ARTICOLOQuando i ragazzi diventano grandi_2

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ARTICOLOQuando i ragazzi diventano grandi_2
Quando i ragazzi diventano grandi
di Liliana Carrillo (Cooperativa sociale “La Tarta Volante”)
Tra sogni e prove di se stessi, i giovani preadolescenti rivelano le loro capacità e diventano acuti osservatori di se
stessi e delle loro relazioni. Raccontano con piacere i propri sentimenti, le loro idee sul mondo e le esperienze con gli
amici, e hanno chiaro in testa che, sia i compagni sia gli adulti, devono essere …sinceri!
Succede più di una volta e soprattutto tra gli adulti che volendo conoscere meglio l’adolescente che si ha di fronte, si
cada nel rischio di approdare a letture e interpretazioni che mettono sotto una lente il singolo, dividendo il mondo in
buoni e cattivi e assumendo posizioni spesso escludenti.
Perciò ci siamo chiesti cosa cambia quando invece di focalizzarsi sull’adolescente per sapere qualcosa “su di lui/lei” si
cerca di guardare la relazione “tra noi e loro”; e come questo approccio può contribuire a una collaborazione più
costruttiva tra servizi e genitori, tra scuola e servizi, tra genitori e figli, tra famiglia e scuola.
Durante il progetto Tra il dire e il fare…verso l’adolescenza molti genitori sono stati presenti e collaborativi nelle
diverse attività. Non è stato possibile, com’era negli intenti iniziali, formare un gruppo di genitori più o meno stabile per
condividere insieme ai servizi l’animazione del Centro famiglie, ma è cresciuta la partecipazione di bambini e
adolescenti alle attività della ludoteca nell’area territoriale di attuazione del progetto.
Questi sono messaggi che per gli enti è fondamentale recepire, perché parlano di genitori che hanno riconosciuto i
contesti creati e sostenuti dai servizi, parlano di rapporti costruiti con le famiglie attraverso i diversi servizi e progetti
offerti negli anni.
Il lavoro sociale è un continuo interrogarsi su come fare meglio di fronte agli sviluppi e utilizzando un approccio
costruttivo, quindi, cercando modi diversi per avvicinarsi ai genitori, analizzando e riflettendo sui problemi, lavorando
su ipotesi di ampio respiro per poter accogliere le problematiche interne alle famiglie e quelle che pone l’educare i
giovani nella società di oggi.
Dalle Interviste
Irene Pussetto (ASL 10): Perché i genitori non si fidano? I ragazzi e le ragazze vengono al consultorio
adolescenti senza dirlo ai genitori. Questo è critico per i genitori? Si vedono mettere in discussione il proprio
ruolo? Negli incontri con gli adolescenti si parla di questioni intime e su temi come il corpo e la relazione, temi
che per molti adulti è difficile affrontare con i figli, anche perché è un periodo della vita in cui si creano
distacchi difficili da accettare da parte dei genitori.
Bisognerebbe lavorare in continuazione per un’alleanza tra famiglie e servizi, perché è proprio nel momento in
cui i figli vorrebbero continuare “da soli”, che la relazione diventa “più critica”.
Noi, i servizi, dobbiamo creare rapporti accettabili, riuscire a essere credibili per i genitori. Se i loro figli
parlano con noi, e non con loro, sarebbe importante che riuscissero a essere sereni, perché comunque i figli
hanno trovato un contesto dove confrontarsi ed essere aiutati.
Fiammetta Gullo (C. M. Pinerolese): Da anni si lavora come servizio socio assistenziale per offrire ai genitori
di minori e adolescenti delle opportunità per crescere i loro figli con l’appoggio di operatori competenti e di
servizi adeguati. Naturalmente lo scopo è quello di appoggiare i genitori per limitare i disagi nelle fasi
evolutive ed evitare situazioni di grave contrasto generazionale o di uso di sostanze o anche semplicemente
dare una mano per affrontare le normali crisi di crescita con responsabilità e consapevolezza. I genitori non
sempre colgono queste opportunità, rivolgendosi ai servizi in situazione di crisi acuta. I momenti di riflessione
proposti come conversazioni, incontri con esperti, gruppi di genitori vedono la presenza di poche persone, con
l’eccezione forse per la prima infanzia. Sono sempre più presenti le mamme che i papà e gli operatori
facciamo tanti sforzi per coinvolgerli. Funzionano però i momenti di festa, dove i genitori partecipano in
attività in cui i loro figli sono protagonisti. Con questo progetto abbiamo creato contesti per condividere le
esperienze fatte insieme, mettere i servizi in rete, far sapere cosa offre un territorio.
I giovani preadolescenti si raccontano
Ciò che i ragazzi e le ragazze raccontano è stato raccolto attraverso questionari da loro compilati, ma molto materiale
emerge da ciò che hanno espresso giocando e progettando negli incontri di lavoro proposti a scuola, in ludoteca,
nell’ambito del consultorio adolescenti, e organizzando e partecipando alle serate di festa e altri momenti di
condivisione.
Dare voce agli studenti preadolescenti con cui abbiamo lavorato ha fatto scoprire una ricchezza e una profondità di
pensieri, interessi, valori e sentimenti. Ma anche una serie di difficoltà da parte dei molti adulti direttamente implicati
nella loro educazione. Prendere in considerare la loro voce ha significato poter cogliere questi spunti, attendibili e
insostituibili, per interrogarci e riflettere sull’ambiente educativo, di vita, in cui stanno crescendo.
I ragazzi e le ragazze parlano di sé, dei compagni e amici e di noi, gli adulti genitori o altre figure con cui vengono a
contatto. Sono stati capaci di realizzare diversi processi: ricostruire situazioni, problemi e relazioni; riflettere su se
stessi, valutare l’importanza che hanno per loro i comportamenti, e chiarire cosa intendono per qualità.
Nei gruppi di attività emerge una forte creatività, poche trasgressioni alle regole, l’importanza delle differenze e del
contributo di tutti. È molto evidente la divisione dei ruoli separati uomo e donna, ma non si trovano solo visioni
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stereotipate. Scelgono immagini evocative, cercate con fantasia, e si scopre un’originalità più ricca rispetto ai linguaggi
presenti in tv o su internet. Dicono, per esempio: “Conoscersi un po’ di più è un’occasione. Aiuta a comprendersi
meglio”. “Lavorando insieme è difficile trovare l’idea giusta, mettere d’accordo tutti, ma... sempre molto meglio essere
con gli altri”. “Mi sento delusa quando non c’è lavoro di squadra perché non si riesce a fare un bel lavoro”.
I leader si fanno notare, spesso con atteggiamenti prevaricanti, ma di fronte a qualche ragazzo in difficoltà i compagni
sanno mediare, aiutarlo, e dare un messaggio a chi vuole far pesare la sua prepotenza. Parlando di sport predomina il
calcio, e anche su questo sarebbe molto utile una riflessione, ma soprattutto perché raccontano che per loro lo sport è
libertà, emozione forte, passione ma anche relax, piacere, tempo libero in tranquillità. Nella musica e nel mondo delle
immagini e della comunicazione trovano un modo di esprimersi e di riconoscersi.
Possiamo chiederci come mai questi aspetti diventano così importanti? Come mai diventano canali privilegiati per
viversi i propri sentimenti, affetti e visioni del mondo? … è per loro un mondo in cui trovare rifugio, per isolarsi o per
incontrarsi?
In Fragile e spavaldo troviamo spunti per riflettere sul nuovo adolescente. L’autore affronta con chiarezza il
cambiamento di strategia comunicativa degli ultimi anni, e insiste sulla necessità di continuare a indagare perché “non è
certo una questione di poco conto”, considerando inoltre il sistema educativo (che non ha affatto l’obiettivo di farli
sentire in colpa per i loro desideri e bisogni) da cui emergono i nuovi adolescenti, la crisi di autorità del padre e la
nuova interpretazione del ruolo della madre.:
“Dei processi creativi in adolescenza e dei loro prodotti socialmente fruibili colpiscono soprattutto due fenomeni
recenti. Il primo è la grande diffusione generazionale della tendenza espressiva, dei tentativi, individuali o di gruppo, di
comunicare attraverso prodotti culturali ed artistici. (…) Il secondo fenomeno concerne l’intenzione che promuove e per
certi versi impone questo impegno espressivo generazionale. Un tempo i giovani scrivevano sui muri o cantavano le
canzoni degli altri per protestare, (ecc.), oggi invece l’intenzione non è violenta, di protesta o di proposta; i giovani non
hanno nemici e perciò le loro produzioni artistiche ed espressive sono autoreferenziali, non sono contro gli adulti e le
loro abitudini. Questi due fenomeni, (…) inducono a ipotizzare che gli adolescenti attuali siano più vicini alle esigenze
dell’universo estetico che a quelle del mondo etico, che prevalga in loro il bisogno di esprimere più la verità affettiva
interiore che la necessità di prendere posizione contro l’organizzazione sociale. I giovani sono impegnati ad esprimere e
cercare la verità della persona, non quella politica o sociale: è liberare il Sé ciò che conta, non l’altro.” “Gli adulti però,
genitori e docenti soprattutto, non sanno come rispondere al messaggio implicito loro rivolto, per esempio, dalla musica
che lo studente o il figlio ha imparato a suonare, perché non hanno chiaro se questa musica li riguardi o li scavalchi,
rivolta ad altri interlocutori più competenti e capaci di apprezzarne e decifrarne il messaggio.” [Pietropolli Charmet, pp.
47-48; pp. 52 e 112].
Già anni fa Charles Melman [2002 pp. 12-17 e 83] aveva analizzato molti di questi aspetti e trasformazioni culturali
esistenziali, con argomenti di forte impatto nell’ambito del suo discorso Introduzione alla nuova economia psichica.
Alcune sue considerazioni sulla questione delle informazioni e delle immagini mettono in evidenzia il superamento dei
limiti, o meglio, che “non c’è più difficoltà a superarlo”. Tutto si mostra, si svela, si esibisce: “Non c’è più alcun limite
all’esigenza di trasparenza. (…) È al posto del sorvegliante, che si mettono i telespettatori, coloro che guardano…
L’immagine non funziona più come rappresentazione ma come presentazione. Sarebbe opportuno che i linguisti
s’interessassero alla lingua che sta costituendosi su Internet, la lingua che serve agli scambi fra internauti che non si
conoscono.”
“Non vi si può più sfuggire. La sua appartenenza (del soggetto) a una comunità è solo transitoria, cambierà a seconda
del luogo da cui parla, a seconda dell’informazione. Non abbiamo più ideali fissi. Lo zapping non è solo nelle
immagini, è anche soggettivo. Non abbiamo a che fare in permanenza con lo stesso soggetto. Abbiamo a che fare con
un viso che sembra neutro e insignificante, ma che è la maschera di una soggettività mobile. (…) Poiché il soggetto è
comunque costretto a far riferimento a un sistema Altro, ciò che oggi ha sostituito le ideologie sono le informazioni.”
I ragazzi a volte parlano dei genitori come di amici, altre volte precisano di vivere un rapporto importante per via della
condivisione e dei consigli che ricevono. Ci sono però molti casi in cui raccontano contesti “superprotetti” dove non
riescono a sviluppare autonomia di fronte all’ansia dei genitori, e rimangono spaesati.
Alcuni fanno riferimenti espliciti a situazioni problematiche con uno o entrambi genitori: dicono che è impossibile
esprimere le proprie emozioni, si sentono in imbarazzo, hanno paura del giudizio. Ma anche là dove non ci sono
conflitti c’è la percezione di una mancanza di ascolto vero sui sentimenti "profondi".
È bello sentirli parlare del piacere di ridere e scherzare perché praticamente tutti vogliono poter divertirsi, sempre.
Questo bisogno ci fa pensare alla ricerca di un vissuto felice che si addice all’età tra l’infanzia e l’adolescenza. Ma
dobbiamo essere consapevoli che può trattarsi di un rifiuto nei confronti delle maggiori responsabilità che man mano
appaiono nella loro vita, alle quali rispondono con comportamenti che riflettono i modelli consumistici proposti oggi dai
mezzi di comunicazione.
“È mutato il clima affettivo in cui si dipana l’adolescenza. Da alcuni anni si è allungato il tempo della crescita e si sono
modificate le possibilità di accedere all’autonomia (…). Non solo, ma la crescita e autonomia, date le attuali condizioni
sociali e culturali, sembrano aver perso di fascino presso gli adolescenti. La voglia di autonomia psicologica e sociale è
stata sostituita dalla precocità di accesso in ambiti come il consumo, la trasgressione, la sessualità, l’autodeterminazione
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e da una difficoltà, mista a timore, di crescere interiormente e costruire con fatica un futuro dignitoso. (…) Sembra
avvenuta un’accelerazione che nessuno di noi è in grado di contrastare. Le ultime generazioni, ma in particolare
quest’ultima, sono immerse in una cultura di massa che non promuove le capacità umane più profonde e la ricerca del
campo intuitivo e spirituale. Il contesto propone un presente molto ambito dagli adolescenti perché pieno di conquiste a
favore del piacere, dell’immagine, di succose e comode emozioni facilmente ottenibili senza mettersi troppo in gioco.
(…) Per di più l’utilizzo di linguaggi condensati, pronti per l’uso ma poveri di parole, non permette di rielaborare
adeguatamente l’iperstimolazione del mondo esterno.” [Cappellin 2010, p.77-78].
Rispetto ai propri compagni dimostrano l’interesse e il piacere di scoprire aspetti nuovi e di valore in qualcuno che
prima si giudicava diversamente, e dichiarano: “Sentire che gli altri si fidano di te fa emozionare”. Emergono però
tante dinamiche definite molto chiaramente come tradimenti e presa in giro. Più che uno sguardo sulle "vittime" occorre
però riflettere sul perché di questi atteggiamenti derisori ed escludenti. Molti studiosi nonché insegnanti e genitori
sostengono che sono “normali” a questa età, e possiamo concordare, ma gli stessi ragazzi denunciano dinamiche
piuttosto complesse e rigide, si associa il tradimento all’interruzione dell'amicizia, si "risolvono" problemi di relazione
assumendo posizioni scaturite dall’alleanza del momento.
Sentirsi soddisfatti è spesso associato al "vincere". Solo pochissime volte si parla di una soddisfazione per una
chiacchierata profonda, per un ragionamento interessante, o per essere riusciti a capire qualcosa di cui prima si avevano
difficoltà. Non mancano però i riferimenti alla soddisfazione per aver protetto un compagno o una compagna perché
venivano picchiati. Al di là dell’atteggiamento positivo che si dimostra nel proteggere, ciò che preoccupa è che ci sia
una componente non indifferente di insulti pesanti e altri atti intrisi di una certa aggressività. Questo aspetto fa pensare
subito a una reale incapacità di affrontare le differenze e le difficoltà che la quotidianità e le relazioni stesse pongono, a
un circuito implacabile di lotta per l’affermazione di superiorità. La forma più comune di ricerca di soluzioni è quella di
eludere responsabilità, quindi scaricando la colpa su qualcuno.
Essere preso in giro, insultato, emarginato fa sentire le persone sole, e fragili, in balia del disagio, della paura di
sbagliare per via dell'atteggiamento giudicante degli altri. Questo genera un forte senso di inadeguatezza, vergogna,
impotenza. Sono in molti a dirlo rispondendo a domande specifiche, quindi non possiamo dare per scontato che questo
non sia mai accaduto ai propri figli o allievi.
Come guardiamo noi adulti questi modi di “stare” in rapporto alle difficoltà relazionali?
Quel qualcuno esprime un disagio e il disagio non è mai l’espressione di problemi individuali ma di problemi di
relazione tra le persone. Lo si sa. E si sa anche che, nel complesso, i modi di stare nelle relazioni riflettono i “modelli” e
la sistematicità delle dinamiche che riproducono i gruppi sociali nei quali gli individui sono inseriti.
Tuttavia, tra gli adulti si esprimono spesso soluzioni che risentono della formula accusatoria. Sovente senza
approfondire, anzi, con una scarsissima attitudine all’“esplorare” il contesto e le ragioni delle persone implicate. Nella
relazione con gli altri, accade molte volte di rivolgere lo sguardo verso se stessi. Allora, cosa succede quando
cominciamo a chiederci quale incidenza ha il nostro approccio alla vita, nella vita dei più giovani?
Si parlava di questo con una mamma che ha partecipato agli incontri con i genitori, e ci raccontava con quale serietà e
profondità avevano affrontato la questione in famiglia, un’esperienza che ha lasciato tracce nel loro vissuto: un dialogo
impegnativo alla luce di una sensazione cauta, ma piena per aver cercato insieme al loro figlio “altri modi” per
rapportarsi con gli altri.
Alcune riflessioni
1) Tutte le risposte mettono noi adulti di fronte a una riflessione sulla necessità di aiutare i ragazzi e le ragazze ad
elaborare modi adeguati per affrontare le difficoltà delle relazioni, senza cadere in atteggiamenti aggressivi o derisori, di
chiusura o di schieramento.
2) Riflettendo sulla relazione “tra noi e loro” possiamo capire le nostre competenze e strumenti per offrire elementi di
"contenimento", e renderci conto di che cosa abbiamo bisogno.
Non si nasce con straordinarie capacità relazionali, ma queste scaturiscono dal confrontarsi con le esperienze difficili,
con un approccio costruttivo e disponibile a comprendere l'altro piuttosto che a giudicarlo o a giustificarlo.
3) Essere adulti non è una questione anagrafica. I ragazzi cercano persone “sincere e oneste” tra tutti quelli con cui si
rapportano: compagni, amici e adulti (insegnanti, genitori, educatori, operatori, familiari, vicini ecc.).
I ragazzi dicono: “da chi mi sta vicino vorrei che sia sincero” e “vorrei che sia capace di aiutarmi”.
Per “sinceri” intendono: essere capaci di mettersi in discussione, sospendere giudizi affrettati, evitare pregiudizi,
spiegare la propria posizione (le vere ragioni). I ragazzi e le ragazze percepiscono benissimo chi siamo, come stiamo,
quando abbiamo un problema. Non vogliono che si cerchi di convincerli di qualcosa “per il loro bene”. Vogliono – o
piuttosto hanno bisogno – che l’adulto si metta in gioco con le proprie debolezze e capacità, quando può e quando non
può gestire un’incertezza. L’adulto sincero è quello che non nasconde di avere una preoccupazione, un’altra priorità,
anche personale.
Per “capaci di aiutare” intendono essere capaci di ascoltare; dicono proprio così: “stare in ascolto”. Soprattutto hanno
bisogno di potersi fidare per avere lo spazio di parlare, di sentirsi tranquilli che chi gli ascolta cercherà di
comprendergli, di “cogliere” quei segnali che non si possono dire con le parole.
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La fiducia però non si può dare per scontata, va costruita, e ha bisogno di manutenzione. Difatti rimangono delusi
quando sentono dall’insegnante: “questo non è tema della mia materia”, e sono contenti quando a casa si mettono lì,
tutti insieme, a fare una cosa o a cercare di scoprire informazioni utili.
Emerge chiaramente un messaggio. Sanno che per nessuno è possibile sapere tutto, perciò non ce lo chiedono. Vogliono
invece persone “capaci di parlare” con loro. Potremmo dire, ci chiedono di essere “credibili”, competenti.
Cosa può essere utile a noi adulti, vicini agli adolescenti in famiglia, a scuola, in ludoteca, nei luoghi del territorio dove
vivono le relazioni?
Forse possiamo chiederci perché i nostri figli o allievi si rifugiano così spesso nelle alleanze (che poi cambiano in
continuazione) e provocano un così forte senso di "tradimento". È questo l’unico modello possibile da utilizzare nelle
relazioni? Di fronte a problemi relazionali tra i ragazzi, sembra che si riesca meglio a prospettare soluzioni per
“eliminare” il problema. Stiamo offrendo loro altri possibili modi per trattare e gestire i problemi?
L’agire degli operatori sociali coinvolti in questo lavoro è incentrato, da anni, nel promuovere progetti, attività, servizi
per allargare sempre di più la cultura della mediazione, per creare “luoghi”, competenze, condizioni che portino di più a
cercare di comprendere le ragioni dell’altro, a spostarsi dal giudizio all’analisi del contesto, a pensare strategie di
valenza educativa.
Ci sono alcune ricerche in corso su questo tema, e riteniamo opportuno coglierne il loro contributo per analizzare
ipotesi, raccogliere spunti e domande, sviluppare piste di lavoro e riflessioni.1
Partiamo da alcuni interrogativi che si pone Laura Bonica nelle sue ricerche incentrate sul rapporto scuola, famiglia,
giovani, territorio:2
˛ Quali sono le identità/autorità in gioco degli adulti che hanno un ruolo educativo nella vita dei ragazzi? È una
sfida condivisa? Cioè è chiara l’importanza di una distinzione e allo stesso tempo di una complementarietà di
ruoli?
˛ In quale misura i ragazzi e le ragazze “osservano” le incomprensioni, le frammentazioni, le sovrapposizioni tra
le identità in gioco ?
˛ In che modo i giovani stanno mediando tra la cultura della famiglia e la cultura della società? [per cultura in
questo caso s’intende: “pratiche” d’identità in azione, modi di presentarsi, di riconoscersi e di differenziarsi nei
diversi contesti].
I nostri giovani fanno “pratiche” d’identità, di modi di presentarsi, di riconoscersi e di differenziarsi nei diversi contesti.
Stanno facendo una incredibile mediazione tra i diversi approcci educativi che propongono la famiglia, la scuola, la
società. In uno dei questionari una ragazza ha scritto: “Nel rapporto con gli altri non bisogna essere né forti né deboli,
perché tutti siamo uguali”
Ma se noi guardiamo soltanto il singolo individuo ci risulterà sempre più difficile vedere quale sintesi i nostri figli
stanno facendo di tutto ciò, capire quali sono le relazioni importanti per loro e perché.
Allora può essere utile chiederci come incidono le diverse identità/autorità in gioco degli adulti che hanno un ruolo
educativo nella vita dei ragazzi, compresa la nostra.
Quali possono essere gli aspetti su cui lavorare affinché si costruisca collaborazione produttiva tra famiglia e scuola, tra
ragazzi e genitori, tra scuola e servizi, tra servizi e genitori.
È una sfida condivisa? Cioè, è chiara l’importanza di una distinzione e allo stesso tempo di una complementarietà di
ruoli degli adulti?
Di fronte agli insuccessi o ai disagi che noi non sempre vediamo possono nascere malattie psicosomatiche, giochi
pericolosi, trasgressioni oltre i limiti, leader impietosi. E l’ansia di primeggiare porta a fare alleanze strumentali e a
“fregarsi” degli altri, e con questo si perde dignità.
L’adulto, nei momenti di condivisione, può aiutare a elaborare il mondo interiore dell’adolescente: può offrire nuovi
scenari, una strada diversa, altri modi per comprendere. Franca Olivetti Manoukian ribadisce:
“Comprendere non significa fare la diagnosi, ma raccogliere segnali o indizi che permettono di vedere una situazione in
maniera un po’ più articolata, meno colpevolizzante, meno schematica e chiusa. La comprensione è sempre dinamica,
mai definitiva, ed è molto legata alla conoscenza che si costruisce lungo il percorso, più che all’applicazione di un
sapere costituito.”3
Partecipare a “piccole attività”, vicini ai propri contesti di vita, dove ciascuno mette la sua parte, dove ciascuno può
esprimere “accoglienza” sono situazioni reali, di azione, che possono sviluppare percorsi evolutivi per tutte le persone
in gioco.
Per questo motivo i Servizi del territorio propongono di “fare insieme”, “lavorare insieme”, “con-dividere”, per
integrare le proposte educative che arrivano dalle diverse parti della società.
1
Si fa riferimento ricerche recenti sul rapporto famiglie, scuola, adolescenti di: Liliana Carrillo, Fernanda Gigli, Laura
Bonica, Franca Olivetti Manoukian.
2
Si veda Laura Bonica e Manuela Olagnero [2011]
3
Si veda Olivetti Manoukian F. [2009].
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Tra il dire e il fare, cosa può essere utile?
Una metodologia per creare partecipazione
Il criterio trasversale che ha caratterizzato il progetto “Tra il dire e il fare…verso l’adolescenza” si può tradurre in un
investimento in attività orientate a mettere in rete ragazzi, genitori, ludoteca, scuola, consultorio adolescenza, a
riqualificare il lavoro educativo sul territorio, sviluppare ciò che c’è e dare visibilità al nostro lavoro. Il gruppo di
progetto, costituito dalle assistenti sociali referenti degli enti, la coordinatrice del progetto e gli educatori coinvolti, ha
sostenuto un processo di costante monitoraggio e ri-progettazione in rapporto alle esigenze e interessi dei partecipanti.
Un progetto come work in progress
Nel primo anno sono stati attivati lavori con le classi, gruppi di confronto e riflessione con insegnanti, incontri con
genitori. Nel secondo anno si è pensato a un impianto più allargato che permettesse una maggiore partecipazione e
condivisione di situazioni:
Abbiamo rilevato due criticità significative. Innanzitutto le difficoltà di genitori e insegnanti a sostenere momenti di
riflessione. Le famiglie e la scuola supportano e gradiscono le attività dei ragazzi, anche quelle che li coinvolgono
direttamente, ma disertano le occasioni create per discutere e approfondire come incontri, seminari, tavoli di coprogettazione. Inoltre, problemi riguardanti la comunicazione, la presentazione e la diffusione delle informazioni.
Quindi sono stati proposti molti momenti di condivisione tra insegnanti, genitori e figli, più articolati e diversificati,
inserendo interventi in più luoghi, con orari più accessibili a tutti, variando tipologia di attività, coinvolgendo i ragazzi e
gli adulti in azioni concrete. Creando le condizioni perché i partecipanti potessero sperimentare piccole azioni di
responsabilità ma anche il piacere di partecipare, fare delle cose insieme, stare bene con gli altri al di fuori degli spazi
convenzionali.
Questa modalità di lavoro, mirando al progetto come processo di ricerca, ci ha portati a mantenere una continua
osservazione sull’andamento ma soprattutto sui problemi. La cura dell’analisi degli sviluppi in rapporto agli obiettivi si
è tradotta ogni volta in ri-progettazione, privilegiando la flessibilità e l’apertura a nuove e diverse proposte per i
partecipanti (reali e potenziali). In questo senso possiamo dire che il progetto è stato per noi generativo di creatività e ne
è scaturito un significativo spazio di riflessione su ciò che si stava facendo, ma con uno sguardo più “allargato” alle
persone, al contesto sociale, ai cambiamenti del nostro modo di vivere.
Di fronte a momenti difficili, l’impegno e gli sforzi si sono concentrati nel capire le problematiche, evitando giudizi
superficiali e mettendo in pratica la mediazione e la comprensione. La questione legata alla comunicazione, per
esempio, ha sollecitato il nostro gruppo di progetto ad analizzare molti aspetti, come i modi tradizionali del passaggio di
informazioni tra i diversi ambiti della vita sociale (famiglia, scuola, enti), ma soprattutto quelli radicati nel contesto
territoriale specifico. I nuovi modi, usi e interessi dal punto di vista comunicativo hanno costituito un tema ricorrente
nel dibattito con i genitori e con gli insegnanti. La scarsa incisività dei dispositivi di informazione utilizzati dall’inizio ci
ha portato a cercare altre strategie, progettandole e sperimentandole insieme ai ragazzi, provando forme un po’ più
innovative per cercare di supportare le consuete vie formali.
Ruolo “ponte” del progetto tra famiglie, educatori, insegnanti e operatori dei servizi
Un’azione che è stato possibile attivare nell’arco della durata dei lavori attraverso:
˛ Le attività con gli studenti, gli incontri con insegnanti e con genitori, lo studio e rilancio di nuove e diversificate
forme di comunicazione rendendo protagonisti i ragazzi;
˛ Un lavoro continuo degli educatori coinvolti orientato all’aggiornamento e alla diffusione delle opportunità offerte
dai servizi e proposte dal progetto durante le attività in classe e in momenti ad hoc con i docenti;
˛ Il collegamento del consultorio adolescenza con le altre attività sul territorio, incrementando le attività e favorendo il
feedback tra le attività del progetto, la scuola, le famiglie, i servizi;
˛ Il potenziamento delle attività della Ludoteca. La messa in rete della ludoteca con il progetto ha contribuito a
sviluppare meglio alcuni obiettivi: renderla più riconoscibile, dare maggiore diffusione alle proposte, valorizzare il
lavoro degli educatori, proporre attività diversificate e specifiche per le diverse età e caratteristiche dei partecipanti,
rendere parte attiva i ragazzi e ragazze nell’organizzazione di attività per “fare/stare insieme” con i genitori.
˛ Lo sviluppo del progetto in attività di apertura e realizzazione ravvicinate e intensive, per evitare dispersione e calo
di interesse, favorendo la costruzione di senso e mantenendo l’attenzione sul filo conduttore del processo attraverso
la continuità delle azioni (in particolare pensando agli adulti).
Tra il dire e il fare...verso l’adolescenza
Il progetto: Promosso dall’ASL TO3 e dalla Comunità Montana del Pinerolese ha proposto per più di due anni (20082011) percorsi e attività rivolte agli studenti e ai genitori e insegnanti di due scuole medie di Bibiana e di Luserna S. G.,
in provincia di Torino. La Cooperativa sociale La Tarta Volante Onlus ha condotto le attività e il coordinamento, in
coerenza con il processo di co-progettazione realizzato con gli Enti. Il progetto è stato pensato come risorsa trasversale
integrata tra il mondo della prevenzione ed educazione alla salute in Sanità e il lavoro sulla prevenzione del disagio e
sul favorire l’agio all’interno di attività promosse dall’Ente locale (legge 328). C’era la necessità di creare un gruppo di
persone adulte che attraverso un percorso formativo esperienziale di gruppo si investisse di un ruolo di rappresentanza
delle istanze e dei bisogni dei preadolescenti ed adolescenti fungendo da gruppo di riferimento per gli altri genitori del
territorio. Nel processo di intervento in educazione alla salute la scuola riveste un significato particolare quale agenzia
educativa con cui costruire percorsi educativi verso l’autonomia e la consapevolezza dei giovani. Sempre più si è
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diffusa la convinzione della necessità di un lavoro di comunità partendo dalle esperienze quotidiane delle persone e
creando collegamenti tra le risorse, specialmente oggi che queste si stanno sempre più impoverendo. Nella realtà
odierna la carenza di tempo ed operatori rende quasi impraticabile questa filosofia di lavoro e l’individuazione di
agenzie esterne all’ente pubblico, conosciute e che conoscono il territorio è stata una strategia su cui si è voluto
investire.
I numeri del progetto: 10 classi, 26 attività a scuola e in ludoteca; 10 incontri con insegnanti e 7 con genitori; 120
questionari studenti e 65 genitori; 3 serate-festa 230 persone tra adulti e ragazzi; circa 12 incontri di monitoraggio tra
coordinatrice, referenti ed educatori; 3 prodotti multimediali per le famiglie, gli enti e la scuola (kit didattici di
immagini e parole per promuovere dialogo tra gli adolescenti, i genitori e i servizi e DVD “Il piacere di stare insieme”).
Le esperienze sul territorio
Il lavoro con e per gli adolescenti ha avuto in questi ultimi 25 anni una crescita notevole sia in termini di attività che di
esperienza e qualificazione del personale che ha programmato e curato i progetti attivati. Nei primi anni ’90 gli
operatori della Comunità Montana e della allora USSL hanno partecipato ad una sperimentazione sul rapporto adulti e
adolescenti della durata di 3 anni promosso dal Ministero dell’Interno su tutto il territorio nazionale.
Gruppi di genitori e operatori: da allora sono nati i gruppi:”Parliamone”, come sviluppo degli incontri con i genitori dei
ragazzi delle 2° e 3° medie di Bibiana, che prevedevano incontri di restituzione ai genitori dei ragazzi coinvolti nel
progetto, è nato un gruppo di confronto tra genitori con la partecipazione di conduttori ASL. La difficoltà è riuscire a
mantenere nel tempo l’impegno e l’assunzione di un ruolo pubblico come riferimento per altri genitori in difficoltà
Il centro Famiglia: nel centro delle bambine, dei bambini e delle famiglie si sviluppano diverse attività volte a sostenere
e valorizzare il ruolo genitoriale e le opportunità di crescita ai minori dai 6 ai 17 anni (spazio gioco incontro, serate
tematiche con differenti esperti, incontri in luogo neutro, feste di compleanno, pre e post scuola, alfabetizzazione).
Anche presso l'asilo nido di Torre Pellice si propongono incontri e momenti di gioco insieme.
Il Consultorio Adolescenza: questa attività nelle scuole permette di scoprire dei pre-adolescenti ricchi di idee e molto
curiosi. Diventa quindi importante per genitori, insegnanti ed operatori sociali avere voglia di ascoltare lasciando loro la
possibilità di esprimersi in libertà attraverso tanti linguaggi e il lavoro di gruppo.
Dalle interviste
Milena Vinçon ed Elisa Biglieri (educatrici). Sia nel lavoro in classe, in ludoteca o in consultorio, gli
adolescenti dimostrano la voglia di conoscere il mondo e la società, esprimendosi però con i loro linguaggi e
modalità attraverso i quali si distinguono dal mondo degli adulti. A noi sembra che il tempo dedicato alle
attività per i giovani e per gli adulti, manchi un po’ dappertutto: a scuola e a casa, anche in quelle poche ore di
consultorio. I ragazzi crescono e hanno bisogno di confrontarsi non solo con i coetanei ma anche con gli adulti
per diventare i futuri cittadini.
Ma c’è troppo poco tempo per confrontarci un po' più in profondità tra di noi sui problemi, sulle esigenze che
emergono da tutte le persone coinvolte. A volte si ha la percezione che i servizi vengano utilizzati come il
“parcheggio” per i ragazzi e non come un'opportunità di crescita, e i gruppi di adulti hanno difficoltà a lavorare
in rete con continuità, c'è poca comunicazione fra la scuola, la famiglia e i servizi. Spesso ci interroghiamo su
queste contraddizioni perché ognuno lavora autonomamente, è difficile rendere “protagonisti” i genitori,è
difficile costruire una sinergia, un confronto se non nell'emergenza.
Bibliografia
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