PER UNA SEMIOTICA DELLA CULTURA JURIJ M. LOTMAN (1922

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PER UNA SEMIOTICA DELLA CULTURA JURIJ M. LOTMAN (1922
PER UNA SEMIOTICA DELLA
CULTURA
JURIJ M. LOTMAN (1922-1993)
Alcuni testi
•  Tesi per un’analisi semiotica delle culture, 1973
•  Tipologia della cultura, 1973 (contiene: Lotman- Uspenskij, Sul
meccanismo semiotico della cultura), Bompiani 1975
•  La semiosfera, 1985
•  La cultura e l’esplosione, 1993
Influenza del modello saussuriano (opposizione tra dimensione
sincronica e diacronica e tra statico e dinamico) e dei formalisti russi.
Cultura
«Della cultura esistono numerose definizioni. […]: ogni cultura data
storicamente genera un determinato modello culturale suo proprio.[…]
In primo luogo, alla base di tutte le definizioni c’è la convinzione che la
cultura possieda dei tratti distintivi[…] ne deriva l’asserto che la cultura
non rappresenta mai un insieme universale, ma solo un sottoinsieme
con una determinata organizzazione[…]. La cultura è pensata solo
come una porzione, come un’area chiusa sullo sfondo della non
cultura. Il carattere della contrapposizione varierà: la non cultura può
apparire come estraneità a una determinata religione, a un determinato
sapere, a un determinato tipo di vita e di comportamento. Sempre però
la cultura avrà bisogno di una tale contrapposizione. Sarà proprio la
cultura, inoltre, a intervenire come membro marcato dell’opposizione
[…] sullo sfondo della non cultura, la cultura interviene come sistema di
segni» (Sul meccanismo semiotico della cultura (1971), in Tipologia
della cultura, Bompiani 1975: 39-40)
Cultura come strutturazione del mondo
•  «Il “lavoro” fondamentale della cultura sta nell’organizzare
strutturalmente il mondo che circonda l’uomo. La cultura è
un generatore di strutturalità; è così che essa crea intorno
all’uomo una sociosfera che, allo stesso modo della
biosfera, rende possibile la vita, non organica,
ovviamente, ma di relazione» (1971:42)
Sistemi modellizzanti
•  Modello: ciò che riproduce in qualche misura l’oggetto e lo rende conoscibile
•  Il sistema modellizzante primario è la lingua naturale (mezzo e modello degli
altri linguaggi).
•  La lingua naturale è il dispositivo stereotipante che permette di svolgere il
lavoro di strutturazione del mondo, è una sorgente di strutturalità.
•  «Per sistemi modellizzanti secondari” si intendono quei sistemi semiotici con
cui si costruiscono i modelli del mondo o di frammenti di esso. Questi sistemi
sono secondari in rapporto alla lingua naturale primaria, e sono costruiti al di
sopra di essa direttamente (come nel caso del sistema sovralinguistico della
letteratura artistica), o come forme a essa parallele (musica e pittura).
•  La cultura (l’insieme cioè di forme culturali testualizzate come testi artistici,
folklorici, religiosi, mitici ecc.) è un sistema modellizzante secondario.
Scienza della correlazione funzionale dei
differenti sistemi segnici
«Per il funzionamento della cultura e, corrispondentemente, per giustificare la
necessità di una applicazione nello studio della cultura di metodi complessi, ha
un’importanza fondamentale il fatto che un singolo sistema semiotico isolato,
per quanto perfettamente organizzato, non può costituire una cultura: a questo
scopo il meccanismo minimo richiesto è costituito da una coppia di sistemi
semiotici correlati. Un testo in lingua naturale e un segno rappresentano il
sistema più comune formato da due lingue, costituente il meccanismo della
cultura. La tendenza alla eterogeneità delle lingue è un tratto tipico della
cultura» (Lotman, Tesi per una semiotica delle culture, Meltemi, 2006: 133)
•  La cultura è pensata come uno spazio in cui coesistono diversi sistemi di
significazione (lingua, scrittura, moda, arte, religione, architettura, musica
ecc.); condizione minima della cultura è l’esistenza di almeno due sistemi
correlati.
•  Di qui la necessità di una semiotica della cultura, intesa come «scienza della
correlazione funzionale dei diversi sistemi segnici» (ivi: 107)
Modelli semiotici discreti e non discreti
•  «Nel sistema delle opposizioni semiotiche costitutive della cultura, un
ruolo particolare è svolto dalla contrapposizione dei modelli semiotici
discreti e non discreti (dei testi discreti e non discreti), una
manifestazione particolare della quale può essere considerata
l’antitesi di segni iconici e verbali. Acquista così un senso nuovo il
problema tradizionale del confronto delle arti figurative e delle arti
verbali: si può dire che esse sono reciprocamente necessarie per la
formazione del meccanismo della cultura, e che è per esse
necessario essere diverse in base al principio della semiosi, ossia
equivalenti per un verso e, per l’altro, non completamente traducibili
le une nelle altre»
Cultura e testi
•  La cultura in generale può essere rappresentata come un insieme di testi; ma
dal punto di vista del ricercatore, è più esatto parlare della cultura in quanto
meccanismo che crea un insieme di testi e parlare dei testi in quanto
realizzazione della cultura» (1971: 50).
•  Il testo è l’unità di base della semiotica, il «programma condensato di tutta la
cultura» (Lotman, 2006).
•  «Da un punto di vista semiotico, la cultura può essere considerata come una
gerarchia di sistemi semiotici particolari, come una somma di testi cui è
collegato un insieme di funzioni, ovvero come un congegno che genera
questi testi. Considerando una collettività come un individuo costruito in modo
più complesso, la cultura può essere interpretata, in analogia con il
meccanismo individuale della memoria, come un congegno collettivo per
conservare e elaborare informazione. La struttura semiotica della cultura e la
struttura semiotica della memoria rappresentano fenomeni funzionalmente
omogenei, situati a diversi livelli» (Lotman 2006: 130)
.
Cultura e memoria
•  «Noi intendiamo la cultura come memoria non ereditaria della collettività,
espressa in un determinato sistema di divieti e prescrizioni» (Lotman
1971:43).
•  «La definizione della cultura come memoria della collettività pone, in termini
generali, il problema del sistema di regole semiotiche, secondo le quali
l’esperienza di vita del genere umano si fa cultura. L’esistenza stessa della
cultura sottintende la costruzione di un sistema di regole per la traduzione
dell’esperienza immediata in testo» (ivi: 44).
•  «L’esigenza di un costante autorinnovamento, di diventare altro pur
rimanendo se stesso, costituisce uno dei fondamentali meccanismi di lavoro
della cultura» (ivi: 64).
Dinamica della cultura
•  Ruolo della traduzione nel processo di costante rigenerazione della cultura
per assimilazione di testi appartenenti ad altri sistemi semiotici. Ogni testo
genera dentro di sé zone di traducibilità e intraducibilità, senso e non senso,
sistematicità e caos. L’imperfezione della traduzione garantisce la vitalità
della cultura,
•  Trasformazione semiotica di ciò che appare non organizzato semioticamente
(il “barbaro” per i greci e per i romani)
•  Tesi del 1973: la cultura «non si limita a lottare con il ‘caos’ esterno, ma allo
stesso tempo ne ha bisogno, non solo lo annienta, ma costantemente lo
crea».
•  > antinomia statico/dinamico, sincronico/diacronico: la cultura deve dialogare
con la non-cultura.
•  «La cultura è un congegno [system] che trasforma la sfera esterna in
quella interna: la disorganizzazione in organizzazione, i profani in
iniziati, i peccatori in giusti, l’entropia in informazione. In forza del fatto
che la cultura non vive soltanto grazie all’opposizione tra sfera interna
ed esterna, ma anche grazie al passaggio da un ambito all’altro, essa
non si limita a lottare con il caos esterno, ma allo stesso tempo ne ha
bisogno, non solo lo annienta, ma costantemente lo crea. Uno dei
legami della cultura con la civiltà (e il “caos”) sta nel fatto che la
cultura si priva ininterrottamente, a favore del suo antipodo, di taluni
particolari elementi da essa esauriti che si trasformano in cliché e
funzionano nella non cultura. Si realizza così nella stessa cultura un
aumento di entropia a spese del massimo di organizzazione. […] A
ciascun tipo di cultura storicamente dato corrisponde un certo tipo di
non cultura che appartiene solo a esso» (Lotman 2006: 109).
«l’ampliamento della sfera dell’organizzazione porta all’ampliamento
della sfera della non organizzazione. Al mondo ristretto della civiltà
ellenica corrispondeva il mondo ristretto dei “barbari” che la
circondavano […]. È significativo che il secolo XX, esaurite le riserve
per un ampliamento della cultura nello spazio (tutto lo spazio
geografico è diventato “culturale” e l’”antecampo” è scomparso), si sia
rivolto al problema del subcosciente, costruendo così un nuovo tipo di
spazio contrapposto alla cultura.[…] Come fatto di cultura, il problema
del subcosciente non è tanto una scoperta quanto una creazione del
secolo XX» (ivi 110-11)
•  «non sono soltanto i partecipanti alla comunicazione a costruire testi,
ma sono anche i testi a conservare in sé memoria dei partecipanti alla
comunicazione. Perciò l’acquisizione dei testi in un’altra cultura porta,
attraverso i secoli, alla trasmissione di determinate strutture della
personalità e di determinati tipi di comportamento. Il testo può essere
inteso come un programma condensato di tutta una cultura.
L’acquisizione di testi da un’altra cultura porta alla comparsa della
policulturalità, ovvero alla possibilità di scegliere un comportamento
convenzionale, pur restando nell’ambito di una cultura, secondo lo
stile di un’altra» (Lotman 2006: 131)
Semiosfera
•  Insieme dei segni che insistono all’interno di un determinato spazio culturale
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e comunicativo (<Biosfera (Vernadskij): insieme degli organismi vivi)
Spazio culturale stabile e dinamico, simmetrico e asimmetrico
Forma che filtra e regola la traduzione dell’esterno non-semiotico in qualcosa
di significativo e segnico.
La semiosfera ha sempre necessità di un fuori, di una non-cultura –
l’impensato, il non conosciuto, ciò che semplicemente, in un dato momento,
ci è estraneo, rispetto a cui definirsi.
È a sua volta formata da altre semiosfere.
Il sovrapporsi delle culture, la loro interna eterogeneità e contraddittorietà, il
muoversi delle persone, il viaggiare di idee e di oggetti culturali, il mescolarsi
delle cose del mondo, il passare del tempo, fanno sì che la tenuta di questi
nessi sia precaria, che si realizzi in alcune parti e si dissolva in altre, che
appaia solida e poi improvvisamente ceda.
Tesi per un’analisi semiotica delle culture (1973)
«I singoli sistemi segnici, pur presupponendo strutture con una
organizzazione immanente, funzionano soltanto in unione,
appoggiandosi l’uno all’altro. Nessun sistema segnico possiede un
meccanismo che gli consenta di funzionare isolatamente. Ne consegue
che, accanto a una impostazione che permetta di costruire una serie di
scienze relativamente autonome del ciclo semiotico, anche un’altra è
lecita, dal punto di vista della quale tutte queste scienze considerino
aspetti particolari della semiotica della cultura, intesa come scienza
della correlazione funzionale dei diversi sistemi segnici».
La semiotica studia la correlazione tra diversi sistemi segnici.
Così l’analisi di testi letterari ci consente di studiare il comportamento
dei decabristi come semioticamente significativo: semiotizzazione del
comportamento quotidiano.
Il decabrista nella vita. Il gesto, l’azione, il
comportamento (1975)
•  Decabristi: da dekabr = dicembre: “rivoluzionari nobili, membri delle società
segrete (appartenenti alla borghesia e alla nobiltà) che prepararono il moto di
rivolta del dicembre 1825 in Russia (San Pietroburgo) contro l’assolutismo e
a sostegno di una economia liberale.
•  Caratterizzati da un «comportamento speciale, un modo particolare di
parlare, agire e reagire, proprio appunto di un membro di una società
segreta» (p. 188). «è difficile indicare un’altra epoca della vita russa nella
quale il discorso orale – conversazioni, discorsi amichevoli, colloqui, orazioni,
sdegnate filippiche – abbia svolto una parte così importante. […] i decabristi
stupiscono per la loro “loquacità”» (191-2). Perciò spesso erano anche
accusati di vuota retorica e di incapacità a passare dalle parole ai fatti.
•  Tale comportamento non può essere compreso se non in relazione al
comportamento del nobile russo tra il 1810 e il 1825.
•  Lotman prende in esame il comportamento, le sue azioni, non il
mondo interiore, le emozioni: «tutto ciò che la vita attiva di un
decabrista aveva in comune con quella di un qualsiasi nobile russo
del suo tempo sarà da noi escluso dal campo di analisi (190-91).
•  «i decabristi profusero particolari energie creative per dare vita a un
tipo particolare di russo, nettamente distinto, per il suo modo di
comportarsi, da ogni antecedente storico. In questo senso essi furono
degli autentici innovatori. Questo specifico comportamento di un
rilevante gruppo di giovani […] esercitò un forte influsso su tutta una
generazione di russi, per i quali rappresentò un’esemplare scuola di
impegno civile. Il movimento politico-intellettuale della nobiltà
rivoluzionaria produsse anche un carattere umano, dotato di specifici
aspetti e un particolare tipo di comportamenti. Individuarne alcuni
tratti fondamentali è lo scopo del presente lavoro» (191).
Le forme dell’espressione
«I contemporanei non si limitavano a porre in rilievo la “loquacità” dei
decabristi: essi sottolineavano anche l’aspra franchezza dei loro giudizi, la
categoricità delle sentenze, la tendenza “sconveniente” dal punto di vista delle
norme del gran mondo, a chiamare le cose con il loro nome, evitando le
convenzioni eufemistiche delle formule mondane, la loro aspirazione costante a
esprimere senza tanti rigiri la loro opinione, incuranti del rituale avallato dalla
consuetudine e della gerarchia osservata nel comportamento linguistico
mondano. Per questa asprezza e per l’ostentata trascuranza del “galateo
linguistico” era celebre Nikolaj Turgenev. Negli ambienti vicini ai decabristi la
marcata inurbanità e ‘sgarbatezza’ del comportamento linguistico erano definite
come comportamento “spartano” o “romano” ed erano contrapposte a quello
“francese”, valutato in termini negativi» (193)
•  «il decabrista con il suo comportamento eliminava la gerarchicità e la varietà
di stili dell’agire. In primo luogo veniva eliminata la differenza tra linguaggio
scritto e parlato: l’alto grado di organizzazione, la terminologia politica
rigorosa, la compiutezza sintattica del discorso scritto erano trasferite nella
sfera orale» (194-5)
•  «i decabristi coltivavano la serietà come norma di comportamento […]
altrettanto negativo era l’atteggiamento dei decabristi verso il gioco verbale
come forma di comportamento linguistico»: antitesi tra gioco e impegno
(196).
•  «Questo, da una parte, porta a un aumento della funzione del gesto nel
comportamento quotidiano. Il “gesto” è un atto che non tanto, e non soltanto
ha una finalità pratica, quanto un riferimento a un significato. Il gesto è
sempre segno e simbolo. […]
•  Da questo punto di vista il comportamento quotidiano del decabrista a un
osservatore moderno sembrerebbe teatrale, calcolato per uno spettatore. Ma
si deve ben capire che la “teatralità” del comportamento non significa affatto
una sua insincerità o una qualsiasi altra caratteristica negativa. È soltanto un
segnale del fatto che il comportamento acquista un senso sovraquotidiano,
diventa cioè oggetto d’attenzione, e a essere valutati non sono gli atti ma il
loro senso simbolico. D’altro lato, nel comportamento quotidiano del
decabrista si invertono i consueti rapporti tra parola e azione.» (199).
«Il comportamento linguistico del decabrista era estremamente specifico.
Abbiamo già rilevato che un suo tratto caratteristico era la tendenza a nominare
ciò che, pur effettuandosi nella sfera quotidiana, diventava un tabù nel
linguaggio. Questa nominazione aveva tuttavia un suo carattere specifico e non
era accompagnata dalla riabilitazione del lessico basso, volgare o anche
semplicemente quotidiano. Nella coscienza del decabrista era insita una netta
polarizzazione delle valutazioni morali e politiche: ogni azione veniva a trovarsi
nel campo dell’abiezione, della viltà, della tirannia, oppure del liberalismo, dei
lumi, dell’eroismo. Non si davano azioni neutre o irrilevanti e non se ne
presupponeva la possibilità. […] Il comportamento quotidiano cessa di essere
soltanto quotidiano: esso assume un alto significato etico-politico; in secondo
luogo, i consueti rapporti tra il piano dell’espressione e quello del contenuto per
quel che riguarda il comportamento mutano: non è la parola a designare
l’azione, ma l’azione a designare la parola. […]. Egli chiama pubblicamente le
cose con il loro nome, “tuona” ai balli e in società, dal momento che proprio in
questa nominazione egli vede la liberazione dell’uomo e l’inizio della
trasformazione della società. Quindi la perentorietà, una certa ingenuità, la
facilità a cadere in situazioni ridicole (dal punto di vista del gran mondo) sono
compatibili col comportamento decabrista non meno dell’asprezza,
dell’orgoglio, e persino dell’alterigia. Ma esso esclude assolutamente
l’ambiguità, le acrobazie concettuali, la capacità di “stare al gioco”» (201-2)
Tipologia della cultura
•  Ricerca di costanti nella diversità delle culture.
•  Quali criteri?
•  1.Forme di autovalutazione, testi che formano una concezione di sé
•  2. Modi di intendere il segno
•  3. Testualizzazione / grammaticalizzazione
•  4. Comunicazione io-egli / io-io
•  5. Topologia: metalinguaggio spaziale
1. L’autovalutazione della cultura
•  «Un connotato essenziale della caratterizzazione tipologica della cultura può
considerarsi il modo in cui essa si definisce da sé» (1971:50), cioè il modo in
cui essa si autodefinisce e si autovaluta, attraverso testi automodellizzanti.
•  L’automodello (autocoscienza ideale) è un fondamentale strumento di
unificazione della cultura. Esso può essere molto prossimo alla cultura reale,
porsi come modello ideale cui la cultura cerca di approssimarsi, o come
modello separato dalla cultura e che tale resta e viene percepito.
•  Gli elementi dominanti che rendono omogeneo il sistema, coesistono accanto
a isole, strutture diversamente organizzate: es. il monastero nella cultura
medievale, il carnevale, gli zingari nella Pietroburgo dell’Ottocento.
Varietà nell’unità
•  «Accanto all’opposizione di “vecchio” e “nuovo”, “fisso” e “mobile”, nel
sistema della cultura si dà un’altra opposizione radicale: quella di unità e
pluralità. […] La presenza di strutture organizzate diversamente e di gradi
diversi d’organizzazione è condizione indispensabile perché il meccanismo
della cultura sia operante. Non sapremmo nominare una sola cultura storica
reale i cui livelli e sottolivelli siano tutti organizzati su una base strutturale
rigorosamente identica e sincronizzati nella loro dinamica storica. All’esigenza
di varietà strutturate è connesso, evidentemente, il fatto che ogni cultura, oltre
allo sfondo extraculturale posto al di sotto del suo livello, distingue sfere
particolari organizzate diversamente, che dal punto di vista assiologico
godono di un altissimo apprezzamento, benché si situino fuori del sistema
generale di organizzazione. Tali sono il monastero del mondo medievale, la
poesia nella concezione del Romanticismo, il mondo degli zingari o delle
quinte teatrali nella cultura pietroburghese dell’Ottocento […] isole inserite nel
comune massiccio di una cultura ma dotate di una organizzazione “altra”, e
aventi come fine quello di accrescere la varietà strutturale, di vincere
l’entropia dell’automatismo strutturale» (Tesi per una semiotica delle culture).
2. Modelli di segno
•  «il rapporto con il segno e la segnicità rappresenta una delle caratteristiche
fondamentali della cultura.
•  Anzitutto è essenziale stabilire se il rapporto fra espressione e contenuto va
considerato come necessario o come arbitrario e convenzionale.
•  Nel primo caso acquista un’importanza di principio il problema: come si chiama un dato
fenomeno; identificazione tra parola e cosa nominata, propria delle culture mitologiche
in cui il nome comune diviene nome proprio [esempio: ricerca medievale del nome,
rituale massonico, tabù linguistici; la Russia di Pietro I (1682-1724): la rigenerazione
politica e sociale passa attraverso una rinominazione generale dello Stato, delle
istituzioni ecc.]
•  Nel secondo caso il problema della denominazione e, in generale, dell’espressione non
ha valore di principio; si può dire che l’espressione si presenta in questo caso come un
fattore aggiuntivo e, nel complesso, più o meno fortuito rispetto al contenuto» (Tesi,
48-49).
3. Culture testualizzate e culture
grammaticalizzate
«Se è proprio di certe culture il rappresentarsi come un insieme di testi regolati
(può servire ad esempio il Domostroj), altre culture modellizzano se stesse
come un sistema di regole che determinano la creazione dei testi. (Si potrebbe
dire, con altre parole, che nel primo caso le regole si definiscono come una
somma di precedenti, mentre nel secondo il precedente esiste soltanto qualora
venga descritto come una regola corrispondente).
Risulta evidente che è proprio delle culture caratterizzate appunto da un
prevalente orientamento sull’espressione il rappresentarsi come un insieme di
testi, mentre è proprio delle culture dirette prevalentemente sul contenuto il
rappresentarsi come un sistema di regole. Questo o quell’orientamento di una
cultura genera l’ideale del Libro o del Manuale, compresa anche
l’organizzazione esterna di simili testi. […]
E’ quanto accade con l’insegnamento di una lingua in quanto sistema di regole
grammaticali oppure in quanto assortimento di modi d’uso» (1971: 50-2)
Domostroj: Opera anonima della metà del Cinquecento, “organizzazione, governo della casa”; disciplinava il
comportamento etico-religioso e sociale della famiglia.
Opposizione tra Consuetudine e Legge: alcune culture sono rette da sistemi di
regole e altre governate da repertori di esempi o modelli di comportamento
Esempio di cultura grammaticalizzata: il diritto romano, dove si prescrivono
regole per ogni caso escludendo ogni tipo di devianza;
Esempio di cultura testualizzata la Common Law anglosassone, in cui le
sentenze già prodotte costituiscono i modelli per risolvere nuovi casi analoghi
(Eco 1975: 194)
Testo esemplare della cultura grammaticalizzata (basata sul contenuto) è il
manuale:
Testo esemplare della cultura testualizzata (basata sull’espressione per
contenuti più nebulosi) è il Libro (Sacro).
L’apprendimento della lingua nei bambini si basa sul modello testuale (atti di
ipocodifica per poi sviluppare atti di ipercodifica); l’apprendimento di una lingua
da parte di un adulto si basa al contrario su modelli grammaticalizzati (processi
di ipercodifica).
Cultura /non cultura / anticultura
«Conformemente alla distinzione formulata sopra, la cultura può contrapporsi
sia alla non cultura che all’anticultura. Se nelle condizioni di una cultura che si
caratterizzi per il prevalere dell’orientamento sul contenuto e che si rappresenti
se stessa sotto forma di un sistema di regole, l’antitesi fondamentale è quella
“ordinato vs non ordinato” (antitesi che in casi particolari può realizzarsi come
opposizione “cosmo vs caos”, ecc.), nelle condizioni di una cultura diretta
prevalentemente sull’espressione e rappresentata come un insieme di testi
regolati, l’antitesi fondamentale sarà quella “corretto vs erroneo” […]: un’antitesi
che può avvicinarsi – fino a coincidere – alla contrapposizione “vero” e “falso”.
In quest’ultimo caso la cultura non si contrappone al caos (all’entropia), ma a
un sistema di segno opposto» (1971: 52-3)
Espansione /difesa
•  «una cultura diretta prevalentemente sul contenuto, antitetica all’entropia (al
caos), e la cui opposizione fondamentale è quella tra “ordinato” e “non
ordinato”, concepisce sempre se stessa come un principio attivo che deve
propagarsi, mentre vede nella non cultura la sfera di una propria potenziale
diffusione. Nelle condizioni invece di una cultura orientata prevalentemente
sull’espressione, e in cui interviene come opposizione fondamentale quella
tra “corretto” ed “erroneo”, può non aversi in generale la tendenza
all’espansione (in simili condizioni può risultare più caratteristica la tendenza
della cultura a non uscire dal proprio ambito, a barricarsi contro tutto ciò che
le si contrappone, a chiudersi in se stessa senza estendere il proprio raggio
di diffusione). La non cultura si identifica allora con l’anticultura e, in questo
modo, già per la sua stessa essenza, non può venir percepita come
potenziale area di espansione della cultura. […]
•  Si può dire che, se in un certo tipo di cultura la diffusione della conoscenza
avviene tramite la sua espansione nell’area della non conoscenza, nelle
condizioni di una cultura di tipo opposto la diffusione della conoscenza è
possibile solo in quanto vittoria sulla menzogna» (1971:57-8)
4. Comunicazione Io-Io vs
Comunicazione Io-Egli
•  Comunicazione Io-Egli: trasmissione di una informazione (già compiuta) da
un mittente a un destinatario, tramite un codice stabile; atto informativo come
scambio (es. la cultura europea nell’età moderna). Questo modello
appartiene a culture dinamiche, caratterizzate da rapido aumento delle
conoscenze, ma più frammentate; la verità è concepita come qualcosa che
viene trasmesso in modo compiuto da una parte a un’altra.
•  Comunicazione Io-Io: comunicazione riflessiva (diaristica), mittente e
destinatario coincidono; determina una trasformazione qualitativa
dell’informazione per intervento di nuovi codici che ristrutturano il contenuto e
produce una riorganizzazione dell’io. Questo modello appartiene a culture più
orientate in senso spirituale ma poco dinamiche.
5. Spazialità delle culture
•  Necessità di una topologia della cultura: metalinguaggio descrittivo
della cultura basato su modelli spaziali.
•  Alcuni testi caratterizzano la struttura del mondo chiedendosi “Come
è organizzato?” (fissità)
•  Rappresentazioni discrete dello spazio: categorie topologiche di continuità,
vicinanza, frontiera
•  Altri testi caratterizzano l’attività dell’uomo nel mondo circostante,
chiedendosi “Che cosa e come avvenne?”, “Che fece lui?” (mobilità)
•  Rappresentazioni del movimento all’interno di uno spazio continuo, traiettorie,
spostamento: categoria della narratività
Frontiera
Esterno
altri
Spazio non-organizzato
interno
Noi
Spazio organizzato
Orientamento: punto di vista ancorato a uno spazio interno (o. diretto) oppure esterno (o.
inverso); opposizione tra iniziati e profani nel Medioevo; tra farisei e poveri di spirito nei Vangeli
Mondo come luogo di incrocio di una
pluralità di prospettive
«La scienza del XIX secolo identificava il punto di vista consueto dello
scienziato con la verità e quindi presupponeva possibile la descrizione
soltanto dal “mio” (dello scienziato, della scienza) punto di vista, il che
si esprimeva, ad esempio, nell’assolutizzazione del punto di vista
europeo nell’antropologia e della linguistica indoeuropea o della
grammatica latina nella linguistica. Ogni altra descrizione – cioè la
descrizione fatta in altri termini – era considerata sbagliata (non
civilizzata, barbara) e in ultima analisi inesistente per la scienza. La
scienza del XX secolo, al contrario, parte dall’esistenza di vari sistemi
di descrizione e s’interessa quindi molto di più del punto di vista
dell’”altro” (l’”io dall’angolo visuale dell’”altro”, l’”altro” dal suo proprio
punto di vista)».
Confine
•  «Il confine dello spazio semiotico non è un concetto astratto, ma un’
importante posizione funzionale e strutturale, che determina la natura del suo
meccanismo semiotico. Il confine è un meccanismo bilinguistico, che traduce
le comunicazioni esterne nel linguaggio interno della semiosfera e viceversa.
Solo col suo aiuto la semiosfera può così realizzare contatti con lo spazio
extrasistematico e non semiotico» (La semiosfera, p. 60)
•  Dispositivo che unisce e separa
•  C’è confine ovunque si dia il tentativo o la necessità di una traduzione
•  Zona di passaggio, di creolizzazioni (Russia francesizzata tra Settecento e
Ottocento)
•  Spazio dove emerge il nuovo, dove si forma una terza cultura, ibrida, a partire
dall’incontro-scontro tra due culture
•  Generatore di riflessività, di necessaria autodefinizione e autocoscienza.
Centro / Periferia
•  Centro: sistemi più stabili e dominanti
•  Periferia: elementi più mobili, instabili, flessibili caratterizzato dalla
destrutturazione del senso dato
•  Condizione di intersecazione di corpi singoli e collettivi, di memorie
differenti
•  Prefigurazione di un senso a venire.
•  Il dialogo tra le culture si sviluppa sulla base di modelli virtuali,
immagini astratte, simulacri enantiomorfi, che influenzano realmente i
rapporti tra i sistemi culturali.
•  I testi della cultura esterna devono risultare in una certa misura
omogenei ai testi della cultura di accoglienza.
•  «L’opposizione “cultura - spazio extra-culturale” costituisce l’unità minima su un dato
livello. Praticamente ci è fornito un paradigma di spazi extraculturali (“infantile”, “etnicoesotico” dal punto di vista di una certa cultura, “subconscio”, “patologico”, ecc.). In
modo analogo i testi medievali costruiscono le descrizioni dei diversi popoli: al centro è
collocata una certa entità normale, il “noi”, alla quale sono contrapposti gli altri popoli
come un insieme paradigmatico di anomalie. Il carattere attivo del ruolo svolto dallo
spazio esterno nel meccanismo della cultura si manifesta, in particolare, nel fatto che
determinati sistemi ideologici possono attribuire una fonte generatrice di cultura proprio
alla sfera esterna, non organizzata, contrapponendo a essa l’area interna, ordinata,
come culturalmente morta. Così nella contrapposizione slavofila della Russia
all’Occidente, la prima è identificata con la sfera esterna, non normalizzata, non
acquisita alla cultura ma costituente il germe della cultura a venire. L’Occidente viene
pensato come il mondo chiuso e ordinato, cioè “culturale”, e al tempo stesso
culturalmente morto. Perciò dal punto di vista dell’osservatore esterno, la cultura non
viene a rappresentare un meccanismo immobile, bilanciato in una dimensione
sincronica, bensì un congegno dicotomico il cui “funzionamento” si attuerà come
invasione dell’ordine nella sfera del non ordinato, e come contrapposta irruzione del
non ordinato nell’area della organizzazione. In momenti diversi dello sviluppo storico
può dominare l’una o l’altra tendenza. L’acquisizione della sfera della cultura di testi
provenienti dall’esterno risulta essere talvolta uno stimolo potente di sviluppo
culturale» (Tesi per una semiotica delle culture, 111-12)
Implosione/esplosione
•  Rapporto del sistema con il mondo che si estende al di fuori del
sistema
•  Rapporto tra statica e dinamica
•  Movimenti in avanti: basati sulla gradualità (continuità) o sulla
imprevedibilità (affermarsi di una tra le possibilità probabili:
esplosione > innovazione)
•  Collasso del vecchio e insorgenza del nuovo: esplosione e sviluppo
graduale convivono in uno spazio sincrono: sistemi più lenti con
sviluppo continuo (lingua) convivono con sistemi più dinamici e veloci
(tecnologie).
Il Novecento secolo delle esplosioni
•  Per Lotman il secolo XX si distingue da tutte le epoche precedenti per la
“globalità” del processo storico, delle “esplosioni sociali”: “guerre e rivoluzioni
mondiali, mutamento del concetto stesso di testo per effetto [..] dei mass
media ecc.”. Una costante novecentesca in particolare è “la tendenza al
rimpiazzo delle autodescrizioni della cultura con descrizioni di descrizioni”, e
cioè con metatesti che hanno per oggetto non la cultura, ma il meccanismo
stesso della descrizione”.