione, dunque, che stroncano la preparazione degli alunni e dimostrano che a mancare sono le competenze di base. «Con i nuovi programmi - anticipa Bruschi- vogliamo passare da una scuola dell’infarinatura a una scuola delle fondamenta». Come? Dando più spazio a italiano e matematica, tanto per cominciare. «La lettura e la scrittura dovranno tornare centrali - continua l’esperto del ministero -. Si dovrà tornare a saper far di conto e risolvere problemi senza l’uso della calcolatrice. Non diremo ai docenti come insegnare, non vogliamo mortificare in nessun modo la loro abilità didattica, ma cosa insegnare. Ci sarà un pacchetto di conoscenze in italiano e matematica che dovranno essere garantite a tutti». Oggi, invece, come dimostrano i test Invalsi, non è così: al Nord le competenze sono maggiori e più omogenee fra gli alunni, al Sud il divario è ampio nella preparazione anche da scuola a scuola. «Oggi si scrive e si legge troppo poco - aggiunge Bruschi - ci sarà in parte un ritorno al passato, se vogliamo chiamarlo così, ma bisogna uscire da un concetto di scuola che fa di tutto un po’, che è carica di suggestioni, ma non garantisce il minimo”. Tabelline mandate a memoria e conti fatti senza calcolatrice dovranno tornare ad essere un must. I nuovi programmi, la cui stesura comincerà in autunno, dovranno poi essere “chiari e leggibili non solo per i docenti, ma anche per i genitori che dovranno poter verificare ciò che le scuole fanno o non fanno. A volte si scambia l’autonomia per anarchia e questo va evitato”. Alla fine della primaria, ad esempio, “dovrà essere assicurata agli alunni la capacità di lavorare attorno ad un testo con competenza, dovranno saperlo interpretare, riassumere, saper trovare i sinonimi”. I nuovi programmi, secondo l’esperto, vedranno la luce entro primavera “speriamo di poterli avviare già con l’anno scolastico 2011/2012. Come abbiamo già fatto per i licei apriremo il dibattito anche con la comunità scolastica e ci confronteremo con i docenti”. Anche per la lingua inglese si prepara la svolta. “Tenendo conto delle carenze di organico bisognerà comunque garantirlo non solo sulla carta ma nella bocca degli alunni, espandendo modelli come quello di alcune scuole che usano le loro risorse aggiuntive per far fare conversazione ai ragazzini fin da piccoli”. E comunque non sarà dimenticata la tecnologia che più che essere una vera e propria materia dovrà essere strumento per innovare la didattica. Fino al 2007 si ricorreva ai presidi incaricati, professori prestati al ruolo di dirigenti. Poi questa figura è stata abolita (restano al loro posto solo gli incaricati già esistenti) e ora l’unica soluzione, quando le graduatorie si svuotano, è ricorrere ai “supplenti” anche per i presidi, che in gergo tecnico si chiamano reggenti. Quest’anno, calcola l’Anp, l’Associazione nazionale di categoria, saranno circa 1.500. Con inevitabili disagi: un solo preside dovrà coprire due istituti. Di solito l’amministrazione scolastica va a caccia del reggente nelle scuole vicino a quella con la poltrona vacante. Ma non sempre si trova il candidato. Così, a volte, il dirigente part-time deve affrontare un bel viaggetto per fare la spola fra una sede e l’altra. Il che comporta meno tempo a disposizione di prof, segretari, bidelli e genitori. In una scuola che gestisce situazioni sempre più complesse e in cui le risorse sono minime e vanno spese al meglio, avere un preside parttime non è il massimo. Eppure quest’anno il 15% degli istituti scolastici finirà in mano a un dirigente che ha già una sua sede e che dovrà dividersi fra più consigli di istituto, farsi in quattro per seguire il doppio o il triplo dei professori e ascoltare le ragioni di decine di genitori in più. Il record di queste situazioni si registrerà in Lombardia dove sono oltre 300 le reggenze che dovranno essere assegnate. L’Ufficio scolastico è già al lavoro. Nel Lazio saranno 110, in Veneto 90 così come in Piemonte, spiegano sempre all’Anp. A poco serviranno le 170 assunzioni già promesse dal ministero. Sono una «goccia nel mare», dicono dall’Associazione dei presidi che chiede «che si faccia subito il concorso per 2.800 posti annunciato per il prossimo autunno dal ministro Gelmini in un incontro con i sindacati». «Bisogna farlo subito - sottolinea Giorgio Rembado, a capo dell’Anp - perché per espletare questo tipo di procedure ci vogliono molti mesi. Se il concorso verrà bandito ad ottobre probabilmente avremo in ruolo i vincitori nel 2012 e i 2.800 nuovi posti saranno appena sufficienti, a quel punto, per coprire le nuove vacanze». Si calcola, infatti, che entro il 2012 i posti vuoti saranno oltre 3.000. A quel punto ci saranno ancora reggenze da assegnare e con i pensionamenti ulteriori si libereranno altri posti e il giro ricomincerà. «Per evitare che la situazione si ripeta con i numeri di quest’anno - prosegue Rembado è necessario che i concorsi vengano banditi con regolarità. In alcuni casi sono passati anche dodici anni prima di farne uno. L’ultimo concorso c’è stato sei anni fa. L’intervallo ideale dovrebbe essere di due anni». Qual è l’aspetto più preoccupante delle reggenze? «Il carico di lavoro eccessivo a cui viene sottoposto ciascun dirigente. Oggi le scuole, soprattutto in città, sono molto grandi e non sempre vicinissime tra loro». L’Anp aveva insistito per lasciare al loro posto, per un altro anno, i presidi attualmente in carica e in via di pensionamento, ma non c’è stato nulla da fare. A settembre, dunque, centinaia di genitori scopriranno di avere un dirigente part-time da condividere con le famiglie di un altro istituto. Chissà quante volte si sentiranno dire «ripassi domani, che oggi il preside non c’è». Anche perché l’ultima manovra economica vieta ai dipendenti pubblici di usare il mezzo proprio per gli spostamenti, ricordano dall’Anp. I presidi reggenti o pagheranno di tasca loro o dovranno contingentare al massimo le trasferte e gli spostamenti da una scuola all’altra per non rimetterci troppo.