quale futuro per i rimboschimenti di pino nero?

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quale futuro per i rimboschimenti di pino nero?
FORESTE/PINO NERO
Piantati a scopo di bonifica fin dal secolo scorso, hanno concluso il loro ciclo naturale
QUALE FUTURO PER I
RIMBOSCHIMENTI DI PINO
NERO?
Esclusa l’opportunità
di interventi chimici
e tenuto conto della
probabile inefficacia
di interventi
selvicolturali, si dovrà
ricorrere alla
eliminazione graduale
delle piante colpite
da arrossamento
rispettando tempi
e programmi stabiliti
zona per zona dagli
uffici competenti.
foto 1 - pineta con piante ormai completamente disseccate
*Servizio Foreste, **U. O. Foreste IASMA
Quando si parla del pino nero
in Trentino e della sua attuale
diffusione non si può ignorare
il fatto che la sua presenza è da
ricondurre esclusivamente all’azione dell’uomo. Ad ondate
successive, a partire dal 1885 e
fino al secondo dopoguerra, la
sua introduzione, con motivazioni e significati diversi, ha
condotto localmente tale specie a costituire un elemento
caratterizzante il paesaggio
forestale trentino.
Nel periodo dal 1885 al 1900
vennero rimboschite le colline
attorno a Rovereto (1886), il
versante meridionale del
Calisio, le superfici a monte dei
di fustaia sono interessanti dalla presenza più o meno marcata di tale specie, senza contare le notevoli estensioni di
cedui che vedono il pino nero
presente come specie accessoria. Riducendo l’analisi ai
popolamenti nei quali il pino
può condizionare la dinamica
delle formazioni forestali, ad
esempio laddove le percentuali
di presenza in fustaia siano superiori o uguali al 50% in volume, l’estensione delle pinete si
contrae a 5.382 ettari.
paesi di Ragoli, Preore e
Stenico. Nel 1905 iniziano i
rimboschimenti dei Lavini di
Marco, nel 1910 delle Marocche di Dro.
Tra le due guerre vengono
ampliati i rimboschimenti precedenti, estendendoli ad altre
aree (Lavini di Marco, Zugna,
conca di Vezzano e Terlago).
Infine dopo la seconda guerra,
si diffondono i rimboschimenti
di trasformazione del ceduo a
ceduo coniferato ed i rimboschimenti con finalità estetiche,
che interessano superfici anche
piccole e discontinue, ma di
grande evidenza.
Attualmente circa 12.000 ettari
I disseccamenti delle pinete
In molti di questi soprassuoli
sono comparsi già dalla fine
TERRA TRENTINA
Alessandro Wolynski*
Giorgio Maresi**
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FORESTE/PINO NERO
TERRA TRENTINA
dell’estate 2003 vistosi disseccamenti della chioma che ora
appaiono molto evidenti (foto
1) . Questo fenomeno non è
nuovo, fu osservato per la prima volta negli anni ‘50 (Capretti, 1955) e viene regolarmente
rilevato dal monitoraggio sullo
stato delle foreste trentine, effettuato dall’U.O. Foreste dell’Istituto Agrario in collaborazione con il Servizio Foreste della
Provincia autonoma. Giustificato allarme crearono le grandi
morie registrate nel 1998 che
furono però di stimolo per intraprendere alcune indagini più
dettagliate, condotte in questi
ultimi anni dall’U.O. Foreste in
collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie -Sezione patologia forestale- dell’Università di Firenze. In questa nota
vengono presentati i principali
risultati ottenuti.
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L’agente patogeno
Fin dalla loro prima segnalazione, i disseccamenti del pino
nero sono stati associati alla
presenza di Sphaer opsis
sapinea (Fr.) Dyko & Sutton
nei tessuti attaccati. Le osservazioni di Capretti (1955) sono
state confermate dalle indagini più dettagliate condotte nel
1998 (Maresi et al, 1999) che
hanno evidenziato come questo fungo imperfetto sia il principale colonizzatore dei getti e
dei cimali disseccati. Più volte
nel passato, ma meno frequentemente negli ultimi anni, è stato osservato anche l’ascomicete
Cenangium ferruginosum
(Fr.): la presenza di questo
parassita appare però sporadica e concentrata sui rami
aduggiati delle piante sofferenti, suggerendo pertanto un
suo ruolo minore nella manifestazione del fenomeno.
S. sapinea è nota già dagli inizi
del ‘900 ed è studiata come
agente patogeno delle conifere, su cui provoca sintomi che
vanno dai disseccamenti di
aghi e getti (foto 2), alla
colonizzazione e colorazione
dei tessuti legnosi, alla formazione di cancri sulle cortecce.
Sul pino nero si ritiene che il
parassita penetri negli aghi e
nei getti mediante ferite, invadendo poi i tessuti legnosi: le
piante vigorose isolano con
abbondante produzione di resina il getto disseccato che cade
poi naturalmente; su piante indebolite il fungo si propaga nel
ramo e può arrivare al tronco
dove si evidenzia per la colorazione bluastra che fa assumere al legno. Occludendo i vasi
legnosi il parassita provoca il
disseccamento della pianta,
che spesso viene anche colonizzata da scolitidi come Ips
sexdentatus, capaci di portarla
rapidamente a morte.
Dalle indagini effettuate è risultato che il parassita è presente
ovunque nelle pinete trentine:
le sue fruttificazioni (pustole
nerastre detti picnidi) sono infatti assai comuni e ben evidenti, anche nelle pinete apparentemente sane, sulle vecchie pigne sia a terra che sulle piante.
Il fungo è stato inoltre isolato
con regolarità da tessuti di rami
ancora verdi, raccolti in
soprassuoli colpiti o meno;
questa presenza è stata recentemente confermata da saggi
biomolecolari che hanno permesso di identificare il
patogeno su gemme di getti
verdi in piante sane. é quindi
ipotizzabile che S. sapinea sia
capace di sopravvivere come
endofita o, più correttamente,
in uno stato latente nei tessuti
del pino, come del resto dimostrato anche da Flowers et al.,
(2002) negli Stati Uniti.
I conidi del patogeno sono stati
osservati, sia pure in quantità
significativamente diverse sia
in una pineta sana che in un
bosco fortemente colpito. La
loro diffusione è apparsa lega-
ta al periodo vegetativo, ben
correlata con le alte temperature e la ventosità, meno con i
periodi piovosi. A temperature comprese tra i 20° e i 30° C
avviene anche la migliore
germinazione. Anche l’insetto
Gastrodes gossipes che svolge
il proprio ciclo tra gli strobili
infetti ed i nuovi getti è stato
individuato come possibile vettore dei conidi (Feci et al.,
2002). Gli isolati del fungo,
compresi quelli ottenuti dai tessuti sani, hanno mostrato una
forte omogeneità genetica ed
afferiscono tutti al gruppo A,
considerato il più virulento del
patogeno.
La patogenicità di alcuni isolati ricavati dai tessuti verdi è stata confermata in prove di
inoculazione condotte su
rinnovazione naturale di pino
nero. Però nessuno dei ceppi
saggiati ha mostrato virulenza
elevata e su molti getti inoculati l’infezione non è andata
oltre gli stadi iniziali o non si è
manifestata. Ciò evidenzia
come anche in un contesto naturale la pericolosità del fungo
sia strettamente dipendente
dalle condizioni in cui si trova
la pianta ospite ed in particolare dal contenuto idrico dei
tessuti. é ormai noto infatti che
il patogeno si avvantaggia delle condizioni di sofferenza legate stress idrico subito dalla
pianta. Per il contesto trentino
questo legame è stato evidenziato dall’analisi tra i dati climatici e l’andamento dei danni
nelle pinete, con cui si è potuto rilevare come i forti attacchi
rilevati nel 97-98 si siano manifestati dopo periodi di forte
stress tardo invernale, a sua
volta preceduto da deficit
idrico estivo (Eccel et al, 2003).
Va ricordato che gran parte dei
rimboschimenti di pino nero
vegetano nella fascia delle specie macroterme e spesso sono
stati realizzati su terreni assai
poveri, generalmente su
substrati calcarei e su pendii
esposti a sud, sud ovest. Tutte
queste situazioni sono sicuramente predisponenti a situazioni di stress idrico, che può
a sua volta essere accentuato
dalla concorrenza con le altre
piante. Nel corso del 2003,
sono state monitorate con regolarità 12 aree di saggio permanenti scelte nelle pinete della valle dei laghi: i disseccamenti sulle piante hanno avuto un rapido aumento nell’autunno dopo la primavera e
l’estate sensibilmente più calde della media. Le aree di saggio esaminate si riferiscono ad
impianti già fortemente colpiti
negli anni precedenti e su cui
sono stati particolarmente intensi gli interventi di diradamento. Questi non hanno eliminato evidentemente il problema dei disseccamenti , riuscendo forse solo ad attenuarlo un po’.
Al momento si sa ben poco
sulle condizioni microclimatiche ed eco-fisiologiche che
intervengono a far passare il
fungo dalla fase endofitica a
quella parassitica. Questi punti dovranno essere al centro
delle prossime indagini.
Considerazioni ecologiche e
selvicolturali
Quanto detto fa emergere una
difficoltà oggettiva nel contenere il disseccamento dei
rimboschimenti di pino nero
dovuto a Sphaeropsis: è abbastanza logico che non è possibile intervenire in alcun modo
chimico sui boschi colpiti, oltre per l’evidente danno ecologico generale anche per la diffusione ubiquitaria come
endofita del fungo che
vanificherebbe eventuali trattamenti. Per gli stessi motivi anche l’asportazione delle piante
infette non riesce comunque
ad eliminare la presenza del
patogeno.
La gravità degli attacchi di S.
sapinea sul pino nero va quindi valutata in termini relativi,
considerando il significato ecologico e funzionale svolto dal
pino all’interno dei popolamenti forestali attuali.
Sotto l’aspetto ecologico, oltre
all’intensità dell’attacco, assumono importanza la fascia di
vegetazione, la fertilità stazionale, l’estensione, la densità e
il grado di purezza dei popolamenti attaccati, nonché lo stadio di sviluppo degli stadi
successionali.
Sotto l’aspetto funzionale van-
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foto 2 - getto di pino disseccato per Sphaeropsis sapinea
no valutati il tipo e l’importanza delle funzioni svolte dal
popolamento, che possono
essere delle più varie, da quella estetico paesaggistica, a
quella turistico ricreativa, a
quella di protezione di abitati
o di protezione idrogeologica
generale.
La definizione degli interventi
più appropriati nei rimboschimenti di pino nero attaccati
dal patogeno potrà quindi differire in maniera anche notevole, e non è proponibile una
modalità di intervento generica ed indifferenziata valida per
tutte le situazioni. Occorre inoltre ricordare sempre che tali pinete sono da considerarsi
soprassuoli transitori, con funzioni pioniere, che prima o poi
andranno sostituiti con altre
specie.
Nel caso di pinete già attaccate
dalla Sphaeropsis i problemi
che si pongono sono la graduazione della velocità di smantellamento del popolamento principale e l’opportunità o meno
di asportare il materiale legnoso infetto, problema spesso legato alla localizzazione e alla
possibilità di recupero del materiale. A questo proposito va
ricordato che piante con più
del 50% della chioma disseccata sono difficilmente recuperabili e pertanto andrebbero eliminate (foto 3). Nel caso di piccoli rimboschimenti con funzione ricreativa, in genere facilmente accessibili, il taglio e
l’asportazione del materiale
può essere agevolmente effettuato anche in più riprese, in
relazione all’evoluzione della
presenza del patogeno. Lo stesso si può fare laddove vi sia un
interesse diretto connesso alla
vendita del materiale legnoso
o al suo utilizzo come legna da
ardere da parte dei censiti; viceversa, nel caso di rimboschimenti di scarsa accessibilità o molto sparsi su ampie su-
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bilità individuale che dalle condizioni microclimatiche e
stazionali. La gravità delle perturbazioni indotte dal patogeno sugli ecosistemi boscati
va comunque valutata in modo
diverso in relazione a fattori sia
ecologici che funzionali. Per
tale motivo le scelte selvicolturali generali del Servizio
Foreste e fauna, mirano ad una
progressiva sostituzione delle
pinete, favorendo il ritorno alla
copertura di latifoglie, ed adattandosi alle specifiche situazioni concretamente riscontrabili
sul terreno.
TERRA TRENTINA
foto 3 - gli effetti dei disseccamenti
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perfici, l’eliminazione del materiale può costituire un problema. Peraltro, qualora l’ampiezza dei rimboschimenti sia
limitata, oppure sia già presente una attiva situazione di successione, o ancora si tratti di
pino nero in mescolanza con
altre specie, la gravità dell’attacco a carico del pino nero
non costituisce un pericolo per
il bosco, che trova già al suo
interno gli elementi di
riequilibrio in grado di garantire la copertura del suolo e la
sostituzione di specie; in tali
casi la necessità di intervento
non è più così urgente. Eventualmente, in presenza di una
funzione paesistica svolta dal
soprassuolo, può essere sufficiente il taglio delle piante ed
il suo abbandono con sommario accatastamento in loco; in
situazioni di terreni magri e a
scarso spessore, seppur a lungo termine, tale soluzione può
anche avere un effetto miglio-
rativo del suolo. Diverso il caso
di popolamenti estesi e puri
attaccati dalla Sphaeropsis,
dove la successione non si sia
ancora attivata. In questo caso
il taglio e l’allontanamento,
oppure, in assenza di viabilità,
la scortecciatura delle piante
tagliate per ridurre il pericolo
di attacchi di Ips sexdentatus
diviene più che opportuno e va
effettuato con la necessaria gradualità, in maniera tale da consentire il parallelo ingresso delle latifoglie.
Conclusione
La presenza del debole
patogeno S. sapinea nelle pinete trentine è ormai da considerarsi ubiquitaria e costante
ma la sua dannosità è legata ai
sempre più frequenti periodi di
anomalie meteorologiche ed in
particolar modo alle ripetute
situazioni di deficit idrico. La
risposta delle piante è sicuramente modulata sia dalla varia-
Bibliografia
Capretti C. (1955). Il disseccamento dei rami di pino
causato da Diplodia pinea
(Desm.) Kickx. Monti e Boschi 6: 271-274.
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disseccamenti da Sphaeropsis Sapinea su pino nero in
Trentino. In: De Angelis P.,
Macuz A., Bucci G.,
Scarascia Mugnozza G. Società Italiana di Selvicoltura
ed Ecologia Forestale (eds.),
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Tegli S. (2002). An association between the fungus
Sphaeropsis sapinea and the
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in Italy. For. Path. 32: 241247.
Flowers J., Nuckles E., Hartman
J., Vaillancourt (2001). Latent
infection of austrian and
scots pine tissue by
Sphaeropsis sapinea. Plant
disease, vol.85 n.10: 11071112.
Maresi G., Ambrosi P., Confalonieri M., Capretti P. (1999).
Disseccamenti da Cenangium ferruginosum e Sphaeropsis sapinea nelle pinete
trentine. Monti e Boschi L, 2:
35-41.