Leggi - La Città della Bellezza
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YOU - numero doppio - Anno IV – n° 3 . DONNE & CARRIERA the dress I love L’abito fa il successo? Lo abbiamo chiesto ad alcune donne manager e ai soliti “esperti” del settore. di Patrizia De Tomasi basta chiederle a cosa deve il suo successo e la neo diva Elizabeth Hurley, nuovo volto della Estèe Lauder Cosmetics, vi risponderà con sorprendente candore: “A un abito”. Lo ripete immancabilmente in ogni intervista, tra uno shooting per Vogue e una copertina per Elle. L’abito in questione è quello nero, debitamente scollato e “tagliuzzato” dallo stilista Gianni Versace, che Miss Hurley indossava alla prima londinese del film Quattro matrimoni e un funerale. Le foto che immortalarono la bella Liz, allora sconosciuta girl-friend del semisconosciuto Hugh Grant, con addosso “quel” vestito, fecero il giro del mondo. Procurandole il favoloso contratto pubblicitario con la Lauder e lanciandola definitivamente nell’empireo del cinema. Viva la giacca Ma se a Elizabeth Hurley è bastata una mise per diventare ricca e famosa, per le donne comuni, quelle che trascorrono gran parte del loro tempo chiuse in un ufficio o in giro per la città a rincorrere clienti, quanto conta avere il cosiddetto giusto look? L’abito che indossano come una seconda pelle , che amano per le forme e i colori, o che hanno scelto perché trendy, può influire negativamente sull’andamento della loro carriera? “Di sicuro un vestito non sopperisce alla mancanza di talento o di intelligenza”, risponde prontamente l’amministratore delegato della Collistar Daniela Sacerdote. Che però subito puntualizza: “Anche se è vero che aiuta molto. Soprattutto nel lavoro, nei contatti con clienti e buyer perché ti presenta, dice al tuo interlocutore se sei affidabile, se sei seria e competente. E’ lo specchio della tua professionalità” … Daniela Sacerdote, splendidi occhi color laguna in un volto dalla pelle olivastra, predilige i colori accesi. Quelli che non passano inosservati. La sua carnagione ambrata e i capelli neri li “reggono” perfettamente. “Arancio, fucsia, verde: li adoro”, spiega. “E rovo che mi donino”. Vestire colorato mi fa sentire bene, mi mette a mio agio. E se sto bene con me stessa, mi presento anche meglio ai clienti. Pongo solo attenzione a non esagerare con cocktail azzardati, associando tinte forti a forme che danno troppo nell’occhio”. A un capo però ola manager non rinuncia mai: la giacca. Anche frivola. “Anzi meglio se di forma o colore inconsueti. Perché non mi piace il look Armani. Ma la giacca in ufficio è di rigore. E’ come l’uniforme per un soldato. Non indossarla può dare l’impressione di disordine, di trascuratezza verso se stessi, e di conseguenza anche nei confronti degli interlocutori”. Segno di professionalità. Non si discosta molto da queste scelte Elizabeth Le Van Kim, pierre della Givenchy Beauté. Anche lei ama indossare capi dentro ai quali si sente a proprio agio. “L’abito è anche sinonomo di serietà, di professionalità”, annota. “Quindi deve essere rigoroso ma non troppo, classico ma con brio. E soprattutto di buon gusto”. Per questo adora Jil Sander, maestra delle linee pulite e senza tempo. “Per il lavoro che faccio”, afferma, afferma, “è fondamentale indossare il tailleur, meglio se pantalone. Ho notato che i clienti ti apprezzano di più se indossi la giacca”. E la gonna? “Personalmente la evito, specie se corta. Ma non è vietata. Proibiti invece sono i capi aderenti: troppo sfacciati”. E i colori? “D’estate prediligo il beige, l’ecru e l’avorio. Nei mesi più freddi indosso il verde scuro e il blu. E non porto mai in ufficio il nero: è funereo e per questo non piace agli acquirenti”. Che sembrano non amare particolarmente il casual look. “No infatti”, chiarisce Elizabeth. “Jeans, magliette e scarpe informali vanno indossati in casa e nel tempo libero. Alla scrivania ci si siede con l’abito appropriato”. Che per Gabriella Scarpa, amministratore delegato della Christian Dior Italia, significa soprattutto tailleur o abito e giacca, ma scelti nei colori che più armonizzano con i capelli e la carnagione. Per questo tra i suioi toni preferiti , lei che è di pelle chiarissima e di capelli biondo platino, ci sono tutti i pastelli più luminosi: dall’azzurro al rosa, da verde mela a l jaune. Più il nero, si intende. Le sue simpatie vanno ovviamente a Gianfranco Ferrè, designer (ora dimissionario) della maison, e non manca mai di corredare il look con una collana importante. Di perle, preferibilmente. “Illumina e dà tono anche al tailleur più semplice”, annota. Mai troppo “alla moda”. In ordine, sì. Ma bisogna anche piacersi per piacere. Lo sostengono da tempo immemore stilisti e maître à penser del fashion business. Che disegnano ogni sei mesi nuove collezioni , o propongono rivisitazioni di vecchi stili, ma consigliano sempre e comunque di creare sintonia tra il vestito e la donna che lo indossa. Evitando di acquistare capi che non si “sentono”. Proprio come suggerisce ai suoi clienti Alessandra Belotti, ex modella che a Milano ha aperto lo studio Vanity Consulting in cui insegna a migliorarsi, dentro e fuori. A lei si rivolgono vip e gente comune per imparare a gestire la propria immagine. A lei i politici chiedono consigli utili per crearsi uno stile personale. Uomini e donne di spettacolo la interpellano per rivitalizzare un look consunto dall’usura delle mode e la gente comune le chiede invece di essere aiutata a tirare fuori il meglio di sé. L’ abito è importantissimo, esordisce Alessandra con un ampio sorriso comunicativo. “E’ una sorta di biglietto da visita. Lancia messaggi. Suggerisce alla persona che ci sta di fronte una sintesi di chi siamo e che cosa vogliamo. Ma non crea carriera dal nulla e soprattutto non va subito. Deve rispettare il corpo e il carattere di chi lo porta”. La ex top model è contraria ad ogni sorta di omologazione da fanatismo modaiolo. “Bisogna crearsi uno stile personale”, spiega, “da far aderire alle proprie forme e ai propri gusti, senza seguire le ultime tendenze”. E infatti a volte basta un dettaglio: un tessuto ricercato, una pettinatura semplice ma che dona, a trasformare una persona. Non diceva lo stesso Moschino alcuni anni fa? In barba a ogni legge pubblicitaria lo stilista firmò una campagna trasgressiva contro i condizionamenti della moda e il motto “I’m not a fashion victim” venne ricamato molto coraggiosamente sui suoi abiti. Ma nel coro, al compianto Meschino si sono uniti negli ultimi tempi molti altri stilisti. Gianni Versace, per esempio, che invita le “sue” donne a indossare capi delle collezioni passate. Quelli che donano, che non si infrangono tra gli scogli del tempo. Soprattutto lo stilista milanese chiede di mescolare per andare alla ricerca del proprio stile, comodo e chic al contempo: Versace con Chanel, Versace con Valentino, Versace con Dolce e Gabbana. Proprio questi ultimi, insieme con Gucci, hanno deciso di chiudere con il passato e di togliere dalle loro collezioni autunno-inverno 96/97 le iniziali che li caratterizzano. D&G e la storica doppia G. “La donna” dicono, alle due maison, “non ha bisogno di seguire i must del momento racchiusi in qualche futile monogramma. E’ lei a dettarli”. La “gaffe” del sex appeal. Attenzione, però: costruire un look sulla propria personalità e sui propri gusti non significa travalicare i limiti del bon goût, le cui regole non vanno mai infrante. Perché indossare un abito fuori luogo, può essere deleterio in qualsiasi occasione. Qualche esempio? La scarpa stonata può dare l’impressione di scarsa attenzione ai particolari. E quindi disinteresse per alcuni aspetti del lavoro. Un colore vivace può diventare sfacciato se indossato con troppa ostentazione. Errore imperdonabile portare di giorno un vestito destinato alla sera. Tacchi troppo alti, scollature abbondanti, bijoux tintinnanti e gonne svolazzanti è meglio lasciarli nel guardaroba: la bomba sexy ha le ore contate in un lavoro d’impegno. E comodo non vuol dire necessariamente casual. In altre parole: con le scarpe da ginnastica si fa jogging, non si va a firmare un contratto. Vietato, poi, giocare alla ventenne se i vent’anni sono passati da un pezzo. Lo deplorava anche Coco Chanel: “Per le donne, gli orli sembrano inversamente proporzionali all’età”, diceva beffardamente la prima “filosofa” dello stile. “Coco aveva ragione”, commenta Alessandra Belotti. “L’ho visto commettere spesso questo grave errore”. L’età non si cancella accorciando una gonna o alzando i tacchi. Anzi, in questo modo si cade nel ridicolo”. Gli anni, invece, suggerisce l’image-maker, si possono togliere con intelligenza e senza ricorrere alla chirurgia ricolorando un guardaroba avvizzito, mettendo più glamour in tutto ciò che si indossa, scegliendo con sapienza, dovuta all’esperienza, ciò che dona di più. Meno griffe, più qualità. E il vestito delle occasioni importanti? Di fronte a un appuntamento decisivo, magari a un colloquio di lavoro, anche la più sicura ed elegante delle donne ha qualche dubbio: meglio il tailleur scuro o il completo colorato? Osare la gonna corta o preferire il pantalone? “Essere se stesse ma con buon senso”, consiglia Paola Vercelli, assistente del direttore del personale di una grande azienda milanese. “A volte faccio una decina di colloqui al giorno”, racconta, “e ne vedo di tutti i colori. Nel senso che vengono qui donne abbigliate nei modi più assurdi. Forse credono di far colpo. E non comprendono invece che il colpo lo danno alla loro carriera”. Che cosa suggerisce quindi? “Semplicità”. Che significa un tailleur discreto in un colore sobrio, preferibilmente non nero, ma nemmeno bianco. Magari blu o beige. Non è necessario che sia griffato, ma che sia di qualità. Pochi accessori e soprattutto pochi gioielli: una mano inanellata fino all’ultimo dito è terribilmente volgare. Capelli in ordine e un filo di trucco. Nulla di più. Ultimo dettaglio: mai comparire ad un incontro o a una cerimonia con un abito nuovo. Dareste l’impressione di averlo comperato per l’occasione, denunciando così una carenza del vostro guardaroba. Patrizia De Tomasi