Le vacanze degli innocenti

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Le vacanze degli innocenti
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EDITO DA ME
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Vittorio Frau
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Le vacanze
degli innocenti
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foglio 1a
quali propinai una falsa versione sull’andamento del campeggio, che differiva da quella concordata per la sola assenza di alcuni particolari piccanti che avevamo deciso di inserire all’ultimo momento.
Questa esperienza mi portò a riflettere per la prima volta
sull’annoso problema delle vacanze e mi dissi: Cagliari ha
una stupenda spiaggia bianca lunga sei chilometri, dalla
quale la mia abitazione ne dista appena quattro; perchè
dovrei essere così imbecille da cercare posti lontani in cui i
vacanzieri sono divisi in caste sociali, quando ho tutto quello che cerco a portata di mano?
Non trovai opposizioni a quello che dicevo ( anche perchè
stavo parlando da solo), quindi approvai all’unanimità quella che sarebbe stata la mia linea di condotta nei confronti
delle vacanze.
Nei quattro anni successivi trascorsi altrettanti stupendi
mesi di agosto nella mia città; la mia giornata era articolata
nel seguente modo: sveglia alle ore dieci, colazione preparata da mamma e mattinata al mare, pranzo alle tredici e
trenta (sempre preparato da mamma), abbandono della
tavola senza toccare uno spillo e pennichella pomeridiana,
pomeriggio di nuovo al mare, rientro alle ore diciannove,
doccia e serata da trascorrere in una stupenda Cagliari semideserta, silenziosa, leggendo negli occhi dei pochi passanti
che mi capitava di incrociare, una sorta di complicità nel
godere di tanta abbondanza approfittando dell’assenza degli
spaccapalle lontani, impegnati a lottare per la vita in orribili luoghi gremiti di gente.
Eppure ci ricascai, nell’agosto del 1982…
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La passione di “Re Giovedì”
“Re Giovedì” era uno degli svariati nomignoli con il quale
era noto negli ambienti cagliaritani il mio amico Orlando,
un ameno individuo dal volto patibolare, dotato di un senso
dell’umorismo fuori dal comune e di una carica erotica che
rasentava la patologia clinica. Era noto per provare attrazione sessuale verso qualunque essere vivente (o morto da
poco), purché maggiorenne, consenziente e naturalmente
appartenente all’altro sesso. Il bizzarro soprannome gli era
stato affibbiato a causa di un originalissimo sistema di
“abbordaggio” che gli consentiva di ghermire varie prede
con le quali dare sfogo ai suoi istinti bestiali: il Giovedì,
infatti, era a quei tempi il giorno di riposo settimanale delle
collaboratrici domestiche, che egli soleva attendere pazientemente fin dalle prime ore del pomeriggio nei pressi della
stazione ferroviaria di Piazza Repubblica, attirandole verso
la sua direzione con potenti fischi a risucchio, per poi conquistarle grazie alla facilità con la quale riusciva ad inventare spaventose bugie che avrebbero fatto vergognare persino
Pinocchio.
Condividevo con “Re giovedì” il più totale disprezzo per
viaggi e vacanze, ma purtroppo alcuni amici privi di scrupoli studiarono un diabolico piano con il quale riuscirono a
scardinarne le difese. Costoro, infatti, con una paziente
opera di convincimento basata su un castello di menzogne,
riuscirono a convincere Orlando che nei campeggi della
Costa Smeralda era sufficiente schioccare le dita perché la
tendina canadese venisse invasa da straniere assetate di
sesso, che erano irresistibilmente attratte dagli italiani con il
petto villoso. Questo tarlo cominciò a divorare lentamente il
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peschereccio di Mazzara del Vallo o se dar retta a coloro che
giurano di averlo visto di recente a bordo della motonave
“Caralis” il giorno in cui andò a schiantarsi sugli scogli dell’isola di Serpentara, so solo che prima o poi mi ricapiterà
fra i piedi perchè non può esistere né in cielo né in terra un
luogo in cui egli possa essere sopportato a lungo; se poi parliamo dell’eternità non ho dubbi: né il buon Dio né il più
abbietto dei diavoli sarebbe al sicuro con Guasto nei paraggi, quindi anche dando credito alla più triste delle ipotesi
sulla sua scomparsa, sono certo che chi di dovere troverà il
modo di rimandarlo sulla terra.
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muro antivacanze che “Re Giovedì” aveva eretto. Nei giorni successivi al colloquio con gli amici appariva sognante e
pensieroso, faceva lunghe passeggiate solitarie al tramonto,
formandosi con l’indice della mano destra dei riccioli di
pelo sul petto che come villosità non era inferiore a quello
di qualsiasi gorilla mai apparso sulle terre emerse; ricordo
che qualcuno ha persino giurato di averlo visto ululare sulla
sommità di “Monte Urpinu”. La fatidica telefonata mi giunse all’alba del 13 agosto 1982: “Vittorio ho deciso, IO CI
VADO!” Fu come essere trafitto da un giavellotto, caddi
nello sconforto più totale, inforcai la mia “Vespa PX 125”
che nel corso degli anni aveva preso il posto del “Bravo”
giovanile e, cieco di dolore, feci un centinaio di giri della
città alla velocità di 90 Km orari, seminando il panico fra
automobilisti e pedoni che mi osservavano esterrefatti.
Terminato il carburante mi fermai, spinsi mestamente la
“vespa” fino a casa e mi distesi sul pavimento al buio, con
le braccia aperte a mo’ di Cristo in croce e gli occhi sbarrati. Dopo cinque ore di spaventosi conflitti interiori, maturai
l’insana decisione e comunicai a “Re Giovedì” l’intenzione
di non abbandonarlo nei difficili giorni che prevedevo
avrebbe vissuto di lì a poco.
Il mio piede destro spinse con decisione la pedivella per
l’accensione della vespa alle ore 05.00 del 14 agosto 1982;
Orlando abitava a poche centinaia di metri da casa mia, e
alle 05.02 ero sotto la sua abitazione. Lui era lì, sotto il portone, con indosso una camicia hawayana, un paio di bermuda impermeabili “Zeta Zucchi” a righe orizzontali bianche e
verdi e ai piedi zoccoli in legno di tipo olandese per la cui
fattura era senza dubbio stato necessario sacrificare un’intera sequoia secolare. Ci guardammo negli occhi senza proferire verbo per quindici lunghi minuti, durante i quali io speravo in un ripensamento, mentre lui continuava imperterrito
ad allisciarsi con il palmo della mano destra un vistoso
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prendosi le spalle e constatammo con stupore che la sua
schiena appariva maculata come quella di un leopardo, grazie a un numero impressionante di lividi multicolori.
Nessuno di noi ebbe a questo punto il coraggio di infierire
ulteriormente, quindi decidemmo, scambiandoci eloquenti
occhiate, di stendere un pietoso velo sull’intera vicenda e
mantenere il silenzio, facendo intendere all’amico Claudio
di avere creduto a tutte le sue panzane.
Ci riunimmo mestamente all’ombra di un salice piangente,
albero che più di ogni altra pianta rispecchiava il nostro
umore nel tirare le somme di quei difficili giorni di vacanza
e decidemmo di fare ritorno a casa. Impiegammo circa due
ore a inventare delle avventure convincenti da raccontare
agli amici rimasti in città ( pratica seguita dalla stragrande
maggioranza dei vacanzieri ), salimmo sui nostri ciclomotori e partimmo alla volta della nostra agognata Cagliari.
Il cielo grigio faceva da giusta cornice al grottesco quadro
delineatosi in quei pochi giorni; non cantammo le canzonette sconce che furono la colonna sonora del nostro viaggio di
andata, ma impegnammo il tempo a ripassare la falsa versione sull’andamento delle vacanze che avremmo propinato
a chiunque ci avesse domandato qualcosa.
Ricordo ancora la stupenda sensazione che provai quando,
dalla Statale 195 cominciai a intravedere la città, divoravo
con gli occhi le pietre miliari che mi segnalavano il ridursi
della distanza e ogni sasso, ogni albero mi sembrava più
bello; mi apparve stupenda anche la mefitica spiaggia di “
Giorgino”, un orribile luogo simile alle zone balneari romagnole, con sabbia nera e acqua ricoperta da una schiumetta
giallastra, spiaggia in cui si era perso il ricordo dell’ultimo
bagnante.
Feci così ritorno alla mia casetta di 60 metri quadrati che mi
parve per qualche giorno come una reggia, baciai tutte le
pareti, i mobili, il mio cane Ugo e infine i miei genitori ai
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Sono passati tanti anni da quell’oscuro periodo della mia
vita. Non vedo più i miei compagni d’avventura, le nostre
strade si sono inevitabilmente separate e ora non ho quasi
più notizie che li riguardino, so soltanto che il mio amico
Orlando, il grande “Re Giovedì”, è ora un onesto padre di
famiglia che ha messo in soffitta la collezione di “Lando”,
Andrea è tuttora un portaborse del famoso zio assessore
rimasto saldamente ancorato alla poltrona saltellando disinvoltamente da uno schieramento all’altro attraverso una
miriade di legislature che, valutate le sue capacità, lo ha
relegato al ruolo di leccatore di francobolli per le lettere di
raccomandazione in partenza dal suo ufficio; Giuseppe dopo
aver riportato la frattura di quasi tutte le ossa del corpo in
varie competizioni, ha smesso di praticare sport estremi e
gestisce un piccolo negozio di autoricambi; Giulio ha sposato una corpulenta ereditiera e fa il mantenuto. Ho lasciato
come al solito per ultimo l’amico Guasto: ho saputo da alcuni conoscenti comuni che qualche tempo addietro era riuscito, esibendo un falso curriculum, a farsi assumere come animatore da una blasonata agenzia turistica e a partire con un
gruppo di anziani su una nave da crociera, sulla quale ovviamente ne combinò talmente tante che a un certo punto venne
legato e abbandonato su una scialuppa di salvataggio al
largo di Mazzara del Vallo, dove venne tratto in salvo da
alcuni pescatori a bordo del loro peschereccio che misteriosamente naufragò poche ore dopo. Da allora le notizie su
Guasto mi arrivano avvolte da un fitto mistero, sporadici
avvistamenti tra realtà e fantasia sulla cui veridicità non ho
mai avuto la certezza. Non so se sia colato a picco con il
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aveva al mondo (la collezione di “Lando”) che non avrebbe
mai più disatteso a quello che era il nostro patto antivacanze.
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Dopo circa un quarto d’ora la porta del capanno si aprì, uscì
uno dei guardiani in compagnia del nostro amico, tenendogli la testa saldamente serrata fra il braccio destro e il petto.
Claudio fu poi legato con una sagola da barca a uno dei lampioni del giardino, e per il resto della nottata fu deriso dagli
invitati, punzecchiato con dei pezzi di legno da bambini
curiosi e perfino usato come orinatoio dal “pechinese” di
una anziana contessa che, sollevata la zampetta posteriore,
macchiò irrimediabilmente i suoi tronchetti bicolori.
A quel punto decidemmo di andarcene, dicendo che in
fondo “se l’era andata a cercare” e che dopo tutto una simile lezione non poteva che “fargli bene” e, vista l’ora tarda,
ci infilammo nei nostri sacchi a pelo.
Claudio fu liberato all’alba e venne con aria disinvolta verso
la nostra direzione, inconsapevole del fatto che avevamo
seguito da lontano l’intera vicenda. “ Beh rubacuori, dicci
come è andata!” - disse con una punta di sadismo Rolando Magnificamente!” - Rispose con una impennata d’orgoglio
Claudio - “ Ho conosciuto una giovane signora che si è innamorata di me a prima vista, che notte ragazzi!” A questo
punto cominciò a raccontarci una assurda storia sicuramente concepita durante le lunghe ore di prigionia, farcita di
particolari piccanti che ci fece scoprire in lui doti di incredibile immaginazione e una faccia tosta che non temeva confronti, il tutto accompagnato da ampi gesti con le mani e eloquenti movimenti delle anche. “ E bravo il nostro seduttore!” - esclamò Rolando - e così dicendo gli diede una violenta pacca sulla spalla che, a causa del dolore derivante dai
colpi infertigli con il manico della zappa, provocò in lui uno
straziante grido che lacerò il silenzio mattutino. “Cosa è
successo alla tua schiena?” - disse Rolando fingendosi stupito - “ Niente” - rispose Claudio arrossendo - quella donna
era una vera tigre, guardate cosa mi ha fatto!” Si girò sco-
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ciuffo di peli che la sua camicia conteneva a fatica, poi si
mise sulle spalle uno zaino militare avuto in prestito dal fratello maggiore, dal quale spuntava beffarda una caffettiera a
quattro beccucci e partimmo senza indugi. Al nostro arrivo
nella Via Cettigne, luogo dell’appuntamento con il resto
della compagnia, fummo accolti da un’ovazione che, a
causa dell’ora dai più dedicata al riposo, provocò un lancio
di acqua gelata da parte dell’inquilino del primo piano, il
signor Scarpa, con il quale già da parecchio tempo eravamo
ai ferri corti per via dei continui schiamazzi di cui eravamo
innegabilmente responsabili. La spiacevole cascata centrò in
pieno “Re Giovedì”, che ancora una volta non smentì il suo
temperamento sanguigno sfilandosi lo zoccolo sinistro e
scagliandolo alla volta della finestra dalla quale era partito il
“gavettone”, mandando in frantumi il vetro che il signor
Scarpa aveva chiuso con gesto felino. Questo fatto fece sì
che la nostra partenza avvenisse repentinamente, senza perdere tempo in convenevoli. Lanciai uno sguardo carico d’odio a Giulio, Pierclaudio, Giuseppe e Andrea visibilmente
soddisfatti per essere riusciti nell’epica impresa del convincerci a seguirli nel viaggio. Vorrei spendere qualche riga per
descrivere gli amici appena citati: Giulio era un tipo imperturbabile, gioviale, il cui unico problema erano i furiosi
quanto improvvisi attacchi di dissenteria che, come guidati
da una regia occulta, lo colpivano quasi scientificamente nei
momenti meno opportuni, creandogli non pochi problemi;
Giuseppe “No limits” praticava con mediocrità tutti gli
sport esistenti al mondo, Andrea era il bello della compagnia, alto, longilineo, occhi azzurri, proveniente da una
famiglia di attivisti liberali, viziato fino all’eccesso; la facilità con la quale conquistava le donne era pari soltanto a
quella con cui lo mandavano a quel paese non appena
affrontavano con lui un qualsiasi discorso. Ho volutamente
lasciato per ultimo l’amico Pierclaudio, venticinquenne, il
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persone doloranti e bagnate giaceva sul piccolo spiazzo che
separava gli scalini dal mare, spiazzo su cui aveva precedentemente preso posto l’amico Guasto che, seduto su una
sedia sdraio con le gambe accavallate e le mani incrociate
dietro alla nuca, si godeva lo spettacolo ridendo a crepapelle. Quando fra i contusi riconoscemmo la sagoma di un noto
politico isolano capimmo di essere nei guai. Intanto alla
nostra destra si era radunata una folla di curiosi intenti ad
osservare la scena con espressione raccapricciata. D’un tratto alle nostre spalle si alzò una voce: “ Ma quello... quello
laggiù che ride... no! Non può essere lui!” Era una nostra
vecchia conoscenza, il guardiano del campeggio “Isuledda”,
colui che poco tempo prima ci aveva scacciato brandendo
un’arma impropria. “Prendete quell’animale è stato lui, e
loro sono suoi amici!” - disse additandoci alla folla -.
Ancora oggi non so quale santo possa averci aiutato a fuggire da quella gente inferocita, parecchie robuste braccia
avevano afferrato Pierclaudio e ho tuttora nella mente il viso
diabolicamente trasfigurato della madre superiora che,
bagnata fradicia, frustava “Guasto” con un pesante rosario
di legno. Approfittammo di quell’attimo in cui la folla era
impegnata a linciare Pierclaudio per montare sulle nostre
moto lasciate previdentemente con il motore acceso e a far
perdere le nostre tracce. Dopo qualche minuto ci trovammo
a percorrere a velocità sostenuta la strada per Cagliari, dove
giungemmo qualche ora più tardi, dopo aver percorso la statale 131 con una media da formula 1. Scesi dalle nostre
moto restammo qualche minuto in silenzio, poi “Re
Giovedì” ebbe un crollo psicologico e, dopo aver urlato frasi
irripetibili per circa 10 minuti aggredì come una furia Giulio
e Giuseppe, responsabili di averci convinto a seguirli in
quell’assurda odissea e, dopo averli brutalmente percossi,
mi abbracciò piangendo giurando su quello che di più caro
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più grande della compagnia, noto negli ambienti giovanili
con il nomignolo di “Guasto”; non ho mai capito se fosse
realmente scemo o se facesse finta, so soltanto che mai
soprannome fu tanto azzeccato. Perennemente afflitto da
herpes ed emorroidi, in “Guasto” era totalmente assente
qualsiasi senso della misura, unico scopo della sua esistenza era l’architettare scherzi idioti al limite del codice penale
che portava avanti fino allo scontro fisico e oltre; più volte
è infatti stato necessario tramortirlo per mettere fine alle sue
burle. Facemmo l’immancabile sosta al 123° chilometro
della SS 131 dove si trova l’unico punto di ristoro che può
essere definito la “caricatura” di un autogrill. Mentre noi ci
rifocillavamo al bar, Orlando si avvicinò con fare indifferente all’edicola vicino alle pompe di benzina dove acquistò
con naturalezza “Le Ore”, “Play Men”, un libro della serie
“armony” e una copia di “Lando”, suo idolo da sempre.
L’apparente contraddizione riscontrabile nell’acquisto
simultaneo di un libro romantico e “Lando” può ovviamente colpire chiunque non conosca a fondo la bizzarra personalità del mio irsuto amico, in effetti un caratteristico aspetto della vulcanica esistenza di “Re Giovedì” era quello concernente l’amalgamarsi del suo lato romantico con la carica
erotica primordiale di cui era dotato, formando una miscela
caratteriale che a mio parere avrebbe dovuto far dichiarare
“Re Giovedì” “patrimonio dell’umanità”. Per dare un’idea
di questo fenomeno posso raccontare ciò che accadde quando, qualche anno addietro, ci recammo al cinema per vedere “Il tempo delle mele”: il poveretto rimase fortemente
scosso dalle vicissitudini sentimentali della giovane Sophie
Marceau, singhiozzò per tutto il primo tempo per poi scoppiare in un pianto a dirotto che portò al formarsi di un
capannello di persone impegnate a consolarlo. La serata si
concluse con una notte di passione trascorsa dall’imprevedibile Orlando con una non più giovane vedova che pareva
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stento le risate perchè Claudio appariva molto fiero del suo
aspetto e lo osservammo in religioso silenzio mentre con
passo deciso si introduceva, via spiaggia, nel “Forte
Vacanze”. Spinti da ovvia curiosità ci disponemmo lungo la
rete di recinzione, luogo da cui riuscivamo a scorgere l’intero andamento della festa.
Si trattava di un ricevimento come se ne possono vedere
solo nei serial del tipo di “Dallas” o “Dinasty” , intravedevamo donne da favola con orecchini di zaffiri grandi come
lampadari e gigantesche collane d’oro sotto il cui peso si
sarebbe schiantato un toro che passeggiavano con classe,
fasciate in stupendi abiti da sera. Gli uomini erano tutti elegantissimi con dei visi da “foto del barbiere”.
Osservavamo con la bocca aperta quello scenario irreale,
quando dal lato del giardino adiacente alla spiaggia apparve
Claudio che, a causa dell’abbigliamento descritto precedentemente e un portamento non proprio da nobile, si trovò
immediatamente al centro dell’attenzione. Ben presto si
trovò faccia a faccia con tre dei guardiani che quel pomeriggio ci avevano ricordato a pedate il rango sociale al quale
appartenevamo.
Il povero Claudio fece un ultimo patetico tentativo per non
farsi riconoscere, cercando di stravolgere i propri lineamenti sbarrando gli occhi e tirando in dentro le guance, ma purtroppo questo misero espediente non bastò a evitargli una
dura punizione corporale. Venne agguantato da sei robuste
braccia e trascinato all’interno di un capanno per gli attrezzi, dove fu brutalmente percosso con il manico di una zappa
riportando, come avremmo constatato il giorno seguente,
vaste ecchimosi generalizzate. Restammo lì a fissare con gli
occhi sbarrati quei profondi solchi paralleli simili a binari
lasciati sul terreno dagli stivaletti di Claudio durante il trascinamento, ormai rassegnati al peggio.
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un parlottare confuso, rumore di abiti lacerati, urla e perfino
ruggiti, la tenda era scossa da fremiti simili a quelli provocati da un cinghiale che cerca di sfuggire ai cacciatori
nascondendosi in un fitto cespuglio. Il tutto durò diverse ore
e si concluse con la pretesa di un extra sull’onorario pattuito da parte della professionista che, tra l’altro, minacciò di
denunciarci a una sedicente associazione di categoria se ci
fossimo fatti rivedere dalle sue parti. Entrammo nella tenda
e trovammo “Re Giovedì” che, spento il cero che illuminava il viso di Lando sulla copertina dell’omonimo fumetto,
aveva riacquistato la lucidità mentale che ci era indispensabile per ritrovare Guasto. “Dobbiamo provare a pensare
come lui” - sentenziò Giuseppe - “Ci vorrebbe uno zoologo
specializzato nella psicologia animale” - rispose Giulio Parole sante, ma sfortunatamente non avevamo il tempo per
consultare un tale esperto, quindi ci sedemmo in cerchio e
cominciammo una virtuale esplorazione nei meandri da noi
conosciuti della mente di Guasto. Ad un tratto Orlando
sbarrò gli occhi e urlò: GLI SCALINI!!! Un silenzio tombale scese all’interno della tenda, un brivido freddo mi percorse la spina dorsale dall’alto verso il basso, Giulio prese ad
agitarsi roteando più volte su un piede e portandosi le mani
alla testa, “Andiamo” - urlò Andrea “Sbrighiamoci o questa
volta nemmeno mio zio assessore potrà aiutarci!”. Intanto
alle Grotte di Venere la tragedia si era consumata: le prime
vittime furono un gruppo di suore mercedarie, in viaggio
parrocchiale con un gruppo di fedeli che, dopo aver ruzzolato per l’interminabile scalinata, erano finite in mare; poi fu
la volta di un corpulento turista tedesco la cui schiena toccò
tutti i 700 scalini prima che rovinasse addosso alla madre
superiora che annaspava tra i flutti cercando di riguadagnare la terraferma. Quando giungemmo sul posto avemmo
l’impressione di trovarci di fronte ad uno di quegli affreschi
raffiguranti le catastrofi bibliche: un incredibile ammasso di
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Ritengo di essere una persona “normale” se con questo termine vogliamo indicare una qualunque persona che si adatta ai comuni stereotipi che dal momento della nostra nascita a quello della dipartita ci accompagnano nei gesti quotidiani, se non fosse per un piccolo problema che mi fa sentire in qualche modo “fuori” : odio con tutte le mie forze le
vacanze, in modo particolare i viaggi all’estero e i campeggi. E non sopporto sentir parlare di “vacanze intelligenti”,
perchè, e ricordatevi bene queste parole, le vacanze non
sono mai intelligenti , né riesco a ritenere tali coloro che le
attendono per undici mesi e quindici giorni l’anno.
Non che si tratti di un odio per partito preso, questa mia
avversione è frutto di un serio ragionamento effettuato dopo
aver fatto le mie belle esperienze.
Devo ammettere di provenire da una realtà familiare in cui
grazie al cielo le vacanze hanno sempre avuto una scarsa
importanza e la mia infanzia è piena di dolci ricordi persi nei
torridi pomeriggi dell’agosto cittadino, quando tutti i rompiballe si allontanano dalla città, lasciandola fra le mani di chi
sa godersela in ogni suo attimo.
Il mio esordio, il primo contatto cioè con la realtà delle
vacanze risale al lontano 1978 quando, tenero quattordicenne avido di avventure da poter raccontare, organizzai con
alcuni amici il primo e purtroppo non ancora ultimo campeggio della mia vita.
La frase che riporto qui sopra “avventure da poter raccontare” non è casuale: sono fermamente convinto che se ai villeggianti qualcuno impedisse di raccontare in giro l’andamento delle proprie vacanze, questi ultimi non esisterebbe-
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Alla luce di questi avvenimenti concordammo sul fatto che
quel campeggio non era nato sotto una buona stella, e decidemmo di tornare a casa, ma non prima di avere trascorso
un ultima giornata da leoni.
Il sole splendeva alto nel cielo, e solo alcuni cordoni arancioni tesi fra due pali dorati costituivano la barriera che ci
separava dal mondo incantato del “Forte Vacanze”, ci guardammo in faccia per un attimo e poi ci avventurammo disinvolti nell’esclusiva spiaggia. Venimmo immediatamente
riconosciuti dai guardiani, energumeni la cui descrizione
fattaci dai racconti di Claudio non si allontanava troppo
dalla realtà, che ci rispedirono a pedate nel mondo dei poveri. Trascorremmo le ore successive nel silenzio più totale,
seduti su alcuni sassi, per poi avviarci mestamente verso i
nostri ciclomotori.
Strada facendo vedemmo, affisso a una cabina telefonica, un
manifesto che pubblicizzava una grandiosa festa danzante
all’interno del “Forte”; a questo punto Claudio disse: “Sono
sicuro che senza di voi, che avete l’aspetto da barboni, stasera riuscirò a entrare e a godermi la festa!” “Provaci!” Rispondemmo quasi all’unisono sentendoci feriti nell’orgoglio. - “ Stasera vi farò vedere io” - replicò Claudio dirigendosi verso il luogo in cui aveva posato il suo zaino-. Visto il
tempo che impiegò per la scelta dell’abbigliamento, deducemmo che all’interno di quello zaino doveva esserci il
contenuto di un intera boutique. Dopo qualche ora era pronto per recarsi alla festa.
Abbigliamento di Claudio: maglietta retinata giallo canarino
con ampia scollatura a barca; pantalone in lino attillato colore celeste chiaro, stivaletti bicolori con tacco obliquo e piccola cerniera laterale; profumo “ Paciulli” versato con generosità in ogni parte del corpo e pettinatura con “mascagna
velenosa” alta dodici centimetri, pettinatura che sarebbe
stata alla moda circa sette anni più tardi. Trattenemmo a
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avere preso particolarmente a cuore i sentimenti di quel
”tenero giovanottone dall’aspetto un po’ rude”, come lo
definì mentre abbracciati si allontanavano dalla sala di
proiezione singhiozzando. Tornando a noi, ricordo che entrò
disinvolto nel bar con i giornali sottobraccio, scatenando l’ilarità degli avventori sia per la qualità delle sue letture, sia
perché aveva ai piedi delle “giapponesine infradito” celesti,
prestategli da “Guasto” in sostituzione degli zoccoli olandesi ormai scompagnati a causa del precedente lancio contro la
finestra del signor Scarpa. Poco dopo ci rimettemmo in
viaggio, ma dopo pochi chilometri venimmo fermati da una
pattuglia della stradale. “Bene, bene, voi credete di essere a
Monza, vero?” - disse l’agente probabilmente riferendosi al
fatto che avevamo oltrepassato i limiti di velocità “Favorite i documenti!” - a quel punto accadde ciò che purtroppo già mi aspettavo per avere vissuto analoghe situazioni svariate volte: alla vista del volto da rapinatore dell’amico Orlando i poliziotti cominciarono ad accarezzare nervosamente i mitra che pendevano minacciosi dal loro fianco
sinistro e decisero di perquisirlo. La faccia da galera di “Re
Giovedì” era un arma a doppio taglio: se da un lato c’era
stata utile più di una volta per terrorizzare i potenziali avversari dei litigi giovanili, dall’altro ci creava problemi con le
forze dell’ordine o i proprietari di qualsiasi attività commerciale che non appena ci vedevano entrare nei loro esercizi
chiudevano la cassa, spesso ingoiando la chiave. “Belle
scarpette” - disse l’agente osservando le “giapponesine” ai
piedi di Orlando- “adesso metti le mani sul tettuccio della
macchina e divarica le gambe, sbaglierò ma tu somigli a un
pericoloso latitante!”. Il poliziotto parlava con accento
romano e Guasto, ossessivamente e misteriosamente tifoso
della Roma, ebbe l’infelice idea di gridare “Forza magica
Roma!”, accompagnando l’esclamazione con una violenta
pacca sulla spalla dell’agente che, già con i nervi tesi a causa
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ro. E’ un po’ come per le discoteche (sulle quali quando
diventerò famoso scriverò un intero libro), infatti sono convinto che l’ottanta per cento dei frequentatori delle discoteche lo sia soltanto per poter dire agli altri “ieri notte sono
stato in discoteca” senza però aggiungere di essersi annoiato a morte, di aver fatto finta di essere ubriaco per attirare
l’attenzione delle ragazze (d’altronde chi potrebbe mai
ubriacarsi in un luogo in cui un bicchiere di Whisky costa
quindicimila lire?) e di avere contato con trepidazione i
minuti che lo separavano dall’orario di chiusura.
Tornando al mio primo campeggio, ricordo di essermi recato con un mio zio di origini napoletane in un negozio di roba
usata situato nella mia adorata Cagliari, grazie al quale riuscii ad acquistare un sacco a pelo seminuovo (anche se con
un leggero odore di carogna) al prezzo di settemila lire.
danni di terzi. Le sue labbra sanguinolente si disposero in
quella posizione che in noi esseri umani si chiama sorriso e
si diresse con passo deciso verso un emporio distante poche
centinaia di metri dove acquistò duecento litri di olio riciclato con il quale, dopo avere aspettato il calare delle tenebre, cosparse tutti i settecento gradini.
Intanto Giulio aveva ripreso il controllo delle sue funzioni
vitali e ci aveva raggiunto all’interno della tenda dove ci riunimmo in gran consiglio per fare il punto della situazione.
Oltre alla sparizione di Guasto avevamo un altro grave problema cui porre rimedio: Orlando! Il poveretto, infatti, non
dava alcun segno di miglioramento, il tremendo smacco
infertogli dalle turiste tedesche lo aveva messo in un grave
stato di prostrazione, ci accorgemmo che aveva toccato il
fondo quando accese un cero davanti alla copertina di
“Lando” e si mise a farfugliare frasi sconnesse con le mani
giunte. Occorreva fare qualcosa, “Re Giovedì” era un
profondo conoscitore della primordiale psicologia di
Guasto, e solo lui poteva aiutarci a ritrovarlo prima che
combinasse qualcosa di irreparabile. “So io cosa ci vuole!”
- disse Giulio con decisione e, afferrate centomila lire dalla
cassa comune, si recò al parcheggio, inforcò la sua HD
CAGIVA e sparì imboccando la strada per Olbia. Tornò
un’ora più tardi in compagnia di una prostituta gallurese,
una tardona il cui fisico aveva conosciuto tempi migliori,
con capelli arancioni e folte sopracciglia nere, alla quale
Andrea insegnò in fretta e furia qualche parola in tedesco,
così che potesse fingersi una turista nordica attratta dal petto
villoso di Orlando. Giulio la lanciò all’interno della tenda
ritraendo in fretta le braccia, con un gesto che curiosamente
mi ricordò quello che compiono gli inservienti del circo
quando portano il pasto alle belve feroci; seguì un attimo di
silenzio seguito da un “aufidersen” pronunciato dalla disinibita signorina con inconfondibile accento sardo, poi si udì
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della convinzione di trovarsi alle prese con un pericoloso
sequestratore, reagì d’istinto e con una mossa imparata
all’accademia mandò gambe all’aria l’amico Pierclaudio,
immobilizzandolo al suolo con un piede sul collo. “Stai
fermo, animale!” - gridò l’agente - “sei in arresto!” Fu provvidenziale a quel punto l’intervento di Andrea il cui parlare
forbito, l’aspetto da bravo ragazzo, ma soprattutto il fare il
nome di un suo zio assessore regionale, riuscì a risolvere
parzialmente l’intricata situazione che rischiava di farsi
pesante. “ Va bene voi potete andare, ma “l’animale” resta
con noi !” - esclamò l’iracondo tutore dell’ordine.Nell’udire quella frase “Guasto” scoppiò in un pianto a
dirotto avvinghiandosi a Giulio che lo scacciò con un calcio
in pieno petto; allora si aggrappò all’agente, cercando di
baciarlo per ingraziarselo. La scena era molto buffa: il poliziotto cercava di sottrarsi al bacio spingendo con una mano
la fronte di “Guasto” evidentemente terrorizzato dall’idea di
essere solo sfiorato da quelle sanguinolente labbra martoriate dall’herpes, mentre Orlando, temendo in un nuovo precipitare della situazione, tentava di tramortirlo colpendolo sul
capo con il solitario zoccolo olandese che portava nello
zaino. I colpi infertigli non bastarono per fargli perdere i
sensi come più volte in passato era stato necessario fare, tuttavia furono sufficienti perché “Guasto” mollasse un attimo
la presa lasciando che i poliziotti, ormai sicuri di avere a che
fare con un essere incapace di intendere e volere, se ne
andassero in gran fretta. “Guasto” pianse ininterrottamente
per i restanti 90 chilometri e, intorno alle ore 14, arrivammo
a Olbia. Eravamo stanchi, affamati, sudati come cammelli e
decidemmo quindi di fare un’improvvisata, a dire il vero
non troppo disinteressata, a un nostro vecchio amico di
nome Gigi, da tempo trasferitosi con la famiglia nella ridente cittadina Gallurese. Gigi, non sospettando che l’unico
motivo per cui bussavamo alla sua porta era la fama di
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quindi uno di noi avrebbe dovuto dormire all’esterno. La
soluzione più logica ci parve quella di far pernottare all’aria
aperta Rolando per ovvi motivi, ma egli si oppose energicamente, quindi decidemmo di tirare a sorte. La pagliuzza più
corta toccò a Carmelo il quale, seppure a malincuore,
accettò sportivamente.
Dopo aver fatto giurare Rolando che almeno nell’angusto
ambiente della tendina avrebbe evitato di dare sfogo all’aria
che premeva rabbiosa contro le pareti del suo stomaco, ci
ritirammo per godere del meritato riposo. Nessuno di noi si
era accorto che il racconto di Claudio aveva scosso seriamente il povero Carmelo, che al pensiero dei tremendi guardiani del “Forte” non riusciva a chiudere occhio, e a ogni
minimo rumore trasaliva chiamando la mamma. All’alba,
puntuali come le scadenze delle cambiali, arrivarono le
“gazzelle” dei carabinieri, sorprendendoci nel sonno. Uno
dei militari svegliò, toccandolo con la punta dello stivale, il
povero Carmelo che, ancora terrorizzato dai racconti della
sera precedente urlò: “aiuto, ci sono i guardiani, non lasciate che mi portino nello Zoo dei campeggiatori!” “Ma cosa
stai dicendo, imbecille, sei forse drogato?”- disse il carabiniere. -”Ah meno male, siete voi!” - rispose sollevato
Carmelo.- Il tutore dell’ordine lo guardò con aria perplessa
e, rivolgendosi a un suo collega, disse: apri quella tendina e
sveglia gli altri giovanotti.- “NO ASPETTATE UN ATTIMO!” - Gridò Carmelo - ma prima che riuscisse a fermarlo,
il carabiniere aprì la tendina con un gesto deciso, e Rolando,
convinto che si trattasse dell’amico che aveva trascorso la
notte all’esterno, gli scaricò sul viso una putrescente miscela di gas intestinali che aveva tenuto faticosamente imbrigliati per tutta la nottata. Rolando ebbe salva la vita solo grazie alla prontezza degli altri carabinieri che riuscirono a
strappare la mitraglietta d’ordinanza dalle mani della furibonda vittima.
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la cerniera lampo della tendina canadese e cominciammo ad
avvicinarci a Guasto con aria minacciosa “Mi mancava per
completare l’album dei calciatori” - disse con un filo di voce
- “MA TI RENDI CONTO CHE HAI VENTICINQUE
ANNI ANIMALE?” -urlò Giulio e, preso un tubo metallico
misteriosamente avanzatoci nel montaggio della tenda, sollevò minaccioso il braccio destro; eravamo pronti al peggio,
ma fortunatamente accadde qualcosa che salvò l’incolumità
del cranio di Guasto: Giulio sbarrò gli occhi e rimase come
pietrificato con l’arto sollevato, la fronte imperlata di sudore e il viso contorto in una smorfia di dolore; realizzammo
immediatamente che era in preda a uno dei suoi caratteristici improvvisi attacchi di dissenteria; uscì dalla tenda con
una mano sulla fronte e l’altra a comprimersi il ventre, camminando in punta di piedi con le ginocchia piegate, il busto
proteso in avanti e si diresse barcollando verso la toilette
dove si “liberò” lanciando urla selvagge che terrorizzarono
gli ospiti del campeggio. Guasto approfittò della situazione
e si dileguò in direzione della spiaggia. L’essere scampato
miracolosamente alla furia omicida di Giulio avrebbe provocato in qualunque normale essere umano quantomeno il
rimanere lontano dai guai per un po’ di tempo, ma Guasto
NON era un normale essere umano, anzi mi permetterei di
avallare la tesi di Andrea secondo il quale nel suo bizzarro
patrimonio genetico vi era ben poco che potesse farlo ricondurre alla nostra specie; infatti di lì a poco combinò qualcosa che ci costrinse a fuggire in ordine sparso senza nemmeno recuperare tutti i nostri effetti personali: dopo aver vagabondato senza meta per alcune ore, giunse in prossimità
delle Grotte di Venere, raggiungibili via terra soltanto tramite settecento scalini a strapiombo sul mare. La vista della
ripida scalinata mise in moto quella parte del suo cervello
(più piccolo di tre taglie rispetto alla scatola cranica) straordinariamente attiva nell’elaborare machiavellici piani ai
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Partimmo carichi di speranza, cantando a squarciagola canzonette sconce, mentre, a bordo dei nostri ciclomotori, divoravamo allegramente i chilometri che ci separavano da
Santa Margherita di Pula, meta del nostro viaggio. Avevo in
quei tempi un “Bravo” della Piaggio, sul cui microscopico
sellino prendemmo posto in due: io e il mio amico Claudio,
un energumeno alto un metro e novanta per circa novanta
chili di peso, che provocava nei cinquanta centimetri cubici
del mio povero ciclomotore dei rumori simili a lamenti di
un animale ferito a morte.
Giunti al dodicesimo chilometro della Strada Statale 195,
osservammo il “vespino” condotto dall’amico Carmelo
sbandare paurosamente per poi rovinare con un tonfo secco
contro un cumulo di sabbia posto al lato della carreggiata,
urto accompagnato da una singolare pioggia di caffettiere,
forchette, coltelli e persino un frullatore. Chiedemmo a
Carmelo cosa mai se ne facesse di un frullatore visto che il
luogo in cui saremmo dovuti andare era sprovvisto di energia elettrica e lui rispose di non averci pensato. Scendemmo
dai nostri ciclomotori per aiutare le povere vittime del sinistro; era difficile capire dove finisse il “vespino” e dove
cominciasse il cumulo di sabbia, ma dopo qualche tempo
riuscimmo a distinguere le due parti e a disincastrare il
mezzo. Riprendemmo il nostro viaggio e, allo scopo di
sdrammatizzare l’incidente, Carmelo intonò un altra canzonetta sconcia, che narrava delle vicissitudini di una giovinetta rimasta per due giorni rinchiusa in un ascensore in
compagnia di quattro ambulanti di colore. Per colmo di sfortuna il nome della protagonista corrispondeva a quello della
Il campeggio a Santa Maria di Pula
foglio 4a
strada possibile, percorremmo diversi chilometri a ritroso.
identificammo un altra zona in cui fermarci nei pressi di
“Forte Vacanze”, un esclusivo luogo di vacanza per nababbi
dove i poveri campeggiatori come noi erano visti come
Hitler avrebbe visto un negro orfano adottato da una famiglia di ebrei e, temerariamente, decidemmo di fermarci.
Il “Forte Vacanze” era un luogo da sempre avvolto nel più
fitto mistero e, come tutti i luoghi inaccessibili, era circondato dalle più svariate leggende: Claudio ci raccontò che nel
1969, un lontano cugino del fratello del cognato del marito
di seconde nozze di una sua prozia, era riuscito, in compagnia di tre amici “hippies”, a introdursi nel “Forte”, dove
trascorse alcune ore liete prima di essere scoperto dai terribili guardiani, descritti dai pochi che hanno potuto raccontarlo come esseri giganteschi con un solo occhio posto al
centro della fronte. La leggenda dice che i poveri componenti dell’ex allegro quartetto vennero sottoposti a torture
indicibili e che tre di essi si trovino tuttora prigionieri all’interno, dove è stato allestito un singolare Zoo in cui i ricchi
turisti possono ammirare le gabbie piene di campeggiatori
abusivi. L’unico che riuscì a tornare fu proprio il lontano
parente di Claudio, il quale fu ritrovato da alcuni familiari
invecchiato di dieci anni, con tutti i capelli bianchi e affetto
dal morbo di Parkinson, mentre parlava con gli uccelli in
cima a una montagna. Quando il racconto di Claudio si soffermò su alcuni presunti episodi (anche se sporadici) di cannibalismo avvenuti all’interno del luogo in questione, decidemmo di non dargli più ascolto, poi una caratteristica
“voce dall’interno” di Rolando ci riportò alla realtà.
Decisi a non farci intimorire da assurde leggende, allestimmo fischiettando l’improvvisato campeggio, con tanto di
servizi igienici ricavati da una vecchia lavatrice abbandonata priva dell’oblò. Scoprimmo con sgomento che la nostra
tendina canadese poteva ospitare al massimo tre persone,
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cuoca provetta che aveva sua madre, ci accolse con le lacrime agli occhi e in men che non si dica ci trovammo di fronte a una tavola imbandita con ogni ben di Dio. Lo spettacolo che offrimmo nei minuti successivi non fu certo dei più
edificanti, mi limiterò a dire che tranne Andrea, che non
smentì neanche in quell’occasione la sua fama di ragazzo
bene educato arrivando persino a usare le posate, noi ci
comportammo come il grande Totò nella scena del pranzo
nel film “Miseria e Nobiltà”. Ricordo come fosse ieri gli
occhi sbarrati della mamma di Gigi, mentre osservava
“Guasto” che mangiava avidamente dei tovaglioli tipo
“scottex” inzuppati nel sugo, per poi congedarci adducendo
improbabili impegni improvvisi.
Ci dirigemmo verso uno dei tanti campeggi della Costa
Smeralda, quello di Isuledda, distante poche decine di chilometri da Olbia. Giunti nelle vicinanze del campeggio,
“Guasto” disse: ” ragazzi lasciate parlare me, sono già stato
qui l’anno scorso!” All’ingresso vi era una roulotte adibita a
“reception”; Pierclaudio vi si avvicinò con la sua inconfondibile andatura: punte dei piedi rivolte all’interno e gambe
divaricate a causa della cronica infiammazione emorroidale
acutizzatasi durante il viaggio. Scorgemmo l’addetto alla
“reception” fissare con espressione pietrificata quello strano
essere con fare da plantigrado che gli si avvicinava e, quando “Guasto” fu in prossimità della sua roulotte, balbettò: “
Tu! ... sei proprio tu! ... Maledetto animale! Io ti ammazzo,
l’anno scorso hai fatto scappare la metà dei campeggiatori!”
E, afferrata una spranga metallica che solitamente utilizzava
per sollevare la tenda parasole del suo ufficio semovente,
scavalcò il bancone alla “olio cuore” per poi inseguire il
povero Pierclaudio vibrando dei fendenti senza fortunatamente riuscire a colpirlo. L’inseguimento, che noi osservammo a debita distanza, terminò parecchi chilometri dopo,
allorché “Guasto”, dopo una bucolica corsa fra i campi,
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fidanzata di Rolando, il passeggero da lui trasportato, il
quale, già indispettito per la rovinosa caduta, diede una
poderosa mazzata con il palmo della mano sulla nuca dell’incolpevole Carmelo rischiando, durante la colluttazione
che ne seguì, di cadere nuovamente dalla sella.
Giungemmo senza ulteriori problemi alla nostra meta, ricordo che appena sceso dal mio ciclomotore rimasi per qualche
minuto bloccato con le gambe divaricate a causa di un tremendo indolenzimento dovuto al fatto che avevo percorso
circa quaranta chilometri con l’osso sacro poggiato su quattro centimetri di sellino.
Decidemmo di montare la tenda al centro di una pineta sita
nelle vicinanze di un lussuoso albergo; le operazioni di
montaggio furono quanto di più penoso si possa immaginare: urla, frasi irripetibili e perfino pianti,fecero da colonna
sonora all’immane fatica: Claudio cadde più volte a terra
alzando nuvole di polvere, Rolando era avvolto dai tiranti
della tenda in un modo tale che pareva essere stato vittima
di un gigantesco ragno, io appeso per le gambe a un robusto
ramo cercavo di tenere la tenda in piedi assicurandone la
sommità all’albero che mi sorreggeva. A questo punto
Carmelo, adducendo un passato da boy scout, si offrì di
prendere in mano la situazione dando vita a una scena che
avrebbe fatto la fortuna di chiunque avesse avuto in mano
una telecamera, ma purtroppo in quei tempi era difficile
esserne provvisti: l’immagine che tuttora ho scolpita nella
mente è quella di Carmelo supino, praticamente sospeso in
aria, con le braccia innaturalmente allungate a sorreggere
due paletti, un vecchio mattone sul quale poggiava la schiena che gli forniva la giusta distanza dal suolo e gli altri due
picchetti serrati fra l’alluce e il dito limitrofo di ogni piede
che cercava di effettuare un nodo da marinaio con la fune
stretta fra i denti! Fu allora che ci accorgemmo della presenza di due turisti tedeschi che seguivano la scena con gli
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figurina di Falcao!” Ci guardammo in faccia senza parlare
per alcuni secondi, poi Giulio disse: “ Lo sapevo, dovevamo
legarlo al lettino!” “Non raggiungere conclusioni affrettate rispose Giuseppe - d’altronde non è detto che sia stato lui”.
Uscimmo dalla tenda mostrando indifferenza proprio mentre passava il piccoletto in lacrime accompagnato dal babbo,
un energumeno alla “Bud Spencer” calvo e tatuato: “Lo
ammazzo, se lo trovo lo ammazzo!” - ripeteva ossessivamente. “Scusi egregio signore - disse Andrea con modi
signorili e il suo italiano forbito - è forse accaduto qualcosa
al suo piccolo consanguineo?” “Altrochè - rispose l’energumeno - è incredibile, mio figlio stava giocando con le figurine della Roma, quando gli si è avvicinato uno strano tipo
con le labbra sanguinanti, prima ha chiesto al bambino se
era disposto a vendergli la figurina di Falcao, poi al suo
rifiuto gliela ha strappata dalle mani ed è scappato via correndo con le punte dei piedi rivolte all’interno e le gambe
divaricate, come una specie di orso! Lo conoscete forse?”
“NO! - rispondemmo in coro - ma se ci capitasse di incontrarlo glielo faremo sapere”. Non vi erano più dubbi, se mai
potesse esistere sulla faccia della terra un altro individuo
adulto capace di rubare le figurine a un bambino, la descrizione fattaci dall’infuriato signore non lasciava spazio a
equivoci. “Non è possibile -esclamò Giulio con un filo di
voce - non può esistere un essere umano così cretino...
andiamo a cercarlo!” Sollevammo di peso “Re Giovedì” che
a causa della frustrazione di cui era preda appariva totalmente abulico e ci mettemmo a perlustrare il campeggio.
Girammo in lungo e in largo per diverse ore senza riuscire a
trovarlo e, verso le due del pomeriggio ritornammo alla
nostra tenda. Trovammo Pierclaudio seduto all’interno, che
osservava estasiato la figurina di Falcao sistemata nel suo
inseparabile album fra quella di Bruno Conti e quella di
Roberto Pruzzo, Giulio chiuse lentamente alle nostre spalle
foglio 4b
trovò riparo in una porcilaia stracolma dei simpatici suini
che sopportarono malvolentieri la presenza fra loro di quello strano essere. L’inseguitore piantonò la porcilaia per quattro interminabili ore, dopo di che, a causa degli impegni di
lavoro, fece ritorno alla roulotte con il randello in spalla,
non prima però di averci avvisato che se Pierclaudio si fosse
nuovamente avvicinato al campeggio durante i prossimi
cento anni “gli avrebbe staccato la testa dal collo.”. Dopo
qualche minuto trascorso inutilmente chiamando a gran
voce l’amico nascosto, vedemmo la rudimentale porta della
porcilaia aprirsi di colpo, ma non uscì “Guasto” come tutti
ci aspettavamo, i primi a fuggire furono i maiali. Ci fu anche
un risvolto sportivo nella faccenda: Giuseppe “No Limits”,
memore dei rodei con i maiali visti in una trasmissione sulla
seconda rete, lanciò un urlo da mandriano del Texas e balzò
in groppa a quello che per mole pareva essere il capo branco, finendo ben presto disarcionato in prossimità di un
cespuglio di rovi. Ricordo che a quel punto ebbi un attimo
di sconforto e pensai che una tale quantità di imbecilli non
poteva trovarsi concentrata in così poche persone. Quando
anche l’ultimo suino prese le distanze dall’indesiderato
ospite, ci facemmo coraggio, prendemmo un bel respiro e ci
catapultammo all’interno. “Guasto” era accovacciato carponi in un angolo, con la faccia sprofondata nella melma che
ricopriva abbondante il suolo e il deretano rivolto verso l’alto. Accortosi che il suo aguzzino era ormai lontano fece un
grosso sospiro di sollievo che gli servì, fra l’altro, a liberare
la cavità orale da alcuni pezzi di molliccio materiale marrone che aveva in bocca da quando aveva cercato di nascondersi a mo’ di struzzo. “Può darsi che la cacca dei maiali faccia guarire la cancrena che hai nelle labbra!” - sentenziò “Re
Giovedì” -, frase che scatenò in noi un’irrefrenabile ilarità
che si spense parecchi minuti più tardi. Guasto, dopo qualche resistenza, ci spiegò il perchè quel tizio provasse tanto
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Oltrepassammo la collina, ci recammo alla vicina spiaggia e
ci immergemmo in quell’acqua gelida che solo chi conosce
gli effetti che anno sul mare nove giorni consecutivi di
Maestrale in Sardegna può capire. “Ehi Vittorio, che tu sappia è molto grande la caffettiera di Carmelo?” - disse
Claudio osservando il cielo -. Guardai in alto e scorsi con
terrore una gigantesca nube grigiastra che sovrastava la collina sulla quale avevamo lasciato Carmelo. Corremmo a
perdifiato guidati da un terribile presentimento e, giunti nei
pressi dell’improvvisato campeggio, trovammo Carmelo sul
ciglio della strada che, con gli occhi sbarrati, osservava un
immane rogo partito dal suo fornellino da campeggio e propagatosi dapprima agli aghi di pino che coprivano abbondanti il suolo quindi a tutta la pineta circostante. Riuscimmo
a stento a salvare la nostra roba e, scorgendo dall’altura in
cui ci trovavamo diversi automezzi delle guardie forestali
che accorrevano da ogni parte, decidemmo di allontanarci
velocemente. Nascondemmo la nostra roba dentro una vecchia casa cantoniera e ci infilammo carponi in uno stretto
cunicolo per il deflusso delle acque piovane che passava
sotto la strada. Il primo a entrare fu Claudio, io riuscii per un
soffio a precedere Rolando che entrò subito dopo; ultimo era
il povero Carmelo, che con il naso a un palmo di distanza
dal deretano di Rolando urlò:”se ti azzardi a farlo ti uccido!”
Non fece in tempo a terminare la frase che venne investito
da una terribile flatulenza amplificata dalle pareti del cunicolo. All’uscita vi fu fra i due una breve colluttazione, ma
poi il senso di amicizia ebbe la meglio e la cosa non ebbe
conseguenze.
Trascorremmo gran parte della mattinata nascosti in mezzo
alla macchia mediterranea e solo intorno alle 14.00 trovammo il coraggio di uscire, constatando che l’incendio era
stato domato. Raccogliemmo in fretta e furia le nostre cose
e, allo scopo di interporre fra noi e il luogo del misfatto più
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mezzo alla strada, io fui il primo ad aprire gli occhi grazie
alle trombe di un autocisterna dell’AGIP che ci aveva schivato miracolosamente. Subito dopo aprì gli occhi Carmelo
che nel guardare il proprio corpo fasciato dal sacco a pelo
urlò: “AIUTO NON HO PIÙ’ LE BRACCIA!” “Apri il
sacco a pelo cretino, vedrai che le troverai la dentro!” - gridai - “ e poi alzati in fretta se non vuoi finire come quella
pelle d’agnello che ha tuo nonno in salotto!” A quel punto
anche Carmelo si accorse della poco felice posizione in cui
ci trovavamo, e con uno scatto fulmineo abbastanza anomalo, vista la sua “bradipea” pigrizia, si mise in salvo. La
discesa di Rolando era stata fermata da un cespuglio di lentischio, mentre Claudio dormiva saporitamente con il corpo
sul finire del pendio e la testa sull’asfalto, il tutto sotto la
supervisione di un gatto randagio che lo osservava stupito.
Proprio in quell’istante si svegliò Rolando, il quale come al
solito salutò il nuovo giorno con uno dei suoi poderosi
“venti” che squarciò il silenzio mattutino, strappando dalla
beata attività onirica l’amico Claudio, il quale impiegò
parecchi minuti per rendersi conto della bizzarra posizione
in cui si trovava. Allontanatici dal pericolo cercammo di
organizzare la giornata: “come prima cosa, ci vuole una
bella colazione” - disse Rolando massaggiandosi lo stomaco - “io suggerirei di andare al bar del vicino albergo!” “Ma
non dire sciocchezze!”- sbottò Carmelo - “siamo o non
siamo dei campeggiatori? Penso io alla colazione, voi andate al mare a fare un tuffo, vedrete che al vostro ritorno troverete un bel caffè fumante, penso a tutto io!” La frase
“penso a tutto io” uscita dalla bocca di Carmelo, suonava
come alle mie orecchie come un altisonante campanello
d’allarme, tuttavia decisi di non dare ascolto al mio quasi
infallibile pessimismo.
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risentimento nei suoi confronti: pare che l’anno precedente
egli si trovasse da solo nel campeggio di “Isuledda” poiché,
e la cosa non provoca in me nessuna meraviglia, alcuni
amici con i quali avrebbe dovuto incontrarsi non si erano
presentati all’appuntamento e aveva pensato bene di divertirsi alla sua maniera: introdottosi nottetempo nel ristorante,
mise un potente purgante nelle scorte di sugo presenti nei
frigoriferi delle cucine, sostituì i funghi per il risotto con
degli altri altamente tossici, segò con lavoro certosino tutte
le gambe delle sedie lasciandole attaccate per la sola forza
di gravità, defecò in diversi barattolini di plastica che poi
attaccò con della colla da falegname al di sotto dei tavoli,
inoltre, approfittando dell’influenza che tutti gli imbecilli
hanno sulle masse, fomentò una rivolta dei campeggiatori
motivandola con la scarsa igiene del ristorante. Il risultato fu
devastante per i titolari del campeggio: più della metà dei
villeggianti si recò, con Guasto in testa, negli uffici della
direzione e dopo aver distrutto mobili e suppellettili, abbandonò il campeggio senza pagare il conto.
Giungemmo al calare delle prime ombre della sera in un
secondo “camping”, quello di Cala Gabbiano, un delizioso
posto a due passi da una spiaggia bianchissima e dall’acqua
color smeraldo, poco distante dalle Grotte di Venere, un
posto dantesco raggiungibile dopo aver disceso settecento
ripidi scalini a strapiombo sul mare. Dentro di me speravo
che “Guasto” fosse già noto anche in questo campeggio così
da accelerare il ritorno a casa ma Giulio, il più saggio della
compagnia, decise di non mandare il turbolento amico in
avanscoperta come aveva fatto a “Isuledda”. Si presentava
quindi il problema di scegliere chi avrebbe dovuto espletare
le formalità di rito alla reception del campeggio. Io fui scartato immediatamente perchè Giulio temeva, non a torto, che
avrei fatto di tutto perchè ci venisse negato l’accesso anche
a Cala Gabbiano, Orlando aveva, come noto, un viso assai
foglio 5a
saggi radenti in prossimità delle sue enormi orecchie; accendemmo una quantità esagerata di “zampironi” scaccia-insetti, ma le bestiacce erano immuni a qualunque repellente. Ci
torturarono fino all’alba, quando, soddisfatte e grasse come
quaglie, se ne andarono lasciandoci quasi esangui e distesi
sul pavimento. Fu allora che notammo Guasto che roteava
con la schiena appoggiata al suolo come in genere dovrebbero fare le zanzare a contatto con i fumi dello zampirone:
Andrea a tal proposito espose una singolare teoria: secondo
lui nel DNA di Guasto era presente una massiccia dose di
geni animali non ancora evoluti che avevano reagito in quello strano modo all’effetto dello zampirone. Effettivamente
la cosa era possibile, pensai, poi stremato, cedetti alla stanchezza. Alle sette del mattino fummo svegliati dal simpatico frugoletto della tenda a fianco che rompeva il guscio a
dei pinoli usando un sasso piatto come incudine e uno zoccolo “Pescura” come martello. Orlando diventava intrattabile se svegliato prima di mezzogiorno e se a ciò aggiungiamo
lo stato d’animo derivante dalla grossa delusione della sera
precedente e l’epica lotta contro le zanzare, otteniamo una
miscela pronta a esplodere: con un gesto secco aprì la lampo
della tendina e lanciò uno sguardo degno del mitico Erode
al chiassoso bambino che, alla vista di quel viso patibolare,
lasciò cadere al suolo zoccolo e pinoli per poi fuggire correndo a perdifiato. Riuscimmo così a riposare fino alle undici circa, quando Giulio ci svegliò preoccupato per l’assenza
di Guasto. “Sarò un cretino, ma quando non ce l’ho sotto
controllo ho paura che combini casini !” “Stai esagerando risposi - quel poveraccio sarà sicuramente andato al bagno”.
Ma purtroppo era una frase che si rivelò troppo ottimistica,
dopo pochi secondi la nostra attenzione fu attratta dal pianto a dirotto di un bambino e da una grossa voce maschile
con accento romano che disse: “Non piangere figliolo,
vedrai che lo troviamo quell’animale che ti ha rubato la
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occhi sbarrati, paralizzati dall’incredibile spettacolo offertogli dall’ex boy scout. Il più anziano dei due, un pallido
signore che teneva in mano un cono gelato che ormai squagliato aveva iniziato a colargli sull’avambraccio farfugliava
frasi a noi incomprensibili con un tono compassionevole e
affascinato. Seguirono quattro interminabili ore che superarono non di poco i due minuti preventivati da Carmelo per
rizzare la tenda, durante le quali vidi i miei amici contorcersi fra funi e tubi metallici assumendo posizioni innaturali
prima di aver ragione dell’infame dimora. Trascorsi quindici secondi dal termine delle operazioni di montaggio venimmo circondati da tre auto dei carabinieri, i quali ci cacciarono di malo modo sotto la minaccia di sanzioni pecuniarie
che avrebbero rovinato anche l’avvocato Agnelli. E’ buffo
constatare la solerzia delle forze dell’ordine in tali frangenti, a tale proposito rammento che una volta mi capitò di essere minacciato, all’uscita di una discoteca, da un energumeno armato di un coltello simile a una sciabola da samurai,
ricordo che telefonai più volte ai carabinieri sollecitando un
loro intervento senza riuscire a vederne l’ombra, eppure è
sufficiente accendersi una canna o montare una tendina
canadese per vederli arrivare alla velocità della luce. Se mai
mi dovessi trovare di nuovo minacciato da un delinquente
armato la mia telefonata sarebbe la seguente: “Aiuto, sono
minacciato da un gaglioffo armato che è appena uscito da
una tendina canadese fumando uno spinello!” Allora avrei la
certezza di un immediato intervento.
Avevamo le lacrime agli occhi nello smontare la tendina rizzata con tanta fatica, ma fu un attimo di sconforto passeggero, bastò infatti che l’amico Rolando, da tempo malato di
aerofagia, dedicasse uno dei suoi caratteristici “rumori” a
coloro che con tanta disinvoltura ci avevano cacciato, per
farci tornare il buon umore.
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Vorrei soffermarmi su questo “difettuccio” di Rolando che
suscitava in tutti noi tanta ilarità: pare che il disturbo fosse
causato dalla deglutizione involontaria di aria che provocava in lui una fastidiosa dilatazione dello stomaco, alla quale
poneva rimedio emettendo delle altisonanti flatulenze.
Qualunque persona con un briciolo di buona creanza cercherebbe di evitare di compiere in pubblico tali operazioni,
ma non Rolando che aveva la pessima abitudine di addossare, con espressione impassibile, agli altri la paternità delle
sue “arie”, causando liti fra fidanzati e stroncando sul nascere storie d’amore appena sbocciate. Questo suo viziaccio fu
la causa che qualche anno dopo decretò la fine della nostra
amicizia: era un pomeriggio radioso, e il maggio odoroso
spingeva le giovini fanciulle a passeggiare leggiadre per le
vie, camminavo sereno per la Piazza Repubblica quando mi
si affiancò Rolando, a bordo di una fiammante “Golf
Cabriolet”, invitandomi a salire.
Ci recammo nei pressi del liceo “Dettori” luogo notoriamente frequentato dalle più avvenenti ragazze cagliaritane e
ivi ci fermammo; vidi Rolando armeggiare all’interno del
cruscotto dell’auto, dal quale estrasse una audiocassetta che
infilò nella autoradio, un “Pioneer” ultimo modello con altoparlanti da 500 watt. Il vigliacco aveva registrato uno dei
suoi “venti” più poderosi sul nastro appena messo all’interno della autoradio, la quale riprodusse l’osceno rumore
enormemente amplificato. Tutte le fanciulle presenti si voltarono scandalizzate guardandomi con aria schifata, mentre
io cercavo di discolparmi additando con l’indice proteso
della mano destra il mio ormai ex amico che mi osservava
con la solita faccia impassibile.
Il ricordo di quel pomeriggio suscita ancora in me, nonostante siano passati tanti anni, un pesante senso di malessere.
fino a pochi attimi prima sparì come d’incanto, e il suo viso
divenne cupo come il fondo di una miniera di carbone.
Vedemmo l’amico dirigersi verso la nostra tenda con passo
lento, spalle incurvate e occhi fissi al suolo, nella mano
destra il beffardo “testimone” passatogli dalla sua mancata
preda un tubetto verde con scritto: “CREMA DEPILATORIA RAPIDA”. “Mi avete ingannato”, - disse Orlando scoppiando in lacrime - “non si scherza con i sentimenti di un
uomo”. Quella frase ci fece capire che il nostro povero
Orlando non aveva ben chiara in mente la differenza fra i
sentimenti e i puri istinti bestiali che lui riteneva tali.
“Re Giovedì” si buttò bocconi sul lettino e rimase immobile, noi parlottammo per qualche minuto poi, vinti dalla stanchezza, ci addormentammo. Purtroppo non avevamo fatto i
conti con l’unica specie animale che, sfuggita alle leggi di
Darwin, si era evoluta appositamente per rovinare la vita dei
vacanzieri poco abbienti: le terribili “zanzare da campeggio”, veri e propri esseri maligni organizzati militarmente,
con una rigida gerarchia e capaci di strategie che avrebbero
fatto impallidire anche Napoleone Bonaparte: sferrarono il
loro attacco dopo che era trascorso un minuto esatto dalla
chiusura dell’ultima palpebra: ingaggiammo una battaglia
furiosa con gesta epiche come il tramortire la “zanzara generale” (una specie di “ape regina” del mondo delle zanzare da
campeggiatore) con una testata e mettendo in campo varie
tecniche di difesa; la giapponesina infradito di “Re Giovedì”
saettava nell’aria sibilando come una frusta da domatore,
spesso concludendo la sua corsa sulla schiena o sul viso di
qualche malcapitato che, impegnato nella singolar tenzone,
non era in grado di spostarsi in tempo. Un gruppo di zanzare riuscì con una manovra a tenaglia a disarmare Pierclaudio
che stramazzò al suolo, tuttavia gli immondi insetti, probabilmente schifati al pensiero di cibarsi del sangue appartenente a “Guasto” si limitavano ad effettuare a turno dei pas-
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poco presentabile, quindi la scelta cadde su Andrea che,
orgoglioso per essere stato prescelto, sfoderò tutto il suo
“charme” e, soprattutto, fece per la seconda volta il nome
del suo zio assessore regionale. Giulio intimò con linguaggio brutale a Guasto di comportarsi come un normale essere umano per almeno mezzora, il tempo necessario perchè ci
venisse assegnata una piazzola dove mettere la tenda, e stranamente questa volta fu ascoltato. Come tocco finale
obbligò Orlando a coprirsi il viso con un fazzoletto fingendo un mal di denti. Poche ore dopo eravamo all’interno della
tenda studiando a tavolino delle strategie per la conquista
delle turiste. “Re Giovedì” aveva tenuto la sua libidine faticosamente imbrigliata per parecchie ore e, memore del
becero luogo comune che vuole le donne straniere attratte
dagli uomini con il petto villoso, gridò: “Adesso vi faccio
vedere io!” Si stracciò con gesto fatale la camicia awayana
dall’irsuto torace, uscì dalla tenda e si diresse con passo
sicuro verso tre deliziose tedeschine che, a una cinquantina
di metri di distanza stavano mettendo ad asciugare i loro teli
da mare. Noi eravamo troppo distanti per riuscire a sentire
ciò che si dicevano, vedemmo “Re Giovedì” appoggiarsi
con fare sensuale ad un albero cui era fissata un’estremità
del filo utilizzato dalle graziose turiste per stendere e dire
qualche parola con un sorriso mefistofelico, mentre con la
mano destra si formava sul petto delle trecce alla Bob
Marley. Le ragazze dapprima lo guardarono stupite, parlottarono fra loro e una si infilò dentro la tenda. “Incredibile,
quella ci sta davvero” - dissi pensando che quel suo appartarsi fosse un esplicito invito per l’assatanato Orlando, ma
fu un’impressione sbagliata: la giovane, infatti, uscì poco
dopo con qualcosa nella mano sinistra che dalla nostra posizione non riuscivamo a identificare, qualcosa che consegnò
al nostro povero amico provocandogli un repentino cambio
d’umore. L’espressione sognante che “Re Giovedì” aveva
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Ma torniamo a noi; dopo la cacciata dal luogo in cui avevamo piazzato la tenda, si presentava il problema di trovare
uno spazio dove poter passare la notte senza provocare l’intervento di iracondi tutori dell’ordine. Identificammo l’agognato posto qualche chilometro più avanti, in una graziosa
pinetina il cui unico difetto era la pendenza pari al 40%. Si
era ormai fatto buio e decidemmo insieme di non montare la
tendina, ma di trascorrere una suggestiva notte sotto le stelle dormendo all’interno dei sacchi a pelo. Ci disponemmo in
cerchio e cominciammo a discutere del più e del meno, raccontandoci a vicenda fantascientifiche avventure amorose;
in realtà nessuno di noi credeva a una sola parola dei racconti degli altri, ma non avevamo il televisore e dovevamo
pur fare trascorrere il tempo. Verso mezzanotte Carmelo
disse: “Ora mi alzo e vado a prendere una sigaretta nello
zaino!” Carmelo era l’individuo più pigro che mi fosse capitato di conoscere, caratteristica che dimostrò anche in quel
frangente: ritenendo troppo faticoso aprire la lampo del
sacco a pelo, si alzò in piedi e cercò di raggiungere lo zaino
saltellando come in una corsa coi sacchi, ma dopo pochi
balzi inciampò in una radice che spuntava a tradimento dal
suolo, sbattendo il capo contro un grosso pino che era lì da
parecchi secoli. Carmelo rinunciò alla sigaretta e dormì
come un sasso per tutta la notte.
Intanto Rolando, chiuso all’interno del sacco a pelo, dava
sfogo alle sue turbe intestinali emettendo rumori che portavano alla mente il suono delle trombe del giudizio. Ricordo
di aver pensato che non avrei accettato di mettere il naso in
quel sacco a pelo nemmeno per tutto l’oro del mondo, poi,
vinto dalla stanchezza, mi appisolai.
Dormimmo tutta la notte con il sonno pesante dei giovani,
senza renderci conto che, a causa della forte pendenza del
terreno stavamo lentamente ma inesorabilmente scivolando
verso la Statale 195. L’alba ci sorprese praticamente in
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