leggi il pdf

Transcript

leggi il pdf
La Convenzione di Parigi sul
climatico: considerazioni a caldo.
cambiamento
di Stefano Nespor
Molto ci sara da scrivere e da riflettere nelle prossime settimane sull’Accordo
raggiunto a Parigi per contenere il cambiamento climatico. Ma, a caldo,
alcune considerazioni gia permettono di porre in evidenza l’importanza di
questo evento per il futuro; non solo per il futuro del clima, ma anche per il
futuro dell’ambiente mondiale.
1.
Dopo gli insuccessi accumulati dalle precedenti Conferenze in materia
di cambiamento climatico (dette COP, Conferences of Parties, dove le “Parti”
sono gli Stati che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione quadro sul
cambiamento climatico nel 1992 a Rio de Janeiro) si era diffusa la
convinzione che era finita l’epoca delle conferenze e delle convenzioni
internazionali globali che ha caratterizzato l’affermazione e lo sviluppo del
diritto dell’ambiente a partire dalla Conferenza di Stoccolma nel 1972.
Troppo diversificati gli interessi, troppo diverse le condizioni di partenza,
troppo aspre le contrapposizioni ideologiche.
Molti erano cosi persuasi che la strada da seguire sarebbe stata quella di
accordi e convenzioni tra paesi uniti da comuni interessi regionali o
economici. Si trattava evidentemente di una soluzione praticabile – e infatti,
ampiamente praticata negli anni passati – per molti problemi ambientali, che
in questo modo potevano essere affrontati (si pensi alla regolamentazione
della pesca o agli interventi per contenere la desertificazione), ma assai
difficile da utilizzare per affrontare emergenze ambientali globali, quale è,
appunto, il cambiamento climatico.
Ebbene, la conferenza di Parigi ha dimostrato l’erroneità di quella
convinzione e la possibilità di raggiungere accordi che coinvolgano la maggior
parte degli stati, nonostante le differenze economiche e sociali, allorché vi sia
una comune coscienza della necessità di un accordo. Da questo punto di vista,
Parigi segna una svolta di grande importanza e un successo di coloro che
hanno continuato a credere nella capacità della comunità internazionale di
reagire e affrontare i problemi ambientali globali.
2.
L’accordo di Parigi segna anche il definitivo superamento della tesi
sinora propugnata dai paesi c.d. non industrializzati (India, Cina, Brasile
innanzi tutti) secondo cui la responsabilità di contenere il cambiamento
1
1
climatico ricadeva esclusivamente sui paesi c.d. industrializzati, a cui doveva
attribuirsi la modificazione del clima per lo sviluppo industriale avviato negli
ultimi duecento anni. Questa estremistica interpretazione del principio del
diritto ambientale internazionale della responsabilità comune e differenziata
è stata la causa principale del blocco, durato oltre venti anni, di qualsiasi
iniziativa di contenimento del cambiamento del clima: da un lato infatti aveva
permesso a Cina e India di collocarsi tra i primi produttori mondiali di gas
serra senza alcun dovere di contenere le proprie emissioni; d’altro lato aveva
offerto agli Stati Uniti la giustificazione per il rifiuto di ratificare il Protocollo
di Kyoto e quindi vanificarne sostanzialmente l’impatto sul clima.
A Parigi, Cina e Brasile soprattutto (e piu riottosamente l’India) hanno
accettato una diversa interpretazione del principio della responsabilità
comune ma differenziata, che tiene conto della realtà e di quanto e successo in
questi decenni. Entrambi i paesi del resto avevano gia adottato programmi di
contenimento delle emissioni che preludevano a questo mutamento di rotta.
3.
L’accordo di Parigi segna anche per la prima volta un netto successo
della scienza sulla politica. Per la prima volta infatti le indicazioni del IPCC, e
quindi dell’insieme degli scienziati esperti in materia di clima riuniti
nell’organismo inquadrato nelle Nazioni Unite, sono state assunte non come
semplici previsioni di cui tenere conto, lasciando spazio a critiche, scetticismi
e comunque prive di effetti vincolanti sulle valutazioni dei governi. L’obiettivo
indicato dal IPCC secondo cui un aumento della temperatura di 2° centigradi
rispetto alla temperatura globale nell’epoca preindustriale è il limite
invalicabile da fissare, è stato considerato come un obiettivo da raggiungere e
quindi il punto di partenza di tutta la trattativa sviluppatasi durante la
Conferenza. Da questo punto di vista l’IPCC è quindi il vero trionfatore di
questo accordo.
4.
Un quarto aspetto da tenere in considerazione, sia per spiegare il fatto
che l’accordo sia stato raggiunto sia per nutrire fiducia nelle successive
applicazioni e attuazioni – non dimentichiamo che siamo in presenza di
impegni assunti dagli stati, ma in modo non vincolante e comunque a partire
dal 2020 – è la paura. Paura non solo di futuri disastri climatici se l’obiettivo
fissato da IPCC non fosse stato rispettato, ma di una crescente e sempre piu
minacciosa insoddisfazione dell’opinione pubblica di molti paesi se l’accordo
non fosse stato raggiunto e del divampare di un diffuso contenzioso climatico
su scala globale, assumendo che l’inattività dei gioverni costituisce una
violazione dei diritti umani dei cittadini e del loro diritto di vivere in un
2
2
ambiente sano.
Pochi mesi prima dell’avvio della conferenza vari segnali si sono infatti
susseguiti.
Il 24 giugno una Corte olandese, con una sentenza qualificata una pietra
miliare nella storia del diritto dell’ambiente, ha accolto un ricorso promosso
da una organizzazione ambientalista e un migliaio di cittadini, ordinando al
governo olandese di adottare politiche più rigorose in materia di
cambiamento climatico al fine di tutelare il diritto dei cittadini di vivere in un
ambiente non minacciato da alterazioni climatiche in un non lontano futuro.
Nello stesso mese di giugno la Corte federale dello stato di Washington
ha ordinato al Dipartimento di ecologia di riconsiderare la richiesta,
presentata nel 2014 da un gruppo di studenti e rigettata dal Dipartimento, di
adottare misure per ridurre le emissioni di gas serra all’interno dello Stato
sulla base dei dati scientifici più attendibili. La sentenza afferma che i giovani
ricorrenti hanno un diritto fondamentale di vivere in futuro in un ambiente
salubre e che il Dipartimento di Ecologia nel rigettare la richiesta non aveva
in alcun modo contestato i dati offerti dagli studenti, condivisi dalla comunità
scientifica internazionale, in merito ai danni che deriveranno dal
cambiamento climatico.
A queste due decisioni si è aggiunto l’annuncio dell’avvio di una
controversia che ha ulteriormente contribuito a porre in primo piano quella
che ormai viene definita la via giudiziaria al contenimento del cambiamento
climatico. I rappresentanti di sei paesi del Pacifico – Filippine, Figi, Vanuatu,
Kiribati Tuvalu e isole Solomone – hanno sottoscritto una Dichiarazione per
la Giustizia climatica (the People’s Declaration for Climate Justice)
annunciando la loro intenzione di proporre un’azione legale contro le
principali società petrolifere che contribuiscono al cambiamento climatico e
mettono in pericolo la stessa sopravvivenza dei sei stati: "Non lasceremo che i
grandi inquinatori del clima decidano del nostro destino e chiediamo che essi
e i loro governi rispondano per i danni che stanno arrecando” si afferma nella
dichiarazione.
L’accordo di Parigi può porre un freno all’avvio di una pluralità di
controversie e richieste ai giudici di intervenire per ottenere che gli Stati
rispettino i diritti dei loro cittadini a vivere in un ambiente che non sia
devastato dal cambiamento climatico.
13 dicembre, 2015
3
3