Tsunami - SoloVela.net

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Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
di Mauro Melandri
il 26 dicembre 2004, ore 0.58 UTC: i
sismografi di tutto il mondo oscillano.
Un terremoto di violenza devastante
ha colpito il sud est asiatico.
L’epicentro viene localizzato al largo della
costa nord-occidentale di Sumatra, a quasi
dieci chilometri di profondità, lungo la faglia che separa la placca indiana da quella
di Burma: una zona ad alto rischio sismico,
che in passato non era mai stata interessata da eventi così devastanti.
A scatenare il sisma, la cui magnitudo viene calcolata in 9.0 della scala Richter (il
12° grado della scala Mercalli è paragonabile alla magnitudo 8.1 della Richter), è un
fenomeno noto con il nome di subduzione:
dopo secoli trascorsi in una situazione di
sostanziale equilibrio, la placca indiana,
che si muove al ritmo di sei centimetri l’anno verso nord est, scivola improvvisamente
sotto la placca di Burma, alzandola verso la
superficie del mare di diversi metri.
Anziché disperdersi nel nulla come capita
quando a essere colpite sono le terre
emerse il sisma, genera uno spaventoso e
devastante tsunami, la cui furia distruttrice si riversa sulle coste di numerose nazioni e cancella in pochi minuti più di
150.000 vite umane, paradisi naturali e
interi centri abitati.
Sri Lanka, Thailandia, India, Maldive e Indonesia sono in ginocchio; il resto del mondo osserva impotente.
È
Tsunami
L’Apocalisse
che viene
dal mare
COS’È LO TSUNAMI
Mentre i terremoti restano, nella maggior
parte dei casi, calamità imprevedibili, i maremoti possono essere previsti, ma solo come conseguenza di fenomeni sismici e con un limitato margine di tempo.
Gli stati che sanno di essere a rischio tsunami (come il Giappone e
le Hawaii) hanno creato dei sistemi di monitoraggio che, sfruttando i dati raccolti da speciali boe oceaniche, sono in grado di segnalarne l’avvicinarsi con buon preavviso, permettendo alle autorità
di far suonare gli allarmi e di evacuare le zone considerate a rischio.
Ciò che in Italia è conosciuto con il nome di maremoto, in Giappone viene chiamato tsunami, parola che nel paese del Sol Levante significa “onda di porto”. Questo termine, la cui traduzione pare quasi senza significato, da un’idea perfetta di come questo fenomeno
non si fermi davanti a nulla, sommergendo i frangiflutti dei porti e
LA SCONFITTA DELLA POLITICA
Come era logico prevedere, già all’indomani della
tragedia i principali media hanno diffuso le esternazioni di personaggi più o meno autorevoli che
accusavano gli scienziati del N.O.A.A. (l’Osservatorio Oceanografico e Atmosferico Statunitense)
di essere rimasti immobili davanti allo scatenarsi
della natura, nonostante fossero in possesso di
tutte le informazioni necessarie per poter far
scattare un allarme maremoto. Mai affermazioni
furono più false e tendenziose.
Anzi il N.O.A.A., tra i cui compiti spetta il controllo degli tsunami unicamente nella zona del Pacifico, pur non avendo boe ancorate nel sud est asiatico (l’unico sistema veramente affidabile per prevedere l’arrivo di uno tsunami), lanciò un bollettino esattamente un’ora e cinque minuti dopo aver
registrato la violenta scossa, nel quale si descriveva quanto stesse accadendo in quelle zone.
A fallire quindi non è stata la scienza, certo non
aiutata dall’arretratezza tecnologica dei paesi colpiti dallo tsunami, ma la politica dei singoli stati (paesi come l’India e il Myanmar, oltre a minimizzare l’accaduto, rifiutano ancora oggi gli aiuti
provenienti dall’estero), dietro le cui cortine burocratiche e le inadeguatezze logistiche, si sono
infranti i comunicati di allarme.
portando ovunque distruzione e terrore.
Lo tsunami, infatti, non è un’onda gigantesca che, frangendo, si abbatte sulle coste, come mostrato in alcuni film. Più che altro si tratta di un improvviso innalzamento della marea che, nei casi più gravi, può aumentare anche di diversi metri, spingendo l’acqua nell’entroterra per diversi chilometri, prima di ritirarsi completamente
e scoprendo per alcuni minuti, centinaia di metri di fondale marino, (come avvenuto nello Sri Lanka, alle Maldive e in India, colpite da un’onda di ampiezza positiva).
Quando a colpire è un’onda di ampiezza negativa, nata anche dallo stesso treno ma propagatasi in senso opposto, si assiste al fenomeno inverso: la marea diminuisce repentinamente, per poi
tornare a salire con incredibile rapidità, sommergendo e devastando ogni cosa incontrata lungo il suo cammino, come avvenuto in Thailandia.
Lo tsunami è quindi un particolare sistema di onde che si propagano dall’epicentro di un sisma (ma possono nascere anche in seguito a eruzioni e frane sottomarine o, eccezionalmente, dall’impatto
di un asteroide con il mare) in modo concentrico, a una velocità di
quasi 350 nodi, seguendo lo stesso comportamento di quelle provocate dal lancio di un sasso in uno stagno.
La loro lunghezza d’onda può essere di diverse centinaia di chilo-
A destra, una
immagine dal
satellite della
parte meridionale
dello Sri Lanka
esattamente
un’ora dopo il
drammatico
passaggio
dell’onda dello
Tsunami.
Notare che la
costa non è più
nettamente
separata dal mare
Epicentro
del terremoto
metri, mentre il periodo di oscillazione varia tra i cinque e i sessanta minuti. Se a ciò si associa che spesso le creste sono alte meno di un metro si capisce perché, chi lo incontra in mare aperto,
non si rende conto di nulla. Man mano che si avvicina a riva, il “killer” si trasforma, mostrandosi in tutta la sua impressionante furia.
Se, da un lato, la diminuzione del fondale ne rallenta sensibilmente la velocità, dall’altro ne accorcia la lunghezza d’onda, aumentando la distanza tra l’incavo e la cresta e originando così onde alte fino a quindici metri. A questo punto lo tsunami sommerge le coste con violenza inaudita, distruggendo edifici, sradicando alberi e
polverizzando quant’altro incontra sulla sua strada, mentre correnti
estremamente sostenute (10/20 metri al secondo), generate dal
fluire dell’acqua, oltre a erodere le fondamenta degli edifici, possono trascinare per lunghi tragitti oggetti pesanti diverse tonnellate.
Dopo aver dissipato totalmente la sua energia, lo tsunami si ritira,
risucchiando verso il largo migliaia di detriti.
Fenomeni di questo tipo possono interessare diverse migliaia di chilometri di costa, come nel caso del maremoto dello scorso 26 dicembre: è proprio questa una caratteristica peculiare degli tsunami,
quella cioè di potersi propagare su distanze di migliaia di chilometri senza attenuarsi, portando distruzione anche in luoghi molto
lontani dalla zona di origine.
Febbraio 2005
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