[varese - 43] tabloid/spettacoli/spettacoli_02 10/08/12

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[varese - 43] tabloid/spettacoli/spettacoli_02 10/08/12
VENERDÌ
10
AGOSTO
CULTURA & SPETTACOLI
2012
43
Clint ci ripensa e torna a recitare
Pronto per un film solo da attore, l’ultima volta fu nel 1993 in "Nel centro del mirino"
ROMA - "Mai dire mai"
specie se ti chiami Clint
Eastwood. E così se solo
quattro anni fa la star di
San Francisco, oggi ottantaduenne, aveva detto che
"Gran Torino" sarebbe stato il suo ultimo film da attore («non ci sono ruoli interessanti per quelli della
mia età») ora lo ritroviamo nei panni di un talent
scout del mondo del baseball che, nonostante stia
perdendo la vista, decide
comunque di voler chiudere in bellezza la sua carriera. E' quello che appunto
accade in "Trouble with
the Curve" di Robert Lorenz che uscirà in Italia a
fine novembre con la Warner.
Il film, come si vede nel
trailer ufficiale appena
uscito su Internet, racconta la voglia di Gus Lobel
(questo il nome dell'anziano talent scout degli Atlanta Braves) di continuare a vivere fino in fondo
la sua vita e la sua carriera
anche quando gli viene a
mancare una capacità essenziale come quella di
vedere. E, nonostante questo, partire poi per un lungo viaggio alla scoperta
di una giovane promessa
del baseball con la persona con cui da anni non ha
buoni rapporti, ovvero la
figlia Mickey (Amy
Adams).
Dal trailer, fresco fresco
d'uscita, il film ricorda un
po’ l'Arte di vincere ed è
ammantato di quella sana
A 82 anni
Eastwood
sarà protagonista
di "Trouble
with the Curve"
diretto da Robert
Lorenz.
Interpreterà
un talent scout
del baseball
che,
nonostante stia
perdendo la vista,
vuole chiudere
in bellezza
la carriera.
Nel cast
anche il figlio Scott,
Justin
Timberlake
e John Goodman
retorica che deve giustamente accompagnare i
film dedicati allo sport.
Nel cast, oltre che Eastwood, troviamo, tra gli
altri, Justin Timberlake
e John Goodman. Il primo interpreta Johnny Flanagan, scout rivale di Gus
che si innamora di Mic-
key, mentre Goodman è
Pete Klein il boss dei Braves e miglior amico di
Gus.
Matthew Lillard è invece uno scout che si scontra con Eastwood per ottenere un giovane lanciatore di nome Bo Gentry
(Joe Massingill). Nel
cast, infine, anche Scott
Eastwood, il 27/enne figlio di Clint che veste i
panni di Billy Clark, una
delle scoperte di Gus ora
caduto in disgrazia.
A convincere il vecchio
Clint a distoglierlo dall'
amata regia è stato non
uno qualsiasi, ma Roberto
Lorenz. Uno che ha lavorato insieme al regista plurivincitore di Oscar dal
1994 e che da allora supervisiona, passo per passo,
tutti gli aspetti dei film
prodotti dalla compagnia
di Eastwood (la Malpaso
Productions).
Nel 2007 Lorenz ha ricevuto la nomination all'
Academy Award per Iwo
Jima, che ha prodotto insieme a Eastwood e a Steven Spielberg. Precedentemente aveva ottenuto
una nomination all'Oscar
come produttore del film
di Eastwood, 'Mystic River'.
Inoltre Lorenz è stato produttore esecutivo del film
vincitore dell'Oscar come
Miglior Film, "Million
Dollar Baby" e del thriller
"Debito di sangue". Cresciuto nelle periferie di
Chicago prima di trasferirsi a Los Angeles, Lorenz
ha iniziato a collaborare
con Eastwood come assistente alla regia con "I
ponti di Madison County". Le loro collaborazioni successive comprendono "Space Cowboys", "Fino a prova contraria",
"Mezzanotte nel giardino
del bene e del male" e "Potere assoluto". Una curiosità: "Nel centro del mirino" (In the Line of Fire),
di Wolfgang Petersen
(1993) è stato l'ultimo
film in cui il grande Clint
ha recitato per un altro regista che non fosse lui
stesso.
A BOAREZZO
Le Quattro Stagioni nelle corde di Lindita Hoxha
BOAREZZO - Le "Quattro stagioni" di Vivaldi sotto
le stelle di un cielo estivo. Questa sera la rassegna
itinerante Interpretando Suoni e Luoghi approda a
Boarezzo, per il concerto conclusivo della sezione
del cartellone intitolata Paesi dipinti, alle 21 nella
piazzetta principale del paese. Musica vivace,
frizzante e popolarissima, trascritta per gli strumenti
più diversi e rivisitata infinite volte già nel XVIII
secolo, subito dopo che apparve in un’edizione a
stampa nel 1725. Uno dei motivo del successo
oggi planetario dei “Concerti delle stagioni”, che
formalmente sono quattro concerti per violino
solista e orchestra d’archi, è il loro abbinamento a
dei sonetti che sembrano fornire la trama alle
avventure descrittive della musica.
Diciamo sembrano perché probabilmente i sonetti
furono scritti - forse per mano dello stesso Vivaldi solo in un secondo momento e vennero quindi
aggiunti alla musica già composta.
Le invenzioni virtuosistiche e timbriche non si
contano (l’esordio dell’“Inverno”, con il suo
biancore dissonante, è semplicemente
straordinario), sempre accompagnate da una
cantabilità prettamente strumentale nei movimenti
veloci e di natura vocale in quelli lenti.
Sono pagine perfette per un concerto estivo
all’aperto. Ad affrontare le acrobazie virtuosistiche
della parte solistica sarà la violinista albanese
Lindita Hoxha (foto Redazione), accompagnata
dal Primavera Ensemble. Cresciuta
musicalmente tra Tirana e la Germania, è
approdata in Italia, dove si è perfezionata
all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, vincendo
tra l’altro diversi premi in concorsi nazionali ed
internazionali. L’ingresso è come sempre libero.
Luca Segalla
Non ci resta che ridere, della nuova casta
Davide Rota questa sera al Punto d’Incontro di Maccagno con "No money no cry"
Davide Rota presenta
il suo nuovo libro (foto Archivio)
MACCAGNO - Questa sera, alle 21.00, al Punto d'Incontro verrà presentato l'ultimo volume umoristico illustrato di Davide Rota "No money no cry - Risate contro la nuova casta", Mondadori editore.
Dopo una breve introduzione del sindaco Fabio Passera, durante l'incontro l'autore sarà coadiuvato dal regista e scrittore Franco di Leo. Il volume vuole rappresentare con beffarda ironia l'Italia odierna, calata nella
crisi, individuando i privilegi atavici di caste e cricche
che hanno portato il Belpaese sull'orlo del baratro, ripercorrendo l'epopea drammatica ma allo stesso tempo paradossale, del tentativo montiano di salvare il salvabile,
purtroppo andando a pescare nelle tasche dei soliti cittadini vessati, salvaguardando invece banche, corporazioni e i bonus dei grandi centri di potere.
Ne fuoriesce un'immagine di un'Italia vampirizzata dal
malcostume di chi da sempre tira i fili, arricchendosi a
spese dei poveri e degli afflitti, regalandosi stipendi
d'oro, prebende e favoritismi d'ogni tipo, manco ci si
trovasse in un regime medioevale di vassalli, valvassori e valvassini, anziché in una democrazia avanzata. E
così è, purtroppo. E ce n'è anche per Marchionne, l'euromoneta e per la Merkel. I politici italici, maestri dell'
arte attorale, sembrano vivere in un mondo a parte, lontano dal Paese reale, alieni dal volerne guardare in faccia i problemi e le tragiche situazioni di chi vede contrarre ogni mese le sempre più scarse disponibilità economiche. Insomma siamo un Paese al servizio dello Stato e non viceversa. Nella seconda parte del volume il
lettore troverà una serie di indicazioni velate di umorismo per sopravvivere alla crisi, e infine un'intervista impossibile a un sopravvissuto, immaginata nel lontano
futuro del 2025, quando si spera, gli italiani e gli umani
in genere, avranno conquistato il valore di una libertà
acquisita realmente e non solo virtuale, oggi venduta
attraverso i sempreverdi specchietti per allodole, cui cedono i più speranzosi, senza guardare chi sia il regista
dietro le quinte a dirigere la scena. azione.
IL LIBRO
Riparte dal’Infinita Fine
la poesia di Cesare Viviani
A distanza di tre anni da "Credere all'invisibile" (Einaudi, 2009) è in libreria "Infinita fine", nuova raccolta poetica di Cesare Viviani. Chi da tempo segua
con passione la lunga e multiforme attività del poeta senese (ormai stabilmente a Milano) conosce il
singolare senso di straniamento e la vaga inquietudine di scorgere in libreria una sua nuova opera.
Negli anni Viviani ha mostrato di possedere almeno
tre registri: il primo (sul modello di "L'Ostrabismo cara", 1973, oppure di "Piumana", 1977), assimilabile
al magma di esperienze di smascheramento linguistico, alla distorsione in chiave psico-ludica o persino psico-politica tipici degli anni '70: una sorta di singolarissimo linguaggio auto-desiderante, meta-storico, proliferativo; successiva è la vena petrarchistarinascimentale, (in "Merisi", 1986) nel gusto di una
dissimulata e postmoderna malizia, di un elegante
disincanto per il "letterario"; e ancora i sobri e comunicativi poemi come "L'opera lasciata sola" (1993) o
"Silenzio dell'universo" (2000), o le raccolte in forma
ingenuamente asciutta come appunto l' ultima, "Infinita fine".
Proprio nella sottrazione, e in certa d-elusione di
qualsiasi aspettativa di "poetico" consiste la cifra
degli ultimi decenni di Viviani: una chiarezza irriducibile, insieme deliberata e studiosissima, ma di un'inclinazione originaria se persino in "Summulae", suo
primo libro, il poeta neanche ventenne recita:
«Forse ciascuno/ toglie un velo/ al mistero del mondo;/ o lo aggiunge»: breve poesia che marca un
confine tra uomo e uomo, e magari tra poeta e poeta; versi che convocano a una scelta di campo. In
"Infinita fine" l'opzione lessicale appare ormai irreversibile, quasi tautologica: vi si respira una rarefazione da anacoreta, come se un Viviani ormai straordinariamente consapevole, sciogliesse ogni nodo di
"stile" e ribadisse la sua appartenenza alla razza di
chi toglie un velo al mistero del mondo, così avvicinandosi a una forma di essenziale preghiera, a poesie che ricordano la ieratica autenticità di un'icona.
Il risultato è un libro che è, prima di tutto, indagine
sulla fine (di ogni cosa, della vita umana). Per questo il poeta esige da se stesso chirurgica esattezza; meglio ancora lo strumento millimetrico che diviene il linguaggio quando è privo di ogni incrostazione egotistica: «Una natura come questa/ non
era stata pensata,/ ma c'era sempre stata,/ complessa, prima non immaginata,/ ora è stata inventata,/ c'è».
Parole degne del coraggio di un mistico. Il fatto che
Viviani tracci segni riconducibili a una forma graficamente rappresentabile come poesia non deve ingannare: in "Infinita fine" la posta è altissima, a volte
troppo, siamo all'inizio di una vertigine.
E così l'unica vittoria, in un libro tanto spietato e veritiero, nella sua rinuncia a qualsiasi vanità di "stile",
sta nel non somigliare neanche un pochino ai suoi
contemporanei. Il fatto è che la voce di Infinita fine
ci ricorda certi personaggi di Tolstoij: stavolta liberi da ogni rassicurante trama romanzesca, consegnati ai lacerti di un discorso, a una perpetua inventio di prove di esistenza o inesistenza.
Né lo spirituale si traduce, in queste poesie, in vaga
consolazione, reciso com'è spesso da una stilettata di ragionevolezza: «E' l'immateriale che
stabilisce/ i tempi di deterioramento/ della materia
del corpo, /l'immateriale che a un certo punto/ dice
"basta"./ L'immateriale è l'anima,/ ma non quella della salvezza».
Niente consolazioni a buon mercato, dunque: il primo impulso di questo libro non è infatti né letterario
né antiletterario, ma scavalca bellamente il problema, lo neutralizza con la desolata stenografia di
una verità, memento che ci convoca grazie allo
scheletro di una forma tra-passata, quella poetica:
«Ben più solidi gli oggetti/ che colui che trapassa./
ma chi trapassa diventa oggetto,/ e acquista/ in solidità e durata»: considerazione laconica quanto altre mai, ma che appunto spalanca una vertigine. E
neanche è detto che all'altro capo qualcuno - Dio,
o anche solo l'autore di questo libro - ci aspetti:
«Questo rincorrersi/ delle intenzioni e delle cose -/
ho sperato a lungo di vederti arrivare,/ e ho provato
un'acuta delusione,/ uno stato d'animo che non influiva su niente -/ alla fine, grazie al tempo, ha
provocato/ una perdita di energia, una malattia».
Infinita fine si consegna insomma ai lettori come
l'opera inquieta del più serafico confutatore di ogni
vanitas poetica di cui in Italia oggi disponiamo: libro
scettico, di corroborante tensione, canto dimesso
e inquieto sul cinismo e le rovine spirituali del nostro tempo.
Vincenzo Di Maro