Untitled - Rizzoli Libri
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PHILIPPE-JOSEPH SALAZAR PAROLE ARMATE Quello che l’ isis ci dice. E che noi non capiamo Traduzione di Chiara Lurati e Gioia Sartori SAGGI BOMPIANI Salazar, PhiliPPe-JoSePh, Paroles armées. Comprendre et combattre la propagande terroriste © Lemieux Éditeur, 2015 Published by arrangement with Patricia Pasqualini Literary Agency © 2016 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano ISBN 978-88-452-8144-0 Prima edizione Bompiani gennaio 2016 Per Erik Doxtader, che mi ha fatto notare che in inglese isis è la ripetizione in maiuscolo del verbo essere alla terza persona: isis is, is, is, is... PROLOGO La potenza retorica del Califfato Cedant arma togae. È la formula di molte illusioni pacifiste: che le armi cedano il passo alla parola. Ma si tratta di un’illusione ottica. Le armi amano le parole. Trasformano le parole in armi nuove. Dopo i massacri pubblici degli ultimi mesi (sgozzature di giornalisti, volontari umanitari e semplici imprudenti, persecuzione delle minoranze refrattarie alla dottrina maomettana pura e dura, vari attentati in Europa, effettivi o sventati) e la distruzione di antichità, il pubblico occidentale, che di solito ignora che gli atti di terrorismo contro gli uomini avvengono quotidianamente nei wilayets sotto il controllo del Califfato,1 ha tuttavia potuto constatare che le parole accompagnano sempre le azioni dei suoi militari sul campo e i massacri perpetrati dai suoi sostenitori sul nostro territorio.2 Dopo la spedizione delle sanguinose rappresaglie inflitte a “Charlie Hebdo”, il Califfato ha continuato con una seconda 1 Qui “Califfato” designa lo Stato Islamico, e “califfato” la funzione politica. Allo stesso modo, non sono state usate lettere maiuscole per “dio”, “allah”, “cristianità” e “islam”. 2 Elliot Friedland, The Islamic State. Report, Washington (dc), The Clarion Project, 10 maggio 2015, in www.clarionproject.org (aggiornato regolarmente). Questo sito archivia anche i fascicoli della rivista del Califfato in lingua inglese “Dabiq”. 7 salva, questa volta di parole, facendo appello, sullo sfondo della Tour Eiffel, ad altri attacchi dei suoi sostenitori sul suolo nazionale “maledetto”: C’è un tempo per tutto, un tempo per vivere, un tempo per morire, un tempo per piangere, un tempo per ridere, un tempo per amare, un tempo per odiare, ora è arrivato il tempo di agire e di andare in soccorso della religione con la lingua, il cuore, le membra, la piuma e la sciabola.3 La piuma e la sciabola, infatti. Queste vituperazioni e questi attacchi hanno colto di sorpresa il mondo intero. Eppure la Francia fiancheggia l’islam quasi dalla sua fondazione: il nostro primo monumento letterario, e la prima epopea europea, è la Chanson de Roland, che racconta come il prode si sacrificò per fermare l’avanzata dei saraceni, il 15 agosto 778, festa della Vergine. La nostra letteratura è probabilmente la più ricca in Europa a trattare l’argomento Maometto:4 il Corano è stato tradotto per la prima volta in lingua europea dal monaco benedettino Pierre il Venerabile, abate di Cluny, in Borgogna, nel XII secolo. E tuttavia, di secolo in secolo, di fronte al discorso musulmano, restiamo stupefatti, dimenticandoci ogni volta delle numerose lezioni di questo lungo e difficile legame. In primo luogo siamo spesso sconcertati dalla “materia oratoria” dell’islam, elemento che ci permette di introdurre la domanda sollevata da questo libro: come comprendere la potenza oratoria e persuasiva del jihadismo e in particolare del Califfato? 3 “Dâr al-Islâm”, 2, gennaio 2015, p. 2, in www.archive.org. Philippe-Joseph Salazar, Mahomet. Récits français de la vie du Prophete, Paris, Klincksieck, 2005. 4 8 AllAh AkhbAr Innanzitutto bisogna cogliere l’importanza retorica della proclamazione della fede musulmana (shahada),5 allo stesso tempo esemplare (per i suoi fedeli) e particolare (rispetto alle altre fedi). L’islam è una religione alla quale si aderisce pronunciando (o sentendo dalla nascita) una formula laconica: “Testimonio che non esiste altro dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta.” Entrare nella cristianità, al contrario, richiede una preparazione, il catechismo, il dialogo con il prete, il battesimo: in breve, una serie a volte lunga di atti deliberati e sottoposti a esame. Entrare nell’islam è un atto di parola potente e fulmineo.6 Bisogna precisare che “corano” significa “recitazione”: è anche nella natura del modello retorico musulmano di essere verbale, oratorio, proclamatore. La semplicità assoluta della professione della fede musulmana (accompagnata da un’abluzione) è il fondamento della parola d’azione dello Stato Islamico e del jihadismo.7 È alla base di ogni azione perché testimonia l’unicità del dio musulmano e della veridicità della parola profetica trascritta nel Corano. Questa è concentrata e raccolta nel grido “dio è grande” quando ci si dà una mano nella guerriglia urbana o durante gli arruolamenti militari. Si amplifica e si complica nei discorsi dei soldati del Califfato, durante le sgozzature o le esecuzioni. La brevità della dichiarazione di fede ripresa nel grido di fede e 5 I termini arabi, salvo le eccezioni, sono traslitterati secondo l’uso fonetico del italiano; la ragione viene spiegata nel capitolo 3. 6 Ibn Rajab Al-Hanbalî, La profession de foi, Lyon, Tawhid, 2004. 7 Tom Holland, We Must not Deny the Religious Roots of Islamic State, in “New Statesman”, 17 marzo 2015, in www.newstatesman.com. Il lettore si stupirà della frequenza di fonti in inglese; ciò avviene poiché il più ricco lavoro di veglia e di ricerca sul Califfato è stato realizzato nei paesi anglosassoni o da organizzazioni che preferiscono utilizzare questa lingua. 9 l’eloquenza dei discorsi che argomentano la dichiarazione di fede vanno così di pari passo. Per rendersi conto della forza efficace ma consueta dell’allah akhbar bisogna vedere i video di sgozzature, lapidazioni, defenestrazioni e crocifissioni, punteggiati semplicemente da queste due parole: episodi giudiziari quotidiani nelle città amministrate dal Califfato, ai quali assistono folle intere, mentre fanno acquisti o nel bel mezzo del traffico di tutti i giorni. Questi supplizi sono infatti degli atti leciti, atti di giustizia: sono la prova e l’esempio che la professione della fede avviene tramite l’esecuzione della vittima, proprio come un soldato che compie un attacco suicida lo commette come atto di fede. È rivelatore della confusione nella quale ci troviamo riguardo alla verbalizzazione di questi atti che i media utilizzino per negligenza la parola “martire”: un martire dell’islam muore commettendo un atto di violenza, un martire della cristianità, ed è il senso abituale in Occidente, muore subendolo. Basta consultare forum e blog: coloro che si prendono gioco dell’allah akhbar compulsivo dei soldati e dei sostenitori del Califfato, come segno d’idiozia gutturale o di analfabetismo politico, o delle grida dei selvaggi, perché è breve, ripetitivo, meccanico e non dice molto, non capiscono che la formula basta a se stessa, poiché afferma la brevissima dichiarazione di fede iniziale, che installa il jihad al centro del mondo. Nella lotta che staremmo conducendo contro la radicalizzazione islamista o islamica, finché non avremo capito che i valori della Repubblica non hanno più la forma proclamatrice e categorica delle formule della fede maomettana,8 noi saremo in deficit di armi di parole. 8 Sondaggio condotto da Jérôme Fourquet dell’ifop (Institut Français d’Opinion Publique) sui valori repubblicani e analisi di Vincent Tournier, La douche: 65% des Français ne sont plus sensibles aux termes “République” et “valeurs républicaines”, in “Atlantico”, 10 maggio 2015, in www.atlantico.fr. 10 A meno che non si torni alle fonti retoriche della Repubblica in armi: ma chi può affermare con convinzione e osare mettere in atto le parole d’ordine di Saint-Just: “Nessuna libertà per i nemici della libertà”; di Robespierre: “Se invocano il cielo, è per usurpare la terra”; e di Marat: “La libertà si deve stabilire con la violenza”? Ormai, nessuno. A parte il Califfato. Resta il fatto che si combatte un modello retorico solo comprendendo come funziona il modello avversario – se si parla solo dell’armamento delle parole. La potenza dell’arabesco oratorio In secondo luogo, la potenza fulminea della breve professione di fede si accompagna alla potenza colta della magniloquenza politica e militante, che ritroviamo tanto nei discorsi di esecuzione quanto nelle riviste e nei video di propaganda del Califfato.9 Bisogna notare che l’arte oratoria arabo-islamica si distingue, tra le varie culture oratorie (indoeuropea, cino-giapponese, amerinda, buddhista ecc.) per il suo stile fiorito, che abbonda in allegorie, in abbellimenti, in formule che ci sembrano esagerate, in ripetizioni e circonlocuzioni, a imitazione degli arabeschi di un mosaico: in breve, si tratta di una scorta illustrativa oratoria che, alle nostre orecchie, suona eccessiva. Anche se il Corano afferma di essere dettato in “una lingua araba facile da comprendere” (sura XXVI, 195), la retorica arabo-islamica porta il segno delle allegorie morali – i titoli delle sure (L’ape, Il ragno) del testo fondatore – e lo stile coranico fa sopravvivere l’ecologia della parola che se ne nutre. 9 Abu Muhammad al-Julani, Victory from God and Conquest Is Close, messaggio audio (con traduzione in inglese), 1o aprile 2015, in www.pietervanostaeyen. wordpress.com. 11 Testimone dell’importanza del verbo oratorio nella cultura islamica, Khomeini, nel suo eloquente Discorso d’addio e testamento (1983),10 parla della raccolta dei discorsi militari ed esortativi di Ali, fondatore dello sciismo, come del “più grande libro dopo il Corano”. Schiera quindi fianco a fianco una raccolta d’arte oratoria umana e la parola sacra,11 parola umana persuasiva e parola divina, con questa implicazione: la persuasione umana serve a concretizzare l’ingiunzione divina. La persuasione umana rende operativo ciò che, altrimenti, resterebbe letterario o mistico. L’arte oratoria arabo-islamica risulta magniloquente alle nostre orecchie e, in italiano contemporaneo, un po’ antiquata: Il sangue dei martiri, le lacrime dei pii e l’inchiostro dei saggi non sono colati invano, il Califfato è stato restaurato da un piccolo gruppo di credenti e lo stendardo è stato mantenuto in alto malgrado le prove, le tempeste, i tradimenti.12 Si tratta di uno stile poetico che, estratto dal suo contesto culturale, stona. Eppure è veridico: permette di esprimere una verità. Di fatto, un importante trattato di retorica della civilizzazione islamica consacra tre quarti del suo resoconto a figure di stile, enigmi e allusioni come leve per una raffinatezza argomentativa allo stesso tempo abbagliante e sistematica.13 10 Ruhollah al-Musavi al-Khomeini, Imam’s Final Discourse, Teheran, 1983. Ali Ibn Abi Talib, Nahjul Balagha. Sermoni, lettere, detti e sentenze dell’Imam Ali, Roma, Centro culturale islamico europeo (raccolta dei discorsi di Ali, alla fonte dello sciismo). 12 “Dâr al-Islâm”, 1, dicembre 2014, p. 2. Scaricabile su www.archive.org. 13 Joseph Garcin de Tassy, La rhétorique des nations musulmanes, d’après le traité persan intitulé “Hadâyik ul-balâgât” (opera di Schams uddin Faquîr, metà del XVIII secolo, in lingua indostana), in “Journal Asiatique”, novembre 1844, pp. 366408, in gallica.bnf.fr. 11 12