la scuola sotto attacco

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la scuola sotto attacco
LA SCUOLA SOTTO
ATTACCO
(Pubblicato sul Giornale di Storia Contemporanea
Anno VII n. 2, Dicembre 2004)
Roberto Renzetti
“Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte
alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le
aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre
per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo
serve un sistema statale di buoni scuola emessi
all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni
che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle
famiglie degli studenti, anche private e/o
confessionali”(1955).
Milton Friedman
(nobel per l'Economia 1976)
http://www.friedmanfoundation.org/
Con l’implosione dell’ex URSS, l’Impresa, il Mercato, la Finanza,
l’Economia si sono fatte sempre più invadenti. Fino a 15 anni fa la
mediazione della politica era efficace per arginare e per garantire
un minimo di difesa dei cittadini. Da allora le lobby del settore
hanno preteso di intervenire sempre più nelle scelte strategiche
del Paese fino al punto da avere ormai preso quasi completamente
il timone delle grandi scelte nazionali e sovranazionali. La politica
in senso stretto, nel contempo, risponde sempre meno ai cittadini
nel loro complesso e sempre più alle richieste di tali lobby. Le
politiche sono ormai più o meno neoliberiste, a seconda dello
schieramento politico. Le scelte di fondo, che riguardano molto da
vicino la vita di tutti, vengono fatte in riunioni riservate evitando
che siano dibattute dai cittadini interessati. E' quindi dalle scelte
di economisti, imprenditori, finanzieri e manager che occorre
partire per capire cosa si progetta per questo secolo e, per quel
che ora interessa, per la scuola.
La scuola è una delle istituzioni alla base di una società
democratica. Essa permette la crescita di tutti, senza distinzioni di
sorta. Da quando si è capito che, attraverso la scuola, sono
possibili grandi affari, essa è nelle mire di appetiti neppure
nascosti. Con operazione di lobbying, sia a livello di governi
nazionali sia a livello di Commissione UE, si sta tentando di
mettere le mani in questo settore, ancora in massima parte
vergine in Italia, per farlo diventare una azienda che deve dare
profitto.
Intanto una indagine OCSE (1998) stima in 2000 miliardi di dollari
l’investimento per la scuola nel mondo ed in 1000 miliardi negli Stati membri
(circa: 4 milioni di insegnanti, 80 milioni di studenti, 315 mila istituti e 5 mila
università). (1) Un vero gigantesco affare.
Si può allora capire che l'efficienza di cui parla Friedman, il
consigliere economico di Reagan, l’ispiratore della Tatcher, di
Pinochet e di Berlusconi, è legata allo sfruttamento della scuola a
fini di mercato. Ma è possibile pensare una cosa del genere?
Soprattutto in Europa? Se si, dove possiamo rintracciarne i
sintomi, le linee di tendenza, gli eventuali iniziali successi?
Per capire di cosa si tratta occorre risalire a conferenze
internazionali, ad accordi presi nel recente passato, a tutta una
serie di documenti in gran parte sconosciuti agli addetti (e non) ai
lavori o che non era utile diffondere. Vedremo cosa accade negli
USA, cosa nella UE, cosa dice l’UNESCO e l’OCSE per passare ad
una rapida rassegna delle cose italiane a livelli di governi e di
organizzazione degli industriali.
Premessa
Una piccola considerazione è utile. Fino a qualche anno fa era
impensabile disporre di una grande documentazione in tempi
rapidi. Tutti noi abbiamo passato ore ed ore in biblioteca su
riviste specializzate, aspettando il nuovo numero in uscita che
comunque era edito qualche mese dopo ... Oggi internet permette
l’acceso ad una gran mole di documenti in tempo reale e, ciò che è
d’interesse, fornisce la possibilità di trovare anche documenti che
qualche anno fa non si sarebbero cercati. Ci vuole tempo,
pazienza, ... . Ordinare e discernere le cose non è troppo semplice.
Se si tiene sempre presente che troppa informazione a volte
equivale a nessuna informazione, si capiscono i rischi che si
corrono. Ma è possibile fare dei lavori, comunque assolutamente
criticabili e forse più fragili perché meno ponderati dal tempo, di
storia quasi in contemporanea. E’ sempre vero che dietro ogni
lettura vi è un criterio storiografico ma, è altrettanto vero, che è
difficile il ribaltamento di tesi sostenute da così autorevoli fonti
per di più primarie. Per quanto nelle mie possibilità e disponibilità
ho
ricercato
documenti
originali
di
associazioni,
enti,
organizzazioni ... via via citati e li ho messi in ordine. Le mie
considerazioni sono veramente poche e marginali.
La società 20:80
(2)
Al Fairmont Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si
riunirono 500 persone, l'élite del mondo, il braintrust globale
(Bush senior, M. Thatcher, G. Schultz, T. Turner, G. Rifkin (quello de
La fine del lavoro piuttosto che de l’Economia all’idrogeno), D.
Packard, J. Gage, Z. Brzezinski, ...), sotto l'egida della Fondazione
Gorbaciov, per "decidere delle prospettive del mondo nel nuovo
millennio che porta ad una nuova civiltà". Tutti furono d'accordo
nel prefigurare un modello di società in cui solo il 20% dei
cittadini del mondo sarebbe stata necessaria per mandarlo avanti.
Il rimanente 80% sarebbe stata da considerarsi massa eccedente
[“surplus people”: questa l’espressione utilizzata]. Si passava
quindi dalle pur nere prospettive degli anni Ottanta, la società in
cui 1/3 dei cittadini del mondo avrebbe avuto accesso al
benessere, ad una società 1/5 con molta massa eccedente. Si
prospettavano riforme selvagge ben anticipate da John Gage,
dirigente di Sun Microsystem, "assumiamo i nostri operai con il
computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer!"
(con lo scavalcamento completo di ogni legge a tutela del lavoro)
e, naturalmente, progettando una società senza classe media, ci si
poneva il problema di come farla accettare alla massa eccedente.
Gage aggiungeva che in futuro si tratterà “to have lunch or be
lunch”, di mangiare o essere mangiati. Fu Zbigniew Brzezinski che
fornì una prima soluzione per tranquillizzare chi sarebbe stato
mangiato: tittytainment, una parola coniata a proposito che sta
per tits = tetta (nel senso di dispensatrice di latte) e
entertainment = gioco, il panem et circenses della Roma
imperiale. Ed a quelli che obiettavano che il circo sarebbe stato
insufficiente per chi chiedeva autostima, il moderatore, R. Roy,
rispondeva che volontariato, associazioni sportive, ... "potrebbero
essere valorizzate con una modesta retribuzione per promuovere
l'autostima di milioni di cittadini". I numeri della massa eccedente,
continuava Roy, non dovrebbero comunque preoccupare perché, a
breve, vi sarà nei Paesi Occidentali, una nuova richiesta di lavori
precedentemente
rifiutati:
pulizia
strade,
collaborazioni
domestiche, ... Intanto occorre iniziare a colpevolizzare questa
massa: non si lavora abbastanza, si guadagna troppo, la
produttività è bassa, le pensioni vengono erogate troppo presto,
sono troppo elevate, si è malati per troppo tempo, troppo
assenteismo, la maternità, viviamo al di sopra delle nostre
possibilità, servono sacrifici, troppe vacanze, troppi servizi
gratuiti, vi è troppo spreco, le società asiatiche della rinuncia
devono essere prese ad esempio ... Insomma, “ad un tratto la
partecipazione di massa dei lavoratori alla produzione generale di
beni e valori economici appare solo come concessione che nel
periodo della guerra fredda doveva sottrarre il fondamento
all’agitazione comunista”.
In questo scenario (e nell’uso ormai irresponsabile di ogni
bene comune) la scuola diventa funzionale a quanto si va
delineando. La scuola così come è costa troppo ed è una spesa
superflua per i fini che si vogliono conseguire. Occorre pensare
una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a
livello di buoni consumatori in questa società tecnologica. Occorre
che i cittadini conoscano, ad esempio: digitale, satellitare, DVD,
Laser, Hi Tech, PC, Internet, Provider, CD, masterizzatore, ...; non è
invece in alcun modo necessario che conoscano i meccanismi
scientifico-tecnologici che sono dietro questi nomi. Per intenderci:
occorre che si abbia la preparazione tecnologica sufficiente per
essere consumatori ma non tale da essere creatori di scienza e
tecnologia. Questo almeno a livello di impegno di scuola pubblica,
di quella che è pagata dalla fiscalità generale. Vi è naturalmente
necessità di cittadini preparati a livelli superiori, ma è del tutto
inutile e soprattutto è un vero spreco di risorse pensare di
formare tutti in modo che possano pensare all’accesso a queste
superiori specializzazioni. Chi serve per tali fini verrà preparato in
scuole speciali. La selezione per accedere a queste scuole la
faranno: le stesse scuole private e le imprese. Non ha senso
continuare a dissipare denaro nell'istruzione pubblica. Il mercato
è buono e gli interventi dello Stato sono cattivi: derergulation
anziché controllo statale, liberalizzazione di commercio e capitali,
privatizzazione di ogni cosa abbia il sapore del pubblico
(Friedman). Questa è la scuola che sta nello sfondo della tre giorni
di stringenti dibattiti (due minuti ad intervento) della Fondazione
Gorbaciov.
ERT: Tavola Rotonda Europea degli industriali
(3)
L’Europa delle imprese, dovendo recuperare molto in deregulation, rispetto agli
USA, era da tempo in fibrillazione. Già nel 1989 l’European Round Table of
Industrialist, l'ERT (4), potentissima lobby di industriali europei, che ha da
sempre grande influenza ed entratura presso la UE, aveva pubblicato un
rapporto dal titolo: "Istruzione e competenza in Europa" in cui si sosteneva che
"l'istruzione e la formazione (...) sono (...) investimenti strategici vitali per la
competitività europea e per il futuro successo dell'impresa"e che "l'insegnamento
e la formazione [sono purtroppo] sempre considerati dai governi e dagli organi
decisionali come un affare interno (...). L'industria ha soltanto una modestissima
influenza sui programmi didattici che devono essere rinnovati insieme ai sistemi
d’insegnamento". Si aggiungeva poi che gli insegnanti "hanno una
comprensione insufficiente dell'ambiente economico, degli affari, della nozione di
profitto ... e non capiscono i bisogni dell'industria".
E nel 1992 la UE, con il trattato di Maastricht (articolo
126), inizia ad avere competenze in materia d'Istruzione. Nel
1993, il Libro Bianco della UE (5) apre all'industria ("apertura
dell'educazione al mondo del lavoro") proponendo incentivi fiscali
e legali al fine di far investire la stessa nell'Istruzione. La
supposta sfida viene raccolta, in un gioco delle parti, dall'ERT che
nel 1995 (6) spinge gli industriali a "moltiplicare i partenariati tra
scuole ed imprese" e sollecita il mondo politico in tal senso. L'ERT
insiste nel denunciare che "nella gran parte d'Europa le scuole
[sono] integrate in sistemi pubblici centralizzati, gestiti da una
burocrazia che rallenta la loro evoluzione o le rende impermeabili
alle domande di cambiamento provenienti dall'esterno". E passa
ad avanzare i suoi intendimenti: “la responsabilità della
formazione deve, in definitiva, essere assunta dall’industria.
Sembra che nel mondo della scuola non si percepisca chiaramente
quale sia il profilo dei collaboratori di cui l’industria ha bisogno.
L’istruzione deve essere considerata come un servizio reso al
mondo economico.
I governi nazionali dovrebbero vedere
l’istruzione come un processo esteso dalla culla fino alla tomba.
Istruzione significa apprendere, non ricevere un insegnamento
[ERT, 1995]". "Non abbiamo tempo da perdere. (...) Ci appelliamo
ai governi perché diano all’educazione un’alta priorità, perché
invitino l’industria al tavolo di discussione sulle materie
educative, e perché rivoluzionino i metodi d’insegnamento con la
tecnologia [ERT, 1997 (7)]”.
Quanto sostenuto dall’ERT 1995 viene immediatamente
ripreso dal Libro Bianco della UE 1995 (8) in cui si fa esplicito
riferimento all'ERT: "Il rapporto della Tavola Rotonda Europea
degli industriali ha insistito sulla necessità di una formazione
continua polivalente (...) incitando ad imparare ad imparare nel
corso di tutta la vita [long life learning] ...[e quindi] una
iniziazione generalizzata alle tecnologie dell'informazione è
diventata una necessità".
Ad evitare facili illusioni e fraintendimenti era l'OCSE
che, nel 1996 (9) , facendo riferimento ad una tavola rotonda
svoltasi negli USA (Filadelfia) nel febbraio dello stesso anno
(Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Ocse, Parigi,
1996), spiegava che "l'apprendimento a vita non può fondarsi
sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere
assicurato da 'prestatori di servizi educativi' (...). La tecnologia
crea un mercato mondiale nel settore della formazione" e,
mediante TV ed Internet, si possono produrre programmi da una
parte e proporli in tutto il mondo (educazione a distanza o elearning: si sente qui la presenza nell’ERT di vari colossi
informatici europei, Philips, Siemens, Ericsson, Bertelsmann, ... ed
anche delle telefonie privatizzate che potranno incrementare a
piacere i loro traffici). Ad evitare possibili obiezioni su programmi
didattici che travalichino le frontiere interferendo sui sistemi
scolastici nazionali , la Commissione UE si preoccupa di affermare
che l'insegnamento privato a distanza costituisce un servizio e
come tale rientra nell'articolo 59 del Trattato CEE (10) ; sarà la UE a
rilasciare una Tessera personale delle competenze [il portfolio,
ndr. Vedi: The European Skill Accreditation System] che potrà
essere racchiusa in un CD da immettere nel computer nel
momento della richiesta di lavoro. In tal modo si scavalcano le
normative ed i titoli di studio dei singoli Paesi. In ogni caso la
stessa OCSE avvertiva che era necessario "un maggiore impegno
da parte degli studenti nel finanziamento di gran parte dei costi
della propria istruzione" (11). Gli insegnanti residuali (sic!), che
occorrerà portarsi dietro fino alla loro estinzione, si occuperanno
della popolazione non redditizia. Ed ecco che si può intravedere la
stessa conclusione alla quale erano arrivati a San Francisco: anche
qui si scoprono masse eccedenti. Ed un plauso a questo Libro
Bianco viene dagli USA. M. Murphy, della Northern Illinois
University, osserva che "la decisione politica di incoraggiare
l'apprendistato a vita è destinata a fornire alle grandi imprese
europee l'infrastruttura educativa essenziale al mantenimento dei
loro tassi di profitto" (12). Viene infatti a realizzarsi uno degli
scenari che la stessa Commissione Europea aveva delineato tra il
1990 (13) ed il 1991 (14): un grande mercato degli strumenti didattici
offerti sul mercato dell'insegnamento permanente secondo le
ordinarie leggi della domanda e dell'offerta. In tale mercato i corsi
sono i prodotti e gli studenti sono i clienti. "Un'università aperta,
si dice, è un'impresa industriale e l'insegnamento superiore a
distanza è una nuova industria. Quest'impresa deve vendere i
suoi prodotti sul mercato dell'insegnamento permanente".
Scrive Susan George del Transnational Institute di Amsterdam: “E’
scritto, fatale, ineluttabile che la politica della UE si ispiri
esclusivamente alla dottrina neoliberista? Che la sua strategia
economica si limiti a promuovere la competitività mondiale, la
deregolamentazione, il libero scambio, il tuttomercato ? Che
l’ambito sociale e l’ambiente siano disprezzati e trascurati,
relegati allo stretto necessario? No, tutto ciò non è né scritto né
fatale, né ineluttabile: bensì pensato, organizzato e finanziato
dalle società transnazionali più potenti d’Europa”. (15)
Rapporto UNESCO 1996 (Commissione J. Delors)(16)
In tempi rapidissimi i desiderata del mondo dell'impresa e
della finanza trovano accoglienza in un lavoro dell'UNESCO del
1996. Una Commissione presieduta dal grande amico dell’ERT,
Jacques Delors, che ha appena lasciato la Presidenza della UE,
stila un rapporto che getta le basi per la scuola europea del futuro
immediato (ricordo che le prime intenzioni puntavano ad una
scuola nuova per il nuovo millennio). Anche la UE, crea una
Commissione, presieduta da Edith Cresson, nientemeno che un ex
Primo Ministro francese, che lavora nel senso delle richieste
avanzate dall'ERT.
Le analisi di Delors partivano dal cambiamento di un mondo, di
un modo di essere, dal passaggio dall'ingombrante cartaceo ai
computer, con le illusioni tipiche create nei neofiti e le certezze di
chi fa affari. Si ripeteva quanto accaduto all'inizio del Novecento, il
passaggio
dall'operaio
con
mestiere
complessivo
allo
specializzato ad una dimensione del fordismo. Ora la catena di
montaggio, le grandi concentrazioni operaie, il modo di
produzione che abbiamo conosciuto cedono il passo ad altro che
non conosciamo. Delors prende atto di un mondo non più
descrivibile in termini di sviluppo lineare e di continua
accumulazione; in cui la rottura dei rapporti tra mondo produttivo
ed ambiente e l'enorme conflittualità tra mercati, che si è creata
con l'esclusione di gran parte dell’umanità, ha visto un continuo
crescere di tensioni e di guerre.
Le risposte a queste problematiche sono molto articolate
ma si possono riassumere in quattro grandi finalità per la scuola:
imparare a conoscere, imparare a vivere insieme, imparare ad
essere, imparare a fare. Sulle prime due c'è poco da dire, ma sulle
altre è necessaria una qualche specificazione. L'imparare ad
essere punta verso il riconoscere che l'essere umano è fatto oltre
che di corpo, anche di spirito. Scrive Delors: "Il mondo, spesso
senza accorgersene, ha un desiderio ardente, spesso inespresso,
di un ideale e di valori che noi chiameremo 'morali'. E' quindi
nobile compito dell'educazione incoraggiare tutti e ciascuno,
agendo in armonia con le loro tradizioni e convinzioni e
mostrando pieno rispetto per il pluralismo, innalzare le menti e
gli spiriti fino al piano dell'universale e, in certa misura, al
superamento di se stessi. Non è esagerato, da parte della
Commissione, affermare che da questo dipende la sopravvivenza
dell'umanità". Per quel che riguarda invece l'imparare a fare si
ritorna con i piedi sulla Terra e si dice: "nell'industria,
specialmente per gli operatori di macchine e per tecnici, la
supremazia dell'elemento cognitivo e di quello informativo, come
fattori nei sistemi di produzione, sta rendendo superata l'idea di
abilità professionale e mettendo in primo piano quella di
competenza personale [qui si introducono i 'percorsi individuali' e
le abilità del telelavoro, ndr] ... Tale competenza "è un misto,
specifico per ciascun individuo, di abilità nel senso stretto del
termine,
acquisita
attraverso
la
formazione
tecnica
e
professionale, di comportamento sociale [come interpretare
quest’affermazione in tale contesto? ndr], di un'attitudine al
lavoro di gruppo e d'iniziativa e disponibilità ad affrontare rischi
[la 'mobilità', della quale Delors si era occupato in un Libro Bianco
della UE del 1993, ndr]". E, nonostante tante buone intenzioni, la
parte essenziale è quella che conclude il Rapporto medesimo: il
sistema scolastico deve possedere "maggiore diversità curricolare
e costruire passaggi tra i vari sistemi di istruzione, o tra la vita
lavorativa ed ulteriori corsi di formazione. Una tale flessibilità
contribuirebbe anche a ridurre il fenomeno della mortalità
scolastica ed il terribile spreco di potenziale umano che ne
risulta".
Libro Bianco UE 1996 (E. Cresson)(17)
Su linee più decisamente imprenditoriali si muove il Libro Bianco
della UE (Cresson che mette a lavorare un gruppo diretto da
Reiffers) del 1996. Partendo, anche qui, dal riconoscimento di una
società in rapido cambiamento (mondializzazione, informazione,
scienza e tecnica, impresa, ... ) si afferma che la scuola si deve
adeguare. In particolare la crescita dell'informazione a livello
mondiale potrebbe essere di aiuto al sistema formativo. Ma per
far questo l'Europa deve avere come priorità l'investire in software
multimediale, data la frammentazione del mercato multimediale
europeo, al fine di sfruttare tutte le potenzialità dell'educazione
permanente attraverso la TV e, quando si saranno diffusi i
computer, attraverso internet. Ma una 'scuola' di questo tipo non
può più certificare le conoscenze attraverso un diploma che è
sempre più obsoleto. E' quindi auspicabile quella "Tessera
personale delle competenze" di cui prima, da spendere nella UE.
Gli obiettivi principali che il sistema educativo deve conseguire
sono: 1) l'avvicinamento della scuola all'impresa con l'educazione
alla flessibilità ed alla mobilità; 2) il trattare allo stesso modo gli
investimenti in affari e quelli in formazione; 3) la lotta
all'emarginazione ed all'abbandono scolastico, che possono avere
successo con l'introduzione di ogni tecnica multimediale e con i
suggerimenti della Commissione: "sviluppare la concertazione ed
il partenariato con il settore economico; si può ad esempio
immaginare che ogni impresa sponsorizzi una scuola ... Le
famiglie sarebbero anch'esse coinvolte direttamente ..."; 4) la
conoscenza di tre lingue comunitarie; 5) l'auspicio che i Paesi
della UE adottino "disposizioni a favore delle imprese che
attribuiscono particolare attenzione alla formazione".
A questo occorre aggiungere quanto sostenuto dal Memorandum della UE del
30/10 del 2000 (18) ripreso poi più volte in seguito (19):
”Esistono tre tipi di educazione:
Si distinguono tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:
• l’apprendimento formale che si svolge negli istituti d’istruzione e di formazione e
porta
all’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;
• l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture
d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali.
L’apprendimento
non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di
organizzazioni o
gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Può
essere
fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali
(quali
corsi d’istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione
degli
esami);
• l’apprendimento informale è il corollario naturale della vita quotidiana.
Contrariamente
all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale
e può
pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle
sue
conoscenze e competenze.
Fino a questo momento, l’istruzione formale ha dominato la riflessione politica,
influenzando
l’impostazione dei modelli d’istruzione e formazione nonché la percezione generale
di
“apprendimento”. L’apprendimento permanente senza soluzioni di continuità
consente
l’inserimento dell’apprendimento non formale ed informale in un unico contesto.
L’istruzione
non formale, per definizione, è impartita al di fuori di scuole, istituti d’istruzione
superiori,
centri di formazione o università. Questo tipo d’istruzione è raramente percepita
come una
formazione “vera e propria” e i suoi risultati non hanno un valore riconosciuto sul
mercato del
lavoro. L’apprendimento non formale è pertanto in generale sottostimato.
Tuttavia, è l’apprendimento informale che rischia di essere completamente
trascurato, benché
costituisca la prima forma di apprendimento e il fondamento stesso dello sviluppo
infantile. Il
fatto che la tecnologia informatica sia entrata prima nelle famiglie che nelle scuole
conferma
l’importanza dell’apprendimento informale. L’ambiente informale rappresenta una
riserva
considerevole di sapere e potrebbe costituire un’importante fonte d’innovazione nei
metodi
d’insegnamento e di apprendimento ... si tratta ora innanzitutto di valutare la
complementarità dei sistemi di apprendimento formale, non formale e informale e,
in secondo
luogo, di costruire reti aperte di offerte di formazione e di riconoscimento delle
qualifiche tra
questi tre contesti dell’apprendimento”.
Questa disquisizione è fatta per sostenere che occorre puntare sull’educazione
informale, riserva considerevole di sapere e possibile sorgente d’innovazione per
metodi e contenuti (naturalmente per coloro che non hanno i mezzi per accedere
ad altra istruzione, quelli dell’80 di Gorbaciov). Ma dove si può educare
informalmente? Lo dice la stessa UE: "Per avvicinare l'offerta di formazione al
livello locale bisognerà anche riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine
di creare dei centri appropriati di acquisizione delle conoscenze nei luoghi della
vita quotidiana in cui si riuniscono i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma
anche i centri municipali, i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di
culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali, i centri
medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro". Chissà cosa avranno in
mente !
Sembrerebbero cose stravaganti. Evidentemente non lo sono se nel documento
del pedagogo cattolico Bertagna, che è la premessa alla Riforma Moratti, si legge
(20)
:
"In genere, si distingue tra sistema educativo informale, non formale e formale. Il
primo è rappresentato dalla vita sociale ordinaria che non esprime programmatiche
potenzialità formative, pur determinandole di fatto, funzionalmente, in maniera
anche irreversibile. Il secondo riguarda quell'insieme di istituzioni che, pur non
essendo strutturate in maniera esplicita per promuovere, con gradualità e
sistematicità, processi educativi di istruzione e formazione, tuttavia esprime
intenzionalità in questa direzione in un territorio e lungo l'intero arco della vita dei
soggetti. L'ultimo si riferisce specificatamente al sistema educativo di istruzione e
di formazione istituito e strutturato dalla Repubblica (Stato, Regioni, Enti Locali [ci
si sta qui riferendo alla modifica, fatta dal centrosinistra, del Titolo V della
Costituzione – art. 55 - che permette il finanziamento delle scuole private]) per i
minori e per le giovani generazioni. L'ipotesi di riforma che si presenta vuole
essere attenta all'integrazione tra questi diversi sistemi (...). L'attenzione si sposta,
dunque, dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie,
servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono e si
debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro (...) certificazione delle
competenze che proprio per la sua natura rifugge da ogni esclusività di percorso e,
più che consentire, favorisce i passaggi tra un indirizzo e l'altro del sistema
educativo di istruzione e formazione (...) Le tradizionali alternative tra scuola
(statale) e centri della formazione professionale (regionali o non statali), tra scuola
e impresa, tra scuola ed extra scuola perdono, perciò, la loro drammaticità (...) Si
aprono, al contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte le
esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere livelli di
maturazione educativa, culturale e professionale, (...) indipendentemente dal fatto
che siano statali, regionali o di enti e privati (accreditati)".
E cose analoghe erano anche nella Riforma Berlinguer. Nel 1997, nel suo primo
documento sulla "Riforma dei cicli" (21) , si legge: "Gli obiettivi generalmente
condivisi sono stati: (...) avvicinare i luoghi dell'istruzione alla realtà sociale,
culturale, produttiva, occupazionale del territorio". Basta poi leggersi le
stravaganze delle passerelle, che dovrebbero permettere il passaggio dalla scuola
statale ordinaria alla formazione professionale, qualcosa che esiste solo nella
mente di chi l’ha pensata se anche la bontà dello stesso Berlinguer (22) fa dire (a 4
anni di distanza dalla sua Riforma), che il percorso inverso è di là da venire
soprattutto se non sostenuto da corsi ad hoc mai previsti dalle sue pretese
riforme e tanto meno dei suoi esimi successori. Non a caso i due pedagoghi di
punta dei due schieramenti antagonisti, Bertagna e Maragliano (ma anche Luisa
Ribolzi e Silvano Tagliagambe che avevano lavorato con Berlinguer), lavorano
oggi insieme nel progetto “Buonsenso per la scuola” (23) in cui si riaffermano tutti
i desiderata dell’impresa. Nel loro documento, che vorrebbe dire l’ultima parola
sulla scuola (in liquidazione, anche se lor signori non si rendono conto di ciò),
nella sostanza si dice che la sinistra e la destra hanno le stesse idee sulla scuola, a
parte alcune sfumature. La sinistra ha una possibilità di egemonia sul sindacato
che la destra non ha. Poiché sembra fuori luogo fare riforme ad ogni cambio di
legislatura, sarebbe opportuno convergere in un unico progetto che, non a caso, è
quello della destra. Nel documento del Buonsenso, tra l’altro, si dice infatti:
“Di fronte all’irrompere del computer e di internet sulla scena dei processi di
apprendimento qualcuno prevede un futuro in cui la scuola sarà interamente
soppiantata dalle nuove modalità di auto-apprendimento in rete, un apprendimento
non più insegnato ma semmai tutorato e prevalentemente on line (...). In una
logica di «integrazione» l’intreccio e l’alternanza di esperienze di aula, di
laboratorio e di vera e propria attività lavorativa condotta in situazione di
apprendistato o di tirocinio diventano requisiti fondamentali del curricolo
scolastico, come lo diventa lo sforzo di non fermarsi alle conoscenze (...) Le scuole
non statali devono essere considerate come una risorsa per la riqualificazione e il
rilancio dell’intero sistema formativo pubblico (...) L’abolizione del valore legale
del titolo di studio (...) un sistema di valutazione reale dei processi e dei prodotti”.
Memorandum della UE del 30/10 del 2000
Ma poiché abbiamo citato il Memorandum della Ue, conviene soffermarsi un
poco su di esso iniziando con il dire cosa è sostenuto nel Messaggio Chiave 1 (dei
sei che lo corredano). Qui si torna ad un paternalismo d’altri tempi che merita di
essere letto. Si parla delle competenze che i cittadini europei dovranno acquisire:
“Alcune di queste competenze, quali l’alfabetizzazione digitale, sono del tutto
nuove, mentre altre, tra cui la conoscenza delle lingue straniere, acquisiscono
rispetto al passato un’importanza sempre maggiore e per un numero sempre
maggiore di persone. Anche le competenze sociali, quali la fiducia in sé stessi,
l’autodeterminazione e la capacità di assumere dei rischi, sono sempre più
determinanti, in quanto si suppone che le persone acquistino sempre maggiore
autonomia rispetto al passato. Le competenze relative allo spirito imprenditoriale si
traducono nella capacità dell’individuo di migliorare la sua prestazione sul piano
professionale e nella capacità di diversificare le attività di una società. Esse
favoriscono anche la creazione di impiego, sia nelle società esistenti, in particolare
nelle PMI, che nell’ambito del lavoro indipendente. Imparare ad apprendere,
sapersi adattare al cambiamento e gestire i grandi flussi d’informazione sono le
competenze generali di cui ciascuno di noi oggigiorno dovrebbe disporre. I datori
di lavoro esigono sempre più dalla manodopera la capacità di apprendere, di
assimilare rapidamente le nuove competenze e di adattarsi alle nuove sfide e
situazioni”.
Poiché questo processo di apprendimento continuo sia efficace occorrerà che le
parti sociali si rendano disponibili [si sta dicendo che ci vuole la collaborazione
attiva del sindacato, ndr], che i regimi fiscali favoriscano le imprese, che i
governi considerino gli investimenti in risorse umane alla stregua degli
investimenti in macchinari, che le risorse offerte dai governi alle imprese
aumentino (Messaggio Chiave 2).
Naturalmente occorre che l’apprendimento (istruzione + formazione) si estenda
nell’arco di tutta la vita avvicinandosi sempre più alle esigenze dell’utente e,
perché ciò accada, occorre imboccare decisamente la strada del sistema integrato
di comunicazione, con l’introduzione del teleinsegnamento. Ed in questo quadro
“il profilo professionale del docente cambierà sostanzialmente nei prossimi
decenni: insegnanti e formatori diventeranno consulenti, tutori e mediatori”
(Messaggio Chiave 3).
Anche qui però occorrerà puntare molto sulla valutazione e sulle certificazioni
almeno europee di competenze. Vi è l’esigenza ineludibile della trasferibilità e
della non formalità delle certificazioni [si sta dicendo che, di fatto, non si terrà
più conto del valore legale del titolo di studio; forse vale la pena ricordare che ciò
era anche sostenuto da Gelli], a questo sarà indispensabile un sistema che
riconosca e dia valore ad ogni esperienza precedente (APEL, Accreditation of
Prior and Experiential Learning). “Tale processo richiede la partecipazione attiva
del candidato, e questo a sua volta rafforza il sentimento di fiducia in sé stesso e di
autostima” (Messaggio Chiave 4).
Ma la UE si preoccupa anche di come orientare il futuro cittadino.
Esso dovrà essere ben seguito al fine di ben orientarlo nei suoi
sbocchi professionali. Vi sarà necessità di professionisti
dell’orientamento. “Questo compito implica un approccio più
attivo che consiste nel cercare volontariamente un contatto con la
persona, invece di aspettare che sia lei a chiedere consiglio ...
tenendo sempre presenti gli interessi del cliente ... Gli specialisti
dell’orientamento devono essere al corrente della situazione
personale e sociale delle persone alle quali forniscono
informazioni e consigli, ma devono anche conoscere il profilo del
mercato del lavoro locale e le richieste dei datori di lavoro ...
Tuttavia resta responsabilità del settore pubblico fissare norme
minime di qualità e definire i diritti di ciascuno”. Come si noterà
gli psicopedagoghi si sono ritagliati una buona fetta tra il 20 della
società 20:80. E’ anche di interesse osservare con quale cura si
mira ad entrare nella vita privata dei cittadini. E’ chiaro che si dirà
che lo fanno per noi ... (Messaggio Chiave 5).
“I cittadini infine dovranno avere accesso alla formazione su base locale. Non
dovrà essere loro richiesto di spostarsi [non stanno dicendo che vengono incontro
agli interessi dei cittadini ma che vogliono risparmiare denaro, ndr] ed a tal fine
funziona egregiamente il teleinsegnamento ma anche Internet ... Inoltre
nell’ambiente urbano abbondano le diverse possibilità di formazione, sia per i
giovani che per i meno giovani, dall’ambiente della strada alle imprese in costante
e rapida evoluzione ... Per avvicinare l’offerta di formazione all’utente sarà inoltre
opportuno riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare centri
appropriati di acquisizione delle conoscenze negli ambienti di vita quotidiana dove
la gente si riunisce – non solo nelle strutture scolastiche, ma anche nei circoli
municipali, i centri commerciali, le biblioteche e i musei, i luoghi di culto, i parchi
e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e le autostazioni, i centri medici e i
complessi per il divertimento, nonché le mense sul luogo di lavoro”.
Si capisce ora bene perché si premetteva quella disquisizione sui
tre diversi tipi di formazione. La massa eccedente, quella che
neanche consuma, c’è da scommetterci, avrà anch’essa una sua
possibilità ... l’educazione per la strada o in parrocchia (Messaggio
Chiave 6).
Negli USA intanto ...
La situazione scolastica americana resta sempre il riferimento
della nostra impresa. E’ lì che sono già avanti nella
destrutturazione della scuola pubblica (in realtà lo sono da oltre
200 anni). E’ lì dove le eccellenze provengono da scuole private
che costano anche 40 mila dollari l’anno, a fronte di una scuola
pubblica (che serve 50 milioni di alunni) assolutamente
dequalificata (insegnanti privi di titoli specifici, mancanza di essi,
classi superaffollate, mancanza di fondi, diversità di curricoli da
Stato a Stato, da scuola a scuola, discipline assenti dai curricoli,
disomogeneità nel richiedere un esame finale, meno del 3% degli
alunni con una preparazione che permetta di accedere
all’Università e comunque di resistere per più di due anni,
assenteismo, abbandoni, metal detector, apartheid di fatto, ...) ed
individuata, senza soluzioni però, come emergenza nazionale già
da Clinton (24). Ma gli imprenditori americani vogliono di più. Non
contenti degli “cheques education” [buoni scuola, ndr] che proprio
da quell’anno avevano iniziato a togliere fondi alla scuola
pubblica per indirizzarli alla privata, sulla spinta suggerita da
Lehman Brothers (1996) di iniziare ad investire nel settore molto
promettente della scuola (oltre che nella sanità), si riuniscono a
Nashville (1997) (25) per delineare una strategia di intervento che
prevede intanto un “accordo sulle misure suscettibili di rendere
l’industria [sic] scolastica redditizia: ridurre il numero degli
insegnanti aumentando il numero degli alunni per classe; ridurre
la massa salariale degli insegnanti arruolando un maggior
numero di giovani e di non abilitati; ridurre o sopprimere gli
organismi che rilasciano diplomi di insegnamento ed affidare la
valutazione delle competenze degli insegnanti ai manager delle
scuole” [si sta dicendo che si può assumere personale insegnante
indipendentemente da una sua qualificazione oggettiva, ndr]. Si
tratta solo di rendere inoffensivi i sindacati degli insegnanti (AFT,
fortissimo sindacato corporativo) e pare che ciò si farà, visto il
vento politico favorevole che si respira negli USA. Tutto questo
viene giustificato con la necessità di ridurre i costi della
globalizzazione che imporrebbero risparmi anche legati alla
riduzione delle tasse [sic!]. Anche negli USA si punta
all’educazione mediante TV ed Internet ed in tal senso hanno
esempi di ottima resa economica. Emblematico è il caso della rete
TV Channel One.
I fondi che lo Stato fornisce alle scuole USA sono del tutto
insufficienti. Occorre arrangiarsi, soprattutto se si vuole restare al
passo in infotecnologie. Circa 12 mila scuole per oltre 8 milioni di
studenti tra USA e Canada hanno stretto un accordo con Channel
One secondo il quale la rete Tv fornisce alla scuola materiale
audiovisivo, televisori e video (solo per opportune dimensioni, si
ottiene anche il computer), in cambio la scuola si impegna a far
vedere agli studenti la programmazione quotidiana di 20 minuti,
dedicata alle scuole, di Channel One (reportage, sport, meteo e
due minuti di pubblicità). Questi 2 minuti sono ambitissimi dalle
aziende che pagano 200 mila dollari ogni spot di 30 secondi (il
doppio della media del costo di uno spot). I danni di tutto questo
non nascono certo da questa pubblicità che fa vendere scarpe,
hamburger e caramelle ma dal fatto che quella programmazione
ha assunto lo status di programma educativo moderno e
disinvolto, da contrapporre agli obsoleti libri degli insegnanti (26).
Si immagini ora quali paradisi si aprirebbero dalle parti nostre ...
Ma Channel One ha fatto di più: ha reclutato insegnanti perché
spingessero gli alunni a progettare campagne pubblicitarie per
marchi del tipo: Starburst, Colorado Springs, Burger King. Le
migliori campagne, nate a spese della scuola pubblica, sono
premiate ed utilizzate.
Sull’onda di esperienze come queste, che si vanno diffondendo soprattutto in
USA ed Australia (questo Paese già oggi esporta 7 miliardi di dollari di
educazione a distanza), proprio questi due Paesi spingono da anni affinché la
scuola (oltre che la sanità e l’ambiente) entri tra le merci previste per il libero
scambio dal World Trade Organisation (WTO) e dal General Agreement of
Trade in Service (GATS). Ed anche la Banca Mondiale chiedeva di sbrigarsi
nell’integrare la scuola alle strategie globali dei Paesi (27). In tal senso è
attivissimo Robert Zoellick, rappresentante dell’ U.S. Trade, l’Agenzia USA per
il Commercio Estero, che è in sintonia con il Commissario europeo per il
commercio, Pascal Lamy. Questi tenne un discorso all’International Council for
International Business di New York nel quale sostenne: “Se vogliamo migliorare
il nostro accesso ai mercati esteri , allora non possiamo mettere al riparo i nostri
settori protetti. Dobbiamo essere pronti a farne materia di negoziato se vogliamo
conseguire un accordo globale (big deal, ndr) Per gli Stati Uniti, come per l’UE,
questo significherà dare un qualche dolore a qualche settore, ma realizzare
guadagni in molti altri, e credo che noi sappiamo, da una parte e dall’altra, che
bisognerà acconsentire a dei sacrifici” e cioè cedere sui pubblici servizi (tra cui la
scuola) (28). Lamy parlava dopo Seattle e dopo che l’OCSE aveva resistito ad
iniziative liberiste selvagge (AMI) ed avvertiva che si dovevano trarre degli
insegnamenti da quelle sconfitte. Tali insegnamenti erano solo relativi alla
maggiore discrezione se non al segreto quando si trattavano certi argomenti.
Come aggirare le normative nazionali nel caso vi fosse resistenza? Ricatalogando
le voci. Così che, ad esempio, i dati dei pazienti o degli studenti non rientrerà più
alla voce sanità o scuola ma a quella di dati informatici; la gestione delle scuole,
degli ospedali, delle pensioni sotto la voce management (29). Recentemente però, a
precise richieste, Lamy ha sempre fornito risposte che negavano l’inserimento
della scuola nell’elenco delle merci, anche se l’argomento è già arrivato alla
discussione (31 marzo 2003) in seno alla Commissione UE (era segretamente
all’ordine del giorno) ed è recentissimo l’argomento capzioso che porterebbe al
colpo definitivo sulla scuola pubblica: poiché essa è un servizio per il quale i
cittadini pagano allora, secondo le ferree regole del WTO, non può ricevere aiuti
dallo Stato. E’ elementare comprendere che ciò significherebbe la fine della
scuola pubblica. E, sgomberato il campo da questo ultimo orpello (l’aggettivo
pubblico), si potrebbe dispiegare in ogni sua forma l’ingresso dei privati in una
entità ormai solo privata. Sta di fatto che la UE, nel vertice di Lisbona del 2000
(30)
, ha deciso di occuparsi in prima persona delle scuole nazionali, con il solito
slogan di scuola per tutta la vita, affermando
"La sorte dell'insegnamento non è oggetto di un intendimento unanime. Deve
anch'esso essere oggetto di una privatizzazione? In quale misura? Secondo quali
modalità? Non si tratta pertanto di stabilire se la concorrenza tra gli stabilimenti
scolari sia auspicabile o pericolosa, ma di analizzare se essa è concretamente
realizzabile, sapendo che in certi paesi essa è stata chiaramente inscritta nelle
politiche educative. (...) I sistemi di insegnamento primario e secondario inferiore
sono organizzati secondo la logica dell'economia di mercato? Concretamente, si
tratta di esaminare se le condizioni di messa in opera di una concorrenza perfetta
tra stabilimenti scolari sono presenti nei paesi toccati dallo studio".
Ritornando in USA, molte aziende si stanno dirigendo verso la conquista
del mercato della scuola sull’onda di Channel One. Una delle più note è la
Edison School Project che nasce proprio dalla stessa persona, Chris Whittle, che
aveva fondato Channel One, e che è normalmente quotata in borsa dal novembre
1999. La società già nel 2000 aveva raccolto fondi per 120 milioni di dollari,
disponeva di un investimento privato pari a 230 milioni di dollari, gestiva a
livello nazionale 79 scuole, con 38 mila studenti, in 36 città distribuite in 16 stati,
occupava quasi 4 mila dipendenti tra insegnanti e personale amministrativo. In
Borsa capitalizzava circa 700 milioni di dollari, cioè 1.400 miliardi di vecche lire.
Vi sono poi: la Honeywell, l’American Bankers e la Walt Disney. Riguardo
proprio alla Disney, lanciata sul mercato educativo ed esaltata dal suo
Presidente, Eisner, come industria di intrattenimento che esprime ogni libertà di
scelte individuali che la gente cerca, il suo critico B. R. Barber, direttore del Walt
Whitman Center della Rutgers University del New Jersey, afferma
semplicemente ciò che è i nostri pedagoghi non hanno capito (o l’hanno capito,
ma …) e cioè che la Disney rappresenta la colonizzazione della cultura globale ed
“il suo successo poggia sull’impari gara tra difficile e facile, lento e veloce,
complesso e semplice. Il difficile, il lento ed il complesso sono propri delle creazioni
culturali che suscitano la nostra ammirazione, il facile, il veloce ed il semplice
corrispondono alla nostra indifferenza, spossatezza e pigrizia. E Disney si appella
al facile, al veloce, al semplice.”
Sugli effetti di tali politiche che prevedono tra l’altro un ruolo crescente per la
TV e particolarmente sui bambini e sugli adolescenti, vi è una interessante
indagine del CENSIS (31), anche in relazione al fatto che in Italia sono già partiti
progetti di salesiani per l’educazione a distanza (EDULIFE) (32).
Resta da aggiungere che la Commissione UE ha iniziato ad essere operativa
nell’eLearning con il progetto del 2001 “Pensare all'istruzione di domani”
(questa volta organizzato dalla DG Istruzione e Cultura) per la realizzazione di
studi ed elaborazione di strategie innovative per il miglioramento dei sistemi di
formazione e per la generalizzazione delle buone prassi [? ndr], ad esempio
tramite centri di collegamento, e per la ricerca di soluzioni che coinvolgano le
imprese e il mondo dell'istruzione per migliorare la definizione delle competenze
richieste e l'accesso alla formazione. La prima importante realizzazione
sostenuta dalla Commissione UE è il progetto Career Space, consorzio che
riunisce BT, Cisco Systems, IBM Europe, Intel, Microsoft Europe, Nokia, Nortel
Networks, Philips Semiconductors, Siemens AG, Telefonica SA, Thales, EICTA
(the European ICT Industry Association), CEN/ISSS et EUREL (Convention of
National Societies of Electrical Engineers of Europe). (33)
Più recentemente (5 dicembre 2003) il Parlamento Europeo ed il Consiglio
hanno approvato la Decisione N. 2318/2003/CE 5 riguardante la messa in marcia
di un programma pluriennale (2004-2006) per l'effettiva integrazione delle
tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) nei sistemi di istruzione
e formazione in tutta Europa (programma eLearning). (34)
E in Italia ?
Iniziamo con il leggere un documento del ministro Berlinguer, del 14 gennaio
1997, che annuncia la Riforma (35).
“Quadro di riferimento e linee guida della riforma.
In un mondo nel quale l'evoluzione dell'organizzazione sociale e del lavoro fa
presumere che ciascun individuo, nel corso della propria esistenza, sia chiamato a
cambiare più volte la propria attività lavorativa, è evidente che la pretesa della
scuola di consegnare saperi, abilità e capacità definitive deve essere in parte
abbandonata e che si deve, invece, puntare allo sviluppo di requisiti quali la
capacità di apprendere, di scegliere, di cooperare, di risolvere i problemi; occorre
inoltre che il sistema dell'istruzione perda la sua caratteristica di struttura
fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente
propedeutica rispetto ai cicli successivi, per assumere una struttura modulare nella
quale ogni segmento identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi risultati
spendibili in termini culturali, scientifici e professionali. Solo una struttura siffatta
può garantire l'apertura del sistema dell'istruzione a momenti diversificati di
approfondimento e di specializzazione e la sua valorizzazione come risorsa
utilizzata in modo sinergico con la formazione professionale e con le altre offerte
culturali.
L'innalzamento della qualità del sapere richiede, poi, necessariamente, una
rinuncia alla quantità eccessiva delle nozioni. In una società traboccante di
informazioni e risorse culturali la scuola oltre alla funzione fondamentale di
fornire un approccio sistematico alla conoscenza, deve offrire ai giovani le chiavi
per la lettura dei dati, la capacità di orientarsi e di appropriarsi degli elementi
necessari per la crescita, per l'impostazione dei problemi, per la scelta dei settori ai
quali
dedicare un approfondimento.
...
La capacità di apprendimento deve essere potenziata e sviluppata per favorire la
crescita di autonomie individuali capaci di riconversione professionale e di
apertura alle evoluzioni dei saperi nel corso dell'intera vita”.
Come si può osservare, vi è una sorprendente unità di intenti con l’ERT e,
quindi, con la Commissione UE, senza che però di questo dibattito sia mai stata
fatta parte attiva (neppure attraverso i sindacati scuola confederali) quantomeno
la comunità degli operatori e, più in generale, dei cittadini.
Berlinguer prosegue illustrando i suoi cicli scolastici. Intanto i ragazzi dai 13 ai
15 anni dovranno orientarsi verso la scelta definitiva (continuare gli studi o
passare alla formazione professionale) che dovrà appunto avvenire ai 15 anni (da
confrontare con i 14 della Moratti che però prevede l’anticipo del primo ciclo a
circa 5 anni). Per far questo occorre pensare a figure di sistema come gli
orientatori. Si dovrà poi disporre di moduli didattici:
“improntati al ‘fare’ e al ‘saper fare’, nella predisposizione di percorsi integrativi di
quelli scolastici per gli studenti che volessero optare ... verso una scelta di maggiore
professionalizzazione nel corso degli ultimi anni di obbligo. Quest'ultima
possibilità potrebbe essere realizzata attraverso convenzioni con centri di
formazione che abbiano requisiti predeterminati e diano anche le necessarie
garanzie culturali, continuando le scuole a seguire gli alunni attraverso i tutor e
facilitando sempre, ove richiesto, il ritorno nella scuola. ... Per gli alunni che
abbiano intenzione di lasciare gli studi al termine della scuola dell'obbligo, ma non
abbiano interesse a transitare subito nella formazione professionale ... potrebbero
immaginarsi iniziative integrative e complementari, anche realizzate in
convenzione con agenzie della formazione, con associazioni ed enti operanti sul
territorio, con l'obiettivo di fondare prime capacità lavorative in relazione alle
esigenze del mercato del lavoro locale. ... Sarebbe altresì opportuno che al termine
di ciascun anno fosse rilasciato a ciascuno studente un documento personale che
certifichi le competenze acquisite”.
La prima legge pesante che interviene sulla scuola è quella che
introduce l’Autonomia scolastica (Legge Bassanini) (36), legge
annunciata dal documento Berlinguer ora visto.
La parola
autonomia è apparentemente affascinante ma, nel contesto scuola,
è ambigua ed assume significati preoccupanti in quanto
propedeutici alla paventata privatizzazione (oltre al fatto, non
trascurabile, che così come è stata imposta l’autonomia è la
negazione di quella culturale della scuola stessa). Nella suddetta
Legge sono sostenute varie cose e, sempre, autonomia è
coniugata con flessibilità, in contemporanea con l’approvazione
del pacchetto Treu (Legge 196/97) sulla precarizzazione e
flessibilità del lavoro. Tra ciò che è scritto nella Bassanini,
leggiamo:
“- estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro
anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni
pubbliche;
- compensi di incentivazione o similari;
- razionalizzare gli organi collegiali esistenti anche mediante
soppressione;
- criteri di flessibilità;
- sistemi per la valutazione;
- elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed
economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti
e risultati;
- collegare l'esito dell'attività di valutazione dei costi, dei
rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse;
- l'autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della
flessibilità, della diversificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del
servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle
risorse e delle strutture, all'introduzione di tecnologie innovative
e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica
liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia
di unità oraria della lezione, dell'unitarietà del gruppo classe e
delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo
finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie,
tecnologiche, materiali e temporali;
- obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e
valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento
degli obiettivi;
- ai capi d'istituto è conferita la qualifica dirigenziale
contestualmente all'acquisto della personalità giuridica e
dell'autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche;
- attribuzione della dirigenza ai capi d'istituto attualmente in
servizio, assegnati ad una istituzione scolastica autonoma, che
frequentino un apposito corso di formazione. “
Quanto scritto è sufficientemente chiaro. Ma sono utili alcune
specificazioni. E’ da notare che solo se la valutazione della
produttività scolastica di cui sopra darà esito positivo le scuole
avranno dei soldi, non essendo mai ben chiarito cosa questi
concetti provenienti dal mondo dell’impresa c’entrino con il
mondo della scuola. Si interviene sugli insegnanti differenziando il
loro status non tanto sulle funzioni quanto sui salari variabili.
L’artefice della gestione complessiva dovrà essere il vecchio
preside o direttore didattico che ora diventa dirigente (ultimo
punto) in qualche modo inteso come manager. Questa figura
(anche in relazione allo spoils system introdotto dallo stesso
Bassanini) (37) merita attenzione per il ruolo che ha svolto in
termini di conflitto d’interessi e di coinvolgimento sindacale
confederale alla digeribilità sociale di quanto si faceva.
La Dirigenza scolastica
E’ ancora Bassanini (38) che definisce la Dirigenza, che dovrebbe
essere la guida illuminata dell’Autonomia.
“Il
dirigente
scolastico
assicura
la
gestione
unitaria
dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile
della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati
del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali
scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di
direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse
umane. In particolare il dirigente scolastico organizza l'attività
scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è
titolare delle relazioni sindacali ... Nello svolgimento delle proprie
funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi
di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati
specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo,
che sovrintende, con autonomia operativa, nell'ambito delle
direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai
servizi amministrativi ed ai servizi generali dell'istituzione
scolastica, coordinando il relativo personale”.
E, tra le altre competenze, gli viene assegnato anche “l'esercizio
della libertà di scelta educativa delle famiglie” che si fa un poco di
fatica a capire a meno di non confrontare questo con quanto sta
facendo la Moratti e quindi con l’integralismo cattolico. Nel
Decreto in oggetto si stabilisce anche che diventeranno dirigenti
coloro che supereranno un corso-concorso selettivo (al quale
potranno partecipare anche coloro che sono distaccati, in gran
parte sindacalisti) e che il contratto di lavoro di tali dirigenti sarà
regolato in apposita contrattazione sindacale. Ed arriva il
contratto (39), una delle cose di cui più si dovrebbe preoccupare
ogni cittadino. Al punto 6 dell’articolo 41 (Valutazione dei Capi
d’Istituto), in riferimento a quel famoso corso-concorso, si dice:
“Prima di procedere a formalizzare una valutazione non positiva, i
nuclei [di valutazione] acquisiscono in contraddittorio le
deduzioni del dirigente scolastico interessato, il quale potrà
essere assistito da un rappresentante dell'organizzazione
sindacale cui egli aderisce o comunque conferisce mandato e/o da
un legale di sua fiducia (sottolineatura mia)”. Non sono in grado di
commentare in modo disteso queste affermazioni e passo alle
conclusioni della vicenda. Il corso-concorso si è effettuato su 300
ore teoriche (in pratica la metà erano autocertificate). Tutti i
partecipanti sono stati promossi e diventati dirigenti scolastici,
compresi coloro che avevano dirigenze sindacali e godevano di
distacchi tali da aver ormai completamente perso ogni contatto
con la realtà scolastica. La cosa è poi andata avanti con un altro
preteso concorso che avrebbe assunto altri dirigenti. Anche qui il
sindacato scuola confederale si è sbracciato per ottenere
innanzitutto un concorso riservato a coloro che erano incaricati
dirigenti (invito ad indovinare quali meccanismi assegnavano gli
incarichi) e quindi, “dati problemi emozionali di persone anziane”
(sic), per non far fare loro alcun esame (40). E tutto questo
avveniva in contemporanea con quel concorsone (febbraio 2000),
fino all’ultimo sostenuto dagli stessi sindacati scuola confederali
che lavoravano in perfetta sintonia con la Pubblica Istruzione e
non con gli iscritti, che avrebbe dovuto valutare gli insegnanti
(una tantum e su un numero predeterminato) sulle crocette degli
psicopedagoghi e non sulle competenze disciplinari.
Cose analoghe si potrebbero dire sugli Ispettori centrali del MIUR
che, a parte pochissime eccezioni, non hanno idea di cosa sia la
scuola, di cosa sia diventata e di come funzioni. C’è solo da notare
che quelli periferici, già aboliti da tempo, stanno per essere
reintrodotti dalla Moratti (proposte di Legge 4091 e 4095), con il
sindacato che non sembra d’accordo in quanto la
funzione
ispettiva si eserciterebbe anche sui dirigenti medesimi (vedi
comunicato CGIL Scuola del 17 marzo 2004).
Ritorniamo alla Riforma Berlinguer
Nel DPR 233/98 (Bassanini) si afferma che “Il numero dei
dipendenti del comparto scuola deve risultare alla fine dell'anno
1999 inferiore del 3 per cento rispetto a quello rilevato alla fine
dell'anno 1997” e queste due righe vogliono dire la caduta di
21000 posti di lavoro. Si può intuire che, quando si vuole
privatizzare, occorre che l’impresa sia economicamente sana
perché sia appetibile. E questa mia osservazione non è canonica di
fronte ad un provvedimento come questo. Gerard de Selys, a
commento dei documenti ERT,
osserva che (41) “il settore
dell’educazione è paragonabile a quello delle auto. Quest’ultimo
produce ogni anno, nei 29 paesi dell’OCDE, un giro d’affari di
1286 miliardi di dollari ed impiega circa 5 milioni di lavoratori.
Nella stessa OCDE i Paesi membri spendono ogni anno 1000
miliardi di dollari per i sistemi educativi che impiegano circa 10
milioni di insegnanti. Se si eliminano la metà dei 4 milioni di
insegnanti dei 15 della UE, le cui spese per il salario vanno oltre
l’80% delle spese complessive per l’istruzione, questo libererà
milioni di dollari per una guerra competitiva!”. Si può osservare
che si tratta di un qualcosa che tutti i Paesi UE auspicano e che in
prospettiva (ormai breve) tutti realizzano.
In silenzio, con il pretesto dell’accorpamento dei ministeri, si
cambia anche il nome del Ministero della Pubblica Istruzione (MPI)
in Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).
Le pretese giustificazioni di Bassanini (42) (“se avessimo parlato
solo di istruzione, università e ricerca pubbliche a chi avremmo
lasciato le competenze pubbliche in materia di università private,
scuole private e ricerca scientifica privata ?”) non hanno alcun
significato. Basta osservare che fino ad oggi è stato il MPI ad
occuparsi di privato e che si sarebbe potuto seguire con
un’apposita direzione generale presso lo stesso MPI. La sparizione
di pubblico (Legge 300/99) come aggettivo qualificante
l’istruzione fa il paio con altri provvedimenti che vengono presi in
quegli anni dal ministro Berlinguer. (43)
Tra le righe di questa frenesia riformatrice merita distaccare
il comitato per valutare il prodotto educativo (Direttiva
307/97), l’introduzione di crediti e debiti (DM. 24/00), che
nascono in vista di una carta europea extrascolare ed in
vista dell’educazione permanente preconizzata dall’ERT,
insieme a tanti altri orpelli utili solo al divertimento dei
pedagoghi (pause didattiche, PEI, POF, funzioni obiettivo,
valutazioni formali intermedie, crediti e debiti, statuti
(populisti, ndr) degli studenti, valutazioni spersonalizzate
con sistemi discutibili che tendono via via a portarci alle
esperienze anglosassoni con la sparizione, ad esempio, del
momento fondamentale dell’orale), … l’immissione in ruolo
dei professori di religione e la contraddizione, rispetto alle
premesse, delle abilitazioni e passaggi di cattedra facili ed
infine la perla della parità scolastica tra scuola pubblica e
privata (Legge 62/00). Una nota su quest’ultimo
provvedimento: poiché vi era l’articolo 33 della Costituzione
che impedisce allo Stato il finanziamento di scuole private,
nella
riforma della Costituzione è stato inserito un
marchingegno del quale pochi si sono accorti. Nel nuovo
articolo 55 della "nuova" Costituzione (Riforma del Titolo V)
si legge: "La Repubblica Italiana è costituita dai Comuni,
dalle Province, dalle Regioni, dallo Stato". Quindi lo Stato è
un o tra i tre enti. In pratica se i soldi provengono dalle
Regioni e non dallo Stato il finanziamento pubblico diventa
lecito (la Regione Emilia Romagna ha iniziato seguita dalla
Regione Lombardia e quindi …).
La valutazione di tutto (meno che dei dirigenti scolastici
manager del dissolvimento della scuola pubblica) assume un
ruolo importante. Ed anche qui i docimologi hanno inventato
cose che tendono a misurare tutto, meno che le competenze
disciplinari. Per valutare (autovalutazione) la propria scuola,
i servizi che presta ai clienti, la qualità del suo prodotto, ...
vengono proposte griglie che prevedono la misura di sei
qualità: tecnica, relazionale, ambientale, d’immagine,
organizzativa, economica con oltre 30 sottospecificazioni
che dovranno essere analizzate una per una; per valutare
invece il cliente si introducono tipologie di prove, pesi da
assegnare a singoli aspetti che sono : il livello delle
conoscenze, di comprensione, di applicazione, come ci si
esprime, la capacità di analisi, la capacità di sintesi, la
capacità critica, l’impressione generale; ... e questo per ogni
ragazzo e per ogni prova. Quando al docimologo si osserva
che con griglie
prefabbricate TUTTI gli
studenti
risulterebbero bocciati, egli fa spallucce e dice che in tal
caso occorre applicare la valutazione globale, quella
tradizionale (Vedi: Maria Lucia Giovannini – La valutazione –
Milano, 1995). Intanto il MPI mantiene l’abolizione degli
esami di riparazione del ministro berlusconiano D’Onofrio
(1994) e si rendono le commissione d’esame inutili (tre
commissari interni e tre esterni fino ad arrivare ai
diplomifici Moratti, con tutta la commissione interna).
Sommando questo con le abilitazioni facili e con i dirigenti
preparati per loro natura, si mostra che la pretesa
enunciazione di studi più seri e qualificati è, appunto, una
enunciazione. Interessa una scuola che intrattenga i ragazzi
con attività ludiche. Le cose serie si faranno altrove con i
prescelti ed a pagamento. Intanto destrutturiamo la scuola
pubblica … finché i cittadini non ne potranno più e saranno
costretti a ricorrere alle scuole private.
La sintesi Maragliano
Anche qui, comunque, come a San Francisco, occorre
inventare qualcosa che faccia digerire il tutto (oltre le
facilitazioni di cui sopra che tendono ad assopire gli
studenti e le famiglie, almeno per il tempo necessario a
capire il danno che si è realizzato). Il miracolo viene fatto
dai pedagoghi (con psicologi e docimologi) che iniziano con
la loro opera di spostamento dell’asse della scuola dai
contenuti ai metodi che si avvitano su se stessi (una vera e
propria deriva) (44) . La Sintesi Maragliano (45) (fatta insieme a
Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano
Tagliagambe e Mario Vegetti nel maggio 1997) che spinge
su nuove tecnologie è emblematica del clima: “Le nuove
tecnologie dell'informazione hanno in questo senso un
valore paradigmatico, dal momento che coniugano in modo
visibile la componente materiale costituita dall'hardware,
fondamentale per svolgere le funzioni che loro competono,
con la componente simbolica del software, che determina le
operazioni che vengono effettuate e dà loro senso.” e
nessuno spiega che non si studierà quell’hardware né tanto
meno quel software.
E la destrutturazione colpisce tutto, anche la storia: “Per quanto
riguarda la storia recente, va tenuto presente che il Novecento
non si caratterizza solo per un insieme notevolmente complesso
di avvenimenti ma anche per l'affermarsi di ottiche, teorie,
linguaggi assai diversi da quelli tradizionalmente adottati dalla
scuola .... Gli attuali strumenti di studio vanno dunque
adeguatamente integrati, ad esempio, con l'impiego di repertori di
dati, immagini, ricostruzioni visuali”. Insomma cronaca e non
storia, immagini per non fare fatica e taglio drastico sulla storia
antica, sulle radici cosicché, quando ad esempio si studierà la
questione palestinese, chi conoscerà la storia di quelle terre? E
senza questo riferimento ogni disciplina umanistica e scientifica
non ha più basi. La Sintesi prosegue: “ Maggiore attenzione,
nell'ambito della didattica, dovrebbe essere data alla utilizzazione
di una pluralità di strumenti educativi, quali:
testi di buona divulgazione, per tutti gli ambiti disciplinari, scritti
con abilità narrativa e capaci di attrarre l'interesse degli allievi;
.... pratiche di gioco, e non solo a livello elementare. Il vero gioco
e' vivace, lieve, ma anche appassionato, e quindi serio. L'esigenza
di alleggerire il carico culturale e materiale della nostra scuola va
inteso anche in questo senso: vale a dire come invito a proporre,
tutte le volte che ciò sia possibile, contesti didattici all'interno dei
quali apprendere sia esperienza piacevole e gratificante;
impiego delle macchine della conoscenza e dell'elaborazione di
informazioni e problemi. In particolare, gli strumenti multimediali
sono estremamente motivanti per bambini e ragazzi, perché non
hanno affatto odore di scuola (sottolineatura mia), danno loro il
senso di disporre di risorse per il saper fare e consentono di non
disperdere, ma valorizzare, in un quadro intellettuale più
strutturato,
forme
di
intelligenza
intuitiva,
empirica,
immaginativa, assai diffuse tra i giovani.”
Insomma:
illustrazioni,
foto,
filmati,
disegni,
immagini,
divulgazioni, libri con molta iconografia, gioco, tutto piacevole,
dibattiti, gite, conferenze, uscite, … Walt Disney insomma. Tutto
meno che scuola perché quest’ultima ha odore sgradevole. Al fine
del saper fare! E di adagiarsi su capacità intuitive, empiriche,
immaginative.
Anche le scienze, forti di intuizione, empirismo ed immaginazione
degli studenti, hanno il privilegio della citazione:
“La ricerca sulla matematica non scolastica indica la necessità di insegnare agli
studenti ad usare idee e tecniche di tipo matematico nella soluzione di problemi
diversi (sia di scienze fisico-naturali sia di scienze sociali). Sembra essenziale, a
questo riguardo, che bambini e ragazzi non perdano il piacere del matematizzare,
non siano demotivati da eccessi di formalismo e siano aiutati dagli insegnanti e
dagli stessi compagni a pensare a percorsi alternativi di soluzione e ad utilizzare in
positivo le dinamiche degli eventuali errori.”
Qui si sta dicendo che uno degli ultimi luoghi dove si conquistano le abilità
astrattive, va demolito, con tutto ciò che segue. E si dice anche che il formalismo
matematico è da buttare (era inevitabile che dopo il latino si attaccasse la
matematica). La fisica, poi, fa un poco di paura ad un pedagogo. Parla di
simulazioni al computer, riuscendo con un colpo di penna, a vanificare gli sforzi
di chi, per anni, ha tentato di fare la prima rivoluzione scolastica, quella
galileiana. Simulare un esperimento, al livello scolare di cui si discute, è
fuorviante se non si conosce bene cosa è un trasduttore (un certo evento che
diventa segnali elettromagnetici che poi traduciamo in dati di spazi e tempi) e se
non si è ancora in grado di cogliere l’onestà dello strumento. Insomma: il
fenomeno è prodotto dallo strumento o è simulato da esso? Riguardo poi al
pedagogo che parla di scienza con “contrasti con altre forme del pensiero”,
lasciamo perdere.
Occorre togliere alla scuola ciò che sa di scuola perché la scuola
non interessa, soprattutto se pubblica:
“Bisogna intervenire sull'editoria scolastica, sollecitandola a (e
fornendole le condizioni per) maturare nuove scelte produttive, a
favore di testi essenziali (per gli studenti) e più ampi e
documentati (per i docenti). .........
quindi i testi scolastici devono essere concisi e non disperdersi in
cose, magari importanti, che fanno perdere tempo; sono i docenti
che devono sapere di più e quindi, loro, debbono avere testi più
ricchi su cui prepararsi;
si intende puntare seriamente sulla riqualificazione permanente dei docenti;
dalle opportunità offerte da un mercato interno e internazionale in cui si fa sempre
più forte la domanda di prodotti di divulgazione di elevato profilo culturale e che
utilizzino al meglio le risorse della tecnologia.
In definitiva i testi più ricchi per i docenti servivano a questo. Sono sempre
possibili poi corsi a distanza per aggiornare chi non conosce il proprio mestiere e
soprattutto chi non sa divulgare. Ma ciò a cui si tiene di più è al fatto che gli
insegnanti sappiano usare le nuove tecnologie, cioè internet (perché immagino
che la TV ed il video venga concesso loro come acquisito). Come poi ci si istruisca
con internet, senza avere una importante preparazione di base, i pedagoghi non
lo spiegano.
L'istruzione e la vita famigliare dovrebbero essere maggiormente connesse che nel
passato. ........
Dibattiti e discussioni, rigorosamente preparati, sono strumenti cruciali, anche
all'interno del gruppo classe, per la creazione di quel "mettere in questione" e di
quella autonomia intellettuale che idealmente formano le basi di una moderna
società civile.”
Dibattere quindi, come in TV. E, dati i livelli di preparazione di base, questo
dibattere scimmiotterà proprio la TV. Ma quale sarebbe questa società civile? Lo
dicono, lo dicono; non sono reticenti:
“Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova
cultura del lavoro significa investire su due fronti: l'orientamento
e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre
nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo
approccio: il superamento della "cultura del posto" a vantaggio di
una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura
della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di
organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro,
da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la
preparazione all'autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata
la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali
rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano
all'impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una
questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di
metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare
e valorizzare le forme dell'apprendere proprie del mondo esterno
alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia
che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di
collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di
problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi
(competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e
nell'educazione
permanente).
In
questo
quadro
andrà
particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola,
comunità locali, mondo produttivo.”
Le intenzioni sono chiarissime: la scuola deve preparare secondo i
voleri dell’Impresa neoliberista educando anche alla sottomissione
ed all’accettazione dell’esistente.
Non si può non concordare con uno dei più severi ed autorevoli
critici di queste riforme: “Di recente sono ripartite - con più
virulenza che mai - le fantasie sulla "privatizzazione", ammantate
di modernismo e celate dietro un inaccettabile disfattismo sul
presunto sfascio della scuola pubblica. Si confonde autonomia con
privato, quasi che il concetto autonomia non fosse un concetto
anche e corposamente pubblicistico. Si rimette in discussione il
patto costituzionale che cattolici e laici democratici hanno
stipulato per impegnarsi nella qualificazione e nelle garanzie
pluralistiche della scuola pubblica. Si diffonde l'insana illusione
che la salvezza educativa del paese sia nelle mani dell'efficienza
di novelli managers privati (che tutti sanno abilissimi
nell'attingere continuamente ai fondi dello Stato). Ora poi si
racconta che le università - sprecone e inconcludenti - devono
procacciarsi da sé i mezzi per lavorare, stravolgendo così una
grande tradizione e valori radicati nella storia d'Europa, che
hanno fatto libera (e per questo grande) la nostra ricerca.
Reaganismo e confessionalismo d'accatto”. Costui lucidamente
descrive ciò che accade. E’ il futuro ministro Luigi Berlinguer, su
La Repubblica del 28 settembre 1988.
Il mondo dell’impresa e Confindustria
Anche in Italia l’Impresa (con alcuni pretesi personaggi di cultura),
vuole di più e lo chiede con un documento del 1999 dal titolo
accattivante "Scuola libera! Appunti per la nascita di un
movimento” (46), che ha come firmatari: Ferdinando Adornato, Dario
Antiseri, Antonio Augenti, Paolo Blasi, Carlo Bo, Dino Boffo,
Pellegrino Capaldo, Innocenzo Cipolletta, Emma Marcegaglia,
Antonio Martino, Letizia Moratti, Angelo Panebianco, Sergio
Romano, Cesare Romiti, Giorgio Rumi, Paolo Savona, Lorenzo Strik
Lievers, Marco Tronchetti Provera, Stefano Versari, Giorgio
Vittadini, Sergio Zaninelli. In tale documento si sostiene che la
scuola non deve più essere un monopolio dello Stato ma una entità
in cui gli istituti siano indotti a una emulazione per proporre la
migliore offerta formativa possibile. Una nuova scuola italiana,
libera, potrà affermarsi e realizzarsi solo grazie al concorso di
passioni, intelligenze e culture laiche e cattoliche. Il documento
immagina:
“una nuova scuola nella quale:
1) lo Stato finanzi ma non gestisca l'istruzione di tutti i cittadini;
2) si affermi una pluralità di offerte e istituti formativi, statali e non, e
una pluralità di opzioni possibili per il cittadino;
3) viga la pari dignità tra le diverse scuole e quindi l'assoluta irrilevanza
del fattore economico nella scelta da parte dei cittadini ;
4) si giunga all'abolizione del valore legale del titolo di
studio,necessaria conseguenza di tale nuovo assetto;
5) A tal fine lo Stato deve fissare quanto intende spendere annualmente
per la formazione di ciascun cittadino;
6) deve disporsi poi a riconoscere quella somma, diversificata a seconda
del grado di istruzione, alla famiglia di ciascun alunno, utilizzando
appositi bonus o altri analoghi strumenti;
7) si può infine prevedere che gli alunni iscritti a scuole non statali
gravino sulle casse dello Stato per un 10% in meno di quelli che
scelgono la scuola statale. C'è infatti da calcolare una serie di spese
fisse che lo Stato è comunque chiamato a sostenere, ad esempio nei
piccoli centri a scarsa popolazione scolastica e dove però l'istruzione va
comunque garantita. C'è per converso da pensare che altri sussidi,
familiari, di enti privati e imprese possano giungere alla scuola non
statale.”
Si devono prevedere dei percorsi formativi individuali ed un
rafforzamento della formazione professionale per legare il mondo
della scuola a quello dell’impresa. Saranno i genitori a garantire le
libertà di scelte educative (questi genitori sono sempre presi a
pretesto per fare i propri comodi, ndr). Dove trovare le risorse?
“L'impresa deve trovare proficuo e vantaggioso investire nella
scuola. Da questo punto di vista gli Stati Uniti possono insegnarci
qualcosa. Particolarmente per le scuole professionali ..”. Ed anche
qui si arriva ad una medesima conclusione – l’impresa che deve
fare affari con la scuola - con una possibile aggravante: che si
richiami il Paese in cui ogni tecnica privatistica è stata utilizzata
può essere naturale, ma far finta di non sapere che proprio negli
Usa si sta ripensando tutto, compresi i buoni scuola, si sono avute
clamorose bocciature di Bush in Senato dove i democratici e 13
repubblicani hanno creato un ampio fronte anti-vaucher, dove
sono state bocciate in Stati del calibro della California e del
Michigan (per ora), leggi per il finanziamento pubblico di scuole
private, dove si sta tornando dal decentrato al centralismo, ... beh,
sembra davvero esagerato.
Anche Confindustria si mostra particolarmente attiva in prima persona. Inizia
con un documento del 1998 (mentre si sta varando la Riforma Berlinguer), Verso
la scuola del 2000 (47), nel quale si denuncia tutto ciò che abbiamo già incontrato:
troppe nozioni, troppi insegnanti, troppe scuole, costo esagerato [con confronti
assolutamente disomogenei, ndr], ... e si reclamano le conclusioni dei rapporti
Delors e Cresson. Nessuna novità rispetto a quanto rivendicato dall’ERT e da
altri gruppi imprenditoriali di pressione (in fondo è un gioco ad incastro: si
tratta degli stessi che ritroviamo da più parti in più ruoli). Ma vediamo qualche
citazione d’interesse. Dopo essersi incensata (“Confindustria ha una storica
attenzione ai problemi dell’education”) afferma che occorre puntare sul capitale
umano perché noi abbiamo scarse risorse naturali, che servono ponti tra scuola
ed impresa, che serve mobilità e flessibilità, che i capi d’istituto possano scegliere
gli insegnanti (io pensavo il viceversa! ndr.), che occorre che sia praticato
l’orientamento, che gli studenti operano oggi come i loro bisnonni, che le scuole
devono farsi concorrenza, che vi è un assemblearismo irresponsabile, che i capi
d’istituto non hanno poteri, che le spese per la formazione delle imprese devono
essere considerate come investimento ammortizzabile, che la scuola ha scarso
appeal (si confronti con quanto sostengono i pedagoghi), che serve responsabilità
sociale degli individui. Si passa al problema dei costi, subito dopo aver detto che
in Italia il tempo pieno è poco praticato e che da noi si fa un anno in più che nel
resto di Europa. Si dice che qui il costo per alunno è superiore a quello della
media UE. Naturalmente non tenendo conto del fatto che il grosso di questa
spesa è per una scuola di eccellenza che noi abbiamo (ormai, dopo gli interventi
Moratti, si deve leggere: avevamo), la scuola elementare funzionante proprio a
tempo pieno e con i moduli (3 insegnanti per due classi) in base alla legge
istitutiva, la 148 del 1990. Ma le due cose non devono essere messe in relazione: si
tratta di smontare un’altra delle grandi conquiste sociali degli anni passati. Se si
confrontano questi dati con la simultanea richiesta di estendere il tempo pieno ci
si rende conto che Confindustria ha in mente solo il fatto che la scuola deve
essere pagata dai clienti, deve prevedere classi sovraffollate, deve ridurre il
numero delle discipline, deve ridurre il numero delle ore, deve aumentare
l’orario di servizio degli insegnanti, deve ridurre il numero delle scuole, deve
… . Confindustria passa poi all’operazione mai denunciata con forza dal nostro
Ministero per la denigrazione reiterata che viene fatta sulla nostra scuola: va a
confrontare i livelli di apprendimento nelle indagini internazionali (P.I.S.A.OCDE; TIMMS-IEA) (48). Poiché i nostri studenti hanno valutazioni al di sotto
della media OCDE, la colpa la si dà alla scuola. A nessuno dei tecnici di
Confindustria (e dei vari ministri) è venuto in mente che le valutazioni che
vengono effettuate sono disomogenee rispetto alla preparazione? Sanno gli
esponenti dell’impresa che, ad esempio, chi sa lavorare con problemi da liceo
scientifico e non ha mai lavorato con test, non ottiene buone valutazioni? Sanno
che mentre è facile addestrare ad un test (appiattimento verso il basso della
preparazione per garantire uniformità alle domande) non è facile insegnare a
risolvere problemi con tutte le abilità che si devono mettere in campo?
Al momento del varo della Riforma Berlinguer la stessa Confindustria darà il
suo parere molto favorevole. Certo si poteva fare di più ... (49) e comunque
facciamo presto. Per non perdere altro tempo Confindustria delega i piani
organizzativi della scuola che gradisce in tutta la loro completa strutturazione,
all’Associazione TreeLLLe (Per una società dell’apprendimento continuo) (50). La
TreeLLLe ha fino ad ora prodotto tre ponderosi documenti che, in molto
maggiori dettagli, iniziano a definire la politica dell’impresa nei riguardi della
scuola. (51) Leggendoli ci si può rendere conto che, ora, l’impresa sembra andare
avanti accompagnata da una marcia trionfale. E dico questo non per dire che
tutto ciò che fa l’impresa è male, ma solo per auspicare che la politica sostenga
quella parte di società che non è impresa e che dovrebbe rientrare in un ambito
di rapporti civili, quanto meno di welfare. Ma, anche qui, la politica si è dissolta
ed i politici eletti da noi lavorano insensibili agli interessi dei loro elettori, con i
sindacati confederali di categoria colpevolmente assenti.
L’organizzazione degli imprenditori italiana si coordina anche con
altre 6 organizzazioni europee simili per varare un documento,
Per una scuola di qualità (Londra 2000) (52) che compendia tutto ciò
che l’impresa vuole dalla scuola (ora si ha a che fare con 10
messaggi chiave, ricalcando proprio quelli della Commissione
Cresson, mostrando come si lavori in stretta sinergia):
ripensamento del sistema educativo, nuova organizzazione della
scuola, autonomia organizzativa, didattica e gestionale [nella
Riforma Berlinguer i pochi soldi arrivavano dall’ex MPI, sostenere
l’autonomia gestionale vuol dire sostenere la privatizzazione della
scuola pubblica, ndr]; standard nazionali di conoscenze e
competenze; un ente indipendente per la valutazione di ogni
singola scuola e del complesso; finanziamento pubblico guidato
dalla domanda; competizione; tecnologie informatiche e
multimediali; saper fare; flessibilità del lavoro docente; docenti
estremamente preparati ed in continua formazione; docenti non
necessariamente titolati; docenti transitori; maggior ruolo per il
dirigente; integrazione scuola impresa, con l’impresa che indirizza
gli studenti, con stage aziendali e per studenti e per insegnanti.
Naturalmente, per gli aderenti a Confindustria, non avvezzi
storicamente a fare ricerca, la scuola dovrà essere bassamente
professionalizzante.
Inoltre Confindustria produce una grande mole di documenti tra i
quali si segnala: Il vantaggio competitivo della formazione (24
marzo 2000) di Carlo Callieri (53). In questo documento si denuncia
il ritardo della nostra scuola rispetto al resto d’Europa nonostante
la maggiore spesa per alunno ed il fatto che i finanziamenti per la
ricerca dell’Università sono inferiori a quelli di altri Paesi d’Europa
– e qui Callieri non accenna al fatto che gli industriali italiani sono
sempre stati tanto restii a far ricerca quanto propensi a copiare e
quindi continuano a chiedere sinergia con l’Università nel senso di
Università che fa ricerca per loro profitto. Nel contempo si richiede
l’applicazione immediata della Bassanini (112/97) e del pacchetto
Treu (196/97) per avere subito soldi per attivare formazione; si
proceda poi ad investire denaro per le infrastrutture necessarie
alla formazione da parte degli imprenditori che, dovranno anche
avere agevolazioni fiscali; si proceda ancora alla certificazione di
qualità della formazione professionale (come richiesto da Treu).
Serve ancora la parità completa tra scuole statali e no; un
monitoraggio continuo delle necessità dell’impresa affinché lo
Stato vi faccia fronte; l’abolizione dell’organico scolastico (per le
scuole pubbliche); la laurea, il master ed il tirocinio per i nuovi
insegnanti; l’assunzione degli insegnanti da parte delle scuole;
contratti individuali per gli insegnanti; si diano incentivi agli
insegnanti in base alla loro produttività didattica; si spinga alla
conoscenza della lingua inglese e dell’informatica; garantire il
ruolo di stimolo delle libere università (finanziarle). Altri lavori
con identiche richieste, raccontate con prose diverse, sono: La
Ricerca e l’innovazione in Italia di Paolo Annunziato e Giuseppe
Schlitzer (54) ; E’ negli stage la sfida della scuola di Guido Maria
Barilla (53) ; Scuola + Impresa = Occupazione di Emma Marcegaglia
(56)
.
Ancora la UE
Queste proposte potrebbero sembrare dei degni progetti cui
aspirano le organizzazioni degli industriali, tanto degni quanto
quelli che i cittadini, ripeto, delegano ai loro eletti al fine di non
cedere su cose di tale importanza. Ma oggi, vista la poca
attenzione di questi cittadini alla politica europea che sembra
andare per suoi sentieri, senza controlli da parte di chi è dedito a
beghe quotidiane di piccolo cabotaggio, oggi appunto c’è da
preoccuparsi se, dalla “Conferenza dei Ministri dell’Istruzione” a
Lisbona nell’anno 2000, arriva una delega quasi totale
dell’istruzione dai governi nazionali alla Commissione UE. Con il
rischio aggiunto che si passi immediatamente dal Commissario
che si occupa di educazione a quello che si occupa di commercio.
Nelle enunciazioni di Lisbona risulterebbe che tutti i 15 sono
d’accordo su una politica comune europea per l’educazione (57). Se
così fosse resterebbe il dubbio del sapere perché si è spinto tanto
per una delega completa alla Commissione. In definitiva, a
tutt’oggi, sono indispensabili due cose: piena trasparenza
preventiva di ogni atto della Commissione UE ed invito a tutti alla
massima attenzione all’operato di essa. In particolare Pascal Lamy
è persona preoccupante, insieme ai suoi consiglieri (Madelin,
Servoz, Defraigne, ...), eredi del tatcheriano Leon Brittan
(predecessore di Lamy come Commissario UE al commercio).
L’ultimo documento della Commissione UE è comunque dell’ 11
novembre 2003 ed è un progetto a medio termine dal nome
Istruzione & Formazione 2010, l’urgenza delle riforme per la
riuscita della strategia di Lisbona (58). Si tratta di un documento
che cerca la verifica di quanto si era accordato nel documento di
Barcellona del marzo 2002 (59). Dopo aver ricordato tutti i passi
successivi a Lisbona 2000, agli obiettivi che dovevano
rappresentare “una svolta epocale risultante dalla globalizzazione
e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla
conoscenza“, la Commissione si chiede a che punto si è arrivati
nel conseguimento di tali obiettivi ambiziosi ma realistici? La cosa
non sembra andare bene se si afferma: “in tutti i paesi europei si
compiono sforzi per adattare i sistemi d’istruzione e formazione
alla società e all’economia della conoscenza, ma le riforme avviate
non sono all’altezza delle sfide e il loro ritmo attuale non
consentirà all’Unione di raggiungere gli obiettivi che si è fissata”.
Occorre darsi da fare subito. I governi nazionali devono investire di più e,
soprattutto, incentivare di più i privati perché intervengano. Serve poi una
cooperazione strutturata e continua a livello comunitario per la migliore
utilizzazione delle risorse umane e degli investimenti (ed anche per far confluire
al più presto le legislazioni nazionali in una legislazione europea). Ciò al fine di
avere “un quadro di riferimento europeo per le qualifiche
dell’istruzione superiore e della formazione professionale; tale quadro è
indispensabile per creare un vero e proprio mercato europeo del lavoro e facilitare
la mobilità”. Insomma non si può dire che gli obiettivi non siano chiari. Del resto
si erano andati esplicitando a partire proprio da Lisbona, dove si era affermato
di voler costruire: “un’economia e una società fondate sulla conoscenza …
strategia che si fonda su un’ampia gamma di azioni coerenti e complementari
(come ad esempio le riforme dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali,
l’adattamento delle politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro e la riforma
dei sistemi di previdenza sociale)”.
Molti ritardi nell’attuazione dei piani nascono perché i singoli Paesi si
preoccupano troppo degli sbocchi professionali e di far fronte alla dispersione
scolastica. Inoltre gli insegnanti delle scuole professionali non rendono
affascinanti le loro lezioni e pochissimi sono disponibili alla mobilità. Viene poi
un discorso ricorrente (che male si coniuga intanto con quanto sostiene
Confindustria): il basso numero di diplomati. L’organizzazione degli
imprenditori afferma che in Italia si è puntato sulla quantità piuttosto che sulla
qualità. Come mettere d’accordo questo con il basso numero di diplomati
denunciato da tutti? Credo si debba fare uno sforzo di comprensione del perché i
giovani se ne vanno dalla scuola. Essa dovrebbe portare (dopo anni di
parcheggio improduttivo ai fini economici) ad un mondo del lavoro flessibile,
incerto e mal pagato, quando l’immagine che i giovani hanno dalla società dello
spettacolo è bellezza, denaro e successo subito. E’ una contraddizione dello stesso
sistema che porta ad abbandonare per guadagnare, come si può al più presto.
L’idea dell’investimento in cultura sta sparendo perché i modelli sociali hanno
operato in tal senso. Ma la Commissione dice:
“Per essere competitiva nell’economia della conoscenza l’Unione ha anche bisogno
di un sufficiente numero di diplomati dell’istruzione superiore che dispongano di
una preparazione adattata al mercato del lavoro europeo. Il ritardo a livello
dell’istruzione secondaria si ripercuote a livello dell’istruzione superiore.
Nell’Unione, mediamente 23% degli uomini e 20% delle donne tra i 25 e i 64 anni
hanno un diploma d’istruzione superiore. Tale cifra è nettamente inferiore a quella
del Giappone (36% degli uomini e 32% delle donne) e degli Stati Uniti (37% per
l’insieme della popolazione).”
Una possibilità potrebbe proprio essere il modello USA, quello che fornisce
diplomati con piani di studio in gran parte opzionali (musica, teatro, sport,
giornalismo, fotografia, ecologia, …) e con il solo obbligo per storia americana
(unica disciplina con un ferreo controllo federale), matematica ed educazione
civica. Ma questo rappresenta qualità? E dove sarebbero occupati questi
diplomati USA? Ma poi, proprio le attuali disposizioni sull’equipollenza
reciproca dovrebbero fa riflettere: mentre un diplomato italiano viene ammesso
anche al secondo anno di università in Usa, un diplomato USA (high school)
viene ammesso in Italia al penultimo anno di scuola superiore e deve aver fatto
almeno due anni di College (Associate Degree) con l’idoneità al terzo anno, con
almeno 60 credits, in Usa per essere ammesso all’Università italiana (60). In ogni
caso, nella nostra scuola si promuove il 97% di coloro che arrivano agli esami.
Gli altri abbandonano, la gran parte non perché vengano selezionati.
Il documento prosegue dicendo che l’Unione deve essere capace
di attirare studenti che dal resto del mondo vengano in Europa a
studiare. Il proposito è di grande interesse solo che si scontra con
il fatto che alla fine saranno qui ben preparati per poi, di nuovo
andarsene dove gli viene offerto un lavoro dimensionato alla loro
preparazione e questo in Europa avviene sempre meno.(61) Del
resto la stessa Commissione ammette questo quando dice:
“L’Unione « produce » un maggior numero di diplomi e di dottori in scienze e
tecnologia degli Stati Uniti o del Giappone (25,7% del totale di diplomati
dell’istruzione superiore per l’Unione rispetto a 21,9% e a 17,2% rispettivamente
per il Giappone e gli Stati Uniti). Contemporaneamente, la quota dei ricercatori
nella popolazione attiva è molto più debole nell’Unione (5,4 ricercatori su 1000 nel
1999) che negli Stati Uniti (8,7) o nel Giappone (9,7) e in particolare nelle imprese
private. Il mercato del lavoro europeo è molto più stretto per i ricercatori che
lasciano spesso l’Unione per continuare altrove le loro carriere (essenzialmente
negli Stati Uniti in cui godono di migliori condizioni di lavoro) o decidono di
cambiare professione”.
E questa affermazione fornisce anche una spiegazione al
problema posto precedentemente (basso numero di diplomati):
alcuni studenti ce la mettono tutta anche in diplomi duri. Ma se
l’esempio per gli altri studenti è il rifiuto anche di questi dal
mercato del lavoro, allora il fallimento è garantito. Il problema può
essere posto altrimenti proprio soffermandosi sull’altro aspetto
che la Commissione denuncia: la mancanza di ricerca soprattutto
nelle imprese private. Se tali imprese continuano a non fare
ricerca o a trasferire la produzione all’estero, chi dovrebbe
assumere i diplomati in discipline dure e, successivamente, i
laureati o i dottorati nelle medesime? A tutt’oggi, in gran parte, si
tratta di sottoccupazione. La Commissione dovrebbe convincersi
che i buoni propositi sociali non possono convivere con il
neoliberismo e la massimizzazione del profitto.
Concludendo ...
Che dire? Quanto ho riportato è di per sé chiarissimo. Nel mondo
occidentale il sistema del libero mercato ormai non ha più freni.
Interviene direttamente sui governi (anche personalmente)
soppiantando completamente la mediazione politica. Ma solo
teorici ingenui, imprenditori d’assalto, politici mediocri possono
credere che si possa indefinitamente continuare così, senza
doverne pagare prima o poi un prezzo politico. Per il mondo delle
imprese esiste certamente un surplus. Per la società civile non
esiste nessun cittadino che si debba considerare surplus people.
Non vi sono ineluttabilità o determinismi, a patto che i cittadini
sappiano di cosa si parla e facciano sentire la loro voce.
Credo che siamo oggi ad un punto di possibile non ritorno. La
scuola pubblica, sommo bene da molte generazioni, quella che ha
permesso l’emancipazione di tutti e ciascuno di noi è oggi a
rischio. Si sta smontando, destrutturando, deregolamentando
regionalizzando in modo selvaggio e seguendo la strada opposta
a quella degli USA che pure sono passati attraverso questo
fallimento e stanno tentando disperatamente di uscirne, ... per far
scendere i prezzi ed immetterla sul mercato. Occorre molta
maggiore attenzione a questa vicenda da parte dei cittadini tutti.
Quando si avanzasse ancora su questa strada sarà impossibile
tornare indietro. E, in quel momento, ogni recriminazione sarà
vana. Non ci si accorge di come si sta bene fino a che non si perde
quel bene.
NOTE
Avvertenza: dovendo dare referenze a pagine pubblicate su siti web, quando è
stato possibile ho dato la referenza al sito di origine; quando invece, per
qualunque motivo, quella pagina era non raggiungibile o era in altra lingua,
allora ho dato la referenza secondaria di un sito che l’aveva pubblicata o
tradotta.
(1) Regards sur l'éducation. Les indicateurs de l'Ocde, Paris 1997. La stima OCSE
per la sanità è di 3500 miliardi di dollari.
(2) Hans Peter Martin, Harald Schumann - Die Globalisierungsfalle. Der Angriff
auf Demokratie und Wohlstand - Reinbeck bei Hamburg 1996. In italiano: La
trappola della globalizzazione - Raetia, 1996. I brani citati nel paragrafo
provengono da questo testo, gli autori del quale sono due redattori di Der
Spiegel.
(3) L'Ert, fondata nel 1983 con il sostegno determinante dell'allora Commissario
Europeo all'Industria Etienne Davignon e dell'ex Ministro francese François
Xavier Ortoli, , riunisce i maggiori gruppi industriali e finanziari europei, con
interessi nei più diversi settori: Air Liquide, BP, Bertelsmann, British Telecom,
Cofide-Cir, Ericsson, Fiat, General Electric, Lufthansa, Nestlé, Petrol Fina, Philips,
Renault, Rhône-Poulenc, Siemens, Société générale du Belgique, Suez- Lyonnais
des eaux, Telefonica, Volvo, ... con gli italiani Romiti, Tronchetti Provera,
Marzotto, De Benedetti, .... Con la Presidenza della UE di Jacques Delors (dal
1985 al 1994) e successivamente con Santer, l'ERT si è consolidato come
gruppo privilegiato d'influenza, partecipando ad ogni incontro che progettasse
il futuro della UE.
Le cose che dirò in questo primo paragrafo prendono spunto da:
Gérard de Selys - La scuola, grande affare del XXI secolo - Le Monde
Diplomatique, 16 giugno 1998. L’autore è un giornalista belga che si batte
contro la privatizzazione dell’insegnamento. Ha scritto sul tema Tableau noir,
EPO, Bruxelles, 1998.
N. Hirtt - All'ombra della Tavola Rotonda degli industriali - Extrait de Cahiers
d'Europe, n° 3, inverno 2000 e, in italiano, http://www.fisicamente.net/index455.htm.
N. Hirtt - L'Europa, la scuola, il profitto - http://users.skynet.be/apedù e, in
italiano, http://www.retescuolesup.net/eu/document.2005-01-18.2247649186.
Si tratta di lavori molto importanti e di estremo interesse.
(4) ERT, Education et compétence en Europe, Etude de la Table Ronde
Européenne sur l'Education et la Formation en Europe, Bruxelles, Février 1989.
(5) Commission of the European Communities, White Paper on growth,
competitiveness, and employment - The challenges and ways forward into the
21st century, COM (93) 700 final, Brussels, 5 December 1993 (chapitre 3,
emploi). E’ utile ricordare che gli anni che vanno dal 1989 al 1996 sono pieni di
iniziative della UE per realizzare I desiderata ERT. Intanto si investono 1200
miliardi (lire) per il programma Leonardo da Vinci (Leonardo Da Vinci,
programma d'azione per l'attuazione di una politica di formazione professionale
della comunità europea, 1995-1999, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle
comunità europee, Lussemburgo. Si veda altresì il Journal Offciel des
Communautés Européennes, L 340 del 29 dicembre 1994, p. 8) e 1700 miliardi
(lire) per il programma Socrates (Journal officiel des Communautés
européennes, L 87 del 20 aprile 1995). Quindi si realizzano studi
sull’educazione a distanza: L'educazione e la formazione a distanza, Sec (90)
479, 7 marzo 1990; Rapporto sull'insegnamento superiore aperto e a distanza
nella comunità europea, Sec (91), 388 finale, 24 maggio 1991; Memorandum
sull'apprendimento aperto e a distanza nella comunità europea, Com (91) 388
finale, 12 novembre 1991. Si passa infine a programmare in grande ”Creare
entro la fine del 1995 centri di telelavoro per almeno 20.000 lavoratori in venti
città. Si passerebbe quindi al telelavoro, entro il 1996, per il 2% dei colletti
bianchi, e a 10 milioni di posti di telelavoro entro il 2000. (...) I fornitori del
settore privato (...) si lanceranno sul mercato dell'insegnamento a distanza (...)
” (L'Europa e la società dell'informazione planetaria, Cd-84-94- 290-IT-C, 26
maggio 1994).
(6) ERT, Une éducation européenne, Vers une société qui apprend. Un rapport de
la Table Ronde des Industriels européens, Bruxelles, Février 1995.
(7) ERT, Investir dans la connaissance. L'intégration de la technologie dans
l'éducation européenne, Bruxelles, Février 1997.
(8) Commission des Communautés Européennes, Livre Blanc sur l'Education et
la formation. Enseigner et apprendre; vers la société cognitive, 29 novembre
1995.
(9) OCSE, Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Paris, 1996
(10) Commissione UE, L’insegnamento a distanza nel diritto economico e nel
diritto dei consumi sul mercato interno, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle
Comunità Europee, Lussemburgo, 1996.
(11) OCSE, Internationalisation of Higher Education, Paris, 1996. Les
Technologies de l'information et l'Avenir de l'enseignement post-secondaire,
Ocse, Parigi, 1996. In quest’ultimo rapporto si dice : “Negli Stati uniti, il
progetto Annenberg/Cpb collabora con i produttori in Europa, in Giappone e in
Australia per la creazione di vari tipi di nuovi corsi, che dovranno essere
utilizzati nel teleinsegnamento (...) Gli studenti diverranno clienti, e gli istituti di
studi saranno concorrenti in lotta tra loro per ottenere quote di mercato (...). Gli
istituti sono incitati a comportarsi come imprese”.
(12) Mark Murphy, Capital, class and adult education: the international political
economy of lifelong learning in the European Union, Northern Illinois University,
USA, 1997
(13) L'educazione e la formazione a distanza, Sec (90) 479, 7 marzo 1990.
(14) Rapporto sull'insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità
europea, Sec(91), 388 finale, 24 maggio 1991.
(15) Susan George, Quinta colonna nella UE, Le Monde Diplomatique, gennaio
1998. Quanto sostenuto è dimostrato dal Corporate Europe Observatory di
Amsterdam.
(16) J. Delors, L'Education un trésor est caché dedans, Paris 1996. In italiano:
Nell'Educazione un tesoro. Rapporto all'UNESCO della Commissione
Internazionale sull'Educazione per il Ventunesimo Secolo - Armando Editore,
Roma 1997.
(17) UE, Libro Bianco sull'istruzione e la formazione. Insegnare ed apprendere:
verso la società cognitiva. COM (95) 590 finale.
(18) http://www.ueonline.it/Focus/Istruzione/Istruzione%20permanente.pdf
(19) http://www.ueonline.it/Focus/Istruzione/istruzioneindex.htm
(20)http://www3.didaweb.net/forum/getfile.php3?key=1007067178&site=dw&bn=dw_cicli
(21) http://www.ecn.org/saffi24/docuff/rifberl.htm
(22) http://www.senato.it/dsulivo/comunicati/2002/com020326_2.htm
(23) Vedi anche il “Manifesto dei 500” (genitori, studenti ed insegnanti) su:
http://www.territorioscuola.com/associazioni/riformacicli500.html. Sul progetto
“Buonsenso” vedi http://www.territorioscuola.com/associazioni/gruppo_buonsenso.html.
Osservo a parte che anche il quotidiano il Riformista che fa capo a D’Alema si
spertica in lodi verso il ministro Moratti
(http://www.ilriformista.it/documenti/editoriale.asp?id_doc=19507), un buon ministro.
L’osservazione sta per tentare di capire dove si trova una qualche linea di
demarcazione, se ancora ve ne è una. Per leggere pezzi d’arte bipartisan
(orrenda parola di moda) si può vedere: Intervista al Prof. Roberto Maragliano
sul testo presentato dalla Commissione Bertagna
(http://host.uniroma3.it/laboratori/ltaonline/scritture/commissione_bertagna.htm);
Bertagna, Maragliano, Dal metodo napoleonico al sistema delle autonomie,
Corriere della Sera 16 dicembre 2002
(http://www.funzioniobiettivo.it/Riforme/Bertagna-Maragliano/BertagnaMaragliano.htm);
Bertagna, Maragliano, Il pendolo della
maggioranze ci distruggerà, Reset, 75/2003
(http://host.uniroma3.it/laboratori/ltaonline/scritture/pendolo.html). Luisa
Ribolzi (destra) e Vittorio Campione (DS) hanno iniziato la collaborazione del
Buonsenso. E’ persona che usa espressioni del tipo: “investimento per la
costruzione di un capitale umano da utilizzare sul mercato del lavoro”. Si veda:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2002/10_Ottobre/21/scuola.sht
ml.
(24) E' estremamente utile, a questo punto, leggere il bel lavoro di Chiara Nappi
(Autonomia locale e scuole pubbliche - Sapere, Ottobre 1999) dove si traccia un
quadro di grande interesse della scuola pubblica USA con la sua autonomia. Il
rapporto governativo sullo stato inaccettabilmente basso sui livelli di istruzione
in USA è: US National Commission on Excellence, A Nation at Risk, Government
Printing Office, Washington DC, 1983 (il libro creò scalpore). Un resoconto
dettagliato del livello deplorevole della scuola negli USA si può trovare in: OCSE,
Education in a Glange: Oecd Indicators 1998, Paris 1998. Una storia succinta e
documentata della scuola USA fino al disastro si trova al Cap. 8 di: C. Lash, La
ribellione delle élite, Feltrinelli, Milano 2001. Recentemente (2002) si è varata
una riforma (Education Bill: No Child Left Behind) che lega il finanziamento delle
scuole pubbliche ai risultati di alcuni test valutativi annuali. Se si supera un
certo valore nelle qualificazioni per alunno che poi diventa qualificazione del
centro scolastico, si avranno fondi. Ciò che ancora oggi non si è chiarito è come
regolarsi con i test. Se li prepara la scuola sono gratuiti ma non si immagina
scuola che si bocci. Preparati in modo scientifico costano invece una media di
25 dollari per studente. Questa cifra, moltiplicata per il numero degli studenti
dà 7 miliardi di dollari l’anno. Ma il finanziamento per la voce test prevede 370
milioni di dollari per il 2002.
(25) Stati Uniti: l'impresa privata all'assalto della scuola, Classe Struggle n° 26,
gennaio-febbraio 2000. In questo articolo della rivista USA, si possono trovare
anche dei dati sulla scuola USA.
(26) N. Klein, No Logo, Cap. IV, Baldini & Castoldi, Milano 2001.
(27) Banca Mondiale, L’educazione nel mondo che cambia, 1999. Vi sono anche critici di grande
peso culturale alle posizioni dei vari organismi come WTO, Banca Mondiale, Tesoro USA, FMI,
… tra questi c’è il premio Nobel per l’economia del 2001, Joseph Stiglitz, che in varie opere, tra
cui La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi 2003, ha sostenuto cose come le seguenti:
"Così come non può funzionare il protezionismo generalizzato, anche una liberalizzazione troppo
rapida del commercio genera danni. Costringere un paese in via di sviluppo ad aprire le proprie
frontiere in modo indiscriminato può avere conseguenze disastrose sia sociali che economiche. È
così che sono stati distrutti milioni di posti di lavoro e la povertà non solo non è stata sradicata ma,
al contrario, è aumentata. ... Sono dunque le regole della globalizzazione a essere sbagliate e questo
accade perché gli organismi che le dettano si basano su una miscela perversa di ideologia e politica
che impone soluzioni a favore degli interessi dei paesi industrializzati più avanzati." Queste
posizioni che pure non negano la globalizzazione in quanto tale e mantengono una grande fede
nell’assolutismo della concezione di democrazia USA: "la globalizzazione può essere una forza
positiva. Essa ha cambiato il modo di pensare della gente e ha diffuso l’ideale di democrazia e il
benessere", queste posizioni, dicevo, non incidono per ora nelle politiche neoliberiste più nefaste
soprattutto verso i Paesi più poveri del mondo. Sono nettamente minoritarie come dimostra
l’avanzata, che sembra inarrestabile, di tali politiche.
(28) Lamy Adresses Need for New WTO Round, 8 giugno 2000. L’intervento di
Lamy si può leggere in:
http://europa.eu.int/comm/commissioners/lamy/speeches_articles/spla23_en.
htm I vari interventi di Lamy in qualità di Commissario UE al commercio, si
possono trovare in
http://europa.eu.int/comm/commissioners/lamy/speeches_articles/speech_lam
y.htm
(29) Si veda Susan George e Ellen Gould, Sanità ed Istruzione consegnate alle
transnazionali, Le Monde Diplomatique, Luglio 2000. Si veda:
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Luglio2000/0007lm03.01.html, anche per altre vicende che vedono la UE implicata in
altri scavalcamenti di normative nazionali, al fine di aderire completamente al
mercato globale.
(30) Vedi nota 16a.
(31) http://www.censis.it/censis/ricerche/2002/minori/index.html
(32) http://www.edulife.it/Portal/DesktopDefault.aspx
(33) http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2001/com2001_0172it01.pdf e
http://www.career-space.com.
(34) Il testo completo della Decisione lo si può trovare in italiano al seguente
indirizzo:
http://europa.eu.int/comm/education/programmes/elearning/programme_en.h
tml. Se si vogliono ulteriori informazioni su eLearning si può andare a
http://www.elearningeuropa.info/index.php?lng=5&doclng=5
(35) Vedi nota 16d.
(36) La Legge 59/97, integrata successivamente con il D.P.R. 233/8 ed il D.I.
44/01.
(37) Legge 127/97 nota come Bassanini bis (alcune norme di tale legge sono
poi state fatte decadere).
(38) D.L. 59/98.
(39) Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (C.C.N.I), comparto scuola, anni
1998-2001.
(40) Si veda il comunicato della CGIL Scuola dell’11 ottobre 2002 (Avvio
trattativa valutazione dirigenti scolastici) nel quale si reclama anche per il
successivo corso-concorso la clausola prevista dall’articolo 41 del C.C.N.I.,
quella che permette all’esaminando di portarsi l’avvocato ed il sindacalista di
fiducia in sede d’esame.
(41) http://www.ei-ie.org/educ/french/fedhelsinkiselys.html « Par le
nombre d'emplois qu'il procure et les importantes sommes d'argent qu'il
mobilise, le secteur de l'enseignement est comparable à celui de
l'automobile. C'est dire sa dimension. La production automobile des
vingt-neuf pays membres de l'OCDE génère un chiffre d'affaires annuel
d'environ 1.286 milliards de dollars et emploie près de cinq millions de
travailleurs. Les mêmes pays membres de l'OCDE consacrent
annuellement mille milliards de dollars au financement de leur
enseignement qui occupe près de dix millions d'enseignants. Si l'on
supprime la moitié des quatre millions de professeurs que comptent les
quinze pays de l'Union européenne, sachant que leurs salaires
constituent plus de quatre-vingt pour cent des dépenses
d'enseignement, ce sont des milliers de milliards de francs qui sont
disponibles pour la guerre concurrentielle! »
(42) L’Espresso n° 18 del 6 maggio 2004, pag. 198.
(43) Il corpo principale delle leggi riguardanti la scuola, nella gestione
Berlinguer, sono:
DM 765/97; CM 766/97 ( Sperimentazione dell'autonomia organizzativa e
didattica delle istituzioni scolastiche)
CM 239/98 (Sperimentazione piani offerta formativa)
Dir.238/98 (Finanziamento piani offerta formativa)
DPR 275/99 (Regolamento sull'autonomia)
DM 179/99 (Sperimentazione dell'Autonomia Scolastica - A.S. 1999-2000)
Lett. Cir. 194/99 (Finanziamento realizzazione della sperimentazione del POF)
D. L.vo 258/99 (Riordino del Centro Europeo dell'Educazione e della Biblioteca di
Documentazione Pedagogica)
Legge n. 30 del 10/2/2000 (Legge - quadro sul riordino dei cicli scolastici)
Dlgs 112/98 (Conferimento di funzione e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed
agli Enti Locali)
Dlgs 59/98 (Disciplina della qualifica dirigenziale dei Capi di Istituto sulle
istituzioni scolastiche autonome)
CM 461/98 (Corsi di formazione per il conferimento della qualifica dirigenziale
ai Capi di Istituto)
DPR 233/98 (Regolamento recante norme per il
dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche)
Legge n. 62 del 10/3/2000
(Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione)
Legge 124/99 (Disposizioni urgenti in materia di personale didattico)
OM 153/99 (Abilitazione riservata)
OM 247/99 (Abilitazione riservata Accademie e Conservatori)
OM 33/00 (Riapertura termini abilitazioni riservate)
Direttiva 307/97 (Comitato per valutare il prodotto educativo)
Relazione valutazione (Relazione conclusiva della Commissione tecnicoscientifica)
DPR 249 del 24.6.98 (Regolamento recante lo
statuto delle studentesse e studenti nella scuola secondaria)
Legge 425/97 (Disposizioni per la riforma degli esami di Stato)
DPR n. 323/98 (Regolamento esami)
DM. 518/99 (Nomina e formazione delle commissioni)
DM. 519/99 (Modalità di svolgimento della prima e seconda prova scritta)
DM. 520/99 (Caratteristiche generali della terza prova scritta)
OM 31/00 (Istruzioni e modalità organizzative ed operative svolgimento esami)
DM 24/2/00 (Crediti formativi)
Art.68 della Legge 144/99 (Obbligo di frequenza di attività formative)
Sintesi commissione (I contenuti essenziali per la formazione di base)
Sintesi Maragliano (Sintesi dei lavori della Commissione)
DM 50/97 (Commissione Tecnico-Scientifica per le proposte di riforma della
scuola)
DM 84/97 ( Modifiche ed integrazioni alla Commissione Tecnico-Scientifica)
(44) E. D. Hirsch (The Schools We Need, 1996) ha messo in luce le gravissime
responsabilità delle teorie pedagogiche “progressiste” nel generale collasso
dell’istruzione, nella perdita di quei saperi culturali di base il cui possesso è
sola garanzia di una autentica uguaglianza tra cittadini. L’osservatore esterno
resta davvero sorpreso dal fatto che questa pedagogia si pone ormai come
l’unica scienza umana che evita di sottoporsi a critica ed assurge a disciplina
guida nella trasmissione e comunicazione del sapere e della cultura. Insistono
su computer e su reti telematiche perché i loro orizzonti si fermano fin dove il
mercato fa capire loro (non hanno autonomia di giudizio). Questa loro fullimmersion si dovrà scontrare con la rapida obsolescenza di questi sistemi e
MEZZI. Ma costoro ci ossessionano giornalmente con cose orecchiate e mai
capite: interattività, multimedialità, comunicazione pluridirezionale, costruzione
di percorsi individuali, ... Infatti, se avessero capito qualcosa, dovrebbero
chiedersi quantomeno qual è l’oggetto della comunicazione. Di esso, dei
contenuti, non si parla mai (in proposito si può vedere G. Ferroni, La scuola
sospesa, Einaudi 1997, ed anche M. Bontempelli , L’agonia della scuola italiana,
CRT, Pistoia 2000).
(45) http://www.cgilscuola.it/riforme/luciano/sinmarag.htm. Roberto Maragliano è noto per una
intervista a l’Unità nella quale sosteneva: “Il videogioco è la più grande rivoluzione
epistemologica di questo secolo. Ti dà una scioltezza, una densità, una percezione delle situazioni e
delle operazioni che puoi fare al loro interno che permette di esaltare dimensioni dell’intelligenza e
dello stare al mondo finora sacrificate alla cultura astratta”. ….. (all’intervistatore che obietta,
Maragliano risponde stizzito) "Lei preferisce che un pilota d’aereo abbia fatto videogiochi o che
abbia letto la Divina Commedia?” (intervista a l’Unità, 5 febbraio 1997).
(46) http://www.agesc.it/Liberal.htm
(47) Confindustria - Verso la scuola del 2000 - Documenti Confindustria, 1998.
(48)
I
risultati
di
varie
indagini
PISA
si
trovano
in
http://www.pisa.oecd.org/knowledge/summary/a.htm. (P.I.S.A.: Programme for
International Student Assessment; OCDE: Organisation for Economic
Cooperation and Development; TIMMS: Third Internationale Mathematics and
Scienze Study; IEA: International Association for the Evaluation of Educational
Achievement).
(49) Confindustria - Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione.
Il parere di Confindustria - Documenti Confindustria, 1999. Si veda anche
l’intervista di Attilio Oliva (responsabile Confindustria per l’Educazione) a R.
Bassoli (Espresso, 17 febbraio 2000).
(50) Presidente: Umberto Agnelli. Presidente Esecutivo: Attilio Oliva. Chairman del Forum degli
esperti: Thomas J. Alexander, per dieci anni massimo responsabile dell’OCSE per Education e
Sanità. Associati o come esperti o come personalità eminenti: F. Confalonieri, G.C. Lombardi, L.
Maramotti, P. Marzotto, L. Abete, G. Alpa, D. Antiseri*, F. Butera, C. Callieri*, A. Casali, L.
Caselli, S. Cassese, E. Catania, A. Cavalli, I. Cipolletta, C. Dell’Aringa*, E. De Maio, T. De
Mauro*, G. De Rita*, U. Eco, M. Lodi, R. Maragliano, L. Modica*, L. Mondadori, A.
Panebianco*, C. Pontecorvo*, S. Romano, R. Simone, D. Siniscalco, M. Tangheroni*, G.
Varchetta, U. Veronesi ,G. Anselmi, E. Auci, G. Barilla, L. Berlinguer, F. De Bortoli, A. Di Rosa,
G. Ferrara, D. Fisichella, F. Frattini, L. Ghisani, L. Guasti, E. Mauro, M. Mauro, G. Nieri, A.
Ranieri, G. Rembado, C. Rossella, F. Roversi Monaco, M. Sorgi, G. Trainito, B. Vertecchi, V.
Zani.
*membri del Comitato Operativo.
(51)http://www.fisicamente.net/treelle_quaderno01.pdf
;
http://www.fisicamente.net/treelle_quaderno02.pdf;
http://www.fisicamente.net/treelle_quaderno03.pdf.
(52) VOI (Austria), DA (Danimarca), MEDEF (Francia), BDA (Germania),
CONFINDUSTRIA (Italia), VNO-NCW (Paesi Bassi), CBI (Regno Unito) - Per una
scuola di qualità - Documenti Confindustria, 2000.
(53)
http://www.confindustria.it/AreeAtt/DocUfPub.nsf/0/b04c993eb1e59bbec1256acb0050015c?Open
Document
(54) http://www.fisicamente.net/index-439.htm
(55) http://www.confindustria.it/DBImg2002.nsf/HTMLPages/Mappa
(56) http://www.confindustria.abruzzo.it/scuola+impresa.doc
(57) Présidence du Conseil européen, Emploi- réformes économiques et
cohésion sociale - pour une Europe de l´innovation et de la connaissance, 23 et
24 mars 2000.
Présidence du Conseil européen , Conclusions de le Présidence, Conseil
européen des 24 et 24 mars 2000 à Lisbonne.
(58) http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2003/com2003_0685it01.pdf
(59) http://ue.eu.int/newsroom/related.asp?BID=75&GRP=4280&LANG=1
(60) http://www.italconsulnyc.org/Ufficio_studenti_per_approfondire.htm
(61) Dice la Commissione UE: “I sistemi più decentralizzati sono quelli più
flessibili, che si adattano più in fretta e permettono di sviluppare nuove forme
di partenariato”, CCE 1995.
BIBLIOGRAFIA
Riporto una bibliografia minima di testi non altrove citati che possono essere
utili:
1) Jean Claude Michéa – L’ensegneiment de l’ignorance – Ėditions Climats,
1999.
2) Guy Debord –Commentaires sur la societé du spectacle – Ėditions Gérard
Lebovici, 1988.
3) Susan George – Fermiamo il WTO – Feltrinelli, 2002.
4) AA.VV. – Manifesto Laico – Laterza, 1999.
5) Luciano Gallino – Globalizzazione e disuguaglianze – Laterza, 2000.
6) Christopher Lash – The Culture of Narcissism – W.W. Norton & Co., Inc.
1991.
7) G. Bocchi, M. Ceruti – Educazione e globalizzazione – Raffaello Cortina,
2004 (cito questo libro per completezza ma si tratta di uno dei libri costruiti
per addestrare alla scuola della Moratti, cioè inutile. Il capostipite di questo
tipo di testi è Edgar Morin – I sette saperi necessari all’educazione del
futuro – Raffaello Cortina, 2001).