“ “ Ma si può ancora tifare per lui?

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“ “ Ma si può ancora tifare per lui?
MARTEDÌ 1 NOVEMBRE 2005
LA REPUBBLICA 37
DIARIO
DI
DI
STORIA DI UN’ICONA E DELLE SUE CONTRADDIZIONI
Cinquant’anni fa
il primo incontro
con Castro. Due
forti personalità
molto diverse
el luglio del 1956, la direzione
del Movimento 26 di luglio mi
inviò a Città del Messico per
portare cinquemila dollari a Fidel
Castro, che preparava la spedizione
del Granma. Entrai nella prigione di
Miguel Schultz, dov’erano detenuti
Castro e i suoi compagni, e quando
arrivai da loro, dopo aver pagato la
classica mordida (bustarella) messicana, vidi che nel letto vicino a
quello di Fidel riposava un giovane
atletico e a torso nudo, che tutti soprannominavano “el Che”. Vedendo che teneva in mano un pesante libraccio, gli chiesi che cosa stesse
leggendo, e lui mi rispose: «I principi del leninismo, di Stalin». Gli replicai chiedendogli se non sapeva che
Stalin era un criminale, e lui mi rispose arrabbiato: «Sei anche tu uno
di quelli che credono alle calunnie
imperialiste?». «Non sapevo che
Nikita Krusciov, che accusò Stalin di
essere un assassino nel suo rapporto al Comitato centrale, fosse una
spia imperialista», risposi io. A quel
punto intervenne Castro e troncò la
discussione dicendo: «Meglio un
solo capo cattivo che venti capi buoni che perdono la rivoluzione». Né
Guevara né io in quel momento
demmo alla pericolosa frase di Fidel
l’importanza che meritava.
Sono stato un testimone d’eccezione di alcuni episodi e conflitti avvenuti fra Fidel e Guevara.
Guevara ebbe una forte influenza
su Castro nei primi tempi dell’insurrezione. Fu il creatore della seconda piccola guerriglia, e il suo
gruppo era più mobile e più intraprendente di quello di Fidel: fu in
quel momento che Castro nominò il
Che primo comandante della Sierra. Alla fine del 1957, Guevara creò il
primo territorio libre, che subito l’esercito «spianò come una tavola»,
perché non esistevano le condizioni minime necessarie per la permanenza di quel territorio. Lì Guevara
fu ferito per la seconda volta.
Fare le cose prima del tempo fu
una delle caratteristiche del Che, che
imponeva sempre i suoi dogmi e le
sue idee a discapito della realtà. Mesi
dopo, facendo tesoro della lezione di
Guevara, Fidel creò un «territorio libero» intorno al comando di La Plata,
che ebbe una grande importanza
nella lotta guerrigliera. Per i tre mesi
in cui durò l’offensiva dell’esercito
contro la Sierra, Fidel, con le sue azioni e i suoi bollettini militari, impedì
che Guevara e altri comandanti occupassero la scena dei combattimenti da protagonisti. Al termine
dell’offensiva, Castro premiò Guevara, Camilo Cienfuegos, Almeida, Hubert Matos e altri comandanti, che
con le loro colonne di qualche centinaio di uomini attraversavano l’isola
da parte a parte, quando ormai l’esercito si rifugiava nelle caserme e
non aveva più voglia di combattere.
In quel momento, Guevara tornò
a essere protagonista, superando
Fidel con le sue vittorie a Las Villas e
la cattura della città di Santa Clara. E
in quel momento emerse un nuovo
conflitto: Fidel rimproverò per
iscritto a Guevara di aver firmato il
“Patto di febbraio” con il Direttorio
rivoluzionario, da sempre bestia nera di Castro. Mentre le colonne ribelli marciavano su L’Avana, toccò a
Camilo Cienfuegos la gloria di prendere il Campamento de Columbia,
mentre il Che era distaccato a La Cabaña, una posizione militare di secondo ordine. Il Che introdusse a La
Cabaña un implacabile plotone di
fucilazione, mettendone a capo il
dirigente della gioventù comunista
e uomo dei sovietici Osvaldo Sánchez. A Fidel non diedero fastidio le
I segreti svelati e
quelli che restano
Dopo la sua morte
le polemiche sui
suoi scritti
N
Il “lider maximo” Fidel Castro ed Ernesto “Che” Guevara
CHE GUEVARA
Ma si può ancora tifare per lui?
CARLOS FRANQUI
fucilazioni, ma il fatto che venisse
scoperta prima del tempo l’infiltrazione dei comunisti nell’esercito ribelle, cosa che rimproverò a Guevara. Un giorno, il Che, Raúl Castro e i
comunisti ordinarono ai contadini
di occupare le terre “liberamente”.
Fidel li sconfessò pubblicamente,
affermando che la Legge di riforma
agraria si sarebbe fatta al momento
opportuno.
L’ora del Che, di Raúl e dei comunisti inizia con i contatti con i sovie-
tici, prima della fine del 1959. Il Che
fu nominato direttore della Banca
nazionale e in seguito ministro dell’Industria e responsabile dell’economia cubana. Nel 1960, su ordine
di Fidel, mette sotto sequestro le raffinerie di petrolio, provvedimento
che dà inizio al conflitto con gli Stati Uniti. Al ritorno da un viaggio in
Unione Sovietica e in altri Paesi comunisti, tra cui la Corea del Nord, il
Che parlò alla televisione cubana
delle «meraviglie, libertà e progres-
PABLO NERUDA
CHE GUEVARA
IL MIO primo incontro
con Che Guevara avvenne all’Avana. Verso
l’una di notte andai a trovarlo, invitato da lui nel suo ufficio
del ministero delle Finanze o dell’Economia, non ricordo
esattamente. Mi aveva dato appuntamento per mezzanotte, ma io arrivai in ritardo. Avevo partecipato a una manifestazione ufficiale interminabile e mi avevano fatto sedere alla presidenza.
Il Che portava stivali, uniforme da campagna e pistola alla cintura. Il suo abbigliamento non era intonato all’ambiente bancario dell’ufficio.
Il Che era bruno, lento nel parlare, con indubbio accento
argentino. Era un uomo con cui conversare piano, nella
pampa, fra mate e mate. Le sue frasi erano brevi e terminavano in un sorriso, come se lasciassero il commento per aria.
Mi lusingò quando mi parlò del mio Canto General. Era
solito leggerlo la notte ai suoi guerriglieri, sulla Sierra
Maestra. Adesso, dopo tanti anni, rabbrividisco al pensiero che i miei versi l’accompagnarono anche alla morte.
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“
si» di quei Paesi, definendo se stesso come «Alice nel paese delle meraviglie». Seguendo i metodi sovietici, centralizzò tutto, soppresse
l’autonomia delle imprese nazionali, eliminò le piccole imprese e gli
artigiani, provocando la prima e definitiva rovina della rivoluzione castrista. Invece di sviluppare l’allora
nascente industria leggera cubana,
Guevara cercò di creare l’industria
pesante e comprò dai Paesi del blocco sovietico grandi quantità di fab-
briche inservibili, come lui stesso
avrebbe riconosciuto anni dopo.
Il viaggio di Fidel in Unione Sovietica, nel 1963, e il suo accordo con
Krusciov per trasformare Cuba nello zuccherificio del mondo comunista fu un colpo mortale per i piani industriali ed economici del Che. Nel
1964, il conflitto tra Guevara e Castro si aggrava per le simpatie del
Che verso i cinesi e le sue critiche ai
sovietici. In seguito, il ministero
dell’Industria venne drasticamente
ridimensionato, e Guevara capì che
avrebbe finito col diventare un burocrate di seconda categoria, cosa
che non avrebbe accettato.
Il discorso di Guevara, come rappresentante di Cuba, al seminario
di Argel, che accusava l’Unione Sovietica di avere un atteggiamento
colonialista nelle sue relazioni economiche con i Paesi poveri, portò il
conflitto al punto di rottura.
Prima di tornare a Cuba, il Che passò da Parigi e tenne una conferenza
alla Mutualité. Io entrai e mi sedetti
nel punto più lontano possibile. Allora Guevara, ridendo, si avvicinò e mi
disse: «Avvicinati, che non mangio
mica la gente». Gli risposi: «Lo sai
Che, ho le ossa e la pelle troppo dure
perché qualcuno se le possa mangiare». A voce bassa, mi disse: «Franqui,
con Fidel né matrimonio né divorzio». Quelle parole mi fecero pensare
che il Che aveva rotto con Fidel e che
avrebbe lasciato Cuba. Malato, tornai poco tempo dopo all’Avana, e Celia Sánchez mi raccontò che Fidel era
molto angustiato perché non aveva
avuto il tempo di parlare con Guevara, prima della sua partenza per l’Africa. Stanco di aspettare il colloquio
con Fidel, una notte Guevara prese
un aereo e se ne andò da Cuba, lasciando la sua lettera di commiato.
La brevità di questo resoconto mi
impedisce di raccontare le peripezie, i conflitti e le sventure della
campagna del Che Guevara, prima
in Africa e poi in Bolivia, dove, solo e
abbandonato, morì per mano nemica nell’ottobre del 1967.
Quando il Che morì, io, che lavoravonell’Ufficioaffaristorici,venniconvocato da Fidel, che mi diede la fotocopia del diario di Guevara, trasmessa dalla Associated Press. Fidel mi domandò: «Tu che a Radio Rebelde decifravi gli scritti e la calligrafia illeggibile del Che, dimmi se queste pagine
ti sembrano sue». Le lessi varie volte e
gli risposi di sì, che secondo me si trattava della sua scrittura. Fidel rispose
che era dello stesso parere e aggiunse:
«Erano mesi che avevamo perso i contatti con il Che, ma dal momento che
sembra che la notizia della sua morte
sia vera, devo comunicarla al popolo».
Quindi mi mostrò la copia di una foto
del Che, in cui compariva la cicatrice
di una delle sue ferite.
Dato che avevano già cominciato
ad accusarlo di aver ucciso il Che
Guevara, Castro, basandosi sulla
fotocopia diffusa, annunciò la morte del comandante Guevara. Scomparso il Che, Castro mandò, secondo le sue stesse parole, pubblicate
sul Granma, mezzo milione di cubani, tra civili e militari, a fare guerre e guerriglie in America Latina e in
Africa; ma non li mandò a Guevara
in Bolivia, neanche uno delle migliaia di volontari latinoamericani
addestrati a Cuba che erano disposti a unirsi al Che. Quarantasei anni
dopo, Castro il distruttore è ancora
al potere, con l’apartheid turistico
ed economico che priva i cubani
delle loro spiagge, alberghi, ristoranti e di ogni genere di prodotto, e
che mantiene il suo apparato di propaganda con quel denaro che riceve dai peggiori capitalisti internazionali. Per il popolo: «Socialismo,
terrore e fame». Morendo di fronte
al nemico, solo e abbandonato, il
Che si è trasformato in un mito
mondiale, il mito del consumismo
giovanile, il mito dell’insuccesso,
mentre Castro usa i suoi presunti resti, trasportati dalla Bolivia e diventati un’orrenda statua, come simbolo per promuovere il turismo castrista. Neanche con la morte Guevara è riuscito a liberarsi di Castro.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
DIARIO
38 LA REPUBBLICA
LA VITA
DEL CHE
L’INFANZIA, 1928-1950
Figlio della piccola borghesia, nasce il 14
giugno 1928 a Rosario de la Fe in
Argentina. Nel ’48 la famiglia si trasferisce
a Buenos Aires, dove Ernesto Guevara
studia medicina
L’INCONTRO CON CASTRO, 1955
Città del Messico, 9 luglio: la
conversazione dura tutta la notte, il Che
decide di prendere parte alla liberazione di
Cuba. Tra il 24 e il 25 dicembre parte sulla
Granma con 82 uomini
MARTEDÌ 1 NOVEMBRE 2005
IL MATRIMONIO, 1959
Diventa presidente della Banca Nazionale
e a giugno sposa Aleida March, una
combattente rivoluzionaria conosciuta
nella Sierra Escambray. Dalla loro unione
nasceranno quattro figli
INTERVISTA AL BIOGRAFO PIERRE KALFON
I DUBBI DEL “CHE”
SUL SOGNO COMUNISTA
ALESSANDRO OPPES
I LIBRI
PACO
IGNACIO
TAIBO II
Senza
perdere la
tenerezza
Il Saggiatore
2004
JEAN CAU
Una passione
per Che
Guevara
Vallecchi
2004
JEAN
CORMIER
La vera storia
del “Che”
Bur Rizzoli
2004
ERNESTO
GUEVARA
LYNCH
Mio figlio il
“Che”
Sperling &
Kupfer 1997
JON LEE
ANDERSON
Che. Una vita
rivoluzionaria
Baldini
Castoldi Dalai
2002
JORGE G.
CASTAÑEDA
Compañero.
Vita e morte
di Ernesto
Che Guevara
Mondadori
2000
SAVERIO
TUTINO
Guevara al
tempo di
Guevara
Editori Riuniti
1996
HILDA
GADEA
I miei anni
con il Che
Massari 1995
RICARDO
ROJO
Passione e
morte di Che
Guevara
Il Saggiatore
1963
u un amore a prima vista. Un
coup de foudre, un colpo di fulmine lo definisce Pierre
Kalfon, autore di una delle più accurate biografie del “Che”, pubblicata nel 1997, nel trentennale della
morte, ed edita in Italia da Feltrinelli. Quel primo incontro, cinquant’anni fa, tra Ernesto Guevara
e Fidel Castro fu una scoperta reciproca di caratteri distinti ma pienamente integrabili, secondo il saggista, giornalista e diplomatico francese. «In quella notte si plasma la
coppia magica della rivoluzione,
che durerà dieci
anni». Kalfon ha
alle sue spalle un
impressionante
curriculum di
esperto di questioni latino americane: fu tra l’altro direttore dell’Alliance Française in Argentina, professore
all’Università del
Cile e all’Università
cattolica di Santiago, responsabile dei
progetti di sviluppo
culturale dell’Unesco in Colombia,
Guatemala e Nicaragua, prima di essere
nominato attaché
culturale dell’ambasciata di Francia a Roma. Come giornalista
è stato corrispondente di Le Monde in Cile
all’epoca di Unidad
Popular e del golpe di
Pinochet.
Perché quell’intesa immediata?
Che cosa accomuna il Che e Fidel?
«Fidel è un seduttore, uno straordinario hablador, come direbbe
Borges. In dieci ore, tanto durò l’incontro, parla a Guevara del sogno
antimperialista di Bolívar e del ruolo di José Martí nella lotta per l’indipendenza cubana. Il “Che” confiderà a un amico: “Parlai con lui una
notte intera e la mattina dopo ero il
medico della rivoluzione”. Perché?
Il discorso messianico di Castro arriva al “Che” proprio nel momento
della sua massima maturità politica, in una fase in cui si rende conto
che è arrivata l’ora di smettere di
piangere e di lamentarsi, e che bisogna passare all’azione».
Un’identità di vedute che durò,
ovviamente, fino al triunfo della
rivoluzione. Ma poi qualcosa cominciò a incrinarsi. A partire dalla
diversa valutazione del ruolo che
l’Urss doveva esercitare all’interno di Cuba.
«Sull’Urss, al principio, il “Che”
era molto più candido e ingenuo.
Lo vedeva come il paese delle meraviglie. Comincia a cambiare opinione durante un lungo viaggio in
diversi paesi del Terzo Mondo, teatro di rivoluzioni potenziali: pensa,
e dice, che i paesi socialisti non
compiono il loro dovere di aiutare
in maniera disinteressata questi
paesi a realizzare la rivoluzione».
Il famoso discorso di Algeri che
creò non pochi grattacapi al regime cubano...
«Sì, Guevara è sempre diretto,
pensa che bisogna lanciarsi nelle
lotte di liberazione e lo dice, si permette il lusso di un discorso critico
nei confronti del blocco socialista.
In quel momento, forse Fidel la
pensa allo stesso modo ma non può
permettersi di esprimersi apertamente. In quella fase storica, la dottrina della coesistenza pacifica tornava molto utile all’Urss, che perciò non aveva voglia di impelagarsi
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,,
F
CONTRASTI
Al rientro dal suo viaggio dalla Cina
il Che si vide con Castro
all’aeroporto dell’Avana, discussero
per 40 ore e volarono parole grosse
in nessuna guerra di liberazione.
Per questo le parole del “Che” provocano grande nervosismo a Mosca».
E forse è per questo che cominciano a diffondersi, soprattutto a
Mosca, voci che alimentano il sospetto che il “Che” sia un filomaoista. E che vengono prese sul
serio anche a Cuba, soprattutto
nell’entourage di Raúl Castro.
«Voci difficili da provare, ma che
potevano avere qualche fondamento. Al termine del viaggio compiuto in Africa fra il dicembre ‘64 e
il marzo ‘65, Castro chiede a Guevara che vada in Cina per sanare le
differenze con l’Urss. A Pechino
parlerà con Ciu Enlai e Mao. L’uni-
ca cosa che si sa per certo è che al
rientro, all’aeroporto dell’Avana, ci
fu un incontro tra i due massimi
leader della rivoluzione che durò
40 ore. Parlarono e discussero molto animatamente. Volarono parole
grosse, secondo varie testimonianze».
Come vedeva il “Che” il fatto che
il Partito comunista avesse assunto il pieno controllo del regime cubano?
«Già a partire dal 1964, ma forse
anche prima - da quando il Pcc si
impossessa di tutta la macchina
dello Stato - comincia a esprimere
serie perplessità: lo confessa in privato a un amico, dicendogli che
non bisogna fidarsi troppo del Par-
tito comunista. Il “Che” è contrario
a ogni forma di nomenklatura. I primi segnali allarmanti si vedono con
l’espulsione di Jorge Masetti dall’agenzia Prensa Latina, di cui era stato il fondatore, perché troppo indipendente rispetto alle direttive del
partito».
Ernesto Guevara, il “guerrillero
heroico”, non dette il meglio di sé
come ministro dell’Industria del
governo di Cuba.
«È vero, non riuscì a
portare a compimento i progetti che aveva
annunciato. Anche
perché era impossibile avere progetti senza il consenso di Fidel, che modifica i
propri piani se non
una volta al giorno di
sicuro ogni settimana».
C’è chi definisce il
“Che” come un uomo spietato. Anche
in un saggio pubblicato di recente viene indicato come
“una macchina per
uccidere”.
«C’è una base a
cui ci si appiglia per
fare questa affermazione. Fu lui
stesso a scriverlo
in un testo tremendo: “Il rivoluzionario dev’essere capace di trasformarsi in una fredda macchina di morte”. In realtà lui
non era così. Anche nei mesi successivi alla conquista del potere,
quando si svolsero i processi che
portarono alle condanne a morte
dei complici del regime di Batista, il
“Che” insisteva quantomeno perché venissero evitate condanne
sommarie, e che le sentenze fossero pronunciate da un collegio giudicante e non da un solo giudice».
Alla fine, tra i due leader carismatici che si intesero al primo
sguardo, arrivò il momento della
separazione.
«Il “Che” restava un sognatore e
Fidel col passare degli anni si era
fatto sempre più pragmatico. Le
cose maturano lentamente ma,
quando arriva il momento di andar
via da Cuba, lo fa diciamo pure vo-
ANDY WARHOL
Cuba era molto in voga in
quel periodo. Il Che aveva
fatto un discorso all’Onu,
che era in fondo alla stessa
strada della Factory
I CONTRASTI SULLA PUBBLICAZIONE DEI SUOI SCRITTI
LIBRI, MEMORIE E CENSURE
GUEVARA FINISCE IN POLEMICA
OMERO CIAI
Pop
1980
iò che potremmo chiamare il testamento di Che Guevara è, a 38 anni dalla morte, ancora una vaga nebulosa
indecifrabile, censurata e studiata solo con
molte difficoltà dagli storici e dai biografi del
guerrigliero argentino. Da qualunque parte
la si voglia guardare, il motivo di questo
enorme ritardo nella conoscenza e diffusione di tutto ciò che Guevara disse e scrisse, ha
un luogo, un nome e numerose buone ragioni. Il luogo è ovviamente l’Avana, il nome
è Fidel Castro e le buone ragioni sono legate
al tentativo di occultare le profonde divergenze politico-ideologiche che emersero tra
il “lìder maximo” e il “Che”. I primi sei anni
della rivoluzione cubana furono decisivi
C
LUCIO COLLETTI
La sua vita è stata una
tragedia. Ma la sua attuale
resurrezione sotto forma di
libri e di ossa da adorare,
questa sì è una vera farsa
Intervista
Luglio 1997
IL MITO
In alto, il “Che
Guevara” di
Andy Warhol;
a sinistra,
“L’omaggio di
Mao a Che
Guevara” di
Shi Xinning
lontariamente ma senza che ci sia
un’altra via d’uscita».
E ora, a quasi quarant’anni dalla morte, il mito resiste inossidabile in ogni angolo del pianeta. Perché?
«È quello che accade quando un
personaggio viene assorbito direttamente dalla sfera mediatica. Ormai è diventato un’icona pietrificata per l’eternità. E non è detto che
chi ne esalta la figura abbia profonde ragioni ideologiche per farlo.
Una volta, all’uscita da una discoteca, ho intervistato alcune ragazze
che indossavano magliette con l’effigie del “Che”: credevano che fosse un cantante rock».
non solo per stabilirne il suo orientamento,
tristemente burocratico, tutto schiacciato
nell’orbita dell’Urss e dei paesi del “socialismo reale”, ma anche per affermarne la guida, a soluzione unica, nelle mani di un solo
“Cesare”. All’inizio non era affatto così visto
che Castro era “il comandante tra i comandanti”, non l’unico. Ma dopo la scomparsa
di Camilo Cienfuegos e la persecuzione di
Huber Matos, l’unico “alter” in circolazione
in grado di contraddire il “lìder maximo” rimase Guevara.
E il guaio è che lo contraddì. Come ricordano i biografi, alcuni scontri tra i due furono furiosi. E, come abbiamo potuto leggere
in alcuni scritti inediti pubblicati dallo stori-
DIARIO
MARTEDÌ 1 NOVEMBRE 2005
LA BOLIVIA, 1961-1965
Per 4 anni al ministero dell’Industria, nel
1965 si reca a combattere nell’ex Congo
belga. Nel 1966 è in Bolivia per dare vita
alla rivoluzione che dovrebbe liberare
l’intera America Latina
LA REPUBBLICA 39
LA CATTURA, 1967
L’8 ottobre è ferito e catturato nel villaggio
di La Higuera. Il giorno dopo è ucciso
crivellato da una raffica di colpi. Il
cadavere è mostrato disteso su un
lavatoio dell’ospedale di Vallegrande
LE POLEMICHE OGGI
Il Che e la sua morte continuano a far
parlare, tra le polemiche sulla decisione
dell’Ocean Press di vendere i diritti di
pubblicazione di 19 opere di Guevara e
l’ultimo “mistero” delle impronte digitali
COME L’INDUSTRIA CULTURALE HA LAVORATO SUL SUO MITO
NEL SUPERMARKET
DEL COMANDANTE
MARIO PERNIOLA
Q
GLI AUTORI
I DIARI ON LINE
Il Sillabario di Pablo
Neruda è tratto da
Confesso che ho vissuto. Carlos Franqui, poeta e giornalista, ha partecipato
alla rivoluzione cubana, nel ’68 è fuggito da Cuba. Pierre
Kalfon è autore di
una biografia del
Che. Mario Perniola
insegna Estetica all’Università di Roma.
Tutti i numeri del
“Diario” di Repubblica sono consultabili
in Rete al sito
www.repubblica.it
nella sezione “Cultura e spettacoli”. Qui i
lettori troveranno riprodotti gli articoli e
le pagine comprensivi di tutte le illustrazioni di questo strumento di comprensione delle tematiche attuali.
uando nel 1997 furono trovati i resti di Ernesto Guevara, che era stato catturato e ucciso trent’anni prima, molti si chiesero se la riattivazione del
mito legato alla sua figura conservasse lo stesso significato che
aveva negli anni Sessanta e Settanta. Sembrò giustamente che
questa celeberrima icona della
cultura giovanile fosse stata radicalmente decostruita dall’industria culturale, perdendo tutti
quei pesanti connotati ideologici
che la caratterizzavano originariamente. La società dello spettacolo aveva sottoposto un simbolo della rivoluzione politico-sociale alla stessa operazione tante volte effettuata dall’avanguardia artistico-letteraria
novecentesca, definita efficacemente dal critico letterario Viktor Sklovskij come
un «trarre la sedia fuori dal
mobilio»: l’immagine del
Che era stata oggetto di
una decontestualizzazione analoga a quella compiuta da Duchamp quando propose di considerare
un orinatoio come un’opera d’arte. L’insieme delle
masserizie rivoluzionarie
dovevano essere messe in
soffitta, ma l’immagine di
questo bel giovane col berretto
era abbastanza “sexy” da poter
essere depoliticizzata e introdotta in un altro contesto, quello delle merci di consumo di massa. Un
potente simbolo della rivoluzione diventava così qualcosa di innocuo, non privo di un’aura vagamente poetica, nella quale utopia e nostalgia trovavano un punto d’incontro.
Dal 1997 a oggi mi sembra tuttavia che l’immagine di Che Guevara abbia subito un’ulteriore
modifica, diventando oggetto di
una semanticizzazione non meno aberrante della precedente.
Questa nuova codifica non è però
opera dell’industria culturale,
ma è radicata più profondamente nell’inconscio collettivo non
solo giovanile. Ciò che Guevara
sembra personificare è la possibilità dell’azione individuale in
un’epoca in cui questa sembra
essere diventata impossibile. Il
sociologo francese Jean Baudril-
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ICONA
L’immagine del bel giovane
col berretto è stata un
potente simbolo della
rivoluzione
lard ha descritto questa impossibilità con riferimento alle figure
dell’obeso, dell’ostaggio e dell’osceno, che corrispondono alle tre
dimensioni dell’azione fisica, politica e seduttiva.
Certo è che il posto occupato
dall’azione nell’immaginario
moderno è stato preso dalla comunicazione, la quale viene prospettata come obbedienza incondizionata a supposte leggi
dell’economia (se non molto più
banalmente, del mercato). Ora la
nuova immagine di Guevara ha
poco che fare con la realtà storica
dell’ideologia guevarista; infatti
anche in questa nuova codifica
l’icona è autonoma rispetto alla
IL MANIFESTO
Cuba, nelle
strade
dell’Avana una
gigantesca
affissione con
il ritratto del
“Che”
GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ
LA
BANCONOTA
I tre pesos
coniati
nel ’95: su uno
dei due lati il
Che taglia le
canne
da zucchero
co Antonio Moscato su Liberazione, la polemica tra Castro e Guevara sull’Urss fu durissima. Dopo l’assassinio del “Che”, il 9 ottobre del 1967 in Bolivia, Fidel Castro s’impegnò nel cancellare discussioni e polemiche
e, come accadde in Italia per gli scritti di
Gramsci “rivisti” da Togliatti, sigillò in un
baule tutto quello che poteva smentire la sua
ricostruzione dei fatti. All’opera ha collaborato attivamente il “centro Guevara”, l’istituto cubano gestito prima dalla seconda
moglie del “Che” e poi dalla figlia maggiore,
Aleida, pubblicando tra i numerosissimi
inediti solo e soltanto ciò che il “lìder maximo” riteneva opportuno, di volta in volta,
pubblicare.
Così, è ovvio, sono rimasti nei cassetti non
solo tutti gli scritti antisovietici del “Che”,
ma anche molti dei suoi diari. Come ricorda
chi lo conobbe da vicino Ernesto Guevara
era un vero “grafomane” che ogni giorno
prendeva appunti, esprimeva giudizi, spesso sferzanti, su coloro che incontrava e archiviava bozze di pensieri e programmi politici. Negli anni, una parte di tutto questo
materiale è uscito da Cuba. Spesso, come nel
caso del diario dal Congo, senza il visto buono della famiglia e di Castro. Ma senza che
nessuno abbia potuto studiare, catalogare
ed esaminare con la necessaria libertà il suo
“testamento” intellettuale e politico. Non
sarà giunta l’ora di colmare questo debito?
L’amicizia viscerale e
l’identificazione politica
fra Fidel Castro e Che
Guevara non sono mai state
messe in discussione
A ruota libera
1977
ERIC HOBSBAWM
Visto di persona era
veramente quell’uomo
affascinante che appare nella
famosa foto; tuttavia non
disse nulla di interessante
Anni interessanti
2002
teoria politica. Ciò che ritorna è il
mito dell’azione, il quale appartiene così essenzialmente alla
modernità occidentale da non
poter essere completamente represso: si pensi a quei personaggi
emblematici che sono l’Ulisse
dantesco, don Giovanni, don
Chisciotte, Faust e alla loro permanenza nell’inconscio collettivo.
L’immagine di Guevara mi richiama alla memoria quella di un
altro uomo d’azione: lo scrittore
francese André Malraux, di cui si
conserva una fotografia che lo ritrae in divisa da combattimento
con un copricapo simile a quello di Guevara, scattata durante la guerra di Spagna quando era comandante della
brigata Alsazia-Lorena.
Anche Malraux ha costituito una figura molto
seducente che ha affascinato pensatori così
diversi da lui come Nicola Chiaromonte,
Louis Althusser e JeanFrançois Lyotard (i cui
due ultimi libri hanno
appunto per argomento
proprio Malraux). Ma tra
l’icona di Malraux e quella di Guevara, che hanno
in comune il fascino erotico
e il gusto della sfida, c’è una
differenza essenziale: il primo
è stato nella vita un vincitore,
autore di romanzi e di saggi che
ne fanno un classico della letteratura francese e dell’estetica nonché per molti anni un ministro
della cultura rispettato; Guevara
invece è stato uno sconfitto che
ha tutte le carte in regola per essere visto come un eroe. Tuttavia
l’eroe è legato a un destino tragico che è in singolare contraddizione con la famosa esclamazione Hasta la victoria siempre!In effetti mi chiedo se nell’immaginario rivoluzionario latino-americano attuale, per esempio nello
zapatismo, ci sia posto per il culto del Che. Non bisogna dimenticare che l’esperienza rivoluzionaria messicana è sempre stata
così legata alla prospettiva della
vittoria da rimuovere il ricordo
dell’esecuzione di Zapata, avvenuta nel 1919; fino a tempi non
troppo remoti si diceva che Zapata, erede di una tradizione di uomini-dio che risale al Cinquecento, fosse partito per l’Oriente e sarebbe ritornato a capo di un esercito! In Occidente invece sono in
atto da molto tempo potenti dinamiche autodistruttive, soprattutto nella gioventù: è proprio facendo leva su di esse che il mito
del Che può esercitare ancora
una nefasta influenza.
Le famose fotografie che mostrano il cadavere del Che e la scoperta dei suoi resti orientano
l’immaginario verso il martirio e
la santità più che verso l’eroismo
e la rivincita. Non meraviglia perciò che l’icona del Che venga da
taluni associata al pacifismo,
operando così un accostamento
che non è meno stravagante e assurdo di quello attuato dalla mercificazione consumistica. Il destino postumo del Che si rivela
quindi dotato di un’ampia polisemia: se l’icona consumistica
appare troppo logora e quella
eroica poco attraente, il Che ha
forse ancora davanti a sé un avvenire da santo, perché secondo il
detto di Malraux da cui Althusser
ha tratto il titolo della sua autobiografia, «l’avvenire dura a lungo».
I DIARI DEL CHE
ERNESTO
“CHE”
GUEVARA
La storia sta
per
cominciare
Mondadori
2005
Guerra per
bande
Mondadori
2005
Diario del
“Che” in
Bolivia
Feltrinelli
2005
Latino
americana.
Un diario per
un viaggio in
motocicletta
Feltrinelli
2004
La guerra di
guerriglia
Baldini
Castoldi
Dalai
2003
Diario della
rivoluzione
cubana
Newton
Compton
2002
Prima di
morire.
Appunti e
note di
lettura
Feltrinelli
1998
L’anno in cui
non siamo
stati da
nessuna
parte. Il
diario
inedito di
Ernesto
“Che”
Guevara in
Africa
Ponte alle
Grazie
1994
Diario di
Bolivia
Feltrinelli
1969