L`OBSOLESCENZA PROGRAMMATA A cura di Laura ROSSI A.A.

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L`OBSOLESCENZA PROGRAMMATA A cura di Laura ROSSI A.A.
L’OBSOLESCENZA PROGRAMMATA
A cura di Laura ROSSI
A.A. 2015-2016
Il consumismo è un fenomeno economico-sociale tipico delle società
industrializzate che consiste nell'acquisto indiscriminato di beni di consumo
da parte della massa, suscitato ed esasperato dall'azione delle moderne
tecniche pubblicitarie, per lo più inclini a far apparire come reali bisogni
fittizi, al solo scopo di allargare continuamente la produzione [1].
La società del consumo è l'esito scontato di un mondo fondato su una tripla
assenza di limite:
 nella produzione e dunque nel prelievo delle risorse rinnovabili e non
rinnovabili,
 nella creazione di bisogni e dunque di prodotti superflui e rifiuti
 nell'emissione di scorie ed inquinamento (dell'aria, della terra e
dell'acqua) [2].
Il consumismo può però essere controllato attraverso moderne tecniche di
mercato, come ad esempio l'obsolescenza programmata.
L’obsolescenza programmata o pianificata (in inglese: planned o built-in
obsolescence) in economia industriale è una strategia volta a definire il ciclo
vitale (la durata) di un prodotto in modo da renderne la vita utile limitata a un
periodo prefissato [3].
Pochi conoscono la vera
storia
dell’obsolescenza
programmata e sanno che
la sua attuazione è da
quasi un secolo una
precisa strategia produttiva
che trova riscontro nel
meticoloso
lavoro
di
ingegneri e ricercatori, ma
anche
in
documenti,
verbali e relazioni di
cartelli
organizzati
appositamente
per
scandire i tempi di avvicendamento dei prodotti immessi sul mercato [4].
L’obsolescenza pianificata si può combattere; però per prima cosa è
necessario agire sul piano culturale: contrapporre al modello consumista una
nuova concezione, basata sulla sobrietà, sul recupero e sul riutilizzo dei beni.
Inoltre dobbiamo ricordarci che in natura non esistono scarti, ma solo risorse
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da rinnovare. Infine dobbiamo essere consapevoli di trovarci su un pianeta
finito che non può sostenere un sistema di sviluppo indefinito.
Cos’ è l’obsolescenza programmata?
La prima definizione che il vocabolario dà del termine 'obsolescenza' è
“svalutazione economica di un bene o di uno strumento di produzione
derivante dal progresso scientifico e tecnologico che ne fa immettere
continuamente sul mercato di nuovi e più sofisticati”.
Pensiamo un attimo a un oggetto, un cellulare, un paio di scarpe, una
padella che usiamo nella vita di tutti i giorni e verifichiamo se la spiegazione
del dizionario è corrispondente alla realtà.
Davvero lo sostituiamo solo quando viene superato da un modello
nuovo, con più funzioni, realizzato con materiali migliori, più avanzato?
Probabilmente no.
Quindi si avvicina di più al vero la seconda definizione che viene
fornita e che corrisponde: “alla perdita di competitività sul mercato da parte
di un prodotto”.
La domanda dunque sorge spontanea: cosa determinata la perdita di
competitività di un prodotto? Il superamento della sua tecnologia o del suo
design, l’avvento di nuove mode e nuove tendenze, il cambiamento delle
esigenze che esso deve soddisfare, la modifica di leggi e normative che ne
regolano l’uso?
Sono diversi i fattori che rendono obsoleto un bene e molti di essi
possono essere pilotati, cioè prestabiliti da qualcuno che ha interesse a
determinare con buona precisione la durata della vita di un bene. Eccoci così
giunti al concetto chiave, che può essere riassunto in due semplici parole:
obsolescenza programmata[5].
I metodi più conosciuti con cui viene attivato il processo di
obsolescenza programmata sono l'utilizzo di materiali di qualità inferiore o
componenti facilmente deteriorabili o talvolta l'utilizzo di sistemi elettronici
creati ad hoc. I prodotti si “guastano” una volta scaduto l'eventuale periodo di
garanzia e sono generalmente realizzati in modo che i costi di riparazione
risultino superiori a quelli di acquisto di un nuovo modello. Questi
accorgimenti progettuali e produttivi sono supportati anche da campagne
pubblicitarie volte a proporre e valorizzare nuovi modelli, non
necessariamente più sviluppati funzionalmente, ma con elaborate differenze
sul piano dell'apparenza, al fine d'invogliare il consumatore a sostituire il
prodotto vecchio con uno nuovo. Quindi possiamo dire che l'obsolescenza
programmata ha dei benefici esclusivamente per il produttore [2].
Un po’ di Storia
Secondo alcuni osservatori, già nel 1924 l’hobby dei principali
produttori occidentali di lampadine, portò una standardizzazione nella
produzione delle lampadine ad incandescenza in commercio, al fine di
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limitarne la vita a circa 1.000 ore di esercizio. Il termine "obsolescenza
pianificata" è comparso per la prima volta in letteratura nel 1932, anno in cui
il mediatore immobiliare Bernard London propose che fosse imposta alle
imprese per legge, così da poter risollevare i consumi negli Stati Uniti durante
la grande depressione.
Quando negli anni trenta i ricercatori dell'azienda chimica DuPont
riuscirono a creare il nylon, una nuova fibra sintetica molto resistente, questa
fu utilizzata per creare calze da donna che si smagliavano molto più
difficilmente di quelle esistenti. Poiché la durabilità delle calze era eccessiva e
dannosa per gli affari, la DuPont incaricò i propri tecnici di indebolire la fibra
stessa che avevano creato.
Più tardi il designer statunitense Brooks Stevens reinterpretò il concetto
di obsolescenza pianificata dandogli una nuova definizione: «l'instillare
nell'acquirente il desiderio di comprare qualcosa di un po' più nuovo, un po'
migliore e un po' prima di quanto non sia necessario».
Piuttosto che creare manufatti poveri che sarebbero stati sostituiti in
breve tempo, l'idea di Stevens era di progettare prodotti sempre nuovi che
utilizzassero le moderne tecnologie, e generassero nuovi gusti e necessità.
Stevens ha poi sempre dichiarato di non considerare l'obsolescenza
programmata come una sistematica produzione di rifiuti, supponendo invece
che i prodotti sarebbero finiti nel mercato di seconda mano, dove sarebbero
potuti essere acquistati da persone con un potere di acquisto inferiore.
Quali sono le critiche?
Com’è facilmente intuibile, un sistema di consumo con una velocità di
avvicendamento dei beni così elevata presenta due criticità fondamentali:
l’utilizzo di una quantità enorme di risorse energetiche, materiali ed
economiche e il bisogno di smaltire una altrettanto enorme quantità di rifiuti.
Un esempio eclatante di come i grandi imprenditori mettono in atto
l’obsolescenza programmata può essere osservato nella Apple, che a dispetto
dell’immagine eco-friendly che vuole dare di sé stessa, è finita sotto accusa
per aver immesso sul mercato milioni di iPod che nel giro di otto-dodici mesi
cominciavano ad accusare problemi alle batterie, che però non potevano
essere sostituite. L’unica soluzione? Cinquecento dollari e un nuovo iPod.
Dai documenti ottenuti nel corso del processo, è infatti emerso che essa
aveva realizzato appositamente le batterie al litio affinché terminassero il loro
ciclo in quel lasso di tempo, motivo per cui è stata condannata, oltre che a
risarcire gli acquirenti frodati, a estendere la garanzia a due anni.
Inoltre nell’America degli anni trenta, ci fu addirittura chi propose di
rendere obbligatoria l’obsolescenza pianificata: l’imprenditore Bernard
London pubblicò un saggio intitolato Uscire dalla depressione attraverso
l’obsolescenza pianificata, in cui sosteneva che l’unica via per rivitalizzare
l’economia piegata dal crollo del 1929 era incentivare i consumi. Quale modo
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migliore della sostituzione obbligata dei beni per raggiungere questo
obiettivo?
A ben vedere, oggi il funzionamento del mercato non differisce molto
da un ipotetico scenario regolato da una legge sull’obsolescenza. Lo
strumento culturale è certamente una delle armi più potenti di cui i profeti del
consumo sono in possesso per indurci all’acquisto frenetico e soprattutto
frequente di beni superflui. È però quasi scioccante esaminare le prove
oggettive che testimoniano in maniera incontestabile come le tecnologie e i
processi produttivi e i materiali in essi utilizzati siano scientificamente studiati
per conferire al prodotto finale una vita di durata prestabilita, in modo da
indurre l’utente, volente o nolente, a effettuare un nuovo acquisto.
Fortunatamente però in alcuni paesi tra cui la Francia, l’obsolescenza
programmata è un reato dal 22 luglio 2015. Programmare la “fine” degli
oggetti per alimentare il mercato è diventato quindi punibile con due anni di
prigione e 300.000 euro di multa e questo è un piccolo ma importante passo
per cercare di sconfiggere questo “fenomeno” e dovrebbe pertanto essere
messo in atto anche dagli altri paesi dell’Unione Europea.
Riflessioni e conclusioni
La prima cosa da fare per contrastare l’obsolescenza programmata è non dare
per scontato quello che ci viene detto: se il rivenditore di turno suggerisce di
cambiare la macchina piuttosto che sostituire il pezzo, informiamoci se per
caso esistono strade alternative, vediamo se qualcuno ha condiviso lo stesso
problema e magari ha una soluzione ad esso. Cerchiamo quindi di non buttare
quello che sembra superato e obsoleto, perché ci sarà sempre qualcuno a cui
potrà essere utile [6].
Quindi il nuovo motto dovrebbe essere: “Usa e ripara invece di usa e
getta”!Il Ghana è la nazione spazzatura del mondo ricco, che dice di mandare
ai suoi abitanti i loro computer e altri apparati dichiarati di "seconda mano",
quando invece in realtà sono solo pezzi vecchi e rotti che non si vogliono
smaltire sul proprio territorio. Pare che anche Apple, società che si dichiara
ecologista, spedisca i suoi scarti in Ghana. Questa strategia di “pulizia” del
proprio territorio attuata dai paesi ricchi a discapito di quelli meno abbienti
dovrebbe essere bloccata il prima possibile con qualunque mezzo, perché la
terra è una, va salvaguardata e le sue risorse non sono infinite.
Per contrastare l’obsolescenza programmata possiamo essere più cauti e
attenti negli acquisti e non lasciarci attrarre da ogni lancio di nuovi modelli. Si
potrebbe anche fare in modo che tutti i prodotti siano obbligatoriamente
sottoposti ad un ente di controllo, che ne verifichi la qualità in termini di
prestazioni e durata, oltre che di sicurezza, non omologando quelli non
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rispondenti alle caratteristiche prestabilite. Si potrebbe pretendere per legge
che su ogni prodotto fosse chiaramente indicata la "durata minima garantita".
Entro quella durata il prodotto guasto deve essere sostituito in garanzia. Le
durate minime devono essere stabilite da appositi organi di gestione e
controllo della produzione. Su ogni prodotto non rispondente alla durata
attesa si dovrebbe applicare un'IVA maggiorata, al fine di scoraggiarne la
produzione/ diffusione [8].
Infine, un’altra, e credo anche la più importante soluzione è l’attuazione
di un’economia circolare, che è dunque un sistema in cui tutte le attività, a
partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i
rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun’altro. Nell’economia lineare,
invece, terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto che diventa
rifiuto, costringendo la catena economica a riprendere continuamente lo stesso
schema: estrazione, produzione, consumo e smaltimento [8]. In altre parole
nei sistemi di economia circolare i prodotti mantengono il loro valore
aggiunto il più a lungo possibile e non ci sono rifiuti. Quando un prodotto
raggiunge la fine del ciclo di vita, le risorse restano all'interno del sistema
economico, in modo da poter essere riutilizzate più volte a fini produttivi e
creare così nuovo valore.
Per passare ad un'economia
più circolare però occorre
apportare
cambiamenti
nell'insieme delle catene di
valore, dalla progettazione dei
prodotti ai modelli di mercato e
di impresa, dai metodi di
trasformazione dei rifiuti in
risorse alle modalità di consumo:
ciò implica un vero e proprio
cambiamento sistemico e un forte
impulso innovativo, non solo sul piano della tecnologia, ma anche
dell'organizzazione, della società, dei metodi di finanziamento e delle
politiche.
Il settore industriale ha già però ravvisato le grandi opportunità legate
all'aumento della produttività delle risorse. Si stima che un uso più efficiente
delle risorse lungo l'intera catena di valore potrebbe ridurre il fabbisogno di
fattori produttivi (materiali) del 17%-24% entro il 2030, con risparmi per
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l'industria europea dell'ordine di 630 miliardi di euro l'anno. Inoltre secondo
studi commissionati da imprese e basati sulla modellizzazione a livello di
prodotti, adottando approcci fondati sull'economia circolare.
L'industria europea potrebbe realizzare
notevoli risparmi sul costo delle
materie e innalzare potenzialmente il
PIL dell'UE fino al 3,9%, attraverso la
creazione di nuovi mercati e nuovi
prodotti e grazie al relativo valore per
le aziende [7].
Quindi non ci resta che attuate al
meglio queste possibili soluzioni e il
più presto perché è di fondamentale
importanza salvaguardare la nostra
salute (quella delle generazioni future)
e quella della terra.
Infine
come
ci
insegna
l’economia circolare dobbiamo iniziare
a: fare di più con meno! E riflettere su
questa vignetta!
Bibliografia e sitografia
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Consumismo.
[2] http://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delleidee/edizione2012/2012/09/14/ news/latouche_facciamo
_economia_per_costruire_una_nuova_societ_dell_abbondanza-42525766/ .
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Obsolescenza_programmata.
[4] http://www.ilcambiamento.it/riuso_riciclo/difendersi_obsolescenza_programmata _consumismo.html.
[5] Serge Latouche (2013).Usa e getta; Bollati Boringhieri.
[6] http://www.ilcambiamento.it/riuso_riciclo/difendersi_obsolescenza_programmata _consumismo.html.
[7] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52014DC0398R%2801%29.
[8]http://risorsarifiuti.it/risorse/economia-circolare/.
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