e sei anche fortunata - Libreria delle Donne Bologna

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e sei anche fortunata - Libreria delle Donne Bologna
E SEI ANCHE FORTUNATA
AZIONE DI RESISTENZA ARTISTICA – DI E CON ROSAROSAE
Il pubblico si raduna per qualche istante in A, dove possono guardare i pannelli con la mostra. Maddalena
ed Eloisa aprono le porte e fanno entrare il pubblico. Irene e Donatella sono sedute sulle poltrone da ufficio,
girate (1 e 2). Le altre stanno aspettando in B, con i curricula – fogli di sala. A mano a mano che il pubblico
si accomoda, danno loro i loro cv, dicendo “Posso lasciarle il mio curriculum?”. Quando il pubblico è
abbastanza tranquillo, tutte le altre si siedono come per una foto di gruppo in 12, cioè davanti o sulla
scrivania. Elvira deve stare al centro, pronta col microfono. Irene e Donatella si alzano, si danno la mano e
parlano. Sabato 3 legge questa parte Eloisa.
I. IRENE
DONA
Sono precaria
IRENE
Etimologicamente la parola precaria deriva da una antica e sorpassata usanza medioevale: i precari
erano coloro che, nell'impero carolingio, PREGAVANO, per ottenere un incarico
DONA
Sono precaria e cerco lavoro
IRENE
Agenzia di mediazione creditizia ricerca segretaria con ottima conoscenza del computer, capacità
comunicative, bella presenza
Cercasi donne di bella presenza per attività commerciale
Cercasi cassiera di bella presenza massimo 30 anni per lavoro da martedì a sabato
Cercasi commessa lasciare curriculum con foto
DONA
Il tasso d’occupazione a Modena prima della crisi era superiore al 62% ora è sotto al 60%. Non
posso comunque lamentarmi rispetto a chi vive in provincia di Caltanissetta dove solo il 24% delle
donne è occupato...
IRENE
Parliamo di lavoro ma mi rendo conto che stiamo parlando di Vita - Libertà - Benessere
DONA
Si perché se mettiamo al centro il lavoro ci rendiamo conto che tutto è collegato, TUTTE LE
DIMENSIONI DELLA VITA SONO COLLEGATE:
IRENE
se fai fatica ad arrivare alla fine del mese, è febbraio e ti viene l’influenza, che fai? Vai in farmacia a
comprare l’ultimo ritrovato della scienza e della tecnica o aspetti che ti passi?
DONA
Il 7,5% di donne italiane ha rinunciato nell'ultimo anno ad una visita specialistica per mancanza di
reddito
IRENE
Se il tuo stipendio è basso e tua madre anziana ha un ictus e non è più autosufficiente, cosa fai? La
metti in una struttura protetta o te ne occupi tu?
DONA
Nel 38,4% dei casi ad occuparsi del malato è la figlia e nel 20,8% la moglie
IRENE
Se sei una supplente in attesa di conferma, nel tempo libero cosa fai? Fai la gita fuori porta alla
biennale di Venezia o all’ultima interessante mostra sull’espressionismo tedesco? Oppure resti a casa
a sperare che il telefono squilli?
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DONA
Le donne hanno a disposizione per il tempo libero meno di 3 ore della propria giornata
IRENE
Se hai un lavoro precario e figli piccoli, e nel tuo comune si è tagliato il tempo prolungato, al
pomeriggio cosa fai? Paghi una baby sitter? Mandi i tuoi figli in una scuola privata? O lasci il
lavoro?
DONA
Il 27,1% delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la maternità per accudire i propri figli
IRENE
Se hai un lavoro ben retribuito, una prospettiva di carriera, uno stipendio equiparato a quello del tuo
collega maschio, una qualifica corrispondente al tuo livello di istruzione…….NON SIAMO IN
ITALIA!
DONA
In Italia per il 43,6% delle laureate l’impiego non valorizza il titolo di studio
IRENE
Le donne hanno capito prima degli altri che non ci sarà nessun progresso se si rimane fermi allo
sguardo sulle donne
DONA
è tempo, ADESSO, che il mondo prenda in prestito gli occhi delle donne per allargare il suo
sguardo
IRENE
(passo avanti) Irene Guadagnini, attrice e quindi precaria. (cioè: Eloisa Betti: ricercatrice, quindi
precaria)
DONA
(passo avanti)Donatella Allegro, attrice quindi precaria.
Donatella va in 13 (consolle audio), Federica in 4, Eleonora in 10, Eloisa in 7, Giulia in 8, Maddalena in 9,
Francesca in 3, Elena in 5, Caterina in 6. Irene, Prima di andare a sedersi in 11, stringe la mano a Elvira e
le lascia il suo microfono.
II. ELVIRA
ELVIRA
Ore 03:15 a.m. Non riesco a dormire. Proprio non ce la faccio. Mi giro e ri-giro nella
speranza un po’ egoistica che il fruscio delle lenzuola e miei sbuffi riescano a svegliare Silvia o Ernesto. Ma
niente. Dormono, beati loro. Finché hanno potuto hanno retto: ascoltando pazienti le mie ansie, che poi un
po’ sono anche le loro. In effetti questo periodo non è semplice per nessuno. E alla fine si arriva sfiniti. Le
chiacchiere che condiscono le nostre cene hanno perso la leggerezza di qualche mese fa. Alla fine ci
ritroviamo a dormire in tre nella stessa stanza. Quando spegniamo la luce poi iniziamo a rincorrere tutti
insieme i pensieri. E da venerdì io cerco di infilare nei nostri discorsi quella parola: stabilità. “In questo
momento ho bisogno di stabilità”. Così mi hai risposto, quando ti ho scritto da Bruxelles, chiedendoti di
raggiungermi. Anche solo per un fine settimana. Forse è per questo che ti scrivo. Perché me l’hai ripetuta due
giorni fa. Stabilità E nel fiume in piena che è stata la discussione, l’ho lasciata scivolare via . Sì forse ti
scrivo per capire. Cos’è la stabilità? E sì, sono giovane e ho tutta la vita davanti. E sì, forse non lo capirò
mai. E no, io lo voglio capire. Ora. Proprio a quest’ora: alle 3 del mattino della notte prima del colloquio di
lavoro. Già, domani ho il mio primo “vero” colloquio di lavoro. Domani, cioè oggi, dopo ieri, quando mi hai
detto che “non è il momento” e poi mi hai pure abbracciato. Stronzo. E io domani, cioè oggi, prendo il treno
e vado a Bologna. La telefonata mi è arrivata proprio mentre eravamo insieme, stavamo discutendo, il futuro,
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il passato, recente e remoto, il presente. New York, tu. Bruxelles, io. La nube del vulcano. Italia, tu. Russia,
io. Seguirsi. Inseguirsi. E trovarsi persi, nello stesso posto. Il tempo i tempi. E ancora non ci credo. Io che
sono tornata in Italia solo perché avevo voglia e bisogno di vederti, farò il colloquio con la possibilità di
trasferirmi a Bologna.Stronzo anche il destino, che si prende gioco di me. Forse. Un po’ come hai fatto tu.
Forse. (se vuole, scende dalla scrivania
È passata un’ora e 2 caffè - E sono ancora qui. Non mi va di dormire. Vorrei capire. Probabilmente non è
utile,o “rilevante” come sei abituato a dire tu (!) perché non serve cercare di capire. Ora. Certo, la ragione
mi suggerisce che è anche una questione di volontà. E ce ne vogliono, nella fattispecie – scrivo pure come
piace a te – due. La mia non basta. Rigorosamente...1+0=0. Però sapere che quello che posso fare/avere non
è abbastanza e non poter fare altro, mi toglie proprio il respiro…
…
Sì ce l’ho fatta. Ho un contratto. Uno stipendio. E una montagna di libri da leggere. Mi hanno detto che sono
in gamba. Eppure avevo le occhiaie, non la gonna. I ritmi di lavoro saranno serrati. E ho spaventato anche
me stessa per il sollievo che ho avuto come reazione. Il respiro che mi son tolta per tutta la notte l’ho tirato
fuori. Orari difficili e week-end corti. Ora non cerco altro. A parte una casa a Bologna. 50 km più in là di te.
Un pezzo di carta con la parola “a progetto” in grassetto. Tre mesi, poi sei, poi dodici. E mi viene quasi da
ridere a pensare che mi hai chiesto l’impossibile: la stabilità…
Mddalena fa partire la musica. Prima si alza Eleonora, che va a sedersi in 1, gira la sedia verso l’interno, e
leggermente verso il fondo. Contemporaneamente, Elvira va a sedersi al suo posto, mentre si incrociano si
passano il microfono. Federica, che dovrebbe avere un altro microfono, raggiunge Eleonora al centro.
Prima che si sieda, Eleonora le porge la mano. Rimangono così fino a che finisce la musica: a quel punto
Eleonora le dice la prima battuta e Federica si siede in 2. Federica guarda Eleonora, ma Eleonora non
guarda Federica.
III. FEDERICA
ELEONORA
Prego, si accomodi
FEDE
Buongiorno, grazie per il colloquio, per questa opportunità
ELEONORA
Lei è…Nazzone...?
FEDE
Sì,…no Mazzoni, M di Milano e I di Imola…sì, sì…
Lungo silenzio
ELEONORA
Mmm…vedo che lei si è laureata da poco…
FEDE
Sì, sei mesi fa
ELEONORA
Una neolaureata, quindi…
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FEDE
Sì…ho comunque già avuto modo di fare esperienza con stages in alcuni enti pubblici, tra
cui la Regione Emilia-Romagna e l’ASL, dove ho seguito un progetto sulla promozione della
salute delle donne straniere che è stat…
ELEONORA
(interrompe) Sì, sì, sì…sì…sì…vedo…ehm…lei però è giovane
FEDE
Ehm, sì…ho 25 anni
ELEONORA
25 anni, lei è giovane.
FEDE
Sì, ho completato il mio ciclo di studi in corso…e poi molti miei coetanei all’estero lavorano
già da qualche tempo alla mia età, quindi, sì, sono giovane ma...
ELEONORA
Senta, io non so se lei si rende conto della situazione economica in cui ci troviamo…è vero,
non siamo in Grecia, lì è davvero drammatica la situazione, anche perché sono così greci in
Grecia…
Guardi, quello che io posso offrirle è uno stage in cui lei viene qui, sta con noi, le
richiediamo una costanza giornaliera, altrimenti lei non è in grado di capire come funziona il
vero mondo del lavoro, non può esserci utile ed è una perdita di tempo…
FEDE
Credo ci sia un equivoco. Io ho risposto all’annuncio di lavoro che avete pubblicato sul
vostro sito…
ELEONORA
Ah, sì quell’annuncio...senta noi non abbiamo soldi e comunque, anche se li avessimo, non li
daremmo a una giovane neolaureata, li impiegheremmo per una figura professionale…più
formata…più delineata e matura, lei ha al suo attivo solo la laurea e qualche altra esperienza
di stages…
FEDE
Mi faccia capire meglio, il posto di lavoro non esiste?
ELEONORA
Certo che esiste! Le ho appena offerto uno stage!
FEDE
Lo stage non è lavoro, lo ha appena affermato anche lei
ELEONORA
Lo stage è lavoro. È lavoro che lei fa per imparare a lavorare. Non penserà di sapere già
lavorare anche nella nostra agenzia
FEDE
Quindi, secondo lei, per imparare a lavorare io devo lavorare gratis, regalando le mie
competenze, il mio tempo e la mia energia e senza alcun diritto, tutela, prospettiva di crescita
professionale concreta...?
ELEONORA
Bisogna essere umili e intraprendenti per entrare nel mondo del lavoro…e poi ci vuole anche
fortuna
FEDE
No. No, non è così.
Eleonora si gira di spalle con tutta la sedia. Federica si alza e parla direttamente al
pubblico.
FEDE
No. No, non è così.
Eleonora si gira di spalle con tutta la sedia. Federica si alza e parla direttamente al pubblico.
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Sono cresciuta con le parole e le incitazioni di mia madre che mi augurava di fare nella vita
un lavoro che mi piacesse, corrispondesse alle mie attitudini e passioni.
Autodeterminazione si chiama, e ha al suo interno tutti i tanti, sfaccettati e diversi, a volte
ambivalenti e contraddittori, progetti di vita che desidero realizzare.
Il lavoro per me è la possibilità di fare la mia parte per migliorare la società in cui vivo, il
mio paese. Lavorare è stare nelle cose che succedono, essere pronta, preparata, competente
con responsabilità e desiderio. Lavorare è guadagnare ricchezza: personale, di crescita
umana, intrecciando relazioni, sperimentandomi (chi lo vuole il lavoro fisso per tutta la
vita?!?). Desidero mettermi alla prova, cambiare, incidere, essere dinamica ma senza non
riuscire a dormire alla notte per un tirocinio che mi sta scadendo e nessuna prospettiva
successiva, guardarmi allo specchio e dirmi che io a 25 anni proprio non posso lasciare la
casa dei miei genitori perché non saprei come mantenermi, sebbene mia madre fosse già mia
madre da più di un anno alla mia età... ed è in questi momenti che capisco come non si possa
vivere a compartimenti stagni: essere una donna adulta e allo stesso tempo ancora figlia che
vive con mamma e papà, una donna che desidera arredare la propria casa e una figlia che
deve adattarsi a regole imposte dai genitori…
“Donna che lavora”: le mie amiche scherzando mi chiamano “donna in carriera”, perché
sono spesso impegnata, indaffarata, passo dall’ufficio dove sto svolgendo uno stage…sì, sì,
alla fine sto facendo un altro uno stage...ma con rimborso spese, però!
Una vita che avanza e che rimane immobile allo stesso tempo. Il lavoro è un progetto, è una
parte fondante del mio essere donna e cittadina. Il lavoro è anche ricchezza economica, la
possibilità di disporre di denaro per essere autonome, non affogate dalla dipendenza da
qualcuno che mi deve mantenere, sostenere...
Il lavoro ha molto a che fare con il potere.
Donatella fa partire la musica. Eleonora e Federica si alzano. Giulia si alza e va verso passando
dall’esterno. Eleonora, le stringe la mano, le dà il microfono, e se ne va. Giulia si siede in 2 (cioè dove
prima era seduta Federica). Quando Giulia è già seduta Elena si alza e viene a sedersi in 12, sulla scrivania
(come Elvira prima). Federica va a prendere il suo posto a sedere e intanto le passa il microfono. Giulia
ruota la sedia di spalle e guarda verso Elena che parla. Si gira appena prima di cominciare a parlare e si
rigira quando ha finito.
IV. ELENA
ELENA
Parliamo di lavoro, di colloqui di lavoro: colloqui di lavoro in cui sono coinvolte le donne.
E ci immaginiamo la classica scena, il selezionatore/la selezionatrice dietro una scrivania,
stretta di mano prima di iniziare e le domande canoniche con un botta risposta trito e ritrito
(con avances di vario genere) e con qualche variante fatta di balle e trabocchetti da PNL.
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Ma cosa succede se sposto lo sguardo su quei rapporti lavorativi che non prevedono
nemmeno queste farse? Cosa succede se prendo in considerazione quelle situazioni in cui
siamo soprattutto noi donne a decidere e a stabilire i criteri? In che modo cambiano e
cambiamo le cose? Giulia si gira in avanti con la sedia.
GIULIA
La mia donna delle pulizie me l’ha consigliata il mio collega, mi ha detto che era brava e
veloce e mi sono fidata. È ghanese, viene da me due volte alla settimana. Preferisco non farle
domande, non so neanche quanto capisca l’italiano, anche se in casa devo dire che ha fatto
tutto quello che le avevo chiesto. Se c’è qualcosa che non va me lo dirà mi auguro, per ora
preferisco mantenere certe distanze. È pur sempre un rapporto di lavoro.
ELENA
Mia traduzione: “Donna: essere di sesso femminile che parla una lingua straniera, ma ha
comunque imparato a interpretarne i bisogni e le necessità. Ha la vocazione di prendersi cura
di luoghi vissuti da altri – il mondo ad esempio – senza pretese e riconoscimenti.”
GIULIA
Alla mia donna delle pulizie do quello che da sempre le dà il mio collega, non voglio
mettere in difficoltà lui o mettere in imbarazzo lei proponendole una cifra diversa. E poi sai,
10 € in più sono tanti anche per me e il mercato è quello, 7 € all’ora. Al contratto non ci ho
pensato e poi credo che in nero le facciano più comodo.
ELENA
Mia traduzione: “Donna: essere di sesso femminile che ha la capacità di intendere ciò che è
necessario per mantenere un guadagno per questo mondo, sapendo valorizzare l’esistente.”
GIULIA
Ho chiesto alla mia donna delle pulizie se riesce a stirarmi anche le camicie di Marco. Non
mi sembra che pulire casa e stirare in 2 ore sia un’impresa, non credo che le costi molto.
L’ultima volta ha innaffiato le piante anche se non gliel’avevo neanche chiesto.
ELENA
“Donna: essere di sesso femminile, capace di rendere efficiente il tempo, mettendo a
disposizione spazi di vita propria e coltivando la vita anche in spazi di lavoro.”
GIULIA
La mia donna della pulizie è sempre puntuale, ma l’altro giorno mi ha avvertita solo qualche
ora prima che non sarebbe venuta. È già la seconda volta in 6 mesi che non viene perché sua
figlia non sta bene. Dovrebbe avvertirmi almeno qualche giorno prima perché devo
organizzarmi. Gira nuovamente la sedia di spalle.
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ELENA
“Donna: essere di sesso femminile, capace di comprendere e ammettere i propri limiti nel
momento in cui si presentano. Forte della sua fragilità, privilegia l’esistenza all’efficienza, in
un modo inatteso al mondo.”
Che fine fa la donna che entra nelle nostre case? Dov’è?
Che fine fa la domanda che apre alla relazione?
Come fa una donna a non tener conto della risposta di un’altra donna?
Eppure, tra le righe di un parlare banale, tra le righe di una recita, mi è sembrato comunque
salvo qualcosa della relazione tra donne.
Ho voluto salvare qualcosa dell’essere donna.
Non solo donna migrante, donna, punto.
Sì è vero, nel tentare queste traduzioni ci ho messo un po’ del mio, perché forse pretendo che
in quelle parole di donne – non solo giovani ma sempre drammaticamente moderne – ci sia
una inconscia consapevolezza della ricchezza dell’essere donna e che per loro quel
linguaggio di frasi fatte sia l’unico modo per comunicarla.
Nei silenzi, imbarazzi, sguardi, gesti di queste donne che descrivono le “loro donne delle
pulizie” ho colto un segnale di esitazione, un rimanere sulla soglia di una domanda presente
da qualche parte, indicibile e intraducibile e che spesso si manifesta come insofferenza verso
l’altra, ma che io ho sentito come angoscia per l’inesprimibile.
Musica. Si alzano Irene e Maddalena e vengono lentamente in avanti. Elena scende dalla scrivania, Giulia si
alza dalla poltrona. Si mettono dietro alle due poltrone 1 e 2 e le aspettano. Maddalena va in 1 e Francesca
in 2, ma prima di sedersi si stringono la mano. Elena e Giulia le girano con tutta la sedia in modo che si
diano le spalle a vicenda, e per il pubblico siano di profilo. Poi vanno a sedersi nelle sedie rimaste libere.
V. – VI. MADDALENA E FRANCESCA
MADDA
Storia di "una privilegiata"
Mi sono laureata con il massimo dei voti. Ho cominciato a lavorare prima ancora di
terminare gli studi. Dopo qualche anno, ho deciso di partire. Di andare all'estero per
specializzarmi.
Poco dopo, si presentò un'occasione. A Milano, un'azienda di servizi operante nel mondo del
design cercava una nuova responsabile per una struttura di grande pregio.
Un'assunzione a tempo indeterminato con tanto di tredicesima e quattordicesima, contributi,
Tfr, diritti sindacali. Un'occasione assolutamente straordinaria.
Accettai. Mi trasferii a Milano, piena di entusiasmo. Sentendomi una privilegiata.
In pochi mesi mi guadagnai la fiducia dei miei responsabili. Avevo costituito un nuovo team
di lavoro. La struttura cominciava a cambiare aspetto. Erano stati acquisiti nuovi spazi.
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L'andamento semestrale delle entrate era in forte crescita. Il perenne deficit di questa piccola
realtà cominciava una lenta inversione di rotta. Io lavoravo fra le dieci e le quindici ore al
giorno, dal lunedì al venerdì, con il sorriso sulle labbra. Una media di sessanta ore a
settimana.
FRANCESCA
Siamo durante gli anni delle superiori. La mamma di una mia amica possedeva una
tabaccheria. Capitava spesso che la mamma chiedesse alla figlia di sostituirla a lavoro nel
pomeriggio; e la mia amica, per non annoiarsi, mi invitava a farle compagnia. Ad un certo
punto, stanca di stare solo a guardare e presa dalla voglia di lavorare, cominciai ad entrare
dietro le quinte del negozio e ad aiutarla. La facilitavo nel vendere sigarette, accendini,
caramelle, dolciumi, patatine, quaderni, penne, matite, e ho imparato anche a fare le
fotocopie. Dopo un po’ che mi applicavo, sua mamma cominciò ad “apprezzare” la mia
presenza attiva lì al negozio: cominciò a pagarmi. Ma a modo suo. Quando mi andava bene,
mi dava quindici o venti mila Lire, quando mi andava male, mi dava due pacchetti di
sigarette o cioccolatini oppure caramelle. Ovviamente lavoravo in nero, come la figlia, che,
oltretutto, era lì già da quando aveva quattordici anni – e chi poteva mai dirle nulla? Era la
moglie dell’ispettore della polizia!
Comunque sia, questa esperienza è entrata nel mio Curriculum, anche se non c’è nulla che
possa confermarla.
MADDA
Sulla mia famiglia si abbatté una disgrazia ed io divenni improvvisamente assetata di tempo
libero. Nelle buste paga non vi era traccia della retribuzione dei moltissimi straordinari. Ebbi,
quindi, quello che allora considerai un colpo di genio. Andai a parlare con il mio
responsabile proponendogli uno scambio. Rinunciavo al pagamento degli straordinari, in
cambio del recupero forfettario delle ore. Una prassi in molte aziende. Assistetti a una scena
estremamente educativa. Mi sentii dire che non ero stata assunta dal comune di Milano, dove
notoriamente ai dipendenti cade la penna dalla mano al termine delle otto ore lavorative, ma
che ci si aspettava che io "credessi nel progetto" e fossi dedita al mio lavoro, senza essere
così meschina da contare le ore di straordinario.
Le giovani donne costituivano la stragrande maggioranza della forza lavoro. Inoltre, si sa,
per chi lavora nel mondo della comunicazione e degli eventi la bella presenza aiuta. Aiuta le
relazioni esterne, ma anche quelle all'interno della stessa azienda. Le allusioni sessuali erano
all'ordine del giorno: battute, apprezzamenti pesanti, volgarità a ruota libera. E chi provava a
mettere un freno, veniva tacciata di scarso senso dell'umorismo e di una certa gravità
d'animo. Per tanto, era da ritenersi normale che i tre soci ti interrogassero sulla tua biancheria
intima, ti proponessero di sederti sulle loro ginocchia, alludessero al tuo ruolo nei loro sogni,
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si sbizzarrissero con i doppi sensi, commentassero il tuo abbigliamento e tentassero varie
forme di seduzione non sempre raffinate.
FRANCESCA
Una mia amica, che faceva l’istruttrice di ginnastica ritmica, mi disse che cercavano
qualcuna per insegnare presso il corso base. Io ovviamente, accettai! Ero entusiasta e
spaventata. Volevo cimentarmi nell’insegnamento con un metodo antitetico a quello
autoritario e duro che avevo dovuto subire quando io ero al loro posto, con istruttrici
isteriche e con un rapporto patologico col cibo: ‘pillole di autostima’ fatte di: “dimagrisci”,
“hai un sederino un po’ abbondante,” e altre frasi del genere, mi venivano somministrate già
dall’età di otto anni. Nonostante i buoni propositi, è stato difficile realizzarli. Un po’ perché
sono difficili di per sé, un po’ perché ho sentito il gap generazionale. Non solo, ero
impreparata anche ad affrontare i genitori. Da quelli che pretendevano che la ginnastica
potesse risolvere i problemi comportamentali delle figlie a quelli (soprattutto le mamme
purtroppo) che mi chiedevano se la figlia avesse bisogno di dimagrire per essere più brava.
Che tipo di contratto avevo? Non ho mai sentito parlare di contratto. Ricevevo, alla fine di
ogni mese una busta paga, ma nel senso letterale del termine! La responsabile amministrativa
mi dava una busta da lettera con dentro dei soldi. Si può dire che si trattasse di una specie di
volontariato, retribuito otto euro l’ora. Alla fine, dopo tre anni ho mollato. Però qualche
piccolo cuore l’ho conquistato; quelli grandi forse no, ma meno m’importa.
MADDA
Fin dall'inizio, i problemi finanziari non mancarono. Gli stipendi venivano pagati con
perenne ritardo. I fornitori non venivano quasi mai saldati, se non tramite vie legali.
Inizialmente, convinta della buona fede dei miei datori di lavoro, combattevo per
riconquistarne la fiducia. Con il passare del tempo, però, quella che credevo essere una fase
divenne la normalità delle cose, si cronicizzò e cominciò a peggiorare. Poi smisero di pagare
anche gli stipendi.
Ma bisognava "credere nel progetto", "non potevamo pretendere miracoli". Come se lavorare
a quei ritmi senza retribuzione non fosse già una prova sufficiente. Sono andata avanti fino
ad aprile 2010. Forse proprio perché "credevo nel progetto", più che nelle persone che lo
gestivano. Ci credevo più di quanto potessero sospettare.
FRANCESCA
Si gira di fronte al pubblico con tutta la sedia.
Finalmente mi sono laureata. In Filosofia. Ora cosa faccio?
Faccio domanda nelle graduatorie di terza fascia per insegnare Filosofia e Storia. Mi piego al
sistema e faccio domanda per le scuole private, contro la mia morale.
Stampo tanti curricula, “cerco di vestirmi in modo carino” e vado nelle pizzerie, nei negozi
di intimo, di profumi, di abbigliamento, nelle librerie e in molti altri posti:
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-
“Salve, posso lasciarvi il mio curriculum?”
-
“Hai già esperienza in questo tipo di lavoro?”,
-
“Sono sincera, no. Ma imparo in fretta, e ho voglia e bisogno di lavorare”.
-
“Salve, posso lasciarvi il mio curriculum?”
-
“Lasciamelo pure se vuoi, ma per ora non cerchiamo…”
Vado al Centro per l’impiego, e scopro che, con un curriculum come il mio, sono la
candidata ottimale per lavorare nei Call center e per fare la segretaria. “Però sei quasi vicina
ai trent’anni, e dopo i trent’anni non sei più considerata giovane, quindi non potrai più avere
contratti di apprendistato, ma solo a partire dal tempo determinato. E questo, sappi, non ti
facilita, in tali tempi di crisi…”
Ed in questi tempi di crisi, a chi mi chiede ora cosa faccio, non so cosa rispondere. Mi sono
stati proposti due lavori, per così dire, intellettuali; ma per uno so già che non verrò
retribuita, per l’altro mi hanno detto, alcune volte, che mi faranno un contratto di
collaborazione a progetto, (della durata di otto mesi per 4000 euro lordi!!) altre volte, invece,
hanno sostenuto che non possono pagarmi perché non hanno i soldi. Per questa offerta di
lavoro ho affrontato tanti viaggi. Ogni volta tornavo a casa più confusa, con l’anima pesante
e il portafogli più leggero. Ora, potrei dunque essere o una proletaria del lavoro intellettuale
o una che fa addirittura beneficenza.
MADDA
Si gira di fronte al pubblico con tutta la sedia.
Come se lavorare senza retribuzione fosse normale. Come se noi dipendenti fossimo soci,
tenuti a condividere il rischio di impresa. Come se fosse inconcepibile che credessimo di
avere veramente dei diritti.
Poi vennero i controlli più severi sulla produttività e i conseguenti licenziamenti in tronco.
Di fronte alle numerose dimissioni e ai licenziamenti, vennero fatte delle nuove assunzioni.
Numerose nuove assunzioni. Persone portate via da solidi posti di lavoro, in nome di
retribuzioni considerevoli e di promesse che non sarebbero state mantenute: quasi sempre
donne con famiglia. Ricordo un pranzo come fosse ieri. Ero seduta con alcuni colleghi e mi
venne indicata una neoassunta, molto qualificata. Mi raccontarono che veniva da
un'importante agenzia di consulenza. Due figli. Un marito disoccupato.
Ci vuole stomaco: "not in my name".
Lungo stacco musicale. Francesca e Maddalena si alzano. Federica sposta la sedia di Francesca, Elvira
quella di Irene. Caterina si prepara al centro. Tutte le altre lasciano le sedie e vengono a sedersi sul
tappeto, a semicerchio, dando le spalle al pubblico. Francesca dà il microfono a Caterina, Irene a Eleonora,
che lo spegne e lo tiene per dopo.
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VII. CATERINA
CATE
Una laurea/anzi due. Cosa importa. Non so. Vai in Francia, prima laurea, Parlez vous
francais: No. Il francese. Non parlo il francese. Impara il francese.DELF DALF. Delf dalf WOLF.
Fai l’erasmus, divertiti in Spagna. Calimocho in spagna. Impara lo spagnolo. Lo ami? Lo stesso, vai
in Spagna. Giovane. Storia dell’arte. A cosa serve? Interessi politici: serve un’altra laurea. Sei
ancora giovane. Studia l’inglese. Proficiency test. Efficiency test. Quanti anni hai? Efficency
proficiency. I live in London. Now I work in New York. Then I left to Palestine. Ana baskun fi
falastin. Je dois appredrendre l’arabe. Ablas español? Le lingue europee le conoscono tutti. A cosa
serve? Non so. Una, due, tre, quattro, cinque lingue. Un anno, due, tre. Contate fino a 10. 10 anni.
Un due tre. La peppina fa ‘l café, fa ‘l café con la ciculata. La Peppina l’è meza mata! Uno l’orso
bruno.. due le corna del bue…tre le ciliegie per me.
Parigi, 25 giugno 2002
Luna piena
a Parigi
è come latte
su un tavolo
di marmo.
Il divano,
due finestre.
Oltre.
Facce e voci
giungono, sciolgono e svaniscono
qui, sul pavimento.
Eppur ci sono
volti
che non hanno distanza.
Granada, 1 maggio 2005
Sacro monte e salir su, fino al cielo. Poi più in basso, scendere a Tarifa. Cabo de gata. Libertà come
piscio caldo scende lungo le cosce, incosciente, scomposta. Quanto ti ho cercata. Come un ghigno
che lasci uscire un dente d’oro, un intersecarsi di sole e saliva. Questa la mia libertà. Scrivo la tesi
in spiaggia. Io e qualche fricchettone uscito dalle pagine dei giornali. Ho un sacco a pelo, due chili
di albicocche e un chilo di ciliegie. Posso andare avanti fino a domani.
Londra, settembre 2006
Ho sognato che facevo la conta. E contavo, contavo, il mio dito terminava sempre sullo stesso
foglio di carta. E volevo indicarne un altro, ma il mio dito cadeva sempre lì. Era la mia vita ormai.
Incapace di cambiare, come una spirale si attorcigliava intorno a me ed io ero solo il lontano punto
di partenza. Fermarmi. Itaca. Penelope. Come pensare alla tela ora che non ho più nemmeno un
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filo? Un filo anche semplice, non importa che sia d’oro. Non so più se sono io a scegliere. Non so
più se sia il viaggiare il senso della libertà o piuttosto la pena inflitta da un contrappasso moderno e
pur sempre infernale. Dove cercare Caronte in questa biblioteca abbandonata da Dio, in questa lista
di readings da fare? Io non posso più dimostrare di dover pensare, il cuore in scatola ed il seno in
cemento.
New York, Novembre 2007
Ho teso tutto il corpo
come un cane.
Appesa a un soffitto
odo le città urlare.
Palestina, 17 Luglio 2008
Le quattro
quattro volte ho
disfatto corde annodate
al mattino.
Erano i demoni a tesserle
tra capelli addormentati.
Vivevamo allora
nel paese dei muri
l’amore/ era l’amore/
il nostro nodo scorsoio.
Senza appello
senza appello
ti chiamai
una due tre quattro volte.
Ma un
bicchiere
un solo bicchiere di whisky
bastava
per dirti
non avere paura
il sentiero è là
oltre la vigna, vedi? Chiudi
gli occhi. Immagina.
Non esistono occhi
nel paese dei muri.
E’ là il sentiero,
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là ci riabbracciamo ancora,
come abbiamo fatto sempre.
“Portami in Australia!”
perché mi guardi con amore
prendimi
come si prende una valigia
un sasso
un vezzo
portami avanti
come un passo
in avanti
portami
come uno sguardo.
Guardami,
ti prego,
guardami.
Oltre il muro e tu,
tu non guardavi.
Non ci sono occhi
nel paese dei muri.
Rifeci la valigia
chiusi la porta
con una chiave rossa.
Una due tre
quattro volte
una due tre quattro valigie
portate a braccia
oltre il deserto a rovescio
laddove ancora nessuno
aspetta che io ritorni.
“Portami in Australia”
Portami in Australia
dissi piangendo
e tu muto oltre la soglia
del giorno
al di là del confine
degli occhi
muto.
In Palestina
il sonno degli dei
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l’ira degli uomini
allungavano il muro
ogni mattina
sotto il cuscino
dal balcone
osservavamo il sole sorgere
e risalire
si accorciava anche la notte
e per gli uomini
non c’era più sonno.
Impotente
e muto
come un nodo
era l’amore
nel paese dei muri.
Bologna, 28 gennaio 2012
Ecco, vi ascolto. Ma non è del lavoro che vi posso parlare. Non è del mondo, né delle strade che ho
percorso. Chi mi abbia spinto? Non so. Forse un senso di libertà esacerbato dal consumo, magari la
necessità di emancipazione e l’orgoglio di sentirmi una donna indipendente e potente. Ma non è del
lavoro che posso ormai parlare. Ero ormai giunta molto oltre. Di me stessa avevo perso il senso.
Corpo di cristallo, mosaico la mia storia. Non seppi più dove aggrapparmi quando le normali
avversità della vita emotiva vollero mettermi alla prova. Perché rincorrendo il moderno mondo
liquido e veloce ho estirpato il senso di me stessa, mi sono riscoperta spezzata, sola. Senza madre,
senza sorelle, senza amiche. Skype mi asciugava le lacrime, con skype mangiavo e rincorrevo una
voce. Avevo perso la radice profonda che, forse troppo antica per risultare affascinante, sosteneva
tutta la mia sostanza. E una laurea, anzi due, cosa importa? Se di altri sconti dobbiamo parlare.
VIII. ELEONORA
ELEONORA
Si apre il sipario. Siamo a teatro. Ma il teatro che vi racconto forse non è quello che siete
abituate a vedere da spettatrici. È il teatro di chi ci lavora, e delle tante donne invisibili che ci
lavorano.
È il teatro che impiega schiere di raccomandate, spesso donne, amanti di qualcuno che conta.
O di raccomandati, amanti anch'essi di qualcuno che conta...(diciamolo, qui l'omosessualità
maschile è talmente diffusa che sia nei fatti che nell'atteggiamento e nel linguaggio, la donna
semplicemente non esiste).
Ma torniamo indietro: che cos'è il teatro? Oltre ad essere quel luogo in cui si producono
opere liriche e concerti sinfonici, il teatro è quel luogo in cui il sovrintendente è un uomo, in
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cui il direttore artistico è un uomo, così come uomini sono il direttore musicale e tutti i
direttori d'orchestra.
E dove le donne sono segretarie, assistenti, impiegatucce rosicate dall'invidia reciproca e rese
acide dalla frustrazione.
Insomma, per farla breve, se sei donna stai lontana dal teatro.
Ma anche se il tuo lavoro ti porta lontana da qui, non sentirti al riparo: questi uomini sono
persone pagate per generare "cultura". E la cultura è quel complesso sistema di valori morali
ed estetici che è alla base dell'identità e dell'autorappresentazione di un popolo. E noi donne,
come potremo mai riconoscerci, affermarci e fortificare la nostra identità all'interno di un
sistema culturale dalla cui costruzione siamo escluse? A noi l'ardua sentenza.
Quando Eleonora ha finito Donatella le è già accanto. Eleonora le stringe la mano e va a sedersi Dona
resta, in piedi davanti alla scrivania
IX.
DONA
Pronto. Bene, bene. Sì. Domani? S.. sì…
Dalle 10 alle 14 e dalle 15 alle 17 in via Sarpi 3, ok. Quand’è il lavoro? giovedì, ok. Questo
giovedì!? No, ma – vabbe’, mi libero. E quando si sa poi? Ah. Mercoledì. ok. Quanto? Più i
diritti? Senza i diritti. Gonna colorata. No, ma la trovo. Sì sì, mi arrangio. Ciao, grazie.
Merda.
Fede? Ciao, cara. Senti, ce l’hai una gonna colorata? Adesso. Ce la fai a portarmela in
stazione? Ah, aspetta! Non è che hai anche delle calze… scure, scurissime. Eh, hai ragione,
ma me l’han detto adesso e non faccio in tempo a depilarmi. Sei un angelo.
A dopo!
Senti Silvia mi puoi prestare ottantaquattro euro. Subito. Devo prendere la Freccia Rossa.
Grazie.
Ciao.
Mi chiamo Donatella, e ho trent’anni. Sono un’attrice e ho studiato all’Accademia Nazionale
D’Arte Drammatica di Roma. Ho due spot in onda, nessun prodotto concorrenziale. No, non
ho mai fatto pubblicità di biscotti. Non ho intolleranze alimentari. Sono disponibile nei
giorni dello shooting. Sì, vengo da Bologna. Certo che ho un appoggio a Milano!
Ecco (mostra i profili, poi le mani)
1 e 70, senza tacchi.
39-40.
(esita) 44.
Vado?
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Per una mamma di città… tra prendilo all’asilo, vai in ufficio, riprendilo all’asilo, portalo da
mamma, ritorna i ufficio, riprendilo da mamma, torna a casa la sera… chi ha il tempo di
comprare il pane tutti i giorni? (mangia qualcosa che ha in tasca)
Grazie. Arrivederci.
Ma vaffanculo tu e la mamma di città. L’attrice della tv e l’attrice del teatro sono due
personaggi lievemente diversi (forse si veste da teatro)
Salve. Sì, ho preparato l’inizio.
Trenta.
Ho fatto l’Accademia, a Roma. Eh, lo so, noi attori dell’Accademia siamo un po’ impostati –
Prima ho fatto l’università, a Bologna.
Sì, infatti sono di Bologna.
Ma sto a Roma – cioè, sto dove lavoro… sì, a Roma.
No. Non ho particolari impegni in quel periodo. Cioè, niente che non possa annullare, ecco.
Sì, so suonare la chitarra. Canto? Sì, diciamo di sì. Cioè, volevo dire: sì. Sì, so andare sui
pattini. Un po’. Ma imparo in fretta.
Ho preparato un monologo da Vecchi Tempi. Pinter. Se no… posso farle un Pirandello. Sì,
ha ragione, è decisamente superato. Ma sa, le parti da donna non sono molte in… Brecht?
GIOVANNA
E ora un esempio. Se un tale costruisce una diga contro le inondazioni e mille uomini lo
aiutano col lavoro delle loro braccia e lui ci guadagna un milione, ma poi, quando arriva
l’acqua, la diga crolla e affogano tutti quelli che ci stanno lavorando, e anche molti di più –
come dobbiamo chiamare chi ha fatto costruire una diga simile? Voi potete dire che è un
uomo d’affari, oppure che è un mascalzone, ma noi vi diciamo che è un idiota. E voi tutti,
che rincarate il costo della vita e fate un inferno della esistenza degli uomini, in modo che
tutti diventino come degli indemoniati, voi siete sciocchi, miseri e meschini idioti;
nient’altro!
Sì, l’ho preparato da sola… Grazie. Arrivederci.
Mi chiamo Donatella, ho trent’anni. …
Ho due spot in onda, nessun prodotto concorrenziale. Ecco (mostra i profili, poi le mani)
1 e 70, senza tacchi.
39-40.
(esita) 44.
Mi sono laureata nel 2005, mi sono diplomata nel 2008. Sto studiando di nuovo, all’Un- come perché?
Perché mi piace. Sì, mi è già stato detto che i pezzi di carta non servono a niente.
Trenta,
39-40.
44.
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Sì, all’Accademia…
Certo, sto a Roma
Abito a Milano
Vivo a Bologna
Ma certo, il mio migliore amico vive a Genova.
Torino mi è sempre piaciuta.
Sì, sono libera.
No, ma mi libero.
Assolutamente. Mi chiami quando vuole.
Sì, suono la chitarra.
Alle medie suonavo il flauto.
No, ma posso imparare.
Canto.
Sì. parlo inglese. Francese. Dialetto? No… ma lo imparo!
Parlo bolognese. Suono in romano. Canto la chitarra. Ho studiato pattinaggio all’Università di Bologna.
Porto la 44 di scarpe. Taglia 30. Età 39.40.
Sono sempre a disposizione.
Le altre si alzano subito e raggiungono Donatella. In fila, in piedi davanti al pubblico, leggiamo la fine.
Proviamo a farla a voce nuda.
X. TUTTE
DONA
Fermiamoci un attimo. Fermarsi a volte significa imbroccare la strada giusta.
ELVIRA
E stavolta è importante poter decidere in che modo guardare, parlare al mondo.
FEDERICA
Partire da una domanda sentita, non da esigenze dettate dal mercato: perché il mercato
pretende, non domanda.
GIULIA
Si aspetta senza chiedere.
ELENA
Stavolta invece vorrei che fosse possibile formulare una domanda al mondo, attenendosi a
cosa significa farlo.
MADDALENA
Domandare significa entrare in una relazione, essere disposti a lasciarsi attraversare dalla
risposta, da una risposta imprevista e in questo modo trasformarsi.
CATERINA
Domandare rivela un prendersi cura, un restare in attesa che è tutt’altro che pretesa o
dominio, nemmeno delle proprie passioni.
FRANCESCA
Non è concedere ma concedersi, alle proprie fragilità e al mondo, alla cura di sé e del mondo,
alla comprensione di sé e del mondo.
ELEONORA
Perché è la risposta del mondo, non del mercato, quella che conta e quella di cui le donne
finora hanno tenuto conto senza domande.
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ELOISA
Ma che ora ha bisogno di una domanda, di quella domanda, della nostra domanda, per poter
rispondere diversamente.
DONATELLA
Partendo da noi donne.
Formulando quella domanda che manca.
Ognuna si toglie l’accessorio colorato e lo lascia a terra. Dona va a far partire la musica. Usciamo
dal’ingresso del pubblico. Dovrebbero applaudire.
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