Energia eolica e sviluppo locale

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Energia eolica e sviluppo locale
Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A. Sviluppa attività di ricerca nel settore elettro-energetico, con particolare riferimento ai progetti strategici nazionali, di interesse pubblico generale, finanziati con il Fondo per la Ricerca di Sistema. Le attività dell’azienda
coprono l´intera filiera elettro-energetica in un´ottica essenzialmente applicativa e sperimentale. RSE S.p.A. è partecipata totalmente da capitale pubblico: socio unico GSE
S.p.A.
Analisi e Ricerche Territoriali – ART S.r.l. È impegnata in attività di analisi e di ricerca
socio-economica e territoriale con un’attenzione particolare alle tematiche dell’animazione
sociale e dello sviluppo locale.
Energia eolica e sviluppo locale
Se c’è un’immagine che, meglio di altre, connota la grande transizione dell’economia e
della società dei paesi avanzati questa è certamente la pala di un generatore a vento. Simbolo e paradigma della green economy, dell’affermarsi di una via “alta” dello sviluppo che
sappia incorporare e valorizzare una crescita sostenibile e compatibile con le risorse finite
del pianeta, la turbina eolica prefigura una ridefinizione dei rapporti che collegano l’uomo con l’ambiente, il paesaggio, le fonti di energia, la società, l’economia, il consumo, la
cultura. L’eolico e, più in generale, le energie rinnovabili si stanno sviluppando in Italia,
diffondendosi sui territori locali a ritmi inimmaginabili solo 10 anni fa, nonostante fattori
che incidono negativamente come le farraginosità degli iter autorizzativi o l’inadeguato
sviluppo della rete elettrica. Ma, l’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità
locali che vivono nei territori dove tali impianti vengono realizzati. Pertanto, ragionare sul
tema dell’impatto sociale, dell’accettabilità culturale rispetto alla realizzazione di questi
impianti di produzione energetica, significa misurarsi con l’insieme delle problematiche e
delle opportunità connesse ai temi dello sviluppo locale in contesti socio-economici che
molto spesso sono rimasti ai margini del processo di civilizzazione industriale del Novecento e che finora hanno subito i processi di modernizzazione.
Energia
eolica
e
sviluppo
locale
Territori, green economy e processi partecipativi
COP Rapporto RSE_def.indd B
01/07/2011 20.49.42
Energia eolica e sviluppo locale
Territori, green economy e processi partecipativi
ART srl – Analisi e Ricerche Territoriali
Roma & Modena
Realizzato per conto
di Ricerca Sistema Energetico - RSE SpA
Analisi & Ricerche Territoriali srl
Progetto grafico e impaginazione: Fralerighe, Tivoli
© Copyright 2011 Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A.
Finito di stampare nel mese di giugno 2011
La riproduzione e/o diffusione parziale o totale dei contenuti del presente volume è consentita esclusivamente
con la citazione completa “Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A., Energia eolica e sviluppo locale”.
Sommario
INTRODUZIONE
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1. LO SCENARIO GENERALE
2. LA PRODUZIONE DI ENERGIA EOLICA IN ITALIA
3. LA PRODUZIONE DI SISTEMI EOLICI IN ITALIA
4. IL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE
4.1 La prima fase (1988-1997)
4.2 La seconda fase (1998-2002)
4.3 La terza fase (2003-presente)
5. IL RUOLO DEL SISTEMA FINANZIARIO
6. GLI ELEMENTI DI CRITICITÀ
6.1 Le difficoltà tecniche
6.2 Procedure amministrative
6.3 La carenza di una informazione corretta
7. IMPATTO AMBIENTALE E PAESAGGISTICO
7.1 Impatto visivo
7.2 Impatto su flora, fauna e avifauna
7.3 Impatto acustico ed elettromagnetico
7.4 Criteri per una corretta progettazione delle centrali eoliche
8. RICADUTE TERRITORIALI E BUONE PRATICHE
8.1 Piccole e grandi royalties
8.2. Alcune esperienze del rapporto tra grande eolico e territorio
9. APRIRE UNA SECONDA FASE: RINNOVABILI E SVILUPPO LOCALE
9.1 Rinnovabili e sviluppo locale
9.2 Rinnovabili e agricoltura
9.3 Rinnovabili e aggregazioni territoriali
9.4 Rinnovabili, multiutilities e smart grid
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TESTIMONI PRIVILEGIATI
BIBLIOGRAFIA
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Introduzione
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e c’è un’immagine che, meglio di altre, connota la grande transizione dell’economia e
della società dei paesi avanzati questa è certamente la pala di un generatore a vento.
Simbolo e paradigma della green economy, dell’affermarsi di una via “alta” dello sviluppo
che sappia incorporare e valorizzare una crescita sostenibile e compatibile con le risorse finite del pianeta, la turbina eolica prefigura una ridefinizione dei rapporti che collegano l’uomo
con l’ambiente, il paesaggio, le fonti di energia, la società, l’economia, il consumo, la cultura.
Se il grande impianto di produzione energetica a combustibili fossili con le sue ciminiere
fumanti, localizzato in prossimità dell’area urbana ed industriale, costituisce una delle icone
del ‘900, negli ultimi anni si sono affermati - grazie allo sviluppo tecnologico, alla crescente
consapevolezza dei problemi connessi con i cambiamenti climatici in atto, al diffondersi di
processi e di dinamiche di cittadinanza attiva etc. - modelli di produzione energetica sostenibili e connessi all’utilizzo di fonti rinnovabili.
Un aspetto rilevante per un paese come l’Italia caratterizzato da forti squilibri socioeconomici territoriali, proprio perché “modulabili”, gli impianti ad energie rinnovabili - ed in
particolare quelli che utilizzano la risorsa anemologica - possono essere localizzati ovunque,
anche in siti montani lungo il crinale appenninico, ovvero in quelle aree interne del sistemapaese che sono rimaste ai margini del processo di civilizzazione industriale e che hanno
subìto, più che vissuto, i processi di modernizzazione.
Pertanto, ragionare sul tema dell’impatto sociale, dell’accettabilità culturale rispetto alla
realizzazione di questi impianti di produzione energetica, significa misurarsi con l’insieme
delle problematiche e delle opportunità connesse ai temi dello sviluppo locale in aree difficili, in contesti socio-economici in deficit di sviluppo.
Noi abbiamo delle zone interne che sono abbandonate o in via di abbandono: allora l’eolico e le
altre energie rinnovabili potrebbero essere un’opportunità di ripresa. Energie rinnovabili, agricoltura di qualità, turismo rurale, un po’ di manifatturiero leggero e servizi, potrebbero benissimo essere queste le basi economiche di una ripresa di queste aree più interne dell’Appennino
(Paolo Berdini, Università di Roma Tor Vergata).
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Non che la soft economy non sia già presente in questi luoghi, tutt’altro. Le produzioni
agroalimentari identitarie, il turismo outdoor, il neo-borghigianesimo connesso al recupero
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di cascinali, casali, borghi e centri storici, la risalita “a salmone” delle piccole imprese, la
“parchizzazione” del territorio, sono alcuni (e forse i principali) indicatori del processo di terziarizzazione e di globalizzazione anche di queste economie territoriali marginali. È casomai
il mix tra queste nuove e diverse funzioni territoriali, i collegamenti che si vengono (o che si
potrebbero) stabilire tra produzioni tipiche, servizi identitari, qualità del sistema territoriale,
e flussi della modernità a determinare il diverso grado di accettabilità socio-culturale di impianti eolici sul territorio.
* * *
L’eolico e, più in generale, le energie rinnovabili si stanno sviluppando in Italia, diffondendosi sui territori locali a ritmi inimmaginabili solo 10 anni fa, nonostante fattori che
incidono negativamente come:
• le difficoltà tecniche dovute alla complessità orografica del territorio italiano ed in particolare alla scarsa accessibilità delle aree interne dell’Appennino centro-meridionale dotate
di un buon regime anemologico;
• l’inadeguato potenziamento e sviluppo della rete elettrica;
• le difficoltà sia da parte del governo centrale che delle singole regioni – in presenza del
processo di liberalizzazione del mercato energetico e del trasferimento dei poteri di programmazione energetica e di approvazione dei progetti alle regioni - ad arrivare a definire regole
certe e omogenee, con una conseguente complessità e farraginosità degli iter autorizzativi;
• la carenza di una informazione corretta rispetto all’energia eolica e, più in generale, alle
fonti rinnovabili, sia da parte delle pubbliche amministrazioni che dei mezzi di comunicazione.
Attualmente, sono circa 6 mila gli aerogeneratori installati in Italia, mentre i Comuni, che
hanno centrali eoliche nel loro territorio a inizio del 2011 sono 374 (erano 118 nel 2006), per
una potenza installata pari a 5.758 MW (610 MW in più rispetto al 2009). Gli impianti eolici,
che per anni si sono concentrati soprattutto nell’Appennino meridionale, tra Puglia, Campania
e Basilicata, e in Sicilia e Sardegna, si stanno diffondendo anche in aree del Centro-Nord.
Nel 2010, gli impianti eolici hanno permesso di produrre 8.374 GWh di energia pulita,
pari ai fabbisogni elettrici di oltre 3,5 milioni famiglie (Legambiente, 2011:5-6). Impianti di
grande taglia sono presenti in 260 dei 374 Comuni dell’eolico, mentre sono 123 i Comuni che
possiedono nel proprio territorio impianti minieolici, installazioni con potenza inferiore ai
200 kW, per una potenza complessiva di 4,2 MW.
I 5.758 MW eolici installati sono divisi tra 220 “Piccoli Comuni” con 3.940 MW di potenza
installata e 145 con più di 5.000 abitanti e una potenza di circa 1.817 MW. In una logica di
sviluppo locale, sempre maggiore attenzione dovrà essere dedicata dagli amministratori locali
all’integrazione tra più fonti sul territorio, come già succede in molti Comuni per ottimizzare
le caratteristiche del territorio e dare spazio adeguato, oltre all’eolico e al fotovoltaico, anche
alle biomasse e in generale alle agro-energie. Secondo Legambiente (2011), oggi sono 7.661 i
Comuni in Italia dove è installato almeno un impianto di fonte energetica rinnovabile. Erano
6.993 nel 2010, 5.580 nel 2009, 3.190 nel 2008. In pratica le fonti pulite che fino a 10 anni
fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le aree più interne, e comunque una
porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nell’94% dei Comuni. Sono 7.273 i
Comuni del solare, 374 quelli dell’eolico, 946 quelli del mini idroelettrico, 290 i comuni della
geotermia e 1.033 quelli che utilizzano biomasse e biogas. In particolare, escludendo i grandi
impianti idroelettrici, sono 964 (circa il 12%) i Comuni 100% rinnovabili, cioè che grazie ad
una sola fonte rinnovabile (mini-idroelettrica, eolica, fotovoltaica, da biomasse o geotermi-
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Introduzione
ca) producono più energia elettrica di quanta ne consumano, mentre sono 274 i Comuni che
grazie a impianti di teleriscaldamento collegati a impianti biomassa o da geotermia superano
il proprio fabbisogno, e 27 quelli che superano sia il fabbisogno elettrico che termico.
* * *
L’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali
pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità locali che vivono nei territori dove
si collocano gli impianti. Sentendo propria la “risorsa vento”, come un bene comune del territorio, appare più che legittima l’attesa delle popolazioni locali che iniziative a carattere
economico apportino vantaggi tangibili là dove la risorsa viene sfruttata. Se l’ostilità delle
popolazioni locali alla localizzazione di parchi eolici nel loro territorio sta cominciando a
condizionare lo sviluppo di questi impianti energetici da fonte rinnovabile, spesso questa
ostilità non è motivata soltanto sulla base di percezioni e valutazioni negative in termini di
un temuto impatto paesaggistico e/o ambientale, ma anche (e soprattutto) sulla convinzione
che il valore aggiunto della produzione degli impianti realizzati con i benefici dell’incentivazione pubblica esce quasi totalmente dal circuito locale di produzione e di distribuzione della
ricchezza. Assai diffusa, infatti, è la percezione che ci siano “tanti interessi che passano sopra
le teste degli amministratori locali e dei cittadini” e che alla fine “chi fa gli affari sono solo i
gestori dei parchi eolici e le banche che li finanziano”.
Da un punto di vista dell’analisi territoriale, sulla base delle conoscenze in essere si
possono riconoscere tre diversi atteggiamenti in relazione al tema della valutazione delle
ricadute degli impianti eolici sulle comunità locali:
• di resistenza difensiva al cambiamento, che si esprime in quelle aree dell’”osso” appenninico meridionale che subiscono, più che vivere in maniera attiva e da protagoniste, i processi di modernizzazione dell’economia e della società: luoghi oggi interessati da processi di
invecchiamento, spopolamento, perdita di identità, ed al contempo dalla presenza di nuova
residenzialità immigrata di origine straniera che pone sotto minaccia la tenuta della comunità locale. Sono i luoghi dove è prevalente il “rancore” verso chi e verso ciò che determina
discontinuità e innovazione;
• di apertura, come risultato del processo di interconnessione di queste aree con i centri
capoluogo e/o di fondovalle, le aree distrettuali, le nuovi cattedrali del consumo costituite
da centri commerciali, outlet, centri residenziali, cinema multisala, stazioni di servizio, etc.
Qui, meglio che altrove, si evidenzia una capacità di comprendere le potenzialità economiche, culturali, socio-professionali ed imprenditoriali che possono scaturire a livello locale
dalla realizzazioni di impianti eolici. Di fatto, vi è una maggiore consapevolezza della questione energetica;
• di sospensione, sono le aree che necessitano, a differenza delle prime due, di un intenso
e specifico progetto di accompagnamento delle comunità locali. Sono quei luoghi che meglio
di altri, hanno avuto la capacità di mettere a valore la propria distintività in termini di turismo ambientale, di ricerca di eccellenze gastronomiche ed agroalimentari, di specificità territoriali e che di conseguenza possono mettere meglio a valore anche una distintività legata
ai temi delle energie rinnovabili, della qualità ambientale e del green marketing nella promozione del territorio e dei suoi prodotti/servizi, come leva per sfruttare nuove opportunità
di crescita e per rinforzare la posizione competitiva del tessuto imprenditoriale territoriale.
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Energia eolica e sviluppo locale
Il settore eolico si è andato costruendo nel tempo, anche con accelerazioni e contraddizioni locali, per cui ci sono molti impianti realizzati senza alcun confronto con il territorio,
ce ne sono altri in cui invece gli imprenditori hanno avuto in effetti qualche attenzione, ma
il tutto è avvenuto in modo assolutamente casuale, non essendoci stata mai una regola o
premialità rispetto al ruolo di interlocuzione con il territorio.
In questi anni, le principali ricadute in termini di benefici per i territori locali sono state
le seguenti:
• il ricorso, non sempre garantito, a imprese e a manodopera locale per la realizzazione
delle parti più convenzionali dell’impianto (tipicamente le opere civili: movimento terra,
scavi e sbancamenti, realizzazione di strade, fondazioni e piazzole, etc.), per la manutenzione ordinaria e la sorveglianza;
• qualche realizzazione infrastrutturale, generalmente legata al miglioramento della viabilità;
• i fitti dei terreni interessati dalle installazioni (anche se sovente il soggetto realizzatore acquista, perché altrimenti non riesce a concludere le operazioni di project leasing o di
project financing);
• qualche forma di partecipazione marginale da parte degli enti locali ai ricavi prodotti
(con variazioni dall’1,5% al 5%).
Più analiticamente, dal punto di vista dell’impatto economico, un impianto eolico è in
grado di offrire alle casse dei Comuni, spesso piccoli e con bilanci esigui, un gettito annuo di
alcune centinaia di migliaia di euro (utile sulla produzione, corrispettivo di potenza, canoni
di affitto terreni). Oggi, i comuni dell’eolico in Italia sono 374 e nei casi più virtuosi questo
introito viene generalmente utilizzato per interventi di compensazione ambientale, di miglioramento della qualità dei servizi, per realizzare infrastrutture ambientali.
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Negli ultimi 15 anni sono state condotte esperienze importanti da parte di alcune realtà
territoriali che hanno compreso la necessità di un protagonismo locale per rendere l’eolico
una opportunità di sviluppo e valorizzazione del territorio. Le situazioni di maggiore successo
- dove cioè si registra un alto grado di accettabilità e protagonismo sociale da parte della popolazione e del territorio locale verso l’eolico e le altre rinnovabili - sono quelli in cui gli enti
locali (Comuni, Comunità Montane e Province) hanno svolto un ruolo come co-proponente o
comunque un ruolo molto attivo. Pertanto, la possibilità che lo sviluppo dell’eolico avvenga
in maniera equilibrata e condivisa sembra passare attraverso un forte e convinto coinvolgimento da parte della pubblica amministrazione e, soprattutto, dei Comuni, cioè del livello
istituzionale più vicino ai problemi, alle attese e alle domande dei cittadini.
In tal senso, lungi dal viziare la concorrenza nel settore energetico, si evidenzia come
l’ente locale può avere un ruolo fondamentale di regolamentazione, di funzione esemplare
verso la cittadinanza e gli attori che insistono sul territorio, di guida e stimolo della filiera
locale delle rinnovabili. Per questo l’ANCI ha sottolineato più volte al Governo la necessità di
introdurre tra le deroghe già previste all’applicazione di sanzioni in caso di mancato rispetto
del Patto di Stabilità anche quella inerente i diversi proventi e incentivi percepibili dagli enti
locali tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili ed efficientamento energetico.
Oggi, inoltre, non viene operata alcuna distinzione tra spese correnti e investimenti sostenuti dai Comuni: ai fini del patto di stabilità valgono allo stesso modo. Così, si penalizzano
i Comuni che investono, soffocando le potenzialità e le capacità degli enti locali.
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Introduzione
Purtroppo, in altri casi, i Comuni, sopraffatti da tagli e da vincoli, sono stati tentati di
utilizzare l’eolico e le altre fonti rinnovabili per “fare cassa” per pagare le spese correnti,
con molta attenzione agli incentivi e alle cosiddette royalties/ristori una tantum e poca al
risparmio in termini di consumo proprio e della collettività, spesso in balia di soggetti non
qualificati, correndo il rischio di “svendere il territorio”. Stretti tra svuotamento delle casse
comunali e mancanza di personale in grado di analizzare con la dovuta competenza le proposte, troppo spesso i sindaci, inseguendo il bisogno di nuovi introiti, non si trovano nelle
condizioni e con i giusti rapporti di forza per governare il fenomeno e chiedere sostanziali
modifiche e diversificazioni.
Certamente, l’eolico e le altre fonti di energia rinnovabili possono avere un impatto
positivo importante a livello economico per l’ente locale comunale, ma questo può essere
la risultante dell’integrazione di una molteplicità di fattori: il risparmio, i costi sociali e
ambientali, le entrate da investimenti diretti nella produzione energetica rinnovabile e da
servizi aggiuntivi, etc., e non il primo o l’unico obiettivo dell’ente locale. A livello di metodo,
il Comune dovrebbe innanzitutto conoscere le potenzialità e le opportunità energetiche del
proprio territorio, per poter utilizzare tutte le leve tutelandolo, migliorando la qualità dei
servizi e della vita dei propri cittadini. Ora, le Linee guida per l’autorizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili1 hanno regolamentato la materia, prevedendo la possibilità
di misure compensative adeguate, sebbene non monetarie, dirette ad attivare investimenti
coerenti con gli interventi sostenuti sul territorio stesso.
* * *
Queste misure mirano a stimolare la pratica virtuosa nel considerare in modo integrato
la comunità e il territorio, con i suoi bisogni, i suoi consumi complessivi e le sue potenzialità complessive in termini energetici, focalizzando sulla concomitanza di produzione ed
incremento dell’efficienza energetica, stressando la componente di risparmio, e valorizzando
al massimo la distribuzione e l’autonomia energetica, a partire dal patrimonio immobiliare
pubblico. Molto deve e potrà essere fatto in questa direzione da parte degli enti locali nel
prossimo futuro.
Altre questioni aperte sono ancora:
• la possibilità di andare oltre al modello dei grandi impianti industriali, attraverso una
diffusione anche di micro e mini impianti, più facilmente integrabili nel paesaggio, nelle
aree agricole estensive e anche negli insediamenti artigianali/industriali, arrivando così a
sviluppare un modello energetico innovativo, che in parte utilizza/consuma direttamente sul
posto l’energia prodotta e in parte la interscambia in rete (riducendo la necessità di grandi
reti di distribuzione);
• la possibilità di collegare in modo sinergico lo sviluppo dell’eolico e delle altre fonti
rinnovabili con le dinamiche di sviluppo locale dei territori, nell’ipotesi che l’accettabilità
sociale di questi impianti dipenda dalla capacità che hanno di integrarsi con le specificità,
le vocazioni e i settori produttivi territoriali. Ragionare in modo integrato può consentire
di andare nella direzione dello sviluppo locale, ovvero di considerare il territorio come un
patrimonio energetico di aria, acqua, suolo, culture produttive, agricolture, cioè di tutti gli
aspetti che connotano un modello integrato di sviluppo locale, inserendo all’interno un driver energetico. Risulta, dunque, evidente che poiché gli impianti eolici si possono realizzare
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Approvate con Decreto 10 settembre 2010 del Ministero dello Sviluppo Economico.
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Energia eolica e sviluppo locale
laddove il vento soffia davvero, che non è ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta
nel concorrere insieme alle altre fonti rinnovabili in un processo di riconversione energetica
e non nel rappresentare, da sola, l’alternativa al petrolio;
• la possibilità che nascano modalità di coordinamento tra gli enti locali di “ambiti ottimali” (ad esempio, sul modello dei Consorzi dei Bacini Imbriferi Montani) come modalità per
programmare e fare massa critica;
• la possibilità che nascano nuove multiutilities locali (a capitale misto pubblico-privato,
anche con un azionariato diffuso tra i cittadini), attori della governance in grado di contribuire alla modernizzazione della rete elettrica nazionale attraverso la costruzione e gestione di
smart grids (reti/apparati intelligenti capaci di bilanciare e ridistribuire i flussi di produzione
delle diverse fonti) e di servizi di accumulo dell’energia elettrica prodotta e non immettibile
in rete, cioè di infrastrutture e modalità di gestione “attive”, intelligenti e customer centric,
sviluppate tenendo conto dell’energy modeling di ciascun territorio (cioè aderenti alle peculiarità del mix energetico territoriale e in grado di ottimizzare il rapporto tra la capacità
produttiva e la capacità di consumo), e adeguate al nuovo scenario caratterizzato da un’ampia diffusione degli impianti a fonti rinnovabili tipicamente caratterizzati da discontinuità
produttiva (poco programmabile, ancorché prevedibile in una certa misura), piccole taglie,
carichi modesti e localizzazioni decentrate.
* * *
La ricerca è stata coordinata per conto di RSE SpA dalla Dottoressa Cristina Cavicchioli
di RSE SpA ed è stata realizzata da ART Srl nel periodo compreso tra ottobre 2010 e febbraio
2011. In questo lasso temporale sono state realizzate:
• 25 interviste semistrutturate a testimoni privilegiati;
• 1 focus group territoriale con testimoni privilegiati;
• 1 focus group nazionale con testimoni privilegiati;
Il rapporto è stato scritto da Alessandro Scassellati, che insieme a GianMario Folini, ha
anche realizzato le interviste e condotto i focus group.
La ricerca è stata coordinata per conto di RSE SpA dalla Dottoressa Cristina Cavicchioli
di RSE SpA e finanziata dal Fondo di Ricerca per il Sistema Elettrico nell’ambito dell’Accordo
di Programma tra ERSE (ora RSE SpA) ed il Ministero dello Sviluppo Economico - D.G.E.R.M.
stipulato in data 29 luglio 2009 in ottemperanza del DM, 19 marzo 2009.
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1. Lo scenario generale
Lo sviluppo delle energie rinnovabili è una delle sfide più importanti che abbiamo di
fronte. La qualità dell’aria, la salute delle persone e i segnali di cambiamenti climatici in atto
sono, infatti, strettamente legati al modello di produzione energetica e di sviluppo economico attualmente incentrato sull’utilizzo dei combustibili fossili. Pertanto, per affrontare i
cambiamenti climatici occorre perseguire una strategia capace di porsi un insieme di obiettivi
nel breve e nel medio termine:
• un aumento dell’efficienza energetica in tutti i settori della domanda, nonché nella
generazione, nella distribuzione e nella trasmissione di energia elettrica;
• un progressivo passaggio a combustibili a più basso contenuto di carbonio;
• una forte crescita dell’utilizzo delle fonti rinnovabili.
A questo proposito, un passo fondamentale è stato compiuto dalla Commissione Europea che, con la direttiva n. 28 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ha
indicato ai paesi membri un obiettivo al 2020 per la quota di energia da fonti rinnovabili sul
consumo energetico finale lordo; tale obiettivo per l’Italia è fissato al 17%. Coerentemente
a quanto previsto dell’art. 4 della Direttiva, il 31 luglio 2010 lo Stato Italiano ha presentato
alla Commissione europea il Piano Azione Nazionale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili
(PAN1), in cui si definiscono gli obiettivi e le misure per contenere i consumi finali e sviluppare fonti rinnovabili, nonché le traiettorie per assicurare il raggiungimento degli impegni
al 2020.
Storicamente in Italia l’asse portante dello sviluppo delle fonti rinnovabili è il settore
della produzione elettrica e, infatti, il PAN prevede al 2020 uno sviluppo della produzione
elettrica da fonti rinnovabili sino a 8,5 Mtep (98,9 TWh), con un significativo sviluppo delle
seguenti fonti:
• eolico - con l’obiettivo di quasi decuplicare la produzione rispetto al 2005;
• solare - con l’obiettivo di arrivare a 366 volte la produzione del 2005;
• biomasse - con l’obiettivo di quasi quintuplicare la produzione rispetto al 2005.
Guardando anche oltre il PAN, la sfida dei prossimi due decenni è quella di strutturare
l’attuale sistema energetico, facendo sì che l’eolico, insieme alle altre fonti rinnovabili, possa
contribuire alla copertura dei crescenti consumi del nostro paese. Ciò dovrebbe portare entro
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http://ec.europa.eu/energy/renewables/transparency_platform/action_plan_en.htm
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Energia eolica e sviluppo locale
la metà del secolo ad una riconversione economica e tecnologica fondata sull’utilizzo delle
fonti energetiche rinnovabili.
Le fonti rinnovabili, considerate marginali fino a poco tempo fa, stanno crescendo a ritmi imprevedibili e i loro costi si stanno rapidamente riducendo. L’elettricità producibile dagli impianti
eolici e solari installati nel mondo tra il 2005 e il 2010 è tre volte maggiore rispetto a quella dei
reattori nucleari entrati in servizio negli stessi anni. La metà della potenza elettrica installata
in Europa lo scorso decennio è rinnovabile. E l’accelerazione della crescita è formidabile. La
potenza fotovoltaica globale installata nel 2010 è ad esempio, aumentata del 120% rispetto
all’anno prima (Silvestrini, 2011).
D’altra parte, oggi l’Italia è importatrice di energia elettrica per oltre il 13% del proprio
fabbisogno e per oltre l’80% delle materie prime (gas, metano, carbone,…) per la produzione
di energia elettrica (nel 2010 il costo pagato dall’Italia per importare energia ha raggiunto il
primato di 51,7 miliardi di euro e per l’Unione Petrolifera il 2011 sarà peggio: 60,4 miliardi),
pertanto l’apporto crescente in termini di produzione dell’eolico e delle altre fonti rinnovabili
può aiutare la diminuzione di questo deficit che, a livello mondiale, è tra i più elevati. Un
ricorso deciso alle fonti rinnovabili può consentire di:
• ridurre le emissioni inquinanti;
• aumentare la scurezza energetica;
• ridurre la dipendenza dall’estero;
• avere una minore fluttuazione dei prezzi;
• ridurre il rischio geopolitico;
• migliorare la bilancia commerciale del nostro Paese;
• sviluppare occupazione e innovazione tecnologica.
Le fonti rinnovabili di energia sono quelle fonti che, a differenza dei combustibili fossili
e nucleari destinati ad esaurirsi in un tempo definito, possono essere considerate inesauribili.
La direttiva 2009/28/CE definisce quale è il beneficio generale degli impianti da fonti rinnovabili. Su una scala di medio termine il fatto di produrre il 40% in punte da fotovoltaico ed
eolico, a parità di consumi, fa sì che non lo si produce con carbone, gas o metano. Questo è un
elemento di fondo che va preso i considerazione. Al di là di due altri elementi di fondo: il contributo ai cambianti climatici e quello alla sicurezza degli approvvigionamenti, perché quando
ho l’85% del mio sistema elettrico che va a metano o carbone e poi c’è uno shock petrolifero
in qualche parte del mondo, se sono la Norvegia che fa il 75% con l’idroelettrico, me ne sbatto,
per usare una espressione un po’ volgare, quando invece sono legato ad un approvvigionamento
estero diventa complicato perché soffro di una fluttuazione delle commodity energetiche che va
ad impattare su tutta la produzione. Oggi, la Spagna, che ha spinto molto più di noi in questi
ultimi 3-4 anni su queste tecnologie, in alcuni momenti della giornata ha il 45-50% di produzione da fonti rinnovabili – che chiaramente non è il monte complessivo delle produzioni -, ma
in quel momento è alimentata da una fetta straordinaria di energia da vento, soprattutto, e in
parte da fotovoltaico (Mario Gamberale, Kyoto Club).
In pochi anni, il settore delle energie rinnovabili ha avuto un’esplosione. Nel 2011 sono
7.661 i Comuni con almeno un impianto installato – pari all’94% dei Comuni -, arrivando a
coprire il 22,1% del consumo lordo di energia elettrica (importazioni e pompaggi inclusi),
nel 2008 erano solo 3.190 (Legambiente, 2011). Nel triennio 2008-2010, il settore delle
rinnovabili ha registrato un trend altamente positivo: per l’eolico sono stati installati circa
3.100 MW, per il fotovoltaico circa 2.200 MW e per le biomasse circa 900 MW; considerato poi
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1. Lo scenario generale
il geotermico, l’idroelettrico e altre fonti minori di energia rinnovabile, si è assistito a una
crescita anticiclica che ha comportato l’installazione di circa 6.600 MW e investimenti per
oltre 15 miliardi euro, totalmente finanziati dal settore privato.
Come già ricordato, il PAN richiede che nei prossimi anni lo sviluppo dell’eolico e delle
altre fonti rinnovabili in Italia sia finalizzato al raggiungimento di obiettivi vincolanti e
sanzionati in sede europea, quantificati nel 17% di penetrazione sul consumo finale lordo di
energia e una riduzione del 13,5% delle emissioni rispetto al 2005. Questi obiettivi impongono alle amministrazioni – Stato centrale e Regioni – di definire delle strategie puntuali di
diffusione e sviluppo delle rinnovabili, altrimenti si dovranno pagare delle pesanti sanzioni.
A tal fine, la legge n. 13 del 27 febbraio 2009, all’art. 8-bis, dispone che gli obiettivi nazionali siano ripartiti a livello regionale. I decreti relativi dovranno tener conto dei seguenti
aspetti:
• della definizione dei potenziali regionali tenendo conto dell’attuale livello di produzione
delle fonti rinnovabili;
• dell’introduzione di obiettivi intermedi al 2012, 2014, 2016 e 2018 calcolati coerentemente con gli obiettivi intermedi nazionali concordati a livello comunitario;
• della determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo ai
sensi dell’articolo 120 della Costituzione nei casi di inadempienza delle Regioni per il raggiungimento degli obiettivi individuati.
Da quanto sopra esposto, si evince come il processo che porterà all’individuazione degli
obiettivi da assegnare alle singole Regioni (detto Burden Sharing) dovrà tener conto di diverse esigenze, tra le quali alcune di carattere non strettamente tecnico.
Il 17% si applica al consumo interno lordo generale e può essere raggiunto con la somma
di rinnovabili elettriche e termiche e/o con interventi di risparmio energetico.2 Per raggiungere l’obiettivo del 17% sarà necessario raggiungere quasi il 30% di penetrazione delle rinnovabili elettriche sui consumi elettrici, in sostanza occorrerà raddoppiare la parte elettrica
della produzione di energia da fonte rinnovabile. Si tratta di un obiettivo raggiungibile, ma
molto ambizioso,3 anche perché le fonti idroelettrica, geotermica e marina (maree e moto
ondoso) potranno contribuire in minima parte all’incremento della produzione da fonti rinnovabili: per esse il PAN prevede al 2012 una produzione totale sostanzialmente equivalente a
quella rilevata nel 2005 (circa 49 TWh).
Pertanto, le uniche tre fonti rinnovabili che possono registrare un incremento sostanziale della produzione di elettricità sono: biomasse o biocombustibili in genere, solare ed
eolico. Incrementi di produzione elettrica si potranno certamente ottenere con l’utilizzo
delle biomasse, ad esempio, attraverso un migliore utilizzo della produzione forestale e degli
scarti delle produzioni agricole, ma incrementi significativi si potranno avere solo attraverso
2
Oggi, la quota delle rinnovabili sul mix elettrico è pari circa al 22% e secondo il Piano Nazionale dovrà arrivare al 28,97%
per poter raggiungere l’obiettivo del 17% di penetrazione delle rinnovabili sul consumo finale lordo di energia. L’eolico può
contribuire per una percentuale del 25%. Al recente Decreto Legislativo di recepimento della direttiva 2009/28/CE viene riconosciuto il merito di incentivare fonti rinnovabili fino ad oggi meno promosse, quali la generazione termica e gli interventi in
favore dell’efficienza energetica per l’edilizia. La direttiva ha definito una via e l’Italia la sta recependo, mettendo una tariffa
per il calore ceduto da rinnovabili a terzi, per cui solare termico, geotermia, biomasse, biocarburanti in cogenerazione potranno
accedere a questo meccanismo. In più ci sono i titoli di efficienza energetica che sono in via di potenziamento. C’è, quindi, uno
quadro di sostegno, sia per l’energia termica prodotta da rinnovabili sia per l’efficientamento/risparmio energetico, anche se più
blando rispetto alla produzione di energia elettrica.
3
Anche se va considerato che l’impatto della crisi economica ha portato a ritarare i valori dei consumi energetici finali
italiani ed europei rispetto alle stime effettuate nel 2005. Secondo le nuove elaborazioni, nel 2020 – anche senza i nuovi interventi –, la domanda di energia si posizionerebbe al di sotto dei livelli del 2005. Il nuovo quadro rende quindi molto più agevole
l’ottenimento dei tre obiettivi sull’efficienza energetica, sulle rinnovabili e sulle emissioni climalteranti al 2020.
13
Energia eolica e sviluppo locale
rilevanti importazioni di biomasse.4 Quindi, eolico e solare sono sostanzialmente le fonti
rinnovabili che hanno il potenziale più importante, ma serviranno impianti di grande taglia
dell’una e dell’altra per poter raggiungere l’obiettivo del 17%, perché è un obiettivo di raddoppio in 9 anni di tutto quello che è stato fatto fino adesso, tenendo presente che la quota
attuale del fabbisogno energetico coperta dalla produzione di energia da fonte rinnovabile è
pari all’11% ed in gran parte è dovuta agli impianti idroelettrici che sono stati realizzati nella
prima metà del secolo scorso.5 Il potenziale tecnico stimato per l’eolico dal governo è intorno
ai 16 mila MW, quindi più o meno si dovrebbe quasi triplicare l’attuale patrimonio, con una
crescita annuale della potenza installata intorno ai mille MW, per passare dagli 8.500 GWh annui di produzione nel 2010 a 24.095 GWh nel 2020.6 Secondo l’Anev (Associazione Nazionale
Energia del Vento) il raggiungimento di tale obiettivo porterebbe con sé risultati importanti,
coprendo non solo il fabbisogno di energia elettrica di circa 12 milioni di famiglie, ma anche
migliorando la qualità dell’aria attraverso un risparmio di 23,4 milioni di tonnellate di CO2,
53.326 tonnellate di NOx, oltre 38 mila tonnellate di SO2 e circa 6 mila tonnellate di polveri
sottili.
4
La generazione elettrica da biomassa in impianti di grandi dimensioni si scontra con barriere non tecniche piuttosto serie
come l’assimilazione presso l’opinione pubblica di questi impianti ad inceneritori di rifiuti, l’indisponibilità di biomassa a buon
mercato, la competizione sul mercato del legno da parte dell’industria del mobile. Si pensi, ad esempio, che il 29 ottobre 2010 i
21 produttori italiani di semilavorati in legno hanno scioperato per due ore contro “le lobby dell’energia e le sovvenzioni pubbliche per le rinnovabili”, in particolare “contro gli incentivi per le centrali a biomassa che utilizzano il legno e fanno così schizzare i
prezzi della materia prima” (Di Vico, 2010). Più in generale, i biocombustibili e gli impianti a biomassa sono sotto accusa per gli
effetti che su scala internazionale provocano in termini di deforestazione e di aumento dei prezzi dei prodotti agricoli; aumenti
che sarebbero tali da ridurre alla fame le popolazioni più povere del pianeta.
5
Il contributo rispetto ai consumi elettrici complessivi delle diverse fonti rinnovabili vede nel 2010 l’idroelettrico al 15,1%,
l’eolico come le biomasse al 2,5%, la geotermia all’1,5%, il fotovoltaico allo 0,5%.
6
Analizzando i Piani nazionali per le rinnovabili degli Stati membri dell’UE emerge che l’eolico sarà la fonte su cui si punterà
di più: Germania in testa (a livello di valore assoluto) con una previsione al 2020 di oltre 100mila GW annui di produzione dal
vento (partendo da 44.780), seguita da Spagna e Gran Bretagna (che prevede di decuplicare l’offshore, passando da 1,4 a 13
GW), ognuna con 78 mila GWh/anno ciascuna e partendo rispettivamente da 40.978 e da 14.150.
14
2. La produzione
di energia eolica in Italia
Anche nel 2010 l’energia eolica istallata in Italia è cresciuta, raggiungendo 5.758 MW, ma,
per la prima volta, questa crescita è stata rallentata, registrando un 16%, a fronte di un trend
che si stava stabilizzando attorno al 30%7. Nel 2010, infatti, in Italia sono stati installati 948
MW di energia eolica, contro i 1.160 del 2009 e i 1.055 del 2008. L’Italia è terza in Europa,
dopo Germania e Spagna e sesta al mondo per capacità eolica installata.8
I 5.758 MW di eolico installato in Italia producono energia elettrica per quasi 8.500 GWh
all’anno, pari al fabbisogno di circa 3,5 milioni di famiglie evitando di immettere in atmosfera circa 5 milioni di tonnellate di CO2. La parte del leone – per ragioni naturali: c’è vento9
– la fanno il Sud e le isole che da sole detengono il 98% della potenza installata e dove la
maggior parte delle installazioni riguardano siti montani su crinale appenninico10. In Puglia
7
L’andamento della crescita del settore eolico ha avuto un carattere quasi esponenziale ed ha assunto risultati significativi
a partire dal 1996, anno in cui è stata realizzata la prima installazione di una centrale commerciale. Secondo l’Anev (l’associazione che rappresenta gli oltre 2 mila soggetti del comparto eolico), il rallentamento della crescita dell’eolico nel 2010 vede come
causa principale il crollo del 40% del valore dei certificati verdi (cioè dell’incentivo), avvenuto in questi anni ad un ritmo del
10% all’anno (a fine 2006 valeva 140 €/MWh, mentre a fine 2010 era a 80 €/MWh), scendendo nel 2010 sotto il livello minimo
necessario a consentire la remuneratività degli investimenti.
8
Secondo il Global Wind Energy Council, attualmente, con 194.400 MW di potenza installata (+35.800 MW, ovvero un +
22,5% di incremento rispetto all’installato 2009), è quella eolica la fonte energetica da fonti rinnovabili meglio piazzata nella
gara per sostituire i combustibili fossili. Il 2010 è stato l’anno del sorpasso degli Stati Uniti da parte della Cina che ha conquistato il primo posto assoluto per l’energia eolica installata, raggiungendo 42 mila MW, contro i 20 mila MW degli Stati Uniti. La
rincorsa della Cina è stata straordinaria, se si pensa che in 2 anni ha annullato il ritardo e scavalcato gli Stati Uniti. A fine 2009
la Cina era ancora ben distaccata, a soli 25 mila MW, mentre gli Stati Uniti svettavano a 35 mila. Dopo Cina e Stati Uniti viene
l’India seguita dalla Germania (27 mila MW) e dalla Spagna (20 mila MW). Nel 2010 Francia (5,7 mila MW) e Gran Bretagna (5,2
mila MW) hanno corso più dell’Italia.
9
I siti più interessanti ai fini energetici sono quelli soggetti a venti forti e costanti. Soprattutto per le zone centrosettentrionali, non esiste una direzione di provenienza del vento prevalente in quanto la direzione predominante del vento varia
da stazione a stazione anche quando queste sono poco distanti tra loro, oppure perché tutti gli otto settori si equivalgono.
L’Italia meridionale, invece, presenta una ventosità molto alta con direzioni predominanti piuttosto nette, a seconda che ci si
trovi nella fascia adriatica e ionica o nella fascia tirrenica. Di conseguenza, in Italia condizioni di elevata ventosità (dove si
hanno più di 2.000 ore utili alla produzione di energia eolica nell’arco di un anno), sono disponibili sulle creste dell’Appennino
centro-meridionale (soprattutto a cavallo tra le province di Campobasso, Foggia, Benevento, Avellino e Potenza) e sui rilievi
delle isole maggiori, Sicilia e Sardegna.
10 Questo anche se negli ultimi anni le turbine eoliche sono cresciute in dimensioni, potenza ed efficienza, anche con bassi
regimi di vento, e dunque oggi si potrebbe pensare di sfruttare anche le aree pianeggianti. La localizzazione in contesti montani
costituisce una rilevante peculiarità italiana rispetto ai paesi del Nord Europa, dove le applicazioni eoliche hanno interessato
aree in genere pianeggianti, peculiarità che ha fra l’altro, generato non poche ripercussioni sul versante dell’impatto paesaggistico. L’alterazione del paesaggio è data non solo dalla presenza di macchine che negli ultimi anni hanno raggiunto potenze di
2-3 MW con torri alte 90 metri, ma anche dalle strade di accesso che, se possono risultare comode agli agricoltori locali, rappresentano comunque una modificazione dei terreni. Nella valutazione complessiva degli impatti che tale tecnologia può provocare
sul paesaggio, bisogna tener conto dei diversi impatti provocati sull’ecosistema e sul suolo nelle diverse fasi di costruzione,
mantenimento e dismissione dell’impianto. Inoltre, spesso viene tralasciato l’aspetto della sua limitata occupazione temporale.
15
Energia eolica e sviluppo locale
(916 aerogeneratori), in Campania (809) e in Sicilia (977) si concentrava a fine 2009 il 64%
degli impianti eolici, anche se il tasso di crescita più interessante fra 2008 e 2009 è stato
quello della Calabria con un +131,8%.11 Significativi anche quelli di Molise (+45%),12 Sicilia
(44,5%), Puglia e Sardegna (entrambe +33,7%).
Le collocazioni delle centrali eoliche riguardano prevalentemente le zone interne dell’Appennino e del Sub-Appennino delle regioni centro-meridionali (vedi box), nonché quelle
insulari, ossia territori rimasti fino ad oggi ai margini dello sviluppo, quelle aree interne più
deboli e povere del Sud che nelle descrizioni di Manlio Rossi Doria (1948, 1968, 1982, 2003,
2005) degli anni ’40 e ’50 erano l’ “osso”, mentre la “polpa” erano quelle di pianura dove
era possibile ipotizzare una moderna agricoltura e attività industriali.13 Si tratta di territori
collinari e montani dove prevalgono i piccoli e piccolissimi comuni (sotto i 5 mila abitanti)
e un’economia ancora fortemente improntata alla ruralità. Aree interne povere dal punto di
vista del reddito e delle iniziative imprenditoriali, spesso spopolate e in declino demografico,
perché investite da un invecchiamento della popolazione, una riduzione dei nuclei familiari e
del saldo naturale della popolazione, e quindi in cui l’interesse naturalistico e paesaggistico
deve conciliarsi con le necessità di sviluppo socio-economico delle comunità locali. Soven-
Le torri del vento sono, infatti, strutture temporanee; le concessioni di uso del terreno sono spesso ventennali e gli operatori si
impegnano entro tale data al decomissionig dell’intera area, ed al suo completo ripristino nelle condizioni iniziali.
11
In Calabria sono stati presentati alla Regione progetti per impianti eolici per una potenza complessiva di oltre 30 mila
MW, cioè per il doppio della potenzialità nazionale, stimata da Anev in 16.200 MW.
12
A fine 2010, in Molise risultavano installati 373 aerogeneratori, altri 155 erano stati autorizzati, mentre in Regione c’erano domande in attesa di essere esaminate per altri 1.340 aerogeneratori. Secondo gli oppositori dell’eolico “selvaggio”, già oggi
il Molise sarebbe in grado di produrre fino al 72% del suo fabbisogno elettrico grazie all’eolico. Aggiungendo l’energia prodotta
da fotovoltaico, idroelettrico, biomasse si arriverebbe al 110%. Se questi numeri fossero veri, permetterebbero al Molise di essere una regione all’assoluta avanguardia in Europa. “Il Molise in questo è surreale. La Navarra rivendica che vuole raggiungere il
70% con l’eolico, il Molise forse lo ha anche raggiunto, ma lo tratta come fosse la peste. L’eolico si può guardare in modo positivo
se l’amministrazione regionale dice che è la nostra idea di futuro, di energia pulita per i nostri figli. In Italia, invece, si subisce e
questa è una grande differenza con il resto d’Europa” (Edoardo Zanchini, Legambiente).
13
L’economista agrario e sociologo Manlio Rossi Doria fu il primo a distinguere - limitatamente al settore agricolo, dove
le colture erano condizionate dalla fertilità del territorio sulla quale influiva l’altimetria - due diverse realtà socio-economiche
territoriali nel Mezzogiorno italiano: la “polpa” e l’”osso”. Per Rossi Doria, la “polpa” comprendeva il Sud “alberato” - diffuso
nella Terra di Bari, la Terra d’Otranto e la regione etnea della Sicilia - con agricoltura intensiva basata su colture ortive, vigne,
agrumeti, alberi da frutto e oliveti. L’”osso”, invece, comprendeva il sud “nudo”, dominato dal latifondo capitalistico/padronale
e contadino, terra di pascolo e di agricoltura estensiva di cereali che occupava circa il 90% della superficie coltivabile. Le condizioni di vita e le prospettive di sviluppo socio-economico nella prima area erano assai migliori rispetto a quelle della seconda
le cui possibilità di sviluppo apparivano assai diverse. Secondo Rossi Doria, nelle aree della “polpa” esisteva la possibilità di
un vero e proprio sviluppo interno che riposava su un razionale sfruttamento delle risorse e su una legislazione incentivante
presso l’imprenditoria locale volta all’affrancamento da un tipo di gestione ormai superato. Nelle aree dell’“osso”, invece, solo
interventi esterni (industrializzazione, turismo) avrebbero potuto dare il via a un progresso legato, però, alla diminuzione della
popolazione conseguenza della emigrazione. Tale impostazione - una volta estesa dal settore agricolo all’economia in generale
– ha anticipato le linee del futuro intervento programmatico nel Mezzogiorno, istituzionalizzando la divisione tra le due realtà
meridionali e consigliando una distribuzione eterogenea degli investimenti sul territorio. Di conseguenza, a partire dai primi
anni ’60 si è scelta la via di concentrare gli sforzi (attraverso il modello di sviluppo per poli agricoli, industriali ed urbani)
sulla “polpa”, lasciando all’”osso” la esclusiva risorsa dell’emigrazione per i più qualificati, un livello minimo di occupazione e
di sussistenza per gli emigrati potenziali, qualche miglioramento per i servizi e le infrastrutture nella lunga e difficile attesa di
convincere qualche imprenditore ad investire capitali in quelle zone in cambio di particolari agevolazioni. Queste politiche di
sviluppo territoriale hanno contribuito ad allargare il gap tra aree “polpa” e aree “osso”. In Campania, ad esempio, allo sviluppo
di parte della province di Napoli, Caserta e Salerno ha corrisposto il sottosviluppo di Avellino e Benevento e di larghe zone nelle
stesse province relativamente più avanzate; lo stesso fenomeno si è notato in Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia. Verso la fine
degli anni ’70, ad individuare a livello provinciale ciò che costituiva la “polpa” rispetto a tutto il resto del territorio meridionale
che restava “l’osso”, erano le carte del prodotto lordo e della densità della popolazione costruite dalla Cao Pinna (1979). La “polpa” era rappresentata dall’area che si sviluppa lungo le fasce costiere e pianeggianti delle Regioni meridionali (Caserta, Napoli e
Salerno nella pianura campana, Bari, Brindisi e Taranto nel Tavolato Pugliese, Siracusa, Catania, Messina e Reggio Calabria, nella
Sicilia ionica e nella contigua estremità meridionale della Calabria), corrispondente ad 11 delle 34 province del Sud, pari a circa
un terzo della superficie complessiva ed in cui viveva ben il 60% della popolazione (20 mln/ab.) con buoni tassi di sviluppo
economico. L’”osso” corrispondeva, invece, al Mezzogiorno interno, cioè in parte al sistema delle province delle fasce collinari
che fiancheggiano l’Appennino ed in cui vive un ulteriore 28% della popolazione del Sud (5,7 mln/ab.), ed in parte al sistema
delle province interne appenniniche (l’Aquila in Abruzzo, Campobasso ed Isernia nel Molise, Matera e Potenza in Basilicata, Enna
in Sicilia, Nuoro, Oristano e Sassari in Sardegna) in cui risiedeva il restante 12% della popolazione del Sud (2,3 mln/ab.) in una
condizione di forte arretratezza economica.
16
2. La produzione di energia eolica in Italia
te tali zone interne sono anche deficitarie nel bilancio di produzione e consumo di energia
elettrica, il che, insieme all’interesse per la costruzione di centrali eoliche localmente, dà
un’ulteriore spinta verso lo sviluppo di tale fonte. In qualche modo, la diffusione degli impianti di energia eolica è andata a incrociare una questione irrisolta del processo di sviluppo
socio-economico a livello territoriale in Italia.
Intorno all’eolico e alle energie rinnovabili molto è quello che è stato fatto in queste aree, in
questo nostro pezzo di Mezzogiorno d’Italia, molte sono state le attività messe in campo dai
Comuni in sinergia con le rinnovabili e molte sono le opportunità che si stanno creando. C’è
la necessità di spiegare anche al governo nazionale e alle Regioni il bisogno di avere una seria
politica industriale in materia di energia, per fare in modo che questa grossa opportunità
diventi nei fatti azione concreta per lo sviluppo dei territori e per creare delle opportunità per
i cittadini. Spesso si è dato alla pubblica opinione un’idea sbagliata di questa opportunità,
che rischia di far perdere soprattutto al Sud, l’ennesimo treno. Questa è una straordinaria
occasione, che non va persa, soprattutto per il Sud e per queste aree marginali. C’è un dato
significativo: se questi Comuni dell’Appennino Fortorino oggi sono in grado di mantenere i
servizi fondamentali di base, se non consegnano “le chiavi” per manifesto fallimento, probabilmente è anche grazie a queste forme economiche riferibili alla rinnovabili e alle opportunità che si mettono in campo. Se sul tetto della sede del Comune e della scuola, oggi abbiamo
un impianto fotovoltaico che consentirà non solo di produrre energia, ma di dare risorse alle
attività didattiche, è perché c’è stata una intuizione a monte. Se i ragazzi che vivono in
questo comune, come in altre comunità dei nostri territori, possono avere oggi un campo da
calcio vero e non un campo di patate è grazie alle fonti rinnovabili. Se i nostri centri storici
tornano ad avere lo splendore di un tempo, è perché le risorse arrivano da quelle energie.
Se possiamo immaginare la creazione di “alberghi diffusi”, di attività economiche legate al
Progetto “Borgo di Eolo”, alle vie del vento, è perché c’è questa opportunità. Allora, bisogna
dire al Governo nazionale e alle Regioni che non ci può essere una “pausa” su questo, non
ci può essere un momento di riflessione se non positivo e propositivo perché non possiamo
negare al Mezzogiorno questa grande opportunità. Non è vero come sostengono alcuni “soloni” che siamo alla fine, siamo soltanto all’inizio di questa splendida avventura, e solo una
minima parte della risorsa in campo è stata utilizzata. Noi stiamo pensando ad un progetto
di filiera per realizzare nei nostri territori la produzione delle torri per gli aerogeneratori. Si
sta facendo un ragionamento sulla ricerca, vi è un rapporto con l’Università, c’è tutto un
mondo che si muove nelle istituzioni locali di questo pezzo di Puglia, Campania e Basilicata
che intorno alle rinnovabili costruisce un’opportunità. E posso dire anche un progetto pilota
da consegnare al Paese, perché qui stanno veramente nascendo delle esperienze significative,
concrete, che ci permetteranno di poter dare una parola di speranza alle nostre future generazioni (Virgilio Caivano, Piccoli Centri Europei).
Il Sud e le isole continuano ad attrarre investimenti, nonostante lentezze legislative e ritardi
delle burocrazie regionali che rischiano di allontanare l’Italia dall’obiettivo di 16 mila MW
al 2020 indicato nel piano di azione nazionale inviato alla Commissione europea (impegno
che va tassativamente rispettato se si vogliono evitare pesanti penali). Per soddisfare questo
obiettivo sarà necessario l’impegno di tutte le regioni, mentre fino ad oggi, ad esempio, tutte
le amministrazioni regionali del Centro Italia (con l‘eccezione, in parte, dell’Abruzzo e della
Toscana) hanno colpevolmente trascurato il potenziale dell’energia eolica. A prevederlo è il
Decreto legislativo 387/2003, emesso in ottemperanza alla direttiva comunitaria 2001/77/
CE che è ancora in attesa dell’attuazione dell’articolo 10 (successivamente reiterato nella
17
Energia eolica e sviluppo locale
Le caratteristiche dei siti dove sono collocate le centrali eoliche italiane
Attualmente, in Italia sono circa 6 mila gli aerogeneratori installati, mentre i comuni che hanno centrali
eoliche nel loro territorio a inizio del 2011 sono 374 (erano 118 nel 2006), per una potenza installata
pari a 5.758 MW (610 MW in più rispetto al 2009). Nel 2010, gli impianti eolici hanno permesso di
produrre 8.374 GWh di energia pulita, pari al fabbisogno elettrico di oltre 3,5 milioni famiglie (Legambiente, 2011:5-6). Sono 221 i Comuni che si possono considerare autonomi dal punto di vista elettrico,
poiché si produce più energia di quanta ne viene consumata. I 5.758 MW eolici installati sono divisi tra
220 “Piccoli Comuni” con 3.940 MW di potenza installata e 145 con più di 5.000 abitanti e una potenza di circa 1.817 MW. Gli impianti eolici, che per anni si sono concentrati soprattutto nell’Appennino
meridionale, tra Puglia, Campania e Basilicata, e in Sicilia e Sardegna, si stanno diffondendo anche in
aree del Centro-Nord. I Comuni con il più alto numero di MW installati sono quasi tutti pugliesi: quello
che risulta avere la maggiore potenza installata è Troia (FG), con i suoi 171,9 MW, seguito da Minervino
Murge (BT) con 116,4 MW, dal Comune di Bisaccia (AV) con 101,9 MW, dal Comune di Sant’Agata di
Puglia (FG) con 97,2 MW e dal Comune di Rocchetta S. Antonio (FG) con 89 MW.
Volendo descrivere un tipico sito dove si realizza una centrale eolica in Italia si dovrebbero fornire
le seguenti specifiche o si registrerebbero le seguenti peculiarità (Cfr. Gargani e De Pratti, 2008:138140):
1. sito montano o pedemontano o collinare (in area appenninica), su rilevato (in area costiera, anche
se arretrata rispetto alla costa, o sub-marina);
2. orografia mediamente complessa, con rugosità tale da garantire una quota geostrofica dell’ordine
di non meno di 500 metri sulla quota del sito (o misurata dal piano di campagna di questo);
3. ventosità caratterizzata da una media annua compresa fra 6,2 e 7,5 m/s (con punte che in alcuni casi
arrivano fino a 8,5 m/s). Il funzionamento annuo di un impianto eolico è discontinuo e dipende dalla
ventosità del sito. La produzione viene espressa attraverso il parametro “ore equivalenti”, che indica
le ore equivalenti annue di produzione a piena potenza o tramite il fattore d’impianto (uguale alle ore
equivalenti diviso le ore dell’anno). In Italia, nei siti normalmente sfruttati, le ore equivalenti assumono
valori tra 1.500 e 3.000;
4. quota s.l.m. da 700 a 1.500 metri (con possibile insorgenza di formazione di ghiaccio durante i
più ventosi mesi invernali a quota superiore ai 800-900 m s.l.m. in funzione della diversa esposizione
del sito);
5. area di installazione posta su plateau (Sardegna) o su crinali più o meno appiattiti e colline ondulate (regioni centro-meridionali);
6. presenza di vegetazione di tipo boschivo o di coltivazioni (Appennini centrali e meridionali), bosco infoltito (Calabria), macchia mediterranea (Sicilia e Sardegna), rimboschimento e cantieri forestali in pieno
sviluppo (Abruzzi) sia nelle vicinanze che su crinali opposti (con possibile creazione di scie di disturbo al
rotore); installazioni sono previste nell’Appennino centro-settentrionale (Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte) a quote cariabili tra i 1.000 e 1.500 m s.l.m. (in aree montane più o meno foltamente boscate);
7. area caratterizzata da pregio paesistico e/o paesaggistico più o meno rilevante, posta in vicinanza o
al confine o, ancora, interessata dalla presenza di SIC o di ZPS e, quindi, parchi o riserve naturalistiche
di altro genere (aree interessate dalla presenza di relitti mediterranei);
8. area interessata da uso civico (con eventuali presenze di direttrici tratturali) e da sorvoli a bassa quota
di avioleggeri e, a quote maggiori, da velivoli dell’aviazione generale e militare; talvolta si riscontra la
presenza di antiche servitù militari (poligoni in campo aperto) più o meno abbandonate (soprattutto
nelle regioni centrali e centro-meridionali);
9. area caratterizzata dalla presenza di specie avifaunistiche di vario pregio e, solo più limitatamente,
interessata da corridoi ecologici e flussi migratori;
10. distanza dalla rete elettrica in alta tensione compresa tra 500 m e 2-3 km al massimo;
11. tasso di guasto della rete elettrica locale in alta e media tensione tale da poter essere rappresentata
da un valore MTBF (Mean Time Between Failure – tempo medio fra i guasti) pari a 2.000-3.250 ore/
anno (valore più basso tipico dell’Abruzzo più interno, come, ad esempio, nella Piana del Fucino);
18
2. La produzione di energia eolica in Italia
12. esistenza di un buon collegamento con strade la cui larghezza sia tale da consentire il transito ad
automezzi capaci di trasportare le navicelle e le torri delle turbine di nuovo tipo e maggiore potenza
(da 1,3 MW a 2,5 MW, con pesi compresi fra 36 e 57 t);
13. visibilità del sito abbastanza estesa (per i crinali) e assai più limitata per le aree rilevate e a forma
di plateau oppure per aree vallive;
14. copertura del deficit locale tra produzione e consumo di energia elettrica. Le realtà locali che hanno visto e vedono l’installazione di parchi eolici normalmente soffrono di un deficit pesante (alle volte sono
totalmente dipendenti dall’esterno). La presenza di una centrale eolica permette di ribaltare a situazione o, quanto meno, di mitigarla, consentendo di produrre energia elettrica localmente in modo relativamente abbondante (una centrale eolica da 10 MW di potenza, in una zona mediamente ventosa, può
produrre circa 25 milioni di kWh di energia elettrica all’anno, quanto basta per almeno 5.000 famiglie;
15. reddito pro-capite locale in genere basso e bilanci comunali spesso non superiori a 1,5-2 milioni
di euro/anno;
16. risorsa eolica quale fonte sfruttabile dal punto di vista economico, capace di fornire alle casse dei
Comuni un gettito annuale e ragionevolmente costante e dell’ordine di 100 mila-500 mila euro/anno,
tenendo presente l’apporto per i canoni di affitto dei terreni (quota marginale) e quello, ben più consistente, derivante dal corrispettivo di potenza (che in genere costituisce la quota minima corrisposta
anche in assenza di produzione) e l’utile sulla produzione (dall’1 al 3% del ricavo lordo incassato dal
gestore dell’impianto). I comuni interessati dall’installazione di centrali eoliche sono normalmente
piccoli, con entrate piuttosto modeste. La presenza di campi eolici permette a queste piccole realtà
locali di aumentare il loro budget in modo rilevante e senza pesare sulla collettività, in quanto tale
gettito deriva da un’attività produttiva che si basa su una fonte come il vento non sfruttata in altro
modo. Gli amministratori locali, quindi, hanno a disposizione più risorse da destinare a beneficio
della comunità, promuovendo anche una maggiore coscienza/conoscenza dei problemi ambientali ed
energetici locali.
Legge Finanziaria 2008) relativo alle ripartizioni (il cosiddetto burden-sharing)14 regionali che
responsabilizzino a pieno le regioni, definendo il contributo che queste devono dare per il
raggiungimento degli obiettivi energetici del paese al 2020. Sono passaggi legislativi necessari che potrebbero sbloccare la situazione.
Intanto, un segnale positivo è arrivato sul fronte autorizzativo nel 2010. Infatti, sono
state definite le “Linee guida per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di
produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”,
previste in base all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e approvate in
Conferenza Unificata l’8 luglio scorso. Tali Linee guida sono finalizzate ad armonizzare un
quadro regolatorio e normativo fino a questo momento frammentato e disomogeneo a livello regionale, e stabiliscono i processi autorizzatori per le diverse tipologie e grandezze di
impianto considerato, oltre che le misure di mitigazione e quelle compensative per gli enti
locali ospitanti l’impianto. Le Linee guida dovrebbero contribuire ad accelerare l’iter burocratico soprattutto perché danno finalmente il via libera alla autorizzazione unica: tutti gli enti
preposti a dare il via libera per gli impianti a fonti rinnovabili sono riuniti in una conferenza
di servizi. Chi chiederà un’autorizzazione non deve più sottoporsi allo sfibrante gioco delle
14 Le Regioni sono chiamate a mettere in atto le opportune azioni per il raggiungimento degli obiettivi a livello regionale
(che verranno istituiti per mezzo di un apposito decreto), suddivisi per tipologia di fonti (meccanismo del burden sharing) e a
identificare in ciascun territorio le zone non idonee all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, differenziate
per fonte utilizzata.
19
Energia eolica e sviluppo locale
cosiddette “sette chiese”, ma dovrebbe avere in tempi certi (180 giorni) un parere positivo o
negativo al proprio progetto, con enormi vantaggi su tempi di realizzazione.
Quello che ci si può augurare ora è che con le Linee guida nazionali qualcosa cambi, dentro un
quadro comunque che ha velocità diverse, perché ci sono alcuni territori italiani dove l’eolico
deve ancora essere realizzato, dove cioè proprio non è ancora conosciuto. Ci sono anche delle
potenzialità importanti al Centro-Nord, però ci si è andati con i piedi di piombo. Anzi, si può
dire che nelle Regioni del Centro-Nord c’è un’attenzione all’impatto ambientale dell’eolico che
non si ha per nessun altro tipo di opera. Penso che in Liguria, Emilia-Romagna, Marche ci sia
una attenzione ambientale da parte delle amministrazioni regionali che non si ha per nessun
altro intervento di tipo infrastrutturale, come se, addirittura, con le analisi ambientali che si
fanno per l’eolico ci si costruisse quasi una dignità che si è persa sulla valutazione di impatto
ambientale per tutto il resto. Se uno va a vedere l’atteggiamento tenuto dalla Regione Toscana
nei confronti dell’autostrada tirrenica o della TAV, questo è stato totalmente “sdraiato” nei
confronti di opere che andavano fatte e in cui nessun ruolo ha giocato la Regione in questi
anni. Se uno va a vedere l’approccio che le stesse persone che hanno fatto la valutazione di
impatto ambientale della TAV o dell’autostrada tirrenica, hanno nei confronti degli impianti
eolici, è come se fossero Dr. Jekyll e Mr. Hide. Per l’eolico si fanno fare delle analisi e c’è un
tipo di attenzioni…, appunto, per fermarlo. Stesso atteggiamento si ha da parte della Regione
Emilia-Romagna. In Liguria non ne parliamo. Regioni in cui l’eolico ha delle potenzialità. Solo
in Toscana sta andando avanti, ma perché invece c’è anche chi, un assessore e un governo regionale, che spinge sulle energie rinnovabili. Però, c’è proprio una contraddizione di fondo, come se
in qualche modo ci fosse un problema di capire il ruolo che ha la valutazione ambientale. Come
se la valutazione ambientale dipendesse dal tipo di opera e dal tipo di pressione. È abbastanza
evidente che l’eolico è una fonte energica che è spinta da gruppi imprenditoriali in parte nuovi
e in parte da investimenti ambientali di grandi gruppi energetici italiani, tutti soggetti che sono
indubbiamente deboli nei confronti dei governi regionali, soprattutto dei governi regionali organizzati. È il caso della Liguria, dell’Emilia-Romagna e della Toscana. Dove il governo regionale è
organizzato, l’eolico risulta essere un settore industriale debole. Dove il governo regionale non
è organizzato – e parliamo di tutto il Centro-Sud – invece scatta un altro tipo di meccanismo
che è quello per cui intorno all’eolico e alle sue potenzialità, c’è una totale disorganizzazione
del governo regionale, per cui si è nelle mani della capacità che hanno i Comuni di organizzare
dei percorsi trasparenti oppure della lungimiranza degli imprenditori. Questa è oggi la realtà
italiana (Zanchini, Legambiente).
Comunque, nonostante le carenze normative e le farraginosità burocratiche, il volume d’affari
dell’energia eolica in Italia ha raggiunto livelli sempre più elevati, alla luce degli investimenti
in corso e di quelli programmati nella realizzazione di nuove centrali eoliche. Se si considerano i circa 1.000 MW installati nel solo 2010, in termini finanziari gli investimenti – tra capitali privati e bancari – hanno raggiunto la cifra di 4,5 miliardi di euro, quasi esclusivamente
destinati alla realizzazione di centrali eoliche nel Mezzogiorno e nelle isole.15
15
Purtroppo, questi rilevanti investimenti hanno destato l’interesse per il settore eolico anche di affaristi e prestanome
delle diverse organizzazioni criminali (mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita) che controllano ampie porzioni del territorio meridionale e che operano come “sviluppatori” che ricercano i siti di potenziale interesse, elaborano progetti preliminari
e, una volta ottenuta l’autorizzazione dalla burocrazia regionale, con in mano un progetto cantierabile, passano la collocazione
sul mercato, realizzando così notevoli plusvalenze.
20
2. La produzione di energia eolica in Italia
Velocità media annua del vento a 25 m s.l.t./s.l.m.
< 3 m/s
da 3 a 4 m/s
da 4 a 5 m/s
da 5 a 6 m/s
da 6 a 7 m/s
da 7 a 8 m/s
da 8 a 9 m/s
da 9 a 10 m/s
da 10 a 11 m/s
> da 11 m/s
Fonte: http://atlanteeolico.rse-web.it/viewer.htm
21
Energia eolica e sviluppo locale
Potenza eolica installata sul territorio nazionale
Nessuna installazione
251 ÷ 500 MW
< 100 MW
501 ÷ 750 MW
100 ÷ 250 MW
> 750 MW
Regione
MW installati
Regione
1.449
Emilia Romagna
16
Puglia
1.286
Piemonte
13
Campania
814
Lazio
Sardegna
674
Trentino Alto Adige
3
Calabria
589
Umbria
2
Molise
372
Veneto
1
Basilicata
279
Marche
-
Abruzzo
225
Valle d’Aosta
-
Toscana
45
Friuli Venezia Giulia
-
Liguria
21
Lombardia
TOTALE
Fonte: ANEV - Associazione Nazionale Energia del Vento, 2011
22
MW installati
Sicilia
9
5.797
2. La produzione di energia eolica in Italia
Localizzazione dei Parchi eolici
Fonte: ANEV - Associazione Nazionale Energia del Vento, 2011
23
Energia eolica e sviluppo locale
Aerogeneratori installati sul territorio nazionale e prospettive di crescita al 2020
Nessuna installazione
< 50
50 ÷ 500
500 ÷ 750
750 ÷ 1.000
> 1.000
Aerogeneratori
Regione
MW
N°
Sicilia
1.449
1.245
Puglia
1.286
997
Campania
814
765
Sardegna
673
565
Calabria
589
342
Molise
372
307
Basilicata
279
244
Abruzzo
225
279
Toscana
45
30
Liguria
21
26
Emilia Romagna
16
26
Lazio
9
15
Umbria
2
2
Altre
16
8
Offshore
0
0
TOTALE
5.797
4.851
* Studio ANEV ** Studio UIL-ANEV
Potenziale
MW*
Occupati**
1.900
2.070
1.915
1.750
1.250
635
760
900
600
280
200
900
1.090
1.750
200
16.200
7.537
11.714
8.738
6.334
4.484
2.289
2.675
3.166
2.114
1.061
771
3.741
3.868
7.518
1.000
67.010
Fonte: ANEV - Associazione Nazionale Energia del Vento, 2011
24
Crescita %
2010 rispetto
al 2009
30,0
11,1
0,6
15,0
47,3
53,9
22,8
9,7
0,0
12,9
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
19,6
KW per
abitante
KW per km2
0,287
0,315
0,140
0,403
0,293
1,161
0,474
0,168
0,012
0,013
0,004
0,002
0,002
0,001
0,000
0,096
56,362
66,446
59,897
27,956
39,056
83,758
27,940
20,944
1,957
3,873
0,726
0,522
0,177
0,161
0,000
19,239
3. La produzione
di sistemi eolici in Italia
Gli aerogeneratori effettuano la conversione dell’energia cinetica del vento in energia meccanica dell’asse di rotazione, e, da questa, in elettrica continua o alternata mediante l’impiego
di un generatore; possono essere ad asse orizzontale o verticale; possono essere isolati o in
cluster e, ancora, essere collegati ad utenze isolate, piccole reti locali o alle reti nazionali
(Battisti, 2008; Caffarelli e De Simone, 2010; Gargini e De Pratti, 2008). Dal punto di vista
della potenza, oggi sul mercato ci sono diverse tipologie di aerogeneratori:
• macchine progettate per la produzione e vendita di elettricità, il cosiddetto eolico
industriale. Si tratta di aerogeneratori di potenza compresa tra i 500 kW e i 3,5 MW connessi
alla rete in media o alta tensione, macchine di grande potenza per la produzione industriale
di energia eolica che richiedono grandi investimenti (da 1 a 2,5 milioni di euro), ma il cui
costo diminuisce in proporzione al crescere della potenza e che sono state finora al centro
del processo di evoluzione tecnologica. Un indicatore significativo dell’evoluzione tecnologica dell’eolico, infatti, è la crescita della taglia degli aerogeneratori installati, accompagnata
anche dall’aumento della loro affidabilità ed efficienza. Se nel 1995, la taglia media delle
macchine installate in Italia era di appena 260 kW di potenza per unità, nel 2003 era di
561kW, oggi la taglia media delle turbine che vengono installate è di 2,5 MW.16 Queste macchine possono essere installate singolarmente o in centrali di produzione, sulla terra ferma
o in mare (offshore);17
16 Le prime macchine eoliche industriali erano alte 82 metri, quelle attuali 93 metri. La vera differenza è che 10 anni fa
una macchina industriale da 660-850 kW occupava a terra 100 metri quadrati e aveva una dimensione di navicella di 6mx3m.
Oggi, una macchina industriale è da 3,5 MW, cioè sei volte più potente della precedente, a terra occupa 150 metri quadrati,
mentre la navicella è di 12x6m. “Le dimensioni delle macchine sono in costante crescita, perché la capacità di sfruttare il vento
è strettamente legata al diametro del rotore. Più è grande il diametro e più si riesce a installare anche in aree dove una volta non
si poteva installare perché le condizioni del vento erano basse e, quindi, non lo permettevano. Aumentando il diametro del rotore,
aumenta la potenza generata e, quindi, c’è una corsa ad installare turbine sempre più grandi che si riflette in termini positivi anche
sull’ambiente. Questo perché con macchine di questa potenza si riesce a fare un parco eolico significativo con 10 aerogeneratori,
mentre in passato per avere la stessa potenza si dovevano installare dalle 30 alle 40 pale. Una pala grande si vede certamente di
più, ma quello che probabilmente dà più fastidio è “l’effetto selva”, quindi tante turbine, pale, e torri” (Schiapparelli, REpower).
17 In Italia, e più in generale nel Mediterraneo, le installazioni offshore tardano a manifestarsi, nonostante che in ambiente marino sia presente una gran disponibilità di vento (e quindi sia possibile installare macchine di grande potenza come la
turbina REpower da 6,15 MW con 126 m di diametro) e che la distanza dalla terraferma consenta una naturale mitigazione sia
dell’impatto acustico delle turbine per la lontananza sia di quello paesaggistico in virtù della curvatura terrestre. Quella offshore
rappresenta, dunque, un’opzione che nel medio-lungo termine potrebbe consentire notevoli produzioni di energia (Cesari e
Taraborrelli, 2008). In Italia, l’iter autorizzativo per gli impianti offshore è diverso da quello per gli impianti sulla terraferma:
l’autorizzazione, infatti, è rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le modalità di cui all’art. 12, comma 4, del decreto
25
Energia eolica e sviluppo locale
• macchine per la produzione di energia ad uso di utenza isolata o con allacciamento alla
rete in bassa tensione. Sono macchine caratterizzate da una potenza limitata (sotto i 200kW)
che spesso sono affiancate ad altre fonti di produzione di energia (mini idrico, fotovoltaico
o convenzionale). Nel caso di utenza isolata rappresentano una risorsa in zone difficilmente
raggiungibili dalla rete come località montane o comunità agricole. È un segmento di mercato che in Italia si sta aprendo solo ora e che, soprattutto per le macchine di piccola taglia
– turbine per uso domestico (da 1 a oltre 20 kW), miniturbine (0,50-060 kW) e microturbine
(0,02-0,12 kW) – sembra avere interessanti possibilità di sviluppo. Si tratta, comunque, di
macchine che per operare al meglio della loro efficienza vanno installate in torri di almeno
12 metri, meglio se più alte, e non troppo vicine all’edificato, per evitare possibili turbolenze, ma l’industria sta lavorando (insieme ad alcuni grandi architetti e designer internazionali
come Renzo Piano e Philippe Starck) per mettere a punto delle turbine di piccola taglia (sia
ad asse orizzontale che verticale) che possano essere montate sui tetti delle case anche in
ambiente urbano.
Le macchine eoliche in Italia lavorano mediamente per 1.800–2.000 ore equivalenti a pieno regime. Vale a dire che una macchina lavora magari per 2 giorni a metà della massima potenza, 2
giorni che quindi equivalgono a 24 ore alla massima potenza. Però, durane la giornata e anche
per più giorni, si può verificare la bonaccia perché non c’è vento. Questo fa parte del progetto e
del funzionamento. Ci sta che il vento può o non può esserci. La macchina eolica lavora sopra
una certa quantità di vento, il cut in, mentre il cut out è sui 25-30 metri al secondo. Per cui, la
macchina viene messa in stallo sopra il cut out, perché il vento è troppo forte per poter funzionare. In fase di progetto, le caratteristiche tecnologiche delle macchine vengono scelte in base
alle caratteristiche del vento. È molto importante caratterizzare il sito dal punto di vita del vento. Le misure di un anno o di due anni dell’anemometro, non danno solo l’informazione relativa
al fatto se c’è vento, ma anche che c’è tot vento con alcune caratteristiche e quale è la velocità
predominante. Questo porta alla scelta migliore delle macchine che è un elemento importante
perché l’impianto deve essere produttivo, anche perché, per come sono strutturati gli incentivi,
o si è produttivi o si perdono le risorse investite o si allungano i tempi di ammortamento. Il
parco deve essere efficiente. Posso avere delle macchine funzionanti, ma ferme, non perché
sono rotte o non connesse alla rete, ma perché o non c’è vento sufficiente o il vento è troppo
forte. Certo, le 2.000 ore equivalenti sono poche rispetto all’arco temporale di un anno. Dipende
dagli andamenti stagionali, per cui ad esempio nei mesi primaverili la ventosità è bassa. Poi, ci
sono siti più lo meno ventosi. Il vento c’è soprattutto al Sud, mentre è scarso al Nord. Poi, c’è
la manutenzione delle macchine. Le macchine eoliche si rompono. C’è la rottura e c’è il tempo
legislativo 387/2003 e previa concessione d’uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima. Quindi,
l’autorizzazione è solo ministeriale, mente i Comuni e gli altri enti locali non hanno nessun titolo/competenza, possono partecipare alla Conferenza dei servizi, ma solo a titolo consultivo. Al momento mancano ancora delle Linee Guida per gli impianti
offshore (quelle emanate a settembre 2010 riguardano solo per gli impianti onshore). Emblematico di quanto sia confusa la
situazione e dei problemi che si creano è il caso di un progetto per un parco eolico offshore a 6-8 km dalla costa del Molise, a
largo di Termoli, al quale si oppongono la Regione, la Provincia e tutti i Comuni, avendo fatto ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato
contro l’autorizzazione. “Quell’impianto è emblematico, perché la Regione e i Comuni approvano porticcioli, case, villaggi vacanza,
alberghi, etc. sulla costa e poi se la prendono con l’impianto eolico che sta a 8 km di distanza dalla linea di costa. Sull’eolico ci si
fa una sorta di verginità ambientale che non esiste. Su questo noi siamo andati fino in fondo, facendo ora pure ricorso al Tar ad
iuvandum di quell’impresa. Noi all’impresa abbiamo dato su questo una mano, spingendola a rispondere a tutte le osservazioni che
erano state fatte dal punto di vista ambientale. I punti critici erano due:
• la presenza di una duna sommersa tutelata – una SIC ZPS – e siccome il cavodotto deve arrivare a terra, hanno modificato il
percorso, aggirando la duna;
• il MiBAC gli ha chiesto di allontanare un po’ le pale e loro hanno spostato indietro, a 8 km dalla costa, la prima fila di pale.
Hanno fatto fare uno studio paesaggistico ad una paesaggista che gli abbiamo suggerito. Gli abbiamo dato una mano per cercare
di presentare un buon progetto. Nonostante questo, le amministrazioni locali hanno fatto ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. In
questo atteggiamento da parte dei Comuni c’è la vera ambiguità dell’eolico. Il punto problematico dell’offshore è che nessuno prende
delle royalties perché il mare non è territorio comunale, provinciale o regionale, ma dello Stato. Quindi, sull’offshore da parte dei
Comuni c’è battaglia, mentre poi sui progetti a terra non fanno la stessa resistenza” (Edoardo Zanchini, Legambiente).
26
3. La produzione di sistemi eolici in Italia
di riparazione. Come tutte le macchine hanno la manutenzione ordinaria che viene fatta ogni
sei mesi, preferibilmente nei periodi in cui c’è meno ventosità. Sono 1 o 2 giorni per macchina.
Bisogna ingrassare la macchina e controllare gli apparati, i circuiti dell’olio. Va fatto un check,
un po’ come il tagliando per le automobili. Le macchine sono controllate in remoto e qualsiasi
anomalia all’interno della macchina viene segnalata in tempo reale. La macchina si mette in
sicurezza da sola, si autogestisce, spegnendosi e mettendosi di taglio al vento, di modo che va
in stallo, in attesa dell’intervento della manutenzione (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).
In Italia la fase dello sviluppo commerciale dell’eolico è partita in ritardo rispetto ad
altri paesi europei come la Germania, la Danimarca o la Spagna (Pirazzi, 2008).18 Di questo ritardo hanno sofferto anche le nascenti industrie di produzione di aerogeneratori e di
componentistica (torri, quadri elettrici, motoriduttori, elettronica di potenza), che si sono
trovate a competere con delle realtà industriali europee e americane ormai agguerrite e in
rapida crescita. In questo senso, si può dire che da parte delle amministrazioni nazionali e
regionali sono mancate delle scelte consapevoli di politica industriale in grado di promuovere
lo sviluppo del comparto industriale, incrementando così i benefici economici per il territorio
derivanti dalla diffusione delle rinnovabili. Emblematica in questo senso è l’esperienza della
Spagna, dove lo sfruttamento del vento è stato condizionato da parte delle singole regioni
al coinvolgimento dell’imprenditorialità e manodopera locale, tanto che ora questo paese è
diventato un esportatore di tecnologia eolica in tutto il mondo.
Sul rapporto tra sviluppo delle energie rinnovabili e sviluppo della filiera industriale a livello
locale, forse l’esperienza di maggiore successo è quella fatta dagli spagnoli che 10-15 anni fa
hanno promosso gli investimenti in parchi eolici, invitando ad investire anche negli impianti
produttivi della filiera industriale. La Spagna ha creato una sua base industriale, grazie al fatto
che le regioni hanno adottato delle politiche industriali favorevoli, in un momento in cui era
possibile farlo. Ad esempio, la Gamesa è nata dalla Vestas e poi si è resa autonoma, cosa che
non ha fatto da noi la IWT. Questo perchè da noi è mancata la logica della politica industriale.
Oramai, il baricentro delle grandi tecnologie è tutto spostato sulla Cina e sull’India (Silvestrini,
Kyoto Club).
Lo sviluppo del mercato nazionale è iniziato dapprima con l’installazione di macchine da
200-350 kW di produzione italiana mono e bipala (Riva Wind Turbines del Gruppo Riva Fire
SpA e West, del gruppo Ansaldo), per continuare poi con la messa in servizio di aerogeneratori di media taglia da 500 a 850 kW dotati di rotore tripala (Vestas-IWT, Enercon, Bonus,
18
Nel 1996, nelle province di Foggia e Benevento, sono state installate le prime centrali eoliche commerciali ad opera
dell’Italian Vento Power (IVPC), una società privata costituita ad Avellino nel 1993, che ha avuto l’intuizione di utilizzare al
meglio lo strumento legislativo del CIP 6/92, e le conoscenze di sitologia maturate dagli americani in California. Altre centrali
eoliche sono state realizzate anche nella provincia di Avellino e sui crinali appenninici delle regioni circostanti. A queste prime
iniziative ne sono seguite altre da parte di operatori come Edison Energie Speciali, ENEL Green Power, Sanseverino ed altri che,
nel volgere di pochi anni, hanno permesso all’Italia – con circa 700 MW installati alla fine del 2001 – di conseguire il primo
obiettivo del Libro Bianco sulle rinnovabili e di raggiungere la quarta posizione a livello europeo, la sesta a livello mondiale,
in termini di potenza eolica. Negli ultimi 10 anni la progressione della potenza eolica installata è stata la seguente: 797 MW
al 2002, 913 MW al 2003, 1.255 MW al 2004, 1.718 MW al 2005, 2.123 MW al 2006, 2.726 MW al 2007, 3.736 MW al 2008,
4.849 MW al 2009, 5.758 MW al 2010. L’incremento della potenza eolica installata, nel contesto di un mercato della produzione
elettrica liberalizzato ormai da più di 10 anni, riflette anche la crescita del numero di operatori elettrici specializzati nella progettazione e gestione di impianti eolici di grandi dimensioni. Il mercato è ancora molto frazionato tra una pluralità di operatori
(alcuni controllati da grandi gruppi multinazionali del settore elettrico convenzionale) che hanno in media tra i 100 e i 400 MW
di potenza installata (quindi, più parchi eolici ciascuno): il Gruppo IVPC, Enel Green Power, Edison Energie Speciali (EDENS), FriEl, E.ON Italia, Moncada Energy Group, Asja Ambiente Abn Windenergy, Inergia, FERA-Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative,
AceaElectrabel Produzione, Lucky Wind, Veronagest, Tozzi Sud, IVPC Eolica, Gruppo ICQ, ERG Renew, Fortore Energia, Gruppo
Gamesa, Sorgenia, Api Nova Energia, GE Energy. La stretta creditizia sta consolidando la presenza delle maggiori compagnie
energetiche a spese dei produttori indipendenti di minori dimensioni che, in alcuni casi, hanno dovuto cedere parte delle proprie
attività.
27
Energia eolica e sviluppo locale
Neg Micon, etc.) e arrivare successivamente alle macchine di grande taglia da 1 a 3 MW
(Fuhrlander, REpower, GE Wind, Vestas, Gamesa, Enercon, Suzlon, Siemens Wind Power, Acciona, Ecotecnia e Nordex). Gli aerogeneratori attualmente realizzati in Italia, dopo la fine poco
gloriosa di quelli progettati, costruiti e sperimentati all’inizio degli anni ’90, si collocano in
tutte le fasce della tecnologia. Infatti, alle macchine di piccola taglia, da centinaia di watt
sino a 20 kW, prodotte da società come Salini, Ropatec, Jonica Impianti, Enerclean, Terom,
Badgir, BluMini Power, Windesign e Dealer Tecno, dalla metà degli anni 2000 se ne sono
aggiunte altre di media e grande taglia prodotte da Vestas Italia (ex West/IWT) di Taranto,
Gruppo Leitner di Vipiteno, Moncada Costruzioni di Agrigento.
Inoltre, occorre considerare che le attività di installazione di aerogeneratori – dalla costruzione all’avviamento, sino alla fase di esercizio – richiedono molteplici interventi da parte
di una serie di imprese coinvolte nell’assemblaggio della macchina e nella fornitura dei singoli componenti (generatore, moltiplicatore di giri, riduttore, torre, mozzo, impianti elettrici ed
idraulici, lavorazioni metalliche, forniture industriali, sensori, etc.). Oltre alla realizzazione di
tali componenti si deve ricordare l’insieme delle opere civili (strade, piazzole e scavi, edifici,
fondazioni), le opere elettriche (cavi, quadri, trasformatori, sottostazioni), la realizzazione
delle torri, i trasporti, nonché le apparecchiature di sollevamento e le gru.
Se per la macchina intera, il sistema completo, credo che ormai sia troppo tardi, salvo casi
del tutto eccezionali e di nicchia, invece la componentistica è un’area in cui le imprese italiane possono ancora giocare un ruolo molto interessante, perché in Italia c’è una importante
componente di industria meccanica ed elettromeccanica. So che ci sono delle importanti realtà
industriali italiane che fanno parte delle filiere industriali internazionali dei prodotti per le
energie rinnovabili. Pertanto, non darei per persa la battaglia sul campo industriale. Certo, che
bisognerebbe fare quello che prevedeva il Piano Industria 2015, mettendo insieme grandi, medie e piccole imprese, con università, centri di ricerca su alcuni grandi progetti obiettivo, dando
una spinta allo sviluppo tecnologico del settore industriale. Questo, purtroppo, si è sfilacciato
(Silvestrini, Kyoto Club).
Secondo le stime Anev-UIL, negli ultimi anni in Italia il settore eolico ha creato 8.200 nuovi
posti di lavoro diretti, mentre comprendendo l’indotto si arriva ad oltre 28mila. Inoltre, se si
raggiungerà il potenziale nazionale di circa 16mila MW al 2020, in numero totale di addetti
potrebbe salire ad oltre 67mila.
Un primo ragionamento nel rapporto tra sviluppo locale ed energie rinnovabili, riguarda il
mercato locale del lavoro. Per quanto riguarda la Puglia, sono tanti i professionisti che da 6-810anni lavorano quasi esclusivamente sulle fonti rinnovabili a vario livello. Poi, ci sono aziende
che sono nate ad hoc: società che montano, assemblano, producono. C’è un movimento enorme
che non saprei quantificare. Non so se qualcuno si è mai preso l’impegno di fare una specie di
censimento, di quanti soggetti sono occupati dalla filiera diretta. Qui, secondo me, si superano
tranquillamente le 10mila persone. Si parla sempre di aziende, operai, etc., però i professionisti
sono una categoria che non nomina nessuno. Professionisti che operano sul mercato in qualità
di lavoratori autonomi. Sono giovani laureati, o laureati da tempo, hanno un’età compresa
tra i 25 ai 40anni, e che normalmente in questi territori non hanno nessuna possibilità professionale e che normalmente qui dovrebbe fare “le valigie”. Quindi, questo è un settore che
può “tenere” sul territorio tantissimi professionisti, professionalità qualificate. Qui, in Fortore
Energia, ad esempio, c’è un geologo che ha lavorato 4anni sulle piattaforme petrolifere in Africa, e che grazie a questa attività lavora a casa sua, in un settore che altrimenti non avrebbe
spazio. Ci sono centinaia di persone che lavorano oggi su questi temi. Qui, in Fortore Energia,
28
3. La produzione di sistemi eolici in Italia
solo di professionisti ci sono 60-70 persone. Sono tanti, sono numeri e stiamo parlando solo di
questa realtà. Poi ci sono una serie di altre aziende che conosciamo e che hanno 10, 40, 100
persone. Se sommiamo tutte queste professionalità intellettuali, stiamo parlando di migliaia di
persone. Poi ci sono i settori collegati: i montaggi, i trasporti, i noleggi, le imprese che lavorano alla costruzione, le società di manutenzione, di gestione, il controllo della sicurezza negli
impianti realizzati, quindi le cooperative di vigilanza, gli archeologi. L’impulso che hanno dato
le rinnovabili al settore dell’archeologia è enorme. In un primo momento c’erano solo pareri
molto negativi sugli impianti. A un certo punto l’impostazione del Ministero è stata diversa, la
Sopraintendenza Archeologica della Puglia non dice più no a nessuno, salvo prescrivere delle
procedure obbligatorie. È il caso della costruzione di una carta del rischio archeologico preventiva, che impegna, pagate dalle società proponenti, cooperative di archeologi che sono in un
elenco accettato dalla Sopraintendenza. Fanno una ricognizione dell’area e isolano i rilievi. A
fronte di questa prima attività ricognitiva, se ci sono delle evidenze archeologiche, in fase di
cantiere la Sopraintendenza impone lo scavo sistematico con l’assistenza fissa di imprese specializzate a carico del proponente. Tutto questo per dire che ci sono una serie di collegamenti
infiniti, un movimento intellettuale che lavora sulle rinnovabili, e che questo “movimento” è
enorme. Quello che manca è che non si è riusciti a creare le condizioni per fare gran parte delle
tecnologie qui in Puglia, e ci sarebbero le condizioni. Oggi, l’80% della ricchezza prodotta dalle
rinnovabili va a finire fuori, perché le macchine e i principali componenti vengono da fuori. Noi
abbiamo tentato di fare qui delle attività importanti. Le torri in cemento per Enercon si fanno
in Puglia, altre cose si fanno, ma si potrebbe fare tantissimo di più se ci fosse un minimo di
garanzia da parte delle istituzioni e mi riferisco al garantire una certa massa critica di interventi
(Giovanni Alessandro Selano, Holding Fortore Energia SpA).
Nei prossimi anni, la crescita dell’industria italiana e del suo indotto potrà contare, oltre
che sull’ulteriore sviluppo del mercato interno, anche sulla diffusione dell’energia eolica nei
paesi balcanici e in quelli della sponda meridionale del Mediterraneo che, per la maggior
parte, sono zone ad elevata potenzialità di vento.
29
4. Il quadro normativo nazionale
Dalle interviste condotte con i testimoni privilegiati nel corso della ricerca emerge che per
quanto riguarda l’eolico e, più in generale, le fonti da energie rinnovabili è successo quello che in Italia spesso succede rispetto alle grandi innovazioni tecnologiche e produttive:
il mercato, l’economia reale, si è mosso più velocemente rispetto alla capacità dei poteri
pubblici di fornire un quadro di regole omogeneo, sensato e trasparente. Questo è avvenuto
nonostante che in Italia uno sviluppo consistente dei diversi settori delle energie da fonti
rinnovabili si sia verificato in ritardo rispetto ad altri paesi europei, come la Germania, la
Spagna e la Danimarca. L’Italia non è stata certo tra i primi paesi a muoversi nel campo delle
energie alternative. La differenza è che altrove in Europa questa dinamica di sviluppo delle
rinnovabili è partita insieme allo sforzo da parte dello Stato, sia in termini legislativi, sia in
termini amministrativi, di accompagnarlo. Questo da noi non è successo o è successo solo
parzialmente e, quindi, la crescita delle energie a fonte rinnovabile ha camminato a lungo,
e in parte sta camminando ancora, su una base di un quadro di regole inadeguato, incerto,
spesso contraddittorio e in alcuni casi perfino paradossale. Per quanto riguarda l’eolico, ma
non solo, le procedure autorizzative fino adesso sono state assolutamente variabili da Regione e Regione. Spesso addirittura all’interno di una stessa Regione non c’è stata certezza sugli
gli standard delle procedure di autorizzazione.
L’incapacità da parte della pubblica amministrazione – centrale e locale – di accompagnare adeguatamente il processo rappresenta il maggiore ostacolo ad uno sviluppo equilibrato e dinamico delle energie rinnovabili. Naturalmente, quando l’economia si muove in assenza
di regole certe, trasparenti e omogenee, la possibilità che anche i fenomeni più virtuosi
diventino occasione per comportamenti e vicende invece poco trasparenti è reale. Questo
sicuramente in qualche caso è avvenuto e sta avvenendo, e purtroppo poi questo getta una
luce molto sfavorevole, almeno dal punto di vista di alcuni media, su tutto il fenomeno.
Le direttive europee, le leggi e i meccanismi nazionali di incentivazione per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile hanno ragion d’essere per il costo ancora elevato
del kWh generato da queste fonti non inquinanti. I meccanismi di supporto per le rinnovabili
rappresentano per la comunità un investimento per il futuro, in quanto un ricorso sempre più
esteso a tali fonti di energia permetterà di evitare costi sociali ed ambientali ingenti.
La legislazione nazionale in merito alle fonti da energie rinnovabili, ed in particolare
all’eolico, ha visto in Italia il succedersi di tre fasi temporali distinte, in ognuna delle quali
si è avuto un ampliamento e rafforzamento delle misure normative di sostegno allo sfrutta-
31
Energia eolica e sviluppo locale
mento di tali fonti (Cfr. Togni, 2008). Di seguito, si delineano le caratteristiche salienti di
ciascuna fase.
4.1 La prima fase (1988-1997)
Nella prima fase compaiono i primi strumenti governativi di un certo rilievo a sostegno
delle fonti rinnovabili in generale e dell’eolico in particolare. Tali strumenti sono stati il Piano
energetico nazionale del 1988, che stabilisce un obiettivo di 300-600 MW di eolico installati
nel 2000, le leggi 9/9119 e 10/91, quest’ultima che prevede dei contributi a fondo perduto
erogati dalle Regioni per studi di fattibilità in materia di energie rinnovabili e per l’insediamento di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.20
Ma, soprattutto il successivo provvedimento CIP 6/92, che stabilisce prezzi incentivanti per la cessione all’ENEL di energia elettrica prodotta con impianti a fonti rinnovabili
o “assimilate”.21 Quest’ultimo provvedimento determina, per l’energia eolico, un prezzo di
cessione composto da due voci:
• voce 1: costi evitati (di esercizio, di manutenzione e spese generali, di combustibile)
dall’ENEL e riconosciuti per l’intera vita dell’impianto;
• voce 2: sovraccosti correlati ai maggiori costi della specifica tipologia di impianto a
carico del produttore, riconosciuti soltanto per i primi 8 anni.
Tra le altre prescrizioni, vi sono gli oneri di allacciamento che, per le fonti rinnovabili e
nelle regioni con deficit energetico, sono fissati nella misura di 1/3 a carico dell’autoproduttore e per 2/3 a carico dell’ENEL.
Successivamente, con due decreti del Ministero dell’Industria (luglio 1996 e gennaio
1997) è stato confermato che i prezzi di cessione del provvedimento CIP 6/92 devono essere
pagati per gli impianti già realizzati, in corso di realizzazione, o inclusi sino alla sesta graduatoria al 30 giugno 1995. Gli impianti eolici potenzialmente beneficiari della tariffa CIP
6/92 assommano così ad una potenza complessiva di poco superiore ai 700 MW.
4.2 La seconda fase (1998-2002)
Nella seconda fase, il quadro normativo italiano a sostegno delle fonti rinnovabili ha
subito profonde modifiche originate dalla necessità di rispettare gli impegni presi nelle sedi
internazionali e di trovare delle misure di incentivazione che fossero sostenibili per le casse
dello Stato. Le principali tappe sono state:
• la Delibera CIPE del 19.11.1998 “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra” adottata con l’obiettivo di avviare le azioni necessarie
a rispettare gli impegni internazionali nel settore dell’ambiente, che sono in particolare
19 La Legge 9/91, Norme per l’attivazione del nuovo piano energetico nazionale. Aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed
elettrodotti, idrocarburi, geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali, definisce le modalità di immissione di energia prodotta
da fonti rinnovabili (trasporto, scambio, cessione totale, cessione di eccedenza) e, soprattutto, stabilisce con l’art. 22 che la
produzione di energia da fonte rinnovabile non sia più sottoposta a riserva di esclusiva a favore dell’ENEL, che allora era ancora
un ente pubblico economico.
20 La legge 10/91, Attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico
e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, consente l’esproprio per causa di pubblica utilità delle aree sulle quali insediare
impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in quanto considerate “opere di pubblico interesse e di pubblica utilità” e, quindi, prioritarie anche dal punto di vista dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche.
21 Il CIP 6/92 ha stimolato la diffusione delle fonti rinnovabili, ma i benefici maggiori sono stati appannaggio delle cosiddette “assimilate” (tra queste il processo di cogenerazione ha assorbito una quota rilevante delle risorse economiche disponibili),
che di fatto hanno ridotto i finanziamenti disponibili e, successivamente hanno portato al blocco del provvedimento stesso per
mancanza di fondi (Cfr. Pirazzi e Garribba, 2004:41).
32
4. Il quadro normativo nazionale
connessi con il Protocollo di Kyoto. La delibera indica sei azioni nazionali, tra le quali una
riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili. Il CIPE stima di ottenere al 2008-2012
una riduzione delle emissioni di 95-112 Mt di CO2, di cui 18-20 Mt attraverso il contributo
delle fonti rinnovabili;
• il Decreto legislativo 79/99 (cosiddetto “Decreto Bersani”) inerente il recepimento della
Direttiva europea 96/92/CE sul mercato interno dell’elettricità che definisce le linee generali del riassetto del settore elettrico in Italia. Al fine di avviare una graduale liberalizzazione
del mercato elettrico italiano, stabilisce importanti innovazioni nei settori della produzione,
della trasmissione e della distribuzione dell’energia elettrica, nelle attività di importazione
ed esportazione, nelle fonti rinnovabili, nelle concessioni idroelettriche, e nel nuovo assetto societario dell’ENEL. Viene stabilita la creazione di tre figure istituzionali: Gestore della
Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN), Gestore del Mercato Elettrico (GME) e l’Acquirente
Unico (AU). Ai produttori di energia elettrica convenzionale (da combustibili fossili) viene
fatto obbligo di immettere nella rete elettrica nazionale, fino dal 2001, la quota del 2%
di energia da fonti rinnovabili, e in attuazione delle disposizioni dell’art. 11, in data 11
novembre 1999 è emanato un decreto del Ministro dell’Industria recante le “Direttive per
l’attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi
1, 2 e 3 dell’articolo11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79”. L’aspetto principale
riguarda l’introduzione del meccanismo dei certificati verdi per colmare la differenza tra il
prezzo di produzione degli impianti eolici e da altre fonti rinnovabili e il prezzo riconosciuto
dal mercato. Tale meccanismo è sorretto dalla domanda obbligatoria imposta ai produttori
e importatori di energia elettrica convenzionale. I proprietari degli impianti energetici certificati dal GRTN come impianti alimentati da fonti rinnovabili (IAFR), per i primi 8 anni
di esercizio successivi al periodo di collaudo e di avviamento, hanno diritto ai certificati
verdi, di valore pari o multiplo di 100 MWh.22 Tali titoli rappresentano una certificazione di
produzione da fonti rinnovabili e sono emessi dal gestore della rete elettrica nazionale. Per
quanto riguarda la contrattazione dei certificati verdi, il gestore del mercato, di cui all’art.
5 del decreto legislativo 79/99, nell’ambio della contrattazione nel mercato elettrico,
organizza il loro scambio nella sede predisposta. Questi sono oggetto di libero mercato tra
soggetti detentori degli stessi e i produttori-importatori, soggetti all’obbligo di cui all’art.
11, commi 1 e 2 del decreto legislativo 79/99 (immissione nella rete elettrica nazionale
del 2% di energia da fonti rinnovabili) anche al di fuori della sede suddetta. In caso di
impossibilità di immettere energia elettrica da fonti rinnovabili in quantità sufficiente, i
produttori possono assolvere l’obbligo comprando ed annullando certificati verdi prodotti
da terzi per un pari quantitativo. In sintesi, i produttori di energia da fonti convenzionali
(fossili) che non riescono a produrre energia da fonti rinnovabili con impianti propri in
quantità pari o superiore ai propri obblighi possono acquistarla, sotto forma di certificati
verdi, da altri produttori sulla borsa del gestore del mercato elettrico o tramite contratti
bilaterali. Gli impianti incentivati dal CIP 6/92, che entrano in servizio dopo il 1° aprile
1999, hanno diritto ai certificati verdi, il proprietario dei quali è il GRTN,23 che li immette
sul mercato a un prezzo corrispondente, grosso modo, alla differenza tra il costo d’acquisto
e quello di vendita della relativa energia;
22 La Legge 239/04 (Legge Marzano) ha poi ridotto a 50 MWh la taglia del certificato verde., mentre la Legge 244/07 (Legge
Finanziaria 2008) la porta a 1 MWh.
23 Le cui competenze oggi sono assolte da Terna SpA e dal Gestore dei Servizi Elettrici (GSE). A quest’ultimo è affidato il
compito di gestire il sistema di incentivazione.
33
Energia eolica e sviluppo locale
• la Conferenza nazionale energia e ambiente, organizzata dall’ENEA (Roma, novembre
1998) ha costituito un momento di riflessione e revisione delle politiche energetiche in corso
nel paese, fissando innanzitutto l’imprescindibilità dello sviluppo energetico dalla sostenibilità ambientale. Tra le iniziative di maggior rilievo, intraprese dal governo nell’ambito di tale
conferenza, si deve annoverare la sottoscrizione del Patto per l’energia e l’ambiente. Il patto,
che ha come interlocutori le amministrazioni centrali e locali, le parti sociali, gli operatori
e gli utenti, fissa le regole e gli obiettivi generali di un costruttivo e innovativo rapporto
tra le parti. È la necessaria premessa per la sottoscrizione di accordi volontari, settoriali o
specifici. In questo contesto si colloca l’Accordo di programma per la realizzazione delle iniziative sulle fonti rinnovabili incluse nelle prime sei graduatorie del provvedimento CIP 6/92.
Il primo pacchetto di tale Accordo diviene operativo ed è riferito all’eolico;
• l’approvazione da parte del CIPE, del Libro bianco per la valorizzazione energetica delle
fonti rinnovabili (6 agosto 1999), documento che testimonia l’importanza attribuita dal
governo allo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili. Il Libro bianco individua, per ciascuna fonte rinnovabile, gli obiettivi che devono essere conseguiti per ottenere le riduzioni
di gas serra, indicate dal CIPE grazie alle energie rinnovabili, indicando le strategie e gli
strumenti necessari per raggiungere lo scopo. Per l’eolico, l’obiettivo fissato al 2008-2012 è
la potenza installata di 2.500 MW. Inoltre, tale documento recepisce appieno le indicazioni
espresse nel Libro bianco dell’UE: “Il ruolo degli Stati membri nell’attuazione dei piani d’azione (indicati nel documento europeo) è cruciale. Essi devono decidere i loro obiettivi specifici
nell’ambito del quadro più generale ed elaborare le proprie strategie nazionali per conseguirli”;
• il Parlamento italiano, con Legge 120 del 1° giugno 2002, ha ratificato il Protocollo di
Kyoto sul cambiamento climatico. Il Ministero dell’Ambiente ha emanato un “Piano nazionale
per la riduzione del gas serra”, approvato anche dal CIPE nel dicembre 2002, con l’obiettivo di
ridurre gradualmente l’emissione dei gas serra in Italia. Nell’agosto del 2002 il CIPE ha anche
approvato il documento per lo sviluppo sostenibile, nel quale si annette grande importanza
alle azioni che verranno intraprese dalle singole Regioni per promuovere sul territorio nazionale lo sviluppo delle centrali da fonti rinnovabili. Con questa operazione di decentramento
si intendono favorire interventi zona per zona mirati allo sviluppo della produzione di energia
da fonte rinnovabile.
4.3 La terza fase (2003-presente)
La terza fase inizia con l’approvazione del Decreto legislativo 383/2003 in recepimento
della direttiva 2001/77/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla
promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.24 Nel Decreto legislativo 387 vengono univocamente definite ed elencate
le fonti rinnovabili, dette anche “non fossili”. Al fine di controllare l’evoluzione del mercato
delle fonti rinnovabili, entro il 30 giugno 2005 e di seguito ogni due anni, il Ministero delle
24 Con la Direttiva 2001/77/CE l’Europa sancisce la necessità di sviluppare in via prioritaria la promozione di energie rinnovabili, per favorire la sostenibilità ambientale, per avvicinarsi agli obiettivi di Kyoto e per la consapevolezza che in questo modo
si possa contribuire allo sviluppo locale, creando occupazione e coesione sociale. Con prima scadenza il 27 ottobre 2002, e in
seguito ogni 5 anni, gli Stati membri si impegnano a contribuire allo sviluppo sostenibile attraverso una sorta di dichiarazione
di intenti con la quale si intende stabilire gli obiettivi per i 10 anni successivi, che ogni Stato si propone di raggiungere in
termini di consumi di elettricità prodotta da fonti rinnovabili. La stessa Direttiva prevedeva che entro il 2003 gli Stati membri
definissero criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori per garantire l’origine dell’elettricità prodotta da fonte energetiche
rinnovabili, e le misure necessarie ad assicurare che i gestori delle reti di trasmissione e di distribuzione garantissero la trasmissione e la distribuzione dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili.
34
4. Il quadro normativo nazionale
Attività Produttive (oggi Ministero dello Sviluppo Economico), di concerto con il Ministero
dell’Ambiente, col Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Conferenza Unificata, dovrà
presentare una relazione al Parlamento, sulla base dei dati del Gestore della rete e dell’Osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili (istituito dallo stesso decreto, ma poi chiuso nel
2005).
Nel decreto 387 viene stabilito, inoltre, che la quota di energia da fonti rinnovabili deve
crescere dello 0,35% all’anno nel periodo 2004-2006, disponendo che gli incrementi annuali
per i periodi 2007-2009 e 2010-2012 vengano emanati dal Ministero dell’Ambiente, sentita
la Conferenza Unificata.25
Altro aspetto importante riveste l’istituzione della Garanzia di origine dell’energia, rilasciata dal Gestore della rete, su richiesta del produttore, a garanzia della provenienza da fonte
rinnovabile dell’elettricità prodotta.26
Al fine di semplificare l’iter autorizzativo degli impianti a fonte rinnovabile, l’art. 12
del decreto 387 stabilisce un’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o da altro ente
indicato dalla stessa che deve prevedere anche il ripristino dello stato dei luoghi una volta che l’impianto non sia più produttivo.27 All’autorizzazione unica si arriva attraverso un
procedimento unico convocato dalla Regione, al quale partecipano tutte le amministrazioni
coinvolte, al fine di snellire, semplificare ed accorciare i tempi delle autorizzazioni. Il procedimento unico deve terminare entro 180 giorni dall’inizio dell’iter autorizzativo. Le procedure
di approvazione degli impianti devono però sottostare alle Linee guida redatte in Conferenza
Unificata dai ministri delle Attività Produttive (oggi Sviluppo Economico), dell’Ambiente e
dei Beni Culturali, i quali dovranno definire le modalità di coretto inserimento degli impianti,
con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio.28 In funzione di tali Linee guida
le Regioni possono procedere all’indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di produzione. L’articolo prevede, inoltre, che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e le opere connesse, come le infrastrutture
necessarie alla costruzione e all’esercizio degli impianti, debbano considerarsi di pubblica
utilità, indifferibili ed urgenti.
Le condizioni di vendita dell’energia al Gestore della rete per impianti a fonti rinnovabili
con potenza fino a 10 MVA, viene stabilita dalla delibera n. 34 del 2005 dell’AEEG (Autorità
per l’Energia Elettrica e il Gas). In particolare, all’art. 4 viene stabilito che a tali impianti
viene garantito un prezzo dell’elettricità pari al prezzo di cessione dall’Acquirente unico alle
imprese distributrici di energia per la vendita al mercato vincolato, come definito dall’art.
30 comma 30.1, lettera a), del Testo integrato. Su richiesta del produttore, all’atto della stipula della convenzione, viene riconosciuto un prezzo unico indifferenziato per fasce orarie,
25 La Legge Finanziaria 2008 (L. 244/07), con riferimento alla produzione energetica degli anni 2007-2012, ha incrementato
a 0,75 punti percentuali la quota parte di incremento annuale di produzione da rinnovabili rispetto all’anno precedente.
26 La Garanzia di origine prende il posto della certificazione di provenienza dell’energia prodotta da fonti rinnovabili prevista
dall’art. 5 comma 9 del DM 11 novembre 1999.
27 Per i parchi eolici, la Legge Finanziaria 2008 (L. 244/07) prevede che l’approvazione unica costituisca, ove necessario,
variante allo strumento urbanistico. Inoltre, per impianti di potenza inferiore ai 60 kW si applica la procedura di Dichiarazione
di Inizio Attività (DIA).
28 Tali Linee guida nazionali sono state emanate soltanto nella seconda metà del 2010. Nel dicembre 2006 sono state redatte
delle Linee guida unicamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in risposta alla ratifica da parte del governo della
Convenzione europea del paesaggio, firmata il 14 gennaio 2006. Pertanto per quasi sette anni le Regioni non hanno potuto
disporre di un chiaro indirizzo condiviso, con evidenti conseguenze nel mancato coordinamento e nella chiarezza dei procedimenti autorizzativi relativi agli impianti di produzione di energia eolica. Ad esempio, spesso alle aree definite non idonee non
ha corrisposto un’individuazione dei vincoli che ne stabilivano la non idoneità, aumentando lo stato di indeterminatezza del
settore. Da notare che le linee guida approvate prima del 2010 dalle Regioni Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna e Molise sono
state dichiarate, in parte o in toto, illegittime da sentenze della Corte Costituzionale.
35
Energia eolica e sviluppo locale
determinato dall’Acquirente unico. Nella stessa delibera, vengono definiti dei prezzi minimi
garantiti per l’elettricità prodotta da impianti con potenza fino a 1 MW, stabiliti per scaglioni
di produttività.
La delibera n. 281 del 2005 dell’AEEG stabilisce le regole per la connessione degli impianti alla rete elettrica. Tale delibera contempla le regole per la connessione alla rete elettrica di
clienti finali consumatori di energia, di centrali elettriche convenzionali e da fonti rinnovabili. Il proponente dell’impianto di produzione a fonte rinnovabile fa richiesta di connessione al
gestore di rete (che può essere il gestore locale fino a 10 MVA o Terna per potenze superiori).
Il gestore ha l’obbligo di connessione e propone una soluzione tecnica minima. Se accettata
dal proponente l’opera, questi dovrà pagare al gestore un corrispettivo stabilito dal gestore
stesso, che per gli impianti da fonte rinnovabile è ridotto del 50%. Se il proponente l’impianto a fonte rinnovabile realizza a proprie spese l’impianto di connessione alla rete (rispettando
i requisiti tecnici per favorire a sicurezza e la continuità del servizio elettrico), il corrispettivo
da versare al gestore di rete è pari a zero.
I rapporti tra il gestore di rete ed il proponente l’impianto vengono regolati mediante
apposito contratto di connessione, redatto sulla base delle condizioni elencate nella delibera
281. La convenzione riguardante connessioni di impianti a fonti rinnovabili ha la priorità
sulle altre e deve concludersi entro 180 giorni.
Il decreto del 24 ottobre 2005 del Ministero delle Attività Produttive, aggiorna le direttive per l’incentivazione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.29 È stabilito che la produzione netta di elettricità da fonti rinnovabili ha diritto, per i primi 8 anni di esercizio successivi
all’entrata in esercizio commerciale, ai certificati verdi.30 Il certificato verde ha un valore
unitario di 50 MWh, viene emesso dal gestore di rete entro 30 giorni, su comunicazione del
produttore relativamente alla produzione netta da fonte rinnovabile imputata all’anno precedente. La produzione è arrotondata al 50 MWh con criterio commerciale. Su richiesta del produttore, sono emessi certificati verdi sulla producibilità31 attesa dell’anno in corso e dell’anno
successivo. Il Gestore di rete provvede, con cadenza triennale, alla verifica di congruità tra
valori di produzione attesi ed i valori dichiarati dai produttori e certificati dall’Ufficio tecnico
di finanza (Utf). I certificati verdi sono oggetto di libero mercato sia all’interno della sede
prevista e preparata dal Gestore di rete, sia al di fuori di tale sede.
Il Gestore della rete pubblica, con cadenza annuale, un bollettino informativo contenente l’elenco degli impianti a fonti rinnovabili in esercizio, in costruzione ed in progetto con
qualifica delle garanzie di origine emesse e dei certificati verdi emessi.32
Successivamente, il sistema dei certificati verdi è stato modificato dalla Legge 244/07
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria
2008), da un Decreto ministeriale collegato del 12.12.200833 e dalla legge 99/09. Il Decreto
Bersani del 1999 imponeva un obbligo agli operatori che immettono in rete più di 100 GWhe/
29 Il decreto stabilisce anche che tutti i produttori e gli importatori di elettricità devono autocertificare le importazioni di
energia non rinnovabile al gestore di rete. Per la quota parte di energia importata di provenienza rinnovabile, il soggetto può
chiederne l’esenzione dal conteggio relativo alla quota di energia da bilanciare con fonti rinnovabili, come stabilito dal D.lgs. 387.
30 Dall’attribuzione dei certificati verdi sono esclusi gli impianti alimentati da fonti assimilate.
31 La producibilità di un aerogeneratore viene espressa in MWh e va intesa come numero di ore annue di funzionamento alla
piena potenza nominale (espressa in MW).
32 Nel novembre 2005, il gestore di rete ha pubblicato la Procedura di qualificazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili. Edizione n. 2. In tale documento, sono sinteticamente riportati i passi che i proponenti devono intraprendere per arrivare
alla qualifica dei propri impianti alimentati a fonti rinnovabili (IAFR). Nella procedura sono previsti sia gli impianti nuovi che i
rifacimenti parziali e totali, nonché le riattivazioni di vecchi impianti, riguardanti tutte le tipologie di impianti da fonti rinnovabili.
33 Il decreto “Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell’articolo 2, comma 150, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244” è stato adottato il 18 dicembre 2008 dal Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto col
36
4. Il quadro normativo nazionale
anno che almeno il 2% dell’elettricità provenisse da impianti a fonti rinnovabili entrati in
esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva al
1/4/99. Tale obbligo è stato incrementato dello 0,35% dal 2004 al 2006 e dello 0,75% dal
2007 al 2012. La Legge 99/09 trasferisce tale obbligo sui soggetti che concludono con Terna
contratti di dispacciamento di energia elettrica in prelievo.
Alla produzione degli impianti alimentati da fonte rinnovabile entrati in esercizio prima
del 2008, che abbiano ottenuto la qualifica IAFR, viene associato un certificato verde ogni
MWhe/anno prodotto (in caso di nuova costruzione, rifacimento o riattivazione). I certificati
verdi vengono emessi, ai fini dei riconoscimenti previsti dal Decreto Bersani, per:
• 12 anni in base all’art. 267 comma 4 lettera D del D.lgs. 152/06, per tutti gli impianti
alimentati da fonti rinnovabili, entrati in esercizio dal 1-4-99 al 31-12-07;
• 15 anni per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dal 2008.34
Gli impianti a fonte rinnovabile entrati in esercizio dal 2008 a seguito di nuova costruzione, rifacimento o potenziamento, riceveranno per 15 anni certificati verdi pari al
prodotto della produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili moltiplicata per un
coefficiente, riferito alla tipologia della fonte. Per questa tipologia di impianti viene inoltre
riconosciuta una tariffa fissa omnicomprensiva stabilita in funzione della potenza nominale
dell’impianto e variabile a seconda della fonte utilizzata. La tariffa fissa viene riconosciuta
in alternativa al sistema dei certificati verdi e dello scambio sul posto (accessibile, per impianti entrati in esercizio dal 2008, per taglie di potenza comprese tra 20 kW e 200 kW) per
gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza non superiore ad 1 MW (200 kW per
gli impianti da fonte eolica), entrati in esercizio dal 2008. Il coefficiente moltiplicativo e
la tariffa fissa potranno essere rivisti ogni 3 anni, con Decreto Ministeriale, assicurando la
congruità della remunerazione ai fini dell’incentivazione dello sviluppo delle fonti energetiche
rinnovabili.
Il produttore può decidere di utilizzare i certificati verdi per assolvere al suo obbligo
ovvero di cederli a terzi secondo le seguenti modalità:
1. cessione diretta tramite contratto bilaterale;
2. cessione ad un intermediario;
3. vendita sulla piattaforma della Borsa dei certificati verdi;
4. cessione al GSE al prezzo pieno di riferimento.
Di norma la cessione avviene per i casi 1. e 2. al prezzo di riferimento del GSE con uno
sconto di qualche punto percentuale, per la vendita in borsa ad uno sconto ancora inferiore
ed al GSE al prezzo pieno. I certificati verdi rilasciati per le produzioni riferite agli anni fino
a tutto il 2010, vengono ritirati su richiesta dei detentori nel triennio 2009-2011, dal GSE,
ad un prezzo pari al prezzo medio di mercato del triennio precedente all’anno nel quale viene
presentata la richiesta di ritiro.35
In sintesi, in base alla Finanziaria 2008, entro il mese di giugno di ciascun anno, fino al
raggiungimento dell’obiettivo minimo della copertura del 25% del consumo interno di enerMinistro dell’Ambiente, e dà attuazione ai meccanismi di incentivazione già introdotti dalla Legge 24 dicembre 2007, n. 244
(Legge Finanziaria 2008) e dalla Legge 29 novembre 2007, n. 222 (Collegato alla Finanziaria 2008).
34 I certificati verdi vengono anche emessi per 8 anni per impianti alimentati da rifiuti non biodegradabili, qualificati ed
entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2006 e impianti di cogenerazione abbinata a teleriscaldamento alimentati da fonte non
rinnovabile. Inoltre, sono riconosciuti ulteriori 4 anni al 60% agli impianti alimentati da biomasse da filiera entrati in funzione
prima del 2008 o da rifiuti non biodegradabili entrati in esercizio da febbraio 2004 e dicembre 2006. Si segnala infine che il D.L.
78/09 come convertito dalla Legge 102/09 prevede il rilascio di certificati verdi per l’energia elettrica associata a calore utile
prodotta da impianti di cogenerazione “connessi ad ambienti agricoli”.
35 Così come previsto dall’art. 2, comma 149, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 e dall’art. 15, comma 1, del decreto
del Ministro dello sviluppo economico 18 dicembre 2008.
37
Energia eolica e sviluppo locale
gia elettrica con fonti rinnovabili (e di successivi aggiornamenti derivanti dalla normativa
dell’Unione Europea), il GSE è tenuto a ritirare, su richiesta del produttore, i certificati verdi
in scadenza nell’anno in eccesso rispetto a quelli necessari per assolvere all’obbligo dell’anno
precedente a un prezzo pari al prezzo medio riconosciuto ai certificati verdi registrato nell’anno precedente dal gestore del mercato elettrico.36
Inoltre, ai fini di garantire la transizione tra il vecchio e il nuovo sistema di incentivazione introdotto dalla Finanziaria 2008, il D.M. 18 dicembre 2008 ha obbligato il GSE a ritirare,
fino al 2011, tutti i certificati verdi rilasciati per le produzioni fino al 2010 di cui i detentori
richiedevano il ritiro in alternativa alla vendita sul mercato. In questo caso, il prezzo di ritiro
era pari al prezzo medio di mercato del triennio precedente.
Nel corso del 2010 il governo ha elaborato e inviato a Bruxelles il Piano di Azione Nazionale per le fonti rinnovabili (PAN) che rappresenta uno tassello molto importante verso la costruzione di una strategia in grado di raggiungere l’obiettivo generale di un apporto del 17%
delle fonti a energie rinnovabili ai consumi finali lordi nel 2020 e gli altri obiettivi specifici
posti all’Italia dalla direttiva 2009/28/CE.
Intanto, un segnale positivo è arrivato sul fronte autorizzativi nel 2010. Infatti, sono
state definite le “Linee guida per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di
produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”,
previste in base all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e approvate in
Conferenza Unificata l’8 luglio scorso.37 Tali Linee guida sono finalizzate ad armonizzare un
quadro regolatorio e normativo fino a questo momento frammentato e disomogeneo a livello regionale, e stabiliscono i processi autorizzatori per le diverse tipologie e grandezze di
impianto considerato, oltre che le misure di mitigazione e quelle compensative per gli enti
locali ospitanti l’impianto. Le Linee guida dovrebbero contribuire ad accelerare l’iter burocratico soprattutto perché danno finalmente il via libera alla autorizzazione unica: tutti gli enti
preposti a dare il via libera per gli impianti a fonti rinnovabili sono riuniti in una conferenza
di servizi. Chi chiederà un’autorizzazione non deve più sottoporsi allo sfibrante gioco delle
cosiddette sette chiese, ma dovrebbe avere in tempi certi (180 giorni) un parere positivo o
negativo al proprio progetto, con enormi vantaggi su tempi di realizzazione.
Rispetto agli impianti eolici, l’elemento di maggiore interesse contenuto nelle Linee
guida sono le indicazioni da seguire per assicurare il corretto inserimento nel paesaggio e
nell’ambiente naturale degli impianti, oggetto di uno specifico allegato. È indubbio che in un
paese, come l’Italia, ad alta intensità abitativa e varietà naturale del paesaggio, il territorio
è un bene prezioso, sia per la sua relativa scarsità per gli usi primari, agricoli, silvicoli e
zootecnici, sia per la conservazione di habitat necessari alla biodiversità. Per tale motivo l’attenzione principale è posta sull’impatto paesaggistico dell’impianto eolico, la cui “visibilità”
si estende ben oltre il territorio impattato direttamente o indirettamente per l’installazione
delle torri. In particolare, le linee guida stabiliscono che per l’eolico che il Ministero dei
beni culturali e la soprintendenza partecipa sia nell’ambito di istruttoria di VIA per impianti
superiori ad 1 MW anche non vincolati, sia per impianti inferiori alla soglia precedente, ma
ricadenti in aree sottoposte a tutela.
36 In sostanza, il prezzo riferito all’acquisto dei certificati verdi da parte del GSE è il risultato della differenza tra il valore
di riferimento pari a 180 euro/MWh e il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia. L’AEEG con Delibera 24/2008 ha
determinato tale valore di cessione in 67,12 euro/MWh, che detratto dai 180 euro dà il prezzo dei certificati verdi emessi dal
GSE, ovvero 112,88 euro/MWh.
37 In questi anni, in mancanza di Linee guida nazionali, si è prodotta una proliferazione di Linee guida regionali disomogenee che hanno reso difficoltoso operare in un panorama nazionale contraddistinto da atteggiamenti e prescrizioni estremamente
diversificate.
38
4. Il quadro normativo nazionale
Line Guida nazionali e regionali e l’individuazione dei siti non idonei
Al fine di accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle Linee guida nazionali, le Regioni e le
Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di impianti secondo le modalità e sulla base dei criteri previsti dalle Linee guida
stesse. L’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita
istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del
paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità
e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento,
in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero,
pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli
esiti dell’istruttoria dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea
in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità
riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate. Tra i siti che sono
dichiarati non idonei per la localizzazione di impianti eolici da parte delle Linee guida nazionali
figurano tra gli altri:
• i siti inseriti nel patrimonio mondiale dell’Unesco e le aree ed i beni di notevole interesse culturale e pubblico;
• zone all’interno di coni visuali la cui immagine è storicizzata e identifica i luoghi anche in termini
di notorietà internazionale di attrattività turistica;
• zone situate in prossimità di parchi archeologici e nelle aree contermini ad emergenze di particolare interesse culturale, storico e/o religioso;
• le aree naturali protette ai diversi livelli (nazionale, regionale, locale);
• le zone umide di importanza internazionale designate a i sensi della Convenzione di Ramsar;
• i siti che fanno parte della rete Natura 2000 istituiti ai sensi dell’art. 6 della direttiva 92/43/
CE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna
selvatiche, recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 5 del Regolamento di attuazione DPR 357/97
e successive modificazioni. Tali siti sono costituiti dalla ZPS (Zone di Protezione Speciale) dedicate
alla protezione dell’avifauna, che derivano dall’applicazione della direttiva 79/409/CE, e dai SIC (Siti
di Importanza Comunitaria) che derivano dalla applicazione della direttiva 92/43/CE e che sono designati come ZSC (Zona Speciale di Conservazione) dal ministero dell’Ambiente, d’intesa con ciascuna
Regione interessata;
• le Important Bird Areas (IBA);
• le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità (produzioni biologiche,
produzioni DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al
contesto paesaggistico-culturale.
Infine, è importante sottolineare che il sistema dei certificati verdi introdotto dalla Finanziaria 2008 è stato messo in discussione dall’articolo 45 Decreto Legge 31 maggio 2010,
n. 78, rubricato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica” e pubblicato in G.U. 31 maggio 2010, n. 125, S.O (cd. “Manovra Economica”), che
prevedeva l’abolizione dell’obbligo da parte del GSE di ritirare, ogni anno, i certificati verdi
prodotti in eccesso rispetto alla quantità che i produttori di energia convenzionale sono tenuti ad acquistare. Il provvedimento ha scatenato l’immediata reazione da parte del settore
della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. La maggior parte degli operatori
riteneva che il sistema istituito per il triennio 2009-2011 sarebbe stato prorogato almeno
per un altro triennio, oppure reso stabile con qualche meccanismo di verifica e valutazione
39
Energia eolica e sviluppo locale
permanente per il suo adeguamento (anche in considerazione delle dinamiche di riduzione
dei costi delle tecnologie), in modo da dare maggiore certezza e continuità agli investimenti,
mentre nessuno certamente aveva previsto che potesse essere abrogato.
Negli ultimi anni, i produttori di energia rinnovabile sono diventati sempre più numerosi,
incoraggiati dal generoso sistema di incentivi, tanto che l’offerta di energia rinnovabile (e
quindi di certificati verdi) è divenuta superiore agli obblighi di acquisto, imposti ai produttori da fonti convenzionali.38 Per questo motivo, la Finanziaria 2008 ha introdotto l’obbligo
per il GSE di ritirare l’eccesso di certificati venduti in Borsa. La sovrapproduzione di certificati
verdi ad opera dei produttori di energia da fonti rinnovabili è un problema perché aumentando l’offerta fa calare i prezzi di vendita dei certificati e, quindi, la redditività degli investimenti. Trattandosi inoltre di beni non indefinitamente tesaurizzabili (devono essere utilizzati
entro tre anni dalla emissione), i produttori che non riescano a venderli sono ancor più penalizzati rispetto a quelli che li hanno venduti a prezzi resi bassi da un mercato “lungo”. La
scelta operata dal legislatore nella Finanziaria 2008 è stata quella di istituire un meccanismo
di acquisto dei certificati rimasti invenduti ed in scadenza, da parte del GSE, ad un prezzo
fisso. Tale meccanismo, secondo l’AEEG, avrebbe avuto un costo, per il solo anno 2009, pari a
630 milioni di euro. Fra l’altro, tale costo non è sostenuto dalle casse dello Stato, in quanto
le risorse in oggetto sono ricavate dalla componente tariffaria A3 della bolletta elettrica, a
carico della generalità degli utenti, mentre, invece, il provvedimento avrebbe potuto causare
addirittura minori entrate di IVA dai mancati investimenti. C’è anche da considerare il fatto
che il settore bancario ha investito circa 6,8 miliardi di euro per finanziare le centrali eoliche
in esercizio ed un’eventuale crollo del prezzo dei certificati verdi metterebbe in difficoltà anche questi affidamenti in essere.39 Da ultimo, è stato sottolineato come il freno agli incentivi
sulle rinnovabili, come disposto dalla manovra, avrebbe esposto l’Italia al rischio probabile
di future sanzioni.
Le alternative per ristabilire un riequilibrio dei fondamentali (domanda e offerta), tale da
consentire lo sviluppo delle iniziative necessarie al raggiungimento dell’obiettivo del settore
elettrico al 2020 – da alcune parti caldeggiate – sarebbero quelle di agire sulla parte di costi
relativa al finanziamento “CIP 6”, che prevede, ancora oggi, ingenti finanziamenti alle fonti
assimilate,40 peraltro già assegnati in anni in cui era necessario aumentare la produzione di
energia in Italia e nuovamente ampliati in tempi recenti (si pensi, ad esempio, che gli impianti che bruciano rifiuti potrebbero essere finanziati dal CIP 6 anche per la parte non biodegradabile), o di allargare la base di calcolo dell’obbligo di restituzione dei certificati verdi
(cancellando per esempio alcune delle molte esclusioni) o di aumentare la quota di obbligo
38 A metà 2010, i certificati emessi dal GSE erano circa 11 TWh a fronte di una domanda dei soggetti obbligati di circa 7 TWh
all’anno, quindi con uno scarto tra domanda e offerta pari a 3 TWh.
39 Altri 5,6 miliardi di euro sono stati impegnati da banche italiane ed estere nel settore fotovoltaico.
40 Secondo i dati forniti dall’AEEG, gli incentivi per le rinnovabili, infatti, pesano per meno della metà del totale degli oneri
di sistema caricati sulle bollette elettriche degli italiani: nel 2010 circa 2,7 miliardi di euro (69% della componente A3) su un
totale di oltre 5,8 miliardi di euro. Gli oneri per le rinnovabili nel 2010 sono stati distribuii nel modo seguente:
• 940 milioni di euro (34%) per i certificati verdi ritirati dal GSE;
• 777 milioni di euro (28%) per il CIP 6 (impianti effettivamente rinnovabili);
• 826 milioni di euro (30%) per il fotovoltaico;
• 213 milioni di euro (8%) per l tariffa omnicomprensiva.
Tra gli oltre 3 miliardi di euro non destinati alle rinnovabili nel 2010 ci sono stati:
• oltre 1,2 miliardi di euro (31% della componente A3) per il CIP 6, che seppure in esaurimento incentiva le assimilate, un
incentivo al fossile, in verità;
• 285 milioni di euro (5% sul totale degli oneri) destinati all’eredità nucleare;
• 355 milioni di euro (6% sul totale degli oneri) le agevolazioni che riguardano le Ferrovie dello Stato.
Infine, c’è da considerare che su tali oneri i consumatori elettici che ne sostengono il peso, debbono pagarci anche l’IVA come
se acquistassero un bene o un servizio: un miliardo di euro nel 2010 (17% sul totale degli oneri).
40
4. Il quadro normativo nazionale
(6,80% per il 2011) da parte dei soggetti obbligati (produttori e importatori da fonti convenzionali). In tal modo si ripartirebbe l’onere sulle imprese obbligate alla restituzione, cosa
che permetterebbe di regolare il mercato in modo più naturale senza “drogare” la domanda.
I commenti all’art. 45 del Decreto Legge contenente la Manovra Economica sono stati da
subito accesi e contrari all’intervento. Associazioni di categoria ed imprenditori del settore
del rinnovabili hanno espresso la loro forte perplessità, sostenendo che in ogni caso qualsiasi
aggiornamento del sistema di incentivazione dovrebbe avere una durata almeno quinquennale ed essere pubblicato con un congruo anticipo che tenga conto del time-to-market delle
iniziative rispetto al momento dell’applicazione, tale da consentire l’adeguamento delle strategie degli operatori coinvolti. Le stesse istituzioni (GSE in testa) hanno palesato una certa
difficoltà ad ipotizzare le conseguenze sul mercato dei certificati verdi. Anche i lavori parlamentari per l’approvazione della Legge di conversione del D.L. 78/2010 hanno evidenziato
tale spaesamento. Dopo varie ipotesi di emendamento la soluzione è stata trovata all’interno
del maxi emendamento adottato in Senato e confermato alla Camera con il ricorso alla fiducia
il 28 luglio scorso. Il Disegno di Legge S. 2228, di “Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica”, è stato infatti definitivamente approvato alla Camera il 29 luglio e il testo dell’art. 45 “Disposizioni in materia di certificati verdi e di convenzioni
CIP6/92” è il seguente:
[…] 3. All’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dopo il comma 149 è inserito il
seguente: «149-bis. Al fine di contenere gli oneri generali di sistema gravanti sulla spesa energetica di famiglie ed imprese e di promuovere le fonti rinnovabili che maggiormente contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi europei, coerentemente con l’attuazione della direttiva
2009/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita
l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, da emanare entro il 31 dicembre 2010, si assicura che
l’importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi di cui al comma
149, a decorrere dalle competenze dell’anno 2011, sia inferiore del 30 per cento rispetto a
quello relativo alle competenze dell’anno 2010, prevedendo che almeno l’80 per cento di tale
riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso».
La soluzione è stata quindi quella di prevedere un taglio del 30% del valore dei certificati
verdi rispetto a quello fissato nel 2007. Taglio successivamente (3 marzo 2011) ridotto al
22% con il Decreto Legislativo che dà attuazione ad una direttiva del Parlamento Europeo e
del Consiglio, la 2009/28/CE del 23 aprile 2009 relativa alla promozione dell’uso dell’energia
elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, recante modifica
e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.41 Il decreto, infatti,
prevede che fino alla fine del 2015 il GSE acquisti dal mercato il surplus di certificati verdi
invenduti ad un prezzo pari al 78% di quello massimo di riferimento.
Inoltre, tale provvedimento prevede la definizione di un nuovo sistema di incentivi per
gli impianti da fonti rinnovabili che entrano in esercizio dal 1° gennaio 2013, differenziato
per gli impianti di taglia minore e maggiore. L’art. 22 introduce un meccanismo con aste
competitive al ribasso (per le cui modalità di funzionamento, però si rimanda ai decreti
41 Da notare che il Capo dello Stato ha firmato il decreto con qualche riserva e con l’auspicio che si proceda in tempi brevi
ad aggiustare e correggere/integrare per quanto possibile il decreto stesso attraverso i decreti attuativi che il governo si è
impegnato a varare entro la fine di aprile.
41
Energia eolica e sviluppo locale
attuativi)42 per la definizione del parametri del “regime di sostegno” per impianti con potenza superiore ai 5 MW a partire dal 2013, mentre per quelli fino a 5 MW il meccanismo del feed
in (tutto riconosciuto in tariffa) prenderà il posto dei certificati verdi e sarà differenziato per
fonte e scaglione di potenza. Tale articolo avrebbe impatti negativi sul sistema dei certificati
verdi. Infatti, fra il 2012 e il 2015 la quota d’obbligo di ritiro da parte di produttori da fonti
convenzionali e da importatori verrà ridotta gradualmente e dalla base d’obbligo verrà esclusa
l’energia elettrica importata, con il risultato di ridurne il prezzo sul mercato. Nel complesso,
questo provvedimento - secondo le associazioni e gli operatori del settore – ha creato un
regime di incertezza che mette a rischio la fattibilità e bancabilità di investimenti già decisi
e in fase di progettazione.
Io ho chiesto spesso alla casa madre tedesca di potermi occupare degli altri Paesi del Mediterraneo perché, secondo me, c’è molto da fare. Il vero salto di qualità sarebbe di poter aprire una
fabbrica in Italia. Ma, come si fa ad aprire una fabbrica se non c’è visione e se non c’è chiarezza
su quello che l’Italia vorrà fare nei prossimi anni? Come si fa ad investire qui se dall’oggi al
domani approvano un Decreto che assolutamente non dà chiarezza sul futuro delle rinnovabili,
in particolare su quello dell’eolico? Le “non scelte” sono un freno economico allo sviluppo. Ci
sono molti investitori che hanno deciso che in Italia non ci vengono perché è troppo complicato.
Adesso si sa, ad esempio, quanto varranno i certificati verdi fino alla fine del 2015, dopo non
si sa. Dal momento che tutti i progetti sono in project financing e la banca per definizione è
“conservativa”, come può finanziare un progetto in cui si sa che si ha il ritorno garantito solo
fino al 2015? Allora, c’è chi va avanti e chi decide di no. REpower ha firmato l’ultimo progetto
nel luglio del 2009, poi ne ha firmati degli altri che però non sono ancora partiti, perché sono
in attesa di finanziamento. E non è che noi andiamo male rispetto agli altri. I nostri concorrenti sono nella stessa nostra situazione. I tempi di finanziamento si sono allungati. Quando
ho iniziato io nel 2005, erano di quattro mesi, poi sono diventati otto, adesso da quando si
inizia a parlare con la Banca a quando si arriva alla delibera passa un anno. Si tratta di progetti
economicamente rilevanti, di diverse decine di milioni di euro, quindi non c’è solo una banca a
finanziare, ma un pool di banche. C’è una banca “capogruppo” che poi distribuisce il debito ad
altre banche. Quindi, un progetto “medio” oggi è finanziato da almeno tre banche. Ci vogliono
tre delibere, tre assessment, e ogni banca si adegua alle condizioni “più conservative”. Quindi,
anche per i nostri clienti il processo si presenta difficilissimo. Una volta le banche erano contente di finanziare un parco eolico perché non c’era questa incertezza normativa che oggi invece
c’è (Carlo Schiapparelli, REpower).
Le tensioni che si sono scatenate prima e dopo l’emanazione del Decreto legislativo
hanno fatto emergere posizioni e interessi assai diversi all’interno del mondo industriale e associativo (Cfr. Cianciullo 2011b; Gervasio, 2011; Giliberto, 2011a/b/c/d; Giliberto e Rendina,
2011; Picchio, 2011; Rendina 2011a/b; Savioli, 2011, Valentini, 2011), evidenziando come
attualmente in Italia il peso politico ed economico dell’imprenditoria del settore delle rinnovabili sia ancora molto debole rispetto a quello di altri settori industriali più tradizionali.
Il problema del nostro paese – a differenza di quanto è avvenuto in questi anni con sistemi
di incentivazione tedeschi e spagnoli – è che non si è ancora vista la nascita di una vera filiera
industriale delle rinnovabili “nostrana”. Mentre in Germania e Spagna, gli incentivi hanno portato a costruire aziende grandi locali che oggi comandano il mercato mondiale – a parte i grandi
produttori cinesi -, per l’Italia questo non è successo o quanto meno è successo solo in minima
42 Fin da ora, però, appare chiaro che nell’ambito di un sistema di aste competitive al ribasso, a ottenere il bonus saranno
solo gli impianti che chiederanno al governo incentivi più leggeri.
42
4. Il quadro normativo nazionale
parte. Non abbiamo molti casi. Abbiamo delle piccole e medie realtà produttive che cominciano
ad essere interessanti, però parliamo di alcuni settori specifici, quasi di nicchia. Ad esempio,
nel micro/minieolico ci sono delle realtà industriali che sono dei leader a livello mondiale. Sul
solare termico abbiamo creato una filiera industriale nazionale grazie ad alcuni gruppi industriali come la Merloni. Sul fotovoltaico e sull’eolico industriale questo non è successo. Abbiamo
importato competenze su cui si è innestata qualche possibilità nostrana. Penso, ad esempio,
allo stabilimento di Vestas a Taranto con circa 1.000 persone che ci lavorano. È un impianto
nazionale, ma la Vestas è danese, anche se opera in Italia dal 1968. Lo stabilimento di Taranto
segue i parchi eolici in Italia e quelli situati nell’ambito del Nord Africa e sud dei Balcani. Ci
sono alcune realtà industriali di media grandezza che stanno nascendo in Italia. Nel fotovoltaico, ad esempio, non c’è un’industria italiana. Sta nascendo ora qualche azienda, ma si tratta di
aziende di assemblaggio. Sharp e Enel faranno una filiera più sostanziale, ma parliamo di pochi
megawatt rispetto ai grandi numeri di altri paesi. Il problema più grosso è che non c’è una
filiera industriale di livello pesante, in grado di fare pressione e di evitare che venga emanata
questa normativa negativa. Quando c’è una lobby industriale potente, come c’è in Germania, il
governo non si azzarda a fare cose di questo tipo. Dentro Confindustria, il comparto delle rinnovabili c’è e funziona, però non ha ancora una vera capacità di incidere. Abbiamo un sistema di
PMI interessante, dinamico, attivo, ma non abbiamo i grandi players industriali in grado di dare
sostanza. Questo è un dato oggettivo. Di sicuro, è mancata una politica industriale, ma d’altra
parte questo è un governo che si distingue per l’assenza di politiche industriali per qualsiasi
settore. La mancanza di un Piano Energetico Nazionale è una delle facce di questa assenza.
Gli incentivi per l’industria 2015, messi in piedi dal governo precedente, tenevano a creare una
politica industriale, mentre ora manca un indirizzo in questo senso. Dall’altro, c’è da dire che
forse i nostri industriali non hanno brillato e non hanno compreso l’importanza di creare una
filiera industriale nazionale di grosse dimensioni. Confindustria ha discusso a lungo su questo
tema, ma poi ha fatto poco in questo senso (Domenico Belli, Greenpeace).
Da un lato, le associazioni dei comparti delle rinnovabili – APER, ANEV, Assosolare,
Assoenergie future, GIFI-ANIE, ISES, Grid Parity Project, insieme a quelle ambientaliste prorinnovabili (Legambiente, WWF, Greenpeace, Kyoto Club) e a Rete Imprese Italia, hanno
definito il decreto, “ammazza rinnovabili”, annunciando un’ondata di ricorsi contro il provvedimento e paventando il blocco degli investimenti e la conseguente perdita di migliaia di
posti di lavoro.
Malumori sono stati espressi anche dai dirigenti delle grandi banche italiane (Unicredit,
Banca Intesa San Paolo, Montepaschi, etc.) più esposte nel finanziamento di progetti di centrali rinnovabili, ma soprattutto dall’Associazione delle banche estere in Italia (AIBE) che ha
messo in guardia il governo: se il testo non sarà modificato, risulteranno a rischio non solo
gli investimenti sulle rinnovabili, ma tutti gli investimenti esteri nelle infrastrutture (strade,
autostrade, ospedali) cambiando le regole del gioco in corsa si confermerebbe “un rischio di
inaffidabilità del legislatore italiano, già oggetto di attenzione da parte delle agenzie di rating”
(Lonardi, 2011).
A fronte delle proteste degli operatori delle sole rinnovabili e delle banche, fanno riscontro le posizioni, ben diverse, di molte associazioni dei consumatori e degli stessi operatori
energetici tradizionali, anche quelli che hanno una quota crescente di energie rinnovabili.
Emblematica la posizione espressa dall’amministratore delegato dell’ENEL, Fulvio Conti: il decreto è “positivo, perché sostanzialmente spinge allo sviluppo della tecnologia che progredisce”
(Rendina, 2011a).43
43 Mentre Piero Gnudi, presidente dell’ENEL, ha ricordato che le rinnovabili sono importanti, ma che il posto ideale per
produrle è l’Africa Settentrionale, mentre “il nucleare, se ci fosse stato, ci avrebbe dato una maggiore indipendenza” (Giliberto,
43
Energia eolica e sviluppo locale
La Confindustria ha espresso “viva soddisfazione per la posizione di equilibrio” del governo
perché “le rinnovabili sono un’opportunità di crescita importante per il paese, ma è necessario
evitare inefficienze e distorsioni del mercato”. La razionalizzazione “avrà una ricaduta positiva sul costo dell’energia, fattore determinante per un paese ad alta vocazione manifatturiera”. Poche le posizioni dissonanti rispetto a questa posizione ufficiale dell’associazione44 e
all’interno di Confindustria sono soprattutto i comparti industriali energivori, rappresentati
dal Comitato energia e mercato (il Tavolo della domanda dei consumatori industriali), il cui
vicepresidente Agostino Conte (presidente è la Marcegaglia che ha tenuto per sé la delega
sull’energia) ha espresso apprezzamento per la “una scelta equilibrata, una strada improntata
alla razionalità e all’efficienza, evitando sovraincentivzioni perniciose…”. Ora, i grandi consumatori industriali di energia si attendono che la riduzione degli incentivi alleggerisca le
bollette elettriche.
In un intervento su Il Sole 24 Ore il presidente del Consorzio Grandi Industriali Energivori45 e di Assocarta, Paolo Culicchi (2011), dopo aver dato un giudizio positivo sul decreto
approvato, perché “si avvia un percorso che coniuga efficienza e sviluppo, con una grande
attenzione ai passi da gigante della tecnologia che garantisce un continuo miglioramento delle
performance ed una costante riduzione dei costi delle fonti incentivate”, esprime invece
… preoccupazione per il passo indietro operato con il ritocco del prezzo di ritiro del Certificato
Verde: il ritocco del parametro dal 70% al 78% rappresenta un aumento del costo del 10%,
aumento che si somma alla incentivazione in essere e che è comunque la più alta d’Europa, non
certo una minore diminuzione del certificato, come sembrano avvalorare giornalisti poco attenti
al corretto riscontro delle affermazioni (Culicchi, 2011).
Culicchi riconosce che grandi sono gli interessi in gioco anche all’interno del mondo
industriale “dove è sempre più difficile superare le contrapposizioni alimentate dalle lobby interessate al mantenimento di queste ingiustificate e deleterie rendite”. Per i grandi industriali
energivori, l’energia è un fattore di competitività, un driver della crescita, e quindi c’è bisogno di costi ragionevoli. Le fonti rinnovabili di energia sono molto importanti ed è giusto
incentivarle finché gli aiuti non creano “distorsioni” e “ingiustificate rendite con un forte aggravio di costi in capo alla nostra industria”.46 Soprattutto va rafforzato l’intervento in materia
di efficienza energetica, un settore che secondo uno studio di Confindustria vede la presenza
di una filiera tecnologica di 400 mila aziende con quasi 3 milioni di addetti, dall’edilizia
all’automotive, all’elettronica.
2011d).
44 A parte le posizioni espresse dalle associazioni dei comparti rinnovabili aderenti a Confindustria, si segnala il giudizio
negativo del vicepresidente di Confindustria e presidente del Comitato per la sicurezza, Samuele Gattegno, che ha sostenuto
che “il decreto, in assenza di correttivi, rischia di produrre un effetto catastrofico” (Cianciullo, 2011b), per poi rettificare che si
trattava solo di una sua “opinione personale”.
45 Del consorzio fanno parte le seguenti associazioni settoriali di Confindustria: Andil, Assocarta, Assofond, Assomet, Assovetro, Cagema, Confindustria Ceramica e Federacciai.
46 Posizioni analoghe hanno espresso anche Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica, Giusepe Pasini, industriale siderurgico e presidente di Federacciai, Vincenzo Boccia, presidente di Piccola industria di Confindustria, e Federchimica:
il sistema annullato dal decreto avrebbe fatto rincarare le bollette elettriche in modo pesante, aggravando in modo insostenibile
il divario di competitività sui costi energetici che soffrono le imprese italiane (Gervasio, 2011; Giliberto, 2011c/d). Manfredini
stima in 30 milioni di euro il sovraccarico dell’incentivo all’energia pulita per il settore delle piastrelle e della ceramica. Per
Pasini si rischia “l’insostenibilità del carico sulla bolletta energetica delle aziende che dovranno subire ricarichi importanti, 20% e
oltre, che rischiano di mettere fuori competitività interi settori energivori, come quello siderurgico ma non solo, esposti alla concorrenza internazionale”. Secondo Boccia, la spesa potrebbe arrivare a 3,7 miliardi: “è impensabile che tale aumento possa gravare
principalmente sulle PMI che già pagano l’energia elettrica circa il 37% in più dei principali competitor europei”. Infine, secondo
Federchimica: “i settori industriali, che consumano circa il 47% del totale consumo nazionale, non possono sopportare un ulteriore
aggravio di 25 euro/MWh, che si vanno ad aggiungere al nostro costo dell’energia all’ingrosso, già più alto in Europa”.
44
4. Il quadro normativo nazionale
Dovremmo invece focalizzare sull’efficienza energetica, laddove l’Italia è portatrice di tecnologie
di avanguardia, in grado di migrare con successo all’estero. È qui che dobbiamo impegnarci,
in un campo che ci può vedere vincenti in Europa e nel mondo e che può contribuire molto al
raggiungimento degli obiettivi tramite la contrazione del denominatore, i consumi da ridurre, e
non solo sul costoso numeratore (Culicchi, 2011).
Al fine di cercare di mediare tra le diverse posizioni emerse all’interno del mondo confindustriale, la presidente Marcegaglia ha proposto un regime transitorio con un “leggerissimo”
calo degli incentivi per le rinnovabili nel 2011 (dall’1% di luglio per arrivare al 5% a novembre e al 10% a novembre) e una graduale diminuzione dal 2012 (partendo con un 15% per
arrivare al 30% in meno nel 2016), per avere uno stop degli aiuti dal 2017 in poi, prevedendo
anche un cap alla spesa complessiva47 (Picchio, 2011).
47 L’ipotesi di Confindustria prevede che il valore complessivo cumulato degli incentivi per il fotovoltaico non superi i 6 miliardi di euro a decorrere dal 1° gennaio 2017. Altro elemento suggerito da Confindustria, al fine di contrastare le speculazioni,
è che a partire dal 31 gennaio 2011 la priorità di accesso agli incentivi sia stabilita da una graduatoria temporale tramite un
registro informatico presso il GSE. Requisito per la registrazione sarà l’obbligo di deposito di una fideiussione proporzionale alla
potenza nominale dell’impianto, a garanzia dell’effettiva realizzazione.
45
Energia eolica e sviluppo locale
Quadro di sintesi sul percorso normativo in tema di certificati verdi
Normativa
Effetto
Introduzione sistema “quota system”: obbligo di
Dir. CE 96/92/CE
immettere in rete una quota minima di energia
rinnovabile
D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 – art.11. c.1-c.2-c.3 Quota d’obbligo pari al 2% energia immessa
DM 11 novembre 1999
Dir. CE 2001/77/CE
DM 18 marzo 2002
Incremento della quota d’obbligo dello 0,35% anD.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387
nuo. Periodo di riconoscimento dei CV per 8 anni.
DM 24 ottobre 2005 – art. 9
D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152
L. 27dicembre 2006, n.296
Periodo di riconoscimento da 8 a 12 anni
Incentivi solo per IAFR, esclude la parte non bioL. 29 novembre 2007, n.222
degradabile dei rifiuti
DM 21 dicembre 2007
Approvazione procedura tecnica di qualifica.
L. 24 dicembre 2007, n.244
L. 2 agosto 2008, n.129
DM 17 settembre 2008
DM 18 dicembre 2008
L. 30 dicembre 2008, n.210
Dir. CE 2009/28/CE
L. 23 luglio 2009, n.99
L.30 luglio 2010, n.122
D.Lgs 3 marzo 2011
CV: certificati verdi
FR: fonti rinnovabili
IAFR: impianti alimentati da fonti rinnovabili
46
Il valore del CV non è più indipendente dalla relativa FR (si agevola il moto ondoso, si penalizza
il gas di discarica e la geotermica). Modifica del
sistema di determinazione del prezzo di riferimento dei CV. Introduzione di un sistema “feed-in
tariff”:tariffa fissa omnicomprensiva alternativa
ai CV. Estensione periodo di riconoscimento a 15
anni. Incremento quota d’obbligo di 0,75%. Fa salvi finanziamenti ed incentivi per gli impianti che
utilizzano i rifiuti (per emergenza rifiuti)
Proroghe di termini
Il GME diviene controparte per gli scambi
Il GSE deve ritirare, su richiesta, i CV fino a tutto
il 2010 al prezzo medio di mercato del triennio
precedente. Applica le misure previste dalla Finanziaria 2008 (es. periodo=15 anni)
Incentivi agli inceneritori (emergenza rifiuti)
La direttiva a cui darebbe attuazione lo schema di
D.Lgs. in esame
Aggiornamento tabella per differenziazione valore
CV in base alla FR
La spesa annuale del GSE per il riacquisto dei CV
dovrà essere ridotta del 30%
La spesa annuale del GSE per il riacquisto dei CV
dovrà essere ridotta del 22%
4. Il quadro normativo nazionale
Costi e sovracosti dell’eolico in Italia
È senz’altro vero che gli incentivi per l’eolico in Italia sono più alti se comparati con gi altri Paesi, ma
secondo l’Anev e gli operatori in Italia ci sono degli extracosti dovuto soprattutto a delle inefficienze
del nostro Paese (barriere amministrative, economiche e tecnologiche) che vanno ad incidere sul costo degli impianti e che rendono l’eolico più caro che nel resto d’Europa. Secondo l’Anev oggi il costo
medio di un impianto è di 1,59 milioni a MW e con una azione di semplificazione si potrebbe scendere
a 1,25 milioni a MW, consentendo di far scendere l’incentivo da 159 €/MWh i oggi a 119,30 €/MWh.
“Quando si fanno i confronti si dice che in Germania l’incentivo è il 20% in meno che in Italia. Grazie,
in Germania non si pagano:
• i 3 milioni di euro per impianto eolico per la connessione alla rete Terna;
• il 5% che in media viene dato ai comuni, calcolato sulla produzione/sul fatturato. Su questo noi siamo intervenuti affinché nelle Linee Guida nazionali si stabilisse un tetto uniformato del 3% per quanto
riguarda ciò che viene dato ai Comuni;
• l’ICI, perché anche gli impianti eolici pagano l’ICI;
• l’affitto dei terreni (100-150 mq) su cui si mettono le pale, mediamente intorno ai 5 mila euro a
MW/a palo all’anno, per cui se il generatore è di 3 MW paga 15 mila euro all’anno.
Se si sommano tutti questi costi e poi si analizza il livello di incentivazione in Italia e nel resto d’Europa,
ci si rende conto che è vero che l’incentivazione nel resto d’Europa è pari al 20% in meno dell’Italia, ma
in Europa hanno mediamente il 30-40% di spese in meno” (Simone Togni, ANEV).
Di seguito si riportano le voci di spesa per un impianto eolico che l’Anev identifica come gli extra
costi dell’eolico in Italia rispetto al resto d’Europa:
€/MWh
% su ricavo
Sviluppo del progetto*
9,26
5,79
Instabilità regolatoria
1,30
0,81
Costi finanziari
4,54
2,84
ICI
1,39
0,87
Royalties Comuni
8,00
5,00
Connessione alla rete
0,93
0,58
a) connessioni
0,01
0,01
b) smantellamento fine vita
0,01
0,01
c) certificati verdi a preventivo
1,28
0,80
Sottostazione elettrica
3,70
2,31
Mortalità progetti
2,59
1,62
Modulazione – mancato riconoscimento dei certificati verdi
2,55
1,59
Affitto terreni
2,78
1,74
Assicurazioni
1,39
0,87
TOTALE
39,7
24,0
Fidejussioni
* in Italia durano in media 4 anni a fronte dei 5 mesi della media europea
47
5. Il ruolo del sistema finanziario
Un impianto eolico industriale, mediamente, costa 1 milione e 800 mila euro a MW installato, per cui ad esempio un parco eolico industriale di medie dimensioni da 10 MW costa tra
i 17 e i 20 milioni di euro. Generalmente, il soggetto che realizza un parco eolico industriale
ricorre al finanziamento bancario o al project leasing o al project financing. Banche italiane
ed estere hanno sino ad oggi finanziato progetti su base no-recourse (quindi con il massimo
livello di rischio e facendo affidamento sul regime incentivante) per complessivi circa 6,8
miliardi di euro nel settore eolico.
Le istituzioni finanziarie (banche, società finanziarie, istituti di credito internazionali,
fondi di investimento) entrano in partecipazione con chi realizza il progetto, mettendo parte
delle risorse finanziarie, normalmente il 75-80% del capitale di rischio complessivo, recuperandole poi nel corso dei 15-20 anni in cui l’impianto è destinato a generare reddito. Le
istituzioni finanziarie entrano in scena quando il progetto del parco eolico è nella fase finale,
cioè quando viene emessa e pubblicata l’autorizzazione unica. Mediamente per realizzare un
parco eolico ci vogliono dai 12 ai 18-24 mesi. Per le torri eoliche ci vogliono circa 12 mesi per
la consegna, a cui è necessario aggiungere il tempo occorrente alla realizzazione della cabina
primaria e degli allacciamenti alla rete. L’istituzione finanziaria interviene a stato avanzamento lavori, finanziando insieme all’investitore il progetto, dall’inizio alla fine.
Gli impianti si realizzano in project leasing o financing e questo significa che l’imprenditore
privato si espone per 20 milioni di euro, facendo ricorso alla finanza di progetto, con cui compra i macchinari da chi li vende, affitta il terreno, fa la convenzione con l’ente locale, realizza
un’opera, dà lavoro a delle persone – la UIL stima che oggi in Italia sono 29 mila persone che
lavorano nel settore eolico – e, quindi, nel complesso, fa un investimento. Dove lo fa? Dove c’è
vento perché altrimenti non potrà mai remunerarlo, dato che la legge prevede che non vi può
essere nessun altro tipo di ritorno se non la produzione elettrica certificata dal contatore Utf,
dalla quale dipende anche l’accesso ai certificati verdi (Simone Togni, Anev).
È importante sottolineare che le istituzioni finanziarie non entrano nel merito degli
aspetti tecnici connessi al rischio industriale del progetto, anche perché il parco eolico deve
essere realizzato secondo quanto è stato previsto nel progetto autorizzato.
L’attività che noi possiamo fare di consulenza è “post”. Se un progetto “non performa”, tramite
studi tecnici esterni, possiamo andare a dare un consiglio, ma andarlo a dare preventivamente su
49
Energia eolica e sviluppo locale
come fare un impianto, poi corriamo il rischio di essere accusati del perché non funziona. Molto
spesso un cliente decide, ad esempio, di comperare la pale da Vestas, la piazzola da un’impresa
locale, l’installazione elettrica da un altro fornitore, etc.. Laddove i progetti richiedono degli
investimenti rilevanti, chiediamo che ci sia un contratto unico. La più grossa difficoltà che può
emergere è che nascano dei conflitti tra imprese, per cui “la colpa” è sempre degli altri. Quindi,
noi diamo assistenza anche nella fase di cantiere, nella fase di analisi, in quella progettuale
ed esecutiva, perché tramite società esterne andiamo ad analizzare le problematiche insieme
a loro. Diamo delle indicazioni di merito che sono strettamente rapportate al finanziamento.
Però, sulla tecnologia, sulla scelta delle pale, dei rotori o delle navicelle, non interveniamo. Noi
andiamo a discutere con il fornitore le garanzie, i pagamenti, però sulla scelta delle macchine
non interveniamo, perchè è un tema delicato. Anche nella scelta del notaio sceglie il cliente.
Certamente noi andiamo a verificare se quel fornitore di fiducia è per noi “bancabile”, però le
figure professionali le sceglie il cliente, in modo che siano univoche le scelte. In questo modo,
evitiamo contestazioni. La scelta è sempre quella di “andare sul cliente” (Alberto Lincetti,
Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
Il project leasing e il project financing sono operazioni di finanza strutturata in cui entità
e durata del finanziamento dipendono dall’esistenza di flussi di cassa sufficienti a ripagare i
costi di gestione e del servizio del debito durante la vita operativa del progetto. Per contro,
sempre ai fini del finanziamento, l’insieme delle attività e dei beni dell’iniziativa da finanziare – il parco eolico nel suo complesso – costituiscono una garanzia collaterale del prestito.
Se guardo al panorama italiano l’alternativa al leasing è il finanziamento. Sono prodotti concorrenti e in linea di massima hanno le stesse caratteristiche. Uno può essere più conveniente
in quel momento perché la banca spinge sul leasing piuttosto che sul finanziamento. In linea
di massima hanno caratteristiche di garanzia e di costi abbastanza allineate. Sulla scelta dello
“strumento”, se uno guarda all’aspetto fiscale, probabilmente il leasing permette una fiscalità
migliore perché può permettere di abbattere l’investimento in 18 anni. Come tempi di delibera,
su progetti fino ai 5-10 milioni di Euro sono similari tra finanziamento e leasing. Se andiamo
su un project di 20-30 milioni, i tempi leasing sono probabilmente, quando c’è un pool, più
lunghi. Il project non entra mai in operazioni sotto i 25-30 milioni, perché ci sono tempi di
delibera tra i 5 e i 6 mesi e costi più alti della media di mercato; questo perché il project è
un’operazione abbastanza particolare. Nella fascia intermedia tra i 20 e i 30 milioni, probabilmente il leasing riesce a spuntarla perché come tempi di delibera è leggermente più veloce ed
ha una facilitazione maggiore sull’aspetto Iva che è il 10% dell’investimento e che nel leasing è
una partita di giro. Ci sono piccoli aspetti di diversità però in realtà è sempre l’imprenditore che
decide; se vuole fare il project è difficile fargli cambiare idea. Non dimentichiamo che la banca
ha anche il credito al consumo e alle imprese fino ad un valore di 2,5 milioni di Euro (Alberto
Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
L’elemento distintivo delle operazioni di project leasing e project financing consiste nella
circostanza secondo cui, nella valutazione della capacità di rimborso del debito, le prospettive che hanno rilevanza riguardano principalmente le previsioni di reddito dell’iniziativa e
non l’affidabilità economico-patrimoniale dei promotori. Le tecniche del project leasing e del
project financing consentono la realizzazione e la gestione di opere complesse e di grande impegno finanziario, come i grandi parchi eolici industriali, aggregando e coinvolgendo, ognuno
per le sue specifiche caratteristiche, fornitori di macchinari e servizi, operatori finanziari,
compagnie di assicurazione, produttori ed utenti, con l’obiettivo di massimizzare il rendimento e di distribuire in proporzione, in base ad impegni assunti, i rischi e le responsabilità tra
50
5. Il ruolo del sistema finanziario
i partecipanti. La condivisione diretta dei rischi costituisce la garanzia che la realizzazione
dell’opera avvenga nei limiti di tempo e spesa previsti.
A meno che non si tratti di progetti di natura corporate, cioè che chi investe sia una grande azienda del settore come, ad esempio, ENEL SpA attraverso ENEL Green Power, lo sviluppo
del parco eolico è affidato ad una società, appositamente costituita (una società di scopo, di
norma creata dai promotori), il cui oggetto sociale esclusivo è la realizzazione e a gestione
dell’iniziativa. Ad essa fanno riferimento tutti i diritti e gli obblighi relativi all’investimento.
Se l’investimento viene fatto da una società di scopo, in cui sappiamo che all’interno c’è un
sponsor che ha le capacità e che è valido, però è un’operazione no recourse al 100% e, quindi, l’imprenditore dice: “voglio che il progetto si regga con la sola operatività”. Nel caso del
project leasing, la società di scopo è il soggetto gestore del parco eolico nei confronti del GSE,
mentre la proprietà è della società di leasing. Le linee guida della nostra società prevedono
un equity 20 – 80 e parlo delle energie rinnovabili “tradizionali” che sono il fotovoltaico e le
biomasse fino ad 1 MW. Su impianti di più grosse dimensioni, mediamente l’equity richiesta è
di 25-30%. Questo dipende dall’incertezza della tariffa incentivante. L’eolico è 25% (Alberto
Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
Sul mercato nazionale le due soggetti leader del mercato finanziario nel settore delle
energie rinnovabili sono il Gruppo Intesa San Paolo e il Gruppo Unicredit, ma altre realtà
finanziarie importanti sono anche UBI e Montepaschi. Nel caso di progetti che richiedono un
investimento superiore ai 50 milioni di euro si costituiscono dei pool bancari e IntesaSanPaolo o Unicredit fanno generalmente da capofila.
La difficoltà tra questi attori principali è di dividere le quote, perché rischi di dividere quote da
5 – 6 milioni. Quando parliamo di in investimento da 100 milioni, se il Gruppo Intesa ci mette
30 milioni, 30 li mette Unicredit, se devo andare a intermediare gli altri 40 milioni su 8 società
diventa difficile costituire un pool. Molto spesso si cerca di arrivare a 2 – 3 finanziatori, perché
coordinare 4 – 5 società diventa difficile anche perché ognuno, anche se ha una quota minoritaria, vuole una garanzia in più (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
Inoltre, a sostegno del settore delle energie rinnovabili interviene la Banca Europea per
gli Investimenti (BEI) che fornisce alle banche delle linee di credito agevolato.
La Bei non interviene sul singolo progetto, mette a disposizione una somma per le rinnovabili a
una “provvista” di 20 centesimi più bassa rispetto a quella del mercato. Loro si fanno garantire
dai flussi dei progetti e poi si fanno garantire dalla banca. Il rimborso alla BEI è assicurato dalla banca in primis. Quindi, io non vado a fare “provvista” sul mercato, vado a fare “provvista”
sul fondo BEI e invece di pagare un tasso di mercato, pago un determinato a monte. Più che
un effetto “leva”, c’è un effetto “prezzo”. Il 25-75 di rapporto base resta, ma per effetto di
una provvista fatta ad hoc posso fare a quel cliente anziché il 4%, il 3,50%. Questo per effetto
di quella parte di “provvista” agevolata che ricevo per progetti di energie rinnovabili da BEI.
L’anno scorso su 1,2 miliardi di Euro erogati da noi, probabilmente avevamo 200-300 milioni di
euro di fondi BEI; quindi un rapporto di 1 a 5, 1 a 4. Anche perché i Fondi Bei hanno una struttura complessa per l’agevolazione. Vi accede chi è maggiormente organizzato perché è richiesta
tutta una serie di documenti che il piccolo imprenditore quasi sempre non riesce a predisporre.
Lo “stock” fondamentale è l’analisi, è la VIA non tecnica che solo il grosso imprenditore si può
permettere (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
51
Energia eolica e sviluppo locale
Negli ultimi tempi si sono avvicinati all’eolico e alle altre rinnovabili delle nuove categorie di investitori: da un lato, i piccoli e medi investitori alla ricerca di settori alternativi
al tradizionale investimento nel settore immobiliare, dall’altro, i grandi fondi pensionistici,
assicurativi e istituzionali nazionali ed internazionali alla ricerca di investimenti di medio e
lungo termine.
Negli ultimi tempi, vedo effervescente il mercato dei progetti di piccola dimensione fino ad 1
MW sia perché dovrebbero rientrare in un progetto di DIA, per cui l’iter autorizzativo da sei anni
potrebbe scendere ad 1 anno, un anno e mezzo, sia perché ci credono alcuni produttori di aerogeneratori come il Gruppo Leitner48 di Vipiteno. Se riuscisse a dare una sistemazione adeguata
e certa al quadro normativo credo che questo sia un settore che ci darà soddisfazione ancora per
molti anni, anche perché c’è un mondo che sta affrontando questi investimenti che è il mondo
imprenditoriale medio-piccolo: dal notaio al professionista che ha dei soldi da investire. Questa
categoria di investitori non va a investire sul mega parco eolico da 10–20 MW, il loro sogno è di
avere la pala eolica massimo da 1 MW, investendo 500–600mila euro. Questa assicura 15 anni
di rendita per quell’investimento. Perché c’è tanto interesse intorno alle energie rinnovabili?
Perché crollato il mito dell’investimento immobiliare, fermo il mondo del mercato immobiliare
industriale, commerciale, residenziale, chi investiva prima nel mattone, oggi sta cercando la differenziazione. Quindi, qual è il prodotto che può dare un minimo di rendimento? È il “prodotto”
delle energie rinnovabili. Abbiamo passato la fase degli investitori che lo facevano in termini
speculativi, oggi si stanno avvicinando al mondi delle rinnovabili i grossi fondi internazionali,
sia “private” sia istituzionali, quindi fondi assicurativi, pensionistici e istituzionali che devono
investire parte della raccolta. Adesso in Italia ci sono 3-4 fondi nati sulle energie rinnovabili.
Una caratteristica di questi investitori è di intervenire ad investimento esaurito, perché non
vogliono il rischio industriale: vogliono qualcuno che produca l’investimento, “chiavi in mano”,
una volta connesso, ottenuto i contributi e tutto perfezionato. Vogliono intervenire e avere la
remunerazione da investitori (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
Anche per le banche i maggiori problemi che incontrano nelle loro attività di finanziamento si riferiscono soprattutto all’incertezza e farraginosità del quadro normativo e di
incentivazione che negli ultimi mesi hanno contribuito a ritardare l’avvio e, addirittura, a
bloccare nuove operazioni di finanziamento o la sospensione delle erogazioni di finanziamenti già deliberati, con impatto sui nuovi investimenti e sulla liquidità dei produttori.
Partecipo spesso a convegni, in particolare laddove ci sono investitori esteri, e non è facile
andare a specificare che abbiamo la normativa regionale che viene resa incostituzionale dalla
Stato e che poi lo Stato rimanda alle Regioni per impianti entro 1 MW o che abbiamo lo strumento della DIA, del permesso a costruire, e quello della SCIA. Non è facile avere chiarezza.
Poi ci sono certe province dove se anche faccio l’autorizzazione unica però non richiedo la VIA
perché non c’è bisogno, e quindi l’impianto viene declassato ad avere la DIA e non ha più l’autorizzazione unica….. Non è facile in Italia. L’iter autorizzativo allunga notevolmente i tempi.
Ogni provincia che vai trovi un documento diverso che ti richiedono. Questo è un male atavico.
Poi, ad esempio, per il fotovoltaico abbiamo anche i problemi fiscali con l’Ufficio del Registro
quando vai a registrare un impianto, perché il Ministero delle Finanze non ha ancora deciso
se è strumentale o immobiliare, se va tassato nel primo o nel secondo caso. Paga o non paga
l’ICI? L’Ufficio delle Entrate dichiara che quell’impianto è strumentale, mentre l’Ufficio del Territorio, che fa sempre parte del Ministero della Finanze, dichiara che è un progetto immobiliare.
Quando l’Ufficio delle Entrate nei convegni dà dei chiarimenti ovviamente per non smentire sé
48
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http://it.leitwind.com/
5. Il ruolo del sistema finanziario
stesso dice: ”per me è strumentale, però laddove siano rilevanti i costi di trasferimento di un
impianto, questo per me è di natura immobiliare”. Quando un progetto diventa strumentale?
Ovviamente, l’Agenzia ha risposto ai convegni dicendo: ”analizziamo caso per caso e vi diremo
se è assoggettabile all’imposta strumentale o immobiliare”. Questo perché? È chiaro che laddove ci sia un interesse a tassarlo più lungamente, è meglio che sia un impianto “immobiliare”,
perché il cliente ha utili ed è meglio che paghi le tasse subito; laddove non c’è un interesse particolare l’impianto è “strumentale”. Sull’ICI; ufficialmente se seguiamo la normativa, l’impianto
è assoggettabile ad ICI. Noi ci muoviamo con progetti che riguardo ai terreni su cui sorgono le
torri eoliche prevedono l’acquisto o della piena proprietà o del diritto di superficie pagato in 2025 anni, quindi con un diritto reale…. Comunque, la normativa fiscale che non ci dà chiarezza:
se è immobiliare deve andare a ICI, però c’è la diatriba che gli impianti che producono energia
sono impianti che svolgono un’attività di interesse pubblico, e se c’è interesse pubblico non può
essere tassato a ICI. Qualcuno ha fatto ricorso, qualcuno ha aspettato le cartelle esattoriali
e ha fatto ricorso… e come al solito siamo in Italia e quindi, ad esempio, a Bologna danno
ragione al ricorrente, in Puglia gli hanno dato torto e gli hanno fatto pagare l’ICI. Non c’è
certezza di nulla. C’è poca chiarezza, o quanto meno un’incertezza perché se si dà un consiglio
in un senso e poi il cliente riceve altre indicazioni…. Quello che noi diciamo al cliente si basa
sul parere dei nostri fiscalisti, poi il cliente è libero di pagare l’ICI, di ricorrere, etc. Ma, come
fai a fare un business plan di un progetto o a chiedere la giusta equity, se ogni quattro mesi
cambia il quadro tariffario e normativo? (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
Il crollo del 40% del valore dei certificati verdi registrato nel corso dell’ultimo anno e il
taglio del 22% del valore dei certificati verdi introdotto dal D.lgs di recepimento della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili hanno determinato incertezza, apprensione e sfiducia sia degli investitori che del sistema finanziario, poco
propensi a investire e finanziare ingenti risorse in un settore che fino all’anno scorso aveva
potuto contare su un sistema incentivante funzionale con determinati punti di riferimento
che garantivano agli operatori il ritorno degli investimenti effettuati, ma che ora si trova a
confrontarsi con un quadro di grande incertezza e preoccupazione sui prossimi provvedimenti.
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6. Gli elementi di criticità
Diversi sono gli ostacoli che sinora hanno impedito o ritardato la realizzazione di centrali
eoliche in Italia. Si tratta di barriere che non vanno sottovalutate, che occorre affrontare
seriamente e che vanno risolte se si intende permettere la diffusione degli impianti eolici
nel nostro paese, povero di risorse fossili endogene, ma dotato in buona misura di vento e di
altre fonti rinnovabili.
6.1 Le difficoltà tecniche
Occorre tenere presente che l’Italia è caratterizzata da un’orografia complessa, in particolare nelle aree interne dell’Appennino centro-meridionale dotate di un buon regime anemologico, con siti talvolta difficilmente raggiungibili dai mezzi pesanti, necessari per il
trasporto dei componenti degli aerogeneratori non sezionabili, come la navicella e le pale.
Una ulteriore difficoltà, collegata alla conformazione fisica del territorio, è rappresentata
talvolta dall’assenza di linee elettriche adeguate nelle aree montane marginali o nelle zone
rurali, lontane dai grandi centri abitati, generalmente prescelte come sede di localizzazione
degli impianti eolici. Negli ultimi anni, la sostenuta crescita dell’eolico e del fotovoltaico
ha posto in risalto i problemi legati all’inadeguatezza dell’infrastruttura elettrica.49 Questo
inconveniente comporta tempi lunghi per le realizzazioni di elettrodotti ad alta tensione e
cavidotti di collegamento di media tensione, con conseguenti dilatazioni dei costi che, nei
casi peggiori, possono determinare anche l’abbandono del progetto.
Si verificano situazioni molto penalizzanti per chi realizza gli impianti quando il gestore della
rete ci mette molto tempo a garantire la connessione. L’autorizzazione è unica per la realizzazione e la connessione. Ma, se poi uno l’impianto lo realizza in 6 mesi, mentre chi deve venire
per fare l’allacciamento alla rete ci mette un anno e mezzo… È come se uno compra casa e
inizia a pagare le rate del mutuo, ma poi l’Enel o l’Acea non arrivano a portare l’elettricità, per
il proprietario sta un anno nella casa al freddo, senza elettricità e contatore. Chi realizza un
impianto eolico spende i soldi, fa tutto in regola, ha la banca che gli chiede il pagamento delle
49 Il riconoscimento di questa inadeguatezza della rete ha di recente portato all’intesa tra Ministero dello Sviluppo Economico, quattro regioni del Mezzogiorno – Calabria, Campania, Puglia e Sicilia – e l’ENEL Distribuzione che gestisce le reti di media
e bassa tensione, per 123 milioni di euro di investimenti (risorse del POI Energia). In particolare, sono stati individuati gli
interventi (comprese le cabine primarie e gli elettrodotti di raccordo alla rete di distribuzione di media tensione e alla rete di
trasmissione nazionale) da realizzare nei prossimi 4 anni per rendere più facile la costruzione e l’allacciamento di nuove centrali
elettriche alimentate da fonti rinnovabili di energia.
55
Energia eolica e sviluppo locale
rate del mutuo, anche se poi Terna non gli fa l’allacciamento alla rete e, quindi, è costretto a
tenere fermo l’impianto (Simone Togni, ANEV).
Inoltre, alcune linee della rete elettrica in alta tensione hanno dimostrato di non essere più dotate di sufficiente capacità di trasporto per garantire il dispacciamento di energia
prodotta dagli impianti eolici negli intervalli di tempo caratterizzati da ventosità sostenuta.
Ciò conduce a frequenti congestioni di rete che si traducono per gli impianti eolici necessariamente in interventi di riduzione di potenza (mediamente intorno al 7%) che TERNA ha
facoltà di imporre per garantire la sicurezza della rete. Le direttrici più colpite sono AndriaFoggia, Campobasso-Benevento e Benvenuto-Montecorvino, sulle quali insistono più di 1.500
MW eolici. La causa principale di questa situazione risiede nel ritardo con cui si sono avviati
i piani di potenziamento della rete di fronte a previsioni di sviluppo dei soli impianti eolici,
già valutabile dopo i primi anni di avvio del CIP 6 e localizzabile sulla base dell’Atlante Eolico
del nostro Paese. Viceversa gli investimenti di TERNA sono stati dell’ordine delle centinaia di
milioni di euro fino al 2004, quando, con eccessivo ritardo, sono passati ai miliardi di euro,
finalmente congrui con le esigenze di potenziamento a seguito dello sviluppo delle fonti a
energia rinnovabile.
La rete elettrica è dello Stato che l’ha data in concessione per un certo numero di anni a Terna
che la deve esercire secondo dei criteri:
• tutti si possono allacciare perché è un servizio pubblico;
• se c’è richiesta di domande di concessione da una certa parte, il soggetto che la gestisce
deve costruire delle linee.
Questo, in 15 anni, per quanto riguarda l’eolico non è avvenuto, perché, anche dando le scusanti del caso a Terna, non hanno mai ritenuto affidabili le domande presentate per gli impianti
eolici e, più in generale, da fonti rinnovabili. Ancora pochissimi anni fa le rinnovabili erano
viste come un qualcosa che probabilmente non si sarebbe mai fatto… Per cui, gli arrivavano le
domande per gli allacci degli impianti eolici, fotovoltaici, etc., ma loro non hanno mai creduto
che questi impianti si facessero sul serio e, quindi, non hanno investito nello sviluppo della rete.
Che poi l’abbiano fatto coscientemente o meno, che ci abbiano giocato perché le rinnovabili
danno fastidio ai grossi operatori o ai gestori della rete, questo non lo so. So soltanto che in
questi 15 anni Terna non ha sviluppato la rete sulla base delle domande di impianti presentate,
disattendendo il mandato statutario. Questo comporta che nelle aree dell’Appennino meridionale, dove c’è vento, almeno fino a 3 anni fa, quando c’è stato un cambio di faccia, Terna non
ha investito nel potenziamento della rete in queste aree. Ora, chi realizza un impianto che deve
fare? Ha fatto domanda 5 anni fa dicendo a Terna che avrebbe fatto l’impianto in un determinato sito, ora la sua colpa quale è? Che ha fatto sul serio l’impianto? (Simone Togni, ANEV).
L’incremento della produzione elettrica da fonte eolica pone numerose e complesse sfide
alla pianificazione e all’esercizio dei sistemi elettrici, chiamando in causa aspetti tecnici ed
economici. Infatti la generazione eolica è fortemente variabile (in particolare sulle scale
temporali delle ore e dei giorni), e questa variabilità deve essere compensata dalla generazione convenzionale se si vuole alimentare il carico senza interruzioni: ciò comporta che i
gruppi di generazione convenzionale siano sempre più utilizzati per prestare questo servizio
anziché coprire il “carico di base”. Inoltre, poiché le previsioni meteo del vento sono affette
da errori, anche le previsioni di produzione eolica presentano incertezze: per questo occorre
predisporre maggiori margini di riserva da parte dei gruppi convenzionali. Tutti questi fattori
comportano costi aggiuntivi per la gestione del sistema elettrico. Ad essi si aggiungono gli
oneri necessari per potenziare il sistema di trasmissione, al fine di facilitare l’immissione in
56
6. Gli elementi di criticità
La rete e il dispacciamento
Se da un lato, in virtù dei vantaggi legati allo sfruttamento delle fonti rinnovabili, la produzione
elettroeolica gode della “priorità di dispacciamento”, dall’altro è comunque necessario che ciò avvenga nel rispetto del corretto funzionamento della rete, la cui gestione è affidata a TERNA che, nel
contempo, si fa garante della sicurezza del sistema. In sostanza, la necessità di una massimizzazione
del dispacciamento in rete dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è una condizione necessaria per il raggiungimento degli obiettivi 2020, ma al momento deve fare i conti con le frequenti
congestioni e criticità della rete elettrica esistente. Peraltro, le recenti imposizioni di limiti al dispacciamento (e, quindi, alla produzione) dell’energia eolica da parte del Gestore, attraverso ordini di
dispacciamento impartiti ai produttori durante lo svolgersi del normale esercizio dell’impianto, sono
prevalentemente dovuti alla carenza infrastrutturale delle reti elettriche che, nelle aree ventose del
Centro-Sud e delle isole, presentano un basso grado di magliatura e di interconnessione, divenendo
inadatte al sostentamento di fonti primarie non programmabili, quali l’eolico e il fotovoltaico.
Le centrali eoliche, per quanto piccole, hanno comunque delle potenze significative ed è, quindi,
sempre necessaria un’attenta valutazione sul possibile comportamento della rete elettrica locale soggetta all’immissione dell’energia (oltre tutto variabile nel tempo) prodotta da fonte eolica. Le centrali
con potenza installata superiore ai 10 MW sono normalmente collegate ad una rete di trasmissione
o distribuzione ad alta tensione. Oltre alla maggiore capacità di trasporto di energia, una tale rete è
caratterizzata da una maggiore stabilità e, soprattutto, da una minore frequenza di interruzioni. Si
possono riscontrare centinaia di interruzioni su una rete a media tensione, mentre quelle di una linea
ad alta tensione sono nell’ordine della decina all’anno. Quest’ultimo fatto è di particolare importanza
perché gli aerogeneratori, almeno fino ad oggi, sono stati fatti funzionare secondo una logica che
si limita, da un lato, ad accettare in rete tutta la produzione eolica senza modulazioni e, dall’altro
lato, a comandare l’immediato distacco dell’impianto eolico non appena si verifica un guasto non solo
all’impianto stesso, ma anche sulla rete esterna. È evidente che, se gli aerogeneratori si fermano dopo
ogni interruzione sulla rete, si hanno frequenti perdite di produzione elettrica, oltre che maggiori
sollecitazioni strutturali sulle turbine stesse.
“C’è un problema di portata e di gestione della portata, delle caratteristiche dell’energia da immettere
nella rete che riguarda Terna e GSE. Ci danno delle indicazioni e può capitare, ad esempio, che la Sicilia
entra in isola perché non ha più la connessione con il continente. La gestione della sicurezza della rete,
tenerla stabile, evitare il black out, gestirla in modo corretto, vuol dire avere conoscenze, istante per
istante, di chi sta apportando energia alla rete. E’ importante, perché se io immetto energia, ma poi
non ho possibilità di esportarla, creo delle perturbazioni di rete che possono o non essere tollerate,
gestite o non gestite. Più si è a conoscenza di ciò che sta accadendo, di chi sta apportando energia
e con quali caratteristiche, e più si è nelle condizioni di poterla gestire. Nel momento in cui si creano
delle condizioni di non tollerabilità dell’impianto, chi gestisce la rete ha priorità ed è giusto che sia così
perché alla fine sono loro che devono garantire il funzionamento dell’intero sistema. Terna dà un ordine
di dispacciamento per cui l’impianto deve essere limitato a un tot, non può produrre più di un tot.
Questo avviene raramente e in zone diverse del paese. Dove la rete è interconnessa, come in continente,
ha più possibilità di accettare e, quindi, succede molto di rado. Le isole, invece, hanno meno capacità
di connessione e, quindi, di esportare, pertanto sono soggette ad un controllo più severo e agli ordini
di dispacciamento. Sono anche territori dove l’eolico è molto presente” (Refrigeri, Enel Green Power).
Le tematiche del dispacciamento e dei servizi di rete richiesti agli impianti eolici sono state oggetto
di studi, norme e atti di regolamentazione da parte di diversi enti del settore. Attualmente, dal punto
di vista tecnico, il riferimento nazionale è la norma CEI 11-32 (Allegato 6), recepita all’interno del
Codice della Rete di TERNA (Allegato A17) nella sua versione modificata e approvata dall’AEEG. Essa
si riferisce ai nuovi impianti sul territorio nazionale e riconosce che comunque eventuali riduzioni di
potenza possano essere richieste in situazioni di criticità del sistema elettrico.* Tale misura, ad ogni
modo, attribuisce ai produttori il carico e l’onere di far fronte all’incapacità della rete elettrica di
accogliere l’immissione di energia elettrica proveniente da fonti non programmabili. Recentemente,
57
Energia eolica e sviluppo locale
l’AEEG ha inoltre previsto, sulla base del Codice di Rete, una compensazione di carattere economico
relativamente alla mancata energia prodotta e valorizzata a prezzi di mercato perchè non immessa
in rete per congestioni di rete. Con la delibera 330/07 dell’AEEG, infatti, è stato introdotto un meccanismo di indennizzo dei produttori per la mancata produzione dovuta a limitazioni di potenza.
Inizialmente, però, tale meccanismo ha mostrato notevoli lacune, non garantendo di fatto un riconoscimento adeguato dell’effettiva energia perduta. L’AEEG ha quindi provveduto a riformare il sistema
di indennizzo per l’energia producibile, ma persa per effetto delle limitazioni attraverso la Delibera
ARG/elt 5/10, affidando al GSE il compito di predisporre un sistema di stima della mancata produzione di energia più aderente alla realtà.
*
In caso di criticità e congestioni della rete, soprattutto quando c’è molta produzione eolica, si è costretti ad intervenire,
a seguito di un ordine di dispacciamento da parte di Terna, staccando la produzione e mettendo le pale in stallo. La limitazione
del dispacciamento è un fenomeno che coinvolge regolarmente gli impianti convenzionali programmabili. Per legge, infatti,
prima di limitare/staccare gli impianti eolici e da altre rinnovabili, si devono limitare/staccare gli impianti da combustibili
fossili, poi ridurre al minimo quelli tecnici e, infine, si possono limitare/staccare quelli da rinnovabili. Per l’eolico la limitazione del dispacciamento significa una perdita pari al 7% della producibilità complessiva di energia elettrica, un dato enorme
per il settore, ma che è molto più contenuto rispetto a quello delle centrali convenzionali e a cicli combinati che arrivano a
perdere il 20-30%.
rete della potenza eolica evitando “congestioni” dei collegamenti: spesso, infatti, la fonte
eolica è disponibile in zone lontane dai nodi principali della rete. L’accesso alla rete elettrica
è in effetti una questione vitale per lo sviluppo dell’eolico.
Pertanto, vanno potenziati gli interventi mirati per rendere più sopportabile l’inserzione
delle centrali eoliche in zone che prima erano solo passive ed ora possono diventare attive,
almeno localmente. Lo sviluppo delle reti elettriche andrebbe ridefinito in modo ben diverso
da quello adottato sino a pochissimo tempo fa: è necessario pensare a un sistema che sostenga le fonti rinnovabili e la generazione distribuita, differente da quello implementato negli
anni passati e che era pensato per trasportare energia dalle grandi unità produttive a carichi
distribuiti sul territorio. Va rapidamente implementato il programma, avviato con il Ministero
dello sviluppo economico, sulle 4 regioni convergenza (Puglia, Calabria, Campania e Sicilia)
sia per irrobustire le reti elettriche e insieme la larga banda digitale, dato che la loro integrazione è alla base della smart grid. In Puglia si stanno iniziando ad installare nuove cabine
dotate di intelligenza interna e connessione in fibra ottica, in grado di fornire istantaneamente ai centri di controllo i dati sull’attività delle centrali eoliche e dei campi fotovoltaici,
e di regolarne l’interazione con la rete. Al tempo stesso, Terna ha in programma lo sviluppo
di nuove e più robuste dorsali elettriche, come quella prevista al centro della Sicilia e i nuovi
cavi sottomarini nello Stretto di Messina.50
6.2 Procedure amministrative
In questi anni, c’è stata una carenza di buona politica e buona amministrazione pubblica
sia a livello centrale che locale, basti dire che ci sono voluti 7 anni per avere delle regole nazionali - le Linee guida previste dal Decreto 287/2003 - per l’approvazione e valutazione dei
progetti, e che manca ancora la ripartizione (burden sharing) da parte del governo centrale
50 Il collegamento della Sicilia con il resto del Paese dovrebbe avvenire entro il 2013 con la realizzazione di un cavo di 105
chilometri, con un costo previsto di 700 milioni di euro. Mentre di recente è stato inaugurato il collegamento sottomarino via
cavo ad alta potenza (1.000 MW), lungo oltre 450 chilometri e costato 750 milioni di euro, tra la penisola e la Sardegna (Borgo
Sabotino, provincia di Latina-Flumesanto, provincia di Sassari).
58
6. Gli elementi di criticità
delle quote di produzione di energia rinnovabile – diviso in funzione delle differenti tipologie di rinnovabili, in accordo con le naturali vocazioni delle diverse realtà territoriali – di cui
ogni Regione deve farsi carico per raggiungere gli obiettivi europei. Inoltre, larga parte delle
regole approvate dalle Regioni propongono un approccio cautelativo nei confronti dell’eolico
senza alcuna idea proiettata nel rapporto con il territorio, le sue risorse e il suo sviluppo.
Nel complesso, si può affermare che, salvo alcune eccezioni, in questi anni le Regioni sono
state le grandi assenti nel processo di diffusione dell’eolico in Italia, lasciando i Comuni come
deboli solitari protagonisti.51
Nel resto d’Europa c’è un sistema-Paese più forte che da noi. C’è una forte integrazione tra le
imprese, gli enti locali autorizzativi, lo Stato, che marciano molto compatti verso gli obiettivi.
Qui, da noi, arriva una legge statale che chiede alle Regioni di intervenire, le Regioni intervengono e il Governo fa ricorso al Tar e al Consiglio di Stato per azzerare la legge regionale. Sette
leggi regionali sono state distrutte negli ultimi 3 anni. Con le nostre norme sulle autorizzazioni
degli impianti ci vogliono più avvocati che ingegneri per andare a dirimere il problema (Mario
Gamberale, Kyoto Club).
Una ragione di queste difficoltà sta nel fatto che gli impianti eolici hanno fatto da apripista nel complicato, e spesso contraddittorio, processo di liberalizzazione del mercato energetico e di trasferimento dei poteri di programmazione energetica e approvazione dei progetti
alle Regioni, che certamente non hanno brillato per efficacia e coerenza.
Se c’è stato un difetto originario in tutta la partita delle rinnovabili è che non ha certo giovato
la deregulation del mercato energetico. Deregulation che nel caso delle energie rinnovabili, anche sulla base di quanto è avvenuto in altri paesi del Nord Europa, è stata adottata in maniera
molto cruda, senza considerare che gli altri paesi nordeuropei hanno un diverso concetto del
bene comune. La Germania, ad esempio, è piena di torri eoliche, però loro hanno un diverso
approccio al bene comune, lo difendono fino allo stremo. Se uno parcheggia male, sul marciapiede, subito chiamano la polizia e quella viene e fa la multa. Da noi, non solo nessuno chiama
la polizia, ma anche se questa fosse chiamata, non verrebbe e non farebbe la multa. Quando
ho chiesto alla signora perché avesse chiamato la polizia, mi ha risposto che il marciapiede è
anche suo. Quindi, lì c’è la cultura del rispetto della regola, cosa che da noi non c’è. Quando
loro hanno detto che incentivavano i privati a fare quello che già facevano, anche i privati che
operano in Germania hanno il senso del bene comune, e quindi lo hanno fatto con un approccio
molto diverso da quello che c’è stato in Italia. In Italia, quello che è mancato è stato proprio
il peso delle istituzioni. Anche qui a Roma, quando hanno voluto fare i parcheggi hanno detto:
“chiunque è interessato a fare un parcheggio secondo la Legge Tognoli, alzi il dito e mi dica
dove vuole farlo”. Ognuno si è accaparrato lo spazio dove andarlo a fare e, poi, se il parcheggio
serve o non serve o se la sua realizzazione sia compatibile con la staticità dei palazzi esistenti,
sono tutte domande che nessuno si è posto seriamente. Il pubblico ha delegato al privato una
programmazione su questa tematica, mentre invece prima il pubblico avrebbe dovuto fare una
seria programmazione per poter poi dare degli indirizzi ai privati. Quindi, abbiamo da una parte
un scarsa presenza da parte delle istituzioni a governare i fenomeni a tutti i livelli e dall’altra
51 Anche a proposito delle Linee guida, ora che sono state emanate quelle nazionali, di tratta di vedere quali saranno gli
indirizzi programmatori concreti che daranno le Regioni. Alcuni primi segnali non sembrano essere molto confortanti: “Il Lazio
ha cominciato male, perché ha semplicemente recepito le Linee Guida nazionali con una delibera della Giunta regionale, revocando
quelle precedenti, senza però fare quello che è previsto dalle Linee Guida nazionali, cioè fare un’analisi delle aree dove non è possibile
installare impianti eolici. Oggi, di fatto, nel Lazio è possibile fare impianti ovunque perché manca una espressa individuazione delle
aree dove non è possibile fare impianti. Secondo me, non se ne sono neanche accorti, perché hanno pensato che bastasse recepire
le Linee Guida nazionali per individuare automaticamente le aree dove non sarà possibile fare l’eolico. Non è così perché ci vuole
un’analisi di scouting per identificare concretamente i luoghi non idonei. Questo non è stato fatto.” (Domenico Belli, Greenpeace).
59
Energia eolica e sviluppo locale
parte abbiamo anche un certo timore da parte del mondo imprenditoriale a investire con un programma che sia non solamente speculativo, che massimizzi adesso il profitto, ma che sia qualcosa che vada a mettere radici un poco più profonde (Stefano Leoni, presidente WWF Italia).
Anche quando presenti, non sempre i piani energetici regionali (ma anche provinciali e
comunali) sono risultati e risultano adeguati alle nuove funzioni che sono loro richieste e che
derivano da due fondamentali innovazioni introdotte nell’ultimo quindicennio: la modifica
del Titolo V della Costituzione e la liberalizzazione del mercato dell’energia. Due innovazioni
apparentemente contraddittorie perché:
• la prima ha caricato Regioni ed enti locali di responsabilità normative e regolamentari;
• la seconda sottrae potere programmatorio sia allo Stato che alle Regioni.
Il discorso relativo alla pianificazione/programmazione è reso difficile dal fatto che siamo in un mercato elettrico liberalizzato e in un sistema burocratico che impiega 5-6 anni per
autorizzare un progetto.52 I piani energetici quando sono stati fatti sono rimasti nei cassetti.
In materia energetica il soggetto privato, l’imprenditore, ha spesso una capacità di azione che
sovrasta le possibilità di governo del processo da parte dell’ente locale. Le amministrazioni
locali non hanno validi strumenti programmatori perchè la disciplina statale delle rinnovabili
dà a queste ultime una priorità assoluta su tutto, in quanto sono considerate di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti, per cui non ci si può appellare con motivazioni ambientali se non
in sede di valutazione di impatto ambientale e non ci si può appellare a motivazioni di tipo
urbanistico a meno di non fare delle forzature, ad esempio, rendendo tutte le aree edificabili
e vincolandole a parco, e quindi, rendendole non idonee per l’insediamento di parchi eolici.
Comunque, anche i vincoli alla destinazione d’uso non sono efficaci perché la legge dice che
un parco eolico si può fare in qualunque tipo di terreno e non cambia la destinazione d’uso
dell’area. In sostanza, è il privato che liberamente sceglie sito, potenza, modalità realizzative, senza che ci sia una vera politica di indirizzo dei Governi regionali, con individuazione
delle aree disponibili, delle compatibilità ambientali e delle tipologie costruttive. In questa
situazione, la capacità negoziale dei territori locali sta solo nella loro capacità di fare interdizione, producendo lungaggini, carte che si perdono, autorizzazioni che non vengono mai
concesse, campagne di stampa, sit-in e proteste da parte della cittadinanza, etc.
Faccio parte di una commissione di valutazione sull’energia in provincia di Foggia e poso testimoniare che la Provincia ha fatto un ottimo lavoro di screening di tutte le richieste di impianti
eolici e fotovoltaici sul territorio, andando a vedere quello che è il realizzato e i progetti in
autorizzazione dal 2004 ad oggi. Il quadro è il seguente: ci sono tanti progetti realizzati e,
52 La lentezza dell’iter amministrativo fa sì che il progetto che viene approvato è di fatto obsoleto. In 5-6 anni nel settore
eolico la tecnologia fa degli enormi passi avanti abbassando drasticamente i costi in rapporto alla potenza, Ma, il progetto
autorizzato non può essere modificato. “Un progetto viene realizzato tenendo conto della tecnologia del momento. Non è possibile
inserire in un progetto per un iter autorizzativi una tecnologia che non esiste. La tecnologia del momento prevede macchine con
determinate altezze, dimensioni delle pale, potenze. Tutti elementi che sono importanti per la valutazione e le analisi di impatto
ambientale. Una macchina di 50 metri e una di 80 hanno impatti ambienti diversi, ad esempio, in relazione alle rotte migratorie
dell’avifauna. Quindi, se un progetto parte con una certa tipologia di macchine e arriva in fondo, non è possibile cambiare. Si deve
procedere soltanto con la realizzazione delle caratteristiche originaria che sono state analizzate ed autorizzate. Se si dovesse cambiare macchina è corretto ri-iniziare l’iter per verificare se le nuove dimensioni e caratteristiche sono in linea con tutte quelle che
sono le necessità del sito, quindi, le varie criticità e caratteristiche che si trovano nella comunità locale. La visibilità da lontano può
aumentare perché le torre sbuca fuori dalla collina e quando di guarda la chiesa o il duomo c’è la pala che è visibile, se si alza di
5-10 metri la torre. La lentezza dell’iter autorizzativi crea degli inconvenienti, ma il progetto non può essere modificato anche se la
tecnologia in 3-4 anni va avanti molto velocemente. Questo è un settore in cui la tecnologia ha subito delle evoluzioni rapidissime,
perché il mercato ha imposto dei ritmi velocissimi. Pertanto, un iter lento rischia di far sì che le soluzioni tecnologiche adottate
siano superate dalla evoluzione della tecnologia. Però, se consideriamo che la vita utile di un parco deve essere di circa 15-20 anni.
Dal punto di vista dell’incentivazione oggi sono 15 anni, questo come vita finanziaria di un parco, dal punto di vista della tecnica/
tecnologica, la vita di un parco è intorno ai 20 anni. È chiaro che ci troviamo davanti a dei parchi eolici che dal punto di vista
tecnologico vengono superati facilmente in questo momento” (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).
60
6. Gli elementi di criticità
aggiungendo gli impianti in autorizzazione, sostanzialmente, esce fuori che tutto il territorio è
coperto, al netto delle case e delle strade. Non ci sarebbero più spazi liberi, incluse le aree di
espansione della rete elettrica. Oggi, se Terna dovesse fare un elettrodotto, in alcuni comuni
della provincia di Foggia, non potrebbe farlo perché tutto è già coperto da un diritto di richiesta
di autorizzazione di grandi impianti eolici e fotovoltaici. Come si affronta questo problema? Il
fatto è che l’accerchiamento, in realtà, è sostanzialmente sulla carta, perché la stragrande maggioranza di questi progetti non verrà mai realizzata. Le istituzioni soffrono terribilmente per il
fatto di trovarsi, a causa della loro stessa complessità burocratica, a dover accumulare dal 2005
al 2011 centinaia di progetti che non riescono a valutare e che non riescono ad approvare o bocciare. Il problema c’è pure in Germania, ma in misura enormemente ridotta. Perché un progetto
lo proponi, lo guardo e in 60 giorni è approvato e al 61° giorno cantieri. Quando arriva quello
dopo di te, che mi chiede di realizzarlo nella stessa area, io lo boccio semplicemente perché sta
là, perché già se ne sta realizzando uno. Se invece ho un sistema che mi genera centinaia di
puntini sul territorio continuamente ad una velocità spaventosa, allora si ha:
• un proliferare di carte e di costi generati, assolutamente inutile, perché non porteranno poi
kWh;
• un senso si oppressione sulle istituzioni locali;
• un senso di inadeguatezza della rete elettrica, la quale su quei numeri non sarebbe mai in
grado di programmare gli interventi.
Per cui, cosa succede a Foggia? L’accerchiamento è tale che alla fine la Regione insabbia tutto,
blocca ogni tipo di procedimento e tu aspetti. Prima di rinunciare, dopo aver magari già speso
un milione di euro di progettazione e consulenze, accetti di partecipare ad un tavolo di negoziazione, in cui tutti gli operatori, di fronte all’evidenza dell’ingessamento della situazione,
si riducono il numero degli aerogeneratori previsti nei progetti e tutti accettano e presentano
la variante di progetto. Questa è una sorta di “pianificazione da concertazione”, con spazio
ovviamente per mille tipi di pressioni politiche, perché tutto si risolve non per via normativa,
ma per decisione discrezionale (Mario Gamberale, Kyoto Club).
Tre appaiono le strade possibili per cercare di sbloccare la situazione:
• abbandonare il regime di liberalizzazione del mercato elettrico per tornare ad un regime di pianificazione, ipotesi resa difficile o addirittura impraticabile se non altro perché le
direttive comunitarie recepite dall’Italia in questi ultimi 15 anni lo impediscono;
• avviare una drastica azione di sburocratizzazione, con un azzeramento della situazione,
ma anche questa è una strada difficile da percorrere perché ci sono i diritti acquisiti;
• fare in modo che le Regioni si diano uno strumento di programmazione che dimensioni
la quantità di sviluppo di eolico verso cui si vuole tendere e fissi con chiarezza i criteri dal
punto di vista territoriale, e poi prendere delle risorse finanziarie dalla tariffa elettrica per
destinarle a pagare dei professionisti o gli stessi funzionari dell’ente locale per espletare la
valutazione dei progetti nei tempi previsti dalla legge.
Se l’impianto è compatibile, domani cantieri, se non è compatibile, perché c’è ne è già uno
attaccato o sulla stessa area, lo boccio. A quel punto ci sarebbe una regolazione sull’evidenza
degli impianti autorizzati e realizzati (Mario Gamberale, Kyoto Club).
Inoltre, rispetto alla governance istituzionale, sebbene alle Regioni sia affidata la competenza amministrativa sulle fonti rinnovabili, appare troppo debole e lacunoso il raccordo con
i livelli amministrativi sottostanti quello regionale. La condivisone con gli enti locali diventa
pertanto fondamentale e condizionante il processo di attuazione, specie per quanto riguarda
azioni che intercettano le competenze dei Comuni e la loro potestà di governo del territorio
e regolamentare, anche in virtù dell’adeguamento e dell’adozione di strumenti e norme inno-
61
Energia eolica e sviluppo locale
vativi, come nel rispetto degli impegni presi aderendo al Patto dei Sindaci (programmazione
territoriale e regolamentazione locale edilizia, pianificazione urbanistica integrata con le reti
energetiche - teleriscaldamento, mobilità, etc.).
Per quanto riguarda le procedure amministrative per la formazione dei titoli abilitativi
alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia eolica e più in generale
da fonte rinnovabile, diverse sono le criticità che fino ad oggi si sono manifestate:
1. Il mancato rispetto del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento di autorizzazione unica appare essere ormai sistematico. Sono eccezionali, infatti, i casi in cui il titolo
Il Patto dei Sindaci
Circa 2000 sono le città europee, di cui oltre 500 quelle italiane, aderenti al Patto dei Sindaci e che
hanno preso l’impegno di ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti di almeno il 20% entro il
2020. Da questo punto di vista il Patto dei Sindaci rappresenta l’azione più forte attualmente in atto
per coinvolgere i governi locali nella lotta ai cambiamenti climatici. Il Piano di azione nazionale italiano per le fonti rinnovabili indica la campagna SEE (www.campagnaSEEitalia.it), e il patto dei Sindaci
che opera al suo interno, come una delle principali iniziative di sensibilizzazione in atto nel nostro
Paese. Le singole città aderenti al Patto si impegnano a redigere, sulla base di apposite linee guida, un
Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), documento programmatico (da presentare in Consiglio
Comunale, nonché alla Commissione Europea) per descrivere il percorso e le azioni che seguiranno da
qui al 2020 per ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti. In Italia, la prima città ad aver approvato il proprio PAES in Consiglio Comunale è stata Avigliana, seguita da Torino, Udine, Verona. La Fondazione Cariplo ha emesso un bando che mette a disposizione 2 milioni di euro proprio per sostenere
i comuni nella redazione dei PAES. Diverse Regioni e Province stanno mettendo in sinergia le proprie
attività proprio al fine di convogliare risorse economiche, derivanti ad esempio dai Fondi Strutturali,
verso azioni propedeutiche all’attuazione del Patto dei Sindaci. A livello europeo, è possibile accedere
a risorse finanziarie attraverso il fondo ELENA, gestito dalla BEI e il bando comunitario Energia Intelligente per l’Europa (EIE). Dal punto di vista operativo, il PAES si compone di tre parti ben distinte:
• una prima parte riguarda la creazione di una strategia generale di lungo termine del singolo Comune (o del gruppo di Comuni associati allo stesso PAES), con l’identificazione di adeguate strutture
amministrative con adeguate risorse umane e finanziarie all’interno dei singoli Comuni, del target
di riduzione al 2020, delle azioni prioritarie da perseguire, delle tendenze in atto e delle principali
opportunità. Per quanto riguarda il target di riduzione delle emissioni, esso può essere calcolato in
valori assoluti o pro-capite, cioè per numero di abitanti;
• una seconda parte riguarda l’analisi dello stato dell’arte in termini di emissioni, cioè la preparazione dell’inventario delle emissioni della città nell’anno riferimento, per poi analizzare il trend
delle emissioni da qui al 2020 al fine di stimare le emissioni attese al 2020 e programmare quindi
le azioni di riduzione in sintonia con lo sviluppo della città. Infine, in questa fase si analizza anche
la produzione di energia a livello locale, in particolare valorizzando gli impianti a fonte di energia
rinnovabile. I settori principali sui quali si pone l’attenzione sono quelli relativi agli edifici, strutture
e industrie locali, nonché quello dei trasporti, sia pubblici che privati;
• la terza fase riguarda l’individuazione dei settori sui quali intervenire e, quindi, le azioni da
mettere in campo per tipologia e fonte di energia utilizzata. Il consumo di energia riguarda tutti i
settori del vivere quotidiano nelle città: trasporti, residenziale, piccola e media industria, agricoltura,
terziario e, al loro interno, la tipologia di energia utilizzata (termica, elettrica, carburanti) e la fonte
di provenienza (fossile o rinnovabile). Questa fase deve veder coinvolta la società civile al fine di
condividere insieme le scelte strategiche per lo sviluppo sostenibile della città.
62
6. Gli elementi di criticità
autorizzatorio viene rilasciato entro 180 giorni. Tale termine costituisce principio fondamentale della materia ed è volto a garantire la celere conclusione del procedimento su tutto il
territorio nazionale. Oggi, la media dei tempi di autorizzazione di un impianto eolico è di
3-5 anni, poiché sono aggravati spesso da ingiustificati oneri ed atteggiamenti discrezionali
da parte delle amministrazioni e degli preposti a dare l’assenso al progetto. L’omesso rispetto
del termine costringe gli operatori a rivolgersi all’autorità giudiziaria per obbligare l’amministrazione competente a pronunciarsi entro un termine fissato in sede giurisdizionale. Con
ciò, tra l’altro, gravando le corti amministrative – ma anche le stesse amministrazioni coinvolte nei procedimenti, con i conseguenti costi – di contenziosi che potrebbero essere evitati
se l’amministrazione improntasse l’azione amministrativa al principio del buon andamento.
2. Le discipline regionali adottate nelle more dell’adozione delle Linee guida nazionali, non
solo hanno creato un panorama normativo assai disomogeneo, ingenerando grave disorientamento tra gli operatori interessati ad operare in più territori regionali, ma hanno provocato
un nocumento ben maggiore al settore. Spesso, infatti, le discipline adottate dalle Regioni si
sono poste in aperto contrasto con i principi giuridici in materia di energia dettati a livello
nazionale e comunitario. Si tratta, ad esempio, di disposizioni di contingentamento della
potenza o del numero o della tipologia di impianti installabili, della sospensione a tempo
indeterminato dei procedimenti autorizzativi (le cosiddette moratorie), dell’introduzione di
requisiti di accesso al procedimento non previsti dalla disciplina nazionale di principio, della
individuazione di aree aprioristicamente non idonee alla installazione di impianti, della creazione di società energetiche regionali a partecipazione pubblica idonee a competere direttamente con i potenziali produttori privati. Tali discipline, da un lato, hanno avuto l’effetto di
rendere particolarmente gravosa o addirittura di paralizzare l’installazione di potenza eolica/
rinnovabile sul territorio. Dall’altro, esse si sono tradotte in barriere all’accesso al mercato
di produzione di energia da fonte rinnovabile, nonché, in ingiustificate distorsioni della
concorrenza tra operatori localizzati in differenti zone del territorio nazionale.
3. Le informazioni e le condizioni di accesso alle stesse sono tutt’altro che definite. Basti
pensare che non esiste, salvo qualche caso isolato, un elenco chiaro, completo e univoco:
• della documentazione da allegare all’istanza di autorizzazione unica o alla denuncia di
inizio attività edilizia;
• degli enti coinvolti nel procedimento;
• dei pareri che essi devono rendere e dei termini entro cui essi devono esprimersi;
• del ruolo e del peso che hanno i singoli enti (soprattutto i Comuni) all’interno del procedimento.
Ciò ha sino a ora reso scarsamente trasparenti le procedure autorizzative. Se, da un lato,
si auspica, quindi, che le Linee guida effettivamente introducano l’obbligo, per le amministrazioni competenti, di rendere disponibili e facilmente accessibili le informazioni elencate,
nondimeno si ritiene necessario che tale obbligo venga esteso anche ai Comuni che si renderanno destinatari di un numero sempre maggiore di istanze (D.I.A. e comunicazioni) per la
installazione di impianti di piccola taglia.
4. Il collegamento tra amministrazioni dovrebbe avvenire nell’ambito del modulo procedimentale della conferenza di servizi (che ha natura istruttoria) attraverso il responsabile del
procedimento, unico tramite tra il proponente e le amministrazioni interessate. In concreto,
ciò avviene raramente. Sono assai frequenti, infatti, i casi in cui le amministrazioni coinvolte
63
Energia eolica e sviluppo locale
nel procedimento si pronunciano al di fuori della conferenza di servizi, snaturandone così lo
scopo cui essa tende: raccogliere gli enti attorno a un tavolo per valutare contestualmente e
in modo integrato il progetto sottoposto alla loro attenzione. Analogamente, le amministrazioni spesso si rivolgono direttamente al proponente, anziché veicolare le proprie richieste
attraverso il responsabile del procedimento che non è più in grado di operare quel necessario coordinamento tra enti e proponente. Sarebbe pertanto necessario rafforzare il ruolo del
responsabile del procedimento.
5. Le procedure semplificate sino a oggi introdotte per rendere più celere l’installazione degli
impianti a fonti rinnovabili sono costituite dalla denuncia di inizio attività edilizia prevista
per impianti al di sotto di una certa soglia di potenza, nonché dalla mera comunicazione
contemplata per gli interventi minori. Tuttavia, si segnala che, ai sensi della disciplina
di principio (articolo 12, D.Lgs. 387/2003), il procedimento ordinario di autorizzazione è
necessario, non solo per la realizzazione di nuovi impianti, ma anche per le ipotesi di modifica, rifacimento totale o parziale (re-powering) e riattivazione di impianti già esistenti. A tal
proposito, da parte degli operatori si suggerisce l’introduzione di procedure semplificate per
queste tipologie di lavori, anche allo scopo di rendere la disciplina abilitativa coerente con
quella incentivante che favorisce la realizzazione dei citati interventi. La semplificazione
potrebbe consistere nell’introduzione di ulteriori fattispecie da assoggettare a denuncia di
inizio attività, ovvero nella previsione di un procedimento autorizzatorio snello cui partecipano solo le amministrazioni che si devono esprimere sugli interventi e che si conclude
entro un termine breve.
6. Le spese di istruttoria relative allo svolgimento dei procedimenti di autorizzazione unica
e/o degli endoprocedimenti (ad esempio, di natura ambientale) necessari hanno costituito
spesso un ostacolo alla massima diffusione degli impianti a fonti rinnovabili. Sotto un profilo
meramente formale, esse sono state spesso introdotte da disposizioni non di rango legislativo, in violazione dell’articolo 23 della Costituzione. Dal punto di vista dei contenuti poi,
esse sono spesso apparse esorbitanti e, più in generale, si sono tradotte, di fatto, in misure
di compensazione (vietate dall’ordinamento) in quanto, tra l’altro:
Il re-powering
L’obsolescenza di molti impianti eolici presenti sul territorio è tale da rendere necessario lo smantellamento e la sostituzione degli aerogeneratori. In questi casi si procede al re-powering o re-wamping,
sostituendo le macchine – in genere da 200-350-800 kW – con macchine da 800 kW-2,5 MW, che vengono installate con un rapporto di 1 ogni 2-3 macchine smantellate, in funzione delle caratteristiche
del luogo. Ciò consente un incremento della producibilità, a parità di territorio occupato, di circa il
20-40%, e altezza delle torri di sostegno compresa tra i 50 e i 100 metri, diminuendo sensibilmente
l’affollamento delle unità presenti, a parità di potenza installata.
Si segnala che, ai sensi della disciplina dell’articolo 12, D.Lgs. 387/2003, il procedimento ordinario di
autorizzazione è necessario, non solo per la realizzazione di nuovi impianti, ma altresì per le ipotesi
di modifica, rifacimento totale o parziale e riattivazione di impianti già esistenti. Dato che questa
evenienza si presenta in modo spiccato nel caso di impianti eolici, andrebbero pertanto introdotte
procedure semplificate per tali lavori e meccanismi che permettano una migliore efficienza e rendimento delle apparecchiature da sostituire, prevedendo la possibilità di aumentare la potenza della
macchina a fronte di una (eventuale) riduzione nel numero delle stesse.
64
6. Gli elementi di criticità
• erano imposte quale conseguenza automatica della installazione di impianti a fonti
rinnovabili;
• venivano previste a favore delle Regioni;
• avevano natura meramente economica.
Occorre aprire una nuova fase dello sviluppo eolico in Italia, nella quale vi siano finalmente regole chiare per la valutazione e approvazione dei progetti. Servono regole chiare e
procedure trasparenti per poter interloquire in modo attivo con le imprese e per valutare nel
tempo la diffusione dell’eolico e delle altre fonti rinnovabili, con una programmazione che
consenta alle amministrazioni di valutare la compatibilità dell’insieme dei progetti rispetto
ai territori.
La questione delle royalty e delle misure compensative per i Comuni
Le Linee guida nazionali stabiliscono i criteri per l’eventuale fissazione di misure compensative per i
Comuni. Innanzitutto, le Linee guida (sulla base del parere del Consiglio di Stato n. 2849 del 14 ottobre
2008) stabiliscono il criterio che la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione
di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull’ambiente, non dà luogo a misure compensative. Fermo restando, quindi,
che per l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non è dovuto alcun corrispettivo
monetario in favore dei Comuni, l’autorizzazione unica può prevedere l‘individuazione di misure compensative*, a carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniale, a favore degli stessi
Comuni e da orientare su interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti
riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di diffusione di installazioni di impianti
a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza sui tali temi. Le “misure di compensazione e
di riequilibrio ambientale e territoriale” sono determinate in riferimento a “concentrazioni territoriali di
attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”, con specifico riguardo alle opere in
questione**. Devono essere “concrete e realistiche”, cioè determinate tenendo conto delle specifiche
caratteristiche dell’impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale. Sono solo “eventuali”,
e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale. Non possono
comunque essere superiori al 2% dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione dell’energia elettrica prodotta annualmente dall’impianto. Ovviamente, questa limitazione
non è vista di buon occhio da parte di molti dei sindaci dei piccoli comuni dove sono localizzati gli
impianti eolici industriali. “Accadia è stato il primo comune che ha fatto una convenzione 20 anni fa
pensando che avremmo tracciato una via “industriale”. In realtà, è tutto un fallimento. L’ultima è stata
la telefonata del gestore di un parco eolico che mi ha detto: “vi abbiamo foraggiati”. Per loro foraggiati
significa l’1,50%, cioè briciole che a noi sono servite per devastare un territorio che è l’unico patrimonio
di bellezza del Sub-Appennino. In realtà, le società che vengono ad installare i parchi eolici, colonizzano,
fanno quello che vogliono e se ne vanno. E se qualcuno pretende qualcosa in più rischia di essere querelato
e mandato sotto processo. La realtà è che c’è un connubio, una connivenza di interessi tra la politica a
livello centrale e il mondo industriale, altrimenti non si spiegherebbe questa colonizzazione sul territorio
senza nessuna ricaduta reale. Quando poi ci vengono ad imporre che non ci devono essere le royalty, perché
il Governo dice che le royalty non sono legali, vuol dire una cosa: che i grossi gruppi industriali, hanno fatto
accordi con la politica centrale” (Pasquale Murgante, Accadia).
*
Le misure compensative sono definite in sede di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di
quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali e non possono unilateralmente essere fissate da un singolo Comune. Nella
definizione delle misure compensative si tiene conto dell’applicazione delle misure di mitigazione in concreto già previste, anche
in sede di valutazione di impatto ambientale. A tal fine, con specifico riguardo agli impianti eolici, l’esecuzione delle misure di
mitigazione di cui all’allegato 4 delle Linee guida, costituiscono, di per sé, azioni di parziale riequilibrio ambientale e territoriale.
** Sentenze Corte cost. n. 383/2005 e n. 248/2006 in riferimento all’articolo 1, comma 4, lettera f), della legge 239/2004.
65
Energia eolica e sviluppo locale
Ora, che finalmente ci sono le Linee guida nazionali per i progetti che fissano i riferimenti che devono valere in tutta Italia rispetto alle rotte di migrazione dell’avifauna e alle
attenzioni da avere rispetto agli impatti, le Regioni, che hanno la responsabilità di valutare
ed approvare i progetti, devono calare nella propria realtà le indicazioni di tutela (ossia
dove i grandi impianti eolici non devono essere realizzati perché in presenza di aree di pregio naturalistico come SIC e ZPS, rotte di migrazione di avifauna e fauna, paesaggi unitari e
riconosciuti) e indicare dove e con quali attenzioni, studi, valutazioni degli impatti invece
realizzarlo in modo migliore e in tempi certi in tutte la altre aree.
Alle amministrazioni comunali spetta, invece, il compito di verificare le condizioni locali
di realizzazione, le opportunità di valorizzazione del territorio locale, l’informazione dei cittadini. La trasparenza delle procedure e la partecipazione dei cittadini alla costruzione delle
decisioni risulta decisiva propria per anticipare e comprendere i motivi di timore, valorizzare
nei progetti le potenzialità dei luoghi.
6.3 La carenza di una informazione corretta
Tra gli elementi di criticità va considerata anche la carenza di una informazione corretta
rispetto all’energia eolica e, più in generale, alle fonti rinnovabili, con le maggiori responsabilità attribuibili alle pubbliche amministrazioni, ma anche ai mezzi di comunicazione, che non
sempre hanno illustrato e illustrano nel modo dovuto lo scenario energetico italiano di liberalizzazione e concorrenza tra operatori, le caratteristiche delle tecnologie rinnovabili e, soprattutto, i loro benefici effetti sull’ambiente e le ricadute positive in termini occupazionali.53
Stando alla lettura che sempre più spesso danno i mass media dello sviluppo delle rinnovabili in Italia, fotovoltaico a terra, eolico on/off shore, centrali a biomasse, sembrano essere
diventati i nuovi nemici dell’ambiente e della legalità. Da una parte, i difensori integerrimi
della bellezza del paesaggio rurale, dall’altra, i nuovi affaristi delle rinnovabili favoriti da un
sistema degli incentivi troppo generoso,54 con gli “sviluppatori”, le infiltrazioni mafiose, la
corruzione, il malaffare, gli sfregi al paesaggio, i facili guadagni e gli impianti costruiti e
mai collegati alla rete. Ma, rappresentare l’eolico come un’attività in mano alla mafia e alla
‘ndrangheta nel Mezzogiorno o alla P3 in Sardegna, sostenere che gli impianti beneficiano di
incentivi anche se sono fermi, che si sta rischiando di riempire l’Italia di migliaia di impianti
per produrre pochissima energia elettrica significa offrire una rappresentazione falsa, alimentando insinuazioni, allarmismi e la ricerca esasperata della polemica a ogni costo.55
In primo luogo, perché è la mafia il problema del Mezzogiorno e l’eolico casomai è
vittima, come tutte le attività imprenditoriali, del controllo del territorio da parte della
53 In questo senso, va sottolineate l’attenzione che il Decreto Legislativo che dà attuazione alla direttiva 2009/28/CE dedica
al tema dell’informazione, attraverso:
• la realizzazione da parte del GSE di un portale informatico;
• accordi del GSE con le autorità locali e regionali, per elaborare programmi di informazione, sensibilizzazione, orientamento
o formazione al fine di informare i cittadini sui benefici e sugli aspetti pratici dello sviluppo e dell’impiego di energia da fonti
rinnovabili;
• modalità con cui i fornitori o installatori dovranno informare i clienti sui costi e le prestazioni degli impianti.
Il ruolo fondamentale assegnato al GSE è di per sé una garanzia, purché gli siano fornite le risorse necessarie, onde evitare che
il nuovo impegno vada a detrimento di quelli già in essere.
54 È senz’altro vero che gli incentivi in Italia sono più alti se comparati con gi altri Paesi, ma questo è un problema e una
responsabilità di Governo e Parlamento. Come abbiamo visto in precedenza, gli incentivi per l’eolico sono gli stessi delle altre
fonti rinnovabili – solare escluso che finora ne ha avuti di ben più vantaggiosi – e non sono in concorrenza, per cui non esiste
una maggiore generosità verso l’eolico o la possibilità che si sottraggano risorse.
55 A questo proposito, si vedano, ad esempio, gli articoli comparsi nell’ultimo anno su grandi quotidiani nazionali come Il
Sole 24 Ore (Amadore, 2010; Galullo, 2010; Giliberto e Rendina, 2011), Il Messaggero (Cirillo, 2010a/b/c/d/e), La Repubblica
(Casacci, 2010a; Pirani, 2010, 2011) e Il Corriere della Sera (Rizzo, 2011). Si veda anche la puntata dedicata all’eolico del programma televisivo Report di RAI 3 del 28 novembre 2010.
66
6. Gli elementi di criticità
criminalità organizzata. A nessuno viene in mente di sostenere che i centri commerciali o la
costruzione di ospedali e strade, o i rifiuti siano settori “intrinsecamente” mafiosi, perché in
alcuni territori sono in mano alle mafie.
Dove c’è attività imprenditoriale c’è sempre il rischio che ci sia infiltrazione da parte di soggetti
malavitosi di vario genere. Si legge da qualche parte che non bisogna fare più le autostrade o
costruire palazzi o fare pizzerie perché c’è la mafia che ci si infila dentro, chiede il pizzo o si
pagano le tangenti? No, semmai si deve combattere il rischio, che peraltro nell’eolico c’è, ma
molto marginale, come certificato anche da un recente rapporto sulla legalità di Legambiente.
Premesso che il rischio che la malavita organizzata entri nella realizzazione degli impianti
eolici è di per sé molto basso perchè questi impianti sono realizzati per il tramite del project
financing. Dato che anche la eventuale proprietà del parco non garantisce la banca di poter
poi recuperare il capitale investito, la banca entra in partnership con l’operatore, cioè diventa
suo socio. Quindi, è evidente che vengono fatte delle verifiche antimafia sulle persone fisiche e
sulle società. Ci può essere un problema sulla parte delle opere civili, cioè le piccole costruzioni, il movimento terra, il cemento, etc. Su questo, noi come associazione abbiamo seguito dei
percorsi che ci sembrava necessario seguire per evitare che anche in questo potesse succedere
qualcosa. Abbiamo fatto dei protocolli da sempre con Legambiente, WWF e Greenpeace sul corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, per la minimizzazione degli impatti. Abbiamo
delle linee guida interne e un codice deontologico che vietano una serie di comportamenti illeciti o addirittura semplicemente poco corretti. E in più abbiamo sottoscritto il protocollo sulla
legalità Ministro degli Interni-Confindustria e l’abbiamo reso obbligatorio per i nostri associati.
La realtà è che la mafia non ci riesce ad entrare, dato che il project financing è uno schema
che ti blocca dai grossi ricavi. La mafia ha i soldi in contanti. La domanda ultima è – dato che
uno legge questi articoli su Il Sole 24 Ore56 e sente le accuse del ministro Tremonti all’eolico
– se uno legge che sono stati sequestrati beni pari a 1,5 miliardi di euro al “re dell’eolico”.
Lei ed io, quando abbiamo letto questo articolo abbiamo pensato che Vito Nicastri di Alcamo
(Trapani), il “re dell’eolico”, fosse stato arrestato e gli avessero sequestrato i beni. Lei sa che
Vito Nicastri in questo tipo di operazioni non ha subito nessun tipo di restrizione personale?
Non lo sapevo neanche io, ma l’ho viso successivamente e mi sono domandato come fosse
possibile. Se gli hanno sequestrato i beni, fa il mafioso e manco l’arrestano? È strana questa
cosa. Dopo di che mi sono chiesto: se gli sono stati sequestrati beni per 1,5 miliardi di euro,
facendo un rapido calcolo, mi sono immaginato che siano stati sequestrati quantomeno tutti i
parchi eolici della Sicilia. Invece, non hanno sequestrato neanche un aerogeneratore. Premesso
che questo non è un imprenditore dell’eolico, né un nostro associato, ma è uno che sviluppava
progetti, lei lo sa a chi li vendeva questi progetti? Ad Enel, Edison, E.ON. Quindi, dato che lui
non era proprietario di impianti eolici – e questo è quello che mi ha fatto riflettere e indagare
sulla cosa – ho chiamato Enel, Edison ed E.ON per chiedere loro se gli avevano sequestrato gli
impianti eolici in Sicilia. No, no, no. Perché se fosse stato così Maroni avrebbe detto che Enel,
Edison ed E.ON erano mafiose. Cosa gli hanno sequestrato a questo Vito Nicastri? Progetti, cioè
carta. 1,5 miliardi di euro di progetti… Ma su quali basi si arriva a questa valutazione? Tutto
questo è significativo del fatto che c’è una attenzione a far uscire le cose sull’eolico in un certo
modo (Simone Togni, Anev).
Per fare chiarezza sulla situazione dell’eolico, Legambiente ha presentato nell’estate
del 2010 un dossier con l’obiettivo di mettere in luce il quadro delle inchieste in corso e la
situazione dell’eolico in Italia. La fotografia dell’eolico che ne esce fuori restituisce un settore sano, fatto in stragrande maggioranza di imprese serie e di progetti che hanno trovato
56
Il riferimento è agli articoli di Amadore, 2010 e di Galullo, 2010.
67
Energia eolica e sviluppo locale
il consenso del territorio, perché ben integrati nel paesaggio. Insomma, i numeri sembrano
smentire le accuse circolate negli ultimi tempi riguardo alla permeabilità di questo settore
rispetto alla criminalità.57
Legambiente ha voluto mettere in evidenza le sette inchieste, condotte dal 2006 ad oggi, che
riguardano l’eolico. Si tratta di indagini che hanno conosciuto un’accelerazione dal 2009 e
che riguardano in particolare cinque Regioni: Sardegna, Sicilia, Campania, Puglia e Calabria.
Eppure, nonostante la presenza invasiva in queste Regioni delle organizzazioni mafiose e gli
ovvi interessi di chi cerca ogni occasione utile per ottenere illegalmente facili profitti, l’eolico
è di gran lunga il settore economico meno condizionato da fenomeni criminali e d’illegalità in
genere. Basta confrontare questi numeri con quelli del traffico illecito di rifiuti oppure con quelli
del ciclo illegale del cemento. Nel periodo gennaio 2006-luglio 2010 sono state compiute in
Italia 111 operazioni contro i trafficanti di rifiuti con 69 arresti e 360 aziende coinvolte. Vale
la pena sottolineare, peraltro, che delle indagini in corso soltanto una si è già conclusa con
una sentenza di condanna in primo grado – l’operazione Eolo -, mentre diverse non sono ancora
arrivate alla fase del rinvio a giudizio. Inoltre, provvedimenti cautelari scaturiti dalle inchieste,
sequestri, denunce, arresti. Sono quasi sempre stati emessi durante le fasi di progettazione
e autorizzazione, bloccando cioè gli impianti ancora sulla carta, prima che si realizzassero le
opere e che i parchi cominciassero a produrre energia. Il che significa che grazie all’attività degli investigatori oggi non c’è pressoché traccia di energia eolica “illegale” che viaggi nella rete
elettrica (Zanchini, 2010a:60-61).
In secondo luogo, non è vero che chi investe nell’eolico possa beneficiare di fondi europei o pubblici per la realizzazione degli impianti. Da tempo in Italia gli incentivi vengono
concessi solo per l’energia elettrica effettivamente prodotta. Proprio per questo, se le pale
sono in aree dove non c’è vento e rimangono ferme l’investimento è un totale fallimento che
nessuno farebbe.
Oggi, dal punto di vista degli incentivi l’Italia ha una quadro di norme relativamente avanzato
che è stato costruito dal governo Prodi sul modello prevalente in Europa del conto energia. Questo modello ha eliminato alcune delle principali distorsioni. In assenza di questo tipo di sistema
di incentivazione era effettivamente possibile che chi decidesse di realizzare, ad esempio, un
parco eolico potesse ottenere delle incentivazioni a prescindere dal fatto che quel parco eolico
immettesse energia in rete. Questo dal 2004 non è più così, nel senso che un impianto eolico è
incentivato nella misura in cui produce elettricità.58 La favola che continua ad essere raccontata, che uno possa prendere dei soldi per realizzare l’impianto a prescindere dal fatto che il parco
eolico produca effettivamente della elettricità (cioè che le pale girino), non è stata una favola
in passato (prima del 2004), ma oggi non corrisponde alla realtà dei fatti. Se un mafioso, per
essere chiari, vuole speculare sull’eolico non può farlo se non produce elettricità. La possibilità
che questi incentivi siano fasulli e che non incentivino altro che speculazioni private, oggi non
esiste più (Roberto Della Seta, senatore).
57 Anev ha lanciato un segnale preciso in proposito, firmando il Protocollo di legalità tra Confindustria e Ministero dell’Ambiente.
58 Fino al 2004 era possibile avere diritto all’incentivazione sull’energia prodotta, usufruendo al contempo di contributi pubblici previsti dalla Legge 488/92, destinati alle aree depresse del Paese. Va comunque segnalato che detti finanziamenti erano
erogati solo a fine costruzione e raggiungevano l massimo il 10% del costo documentato dell’investimento. Alcune inchieste
della magistratura indagano sull’eventualità che, per l’installazione di pochi impianti diversi anni fa, siano stati ottenuti illecitamente tali fondi.
68
6. Gli elementi di criticità
Infine, poiché gli impianti eolici si possono realizzare laddove il vento soffia davvero,
che non è ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta nel concorrere insieme alle altre
rinnovabili in un processo di riconversione energetica e non di rappresentare l’alternativa, da
sola, al petrolio.
Certamente, non si devono nascondere errori e sottacere speculazioni da parte di alcuni
imprenditori o l’assenza di regole e controlli nazionali che ha fatto sì che in questi anni in
ogni territorio si è andati in ordine sparso.
Bisogna partire dalla consapevolezza di chi disegna scenari di devastazione per le montagne
dell’Appennino ha gioco facile nell’indicare l’area dei rilievi tra Puglia, Campania e Abruzzo
dove sono concentrati due terzi dei MW installati in Italia. Strutture a volte intrusive rispetto
ai caratteri del paesaggio italiano e spesso realizzate in assenza di qualsiasi programmazione
o regola di inserimento in territori rimasti fino ad oggi ai margini dello sviluppo. Impianti
“infelici” (come a Castiglione Messer Marino), o addirittura fermi (come a Collarmele) prestano il fianco alle polemiche, come prova che l’eolico rappresenti una ferita per il paesaggio e
che si stia diffondendo solo grazie ad incentivi e contributi pubblici senza dare un contributo
energetico significativo. In alcune parti dell’Appennino troviamo anche situazioni paradossali
da stigmatizzare: chilometri di torri differenti per dimensione, colore e forma, che chiudono
completamente i crinali e il paesaggio, realizzati da aziende diverse proprio sui confini amministrativi dei comuni (Zanchini, 2004:162).
Rimane un elemento distorsivo che è la tendenza, l’inflazione della figura dell’intermediario,
di chi non avendo la vocazione poi a gestire l’impianto, producendo elettricità, ricopre semplicemente il ruolo dello “sviluppatore”, di attraversare tutte le fasi dell’iter autorizzato, per poi
consegnare il progetto autorizzato chiavi in mano a chi poi lo deve concretamente realizzare e
gestire. Ora, di per sé, questa è una figura che potrebbe anche starci in un sistema efficiente
e trasparente. Certamente, in Italia, e soprattutto nel Mezzogiorno, lo spazio di questo tipo di
azione è molto grande e ogni tanto si presta anche a degenerazioni. Dal punto di vista legislativo/normativo un intervento lo vedrei soprattutto in questa direzione, nel limitare lo spazio,
il peso di questa figura, o se non altro di renderla il più possibile trasparente e controllata.
Però, questo riguarda l’eolico, ma anche tutti gli altri settori delle politiche ambientali, come
ad esempio lo smaltimento dei rifiuti, dove c’è un problema di intermediazione che spesso
diventa il modo per riuscire e sottrarsi ai controlli democratici di trasparenza (Roberto Della
Seta, senatore).
Quello che ha fatto male all’eolico è che tanti senza avere le competenze tecniche e finanziarie per fare progetti, chiedevano l’autorizzazione e poi se la vendevano. Questo ha creato un
mercato delle autorizzazioni dove poi ci si è infilata anche la camorra, la mafia, la malavita, e
sono venuti fuori dei parchi eolici che avevano come “peccato originale” quello di essere stati
avviati da gente assolutamente incompetente, purissimi speculatori….. Forse bisognerebbe
combattere questi fenomeni più che l’eolico. In Italia stanno riuscendo a fermare l’eolico, ma
la malavita va avanti lo stesso, trova altre strade, altri investimenti. Anche noi abbiamo delle
responsabilità. Se in Italia ci fossero delle regole chiare non ci sarebbe la necessità di prendere
delle scorciatoie, invece non è così. Ci vogliono 4–5 anni per ottenere un autorizzazione, quindi
è chiaro che qualcuno viene “tentato” (Schiapparelli, REpower).
Secondo gli ambientalisti più favorevoli allo sviluppo delle rinnovabili, le criticità e le
distorsioni che si stanno palesando nei territori sono la risultante della mancanza di regole
semplici e valide per tutti che ha fatto impazzire il mercato:
69
Energia eolica e sviluppo locale
• favorendo le figure di intermediari, gli “sviluppatori”, primo luogo di infiltrazione della
corruzione e della moltiplicazione delle offerte;59
• rendendo deboli i Comuni nella trattativa con le aziende proponenti, così che hanno
trovato cittadinanza progetti insulsi e dannosi;
• costruendo delle procedure estremamente complesse con poteri tutti centralizzati presso
i ministeri per l’eolico offshore.
Eventuali infiltrazioni criminali e comportamenti speculativi trovano origine proprio
nell’interstizio di arbitrarietà e incertezza che deriva dalla continua stratificazione normativa
e dall’onerosità e discrezionalità delle procedure.
Da più parti viene avanzato il sospetto che dietro le polemiche e le deformazioni informative sull’eolico e sulle altre rinnovabili da parte dei mass-media ci siano dei precisi
interessi – i settori energetici concorrenti, a cominciare dai petrolieri e dai nuclearisti – che
si avvantaggiano dalla confusione creata, mentre si diffonde un atteggiamento secondo cui
non ci sono fonti energetiche buone o cattive, ma tutte hanno qualche scheletro nell’armadio
da nascondere.
A leggere le prime pagine dei giornali o i commenti autorevoli che accompagnano le inchieste
della magistratura, sembra quasi che oggi in Italia l’installazione di torri eoliche sia in cima alle
attività criminali condotte in danno dell’ambiente. Non è così. Questa distorsione della realtà
è il frutto, da un lato, di un meccanismo di comunicazione comprensibile: l’energia eolica, rinnovabile pulita, fa notizia quando attira affari sporchi (un po’ sulla falsariga del “padrone che
morde i cane”). E dietro la rappresentazione di una “battaglia sull’eolico” ci sono spesso ragioni di interesse o di ricerca di visibilità mediatici evidenti in alcuni protagonisti. Ma, dall’altro,
si avverte il rischio di una strumentalizzazione che, partendo da fatti ed episodi anche gravi,
su cui la magistratura e le forze dell’ordine sono impegnate a fare la massima chiarezza, arrivi
a mettere sotto accusa, in maniera del tutto immotivata, una fonte di energia che già rappresenta (e ancora meglio potrà farlo in futuro) una delle risposte più efficaci a disposizione del
nostro Paese, per rendere più moderno e pulito il proprio sistema energetico, nonché rispettare
gli obiettivi fissati dall’Unione Europea nella lotta ai cambiamenti climatici. … Dietro queste
posizioni, a spiegare l’incedibile spazio mediatico che spesso trovano, ci sono anche i solidi interessi di chi ha da guadagnare dalle polemiche intorno alle rinnovabili e punta ad evidenziarne
i limiti. E che oggi guarda con preoccupazione come questo processo stia dando risultati reali
e rischi di mandare in crisi la campagna mediatica sui vantaggi dell’atomo o del carbone per le
famiglie italiane (Zanchini, 201:62, 63).
La diffusione di false rappresentazioni dell’energia eolica, basate su insinuazioni, allarmismi e la ricerca esasperata della polemica ad ogni costo, contribuisce talvolta ad alimentare movimenti di opposizione, piuttosto che stimolare il dialogo e ricercare il confronto
tra favorevoli e contrari, precludendo la ricerca di soluzioni soddisfacenti o per lo meno
accettabili dalle popolazioni coinvolte. Il problema dei gruppi di persone e dei comitati
locali che si oppongono all’installazione di parchi eolici è, quindi, riconducibile, in parte,
59 Uno dei principali bersagli delle polemiche contro l’eolico è la figura, considerata anomala (ma, in realtà, tipica del capitalismo relazionale all’italiana, tradizionalmente povero di capitali e di specifiche competenze tecnologiche ed innovative),
dello sviluppatore, ovvero quel soggetto che, spesso senza alcuna competenza specifica, ma grazie alla propria conoscenze del
territorio, “cura” i rapporti con il territorio stesso, propone progetti pur non avendo le risorse necessarie, definisce accordi con
le amministrazioni locali e, solo alla fine, cede l’affare, il progetto autorizzato, alle imprese vere e proprie che realizzano l’impianto. Gli sviluppatori sono considerati i maggiori responsabili della bolla speculativa che negli ultimi anni ha investito l’eolico
(ma anche il fotovoltaico) che ha fatto sì che a fronte di un potenziale eolico stimato dal governo in 16 mila MW al 2020, siano
state presentate domande di autorizzazione di impianti eolici per una potenza complessiva di 94 mila MW. Moltissime di queste
domande si sovrappongono, per cui per uno stesso territorio/sito/crinale sono stati presentati più progetti di impianti. È chiaro
a tutti, quindi, che solo una piccola parte di questi progetti potrà essere effettivamente autorizzata dalle Regioni.
70
6. Gli elementi di criticità
alla confusione determinata dalla mancanza di conoscenza specifica del settore e di studi
approfonditi sull’impatto locale di una centrale elettrica eolica. Questo aspetto rappresenta
un passaggio molto delicato nell’acquisizione del consenso generale all’iniziativa nella fase
di pianificazione. Per questo occorre una maggiore collaborazione tra enti governativi, pubbliche amministrazioni, associazioni ambientaliste ed aziende del settore per promuovere una
cultura dell’energia da fonte rinnovabile in generale e dal vento in particolare, che consenta
di stabilire un dialogo sereno tra gli operatori del settore e la società civile. Occorre uno
sforzo da parte di tutti i soggetti interessati per far accettare quella che, allo stato attuale,
è la fonte rinnovabile più matura che già consente di evitare di bruciare ingenti quantità di
combustibili fossili, a tutto vantaggio dell’ambiente e della salute umana.
71
7. Impatto ambientale e paesaggistico
Se da un parte è ormai assodato che gli impianti eolici sono, al momento, insieme a quelli
fotovoltaici, gli impianti a fonti rinnovabili che possono sostituire quote significative di carico elettrico, abitualmente prodotto con fonti fossili, con una importante quota di emissioni
inquinanti evitate (anidride carbonica, anidride solforosa, ossidi di azoto),60 dall’altra, tali
impianti producono un impatto ambientale e paesaggistico che può essere più o meno evidente. Qualsiasi intervento dell’uomo sull’ambiente determina, infatti, un impatto.
Si riconoscono le seguenti tipologie di impatto paesaggistico/ambientale:
• impatto visivo;
• impatto su flora, fauna e avifauna;
• impatto acustico ed elettromagnetico.
L’inserimento in un contesto paesaggistico di un impianto eolico, sia esso di tipo industriale o di tipo mini o microeolico, determina certamente un impatto che a livello percettivo
può risultare più o meno significativo in funzione della sensibilità del soggetto che subisce
nel proprio habitat l’installazione delle pale eoliche ed in funzione della qualità oggettiva
dell’inserimento. Molte persone definiscono i moderni aerogeneratori come valore aggiunto
ai propri territori grazie alla loro eleganza e bellezza, rappresentando anche il simbolo di una
vita di maggiore qualità ambientale (testimonianza ne è il fatto che sempre più spesso anche
nelle pubblicità si scelgano come paesaggio proprio le centrali eoliche).
L’eolico lo si può vedere non come un tema infrastrutturale, ma culturale. L’eolico è un “paesaggio culturale” come le colline della Toscana. Paesaggi che non sono naturali, ma culturali,
costruiti, e questo è un punto di vista interessante. Chi si oppone all’eolico, molto spesso,
“sta fuori” al territorio, sono dei “cittadini” che vogliono vedere un paesaggio, ma che non si
occupano della crescita sociale di quei luoghi. Sono luoghi spopolati, assolutamente depressi,
quindi l’opposizione all’eolico è una critica snobistica, non viene da chi vive il territorio (Daniela Moderini, architetto del paesaggio).
60 Per ogni kWh elettrico non prodotto dal mix di centrali elettriche convenzionali, ma da impianti eolici, viene evitata
l’emissione in aria in Italia di circa 0,51 kg di anidride carbonica e di altri agenti inquinanti. Altri benefici fondamentali dell’eolico sono:
• la riduzione della dipendenza dall’estero;
• la diversificazione delle fonti energetiche;
• la regionalizzazione della produzione.
73
Energia eolica e sviluppo locale
Ci sono realtà in cui i parchi eolici sono meta di visite turistiche e didattiche e altrove
dove una ferma opposizione ha bloccato la installazione degli impianti. Generalmente, le
maggiori resistenze alla localizzazioni dei parchi eolici sono esercitate da chi ritiene che
questi impianti costituiscano elementi detrattori del paesaggio, un’insopportabile intrusione.
Chi mette al centro delle propri preoccupazioni il paesaggio così com’è (a volte bellissimo,
altre con minor pregio estetico) è preoccupato dalle alterazioni del territorio. Non serve far
osservare che altre intrusioni sono avvenute e avvengono senza che si noti un altrettanto
organizzato e diffuso dissenso. Ci sono in Italia 55.000 piloni di elettrodotti, per non parlare
delle migliaia di antenne televisive o per la telefonia. … Il nostro territorio presenta un abusivismo edilizio che grida vendetta, parabole e condizionatori d’aria sono appesi ovunque….
(Silvestrini, 2004:24).
Gli impianti eolici, dovendo essere collocati in siti ad elevata ventosità, sono, per forza
di cose, ben visibili e rappresentano un segno innovativo rispetto ai caratteri di molti paesaggi e per questo possono non piacere. Il cuore della polemica e della resistenza nei confronti degli impianti eolici è l’estetica. Chi si batte contro l’eolico lo fa innanzitutto perché
ritiene quegli impianti un rischio di trasformazione irreversibile e in negativo del paesaggio
e del territorio agricolo.
I conflitti creati dall’installazione delle centrali eoliche sono generati da una sostanziale incapacità di interpretare il paesaggio come un elemento dinamico nel quale identificarsi attraverso
una consapevole costruzione di nuovi simboli. Si è di fronte ad una sorta di terrore dell’ignoto,
del non conosciuto, la paura dell’errore che conduce all’immobilità (Battistella, 2010:216).
L’impatto paesaggistico è uno degli ostacoli maggiori da superare visto il grande patrimonio naturale, storico ed artistico presente in Italia che, a detta di alcune associazioni
ambientaliste, renderebbe inadeguata l’installazione delle centrali eoliche.61 L’eolico è una
tecnologia che va utilizzata in altri paesi, perché l’Italia è troppo pregiata e il contributo
energetico è limitato; oppure, al contrario, che si può utilizzare, ma in quantità limitate e,
quindi, con una produzione marginale.62
Vale davvero la pena imbracciare le armi contro l’eolico, come qualche novello Don Chisciotte
propone, per salvare il paesaggio italiano dai pericoli portati da questi “smisurati giganti”?63
61 Tra le associazioni che si battono contro “l’eolico selvaggio” si segnalano: il Comitato Nazionale per il Paesaggio (www.
comitatonazionalepaesaggio.it), Via dal Vento (www.viadalvento.org), Italia Nostra (www.italianostra.org), Amici della Terra
(www.amicidellaterra.it), Mountain Wilderness, LIPU (www.lipu.it), il blog www.infiltrato.it. Contro i parchi eolici industriali si
sono dichiarate anche la Coldiretti e il CAI - Club Alpino Italiano (CAI, 2008; Salsa, 2010).
62 Inoltre, questi oppositori dell’eolico ritengono che il meccanismo di incentivazione delle rinnovabili sia profondamente
sbilanciato a favore dell’eolico e tale squilibrio toglie spazio alle altre rinnovabili. Secondo loro, l’Italia può e deve imboccare
una strada diversa: rifiutare l’eolico e puntare decisamente sul solare (ma non sul fotovoltaico a terra) e sulle fonti rinnovabili
termiche; tale scelta, insieme ad un maggiore risparmio ed efficientamento energetico, dovrebbe poter consentire ugualmente
di raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzioni delle emissioni e di diversificazione dell’approvvigionamento energetico. La
posizione più estrema è quella di Carlo Ripa di Meana, presidente del Comitato Nazionale per il Paesaggio che nega il problema
dell’accelerazione dei cambiamenti climatici, sostenendo che c’è troppo allarmismo, e preferisce il nucleare all’eolico (www.
comitatonazionalepaesaggio.it).
63 Il riferimento è al Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes, laddove (Parte I, VIII) il testo recita: “La fortuna
guida le nostre cose meglio di quel che potremmo desiderare; perché guarda lì amico Sancho Panza, dove si scorgono trenta,
o poco più, smisurati giganti con i quali mi propongo di venire a battaglia e di ucciderli tutti, in modo che con le loro spoglie
cominceremo ad arricchirci, che questa è un buona guerra, ed è rendere un gran servigio a Dio togliere questa mala semenza
dalla faccia della terra.” “Che giganti?” domandò Sancho Panza. “Quelli che vedi lì” rispose il suo padrone ”dalle lunghe braccia,
che alcuni possono averle di quasi due leghe.” “Badi signoria vostra” replicò Sancho “che quelli che si vedono là non son giganti,
ma mulini a vento, e ciò che in essi sembrano braccia solo le pale che, girate dal vento, fanno andare la pietra del mulino.” “È
74
7. Impatto ambientale e paesaggistico
Pochi temi come l’eolico sollecitano discussioni, dividono i giudizi e muovono passioni in
uno scontro che raccoglie grande attenzione da parte dei media. Ad alcuni secoli di distanza,
l’intrusione nel paesaggio di una delle immagini più efficaci del fascino e della modernità del
nuovo scenario delle fonti rinnovabili (basta guardare il largo uso che si fa delle pale eoliche
nelle campagne pubblicitarie) provoca discussioni confuse e a volte violente. Diventa dunque
importante capire le ragioni profonde dietro questa situazione, i motivi per cui all’ampio consenso con cui i cittadini guardano allo sviluppo delle fonti rinnovabili seguano poi convulse
polemiche sugli interventi. Perché dietro la rappresentazione di una “battaglia sull’eolico” non
ci sono solo ragioni di interesse o di visibilità mediatici – che pure sono evidenti in alcuni
protagonisti – ma anche questioni ineludibili che occorre affrontare se si vuole coltivare una
prospettiva di cambiamento del modello energetico e di sviluppo incentrato sulle fonti rinnovabili. Una prima questione riguarda l’Italia e il tipo di discussione che si svolge nel nostro Paese
sull’eolico. … Contro i mulini a vento si sono organizzati comitati, arruolati testimonial famosi, promossi referendum comunali. L’eolico viene accusato di sottrarre risorse alle altre fonti
rinnovabili, in particolare al solare, di dare un apporto energetico inutile a fronte di incentivi
milionari, e da qualcuno addirittura si rappresentare il maggiore pericolo per il paesaggio
italiano. Eppure se si vuole restare nell’ambito di una discussione che guardi al rapporto con
il territorio, gli impianti eolici installati in Italia interessano una porzione di spazio limitata
(meno del 3% dei Comuni). I numeri e gli impatti non sono poi lontanamente paragonabili
con quelli delle cave (18 mila tra attive e abbandonate) o con quelli che ogni anno determina
nel nostro Paese la piaga dell’abusivismo edilizio (30 mila abitazioni realizzate ogni anno).
Perché allora nei confronti dell’eolico si levano maggiori polemiche e una apparente più forte
indignazione? … Una seconda riflessione riguarda in particolare l’ambientalismo che sembra
vivere un insanabile conflitto tra due ragioni fondanti del suo messaggio: da un lato la tutela
del territorio e dall’altro la ricerca di un diverso modello energetico per salvare il pianeta dai
cambiamenti climatici. Proprio nel momento in cui le politiche pubbliche e gli investimenti
privati vanno nella direzione, per tanti anni sospirata, delle fonti rinnovabili si evidenzia una
fragilità della spinta ambientalista proprio intorno alla tecnologia in maggiore diffusione
(Zanchini, 2010a:3-4).
Altre associazioni del mondo ambientalista,64 invece, considerano centrali le preoccupazioni per le alterazioni climatiche che rischiano di devastare il pianeta nel corso dei
prossimi decenni e, di conseguenza, ritengono decisivo il contributo dell’eolico e delle
altre fonti rinnovabili per la costruzione di un diverso modello energetico. Considerano le
energie rinnovabili come strumento per contrastare i cambiamenti climatici e, quindi, sono
aperte verso l’eolico, pur sostenendo con forza la necessità di escludere l’installazione degli
impianti dai parchi e riserve nazionali e regionali, dalle aree della Rete Natura 2000, dalle
rotte di migrazione degli uccelli e così via. Queste posizioni si coniugano con l’impegno
da parte di queste associazioni affinché a livello locale lo sviluppo delle energie rinnovabili avvenga in modo corretto, attraverso scelte in armonia con il territorio, nel rispetto
del paesaggio, della flora, dell’avifauna e fauna e consenta di innescare forme positive di
sviluppo sostenibile.
chiaro” disse don Chisciotte “che non te ne intendi di avventure; quelli sono giganti; e se hai paura togliti da qui e mettiti a
pregare, mente io combatterò con essi un’aspra e impari battaglia”.
64 Tra le associazioni che esprimono posizioni favorevoli all’eolico si segnalano: Greenpeace, Legambiente e WWF.
75
Energia eolica e sviluppo locale
Il concetto di paesaggio
Attraverso l’evoluzione giurisprudenziale la nozione di paesaggio ha subito rilevanti modifiche, passando da un’originaria concezione meramente culturale ed estetica per giungere ad una elaborazione
più complessa, che include elementi naturali (foreste, coste, laghi, fiumi, etc.) e le relazioni con le
comunità locali.
A livello europeo, il paesaggio è così definito: “Il paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali
e/o umani e dalle loro interrelazioni” (art. 1 della Convenzione Europea sul Paesaggio, sottoscritta
a Firenze il 20 ottobre del 2000). La connotazione di questo concetto è quindi chiaramente, ed in
maniera assai circonstanziata, legata al paesaggio come prodotto dell’interpretazione che la specie
umana ne può dare e che essa stessa ha contribuito a modellare. La Convenzione Europea sul Paesaggio impegna gli Stati firmatari ad adottare politiche volte alla promozione e alla tutela della qualità
del paesaggio estesa all’intero territorio nazionale, coinvolgendo le popolazioni locali nei processi
decisionali ed attuativi. Come ampiamente argomentato dalla letteratura di settore, la questione del
paesaggio è affermazione del diritto delle popolazioni alla qualità di tutti i luoghi di vita, sia straordinari sia ordinari, attraverso la tutela/costruzione della loro identità storica e culturale.
L’art 9, comma 2 della Costituzione italiana recita: La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio
storico e artistico della Nazione. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, approvato con D.lgs
42/2004, è oggi la legge fondamentale di tutela. Beni culturali e beni paesaggistici costituiscono nel
Codice un insieme denominato “patrimonio culturale”, con espresso riferimento all’art. 9 Cost: ad esso
riferiscono le definizioni di tutela e valorizzazione, due aspetti che “concorrono a preservare la memoria
della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”.
In un territorio come l’Italia, che conosce la presenza umana da decine di migliaia di anni, l’evoluzione del paesaggio non può assolutamente prescindere dall’opera dell’uomo. Masserie fortificate,
cascinali isolati, abbazie e monasteri, torri costiere, castelli e fortezze, stazioni di posta e ponti,
stalle e fienili, malghe e masi, baite e stazzi, blockhaus contro i briganti ottocenteschi e ricoveri per
il bestiame, muretti a secco e basolati, silos e capanne votive, mulini e fornaci, rappresentano fli
immobili e multiformi sigilli creati dall’uomo per marcare il suo dominio sul territorio e sull’ambiente
naturale, spesso inospitale e temuto. Questo almeno fino ad un secolo fa, prima che l’uso del cemento
armato e di altre tecniche costruttive moderne si diffondesse con imperiosa invadenza.
La nostra posizione sull’eolico discende da quella del WWF internazionale che ha fissato una
mission del WWF che è legata soprattutto a due grandi tematiche che sono:
• lotta ai cambiamenti climatici;
• lotta alla perdita di biodiversità.
Queste sono le due grandi emergenze ambientali che vengono a definire i nostri programmi. Il
tema della produzione di energia è incluso nel tema della lotta ai cambiamenti climatici, anche
se tangenzialmente può avere una ricaduta sul tema della lotta alla perdita di biodiversità. In
generale, la produzione di energia da petrolio, con la ricaduta della contaminazione può generare poi una ricaduta anche sulla produttività dei sistemi e quindi una perdita di servizi ai sistemi
stessi e una conseguente perdita di biodiveristà. Sappiamo bene che, se non si frena l’eccesso di
velocità verso i cambiamenti climatici, poi quello che noi vogliamo tutelare, ovvero la biodiversità, è destinata a scomparire, perché cambia proprio il ciclo della vita nel nostro pianeta. Noi,
in questa posizione, riteniamo che l’eolico sia una fonte rinnovabile e come tale debba essere
promossa e sostenuta. Ovviamente, quella italiana non è una realtà vergine e occorre disciplinare questo settore, quindi, la costruzione, la manutenzione, e lo smontaggio, e così via, ma
anche il posizionamento degli aerogeneratori. L’eolico funziona se c’è vento, per cui sappiamo
benissimo che in Italia si può fare solo in alcune parti. Ora, esiste anche un uso concomitante
76
7. Impatto ambientale e paesaggistico
del vento da parte di alcune specie migratorie. Questo è un elemento che per noi aggiunge delle
difficoltà, perché l’Italia è un paese di transito per alcune specie di volatili. La migrazione già
di per sé comporta rilevanti perdite per lo stress della stessa e per cause naturali, poi ci sono
anche i cacciatori che li aspettano al varco. Il problema che temiamo è che il posizionamento
delle torri eoliche venga a turbare questo processo naturale a due livelli:
• in quanto si aggiunge come minaccia suppletiva rispetto a quelle che ho già citato;
• che addirittura possa turbare il flusso migratorio in quanto tale e quindi costringere i migratori ad evitare certe parti del territorio.
Per questi motivi, noi abbiamo sviluppato un documento con delle linee guida, in cui abbiamo
indicato quali potrebbero essere i criteri con cui andare ad autorizzare gli impianti eolici in
Italia. Mettendo dei paletti, dicendo no in certe parti, soprattutto in quelle che sono tutelate
da un vincolo che non è di natura paesaggistica, ma proprio legata a classificazioni di aree
naturali, come ad esempio i SIC e soprattutto le ZPS, che sono quelle fatte grazie alla direttiva
comunitaria 407/79/CE sulle rotte migratorie. Come c’è la mappa del vento, c’è la mappa delle
grandi rotte migratorie. In sostanza, noi vogliamo inquadrare il tema dell’eolico da un punto
di vista strettamente scientifico, perché non siamo i tutori del paesaggio. Il paesaggio è qualcosa di antropico ed è anche un po’ soggettivo, può piacere o no. Ha un valore attributivo e,
in quanto valore, ognuno li vede soggettivamente. Quindi, non ci interessa tanto il paesaggio,
perché non è possibile legittimarlo su una base e in un ambito prettamente scientifico, anche se
come concetto può essere utile quando per paesaggio si intende una vocazione (Stefano Leoni,
presidente WWF Italia).
Secondo queste associazioni, in Italia non si corre il rischio di intaccare la naturalità dei
siti per il semplice fatto che gli attuali paesaggi sono stati costruiti dall’uomo nel corso dei
secoli, trasformazione dopo trasformazione. Gli stessi che si scandalizzano per una fila di torri
eoliche nulla dicono su altre ben più pesanti trasformazioni, come i centri commerciali che
guidano l’urbanizzazione selvaggia consumando nuovo suolo, o le cave, che punteggiano il
Bel Paese; tutti interventi irreversibili. Inoltre, la bellezza del paesaggio è un fattore storico
e con forti elementi di soggettività, da cui è difficile evadere.65 Gli impianti eolici, se ben inseriti, possono rappresentare un’ulteriore evoluzione del paesaggio italiano, perché l’identità
non si dà una volta per tutte, ma continuamente si evolve.
Noi come Greenpeace siamo assolutamente a favore dell’eolico. Alcune associazioni ambientaliste la pensano diversamente da noi, mentre noi crediamo che l’eolico sia necessario per
raggiungere gli obiettivi per il 2020. Crediamo che l’eolico comporti una alterazione paesaggistica accettabile rispetto agli obiettivi che ci si propone e anche paragonato a quegli impianti
ad energia fossile che sono stati realizzati anche di recente che erano e sono dannosi sia per
l’impatto paesaggistico sia per la salute umana, l’eolico ha quantomeno il pregio di non essere
dannoso per la salute. Non crediamo che l’eolico cambi la visibilità e la bellezza del paesaggio,
anzi, dal nostro punto di vista, l’eolico spesso migliora pure il paesaggio…. Poi, siamo d’accordo che ci sia bisogno di una regolamentazione, ad esempio, delle aree dove vietare l’installazione di impianti eolici: i parchi nazionali, le aree protette, i SIC, le ZPS, le montagne sopra i
1.600 metri (Domenico Belli, Greenpeace).
La grande confusione in ambito normativo che ha caratterizzato, e in parte ancora caratterizza, le procedure di approvazione degli impianti eolici ha fatto sì che molti di questi
65 Basti, per tutti, l’esempio della Tour Eiffel, ferocemente contestata al momento della sua costruzione per l’Esposizione
Universale del 1900, tanto che per mettere a tacere le polemiche si decise di smontarla alla fine dell’evento; dopo 110 anni la
Tour Eiffel è lì, simbolo di Parigi, segno indelebile dello skyline parigino.
77
Energia eolica e sviluppo locale
venissero costruiti in assenza di un’appropriata valutazione di impatto ambientale e con una
forte disattenzione alla progettazione e all’estetica del paesaggio, con la conseguenza di
consolidare le resistenze esercitate oggi nei confronti di tali impianti. Ad esempio, l’assenza
di regole per una corretta ed efficace programmazione territoriale ha portato a realizzare in
alcune parti dell’Appennino tra Puglia, Campania e Molise chilometri di torri differenti per
dimensione, colore e forma, che chiudono completamente i crinali e il paesaggio, realizzati
da aziende diverse proprio sui confini amministrativi dei Comuni.
Da quando sono stati introdotti gli incentivi volti a favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili,
e in particolare quelle da fonte eolica, ci siamo trovati di fronte a una serie frammentata di
aggressioni al territorio agricolo, in particolare nelle regioni del Sud. Vittima di questo processo è rimasto il territorio agricolo. Dico vittima, perché noi abbiamo registrato una sufficiente
arroganza e prepotenza di tutte le imprese che in prevalenza investono nell’energia eolica. Ci
sono importanti soggetti che hanno ritenuto di occupare questo spazio di mercato garantito
senza monitorare eventuali impatti o conseguenze che l’economia locale ne poteva subire. Dico
l’economia locale, perché il territorio agricolo, cioè dove si svolge la vita rurale, è sicuramente
complesso, è anche un tessuto sociale e oggi molte imprese investono anche nell’economia
dei servizi. Inoltre, la qualità dei luoghi costituisce un elemento di competitività: c’è la logica
della multifunzionalità, c’è l’ospitalità, l’esplorazione del territorio da parte di flussi di cittadini
consumatori che nei loro viaggi e nelle soste conoscono il territorio e acquistano prodotti. Per
cui, in alcune aree la visione di un ambiente conservato, oggetto di una manutenzione molto
attenta da parte delle imprese, si è trovato di fronte a progetti di inserimento diffuso, molto
spesso irrazionale – irrazionale, perché magari alcuni comuni assentivano alla iniziativa e altri
ai confini la escludevano – e, quindi, la perimetrazione dei parchi eolici è risultata asimmetrica
rispetto ad uno svolgimento ponderato. Questo ha determinato una serie notevole di frizioni.
Abbiamo partecipato, organizzato e condiviso molte iniziative sul territorio di lettura critica di
questi interventi (Stefano Masini, Coldiretti).
L’attuale tendenza di semplificare le procedure – ribadita dall’emanazione delle Linee
Guida nazionali nel 2010 - demanda alle Regioni o ad altri soggetti istituzionali (le Province)
designati da queste, la responsabilità delle autorizzazioni per la costruzione e l’esercizio degli
impianti di produzione di energia rinnovabile. Ma, per essere efficace, questa semplificazione
delle procedure autorizzative dovrebbe essere accompagnata dalla previsione di:
• modalità di gestione degli eventuali conflitti emergenti, ogni qual volta si intenda
costruire un nuovo impianto, attraverso il coinvolgimento attivo degli abitanti dei luoghi
che si vanno a trasformare con l’inserimento delle centrali eoliche;
• predisposizione di uno specifico progetto architettonico e paesaggistico, in grado di
determinare una trasformazione di qualità del paesaggio.66
Le Linee Guida sono fatte da persone che non hanno mai fatto un progetto. Per ogni luogo devi
“inventarti” un procedimento diverso. Noi abbiamo lavorato sui Pirenei, in Puglia, in Romania,
in Armenia, però pur avendo fatto decine di progetti non c’è un criterio. Anzi, c’è un criterio
che è quello di elaborare un progetto fatto coerentemente con il territorio. Devi prima saperlo
66 A questo proposito, si veda più avanti e l’Allegato 4 Impianti eolici: elementi per il corretto inserimento nel paesaggio e sul
territorio delle Line guida nazionali. Nel dicembre 2006 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) ha pubblicato delle
linee guida per l’inserimento di impianti eolici nel paesaggio, in risposta alla ratifica da parte del governo della Convenzione
europea del paesaggio, firmata il 14 gennaio 2006 (si veda il manuale Gli impianti eolici: suggerimenti per la progettazione e la
valutazione paesaggistica che fa parte della collana Linee guida per l’inserimento paesaggistico degli interventi di trasformazione
territoriale, a cura della Direzione generale per i beni architettonici e paesaggistici del MiBAC ed è frutto di un lavoro congiunto
tra il MiBAC e il Politecnico di Milano).
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7. Impatto ambientale e paesaggistico
“leggere” e sono tutti diversi e questo è il problema. Quindi la generalizzazione diventa sterile
(Daniela Moderini, architetto del paesaggio).
Lo sviluppo dell’energia eolica può innescare processi virtuosi se i progetti sono capaci
di legarsi alle risorse locali, se risultano attenti ai problemi del paesaggio e delle attività
economiche. Serve per questo una chiave di attenzione locale capace si ragionare sui territori
e le prospettive di riqualificazione, ma anche una forte attenzione al consenso, alla diffusione
di informazioni e di partecipazione attiva alle scelte.
Per avere un parco, e arrivare alla sua gestione, è importante avere l’accettazione sociale. Gestire un parco nella prospettiva di essere presente per 20–25 anni su quel territorio, significa
che sia vissuto bene dalla popolazione. Nel nostro caso, il fatto di avere una filiera che parte
dallo scouting e dalla misurazione anemometrica dei siti e arriva alla gestione del parco, fa sì
che ci poniamo non da “speculatori”, ma come “attori” che iniziano a vivere un pezzo di storia del territorio. Ci siamo resi conto che è importante calarsi nel territorio e, di conseguenza,
puntiamo a sviluppare l’eolico cercando di capire quali sono le esigenze del territorio, anche in
funzione di quali opere di compensazione, mitigazione e di valorizzazione territoriale c’è bisogno. Quindi non solo l’eolico che porta ricchezza in quanto royalty, prassi normale nel settore,
ma per cercare di portare “valore aggiunto”. Ad esempio, a Stella,67 ci siamo accorti. Quindi,
abbiamo pensato di fare dei tabelloni per le famiglie, perché ci siamo accorti frequentando il
sito che lì che il sabato e la domenica era tipico per la gente del paese fare una scampagnata in
quei posti. Altri siti hanno bisogno di altre cose. Il Parco lo cuciamo sulle necessità del paese.
Quindi, là dove si fa eolico è fondamentale cercare di capire qual è esigenza territoriale principale e, in questo senso, è importante è avere l’appoggio dell’amministrazione locale. Alla fine,
i nostri parchi sono effettivamente tra i più produttivi d’Italia, perché abbiamo un interesse
principale e cioè nel fare parchi là dove servono (Giulia Canavero, FERA Srl).
C’è una grossa differenza fra l’energia eolica come idea generale e le turbine a vento
come strutture accettabili nel paesaggio. Nei sondaggi realizzati a livello nazionale, le persone sostengono l’idea generale delle energie rinnovabili e di quella eolica.68 Ma, quando si
passa a progetti concreti per il territorio locale, l’accettazione sembra spesso scomparire.
Questo è definito la sindrome del Not in my back yard o, in breve, la sindrome Nimby.69 La
teoria di base è che le persone sostengono l’energia eolica a livello astratto (nei sondaggi,
circa l’80% dei cittadini italiani ed europei è favorevole all’eolico), ma mettono in discus67 Il parco eolico di Stella (SV), inaugurato nel Giugno del 2007 e composto da tre aerogeneratori da 800 kW per complessivi 2,4 MW. A testimonianza della cura messa nella progettazione e costruzione del parco eolico, il Comune di Stella è stato
premiato nel 2007 attraverso il Premio Pimby: “Per aver contribuito a dimostrare come infrastrutture e tutela dell’ambiente si
possono conciliare quando si tengono in particolare considerazione gli equilibri ambientali e l’armonia del paesaggio”. Attenti
studi di integrazione paesaggistica e di mitigazione degli impatti hanno permesso di ridurre le trasformazioni dei siti. Inoltre,
sono stati effettuati monitoraggi dell’avifauna sia prima che dopo la realizzazione del parco eolico, e percorsi per i cittadini
che accompagnano il visitatore alla scoperta del parco. L’impianto è in grado di produrre 6.000 MWh/anno, pari al fabbisogno
energetico di circa 1.500 nuclei domestici, pari al 100% del fabbisogno elettrico delle famiglie residenti.
68 Ogni sondaggio sull’eolico mostra come i cittadini italiani siano in nettissima maggioranza favorevoli all’eolico. In merito
alla accettabilità della tecnologia eolica, una recente (giugno 2010) indagine demoscopica della società ISPO commissionata
da APER indica nell’80% il consenso per l’eolico sul campione nazionale, dato che scende di poco, al 71%, negli intervistati dei
comuni ove i parchi eolici esistono.
69 Questa etichetta della sindrome Nimby è un po’ malevola perché suggerisce che gli oppositori locali siano mossi da interessi spregevoli, egoistici e particolaristici. E tuttavia, se ragioniamo a mente fredda, dobbiamo riconoscere che le comunità
interessate possono avere ottime ragioni per non sobbarcarsi una servitù a vantaggio dell’intera collettività. E infatti esse tendono ad usare un argomento cui è molto difficile controbattere: “perché proprio qui?”, “perché deve toccare proprio a noi?”. Le
comunità locali sono quasi sempre in grado di difendersi efficacemente. Si formano comitati spontanei di cittadini. Si tengono
assemblee popolari affollate. Si organizzano proteste. È probabile che qualche politico sia tentato appoggiare (qualcuno potrebbe dire: strumentalizzare) la protesta e finisca così per incrinare la compattezza delle istituzioni. Gli esempi di queste evoluzioni
sono ormai innumerevoli.
79
Energia eolica e sviluppo locale
sione specifici progetti locali a causa delle temute conseguenze riguardo principalmente agli
impatti visivi e al rumore.
La sindrome Nimby non è caratteristica degli impianti eolici. Si verifica in molte altre
situazioni. Nuove strade, ponti, gallerie, ospedali, aeroporti, impianti nucleari e altre strutture per la produzione di energia, tutti incontrano resistenze a livello delle comunità locali.
Gli studi su questi fenomeni concludono che sull’atteggiamento del pubblico nei confronti
di un progetto, più degli impatti reali legati alle dimensioni dell’impianto, come le trasformazioni del paesaggio, pesano altri fattori, come: chi lo realizza, il ruolo dei decisori locali, le
modalità in cui si struttura il processo complessivo di decisione (Ammassari e Palleschi, 2007;
Bobbio, 2004; EWEA, 2009b:399-411; Oteri, 2009; Wolsink, 2007). L’opposizione locale è spesso basata sulla sfiducia, sulle reazioni negative verso coloro (gli sviluppatori, le autorità e gli
operatori energetici) che cercano di realizzare gli impianti, e sulle modalità con cui vengono
pianificati e gestiti i progetti, e non tanto sul rifiuto degli aerogeneratori in sé stessi.
Sento anche dalla nostra base, dai nostri volontari sul territorio che localmente si trovano dei
comitati “contro” se non vedono la finalità positiva del progetto. Noi di comitati viviamo, per
cui sappiamo che con loro ci vuole una grande pazienza. In realtà, i comitati sono una forma
di partecipazione che non deve essere sottovalutata. Se si arriva al comitato qualcosa ha fallito
prima, nella capacità di presentare un progetto. Poi, c’è il comitato “strumentale” o il caso
politico, ma sono 5–10, mentre gli altri 150, 200, 300, sono indicatori che qualcosa c’è, che è
mancato un passaggio: è mancata la capacità di far partecipare le popolazioni ad una scelta
di trasformazione territoriale (Costanza Pratesi, FAI).
Pertanto, gli studi suggeriscono che un approccio partecipativo al progetto di localizzazione ha effetti positivi sull’opinione pubblica e conduce a una diminuzione delle resistenze.
Come afferma Wolsink (2007:1204):
the best way to facilitate the development of wind projects is to build institutional capital
(knowledge resources, relational resources and the capacity for mobilisation) through collaborative approaches to planning.
Quello che conta è coinvolgere la popolazione locale nella procedura di localizzazione,
entro processi di piano trasparenti e con un alto livello informativo (assemblee pubbliche,
seminari, sportelli informativi, etc.). Se si vogliono ridurre al minimo le opposizioni, tutte le
parti in causa devono avere effettiva opportunità di influenzare un progetto.
Le decisioni prese sopra la testa delle popolazioni locali sono il modo più diretto per generare proteste. La carenza di comunicazione fra chi abita dove sarà realizzato un impianto e
chi lo vuole realizzare, le burocrazie locali, l’ambito della decisione politica, diviene un catalizzatore perfetto per trasformare lo scetticismo locale in azioni concrete contro progetti specifici. Al contrario, informazione, dialogo e partecipazione sono la strada per l’accettazione.
Le Linee guida nazionali prevedono che “il coinvolgimento dei cittadini in un processo di
comunicazione e informazione preliminare all’autorizzazione e realizzazione degli impianti o di
formazione per personale e maestranze future” sia uno dei requisiti per la valutazione positiva
dei progetti.70
70 Le Linee guida, da una parte si rivolgono ai progettisti che si applicano ad un nuovo progetto di realizzazione di un impianto eolico di qualsiasi dimensione, perchè prendano coscienza dell’opportunità di un’integrazione del punto di vista paesaggistico/ambientale, a partire dalle prime fasi di progettazione. Ma, sono rivolte anche ai valutatori, ai quali spetta il compito di
verificare le compatibilità degli interventi dal punto di vista paesaggistico/ambientale, affinché abbiano gli strumenti necessari
80
7. Impatto ambientale e paesaggistico
La partecipazione del pubblico è espressamente richiesta nelle direttive UE 85/337, come modificata dalla direttiva 97/11 relativa alla VIA e 2001/42 relativa alla VAS. Entrambe, infatti,
impegnano gli Stati membri ad attivare strumenti di libera e facile informazione sui dati ambientali, anche quelli non sistematici o riservati. A questo proposito vi è una specifica direttiva,
la 90/313, che stabilisce il libero accesso alle informazioni ambientali, recepita ormai da quasi
tutti gli Stati, Italia compresa. … In Italia, tuttavia, nonostante la tendenza positiva verso
una maggiore partecipazione nei processi di valutazione e un miglioramento della comunicazione ambientale, gli sforzi fatti in questa direzione da parte dei promotori dei progetti e dei piani
sono ancora insufficienti. Le autorità pubbliche ambientali non hanno dedicato abbastanza
tempo e risorse in questa direzione, così che la problematica rimane ancora affrontata in modo
inadeguato. … I promotori dei progetti e dei piani non vedono con favore la partecipazione
del pubblico nei processi decisionali riguardanti le opere, per diversi motivi legati al rischio di
vedere aumentare i costi, di protrarre indefinitamente - per interessi e priorità dei diversi gruppi
che si esprimono sul progetto stesso - i tempi di attesa prima di decidere la realizzazione di un
progetto e alla preoccupazione che la decisione possa essere influenzata più da gruppi locali
molto attivi, piuttosto che sollecitata da interessi più generali. Per questi motivi i proponenti
non utilizzano positivamente le relazioni con il pubblico, limitandole agli obblighi procedurali e
considerandole un inevitabile ulteriore problema da risolvere per ottenere l’approvazione del loro
progetto. D’altra parte, la partecipazione del pubblico ha avuto spesso connotati di sola opposizione ai progetti o ai piani, anche perché l’esperienza è sostanzialmente limitata alla VIA. In
questo caso la procedura ha avuto, fino ad oggi, uno specifico momento per la partecipazione,
quello delle così dette “osservazioni del pubblico”, limitandone quindi oggettivamente il contributo ai soli aspetti critici, in quanto unico momento per poter esprimere una opinione contraria
alla proposta. Anche da parte delle autorità ambientali che si esprimono sulla compatibilità dei
progetti, o che dovranno farlo sui Piani/Programmi, l’apporto del pubblico è raramente visto
in una ottica costruttiva; anche quando l’informazione è effettivamente garantita, questa non
assume quasi mai il carattere di una partecipazione alle scelte o alle soluzioni quanto bensì di
un condizionamento, più o meno forte alla decisione finale. Questo limite, che potrebbe essere
meno forte nella VAS rispetto alla VIA, per il carattere di processo della procedura e quindi più
adatto alle interazioni e retroazioni, potrebbe trovare una soluzione qualora la partecipazione
del pubblico non fosse limitata ad una fase specifica del processo decisionale (Ammassari e
Palleschi, 2007:45-46).
Anche il Protocollo d’intesa Anev-Legambiente-WWF-Greenpeace prevede che vengano
definite prioritariamente azioni di informazione e sensibilizzazione per la condivisione del
progetto da parte delle popolazioni e delle autorità locali. Spesso i conflitti intorno alle
proposte di impianti eolici nascono da forzature, da impianti sovradimensionati con una
impronta “speculativa”.
Dove dissensi e conflitti sono stati gestiti bene, nel quadro di un confronto trasparente
e chiaro con il territorio sulle scelte, questo ha portato ad una modifica dei progetti in base
alle proposte fatte dal territorio, ma i parchi eolici si sono installati e l’ostilità pregressa si è
trasformata in molti casi in una benevola accettazione determinata non solo dalla constatazione di potere convivere con gli aerogeneratori, ma anche dal fatto che quelle torri entrano
a far parte del paesaggio esattamente come è successo per le modifiche apportate dall’uomo
al contesto naturale nel corso dei secoli. Alcuni sondaggi hanno evidenziato come il parere
positivo degli abitanti si sia incrementato dopo la realizzazione dei parchi eolici.
ad una valutazione ponderata, nel merito delle proposte progettuali. Secondo le Linee guida il processo di progettazione deve
partire dall’analisi attenta dei luoghi con la consapevolezza che gli interventi eolici possono portare un grande cambiamento al
territorio e, quindi, è necessario intervenire in maniera compatibile, appropriata e condivisa.
81
Energia eolica e sviluppo locale
Dove tale conflitto è stato ben gestito si è rilevata non solo una buona assimilazione nell’ambiente antropizzato delle centrali, ma anche una consapevole presa d’atto che gli aerogeneratori
sono espressione di una naturale evoluzione che vede l’uomo come artefice della costruzione di
nuovi paesaggi. Gli esempi di maggiore successo mostrano che, oltre a considerare gli aspetti
prettamente tecnici, è necessario prevedere un impegno nella consultazione delle amministrazioni locali e nell’instaurare un rapporto diretto con i residenti, informandoli sulle reali conseguenze dell’operazione (Battistella, 2010:22).
Interventi territoriali e processi partecipativi
Negli ultimi due decenni in Italia e in Europa sono state realizzate diverse esperienze di sviluppo
locale (dai Patti territoriali ai Contratti di quartiere, agli Accordi di programma, dalle Conferenze di
servizi ai Comitati locali per l’educazione degli adulti, ai Piani sociali di zona), incentrate sul coinvolgimento degli attori locali e dei cittadini nelle scelte che li riguardano. Lo sviluppo dei processi
partecipativi/inclusivi (processi di concertazione, partenariato, partecipazione, consultazione, negoziazione, accordi, intese) deriva dalla convergenza di motivazioni ideali e pressioni pratiche molto
diverse tra di loro e, in parte, anche contraddittorie. Il principale banco di prova di queste esperienze
sono state le politiche di rigenerazione/riqualificazione urbana. I governi locali hanno cominciato a
rendersi conto che non potevano procedere dall’alto con i loro progetti di sviluppo, senza offrire ai
cittadini coinvolti la possibilità di interloquire con l’amministrazione e di negoziare soluzioni accettabili. Il problema non si è posto soltanto per progetti immobiliari di tipo speculativo, che miravano
ad eliminare le abitazioni di tipo popolare (e i loro abitanti). Anche i progetti nati con le migliori
intenzioni per migliorare le condizioni di vita dei residenti hanno finito per incontrare opposizioni e
resistenze da parte dei loro potenziali beneficiari, scatenando la cosiddetta sindrome Nimby. Quello
che gli urbanisti o i pianificatori consideravano come un “miglioramento” non era necessariamente
percepito come tale dai diretti interessati. Hanno, quindi, cominciato a diffondersi, tra le amministrazioni, pratiche di ascolto e di negoziazione con i comitati degli inquilini e i comitati di quartiere,
grazie anche alle elaborazioni sviluppate da parte di sociologi urbani, architetti e urbanisti impegnati nel “lavoro di comunità” in stretto contatto con i leader locali della protesta. Dall’Inghilterra, dove
è nata, l’”urbanistica partecipata” si è diffusa in tutte le grandi città europee.
L’idea di fondo, che ha cominciato a circolare tra i governi locali, è che non si tratta semplicemente
di offrire servizi ai propri cittadini secondo buoni standard tecnici e di qualità decisi dall’alto, ma il
problema è quello di favorire l’empowerment dei cittadini stessi, ossia di accrescere i loro poteri, la loro
capacità di incidere sul loro stesso futuro. Le pratiche di partecipazione si sono estese anche ad altri
settori, per esempio nel campo delle politiche sociali, economiche o sanitarie, allo scopo di ottenere
una percezione più precisa dei bisogni (sempre più personalizzati) e di incoraggiare i cittadini stessi
nella autonoma ricerca di soluzioni.
A spingere in questa direzione è stata anche la diffusione e la frammentazione dei movimenti di
protesta condotti da micro-comunità per la difesa, poniamo, di un parco pubblico o contro un insediamento giudicato sgradevole per i cittadini, che dovevano subirlo (l’apertura di un centro commerciale, l’allargamento di un aeroporto, l’installazione di un impianto per lo smaltimento rifiuti). Di
fronte a queste reazioni, di piccola scala, ma assai energiche, le amministrazioni locali hanno dovuto
aprirsi a qualche forma di dialogo con i cittadini coinvolti, allo scopo di concordare la ridefinizione
dei progetti, l’introduzione di mitigazioni o l’elargizione di compensazioni.
“La partecipazione del pubblico, come anche provato dall’esperienza, permette di condividere le informazioni su un progetto o un piano, chiarire gli equivoci, ottenere una migliore comprensione delle
questioni di rilievo, sviluppare le precedenti problematiche sulla valutazione, individuare e approfondire
gli aspetti conflittuali quando la proposta progettuale è ancora in fase iniziale. Le considerazioni e le
risposte suscitate dalle osservazioni del pubblico sono un contributo unico in grado di suggerire al pro-
82
7. Impatto ambientale e paesaggistico
gettista misure fondamentali per evitare le opposizioni locali e alcuni problemi ambientali. Le misure
che derivano dall’interazione col pubblico possono essere probabilmente più innovative, percorribili e
accettabili di quelle proponibili solo dai progettisti in base a considerazioni meramente tecniche. Le
modifiche ai progetti, effettuate nelle fasi iniziali della pianificazione e della progettazione, sono più
facili e economicamente meno rilevanti di quelle effettuate in una fase avanzata della progettazione
o addirittura in corso d’opera. I Progetti, i Piani e i Programmi che non devono essere modificati sono
infatti molto più economici, efficaci e tempestivi. Una partecipazione fin dalle prime fasi è efficace e
previene il crescendo di frustrazioni e contrapposizioni che si manifesta quando le decisioni sono prese
ignorando le istanze locali, evitando quindi la successiva partecipazione forzata che si ha quando le
posizioni sono ormai radicalizzate. La realizzazione di un progetto procede di solito con costi più contenuti e senza particolari asprezze se i residenti locali sono d’accordo con la proposta. Le proteste sono
minori, gli sforzi più costruttivi e alcuni impatti possono essere evitati o sensibilmente ridotti. Ricerche
anche recenti hanno dimostrato come il giudizio del pubblico, e le pressioni che eventualmente possono
essere esercitate, siano considerate tra i fattori più importanti nella preparazione degli studi di impatto
ambientale, determinandone la qualità. L’esperienza ormai acquisita dimostra, quindi, che i benefici
complessivi superano di gran lunga i costi della partecipazione, nonostante le spese e l’impegno che un
processo partecipativo completo, integrato in tutte le fasi della pianificazione e progettazione, potrà
avere” (Ammassari e Palleschi, 2007:47).
Indubbiamente, il coinvolgimento diretto dei cittadini nelle scelte di governo resta un’esperienza
minoritaria, punteggiata da un crescente numero di “buone pratiche”, riconosciute e incentivate
dall’Unione Europea oltre che dalle politiche urbane e di sviluppo locale degli stati nazionali, ma non
si configura ancora come una prassi consolidata e indiscussa. Si tratta, comunque, di un campo di
sperimentazione che riguarda in modo più specifico i governi locali, contribuendo così a distinguerli
dalle amministrazioni di rango nazionale e segnando la più netta rottura rispetto alle pratiche delle
amministrazioni burocratiche del ‘900.
All’interno di un approccio partecipativo, si possono trovare metodi e tecniche diversi per raggiungere gli obiettivi proposti. I metodi rappresentano diverse e alternative interpretazioni operazionali
degli approcci, ed individuano puntualmente come preparare e condurre un processo partecipativo
nel suo complesso. Le tecniche sono strumenti con fini conoscitivi, analitici, rappresentativi, comunicativi e così via, mirati a risolvere singoli passaggi operativi all’interno dell’approccio metodologico
scelto. Metodi diversi usano spesso tecniche simili, ad esempio per raccogliere informazioni, preferenze o giungere a decisioni condivise. Molte delle tecniche - quali quelle sulla gestione di dinamiche
di gruppo - vengono da campi anche molto lontani dalla pianificazione e progettazione di interventi
di sviluppo locale, come la psicologia, applicata a contesti di promozione del cambiamento nei contesti più diversi, compresi quelli del settore privato.
Gli approcci possono essere distinti sulla base dei gradini della scala di Arnstein (1969) della partecipazione (vedi tabella): egli ha messo in luce non solo che esistono vari livelli di partecipazione,
ma anche che “poca partecipazione” può significare “falsa partecipazione” (tokenism, cioè “dare un
contentino”).
Potere ai cittadini
Partecipazione irrisoria
Non partecipazione
Controllo ai cittadini – autoproduzione/autogestione
Potere delegato
Partenariato – collaborazione/coinvolgimento
Consultazione
Informazione/comunicazione
Smorzamento
Trattamento terapeutico
Manipolazione
83
Energia eolica e sviluppo locale
Gli approcci vengono distinti prendendo in considerazione i gradini della partecipazione al di sopra
del livello della non-partecipazione, ossia:
• informazione/comunicazione (passiva e/o interattiva): attraverso la presentazione della proposta,
la pubblicizzazione tramite i media e la raccolta delle osservazioni del pubblico; vi è scambio d’informazioni, ma non partecipazione diretta all’elaborazione progettuale;
• consultazione (raccolta aperta di opinioni/preferenze e ascolto strutturato su alternative definite): attraverso udienze pubbliche di presentazione e discussione; a questo livello il pubblico, sebbene
informato e ascoltato, ancora non partecipa direttamente all’elaborazione della proposta;
• collaborazione/coinvolgimento attivo (ad esempio, attraverso approcci che mirano a: creare visioni/strategie comuni, progettare a scala urbana, progettare a scala edilizia, conoscere/valutare,
educare/esplorare): si svolge con commissioni consultive, gruppi di lavoro organizzati; il pubblico
partecipa direttamente all’elaborazione della proposta;
• autoproduzione/autogestione: con organismi delegati, commissioni e gruppi di lavoro; in questo
caso è lo stesso pubblico, con un’assistenza tecnica, che elabora la proposta progettuale.
Ognuno degli approcci, inoltre, si distinguono oltre che per alcuni presupposti concettuali anche per
il modo in cui si affrontano una serie di questioni, quali:
• chi promuove la partecipazione;
• a quale scopo viene promossa;
• come è strutturato il processo di partecipazione (metodo);
• quale è l’ampiezza dell’ambito di partecipazione.
Infine, i diversi approcci possono essere raggruppati in tre famiglie principali, a seconda dei problemi
che essi si propongono di affrontare, distinguendo tra:
• tecniche per l’ascolto, ossia metodi che aiutano a capire come i problemi sono percepiti dagli stakeholders e dai comuni cittadini. Possono essere impiegati soprattutto nella fase preliminare, quando
si tratta di avviare un processo inclusivo, individuare i possibili interlocutori e capire quali sono i
temi su cui lavorare;
• tecniche per l’interazione costruttiva, ossia metodi che aiutano i partecipanti a interloquire tra
di loro e a produrre conclusioni interessanti. Possono essere impiegati per organizzare e gestire il
processo decisionale inclusivo;
• tecniche per la risoluzione dei conflitti, ossia metodi che aiutano ad affrontare questioni controverse. Possono essere impiegati quando sorge un conflitto.
7.1 Impatto visivo
Non si può prescindere dal fatto che gli aerogeneratori sono strutture che si evidenziano
nel paesaggio e vanno a relazionarsi e ad interagire con altri elementi territoriali. È pressoché
impossibile nascondere un parco eolico, con torri alte 90 metri, perché per funzionare al meglio deve essere esposto il più possibile al vento.71 Le odierne turbine eoliche sono macchine
di grandi dimensioni, questo è dovuto al fatto che esse debbono generare discrete quantità
di energia elettrica da una fonte (il vento) a bassa densità di potenza. La turbina eolica tipo
è una macchina che ha una torre dai 70 ai 90 metri ed un rotore tra i 60 e gli 80 metri di
diametro. Volendo produrre una quantità significativa di energia sarà necessario installare tra
i 10 e i 40 aerogeneratori ed interessare un vasta porzione di territorio. Gli aerogeneratori
con le loro strutture di sostegno, le cabine di trasformazione, le strade che mettono in collegamento tra loro le torri eoliche e gli apparati di consegna dell’energia prodotta, compresi
71 È proprio la visibilità degli impianti eolici, la loro distribuzione decentrata sul territorio e la loro prossimità alla vita
quotidiana dei cittadini, che differenzia questi impianti da fonte rinnovabile da quelli convenzionali a fonti fossili che hanno
un carattere centralizzato, distante, separato e “sotterraneo”.
84
7. Impatto ambientale e paesaggistico
gli elettrodotti di connessione alla rete, concorrono a determinare l’impatto sul territorio. Le
strade di accesso, ad esempio, possono risultare comode agli agricoltori locali, ma rappresentano comunque una modifica dei terreni.
Il vero impatto dell’eolico riguarda il progetto “a terra”. Chiaramente l’aspetto visivo è fondamentale e genera un nuovo orizzonte, però come si struttura il progetto a terra ha a che fare
con l’acqua, con le divisioni catastali, con i campi, con la morfologia, con le frane…. Ho visto
progetti ad elevato impatto: grandi sbancamenti, strade che non hanno nessuna coerenza con
il territorio e così via. Alla fine, quelli sì che sono veramente dei lavori irreversibili, al contrario
delle torri che prima o poi verranno smontate. Anche il fatto di saper lavorare sul territorio è
una cosa che fanno veramente in pochi. Seguire le linee catastali, seguire le proprietà diventa
quasi automatico, però vedo che non c’è molta attenzione sul fatto di sbancare, di rilevare, di
modificare completamente la morfologia, piuttosto che allungare una strada preesistente o fare
un progetto più accurato (Daniela Moderini, architetto del paesaggio).
Noi ci preoccupiamo di un problema ambientale che è quello della perdita della superficie agricola, del suolo, a cui annettiamo una grande importanza non soltanto sul piano economico, ma
anche su quello ambientale, per quanto riguarda le funzioni che il suolo assolve più in generale.
Nella programmazione energetica noi non abbiamo costruito attraverso un piano, ma sono stati
gli incentivi a guidare gli industriali nell’investimento nel settore. Nel caso di nuovi impianti la
presenza in aree anche fragili sul piano economico determina delle conseguenze che non sono
state soppesate. Noi dobbiamo fare attenzione a quello che è succede, perchè ho visto casi - ad
esempio, a Volterra, nell’Alta Val di Cecina, in aree dove la forestale eleva contravvenzioni ai
nostri agricoltori per il taglio irregolare di fustaie o di vecchi cedui -di sbancamenti che lasciano
perplessi per l’assoluta mancanza di rispetto dei luoghi. C’è qualcosa che non va in questo e
credo che questa sia stata la forza degli incentivi cha ha portato a delle situazioni che abbiamo
anche denunciato. Ora, perché in questo paese, che coltiva una economia della qualità, non si
debba pensare ad inserire in modo tecnologicamente più adeguato le torri, in un contesto economico diverso da quello dell’Olanda o della Germania. Noi, è vero che prendiamo a riferimento
alcuni paesi, ma questi paesi con noi non spartiscono, almeno per quanto riguarda il sistema
agroalimentare, le stesse caratteristiche di qualità. Nei settori dell’alta tecnologia il nostro paese molto spesso non è il riferimento, ma nell’alimentare credo che il made in Italy sia un valore
che oggi esprime tante componenti immateriali. Se non toviamo il giusto equilibrio tra bellezza
ed efficienza, alcune parti dei nostri settori economici non riescono a trovare quelle condizioni
per poter poi esprimere i loro asset più profondi. Oggi, ad esempio, il vino ha bisogno di essere
venduto in America in relazione all’idea che si ha di un certo paesaggio. Ma, se quel paesaggio
diventa uguale a quello dell’Olanda o della Germania, non è più qualcosa di unico e irripetibile,
come sono le nostre colline toscane, ad esempio (Stefano Masini, Coldiretti).
Attraverso accorte scelte e tecniche progettuali paesaggistiche che permettono di controllare il valore della emergenza visiva72 o della capacità di assorbimento visuale, impiegate
come parametro e criteri di progetto, è possibile mitigare e mantenere basso il disturbo al
paesaggio. Inserire le macchine in modo che la variazione di forma e di altezza non disturbi
la lettura scenica del paesaggio può essere estremamente utile e funzionale. Deve essere per72 L’emergenza visiva viene definita (Serecchia, 2008:235) come la variazione locale dell’altezza media degli oggetti visibili,
dal punto di stazione su giro d’orizzonte di 360° compiuto in ciascuna delle direzioni dei 4 settori cardinali e comprendenti
l’impianto in progetto, il tutto mediato con peso individuato sulla base degli sfondi, della illuminazione e delle condizioni
meteorologiche prevalenti. Il punto di stazione è costituito da un punto di osservazione coincidente con un luogo scenicamente, naturalisticamente o socialmente importante dal punto di vista dell’interesse da salvaguardare. Così come è stata definita,
l’emergenza visiva permette di valutare le modifiche tridimensionali provocate al paesaggio dall’inserimento di una centrale
eolica.
85
Energia eolica e sviluppo locale
seguito il mantenimento del disegno geometrico territoriale originario, cercando di ottenere
continuità tra disposizione delle macchine e territorio. Eseguire installazioni lungo le linee
dei crinali delle colline oppure entro valli è una prassi legata alla necessità di sfruttare siti
con più elevate velocità medie annuali. L’impatto visivo che ne consegue può essere validamente contenuto mediante il ricorso a diverse tecniche di progettazione del paesaggio e
del territorio (Amadio, 2004; Battistella, 2010; Serrecchia, 2008; Zanchini, 2010a/b, 2004,
2002).
Utilizzando adeguati metodi di inserimento, attraverso corrette procedure di disegno del
paesaggio, infatti, si possono minimizzare gli effetti intrusivi e, in alcuni casi, arrivare addirittura a una sottolineatura di alcuni elementi paesistici e paesaggisticamente interessanti,
dovuta proprio alla presenza di queste macchine.
Per quanto riguarda la localizzazione dei parchi eolici caratterizzati da un notevole impegno
territoriale, l’inevitabile modificazione della configurazione fisica dei luoghi e della percezione
dei valori ad essa associati, tenuto conto dell’inefficacia di misure volte al mascheramento,
la scelta della localizzazione e la configurazione progettuale, ove possibile, dovrebbero essere
volte, in via prioritaria, al recupero di aree degradate laddove compatibile con la risorsa eolica
e alla creazione di nuovi valori coerenti con il contesto paesaggistico. L’impianto eolico dovrebbe diventare una caratteristica stessa del paesaggio, contribuendo al riconoscimento delle sue
specificità attraverso un rapporto coerente con il contesto. In questo senso l’impianto eolico
determinerà il progetto di un nuovo paesaggio (Linee guida, 2010:44).
Si possono elaborare progetti che non cerchino di nascondere, di far apparire le cose
come non sono, ma che, al contrario, sappiano interpretare le nuove condizioni e sappiano
esprimerne le potenziali risorse estetiche, paesistiche ed urbanistiche. Questa possibilità è
stata dimostrata sia in Italia che altrove, in aree di rilievo paesaggistico, nelle quali, attuando specifici criteri di ingegneria naturalistica, di architettura del paesaggio e del territorio,
si sono potuti ottenere risultati veramente brillanti.
… le centrali eoliche sono in grado di costruire nuovi paesaggi con una forte dignità, rappresentativa dei valori della nostra epoca. … Le centrali eoliche non solo sono in grado di integrarsi
nel paesaggio, ma sono anche in grado di valorizzarlo, rivalutarlo e farsi portatrici di nuovi
contenuti formali, simbolici ed estetici, rappresentativi dei luoghi e del tempo che li ospitano.
Quindi, trattandosi di simboli che uniscono alla produzione la rappresentatività di una società,
è lecito non cercare una progettazione che miri alla semplice mitigazione ma, al contrario, che
dichiari i propri valori attraverso la ricerca formale che trova nell’architettura e nel paesaggismo
le discipline di riferimento (Battistella, 2010:11).
In generale, l’inserimento in linea su singola fila degli aerogeneratori risulta essere il
meno impattante dal punto di vista visivo, con l’accortezza di posizionare le macchine assecondando le conformazioni topografiche del luogo e seguendo i profili territoriali più evidenti, ad esempio, le linee dei crinali.73 Il problema è che, nella stragrande maggioranza dei casi,
le zone migliori per l’inserimento in linea risultano essere le sommità dei crinali.
Nell’eventualità che il crinale domini un centro abitato sottostante, l’inserimento degli
aerogeneratori sulla cima del crinale ha sicuramente un impatto significativo a livello di
73 Esistono sostanzialmente tre forme possibili di configurare una centrale eolica: rettangolare, a gruppi, attraverso allineamenti. Analisi condotte per mezzo di sondaggi hanno assegnato a quest’ultima la preferenza da parte della maggioranza
degli intervistati. Preso atto delle possibili preferenze da parte delle persone, tale preferenza va interpretata in funzione delle
contingenze morfologiche e anemologiche del luogo.
86
7. Impatto ambientale e paesaggistico
disturbo percepito. Una soluzione pratica comunemente adottata per questa problematica,
è quella di collocare le pale eoliche sui fianchi del crinale in prossimità della cima. Tale
modalità di mitigazione dell’impatto visivo comporta però una riduzione della producibilità
(espressa in ore equivalenti annue) energetica dell’impianto.
Nel caso di una centrale eolica realizzata su plateau, un corretto inserimento nel paesaggio da un punto di vista strettamente visivo è più facile, perché l’impianto non domina un
intera vallata, bensì risulta inserito all’interno di una piana, generalmente con vegetazione
boschiva o a macchia mediterranea nelle aree attigue agli impianti, che permette di evitare
un impatto visivo troppo accentuato finché non si è in prossimità degli aerogeneratori.
Occorre sottolineare che l’impatto visivo non è sempre proporzionale al numero o all’altezza delle macchine. Valutare l’emergenza visiva significa misurare la variazione di altezza,
la variazione di forma, la variazione di colore, le diverse condizioni di illuminazione, le condizioni meteorologiche prevalenti, tenere presente lo sfondo e altre caratteristiche.74
La centrale, in funzione della densità delle macchine (numero di aerogeneratori rispetto alla
potenza totale installata) e dell’affollamento relativo (numero di aerogeneratori per cluster), a
sua volta, risulta più o meno invasiva rispetto al territorio anche in dipendenza dell’orografia
dello stesso e della tipologia del suo sviluppo planimetrico. Pertanto, la maggiore o minore
visibilità di una centrale e, più in generale degli aerogeneratori che la compongono, è influenzata innanzitutto dalla posizione assoluta delle macchine e poi dalla loro posizione relativa.
Ovviamente, tutto ciò a prescindere dalle condizioni atmosferiche che influenzano la visibilità
in misura determinante. Ad esempio, un controluce al tramonto o a mezzogiorno forniranno
un effetto diverso in funzione di altri parametri quali la distanza tra osservatore e oggetti
osservati. La presenza di bruma o di caligine o, ancora, di foschia possono esaltare talune macchine oppure farle sparire sullo sfondo a seconda se, questo, è costituito dal cielo oppure dalle
montagne. In una giornata tersa e soleggiata, magari in inverno, macchine disposte su una
cresta in piena illuminazione, sia diffusa che concentrata possono essere più o meno evidenti in
funzione della distanza, del tipo di torre (traliccio meno visibile, cilindrica un po’ più evidente)
e della maggiore o minore sottolineatura dovuta alla esistenza di altri punti di riferimento nella
vista ed entro l’angolo d’abbraccio. L’affollamento relativo, in quest’ultimo caso, gioca un ruolo
determinante come mostrano molte delle ben note immagini sul Altamont Pass, Tehachapi e
San Gorgonio in California (Gargini e De Pratti, 2008:133).
Alcuni criteri sono comunque ormai prassi consolidata come, ad esempio, la distanza minima tra le macchine: in genere, di 3-5 diametri sulla stessa fila e di 5-7 diametri sulle file parallele. Questo perché installare macchine troppo vicine può causare due ordini di problemi:
• si possono determinare interferenze aerodinamiche che portano anche a riduzioni del
50% della producibilità;
• una centrale eolica “affollata”, dovuta all’inserimento di un numero consistente di
aerogeneratori in un’area ridotta, causerebbe un impatto visivo particolarmente rilevante,
creando il cosiddetto “effetto barriera” o “effetto selva”.
74 La normativa di sicurezza aeronautica prevede un disegno a strisce di colore rosso da realizzarsi sull’estremità superiore del
pilone di sostegno dell’aerogeneratore o sulle estremità delle pale. L’introduzione della livrea strisciata, in genere, è limitata alle
macchine eoliche collocate nei punti più alti della centrale eolica. Vengono, inoltre, utilizzati apparati luminosi lampeggianti
collocati al vertice dei piloni di sostegno per la segnalazione notturna. Le colorazioni più idonee alla mitigazione dell’impatto
paesaggistico sono quelle neutre come il bianco o il grigio chiaro, ma anche il verde se lo sfondo è la vegetazione o l’azzurro se
lo sfondo è il cielo, con l’utilizzo di vernici antiriflesso. Per la base dei piloni, al fine di non interrompere la continuità con la
linea di orizzonte, è possibile prevedere una colorazione simile al tipo di terreno su cui poggiano le torri eoliche (diverse tonalità
di verde e/o marrone).
87
Energia eolica e sviluppo locale
L’impatto dovuto all’occupazione territoriale da parte di una centrale eolica (turbine e
opere accessorie) è assai basso, con valori non maggiori del 2-3% dell’area di riferimento.
Quasi sempre l’area circostante mantiene le funzioni precedenti all’installazione, come, ad
esempio il suo utilizzo per il pascolo di animali e per i seminativi. Questo dato di fatto consente, quindi, di considerare la fonte eolica come quella fonte energetica che occupa meno
terreno rispetto a qualsiasi altra.
7.2 Impatto su flora, fauna e avifauna
Gli impianti eolici possono avere delle possibili interazioni con la flora, la fauna e soprattutto con l’avifauna, sia quella di tipo stanziale che quella migratoria. Pertanto, la presenza
degli impianti eolici deve necessariamente conciliarsi con la conservazione della biodiversità,
i cui valori sono diffusi nel nostro paese con una concentrazione superiore al resto d’Europa.75 Molte sono le specie che trovano rifugio stanziale o stagionale proprio nella zona
Appenninica, interessata dallo sviluppo delle installazioni eoliche (La Mantia et alter, 2004).
L’impatto sulla flora è connesso alla realizzazione di elettrodotti, strade di accesso e di
servizio interne alla centrale eolica, ai plinti di fondazione della struttura di sostegno della
turbina elica, alle opere di sbancamento e di cantierizzazione, in generale necessarie alla realizzazione di questi interventi, possono determinare un calo demografico delle specie floristiche presenti in sito, causandone nel breve periodo la scomparsa. Un’adeguata progettazione,
a partire da un’attenta fase di cantierizzazione è l’unica risorsa disponibile per mitigare gli
effetti impattanti sulla flora. A valle della chiusura del cantiere, deve essere prevista la ricostruzione della cotica erbosa nel rispetto del germoplasma locale originario senza far ricorso
a germoplasmi provenienti da realtà ecologiche diverse. Nella fase di smantellamento, a valle
del fine vita dell’impianto, occorre prevedere un tipo di recupero che dovrà necessariamente
tener conto degli ambienti e delle specie presenti localmente.
Per quanto riguarda la fauna, è la fase di cantierizzazione di un impianto eolico quella
che determina un disturbo in termini di riduzione dell’habitat originario per le specie faunistiche presenti in loco. Questo tipo di impatto può essere comunque mitigato mediante
un’attenta organizzazione del cantiere ed è, comunque, una fase impattante reversibile, annullandosi alla chiusura del cantiere.
Per quanto riguarda l’avifauna stanziale e migratoria, alla luce delle rilevazioni e degli
studi effettuati, risulta che la frequenza delle collisioni degli uccelli e dei chirotteri con gli
aerogeneratori è estremamente ridotta.76 Il problema potrebbe divenire reale solo nei casi in
cui il parco eolico si trovi lungo le rotte migratorie e nei pressi delle aree utilizzate dall’avifauna durante gli spostamenti stagionali. È da specificare che tali zone sono ormai da tempo
ritenute zone di esclusione per le installazioni eoliche, per cui il rischio di interazione con
l’avifauna è per certi versi più teorico che pratico. Ad ogni modo, si parla spesso di corridoi
avifaunistici, di aree di nidificazione o di caccia per i rapaci e di flussi migratori di uccelli
che possono impattare sui rotori. La quota geostrofica su un ambiente a orografia complessa
come quello italiano è di circa 500-600 metri sul piano della campagna e i flussi migratori,
secondo gli zoologi e gli ornitologi, seguono tale quota. Quindi, la distanza dalle turbine eoliche (anche quelle di tagli maggiore con altezze vicino ai 100 metri) resta sufficientemente
75 A questo proposito, è importante sottolineare l’importante contributo fornito dal WWF Italia con il documento Eolico &
Biodiversità (2009) che contiene delle linee guida rispetto al tema dell’impatto sulla biodiversità da parte degli impianti eolici
industriali. Il documento fornisce indicazioni e prescrizioni affinché la realizzazione di impianti eolici industriali possa essere
subordinata alla corretta e rigorosa valutazione degli impatti sulle componenti della biodiversità presenti a scala locale.
76 Vari studi hanno rilevato che gli uccelli sono in grado di notare le nuove strutture eoliche e di conseguenza imparare ad
aggirarle senza incorrere in una collisione accidentale con la macchina.
88
7. Impatto ambientale e paesaggistico
ampia. Le soluzioni che sembrano concorrere positivamente alla prevenzione degli urti con i
volatili, anche ai fini della individuazione visiva per i sorvoli a bassa quota, sono:
• un opportuno distanziamento tra una turbina e l’altra (per le turbine di grande dimensione si va da un minimo di 3-5 volte il diametro del rotore tra le file perpendicolari alla
direzione del vento ad un massimo di 5-7 diametri tra quelle poste sulla direzione del vento);
• la creazione di corridoi di passaggio tra un gruppo di turbine e l’altro (da 250 a 800
metri in funzione delle dimensioni delle turbine e delle condizioni topo-morfologiche del
sito, soprattutto in passaggi obbligati (gole, valichi o corridoi) interessati dalle migrazioni
primaverili e autunnali;
• una buona segnalazione della macchine (con colori per il giorno, con luci per la notte,
quando pare sia maggiore il pericolo di collisioni)
• l’emissione di segnalazioni acustiche nel campo degli ultrasuoni disturbanti, nello specifico, l’avifauna ed altri animali in genere.
Resta tuttavia una certa carenza di studi di settore condotti sul territorio italiano e
nella più vasta gamma di situazioni possibili. In effetti, ogni porzione di territorio è caratterizzata da aspetti assolutamente particolari che devono essere analizzati direttamente sul
luogo, caso per caso (anche in relazione a fattori quali il numero delle turbine installate o da
installare, la posizione, la concentrazione, etc.), con strumenti idonei e con le conoscenze
specifiche del settore.
7.3 Impatto acustico ed elettromagnetico
Per quanto riguarda il rumore prodotto dalle turbine eoliche, si può affermare che i costanti progressi tecnologici che hanno visto una grande evoluzione sia nei singoli componenti
sia nel loro assemblaggio, nonché l’insonorizzazione della navicella contenente alcuni degli
elementi fonte di rumore, fanno sì che oggi l’impatto acustico sia tollerabile.77 Pertanto, a
distanza di 200 metri, il rumore prodotto dalla turbina (di 40-50 dB) è sostanzialmente poco
distinguibile dal rumore di fondo di una zona ventosa. Comunque, la rotazione delle pale di
una turbina eolica crea un’alterazione del campo del flusso atmosferico, generando regioni
di scie e di turbolenza connesse con variazioni locali della velocità e della pressione statica
dell’aria. Viene così a crearsi un campo sonoro libero, che si sovrappone a quello preesistente
a causa del flusso atmosferico e della sua interferenza con le strutture naturali dell’ambiente,
quali la vegetazione e l’orografia del territorio.
Le moderne tecnologie hanno consentito notevoli progressi nella riduzione del rumore
emesso dagli aerogeneratori e molte turbine consentono di regolare il livello di emissione
acustica intervenendo sulla velocità di rotazione della macchina.78 Questo permette di ridurre
i giri del rotore quando il vento è più debole e consente velocità lineari delle estremità delle
pale più contenute, a tutto vantaggio dell’abbattimento del rumore.
In generale, la riduzione dei livelli di emissione acustica comporta una riduzione delle caratteristiche prestazionali dell’aerogeneratore con conseguente minore produzione di
energia. È dunque fondamentale una corretta analisi previsionale dell’impatto acustico, oltre
77 Per quanto riguarda l’impatto acustico, la normativa italiana di riferimento è rappresentata dal DPCM 14 novembre 1997,
Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore, che riunisce integrandoli, il DPCM 1 marzo 1991 e la Legge quadro
447/95.
78 Esistono macchine a velocità fissa e macchine a velocità variabile. La prima conformazione è rappresentata da macchine
che raggiungono le condizioni ottimali di rendimento solo a determinate condizioni. Le macchine a velocità variabile, invece,
sono in grado di adattarsi a diverse condizioni del vento, in quanto il rotore può funzionare ad altri valori di efficienza per
un ampio intervallo di velocità del vento, con effetti positivi anche sulla rumorosità dovuti al fatto che è possibile regolare la
velocità di rotazione del rotore, abbattendo il rumore in condizioni di bassa ventosità.
89
Energia eolica e sviluppo locale
che per la verifica dei limiti di legge, anche al fine di determinare il corretto settaggio della
macchina (miglioramento della linea d’assi), così da provvedere ad un corretto inserimento
ambientale nel rispetto dei ricettori sensibili e, contemporaneamente, non penalizzare eccessivamente le performance dell’impianto.
D’altra parte, il fatto che la maggior parte dei siti siano localizzati in aree agricole con
scarsa densità abitativa consente di affermare la scarsa rilevanza del disturbo alla quiete
pubblica causato dagli aerogeneratori in funzione.
Le interferenze elettromagnetiche a bassa frequenza (frequenza industriale 50 Hz) sono
di rilevanza ridotta, riguardano essenzialmente l’interferenza con onde radio e sono determinate dalla componentistica elettrica delle turbine eoliche e, comunque, gli effetti risultano
di gran lunga inferiori rispetto a quelli dovuti alle installazioni di antenne radiotelevisive e
telefoniche o a quelli provocati dagli elettrodotti.79 Si tratta, comunque, di valori sempre al
di sotto della normativa vigente. Le turbine sono comunque schermate per limitare l’inquinamento elettromagnetico. Ad impatto zero sono i sistemi micro-minieolici.
7.4 Criteri per una corretta progettazione delle centrali eoliche
Per arrivare ad una corretta ed efficace progettazione delle centrali eoliche è necessario
un approccio interdisciplinare. Da un approccio che finora ha spesso visto la progettazione
delle centrale eoliche orientata quasi esclusivamente da priorità tecnico-ingegneristiche, occorre volgere l’attenzione anche ad aspetti, linguaggi, strumenti e modi di lettura del territorio di carattere urbanistico, architettonico, paesaggistico e sociale.
Il vento occorre imbrigliarlo, domarlo, incanalarlo: noi ingegneri sappiamo bene come farlo,
conosciamo la fisica e la tecnica; ma spuntano torri, cabine di controllo, strade nuove, strutture
di supporto che prima non esistevano, quasi sempre in luoghi belli e incontaminati. Una gara
rivolta anche agli architetti ci ha dato la possibilità di sviluppare quel lato della progettazione
più sensibile all’inserimento armonico delle strutture nel paesaggio. Paesaggi del vento, appunto: l’equilibrio tra ambiente, panorama, utilizzo della risorsa energetica e tecnologia avanzata
finalmente raggiunto. … La gara di idee ha indicato la via per una nuova metodologia di lavoro,
evidenziando il grande potenziale di ricerca ancora inesplorato e di conseguenza gli ampi spazi
di crescita del settore, non solo eolico (Pietrogrande in Zanchini, 2002:8).80
Ferma restando l’adesione alle recenti Linee guida nazionali e regionali e alle norme
vigenti in materia di tutela paesaggistica e ambientale e alle distanze e fasce di rispetto,
per una corretta progettazione delle centrali eoliche, sulla base delle buone pratiche ricavate
79 L’effetto sulle telecomunicazioni in termini di interferenze prodotte dal sistema di aerogeneratori non è classificabile
come un impatto paesaggistico-ambientale, ma piuttosto come un impatto di tipo operativo-funzionale. La torre eolica, come
qualsiasi ostacolo, può influenzare le caratteristiche di propagazione delle telecomunicazioni in termini di forma e di qualità del
segnale, generando una perdita o alterazione dell’informazione trasportata dal segnale steso. Si può porre rimedio a questo tipo
di inconveniente distanziando opportunamente tra loro le torri eoliche. Infine, è da sottolineare come gli accorgimenti imposti
dal Protocollo di intesa Anev-Legambiente-WWF-Greenpeace siano una garanzia per quanto riguarda il controllo e l’eliminazione
di questo tipo di interferenza. Nello specifico è richiesto il totale interramento dei cavidotti interni al parco e di collegamento
dello stesso alla rete di trasmissione nazionale.
80 Prefazione di Paolo Pietrogrande, all’epoca amministratore delegato di ENEL Green Power, al volume curato da Zanchini
(2002) di presentazione dei progetti presentati per il bando di concorso di idee Paesaggi del vento, indetto da Erga (Gruppo
ENEL) e Legambiente, uno strumento operativo fino ad allora mai usato per le centrali eoliche, con l’esplicito obiettivo di
“coinvolgere il mondo dell’architettura per affrontare una delle sfide più difficili e affascinanti data la qualità del paesaggio italiano. L’inserimento di infrastrutture sul territorio per la produzione di Energia da Fonti Rinnovabili rappresenta infatti una della
priorità strategiche per ridefinire un corretto rapporto dell’uomo con l’ambiente e uno sviluppo equilibrato del territorio” (Zanchini,
2002:23). Si veda anche Pietrogrande, 2003.
90
7. Impatto ambientale e paesaggistico
dalle esperienze fatte in questi anni e della letteratura specialistica,81 occorre prestare attenzione ai seguenti aspetti:
• le caratteristiche orografiche, geo-morfologiche storici, culturali e simbolici del sito, con
particolare riguardo ai sistemi che compongono il paesaggio (acqua, vegetazione, uso del
suolo, viabilità carrabile e percorsi pedonali, conformazione del terreno, colori);
• la disposizione degli aerogeneratori sul territorio, lo studio della loro percezione e
dell’impatto visivo rispetto a punti di vista prioritari (insediamenti concentrati o isolati), a
visioni in movimento (strade e ferrovie);
• i caratteri delle strutture, le torri, con indicazioni riguardanti materiali, colori, forma,
etc. e con particolare attenzione alla manutenzione ed alla curabilità;
• la qualità del paesaggio, i caratteri del territorio e le trasformazioni proposte (interventi
di rimodellazione dei terreni, di ingegneria naturalistica, di inserimento delle nuove strade
e strutture secondarie, etc.), la gestione delle aree e degli impianti, i collegamenti tra le
strutture;
• le forme e i sistemi di valorizzazione e fruizione pubblica delle aree e dei beni paesaggistici (accessibilità, percorsi e aree di fruizione, servizi, etc.). Uno degli aspetti che può contribuire all’inserimento dell’intervento nel territorio riguarda il passaggio da una percezione
odierna di un paesaggio sostanzialmente integro, ma inaccessibile, ad una nuova immagine
del territorio con le nuove strutture eoliche integrate nel paesaggio;
• le indicazioni per l’uso del materiali meno invasivi possibile o innovativi (ad esempio,
ghiaia stabilizzata, resine colorate, cemento ecologico) nella realizzazione dei diversi interventi previsti dal progetto (percorsi, aree funzionali, strutture), degli impianti arborei e
vegetazionali (con indicazione delle specie autoctone previste), eventuali illuminazioni delle
aree e delle strutture per la loro valorizzazione nel paesaggio.
Il progetto, come una nuova traccia calligrafica scaturisce dall’incrocio di numerose componenti
geomorfologiche, anemometriche, vincolistiche e proprietarie, ed una profonda lettura della
spazialità del sito, interpretato e decodificato nella sua essenza nell’intento di sottolineare la
singolarità. Il layout deve aspirare ad essere la migliore combinazione tra ottimizzazione produttiva ed una combinazione tra ottimizzazione produttiva ed una composizione paesaggistica
che ricerchi costantemente una nuova proporzione tra il luogo e la nuova infrastruttura, una
relazione tra i vecchi e nuovi segni. Consapevoli della profonda (anche se temporanea) trasformazione spaziale che un parco eolico apporta. Il forte vento, le caratteristiche geomorfologiche
e le evidenti tracce del paesaggio storico e agricolo, suggeriscono in forma paradigmatica
i temi per strutturare un impianto eolico di contemporanea concezione. La conformazione
morfologica, la struttura particellare del terreno, i colori, i sentieri e le strade, la vegetazione,
possono suggerire le modalità per realizzare le infrastrutture servizio dell’impianto. La ricerca
dei giusti rapporti ed equilibri tra il nuovo sistema di segni costituito dall’impianto eolico ed
i valori storici, culturali e paesaggistici di un luogo, diventa quindi tema prioritario all’interno
della questione progettuale legata agli impianti eolici ed è determinante nella costruzione di un
nuovo paesaggio. Il progetto va allora considerato come uno strumento fondamentale che può
indagare con grande attenzione le reali implicazioni e i rapporti complessi che possono intercorrere tra un’infrastruttura di produzione energetica da fonte eolica e il territorio che l’accoglie;
81 Si vedano anche i protocolli tra le associazioni ambientaliste Legambiente, WWF e Greenpeace e l’ANEV che hanno fissato
dei criteri per la progettazione e un corretto inserimento degli impianti eolici nel paesaggio e puntato ad allargare l’informazione
nei territori sull’eolico. Attraverso questi protocolli sono state fissate le analisi e le attenzioni che i progetti devono sviluppare,
in modo da rendere chiari gli effetti degli impianti sul paesaggio, valutarli e limitarli, ma anche gli ambiti dove non realizzare
parchi eolici; individuando una delle chiavi proprio nella ricerca sulla percezione, sulla disposizione nel paesaggio, sulle soluzioni cromatiche.
91
Energia eolica e sviluppo locale
quello che necessita è dare spazio ad una progettazione attenta a sensibile, l’unica condizione
che può garantire la compatibilità paesaggistica degli impianti e determinare elementi di valore
aggiunto anche in termini esattici e di promozione e valorizzazione dei luoghi. Attraverso una
progettazione capace di controllare contemporaneamente più scale, adottando precisi allineamenti e dispositivi compositivi si introducono nuove forme di relazione tra luoghi distanti tra
loro. Sono aspetti che attengono alle tecniche proprie dell’architettura del paesaggio e alla sua
specificità disciplinare basata sulla ricerca di nuove qualità nel dialogo tra il nuovo e l’esistente,
e il parco eolico può essere intesa come struttura di riferimento a scala territoriale che, data la
posizione dominante rispetto all’intorno, può trasformarsi in un prezioso dispositivo segnaletico
e di conoscenza. Sotto questa ottica, assume un significato diverso anche il tema dell’impatto
visivo (Moderini, 2010:10-11).
Con riferimento agli obiettivi e ai criteri di valutazione individuati, i criteri di base che
dovrebbero essere utilizzati nella scelta delle diverse soluzioni progettuali e realizzative, al fine
di migliorare l’inserimento dell’infrastruttura nel territorio, senza tuttavia trascurare i criteri di
rendimento energetico determinati dalle migliori condizioni anemometriche, sono i seguenti:
• rispetto dell’orografia del terreno (limitazione delle opere di scavo/riporto);
• massimo riutilizzo della viabilità esistente e realizzazione della nuova viabilità rispettando l’orografia del terreno e secondo la tipologia esistente in zona o attraverso modalità
di realizzazione che tengono conto delle caratteristiche percettive generali del sito;
• impiego di materiali che favoriscano l’integrazione con il paesaggio dell’area per tutti
gli interventi che riguardino manufatti (strade, cabine, muri di contenimento, etc.) e sistemi
vegetazionali;
• attenzione alle condizioni determinate dai cantieri e ripristino della situazione ex ante
con particolare riguardo alla reversibilità e rinaturalizzazione delle aree occupate temporaneamente da camion e autogrù nella fase di montaggio degli aerogeneratori.
Le attenzioni progettuali previste dal Protocollo d’intesa Anev-Legambiente-WWFGreenpeace
Nella realizzazione di nuovi impianti da parte degli associati Anev è stato preso l’impegno di seguire
delle attenzioni progettuali che possono garantire delle attenzioni progettuali che possano garantire
un controllo degli impatti su territorio, ambiente e paesaggio.
A. Per minimizzare l’impatto sul territorio e sull’ambiente:
L’obiettivo è di controllare e minimizzare attraverso il progetto gli impatti, di far tornare alle attività
preesistenti il territorio non occupato dalle macchine, e eventualmente di verificare le forme di fruizione delle aree inserite in contesti panoramici.
Attenzioni progettuali:
• Minimizzazione delle modifiche dell’habitat in fase di cantiere e di esercizio, e ripristino della
eventuale flora eliminata nel corso dei lavori di costruzione e restituzione alla destinazione originaria
delle aree di cantiere.
• Attenzione alla stabilità dei pendii evitando pendenze in cui si possono innescare fenomeni di
erosione.
• Utilizzo dei percorsi di accesso presenti se tecnicamente possibile ed adeguamento dei nuovi
eventualmente necessari alle tipologie esistenti se pienamente integrate nel paesaggio.
92
7. Impatto ambientale e paesaggistico
Aree dove escludere la realizzazione di impianti
• Aree di nidificazione di rapaci o uccelli che utilizzano pareti rocciose e a grotte utilizzate da
popolazioni di chirotteri.
• Aree corridoio per l’avifauna migratoria interessate da flussi costanti nei periodi primaverili e
autunnali.
• Aree con presenza di alberi ad alto fusto.
• Zone A di parchi regionali e nazionali.
• Aree archeologiche.
• Ambiti con insediamenti posti ad una distanza inferiore ai 300 metri dagli impianti.
B. Per minimizzare l’impatto visivo e paesaggistico
Obiettivo è di tenere conto nel progetto dell’impatto prodotto dall’impianto, limitando l’interferenza
sul contesto e intervenendo in forma consapevole nel modificare una porzione del paesaggio, per
quanto possibile arricchendola di un nuovo elemento culturale antropico.
Attenzioni progettuali
• Limitare l’interferenza visiva degli impianti considerando i punti di vista prioritari della porzione
di territorio da cui l’impianto è chiaramente visibile.
• Limitare e impedire l’alterazione del valore panoramico del sito oggetto dell’installazione ossia del
quadro dei centri abitati e delle principali emergenze storiche, architettoniche, naturalistiche e dei
punti di vista panoramici da cui l’impianto è chiaramente visibile.
• Riduzione degli effetti visivi negativi dovuti all’addensamento di impianti dai punti di vista più
sensibili, in particolare dai limitrofi centri abitati.
• Utilizzo di torri tubolari o eventualmente a traliccio, per questi ultimi deve essere dimostrato,
attraverso un apposito studio, la migliore compatibilità paesaggistica rispetto al paesaggio oggetto
di intervento.
• Utilizzo di soluzioni cromatiche neutre e di vernici antiriflettenti.
• Interramento dei cavidotti a media e bassa tensione, propri dell’impianto e di collegamento alla
rete elettrica.
A tutto questo vanno aggiunte alcune considerazioni più generali legate alla natura
stessa del fenomeno ventoso e alla conseguente caratterizzazione dei siti idonei per lo sfruttamento di energia eolica. Tali considerazioni costituiscono la base per una ricerca delle più
avanzate modalità di approccio al tema complesso del rapporto tra infrastruttura e paesaggio,
intendendo quest’ultimo come spazio complesso di relazioni.
Tema prioritario per la progettazione di impianti eolici è la ricerca dei giusti rapporti ed equilibri
tra approcci apparentemente antitetici, quali lo sfruttamento di una forma di energia pulita
ed inesauribile e una relazione con il territorio improntata all’innovazione e ai valori storici,
culturali e paesaggistici. Il tema dell’inserimento paesaggistico degli impianti eolici e pertanto
fatto assai più complesso e radicale del semplice impatto visivo, poiché coinvolge la struttura
sociale dei territori, interviene all’interno di un sistema di segni e trasformazioni, anche fisiche,
che vanno oltre al stessa vita stimata di un impianto. In tale senso il termine paesaggio va
espresso nella più ampia accezione possibile, intendendo per esso la stratificazione di tracce,
forme, strutture sociali e testimonianze di passati più o meno prossimi che ne hanno determinato l’attuale configurazione, e le cui tracce possono risultare elementi guida e per ulteriori
trasformazioni. Questo, infatti, è il punto di partenza per affrontare la progettazione di tali
93
Energia eolica e sviluppo locale
infrastrutture nel territorio, pensandole come capaci di inserirsi all’interno del significato specifico dei luoghi (Moderini, 2010:10).
Scientificamente il vento, come spostamento prevalentemente orizzontale delle masse
d’aria tra zone di differente pressione, caratterizza luoghi connotati dall’evidenza dei fenomeni ad esso associati. Il vento erode e disegna i profili e i rilievi, alimenta percezioni visive
legate al movimento (dell’acqua, della vegetazione, delle nuvole), genera e propaga i suoni
(assumendo un ruolo fondamentale nella costruzione del paesaggio sonoro).
Per lo stesso motivo, come tutti i fenomeni naturali che producono effetti facilmente
percepibili, ha sviluppato nel tempo una grande carica simbolica. I luoghi ventosi idonei per
l’utilizzo dell’energia eolica presentano aspetti geografici simili: situati su crinali che quasi
sempre coincidono con i confini amministrativi o su pianori in leggero declivio, si distinguono per analoghe caratteristiche geomorfologiche e vegetazionali. La direzione e l’intensità del
vento e le curve della “vena fluida” della massa d’aria che definisce lo spazio vuoto ricco di
energia disegnano una mappa che si intreccia con quella geografica e topografica, che evoca
nelle sue tracce il racconto di un paesaggio, stratificazione di eventi naturali e artificiali,
di storia dell’uomo, di miti, di leggende. È possibile allora strutturare un impianto eolico
riappropriandosi di un concetto più vasto di energia associata al vento, utilizzando le tracce
topografiche, gli antichi percorsi, esaltando gli elementi paesaggistici, facendo emergere gli
aspetti simbolici e i culti arcaici, giocando con il movimento e l’intensità delle correnti d’aria,
con la vegetazione, con i suoni, modulando le caratteristiche percettive (visive e sonore)
prodotte dagli stessi aerogeneratori.
Questi straordinari oggetti tecnologici in movimento e dall’accurato design, possono far parte
a pieno titolo dell’estetica del “paesaggio del vento”; la loro valenza segnaletica può essere
utilizzata come un formidabile strumento di riconoscibilità dei luoghi (Moderini, 2010:10).
L’asse tecnologico e infrastrutturale dell’impianto eolico, ubicato nei punti con migliori
condizioni anemometriche e geotecniche, incrociandosi con le altre trame, diventa occasione
per far emergere e sottolineare le caratteristiche peculiari di un sito. Dare un nuovo senso
all’infrastruttura tecnica può calamitare nuove attenzioni sui territori facenti parte del bacino
eolico: un nuovo paesaggio, il paesaggio del vento e nuovi itinerari, le strade del vento, si
incrociano con quelli archeologici, monumentali, storici, naturalistici, enogastronomici già
da tempo consolidati.
Quello che l’esperienza di questi anni ha mostrato è che nelle storie di successo i progetti eolici
hanno avuto una chiave di attenzione locale, che ha permesso di innescare processi virtuosi,
attenti a inserirsi rispetto ai crateri del paesaggio e a mantenere gli usi presenti nelle aree, ma
anche a riportare servizi, attività e lavoro in molte realtà interne (Zanchini, 2010a:6).
94
8. Ricadute territoriali
e buone pratiche
8.1 Piccole e grandi royalties
L’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali
pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità locali che vivono nei territori dove
si collocano gli impianti. Sentendo propria la “risorsa vento”, come un bene comune del territorio, appare più che legittima l’attesa delle popolazioni locali che iniziative a carattere
economico apportino vantaggi tangibili là dove la risorsa viene sfruttata. Se l’ostilità delle
popolazioni locali alla localizzazione di parchi eolici nel loro territorio sta cominciando a
condizionare lo sviluppo di questa energia da fonte rinnovabile, spesso questa ostilità non è
motivata soltanto sulla base di percezioni e valutazioni negative in termini di un temuto impatto paesaggistico e/o ambientale, ma anche (e soprattutto) sulla convinzione che il valore
aggiunto della produzione degli impianti realizzati con i benefici dell’incentivazione pubblica
esce quasi totalmente dal circuito locale di produzione e di distribuzione della ricchezza.
Assai diffusa, infatti, è la percezione che ci siano “tanti interessi che passano sopra le teste
degli amministratori locali e dei cittadini” e che alla fine “chi fa gli affari sono solo i gestori dei
parchi eolici e le banche che li finanziano”.
Da un punto di vista dell’analisi territoriale, si possono riconoscere tre diversi atteggiamenti in relazione al tema della valutazione delle ricadute degli impianti eolici sulle comunità
locali:
• di resistenza difensiva al cambiamento, che si esprime in quelle aree dell’”osso” appenninico meridionale che subiscono, più che vivere in maniera attiva e da protagoniste, i processi di modernizzazione dell’economia e della società: luoghi oggi interessati da processi di
invecchiamento, spopolamento, perdita di identità, ed al contempo dalla presenza di nuova
residenzialità immigrata di origine straniera che pone sotto minaccia la tenuta della comunità locale. Sono i luoghi dove è prevalente il “rancore” verso chi e verso ciò che determina
discontinuità e innovazione;
• di apertura, come risultato del processo di interconnessione di queste aree con i centri
capoluogo e/o di fondovalle, le aree distrettuali, le nuovi cattedrali del consumo costituite
da centri commerciali, outlet, centri residenziali, cinema multisala, stazioni di servizio, etc.
Qui, meglio che altrove, si evidenzia una capacità di comprendere le potenzialità economiche, culturali, socio-professionali ed imprenditoriali che possono scaturire a livello locale
dalla realizzazioni di impianti eolici. Di fatto, vi è una maggiore consapevolezza della questione energetica;
95
Energia eolica e sviluppo locale
• di sospensione, sono le aree che necessitano, a differenza delle prime due, di un intenso
e specifico progetto di accompagnamento delle comunità locali. Sono quei luoghi che meglio
di altri, hanno avuto la capacità di mettere a valore la propria distintività in termini di turismo ambientale, di ricerca di eccellenze gastronomiche ed agroalimentari, di specificità territoriali e che di conseguenza possono mettere meglio a valore anche una distintività legata
ai temi delle energie rinnovabili, della qualità ambientale e del green marketing nella promozione del territorio e dei suoi prodotti/servizi, come leva per sfruttare nuove opportunità di
crescita e per rinforzare la posizione competitiva del tessuto imprenditoriale territoriale.
Il settore eolico si è andato costruendo nel tempo, anche con accelerazioni e contraddizioni locali, per cui ci sono tanti impianti realizzati senza alcun confronto con il territorio
e ce ne sono molti altri in cui invece gli imprenditori hanno avuto qualche attenzione, ma
il tutto è avvenuto in modo assolutamente casuale, non essendoci stata mai una regola o
premialità rispetto al ruolo di interlocuzione con il territorio.
Siccome la materia dell’energia non è molto diffusa e penetrata nel contesto sociale – perché,
altrimenti, non avremmo conosciuto in questo paese il CIP6 in componente A3 – credo che sia
importante che un progetto di sviluppo energetico, anche per il comune più piccolo, sia esposto
e sia resa edotta la comunità di cosa si vuol fare. Da questo punto di vista, nella mia esperienza
di lavoro negli ultimi 3-4 anni, non mi sono mai trovato nella condizione di trovare delle “best
practices” da citare come elemento di avvio di un progetto di sviluppo sul territorio adeguato
e credibile (Stefano Masini, Coldiretti).
Tutto è dipeso dalle capacità dei territori. Ci sono stati alcuni Comuni che hanno cercato
di costruire un percorso, obbligando le aziende a lasciare qualcosa nel territorio anche in
termini di investimenti in rapporto alla redditività dell’impianto realizzato. Altri che invece
hanno pensato solo a fare cassa.
In questi anni, le principali ricadute in termini di benefici per i territori locali sono state
le seguenti:
• il ricorso, non sempre garantito, a imprese e a manodopera locale per la realizzazione
delle parti più convenzionali dell’impianto (tipicamente le opere civili: movimento terra,
scavi e sbancamenti, realizzazione di strade, fondazioni e piazzole, etc.), per la manutenzione ordinaria e la sorveglianza;82
• qualche realizzazione infrastrutturale, generalmente legata al miglioramento della viabilità;
82 Generalmente la manutenzione degli aerogeneratori è di competenza dell’impresa costruttrice. “Chi compra le turbine REpower, firma con noi due contratti. Il primo per la fornitura e l’installazione delle macchine, l’altro per l’assistenza e la manutenzione
che ha una durata variabile tra gli 8-10-12 anni. Adesso, ci chiedono anche 15 anni di manutenzione. Noi ci prendiamo in carico il
parco eolico, lo gestiamo in maniera completa, diamo delle garanzie di disponibilità, garantendo che il parco eolico sarà disponibile
a produrre per il 97% del tempo. Abbiamo del personale dedicato e abbiamo una squadra di due persone ogni 20 turbine più il
personale indiretto. Quindi, facciamo tre persone ogni 20 turbine. Il nostro personale deve avere tre caratteristiche: deve capire l’inglese, capire di elettrotecnica ed essere piuttosto giovane e fisicamente a posto per salire dentro il “fusto”. In REpower siamo in 55
persone, di cui 30 fanno lavori di global service. Diamo la precedenza al personale locale che però è difficilissimo da trovare perché
si tratta di trovare del personale disponibile a mettersi la tuta, a fare l’operaio ed avere delle competenze tecniche e linguistiche
che in genere ti portano ad avere altre ambizioni. Abbiamo un rapporto costante con due società di ricerca del personale, quando ci
trovano le persone le prendiamo, le formiamo, anche se non ne abbiamo bisogno subito le prendiamo lo stesso. Facciamo un anno
di formazione e appena assunti vanno in Germania. Qualcuno viene assunto, qualcuno viene con contratti tramite ManPower, però
non prolunghiamo il contratto oltre un anno. Dopo un anno entrano in REpower. Entrano, fanno un periodo in Germania, fanno
prima un introduction week, che qui dentro abbiamo fatto tutti, dove spiegano le “basi” del vento. Da che cos’è un anemometro,
fino al mercato del vento. Poi. dopo escono con le squadre tedesche, fanno un periodo di training presso i nostri principali fornitori.
Alternano un po’ di presenza a Foggia e nell’area dove poi dovranno lavorare e dopo un anno sono considerati “maturi”, i più bravi
diventano già caposquadra. L’altra caratteristica di questi lavoratori e che devono avere la disponibilità a rimanere fuori casa, questo
soprattutto il primo anno. È un mestiere difficile perché bisogna garantire la reperibilità visto che anche il sabato e la domenica ci
sono delle squadre pronte ad intervenire” (Carlo Schiapparelli, REpower).
96
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
• i fitti dei terreni interessati dalle installazioni (anche se sovente il soggetto realizzatore acquista, perché altrimenti non riesce a concludere le operazioni di project leasing o di
project financing);
• qualche forma di partecipazione marginale da parte degli enti locali ai ricavi prodotti
(con variazioni dall’1,5% al 5%).83
Sull’eolico c’è un certo ritorno e si può promettere una certa ricaduta sul territorio, perché
l’ENEL pensa sempre alle compensazioni ambientali in senso lato, come ricaduta occupazionale,
industriale, economica dell’indotto diretto e indiretto. Spesso nell’eolico quello che ci chiedono
i Comuni è una ricaduta in termini di compensazione ambientale con la realizzazione di un
impianto fotovoltaico sopra il tetto della scuola o sull’edificio del comune per pagare le utenze.
Questo noi lo facciamo e già questo è un segno di integrazione. Poi, ovvio, se possiamo permetterci di fare anche un altro impianto può essere possibile fare anche una strada o altro. Se
possiamo fare 2-3 impianti su un Comune, a quel Comune possiamo promettere molto di più
e possiamo veramente risollevare in maniera sensibile lo stato economico di un Comune. Se si
riesce magari a fare un impianto da 20 MW di eolico e due impianti da 10 MW da fotovoltaico,
magari in quel comune si può aprire una sede dell’ENEL. Le rinnovabili sono tecnologie anche
complementari. Eolico e solare sono entrambe fonti non programmabili, ma dissociate: il solare
funziona solo di giorno e, quindi, va bene per sopperire la produzione elettrica di giorno, l’eolico
quando c’è vento. Potrebbe esserci vento e sole di giorno, ma anche vento di notte. Per cui, se
lì mettiamo solo l’impianto fotovoltaico sappiamo che d’inverno lavora tot ore, d’estate altre
e comunque nella curva di massimo impiego. Se a questo ci associamo un impianto eolico,
potremmo sopperire alla necessità di energia anche la notte. Le due cose fanno sì che essendo
due fenomeni statisticamente indipendenti – perché sole e vento non sono strettamente correlati – potremmo sopperire meglio alle necessità energetiche. La stessa cosa con l’idroelettrico.
Se tutte queste fonti sono singolarmente difficilmente programmabili, questo non vuol dire che
il mix delle 3 non sia più facilmente programmabile, perché quando non c’è una, c’è l’altra e
facendo i controlli alla rete possiamo, con un mix energetico, garantire maggiore erogazione di
energia alla comunità. Noi abbiamo tutto l’interesse a tenere un rapporto diretto con i piccoli
Comuni che sono quelli più favorevoli. Sono quelli in cui gli impianti “danno meno fastidio”,
perché essendoci una densità demografica più bassa, l’impatto sulle persone è minore e dove
la ricaduta occupazionale ed economica è sentita come un valore aggiunto addizionale. Quindi,
questa è una strada che perseguiamo, perché è una sinergia economica, anche dal punto di
vista di esercizio ed è anche più facile da gestire dal punto di vista istituzionale. E ci dà anche
più soddisfazione, perché andiamo in un posto dove siamo più apprezzati (Ivano Bruni, Enel
Green Power).
Dal punto di vista dell’impatto economico, un impianto eolico è in grado di offrire alle
casse dei Comuni, spesso piccoli e con bilanci esigui, un gettito annuo di alcune centinaia
di migliaia di euro (utile sulla produzione, corrispettivo di potenza, canoni di affitto terreni). Oggi, i comuni dell’eolico in Italia sono 374 e nei casi più virtuosi questo introito viene
generalmente utilizzato per interventi di compensazione ambientale, di miglioramento della
qualità dei servizi, per realizzare infrastrutture ambientali: in questo modo può divenire evi-
83 Tra l’altro le Linee guida previste dal D.lgs. 387/03 ed emanate solo di recente di fatto vietano qualsiasi forma di royalties e misura compensativa in denaro. Oggi, nel distretto eolico del Fortore (province di Foggia, Benevento e Avellino) ci
sono comuni come Roseto Valfortore (1.205 abitanti) che con 6 parchi eolici – 60 aerogeneratori per una potenza complessiva
installata di 76,9 MW – incassa 350 mila euro di royalty, con un bilancio comunale di 1.670 mila euro; Rocchetta S. Antonio (2
mila abitanti), 4 parchi eolici (43 aerogeneratori per 90 MW) e royalties di 800.000-1.000.000 euro, con un bilancio comunale
di 2.100.000-2.300.000 euro; Monteverde (903 abitanti), 1 parco eolico (9 aerogeneratori, 6 MW) e una royalty di 12 mila euro,
con un bilancio comunale di 450 mila euro.
97
Energia eolica e sviluppo locale
dente ai cittadini l’impatto positivo degli impianti eolici anche a livello locale.84 Può risultare
chiaro come l’opzione eolica possa essere una scelta non solo responsabile per la salvaguardia
del pianeta, ma anche per lo sviluppo sostenibile locale.
Nel bene, conosco dei sindaci interessati all’eolico e alle energie rinnovabili, perché in alcune
aree interne l’energia viene vista come uno degli ultimi vagoni per lo sviluppo territoriale.
Sindaci in buona fede, in questo caso, pensano che questa sia un occasione utile per il loro
comune. Vedo che questa parte che recitano è legata proprio all’inserimento in un’economia
nuova, moderna (Stefano Masini, Coldiretti).
Nel comune di Stella il parco eolico è accettato, è proprio parte della comunità e le persone
sono contente. Poi, la bravura del sindaco di Stella è quella di sfruttare i proventi per opere intelligenti ed interessanti. A Stella c’è lo scuolabus gratuito, ad esempio. Inoltre, si è avviato un
meccanismo virtuoso perché gli abitanti hanno iniziato a fare degli impianti di mini eolico. Ci
avevano chiesto cosa fare e avevamo organizzato un convegno per spiegare la tecnologia mini
eolica anche coinvolgendo l’APER. Il Comune si è fatto garante presso le banche delle iniziative
dei singoli e l’agriturismo che c’è sotto il nostro impianto ha messo il mini eolico.
A Santa Luce in Provincia di Pisa, c’è un nostro progetto non ancora realizzato, però approvato
dalla Regione. Qui, il sindaco è molto attivo, sta facendo delle politiche integrate per portare
avanti su più fronti il tema delle rinnovabili. Sta sponsorizzando la produzione locale di biodisel
per alimentare i trattori e le macchine comunali, sta portando avanti un discorso con le cooperative locali per produrre biomassa “a km. 0” con gli scarti dei residui agricoli per alimentare
un piccola centrale locale, ha istallato i pannelli fotovoltaici sul tetto della scuola, e l’eolico
entra attraverso un bando in questo grande progetto ecosostenibile del Comune. Con i proventi
dell’eolico il Comune vuole fare la mensa gratuita, lo scuolabus, istituire delle borse di studio
per i ragazzi meritevoli. Ha inserito la mensa biologica nella scuola, sta facendo una serie di
attività e l’eolico è una di quelle attività che può portare delle risorse finanziarie per fare tutto
questo. L’eolico serve un po’ come “cassa” per finanziare servizi innovativi per la comunità
locale (Giulia Canavero, FERA Srl).
In tal senso, lungi dal viziare la concorrenza nel settore energetico, si evidenzia come
l’ente locale può avere un ruolo fondamentale di regolamentazione, di funzione esemplare
verso la cittadinanza e gli attori che insistono sul territorio, di guida e stimolo della filiera
locale delle rinnovabili. Per questo l’ANCI ha sottolineato più volte al Governo la necessità di
introdurre tra le deroghe già previste all’applicazione di sanzioni in caso di mancato rispetto
del Patto di Stabilità anche quella inerente i diversi proventi e incentivi percepibili dagli enti
locali tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili ed efficientamento energetico.85 Oggi, inoltre, non
84 In molti dei comuni dove sono installati dei parchi eolici ci sono dei programmi didattici e delle giornate di sensibilizzazione e informazione organizzati da enti locali, associazioni ambientaliste, scuole del territorio e operatori eolici, in cui le centrali sono aperte, per cui chiunque può accedere agli impianti. In questo modo, si vuole far conoscere la tecnologia e far vedere
cosa si sta facendo, soprattutto coinvolgendo le scuole. “Si cerca di far conoscere gli impianti a chi vive sul territorio o anche a
chi viene da fuori, in modo da favorire la conoscenza e fare in modo che ci sia un impatto positivo in relazione all’eolico, cercando
anche di abbattere quelli che sono gli eventuali stereotipi e pregiudizi negativi verso queste tecnologie ed impianti. Le persone
possono tranquillamente passeggiare all’interno di un parco eolico. La strada di accesso viene sistemata e si cerca di ottimizzare il
sito” (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).
85 Inoltre l’ANCI ha siglato un protocollo d’intesa con l’ACRI, l’associazione che rappresenta collettivamente le Fondazioni di
origine bancaria, a favore della tutela e della valorizzazione dell’ambiente. Si intende così stimolare presso le rispettive compagini associative lo sviluppo di progetti e di iniziative per l’educazione e la formazione ambientale, la tutela e la valorizzazione
delle biodiversità, la promozione del risparmio energetico e dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili. Le due associazioni si
impegnano a divulgare e a diffondere presso i propri associati le conoscenze e le modalità operative individualmente sviluppate,
ma anche a stimolare la realizzazione di attività congiunte. In particolare l’ACRI si impegna a sollecitare le Fondazioni associate,
già fortemente impegnate sul fronte della salvaguardia del territorio e dell’ambiente con erogazioni filantropiche che superano
i 40 milioni di euro all’anno, a mettere a disposizione dell’ANCI informazioni sulle proprie attività in questo comparto, raccolte
98
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
viene operata alcuna distinzione tra spese correnti e investimenti sostenuti dai Comuni: ai
fini del patto di stabilità valgono allo stesso modo. Così, si penalizzano i Comuni che investono, soffocando le potenzialità e le capacità degli enti locali.
Il problema vero per gli enti pubblici è lo stesso che hanno anche i privati. I privati non hanno
i soldi e nessuno glieli dà. Gli enti pubblici non hanno i soldi o se li hanno non li possono
spendere per il vincolo del patto di stabilità. D’accordo non andare ad incrementare il debito
pubblico, ma un conto è fare un investimento che produce reddito per un comune e un conto è
fare un investimento che richiede reddito per il suo esercizio. Fare una scuola significa che poi
questa deve essere manutenuta, che bisogna fare la strada per arrivarci, le fogne, etc. Fare un
parco eolico per un comune significa, invece, avere ogni anno qualche milione di euro di reddito
da poter reinvestire. Sono due cose diverse. Basterebbe che il nostro ministro Tremonti facesse
2+2 come gli viene richiesto dall’ANCI. Non capisco perché non lo faccia… È il ragionamento più
sbagliato del mondo, perché da una parte si fa una manovra finanziaria dove i Comuni vengono
penalizzati e dall’altro si pensa di risolvere i problemi finanziari dei Comuni con un finto federalismo fiscale e ancora non gli si consente neanche di avere delle risorse che sono a loro portata
di mano, immediata. Credo che sia una politica sbagliata, qualsiasi governo – di centrodestra o
di centrosinistra – che questo faccia. Oggi, purtroppo non esiste una vera contabilizzazione di
quello che ci costerà in futuro il non avere delle massicce installazioni di impianti da energie
rinnovabili sul territorio. Questo perché noi facciamo solo i conti con quanto ci costa non rispettare il Protocollo di Kyoto entro il 2012 – 46 centesimi al secondo, ovvero 4 miliardi di euro
l’anno -, ma se non rispettiamo i limiti per lo smog? Altri 2 miliardi di euro all’anno. E l’85% di
energia che importiamo dall’estero ai prezzi che decidono loro? Ci costerà. E tutti quelli che ogni
anno si ammalano per lo smog per malattia ai polmoni, dovuta all’inalazione di PM10, come
vengono contabilizzati? Non ci sono nella contabilizzazione. Quindi, non abbiamo una vera
contabilizzazione della quantità di danni causati dall’innalzamento globale della temperatura
di quel grado, grado e mezzo, come si è verificato negli ultimi anni. Allora, bisogna incominciare a ragionare che, investire risorse in questo da parte del governo centrale e consentire la
liberalizzazione delle procedure anche per i Comuni, è fondamentale per l’economia italiana.
È chiaro che un costo basso dell’energia è anche un costo minore per l’imprenditore che deve
investire nel nostro paese (Flavio Morini, ANCI e Scansano).
Fino all’anno scorso i Comuni ottenevano delle tariffe più elevate se investivano e diventavano
loro gestori e, quindi, qualcosa hanno tentato di fare. Ma, i Comuni devono rispettare il patto
di stabilità, per cui molti comuni non hanno una finanza sufficiente per poter fare questi investimenti. Fanno un impianto fotovoltaico nel parcheggio del cimitero o sul tetto della scuola….
sono impianti medio-piccoli da 200 mila euro di investimento con una valenza sociale. Il GSE
voleva premiare il comune “virtuoso” che fa l’impianto e che quindi utilizza energia auto prodotta. L’idea non è malvagia, però poi ci sono tutte le distorsioni del caso. Faccio un esempio:
c’è la giunta che vuole essere pagata in contanti tutto e subito perché è in scadenza elettorale,
piuttosto che fare un impianto che mi produca una redditività per 20 anni. Poi, c’è una difficoltà ricorrente: quando si emettono i bandi, il Comune mischia sempre quello che è l’investimento
industriale con l’investimento finanziario. Cosa che non siamo mai riusciti a far capire al mondo
“del pubblico”. Se intervengo, lo faccio con un finanziamento, non posso avere la responsabilità
e coordinate da un’apposita Commissione ambiente creata in ambito ACRI, e a destinare risorse economiche a iniziative da realizzare congiuntamente con i Comuni. Per quanto riguarda l’ANCI, essa si impegna a sensibilizzare i Comuni alla buona gestione
degli edifici pubblici di pertinenza e all’adozione di condotte di risparmio energetico, di riduzione delle emissioni climalteranti e
di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili. Sollecita, inoltre i propri associati all’assunzione di investimenti
per il settore ambientale, alla destinazione ad esso di quote delle proprie disponibilità economiche, nonché allo sviluppo di progetti e di iniziative congiunti con le Fondazioni, mettendo a disposizione le dovute risorse umane (da ACRI Notizie, 22/06/2010,
n. 159: 3).
99
Energia eolica e sviluppo locale
di chi realizza l’impianto, non può essere chiamata in causa la società di leasing o la banca per
quello che è l’impianto fatto. Se mi devo prendere il rischio industriale faccio un altro tipo di
scelta. Lo dico sempre agli amministratori: “se devo rischiare il 100%, se mi devo anche assumere il rischio industriale non è che ho bisogno del Comune per fare l’investimento”. Per questo
dico che il mondo “del pubblico” è sempre stato un mondo particolare. L’altra “diatriba” è che
molto spesso, se il terreno è di proprietà comunale, il Comune lo dà in comodato, e questo è un
diritto reale che non posso accatastare e se lo accatasto perdo la proprietà del bene e, quindi,
anche in questo caso le società di leasing sono un po’ limitate nell’intervenire. Comunque,
queste iniziative sono molto interessanti, sono difficoltose da realizzare perché: primo devi fare
l’accordo con ENEL perché sia disposta a fare l’auto consumo o lo scambio sul posto (Alberto
Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).
Purtroppo, in altri casi i Comuni, sopraffatti da tagli e da vincoli, sono stati tentati di
utilizzare l’eolico e le altre fonti rinnovabili per “fare cassa” per pagare le spese correnti,
con molta attenzione agli incentivi e alle cosiddette royalties/ristori una tantum e poca al
risparmio in termini di consumo proprio e della collettività, spesso in balia di soggetti non
qualificati, correndo il rischio di “svendere il territorio”.
Negli anni il nostro territorio è stato deturpato dalle pale eoliche. Gli effetti prodotti sono
stati un “litigio” nelle comunità per la localizzazione delle pale. Queste vicende hanno creato
divisioni all’interno della comunità. Alla fine, si é giocato sul Comune che prendeva più royalty
di un altro Comune, pensando che con quei soldi si risolvessero i problemi di una comunità. In
cinque anni che sono sindaco ho sentito un bel po’ di colleghi che dicevano: “ho fatto questo e
questo…”, ma alla fine si trattava sempre di manifestazione nel sociale e di qualche servizio
in più alla comunità. A questo siamo finora. Fino ad oggi le società che hanno impiantato i
parchi eolici nei nostri territori si sono sostituiti in parte ai trasferimenti pubblici dello Stato
che nel frattempo sono diminuiti. Ogni Comune pensava di aver fatto un buon affare a fare la
convenzione – al 2-3% negli ultimi anni e all’1,5% dieci anni fa che sembrava già una manna.
Se leggete i verbali dei Consigli comunali sulle prime convenzioni che ogni comune stipulava,
sembrava che tutti i problemi del Meridione si sarebbero risolti con 10 torri eoliche. Ma, le pale
non hanno prodotto questo effetto. Scuole chiuse. Ogni anno negoziamo con i direttori regionali per non farci chiudere le scuole. Non so fino a quando, perché se abbiamo 5–6 bambini forse
si riesce a fare qualche cosa, però siamo quasi a nascita zero. Non so negli altri Comuni, ma nel
mio sono anni che ne nasce 1 o 2, a volte 0. Quindi, teniamo nascita zero ed è improponibile
andare a difendere una scuola senza alunni. La popolazione diventa sempre più anziana. Fino
ad oggi, tutti questi discorsi sulle rinnovabili sono stati infruttuosi per i nostri territori. Teniamo un territorio che prima veniva apprezzato per l’aria buona, il paesaggio, e adesso teniamo
tutte queste pale che girano e che, fortunatamente, non producono danni. A me le pale non
danno fastidio se servono per investire sui nostri giovani, per fare in modo che non se ne vadano. Ma, se servono solo per fare la festa patronale o per dare qualche servizio in più alle nostre
comunità, mi danno fastidio. Dovrebbero servire per fare accordi con l’Università per realizzare
dei centri di ricerca o per mettere in piedi una filiera produttiva che poi darebbe opportunità a
tutti. Noi dei miliardi di euro spessi per i parchi eolici abbiamo visto solo le briciole. Abbiamo
migliorato in ogni comune le feste patronali, abbiamo preso cantanti a 40mila euro, però di
ritorno “di sviluppo” non ce ne è stato. Non è che teniamo molto margine per contrastare il
potere degli operatori, anche se poi i cittadini ci accusano di non essere in grado di contrastarli.
Il futuro sono i giovani, non gli anziani, e i giovani se ne vanno, e tutti i discorsi che facciamo
non servono a niente. Non so chi sarà il Sindaco che sfortunatamente dovrà chiudere le porte
perché non ci sono più abitanti (Francesco Ricciardi, Monteverde).
100
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
Stretti tra svuotamento delle casse comunali e mancanza di personale in grado di analizzare con la dovuta competenza le proposte, troppo spesso i sindaci, inseguendo il bisogno di
nuovi introiti, non si trovano nelle condizioni e con i giusti rapporti di forza per governare il
fenomeno e chiedere sostanziali modifiche e diversificazioni.
Le amministrazioni pubbliche dovrebbero iniziare a costruire delle richieste concrete sui temi
della green economy. Le amministrazioni locali, soprattutto i piccoli comuni, hanno poca
progettualità, non hanno finanza, non hanno persone. Trovi qualche società che propone al
Comune qualche beneficio di qualche genere, però sono pochi i Comuni in grado di sviluppare
una programmazione. Le società danno le royalty, però in alcuni casi questi soldi non sono
spesi in modo intelligente (Daniela Moderini, architetto del paesaggio).
In Puglia vedo una difficoltà rispetto ad altre regioni dove lo sviluppo locale ha una maggiore
solidità come in Toscana, che è quella di avere un’economia “dipendente” e la mancanza di
filiere agroalimentari, di produzioni di qualità. In Puglia, il discorso sullo sviluppo locale è reso
più difficile dal fatto che ci sono poche filiere agricole ed alimentari di qualità rispetto alle
grande distese “del granaio”. La dipendenza è tale che bisogna passare attraverso la costruzione di un’imprenditoria locale soprattutto nella filiera agroalimentare, nella multifunzionalità dell’agricoltura, nella policoltura, nell’introdurre una maggiore complessità di produzione.
L’energetica potrebbe essere un elemento che contribuisce, ma adesso l’energetica è vissuta
esattamente come la “dipendenza dal Regno di Napoli”. Il vento dell’Appennino Dauno non
ha reso un tubo agli abitanti e non possono più mettere capre e pecore. In Puglia siamo di
fronte a questa difficoltà: da una parte una società locale “debole”, perché abituata ad una
storia di dipendenza economica e abusivismo e dall’altra la presenza di questi “grandi poteri”
rappresentati da ditte spagnole, tedesche, olandesi che hanno scoperto che il vento pugliese è
il migliore del bacino del Mediterraneo. Il Sindaco di Avetrana si è presentato con dei tedeschi
dicendo che aveva venduto e cercavano l’assenso del Piano Paesaggistico (Alberto Magnaghi,
Università di Firenze).
Le amministrazioni locali interessate dalla localizzazione di grandi centrali eoliche industriali
sono tra quelle più disperate, povere e spesso non in grado di garantire una buona gestione
della cosa pubblica. Il meccanismo, favorito anche da norme del “paternalismo autocratico”
coltivato fino ad adesso, in base al quale il sindaco di un piccolo comune non avendo nessuna
competenza si trova di fronte il grande player globale come Gamesa che gli promette straordinarie royalty in una fase in cui i trasferimenti sono venuti meno e la finanza comunale è
in condizioni drammatiche, ovviamente rende il piccolo comune la preda ideale, favorendo il
fatto che queste amministrazioni si siano poste in una condizione di sostanziale conflitto di
interesse con le iniziative che venivano realizzate sul territorio. Questo meccanismo è perverso
di per sé e non c’è da scandalizzarsi che poi si sia sviluppato in una certa maniera in assenza
totale di una programmazione nazionale e meno ancora della capacità di sviluppare meccanismi
di programmazione e di pianificazione “locali”. Va anche detto che questi soldi finiscono nelle
mani delle Amministrazioni e non della collettività e questo è un guaio enorme perché l’amministrazione ne fa un uso che nel “breve” paga, però nel lungo periodo è difficilissimo valutarlo.
Invito spesso ad andare a vedere il rapporto della Banca d’Italia sull’utilizzo dei 140milioni di
euro all’anno di royalty che l’ENI paga ai territori della Basilicata, in parte alle Regione e in
parte direttamente ai Comuni, che poi vengono distribuiti sul bacino petrolifero, per guardare
quanto questi soldi sono entrati nel circuito dello sviluppo locale. La verità è che un comune
come quello di Viggiano86 con poco più di 3mila abitanti incassa 15 milioni di euro l’anno e
86 Si veda http://www.comuneviggiano.it/petrolio/estrazione_petrolifera.htm#royaltyes. A Viaggiano, in Val d’Agri, L’ENI
sfrutta i pozzi petroliferi dalla fine degli anni ’90. Oggi, vengono estratti 80 mila barili al giorno e l’accordo con gli enti locali
101
Energia eolica e sviluppo locale
quest’anno si fa la piscina olimpionica, quando ha lastricato d’oro i marciapiedi che cosa altro
può fare? Il tema delle linee guida riguarda non solamente l’eolico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili e del sistema energetico, ma riguarda, più in generale, i problemi dello sviluppo locale
in questo Paese soprattutto nelle aree rurali e ancora di più in quelle montane, per uscire dalla
logica dello “svantaggio” compensato “paternalisticamente” (Tommaso Dal Bosco, Uncem).
Certamente, l’eolico e le altre fonti di energia rinnovabili possono avere un impatto
positivo importante a livello economico per l’ente locale comunale, ma questo dovrebbe
essere la risultante di una molteplicità di fattori come il risparmio, i costi sociali e ambientali, l’entrate da investimenti diretti nella produzione energetica rinnovabile e da servizi
aggiuntivi, etc., e non il primo o l’unico obiettivo dell’ente locale. Il Comune dovrebbe
innanzitutto conoscere le potenzialità e le opportunità energetiche del proprio territorio,
utilizzare tutte le leve tutelandolo, migliorando la qualità dei servizi e della vita dei propri
cittadini. Ora, le Linee guida dispongono che siano previste misure compensative adeguate,
sebbene non monetarie, dirette ad attivare investimenti coerenti con gli interventi sostenuti sul territorio stesso. Questa misura mira a stimolare la pratica virtuosa nel considerare
in modo integrato la comunità e il territorio, con i suoi bisogni, i suoi consumi complessivi
e le sue potenzialità complessive in termini energetici, focalizzando sulla concomitanza di
produzione ed incremento dell’efficienza energetica, stressando la componente di risparmio,
e valorizzando al massimo la distribuzione e l’autonomia energetica, a partire dal patrimonio
immobiliare pubblico. Molto deve e potrà essere fatto in questa direzione da parte degli enti
locali nel prossimo futuro.
L’installazione di impianti da fonti rinnovabili va avanti ed è fondamentale, ma va abbinata
alla risorsa vera della nostra nazione che è l’efficientamento energetico degli edifici. L’Istituto
Mondiale per l’Energia stima che entro il 2030 il 55% del recupero e risparmio di emissioni deriverà dall’efficientamento energetico degli edifici. Questo edificio dove siamo adesso, consuma
circa 250 kW calorici a metro quadro. Se fosse efficientato con una serie di interventi che vanno
dagli infissi all’impianto a pavimento, all’alimentazione di un certo tipo all’involucro/copertura,
questo edificio potrebbe consumare 60-70 kW calorici a metro quadro. Siccome il 35% dell’energia è consumato da edifici come questo in Italia, se si riuscisse a ridurre questa incidenza di
4 volte, si recupererebbe un 15-20% dell’energia consumata. Questo sarebbe un risparmio vero
che metterebbe in azione una economia locale… (Flavio Morini, ANCI e Scansano).
Una ricaduta per la quale si erano create grandi aspettative nei “territori del vento” e
che invece oggi, a 15 anni dalle prime installazioni di parchi eolici commerciali, si ritiene
sia ormai andata persa era quella relativa alla nascita di filiere industriali locali legate alla
produzione di componenti e sistemi eolici.
Da diversi anni abbiamo prodotto una serie di iniziative per sollecitare, sostenere e anche
supportare la Regione su delle scelte che hanno consentito di realizzare una serie di progetti
sul nostro territorio. In questo momento, queste iniziative si portano con sé i tanti problemi
che sono stati evidenziati dalla stampa, dai mezzi di comunicazione. Un’idea del malaffare,
consentirebbe all’ENI di salire solo a 104 mila. Ora, l’ENI ha chiesto di aumentare a 120-130 mila barili al giorno l’estrazione.
Naturalmente, più barili si estraggono e più royalties finiscono nelle casse del Comune di Viggiano e della Regione (di recente,
con una legge il governo le ha aumentate dal 7 al 10% del valore della produzione, per finanziare una sorta di petrocard riservata
ai soli patentati della Basilicata), ma, almeno da parte della presidenza regionale, la richiesta non è tanto di più soldi, quanto di
posti di lavoro (in Basilicata il tasso di disoccupazione medio è del 12%, ma tra i giovani è molto più alto). Oggi, il petrolio dà
lavoro a 500 persone in Val d’Agri. Il numero potrebbe forse raddoppiare calcolando l’indotto, ma è chiaro che in questo settore
l’aumento della produzione non corrispose ad un aumento degli occupati.
102
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
dell’interesse criminoso, un’idea di distruzione del territorio, un’idea in generale molto negativa che è passata solo dal punto di vista mediatico, ma poi in realtà se si osservano i dati sulle
ricerche condotte sull’accettazione da parte delle Comunità delle iniziative, in realtà le risposte
sono molto più confortanti. Ciò non toglie che ci troviamo di fronte ad una situazione in cui
non c’è affatto chiarezza, c’è difficoltà a realizzare. Una montagna di problemi che inizia con
le procedure, gli iter amministrativi, e poi ci si scontra con i problemi tecnici per realizzare
queste iniziative. Sicuramente, credo che l’occasione si sia un po’ persa, perché non c’è stata
una reale possibilità di fare sviluppo della filiera. Su questo noi amministratori locali ci siamo
molto impegnati e appassionati, perché convinti che quello sarebbe stato il vero ritorno per
questi territori. Ma, questo sviluppo non c’è stato e credo che con l’andar del tempo diventerà
sempre più difficile poter immaginare di realizzarlo in modo certo, coinvolgendo i principali interlocutori come le aziende leader locali, nazionali ed internazionali. Credo che questa idea di
cercare di costruire una filiera su questi territori si sia appannata, sia andata un po’ smarrita.
La frammentazione decisionale e il pasticcio delle leggi e leggine fatte negli anni passati con
le bocciature della Corte Costituzionale hanno evidenziato la difficoltà che c’è a capire l’importanza delle energie rinnovabili, di questa vera rivoluzione che solo in parte si è realizzata, e
questo forse ha fatto perdere il treno su cui tutti un po’ avevamo puntato. Certamente, i ritorni
alle comunità, le risorse derivate dalle rinnovabili sono sicuramente positive, ma ci sono stati
in questi anni tutta una serie di aspetti che hanno condizionato, bloccato, limitato, le possibilità di crescita, di sviluppo delle fonti rinnovabili in questi nostri territori come “motori” di
crescita di ricchezze, di opportunità vere (Ranieri Castelli, Rocchetta Sant’Antonio).
8.2. Alcune esperienze del rapporto tra grande eolico e territorio
Negli ultimi 15 anni sono state realizzate esperienze importanti, da cui prendere spunto,
da parte di alcune realtà territoriali che hanno compreso la necessità di un protagonismo
locale per rendere l’eolico una opportunità di sviluppo e valorizzazione del territorio. Le
situazioni di maggiore successo, dove cioè si registra un alto grado di accettabilità e protagonismo sociale da parte della popolazione e del territorio locale verso l’eolico e le altre
rinnovabili sono quelli in cui gli enti locali (Comuni, Comunità Montane e Province) hanno
svolto un ruolo come co-proponente o comunque un ruolo molto attivo. Pertanto, la possibilità che lo sviluppo dell’eolico avvenga in maniera equilibrata e condivisa sembra passare
attraverso un forte e convinto coinvolgimento da parte della pubblica amministrazione e,
soprattutto, dei Comuni, cioè del livello istituzionale più vicino ai problemi, alle attese e alle
domande dei cittadini.
Se c’è una caratteristica dell’economia energetica basata sulle rinnovabili è nel suo carattere distribuito. L’economia e l’energia delle rinnovabili si basa su una produzione distribuita, capillare
che inevitabilmente deve nascere non solo dalla condivisione, ma anche dal protagonismo delle
comunità. Non è solo un fatto energetico, ma anche di democrazia e di evoluzione dell’idea di
come si produce e si consuma energia. Questa esigenza è ancora più spinta per il fotovoltaico,
perché è fatto di taglie ancora più piccole dell’eolico, ma credo che valga anche per l’eolico
(Roberto Della Seta, senatore).
Di seguito, si presentano alcuni casi territoriali che nel corso della ricerca sono stati
segnalati dai testimoni privilegiati intervistati in quanto considerati delle rappresentazioni
di esperienze significative in grado di fornire supporti esemplificativi alle riflessione per
quanto riguarda le dinamiche di partecipazione e coinvolgimento attivo degli attori locali,
l’attenzione alla qualità del progetto, le ricadute economiche e sociali sul territorio locale.
103
Energia eolica e sviluppo locale
* * *
Santa Luce (PI)
Il Comune di Santa Luce (1.800 abitanti) in Bassa Val di Cecina ha compiuto in questi
ultimi anni un interessante percorso sulle energie rinnovabili che lo ha portato ad avere sul
territorio una serie di impianti (per un investimento complessivo di circa 50 milioni di euro,
una ventina di posti di lavoro e positive ricadute anche sulle finanze del Comune) che sono
strettamente collegati alla vocazione agricola del territorio secondo una logica che mira a
sviluppare una green economy a livello locale, cioè un’agricoltura multifunzionale di qualità.
Fa piacere raccontare quello che è stato un po’ un sogno nostro che si è concretizzato negli
ultimi 4 anni. A maggio ci sono le elezioni e tutto quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto in
questa legislatura. Siamo partiti dal non avere alcuna attenzione per la green economy, al fatto che nel nostro territorio c’è stato un fiorire di attività. Sabato prossimo andiamo a presentare
l’utilizzo di una stalla per l’allevamento di bovini che viene “convertita” al biogas e ha i tetti
fotovoltaici. È l’ultimo tassello di un percorso che abbiamo fatto sulle rinnovabili e che è partito
dall’eolico, ma poi ha abbracciato tanti altri settori. Questo perché investimento chiama investimento, ma soprattutto perché il nostro comune si è connotato con l’immagine di un territorio
che avendo una vocazione agricola importante, aveva la voglia di investire sul proprio futuro
legandolo alle energie rinnovabili, all’utilizzo del suo territorio e, quindi, delle sue risorse, siano
esse le risorse del vento, da biomassa o dall’agricoltura. Un sistema che dovrebbe nella logica
del nostro “sogno” mettere insieme quella che è una sostenibilità di attività nel nostro comune
con le nuove tecnologie, su un futuro a energia pulita, con investimenti che porteranno nuove
attività e alla possibilità di creare tante micro attività collegate alle rinnovabili. Questo potrà
consentire a chi vive in questo comune di viverci stabilmente e di impiantare la propria attività.
Poi ci siamo posti traguardi sempre più importanti: entro il 2011 vogliamo firmare il Patto dei
Sindaci per poi lavorare ad un Piano Energetico Comunale per il recupero delle risorse per la
ristrutturazione degli edifici (Federico Pennesi, Santa Luce).
Il punto di avvio di questo percorso è stata la decisione di realizzare un impianto di
eolico industriale da 26 MW distribuiti su 13 aerogeneratori (si stima che a regime l’impianto
produrrà 58 mila MWh/anno, ovvero energia pulita corrispondente al fabbisogno di 19.500
famiglie). In questo percorso, l’ente locale, pur non avendo investito direttamente proprie
risorse nella realizzazione degli impianti, ha giocato un ruolo fondamentale, perché è riuscito
ad imporre “un metodo” di condivisione delle scelte con la popolazione locale, promuovendo
la partecipazione dei cittadini e coinvolgendo anche del Dipartimento di Energetica “Lorenzo
Poggi” e del Dipartimento di Ingegneria Civile “Laboratorio di Ingegneria dei Sistemi Territoriale e Ambientale” dell’Università di Pisa.
L’eolico è stata l’iniziativa “forte”. Siamo partiti a luglio 2006 coinvolgendo la popolazione su
una proposta che ci arrivò da un privato. Quello che abbiamo fatto in questi anni, è stato di
elaborare ”un metodo” con cui abbiamo condiviso le nostre scelte con la popolazione. Questo è
l’unico modo per far passare qualsiasi tipo di progetto importante per un territorio al vaglio del
consenso sociale. Quello che abbiamo fatto da subito è stato quello di presentare i progetti alla
popolazione, di discutere con loro della proposta, approfondire vari aspetti e, quindi, coinvolgerli nella scelta. Oggi, la chiamano partecipazione, ma è un modo di condividere le scelte con
chi vive in un territorio. Noi l’abbiamo fatto e questo ha pagato. Noi abbiamo fatto un referendum dopo pochi mesi dalla presentazione della proposta di realizzare un parco eolico e ci fu un
plebiscito per l’iniziativa. Tutti quanti erano d’accordo. A questo referendum partecipò quasi il
104
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
90% degli aventi diritto. Fu una cosa piacevole perché si era creato un clima di aspettativa, una
voglia anche di pensare a qualcosa di diverso per il nostro comune. Avevamo coinvolto l’Università di Pisa perché volevamo un parere di un soggetto terzo e in tutti questi anni l’Università è
stato per noi un partner importante. Ci ha assistito in tutte le scelte e ci ha anche indirizzato
nella decisione più “utile” per il nostro territorio. Sul parco eolico l’Università ci ha dato un
supporto sulle scelte di carattere ambientale, su come minimizzare l’impatto ambientale, sul
fatto che la produttività di un impianto dipende dalla sua collocazione, etc. Una serie di scelte
e di parametri che è stato frutto di un lungo lavoro da parte loro. Questo, abbinato al fatto che
abbiamo sempre informato la popolazione dei risultati del lavoro tra Comune e Università, ha
consentito di condividere la scelta. Tutte le nostre scelte sulle energie rinnovabili del Comune di
Santa Luce sono sempre state prese all’unanimità in Consiglio Comunale, caso abbastanza raro
nella realtà italiana, perché queste sono scelte politicamente importanti per un comune. Nel
nostro caso non c’è stata divisione proprio perché il coinvolgimento, la discussione, il dibattito
sulle varie scelte è sempre avvenuto con serietà, con approfondimenti dei soggetti responsabili
e con il fatto di chiedere fin dall’inizio alla popolazione cosa ne pensava dell’intervento. È vero
anche che siamo un comune di 1.800 abitanti per cui la partecipazione e il coinvolgimento
diventa anche più semplice, mentre forse, quello che abbiamo fatto noi è difficilmente “esportabile” in un comune più grande. È vero che se il metodo è quello di partire coinvolgendo i
cittadini in un percorso, il cittadino poi dopo do il suo supporto anche nelle scelte successive.
Anche il passaggio che facciamo sabato per l’ultimo impianto, un impianto da biogas e 1 MW di
fotovoltaico sul tetto della stalla, viene da una scelta di un imprenditore privato che vedendo
il favore con cui vengono accolte sul territorio certe iniziative, si è convinto nel fare un investimento che sfiora i 10 milioni di euro. Investimenti che nel nostro comune non si registravano
da decenni. Passare da zero a quasi 100 milioni di investimento in rinnovabili in 4 anni per noi
è stato un boom incredibile, quasi un Piano Marshall. Sono tutti investimenti privati (Federico
Pennesi, Santa Luce).
La proposta del parco eolico è stata fatta al Comune da un privato che avrebbe voluto
realizzarlo su un terreno del demanio forestale regionale denominato “Bosco di Santa Luce”.87
Il Comune, con la consulenza dell’Università di Pisa (che ha realizzato uno “Studio per la localizzazione di un parco eolico nel territorio del Comune di Santa Luce”), ha verificato alcuni
aspetti tecnici, normativi e giuridici e ha deciso di fare una gara pubblica per l’affidamento
del terreno per il parco eolico.
Era un bando abbastanza innovativo, perché avevamo messo in evidenza pubblica l’utilizzo di
un’area per scopi energetici legati all’eolico. Quindi, in base a questo chiedevamo tutta una
serie di parametri, in modo da avere un progetto importante, ma che tenesse conto di tutta
una serie di attenzioni ambientali per minimizzare l’impatto sul nostro territorio. Con quello
che abbiamo definito con l’Università di Pisa abbiamo avuto una base per chiedere alle aziende
concorrenti determinate caratteristiche nella realizzazione del parco eolico e siamo stati anche
nella condizione di poter valutare quello che di migliorativo ci veniva proposto dai partecipanti
al bando. La FERA, che è l’azienda che ha vinto il bando, ha fatto una proposta che abbiamo
giudicato molto interessante e che poi ha avuto anche l’autorizzazione regionale per la realizzazione dell’impianto. Noi, come ente locale gli abbiamo dato il terreno su cui fare questo
investimento (Federico Pennesi, Santa Luce).
87 Questo risulta essere il primo esempio in Italia di parco eolico realizzato in area demaniale regionale, pertanto l’iniziativa
avrà ricadute economiche non solo sul Comune di Santa Luce, ma in parte anche sulla Regione Toscana.
105
Energia eolica e sviluppo locale
Il percorso autorizzativo per il parco eolico è durato 4 anni. I lavori di costruzione
sono iniziati nel 2011 e dureranno fino all’estate 2012. Grazie alle nuove risorse derivanti
dalla realizzazione del parco eolico il Comune vuole assicurare ai cittadini servizi gratuiti e
promuovere iniziative volte alla promozione di uno sviluppo sostenibile tra cui, ad esempio:
• bonus ADSL;
• bonus scuolabus (dalla materna alle superiori);
• bonus bebè (1.000 euro per ogni nuovo nato);
• abbattimento dei costi dell’asilo.
Parallelamente, si è avviato anche un altro impianto eolico più piccolo. Un progetto di
parco eolico realizzato su un terreno privato, sempre nell’area dove è in essere il progetto
della FERA, a cavallo del confine con il comune confinante di Casciana Terme (una parte del
parco è sul territorio di Santa Luce e una parte su quello di Casciana Terme).
Inoltre, è stato avviato un progetto legato alle biomasse che si lega alla ripresa di un
gestione attiva dell’esteso patrimonio boschivo esistente sul territorio. Il progetto, studiato
dalla società Ago Energia Srl, prevede un impianto di cogenerazione acqua/vapore che in
parte produrrà elettricità (7.000 MWh/anno, pari al fabbisogno di circa 2.000 famiglie),
in parte calore per l’essiccazione della biomassa combustibile e in parte realizzerà pellet
che sarà venduto a prezzi politici ai cittadini del comune per l’alimentazione delle proprie
caldaie domestiche. Il carico complessivo dovrebbe essere di 40-50 mila tonnellate annuo
di biomasse. Alle cooperative agricole della zona è affidato il compito di “nutrire” la centrale secondo il meccanismo della filiera verde. Vale a dire che il mondo agricolo, senza
cambiare il ciclo di produzione, ma semplicemente recuperando gli scarti della lavorazione,
delle potature e del taglio programmato dei boschi, potrebbe mantenere l’industria in un
sistema-terrtiorio basato sulle biomasse vergini raccolte entro 70 chilometri di distanza
dall’impianto. La localizzazione nella zona industriale dovrebbe poi garantire un rifornimento di energia pulita per le industrie locali che attualmente non hanno il collegamento con
il metanodotto.
Abbiamo portato avanti un progetto legato alle biomasse perché è una delle nostre vocazioni
territoriali in quanto il nostro territorio presenta estese superfici boschive. Negli ultimi 60 anni
erano state abbandonate, per cui l’idea di utilizzarle anche per utilizzare questo materiale a
fini energetici è una scelta che riteniamo importante. Sempre con l’Università di Pisa abbiamo
fatto una serie di analisi e abbiamo cercato nel panorama italiano ed europeo, le aziende e le
tecnologie che potevano essere adatte alla nostra realtà. Anche qui, l’investimento sarà realizzato a partire da marzo 2011 da un privato che costruirà un impianto di cogenerazione da
1 MW elettrico e utilizzerà il calore per produrre circa 30mila tonnellate di pallet. Trasformerà
le biomasse del bosco in combustibile alternativo al petrolio (Federico Pennesi, Santa Luce).
Il percorso di condivisione con i cittadini ha avuto una rilevanza pubblica che ha contribuito a modificare l’immagine di Santa Luce e a far nascere altre iniziative in campo energetico da rinnovabili e, più in generale, in campo ambientale. Tra le altre cose, il Comune
sta supportando due cooperative locali che stanno pianificando la coltivazione di piante
oleaginose adatte ai terreni di Santa Luce e la costruzione e messa in funzione di un frantoio
per la realizzazione di biocarburanti a partire dai semi. Il biocarburante prodotto andrà ad
alimentare sia il parco macchine agricole degli agricoltori che quello del Comune. Si sta anche valutando la possibilità di effettuare il riscaldamento dell’ostello, degli edifici scolatici e
comunali attraverso questo combustibile.
106
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
Dal momento che tutte queste attività sono state oggetto di convegni, serate, approfondimenti,
dibattiti pubblici, incontri con l’Università dove facevamo i vari passaggi con i cittadini, con la
stampa, tutti sanno cosa sta facendo il Comune di Santa Luce. La stampa locale ci ha sempre
tenuto d’occhio anche perché queste tecnologie sono vendibili dal punto di vista giornalistico.
Santa Luce è diventato il comune da seguire sulle energie rinnovabili e la gestione del territorio. Questo ci ha fatto conoscere in un contesto più ampio del nostro ambito locale. Da lì poi
sono nate tutta una serie di iniziative che coinvolgono le cooperative locali, attività legate al
mondo dell’agricoltura che negli ultimi anni ha visto decrescere la propria capacità di produrre
reddito e che quindi ha necessità di differenziare il reddito anche attraverso nuove attività. Ci
sono aziende che hanno differenziato l’attività agricola con impianti fotovoltaici a terra dentro la soglia “accettabile” dei 200 kW stabilita dalle Linee guida regionali. Poi, c’è stata una
cooperativa che ha investito nella produzione di carburanti e di olii al fine di commercializzali
per i certificati verdi. Questa cooperativa è impegnata da qualche anno nella coltivazione di
colture oleose per estrarre olio. Ora, stanno realizzando un frantoio per produrre direttamente e
commercializzare l’olio, invece che vendere i semi, con l’idea di poter realizzare un impianto di
cogenerazione per bruciare l’olio e i derivati dei semi. Per il momento stanno mettendo in piedi
il frantoio per la trasformazione dei semi in olio. Questa realtà è nata sull’onda del movimento
creato dalle due iniziative più importanti nell’eolico e nella biomassa. Ci sono due iniziative
legate al fotovoltaico. La prima, riguarda un progetto comunale che prevede l’installazione di
pannelli sul tetto del complesso scolastico per una potenza di 18 kW. La seconda, invece noi la
consideriamo abbastanza marginale perché non è mai stata una scelta che ci ha entusiasmato
più di tanto. Noi pensavamo di utilizzare le risorse del territorio in funzione di quelle che sono
le esigenze dell’agricoltura e di chi ci vive. Il fotovoltaico, soprattutto a raso, sui terreni agricoli
è una scelta non condivisa nè da noi amministrazioni nè dalla popolazione. Questo fondamentalmente perché ha un impatto paesaggistico importante e non genera posti di lavoro, in
definitiva c’è solo un investimento molto limitato alla singola realtà e non coinvolge nemmeno
l’azienda agricola, perché le aziende agricole locali non sono interessate ad affittare terreni per
realizzare questi impianti. Sul fotovoltaico abbiamo sempre tirato i freni anche perché siamo
in Toscana e l’impatto visivo sul paesaggio è un elemento importante. Invece, dalle biomasse
avremo 25 posti di lavoro diretti nell’impianto di produzione di pellet. È nata una cooperativa
composta da tre cooperative di Santa Luce più altri operatori che gestiranno tutta la movimentazione del materiale intorno all’impianto. Abbiamo quindi coinvolto tutto un tessuto di
persone e di realtà aziendali che hanno forti aspettative verso questo movimento che si crea
dagli investimenti sulle rinnovabili. Stessa cosa per l’impianto a biogas della stalla perché crea
un indotto dai trasporti, al concime, a tutta una serie di prodotti che entreranno nell’impianto
stesso. Ridendo e scherzando negli ultimi 2 anni sono nate una decina di aziende legate alle
rinnovabili. La green economy ha portato un’idea forte. Siamo partiti dall’eolico e a catena
sono uscite tutta una serie di attività satellite. Queste nuove aziende produrranno reddito e
creeranno posti di lavoro sul territorio. Si tratta d scelte che derivano da un’idea iniziale che
si è venuta perfezionando e che porterà, ne sono convinto, ad ulteriori sviluppi. È un mondo
che si apre e che potrà portare interessanti sviluppi sia in termini di economia, ma anche di
occupazione, investimenti, di capacità di migliorare l’ambiente e il territorio. È una sequenza
di attività che vanno perfezionando l’idea iniziale legata alla realizzazione di un parco eolico a
Santa Luce. Qui, abbiamo anche discusso di royalty. Noi abbiamo sempre detto che se ci sarà
un ritorno economico per il nostro Comune, questo sarà investito in servizi al cittadini (Federico
Pennesi, Santa Luce).
Il Comune di Santa Luce ha privilegiato un approccio “privato” al tema delle rinnovabili. Questa è stata una scelta che è stata discussa con la cittadinanza, valutandone i pro e i
contro.
107
Energia eolica e sviluppo locale
Quella di un azionariato misto pubblico-privato e di un azionariato diffuso è una scelta che
abbiamo preso in considerazione e che abbiamo affrontato anche con i concittadini. In vari
passaggi che abbiamo fatto - non tanto per il parco eolico che effettivamente è un investimento
fuori dalla nostra portata - sull’impianto a biomasse avevamo pensato che poteva essere l’ente
pubblico comunale e un gruppo di azionisti–cittadini a poter finanziare l’investimento. Abbiamo scelto la “concretezza del fare” che veniva da aziende che facevano investimenti e avevano
i loro ritorni economici. Però, abbiamo “preteso” per il territorio dei “ritorni” importanti e li
abbiamo ottenuti anche perché avevamo già fatto tutto il processo di approfondimento. Solo
sulle biomasse, le due aziende vinicole locali hanno stipulato dei contratti di fornitura dei
sottoprodotti a prezzi doppi rispetto al valore di mercato. Domani questo valore, chiamiamolo, “politico”, chiesto e mediato dall’amministrazione, ricadrà su tutte le attività agricole del
territorio. Abbiamo cercato di fare gli interessi di chi vive nel territorio in rapporto a chi viene
a fare investimenti. Sicuramente sarebbe stato “più nobile” come intento e ci sarebbero stati
dei ritorni importanti per l’amministrazione nel caso dell’azionariato, ma dovevamo impegnare
l’amministrazione in scelte importanti, forse anche difficili da sostenere per il nostro ente. Noi
non siamo operatori che lavorano nel settore e, quindi, avremmo potuto anche sbagliare e sbagliare in maniera importante. Abbiamo fatto i dovuti approfondimenti vedendo le possibilità di
aprire un mercato nuovo, con tutta una serie di possibilità di investimenti e poi abbiamo deciso
concretamente di far sì che queste investimenti li facesse chi era un operatore del settore. C’è
un problema di “taglia” del Comune, ma fondamentalmente c’è un problema di gestione, perché noi abbiamo visto altri esempi in Italia di impianti a biomasse fatte dai Comuni. Quando
siamo andati a visitarli erano fermi da mesi, perché non avevano l’operatore che era qualificato
per far funzionare l’impianto. Quesiti impianti hanno anche beneficiato di contributi regionali
pubblici in maniera importante, però fai un investimento, metti un impianto e magari non lo
tieni acceso perché non riesci a gestirlo e hai tutta una serie di difficoltà. Fino a che punto ne
vale la pena? Forse è meglio farlo gestire a qualcun altro in modo che vi siano dei benefici in
termini economici e ambientali per tutto il territorio. Quando crei un’economia le ricadute vanno a finire sui tutti i vari settori. È vero che quelli che potevano essere i benefici economici per
l’amministrazione potevano essere molto più alti, ma alla fin fine non ci interessava diventare
“la Montecarlo” delle rinnovabili, ma avere la sostenibilità che significa avere e mantenere dei
servizi in grado di creare anche altre attività. Abbiamo fatto la scelta politica di far partire le
attività nei tempi minori possibili (Federico Pennesi, Santa Luce).
* * *
Fortore Energia
L’area compresa tra la Campania e la Puglia attraversata dal fiume Fortore (che funge
anche da confine tra la Puglia e il Molise), che coincide con i territori delle Comunità Montane dei Monti Dauni Settentrionali (FG) e del Fortore (BN) che accorpano ventotto Comuni
Appenninici, a cavallo delle province di Foggia e Benevento, già nel 2000 ospitava il distretto
eolico italiano: dei circa 700 MW installati in Italia, sull’Appennino Appulo-Campano erano
in produzione impianti per una potenza complessiva di circa 500 MW, quasi tutti installati
a partire dal 1996. Tale distretto era destinato a crescere ulteriormente, proprio grazie alle
innovazioni normative introdotte a partire dal Decreto legislativo 79/99 (cosiddetto “Decreto Bersani”) inerente il recepimento della Direttiva europea 96/92/CE sul mercato interno
dell’elettricità che ha definito le linee generali del riassetto del settore elettrico in Italia.
Inoltre, accanto all’eolico, il territorio disponeva di risorse per favorire lo sviluppo di altre
fonti rinnovabili: la produzione di biomassa, l’acqua, il sole. Dalla trasposizione dei dati del
Libro bianco per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili (6 agosto 1999), Libro Bianco Italiano riferiti a tutte le fonti rinnovabili - con l’esclusione dell’idro medio e grande - per
108
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
le province di Campobasso, Benevento, Avellino, Potenza e Foggia – emergevano i seguenti
dati indicativi:
• la potenza installabile potenziale delle varie fonti era di circa 1.000 MW, che corrispondeva a circa il 20% del potenziale delle fonti rinnovabili in Italia nell’anno 2006;
• l’ammontare totale degli investimenti era equivalente a circa 1.000 milioni di euro, che
corrispondevano a circa il 15% dell’ammontare totale degli investimenti attesi per l’Italia nel
2006;
• rispetto all’impatto occupazionale degli investimenti previsti si poteva prevedere, al
2010, un aumento di circa 1.000-2.000 posti nuovi di lavoro netti;
• la riduzione annuale totale di CO2 prodotta sarebbe stata uguale a 1,6 milioni di tonnellate/anno che corrispondeva a circa il 15% del contributo italiano previsto per le fonti
rinnovabili;
• l’energia risparmiata in fonti primarie sarebbe stata uguale a 0,51 milioni di TEP, pari al
14,5% del risparmio totale ottenibile dalle fonti rinnovabili in Italia.
Nell’ambito di riferimento sopra accennato le Comunità Montane dei Monti Dauni Settentrionali (FG) e del Fortore (BN) e il CODIF (Consorzio per la DIFfusione dell’uso razionale
dell’energia e delle fonti rinnovabili, composto da Enea e da alcune tra le più importanti
imprese di Pubblici Servizi italiane) hanno promosso il Progetto integrato Energie Rinnovabili
per lo Sviluppo Ecocompatibile dell’Appennino (P.E.R.S.E.A.), con lo scopo di sollecitare uno
sviluppo economico e sociale del territorio dell’Appennino Appulo-Sannitico:
• compatibile con le esigenze di rispetto dell’ambiente;
• coerente con gli obiettivi nazionali di riduzione dei gas serra;
• attento alle aspettative delle popolazioni locali;
• capace di creare nuove occasioni di lavoro e di sviluppo in un contesto disagiato.
Le due Comunità Montane e il CODIF, titolare di un Progetto di Iniziativa Comunitaria
(PIC) finanziato dalla Unione Europea, hanno sviluppato quanto previsto in un Patto promosso
a valle della Conferenza Nazionale per l’Energia e l’Ambiente (novembre 1998), attraverso una
serie di seminari informativi e di work-shop, tenuti nei Comuni della Daunia e del Fortore.
Questi attori hanno, in sintesi, verificato il livello di attenzione degli attori locali (amministratori, imprenditori e cittadini) verso un nuovo modello di partecipazione al business della
produzione di energia da fonti rinnovabili, nel quale essi potessero essere “soggetti attivi”,
capaci di determinare e di condizionare le scelte imprenditoriali. Avuto un forte riscontro
positivo, le azioni sono state portate dal piano istituzionale a quello imprenditoriale e sono
entrate in gioco le imprese “ex municipalizzate” socie del CODIF, gli imprenditori locali e alcuni loro partners tecnologici provenienti da altre regioni. Le associazioni datoriali (Confservizi
Cispel, Federelettrica) e di rappresentanza dei lavoratori (CGIL, CISL, UIL) e Legambiente hanno partecipato ai diversi incontri/seminari, fornendo elementi importanti per lo sviluppo del
progetto e hanno partecipato alla sottoscrizione dell’accordo volontario nazionale P.E.R.S.E.A.
Il Progetto P.E.R.S.E.A. è stato avviato e sviluppato su due livelli.
Un primo livello, di carattere istituzionale ha previsto:
• la sottoscrizione di un Patto promosso da Enea e dalle Comunità Montane dei Monti
Dauni Settentrionali e del Fortore nell’ambito della Conferenza Nazionale per l’Energia e
l’Ambiente (novembre 1998);
• la sottoscrizione di un accordo volontario nazionale nell’ambito delle attività della
Commissione Bicamerale Affari Regionali (2000);
• la sottoscrizione tra le Comunità Montane dei Monti Dauni Settentrionali (FG) e del
Fortore (BN) di un protocollo di intesa per la redazione di uno studio di fattibilità per la
109
Energia eolica e sviluppo locale
valutazione delle potenzialità dell’area e la costituzione di una società mista, pubblicoprivata, per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Un secondo livello, di carattere imprenditoriale, ha previsto la costituzione per pubblica
sottoscrizione di una società per azioni conformata ai principi di una public company. Essendo chiaro che i benefici maggiori sarebbero stati assegnati a coloro che sarebbero stati capaci
di promuovere e di realizzare gli investimenti, le Comunità Montane hanno:
• sottoscritto un accordo con il Ministero dell’Ambiente per la realizzazione di uno studio
di fattibilità sociale, tecnico, economico, finanziario e amministrativo di sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
• avviato una serie di contatti con imprese di pubblici servizi (le ex municipalizzate) e
con imprese private potenzialmente interessate a partecipare ad una public company (nessun
socio avrebbe potuto avere più del 25% del capitale, né si sarebbero potuti fare patti di
sindacato superiori a tale percentuale);
• promosso la costituzione, per pubblica sottoscrizione, di una società per azioni, Fortore
Energia SpA.
La Fortore Energia SpA, costituita ad ottobre 2002 per pubblica sottoscrizione presso
un notaio di Lucera (FG), ha stabilito la propria sede legale a Volturara Appula (FG), il paese
più piccolo delle due Comunità Montane. I soci promotori sono stati: Comunità Montana dei
Monti Dauni Settentrionali (10%), Comunità Montana del Fortore (10%), Fen Energia SpA di
Brescia (25%), Soluzioni Scarl di San Giorgio del Sannio (BN) (20%).88 I soci sottoscrittori
sono stati 3 multitutility del Centro-Nord: Meta SpA di Modena (10%), AGSM SpA di Verona
(10%), Sageter Energia SpA di Rovato (BS) (15%).
Iscritta nel registro delle imprese, la Fortore Energia SpA, ha sottoscritto, con le due
Comunità Montane, una convenzione per la realizzazione di uno studio di fattibilità, cofinanziato dal Ministero dell’Ambiente e denominato “Energia da fonti rinnovabili: un volano
per lo sviluppo locale auto-sostenibile” (Soluzioni Società Cooperativa, 2033). Lo studio ha
riguardato l’Appennino Appulo-Sannitico e, in particolare, direttamente le Comunità Montane
promotrici dei Monti Dauni Settentrionali e del Fortore e indirettamente quelle aree per le
quali è presumibile un’espansione del progetto di promozione della produzione di energia da
Fonti Rinnovabili (Gargano - FG; Monti Dauni Meridionali - FG; Tammaro - BN; Riccia - CB).
All’interno di questi territori sono stati individuati dei bacini omogenei composti dai territori
dei Comuni nei quali sono stati realizzati approfondimenti specifici. Nella individuazione dei
bacini si è tenuto conto delle installazioni di impianti da fonti rinnovabili, soprattutto eolici,
già realizzati e della volontà dei Comuni di aderire ufficialmente e di contribuire alla realizzazione dello studio di fattibilità. Questo ultimo si è articolato in cinque fasi:
1. Raccordo con gli attori locali: sono stati organizzati, in ciascun bacino, dei seminari ai
quali hanno partecipato: amministratori, imprenditori, rappresentanti delle associazioni e
dei cittadini. L’obiettivo è stato quello di coinvolgere i diversi attori sociali - con i loro specifici bagagli di competenze, professionalità ed esperienze - nelle azioni da intraprendere in
considerazione delle opportunità e dei problemi che le realtà locali devono affrontare. Sono
stati, altresì, promossi accordi e convenzioni tra i Comuni che avrebbero composto ciascun
bacino e la società che avrebbe realizzato il programma imprenditoriale (Fortore Energia
SpA). Gli accordi hanno previsto:
88 A parte le due Comunità montane, in realtà i soci locali erano tre: il commercialista Michele Raffa di San Giorgio del Sannio (BN), Antonio Salandra di Biccari (FG) e Riccardo Ducoli, l’unico che già lavorava nel settore energia con la Fen Energia di
Brescia. A loro si è aggiunto Pietro Stampone di Biccari (FG) nel 2002 (Borrillo, 2009).
110
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
• l’adesione allo studio di fattibilità per la realizzazione di impianti per la produzione di
energia da fonti rinnovabili;
• la promozione di progetti e programmi integrati e multisettoriali per la valorizzazione
delle risorse naturali, umane e finanziarie locali.
2. Valutazione delle potenzialità delle fonti di energia rinnovabili: sono stati effettuati lavori di definizione delle potenzialità nei diversi settori di riferimento delle fonti rinnovabili
(tecnologia eolica, biomasse, solare termico, solare fotovoltaico, miniidro). Le analisi sono
state effettuate mediante tre livelli di approfondimento:
• macro (livello provinciale);
• medio (livelli di Comunità Montana);
• micro (aree omogenee di aggregati di Comuni).
Sulla base dei dati territoriali è stata effettuata una valutazione con metodo “swap” per
valutare le potenzialità sui tre livelli di approfondimento sulla tecnologia eolica. In base ai
dati territoriali dell’ISTAT è stata effettuata una valutazione con indicatori specifici per la
definizione delle potenzialità sui tre livelli di approfondimento per le tecnologie biomasse,
solare termico, fotovoltaico, minidro.
3. Promozione di iniziative di business: è stato realizzato un piano di marketing territoriale
che, tenendo conto delle caratteristiche peculiari del territorio delle Comunità Montane,
caratterizzate da uno sviluppo assai contenuto di attività produttive, ha illustrato una ipotesi di sviluppo centrata sul settore energetico, come settore portante per una pianificazione
integrata multisettoriale in grado di coinvolgere, oltre all’indotto (componenti impianti da
fonti rinnovabili e servizi), i sistemi produttivi tradizionali locali e cioè l’agricoltura, le PMI e
gli artigiani locali e il turismo (rurale, ambientale, culturale). Sono stati, inoltre, predisposti
e definiti i business plan degli impianti da fonti rinnovabili da realizzare nei diversi bacini,
le iniziative dell’indotto, di produzione e di servizi, potenzialmente attivabili nell’area e le
iniziative dei settori tradizionali che avrebbero potuto trovare beneficio dal volano delle
energie rinnovabili. Una particolare attenzione è stata posta in questo ultimo caso alla
definizione delle opportunità per le imprese agricole di diventare agri-energetiche (ovvero
imprese agricole con piccoli impianti da rinnovabili costruiti ad hoc per le singole esigenze),
per le PMI di utilizzare “kW Verdi”, per il turismo di utilizzare “le strade del vento”.
4. Studio degli strumenti finanziari: è stato caratterizzato dalla ricerca, lo sviluppo e la
promozione degli strumenti finanziari più qualificati per il finanziamento: dagli investimenti
diretti (impianti da rinnovabili), a quelli dell’indotto (produzione e servizi) fino a quelli
dei settori tradizionali (agricoltura; PMI; turismo). Il lavoro svolto ha riguardato, quindi,
l’individuazione dei programmi generali di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, specifici di agevolazione e di finanziamento degli impianti, di agevolazione e di finanziamento
dell’indotto, di agevolazione e di finanziamento dell’azienda agri-energetica e di qualità, di
agevolazione e di finanziamento delle PMI “verdi” e di agevolazione e di finanziamento del
turismo rurale. Un’attenzione particolare è stata posta al tema della raccolta del risparmio
da orientare al finanziamento delle iniziative imprenditoriali da implementare nella fase di
attuazione dello studio e da remunerare con tassi mediamente più elevati di quelli del mercato, anche evidenziando, da un lato, una elevata propensione al risparmio da parte della
popolazione nell’area locale, dall’altro, una bassissimo rapporto tra raccolta e impieghi delle
istituzioni bancarie e finanziarie.
111
Energia eolica e sviluppo locale
5. Definizione dei percorsi autorizzativi: sono state definite la contrattualistica e la modulistica per le convenzioni con gli enti locali e i privati, le procedure necessarie per le autorizzazioni e le concessioni per ciascuna fonte rinnovabile, nonché quelle per il funzionamento
degli sportelli unici dei Comuni e/o delle Comunità Montane.
Costituita la Fortore Energia SpA con un capitale sociale di 7,5 milioni di euro raccolti
con la modalità della “pubblica sottoscrizione”, realizzato lo studio di fattibilità che ha
evidenziato le possibilità di promuovere investimenti per oltre 500 milioni di euro con notevoli riflessi occupazionali diretti nel settore energetico ed indiretti in quelli delle attività
tradizionali dell’area (agricolo, alimentare; turistico, artigianale; etc.) e avendo raggiunto
l’obiettivo di dare un chiaro indirizzo al progetto di sviluppo dei propri territori, le due Comunità Montane non hanno più partecipato agli aumenti di capitale che hanno portato alla
realizzazione dei campi eolici.
I primi progetti di parchi eolici vengono presentati nel 2002, ma il primo che viene
portato in cantiere è del 2005: il parco da 22 MW (11 aerogeneratori Enercon da 2 MW ciascuno) di San Chirico nel comune di Roseto Valfortore (FG). Nel 2005 si è avuto, altresì, un
turnover tra gli azionisti: le “ex Municipalizzate” Meta SpA di Modena, AGSM SpA di Verona,
Sageter Energia SpA di Rovato, detentrici del 35% del capitale della società, prese da problemi interni di riorganizzazione ed esterni di aggregazione, hanno lasciato il posto al Consorzio Romagna Energia di Cesena, formato da un gruppo di imprese agroalimentari guidato
da Amadori, Orogel e Conserve Italia che avevano investito in Capitanata (Amadori per gli
allevamenti dei polli) e avevano interesse ad acquistare energia “pulita”.89 Sono state queste
importanti realtà imprenditoriali che hanno fornito risorse finanziarie sia per gli investimenti
diretti (realizzazione dei parchi eolici), sia per quelli indiretti (aziende agri-energetiche).
Viene così costituita la Holding Fortore Energia (prima Srl e poi SpA) che rileva il 98,5% di
Fortore Energia SpA. Il 50% della nuova società viene rilevato dai soci romagnoli, mentre il
rimanente 50% va a Wind Farm Fortore Energia di San Giorgio del Sannio (BN) che raccoglie i
soci appulo-campani (Fen Energia, ETS e Dear). Inoltre, viene stabilito che l’intera produzione
elettrica di Fortore Energia sia commercializzata attraverso il Consorzio Romagna Energia.
Noi siamo partiti da uno studio di fattibilità: come orientare lo sviluppo di un territorio usando
come volano le energie rinnovabili. Un lavoro che è stato fatto prima che nascesse la società. Uno studio co-finanziato dal Ministero dell’Ambiente che aveva diversi capitoli. Uno dei
capitoli diceva: “premesso i benefici che può portare il settore delle energie rinnovabili… per
avere una ricaduta sul territorio è importante che ci sia una realtà territoriale che copre buona
parte della filiera, tranne la produzione dei componenti”, anche se, in un capitolo successivo
dello studio si ragionava anche sulla componentistica e sulla strutturazione di un distretto
industriale. Il primo passaggio era quello di costituire una società che progettasse, realizzasse
89 Romagna Energia è nata come consorzio il 22 Dicembre 1999, in concomitanza con la liberalizzazione del mercato elettrico, dall’associazione di grandi aziende della Romagna, in particolare del settore agro-alimentare; nel 2008, a seguito di un
enorme sviluppo sia in termini di volume che, conseguentemente, di bilancio, è divenuta Romagna Energia Società Consortile.
Romagna Energia è un fornitore di energia elettrica e di gas naturale, si rivolge a tutte le imprese esistenti sul territorio italiano,
alle cosiddette utenze “non civili”. Ad oggi è uno dei principali player del mercato energetico nazionale con 500 consorziati e
oltre 2000 siti in fornitura (alta, media e bassa tensione), 1,5 miliardi di KWh di energia elettrica dispacciata e un fatturato
di circa 191 milioni di euro (anno 2009). Romagna Energia è il primo consorzio associativo italiano per punti di prelievo e il
secondo per volumi di energia; è presente in tutte le regioni d’Italia ed è in continua crescita. La società è senza scopo di lucro
con obiettivo di bilancio zero attraverso ristorni sulla tariffa dell’ energia. I soci sono rappresentati dai consumatori stessi, a differenza della maggior parte delle società di vendita presenti sul mercato; l’utente finale non rappresenta solamente un semplice
cliente, ma diventa socio di un progetto per fornire energia e servizi di elevata qualità, utilizzando le tecnologie più efficienti e
compatibili con l’ambiente. L’attività di Romagna Energia in ambito energetico non si limita alla sola fornitura di energia e gas,
ma offre anche capacità e conoscenze in ambito di fonti rinnovabili, autoproduzione, certificati verdi, etc.
112
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
e gestisse impianti e possibilmente nella compagine societaria dovevano esserci anche delle
realtà locali che furono identificate nelle Comunità Montane. Quindi, è nata Fortore Energia
come realizzazione dell’ultimo capitolo e cioè “facciamo una società che lavora con il territorio
e per il territorio”. In questa prima fase, eravamo quattro gatti, le Comunità Montane avevano
una piccola partecipazione insieme con alcuni soggetti locali e alcune multitutility pubbliche
del Centro-Nord. Chiaramente non c’erano soldi e quindi il coinvolgimento dei professionisti,
me compreso, è avvenuto sull’ipotesi di realizzazione del progetto. Sono state fatte una serie
di progettazioni dove vi era un collegamento con i sindaci “amici” cioè che aderivano al progetto perché interessati. Abbiamo sviluppato dei progetti in questi Comuni. Questi progetti
hanno seguito un iter lunghissimo di autorizzazioni perchè “di sconti” non ne sono stati fatti
a nessuno e poi si è passati alla fase successiva perché alcuni progetti sono stati approvati e,
quindi, potevano essere messi in cantiere. A quel punto è cambiato tutto perché una società
locale, sostenuta da dei partner locali, non ha la forza per accedere “al debito”, cioè di accedere al sistema di credito bancario. Questo è un punto importante. Perché una società piccola
con un progetto così ambizioso, così legato al territorio, deve necessariamente e lentamente
andare con soggetti esterni al territorio che ti portano dalle banche? Qui, c’è un problema di
accesso al credito, e questo è il primo tema. Per accedere al credito abbiamo scelto un gruppo
di appoggio che non fosse una multinazionale, ma un gruppo che in qualche modo aveva un
collegamento con il territorio. Abbiamo individuato il gruppo romagnolo formato da Amadori,
Orogel e Conserve Italia di Cesena che hanno diversi soci in Puglia legati agli allevamenti. Loro
sono entrati in società con una quota maggioritaria. Il Gruppo Amadori con tutte le società
collegate ci ha consentito di realizzare il primo parco eolico, cioè ci hanno accompagnato in
banca, la banca ci ha dato il finanziamento e loro ci hanno messo quella parte di equity che
serviva. L’altro aspetto interessante è che l’energia prodotta è stata conferita non a ENEL, ma
al Consorzio Romagna Energia che acquista direttamente l’energia. Quindi, nel 2005 c’è stato
già un primo scollamento dal locale “stretto”: dato che non c’era un sistema finanziario locale
adeguato, abbiamo dovuto per forza allearci con soggetti esterni. In un progetto di filiera questo passaggio poteva non esserci, se c’era un sistema “a monte” che capiva il valore di questa
iniziativa. Tutto questo nonostante la Puglia sia anche piena di banche locali. Il problema è
che i soldi che servono a fare un parco eolico sono tanti (Giovanni Alessandro Selano, Holding
Fortore Energia SpA).
Negli anni successivi vengono rapidamente realizzati altri sette impianti eolici nell’area
Fortorina:
• il parco da 18 MW (9 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Spina nel Comune di Roseto
Valfortore (FG) nel 2006;90
• il parco da 12,3 MW (6 aerogeneratori REpower da 2,05 MW) di Monticelli nel Comune
di Roseto Valfortore (FG) nel 2007;
• il parco da 20 MW (10 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Buglia nel Comune di
Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2007;
• il parco da 29,9 MW (13 aerogeneratori Enercon da 2,3 MW) di Franciosa nel Comune di
Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2007;
• il parco da 26 MW (13 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Alberona nel Comune di
Alberona (FG) nel 2008;
• il parco da 12 MW (6 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Biccari nel Comune di Biccari
(FG) nel 2009;
90 Nel dicembre 2006, in occasione del 28° anniversario della nascita della Comunità Emmaus di Foggia, c’è stata anche
l’inaugurazione di una torre eolica nel Villaggio-comunità di accoglienza Emmaus di Foggia, realizzata con il supporto finanziario
della Banca Popolare Etica. La Comunità può così risparmiare sui costi dell’energia elettrica e in pochi anni ottenere un introito
della vendita dell’energia prodotta in eccedenza.
113
Energia eolica e sviluppo locale
• il parco da 40 MW (20 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Serro di Luca nel Comune di
Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2010.
Nel 2009-2010 Fortore Energia arriva ad avere 8 impianti in esercizio con una potenza
installata di 180,2 MW, ma altri 7 impianti sono in costruzione per complessivi 175 MW e altri
7 sono in sviluppo per complessivi 396,8 MW.
Fortore Energia nasce con una partecipazione di sue Comunità Montane locali, ma oggi è una
società privata. È comunque una società nata sul territorio e, quindi, diventa quasi automatico
lavorare in un certo modo, perché altrimenti se l’ambiente ti è ostile non si lavora più. Visto
che è tutta gente del posto, dal presidente ai responsabili di progetto, necessariamente devi
operare in una certa maniera. In più, ci sono una centinaio tra dipendenti, consulenti, giovani
che lavorano lì e che altrimenti sarebbero in giro per l’Italia, se non per il mondo, perché in
realtà come quelle un geologo, un ingegnere meccanico o un laureato in economia non hanno
nulla da fare. Questo è un altro aspetto che sicuramente dà forza alla struttura. Non è una
società che viene da “altrove” e che trova il posto più conveniente dove lavorare. Nei principi
della società c’è sempre stato quello di non fare esclusivamente la produzione, ma di trovare
sempre formule per cui si traino anche altre economie. Michele Raffa è stato il fondatore della
Fortore Energia SpA ed è uno dei soci principali. Lui, dieci anni fa, ha realizzato uno studio
di fattibilità attraverso la sua società, la Soluzioni Scarl, che è una realtà collocata a San
Giorgio del Sannio (BN) che si occupa di studi economici e di sviluppo locale. La Fortore è
stata fondata attraverso uno studio di fattibilità su tutta la valle del Fortore, indagando tutte
le potenzialità in relazione alle energie rinnovabili, per capire il nuovo marketing del territorio
legato all’energia, a come tutte queste “nuove economie” potevano essere strutturate in materia organica. È una cosa interessante perché si è preso un territorio e si sono analizzate le
potenzialità energetiche. Da questo, si partiva con l’idea di coinvolgere le comunità locali, ma
soprattutto portare uno sviluppo territoriale attraverso un’economia “di punta”. Il tema è anche
che “l’economia di punta” non rimanga isolata, che ci sia una crescita di vario tipo: turistica,
occupazionale, di benessere generale. Il problema della “non accettazione” alla fin fine è più
prodotto “dall’esterno” che da chi vive il territorio perché comunque ci sono dei vantaggi. A
parte gli affitti dei terreni, c’è stata una crescita sia in termini di occupazione che di imprese.
In alcuni casi, c’è stato un miglioramento della qualità dei paesi, dei servizi o anche degli sgravi
fiscali. Raffa è stato il primo ad avere questa visione, adesso è necessità avere una visione di
questo tipo. Una necessità perché intanto bisogna organizzare quello che c’è e in più capire
come andare avanti, cosa fare, ma in una visione più globale. Alla fine, l’intervento sull’energia
è quello che può trainare altre economie meno forti. Quindi, lo start up di tante altre attività
può essere fatto con un’economia dell’energia. Tutto questo è un tema sociale importante, ma
funziona anche dal punto di vista economico. Se viceversa prevale un atteggiamento molto
“industriale”, spesso non c’è l’appoggio delle popolazioni locali, non c’è l’appoggio della società che deve sostenere l’iniziativa e poi si ferma lì, non cresce, non evolve (Daniela Moderini,
architetto del paesaggio).
Nello statuto di Fortore Energia SpA è stabilito che parte degli utili realizzati deve essere reinvestito per lo sviluppo locale e nella implementazione dei risultati dello studio di
fattibilità, per rafforzare il rapporto con gli enti locali e i cittadini, la società - oltre a un
significativo aumento delle royalties pagate ai Comuni e i fitti/diritti di superficie riconosciuti
ai privati (scelte che hanno “smosso” il mercato dello sviluppo dei campi eolici, regolato fino
ad allora da un oligopolio di fatto) – ha cercato di promuovere una ipotesi di sviluppo del
territorio centrata sulla produzione di energia da tutte le fonti rinnovabili (quindi non solo
ed esclusivamente dal vento, ma anche da biomassa, dal sole, dal mini-idro), come volano
per una pianificazione integrata multisettoriale dello sviluppo locale auto-sostenibile (risorse
114
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
naturali, umane e finanziarie endogene) per cercare di coinvolgere, oltre all’indotto (componenti impianti da rinnovabili e servizi), i sistemi produttivi tradizionali locali:
• l’agricoltura con le “fattorie del vento”:
L’incontro del sistema di qualità agro-alimentare con l’utilizzo delle energie rinnovabili in un
contesto di sapori e di saperi tipici dell’Italia minore può far fare il salto di qualità a questi territori. Il raggiungimento della “competitività territoriale” costituisce uno degli obiettivi
prioritari di un programma di sviluppo rurale. Un territorio diviene competitivo non soltanto
quando produce materie prime agricole a buon mercato, ma quando è in grado di affrontare la
concorrenza del mercato garantendo, al tempo stesso, una sostenibilità ambientale, economica,
sociale e culturale basata sull’organizzazione e su forme di articolazione inter-territoriale. Le
Fattorie del Vento sono una nuova formula imprenditoriale che unisce la vocazione agricola
delle aree interne collinari e montane con la crescente affermazione della produzione di energia
da fonti rinnovabili. Fondere in questi territori la tematica dello sviluppo rurale con il concetto
della multifunzionalità, attraverso la produzione e l’utilizzo delle energie rinnovabili, costituisce una grande opportunità (Raffa, 2007:103-104).
•
le PMI e gli artigiani locali con l’eco-distretto:
Enti pubblici, imprese e cittadini possono richiedere di acquistare tanta energia prodotta da
fonti energetiche rinnovabili, quanti sono i loro consumi annui, a dimostrazione che non tutta
l’energia disponibile ai propri contatori è uguale, bensì può essere differenziata e frutto di
un’attenta scelta. Chi sceglie di certificare l’origine della energia consumata compie un’azione
che ha diversi riflessi:
• introduce il fattore “scelta” nell’ambito del consumo di energia;
• contribuisce a creare un “movimento” a favore della domanda di rinnovabili.
La diffusione della scelta attraverso un “movimento” consente di riconoscere un “valore aggiunto” ai prodotti e ai servizi ottenuti, contribuendo alla soluzione di emergenze globali.
La partecipazione ai programmi da parte di imprese, oltre a rappresentare una precisa scelta
nella direzione della sostenibilità energetica, costituisce un vantaggio commerciale perché si
ha la possibilità di poter usufruire del relativo logo o label per certificare i prodotti /servizi
che vengono offerti. Inoltre, al di là della produzione e del consumo di kWh verdi, le soluzioni
di intervento ambientale più innovative (produzione di eco-combustibili; recupero ambientale;
riduzione impatti) - che puntano al risparmio, al recupero e alla salvaguardia di risorse ambientali - sono sicuramente quelle che avranno, in prospettiva, il più alto valore, sia in termini
di ritorno degli investimenti (sottoforma di nuovi ricavi e/o di minori costi), sia in termini di
comunicazione (Raffa, 2007:104).
•
il turismo (rurale, ambientale, culturale) con le “strade del vento”.
Si tratta di un progetto che sta promuovendo Fortore Energia Spa in collaborazione con i Comuni nei quali sta realizzando gli impianti eolici. Si sviluppa lungo la dorsale pre-appenninica
meridionale parallelamente alle linee di costa adriatica e tirrenica, prevalentemente in direzione
nordovest sud-est. Le “Strade del Vento” consentono di dare un nuovo senso alle infrastrutture
tecniche eoliche e agli altri interventi nel campo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e potrà
calamitare nuove attenzioni sui territori facenti parte dei bacini eolici. I nuovi itinerari “Strade
del Vento”, si potranno incrociare con quelli archeologici, monumentali, storici, naturalistici,
enogastronomici che potranno essere creati o legati ad essi. Più che un itinerario in senso
stretto, le “Strade del Vento” possono intendersi come una linea che collega luoghi straordinari per caratteristiche geografiche, ambientali, paesaggistiche e storico culturali dalle grandi
115
Energia eolica e sviluppo locale
potenzialità turistiche: crinali, pianori, leggeri insellamenti garantiscono le migliori condizioni
per utilizzare al massimo l’energia generata dal vento e al tempo stesso rappresentano possibili
mete di escursioni o punti mediani all’interno di itinerari di altissimo livello. A completare
l’elencazione dei caratteri dominanti è compreso il vento, il principale fenomeno percepibile,
che insieme alla luce forte e abbagliante da sempre accompagna i viaggiatori e gli abitanti di
queste terre (Raffa, 2007:104-105).
A partire dal 2008 inizia la transizione da una struttura organizzativa basata sulla centralità di Fortore Energia SpA, la società operativa proprietaria dei campi eolici in esercizio,
di quelli in costruzione e di quelli in sviluppo, a una struttura “satellitare” di “Gruppo”, che
evidenzia le centralità della Holding Fortore Energia. Ad essa già faceva capo la stessa Fortore
Energia SpA; ad essa fanno capo anche alcune società (sub-holdings) che dovrebbero consentire una diversificazione territoriale, settoriale e dimensionale dei business. Territoriale,
perchè a Fortore Energia SpA fanno capo solo iniziative eoliche in Puglia, Campania, Basilicata e Molise, in esercizio e in costruzione. Settoriale, perchè a Fortore Energia SpA fanno
capo solo iniziative nel settore eolico. Dimensionale, perchè a Fortore Energia fanno capo gli
impianti “industriali” di produzione di energia eolica. Per la diversificazione territoriale viene
costituita la sub-holding Fortore Energie Rinnovabili. Ad essa fanno capo, nel settore eolico:
• i progetti in iter autorizzativi e in sviluppo;
• la società CRETA Energie Speciali (35% di proprietà di un Consorzio di Comuni, prevalentemente della Calabria);
• la new-co che sarà costituita con GENCO Srl (50% di proprietà di un gruppo di sviluppatori campani, titolari di una pipeline di circa 200 MW);
• tutte le altre società costituite con altri sviluppatori.
Per la diversificazione territoriale è stata costituita per le attività all’estero (avviate dal
2007), ENDE:
• proprietaria dell’80% di Enerce, una società che opera in Brasile;
• il 100% di Eoliana, per la Romania;
• l’80% di Arenergy, per l’Armenia;
• tutte le altre partecipazioni in società estere (Turchia, Grecia, Albania e Montenegro).
Per la diversificazione settoriale per la produzione di energia sono state costituite:91
• Fortore Biomasse, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia e calore
alimentati da biomasse vegetali;
• Fortore Fotovoltaico, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia dal sole
(a inizio 2009 entrano in funzione tre impianti realizzati sui tetti delle grandi unità produttive del Gruppo Amadori a Sogliano e Santa Maria in provincia di Forlì-Cesena e a Notaresco
e Mosciano in provincia di Teramo);
• Fortore Idro, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia da mini-idro;
• Fortore Agroenergie Srl che si occupa della realizzazione di progetti finalizzati allo
sviluppo dei piccoli Comuni attraverso la valorizzazione delle risorse energetiche locali, in
particolare attraverso l’iniziativa “Borghi di Eolo” per il recupero dei borghi in disuso che
vede la partecipazione della energy service company Innesco della Banca Popolare Etica.
Gli elementi “chiave” del progetto “Borghi di Eolo” sono:
• la disponibilità della risorsa eolica e l’attenzione per la realizzazione del campo eolico
91 Nel 2009, la Encap Srl, società attiva nelle rinnovabili, di cui Fortore Energia detiene il 30% del capitale, ha sottoscritto
l’aumento di capitale della società KR Energy quotata in Borsa, acquisendo in portafoglio un pacchetto pari al 4,3% del capitale
per 10 milioni di euro.
116
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
“dimensionato” al progetto di recupero del patrimonio immobiliare;
• la disponibilità almeno trentennale del patrimonio immobiliare (proprietà, concessione,
fitto, altro) e delle autorizzazioni necessarie per il recupero.
I soggetti “chiave” del progetto sono:
• Gruppo Fortore Energia: garantisce il know how necessario per la progettazione, la realizzazione e la gestione del progetto di sviluppo locale e degli impianti FER;
• Comune: garantisce la disponibilità degli immobili e il supporto negli iter autorizzativi degli
impianti FER e di recupero degli immobili;
• Cittadini residenti ed emigrati: partecipano, eventualmente, al progetto con l’ottica di creare un moltiplicatore di opportunità;
• Società di Gestione (cooperativa o società locale, nuova o esistente): fornisce le competenze per la gestione dell’albergo/villaggio o del parco (http://www.soluzioni-net.it/fortore2/
iborghidieolo/default.asp).
È utile ricordare ciò che si è realizzato in termini di parchi eolici a Roseto. Questo significa che
l’amministrazione ci ha creduto fin dall’inizio, non soltanto come parte finanziaria - le quote
che entrano nelle casse comunali -, ma anche e soprattutto per quello che poteva essere l’indotto. Usando per quanto riguarda gli introiti, lo sviluppo del sociale, la nascita di iniziative verso
le attività produttive, il turismo, l’occupazione. La cosa importante è quello che siamo riusciti
negli anni a fare con Fortore Energia. Mancano pochi giorni all’avvio dei lavori di un parco eolico
di due torri comunali in partnership con la Fortore. Si tratta di due aerogeneratori per una potenza totale di 4,6 MW. Ma, la cosa più importante è che, anche grazie al supporto della Banca
Popolare Etica, ci sarà una parte di azionariato diffuso e quindi la partecipazione anche dei
cittadini. Questa parte si deve ancora fare, però è stata fatta una convenzione, il grosso è già
in campo, gli atti sono stati portati avanti, dobbiamo solo realizzare le torri. Una percentuale
di utile andrà a beneficio di chi vuole investire nell’eolico. Intorno a questo progetto ci sono
anche altre cose: la realizzazione del Borgo di Eolo per il rifacimento ed il recupero di tutti gli
alloggi abbandonati. Appartenevano a persone che hanno lasciato il paese di origine, e quindi
il recupero di case e appartamenti abbandonati, il patrimonio urbanistico del centro storico.
Ancora, la realizzazione di una struttura per l’attività didattica aperta alle scolaresche, non solo
classi di scuole medie ed elementari, ma anche e soprattutto verso gli universitari, e quindi un
motivo di attrazione culturale verso il nostro territorio. Si tratta di un Parco Ecodidattico, che
attraverso un percorso che parte dal centro storico si sviluppa sul fiume Calore attraverso il recupero di alcuni mulini, si arriva al centro che è composto da una serra fotovoltaica, un piccolo
impianto a biomasse e poi un sentiero che arriva sopra ai campi eolici. Questo centro costituisce
un momento di collegamento tra attività turistica e attività didattica. Il Comune di Roseto ha
già un Osservatorio Ecologico Appenninico e un centro di accoglienza ambientale che durante
il periodo delle gite scolastiche funziona molto. In due anni abbiamo registrato più di 7mila
presenze legate ad attività di didattica con le scuole. In questi anni, con le royalty dei parchi
eolici, Roseto non ha migliorato solo la festa patronale. Da 4-5 anni, a Roseto nascono da 6 a
12 bambini l’anno, che non compensano le morti, però sono un segno di vitalità per un paese
che ha 1.200 abitanti. Nell’indotto dell’eolico lavorano più di 30 ragazzi, sono giovani che sono
rimasti in paese, diversamente sarebbero andati via, coppie che si sono sposate (Lucilla Parisi,
Roseto Valfortore).
Alla riorganizzazione in una struttura di Gruppo viene impressa un’accelerazione improvvisa a partire dal giugno 2009, allorquando dal Gruppo Holding Fortore Energia SpA viene creata Fortore Wind Srl alla quale vengono trasferiti tutti i 7 impianti eolici all’epoca in esercizio
e i 15 in costruzione e in sviluppo. Il 33% del capitale di Fortore Wind Srl viene rilevato dalla
117
Energia eolica e sviluppo locale
BKW Italia SpA,92 controllata italiana del Gruppo Svizzero BKW FMB Energie SA (controllato
dal cantone di Berna e partecipato al 20% da E.On).
Questo accordo viene presentato da entrambe le parti come una “partnership strategica” finalizzata alla crescita, all’espansione e a nuovi massicci investimenti (Borrillo, 2009).
Entrambi i gruppi, infatti dichiarano che l’accordo di collaborazione ha come obiettivo 600
MW eolici entro il 2016. Fortore Wind dispone di impianti eolici in esercizio per un totale
di 140 MW (che ne fanno il 5° operatore in Italia dopo i gruppi Ivpc, Edens, e International
Power), di impianti eolici in costruzione e prossimi al completamento entro l’anno 2011 per
un totale di 190 MW, nonché di un portafoglio progetti eolici in sviluppo per un totale di 360
MW che verranno completati per almeno 275 MW entro l’anno 2016. L’investimento complessivo di Fortore Wind per il completamento degli impianti in costruzione e la realizzazione dei
progetti in portafoglio è stimato in oltre 1.000 milioni di euro nel periodo 2009/2016. Ma,
l’ambizione è anche quella di chiudere il ciclo dell’eolico, entrando anche nella produzione
industriale di componenti e aerogeneratori.
Il gruppo Fortore sta promuovendo la realizzazione della “filiera eolica” tra le regioni della Puglia
e della Campania. Una filiera che prevede la realizzazione di impianti produttivi per sviluppo e
produzione di semilavorati e/o finiti per il settore eolico; assemblaggio aerogeneratori; installazione e manutenzione impianti. Abbiamo cominciato come sviluppatori per progettare impianti,
poi realizzatori con l’ingresso di Amadori e Lucchi, poi abbiamo proseguito con la costruzione
degli impianti fino alla costituzione di un consorzio per la commercializzazione. Per chiudere la
filiera siamo infine passati alla realizzazione di progetti di componenti industriali: il risultato più
importante consisterà nella realizzazione di un aerogeneratore di marchio italiano: “Wind Italia”.
Vogliamo costruire noi le pale, i tempi sono maturi, ci sono le figure professionali e le esperienze
necessarie per questo salto di qualità. Noi le torri in cemento già le facciamo con un’azienda barese di Modugno: basta guardare ai parchi di Alberona e Biccari. Adesso come gruppo puntiamo a
creare un’atra unità operativa per la produzione delle torri: una unità per assemblaggio e manutenzione degli aerogeneratori e altre unità per la realizzazione di parti meccaniche. Abbiamo acquisito sette ettari a Macchia sui suoli ex Sindyal, ottenendo anche l’okay dell’ASI. L’idea è quella
di utilizzare Bicccari (dal prossimo autunno) per costruire torri in cemento. Lacedonia, Candela
e Ascoli per la realizzazione di parti meccaniche delle pale e Manfredonia-Macchia per l’assemblaggio. A regime l’operazione darà lavoro a non meno di 400 unità direttamente impegnate e
altre 400 nell’indotto. Il sistema entro il 2015 dovrebbe consentire al territorio di produrre ogni
anno una ricchezza pari 3-400 milioni di euro parte dei quali resteranno sul territorio (Antonio
Salandra, presidente della Holding Fortore Energia SpA, citato in Borrillo, 2009).
Ma, questi ambiziosi piani devono fare i conti con gli effetti negativi della crisi economica internazionale che contribuisce a mettere a nudo la debolezza finanziaria dell’intero gruppo. Per fare fronte alle difficoltà finanziarie, infatti, nel dicembre 2010, per la prima volta il
gruppo è costretto a vendere 4 dei parchi eolici in esercizio (San Chirico, Spina, Monticelli e
Franciosa) con una potenza complessiva di 82 MW (che producono elettricità per un totale
di oltre 160 GWh) alla BKW Italia SpA che nel quadro di questa operazione cede a Fortore
92 La capacità di generazione elettrica della BKW Italia SpA in Italia comprende otto impianti idroelettrici ad acqua fluente
in Lombardia per un totale di 42 MW nominali, una partecipazione del 33% in Fortore Wind Srl (140 MW di impianti eolici in
esercizio), una partecipazione del 25% in E.ON Produzione Centrale Livorno Ferraris SpA (centrale a ciclo combinato da 800 MW)
ed ulteriori partecipazioni di minoranza in impianti a biomasse. BKW Italia SpA dispone inoltre di una partecipazione pari al 48%
in Tamarete Energia Srl (centrale a ciclo combinato di picco da 104 MW) ed il controllo del 100% della Volturino Wind Srl (parco
eolico da 25 MW) entrambi in fase di realizzazione. La strategia di BKW in Italia è quella di sostenere i propri volumi di vendita
di energia elettrica anche attraverso il progressivo incremento della propria capacità di generazione da fonti convenzionali e
rinnovabili, pertanto oggi la società è fortemente impegnata nella finalizzazione dei progetti attualmente in sviluppo e nella
ricerca di ulteriori opportunità sul territorio italiano.
118
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
Energia la sua quota (33%) di partecipazione in Fortore Wind. I costi della transazione non
sono stati resi noti.
Fatto il primo parco eolico, abbiamo realizzato il secondo, poi il terzo e così via. La Fortore Energia
non ha mai venduto, ha sempre operato per svilupparsi, ma a un certo punto ha dovuto vendere
una parte dei suoi parchi perché non poteva più sostenere finanziariamente la crescita. Nel frattempo, intorno al gruppo Fortore Energia, si è creata la possibilità di lavorare, per cui da 5 persone
siamo diventati tantissimi, più di 130 persone tecnici ed ingegneri tra le sedi di Lucera e San
Giorgio del Sannio che fanno tutte le attività dalla misurazione al progetto, al progetto esecutivo,
etc.. Nel frattempo è stata creata anche una società collegata che costruisce parchi eolici. Quindi,
dalla progettazione alla gestione. Poi, che cosa è successo? Quando realizzi qualcosa ti vengono a
cercare, e quindi si sono aperte tantissime opportunità, e abbiamo iniziato ad elaborare progetti
ovunque. Poi, alla fine capisci che non puoi andare avanti su tutto, alcune cose le devi valorizzare
e, quindi, alcuni dei parchi eolici già in funzione sono stati ceduti alla società svizzera BKW. Sono
stati passaggi obbligati perché tantissima progettazione non è andata a buon fine, è rimasta
“impelagata” negli iter burocratici che non si sono chiusi, e comunque c’era tantissima gente a
lavorare che non puoi mandare a casa il giorno dopo. Purtroppo, i tempi di approvazione dei progetti sono molto lunghi. Su questo c’è da dire che il sistema istituzionale “non segue”, anzi tende
a rallentare piuttosto che …. non dico a favorire. Sulla carta loro avevano i 180 giorni per fare le
cose e invece sono diventati tempi biblici. Tempi segnati da dei contrasti tra Ufficio Ambiente e
Ufficio Industria, tra Ufficio Industria e Ufficio Urbanistica. In sostanza, la Regione ha dimostrato
di non essere all’altezza, e sto parlando degli uffici e non del governo. Uffici che non avevano le
competenze e che quindi non erano in grado di gestire le autorizzazioni. Nel frattempo, l’eolico
era un “business”, e di conseguenza qui in molti si sono lanciati a fare progetti. Sono arrivati
sui tavoli della Regione centinaia e centinaia di progetti. La Regione ha tentato di regolamentare
queste iniziative, ma alcuni articoli sono stati dichiarati anticostituzionali. Insomma, c’è stato un
pasticcio e alla fine una società come la nostra subisce anche l’onta di avere il via libera per dei
parchi eolici e poi ottenere un’autotutela della Regione che revoca l’autorizzazione unica. Questo
ha bloccato i finanziamenti delle banche, ma si dovevano pagare i fornitori, il che ha comportato
che parte delle attività di proprietà di una società locale come la nostra sono dovute essere cedute
ad una società che con la Puglia e con l’Italia non c’entra nulla, Alla fine anche queste attività
della Regione “non coordinate” portano dei danni: non ti rendi conto che una decisione non la
puoi prendere “ a cuor leggero” perché metti in crisi un meccanismo (Giovanni Alessandro Selano,
Holding Fortore Energia SpA).
Comunque, i piani ambiziosi non vengono abbandonati, cercando di raggiungerli attraverso una nuova “alleanza strategica” con Epuron (www.epuron.de), società del Gruppo
Conergy (www.conergy.it) leader in Europa nello sviluppo e nel finanziamento dei progetti
eolici, fotovoltaici e bio-energia, che porta alla nascita di Forturon, nuovo marchio che unisce Fortore Energia a Epuron al fine di progettare, finanziare, costruire, gestire e manutenere
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.93 In occasione dell’annuncio della
partnership viene presentato il progetto per un nuovo aerogeneratore che dovrebbe essere
prodotto negli stabilimenti di San Bartolomeo in Galdo. La filosofia di Forturon è coerente
con la storia di Fortore Energia: la società realizza impianti eolici per promuovere lo sviluppo
auto-sostenibile del territorio, promuovendo la costruzione di società miste per i comuni. La
93 Forturon installa impianti prodotti da società controllate. In particolare opera con un suo aerogeneratore assemblato nella
fabbrica di San Bartolomeo in Galdo (BN). Forturon realizza gli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile utilizzando
servizi, impianti e componenti prodotti da società del gruppo Conergy e Fortore: Fotovoltaico (Inverters, Sistemi di voltaggio,
Trackers, Sistemi di monitoraggio e misurazione), Solare termico (Sistemi completi solare termico), Eolico (Turbine per mini
eolico da 8kW)
119
Energia eolica e sviluppo locale
proposta prevede la realizzazione di una società a responsabilità limitata per la realizzazione
del campo eolico: il 51% della società posseduta dal comune e il 49% viene acquistato dal
socio privato operativo di minoranza. Il socio operativo di minoranza provvede a finanziare
l’intero investimento impegnandosi a ricercare sia il debito che a procurare l’intera equity.
* * *
Tocco da Casauria (PE)
Tocco da Casauria è un piccolo comune (2.700 abitanti) delle montagne d’Abruzzo (vicino
al Parco della Majella), in provincia di Pescara,94 che di recente è stato oggetto di un servizio
da parte del New York Times (2010) per la sua politica ambientale ed energetica. Oggi, Tocco
produce tutta l’energia elettrica di cui ha bisogno (con un surplus del 30%) con un impianto
eolico (realizzato e gestito da FERA) da 3,2 MW, composto da 4 aerogeneratori tripala Enercon E48 da 800 kW ciascuno (per un investimento complessivo di circa 4,5 milioni di euro)
per una produzione elettrica annua di circa 7.200 MWh, con un impianto fotovoltaico da 24
kW installato sul magazzino del cimitero e alcuni grandi impianti idroelettrici (Salvia, 2010).
L’impianto è inserito in modo armonioso nel paesaggio: gli aerogeneratori non spiccano sul
crinale della montagna, come spesso succede, ma si trovano su un pendio in un uliveto secolare, con vista sul castello ducale del XIII sec.
A Tocco, il nostro parco è inserito in un uliveto. Abbiamo comperato i terreni vicini al parco
eolico, per cui siamo proprietari di alcuni ulivi. Tutti gli anni nel “ponte dei morti”, andiamo a
raccogliere le olive e facciamo la vita dei Toccolani: prendiamo le olive, le portiamo al frantoio
e lì incontriamo la comunità e vedono che anche noi siamo legati al territorio. Tutti gli anni andiamo a raccogliere le olive perché è un momento di team bulding per l’azienda, ma anche “di
vivere il territorio”. Il nostro olio fa parte dei gadget aziendali. È ovviamente biologico, perché
oltre alla potatura canonica non facciamo niente, se non raccogliere le olive (Canavero, FERA).
Nel 1989 il paese venne scelto dall’Unione Europea come sede per un progetto dimostrativo sull’energia eolica, per cui nel 1992 furono installati 2 aerogeneratori monopala M30 da
200 kW ciascuno che producevano al massimo il 25% dell’energia necessaria per far fronte ai
consumi di elettricità del paese e che soprattutto facevano un gran rumore. Tale impianto è
stato smantellato nel 2006, mentre nel 2007 sono stati installati i primi due nuovi aerogeneratori (gli altri due sono attivi dal 2009).95
Oggi, il Comune di Tocco di Casauria incassa circa 170 mila euro all’anno dalle royalties del
campo eolico, il 7% dell’inero bilancio comunale. Soldi che sono serviti per abolire le imposte
locali, nonché la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per assumere due spazzini
in più,96 per rimettere a posto prima il castello (Gervasio, 2007) e poi la scuola danneggiata
dal terremoto dell’Aquila, e per tenere bassa la retta della mensa scolastica. L’impianto fotovoltaico è costato 21 mila euro, tra sette anni il comune inizierà a guadagnare, mentre già
oggi gli abitanti ne beneficiano, dato che non pagano più i 15 euro all’anno per la corrente del
94 Tocco da Casauria fa parte della Comunità montana della Maiella e del Morrone. Il paese sorge su un colle nella valle del
fiume Pescara, a circa 40 km dal capoluogo di provincia, lungo la strada che la collega a Roma, poco prima delle Gole di Popoli.
95 In sostanza, nel caso del nuovo impianto si è trattato di un progetto di re-powering.
96 Per “Comuni Ricicloni 2010”, il rapporto di Legambiente sulla gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata in Italia, Tocco
da Casauria è al 57esimo posto nella graduatoria di categoria: secondo tra i comuni della Regione Abruzzo e primo nella Provincia di Pescara. Un risultato che è frutto anche di piccole, ma significative attenzioni, dalla raccolta porta a porta al sistema di
raccolta degli olii esausti e di frittura, all’utilizzo di materiale biodegradabile nella mensa scolastica.
120
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
lumino. Inoltre, in paese sono già 13 le famiglie che hanno messo i pannelli sul tetto della loro
casa, mentre un allevatore di pecore e capre li ha montati sul tetto della sua stalla.97
Attualmente, il Comune sta studiando la costruzione di un quinto aerogeneratore gestito
direttamente dal comune che raccoglierebbe i soldi dai cittadini con l’azionariato popolare. Inoltre, il Comune è impegnato nello sviluppo di un programma di abbattimento dei
quantitativi di rifiuti che ancora oggi vengono destinati alla discarica. Due sono i progetti
in programma. Innanzitutto, un incentivo economico alle famiglie che affrontano l’avventura della nascita di un bimbo, alle quali saranno rimborsati 300 € qualora decidessero di
sostituire (almeno in parte) l’uso dei pannolini usa e getta con quello di pannolini lavabili,
ormai in commercio da anni. Il secondo passo è quello di aderire alla campagna europea per
l’abolizione dell’uso dei sacchi in plastica. Infine a gennaio 2010 è stato approvato il nuovo
regolamento per l’edilizia sostenibile che introduce obblighi per l’isolamento termico e orientamento dei nuovi edifici, per la riduzione dei consumi idrici nonché introduce una serie di
incentivi a favore dell’installazione delle fonti di energia rinnovabili.
* * *
Scansano (GR)
La centrale eolica di Scansano (Grosseto) è formata da 10 aerogenertori della spagnola
Gamesa per un capacità totale di 20 MW, in grado di produrre elettricità per 22 mila famiglie.
Nel corso degli ultimi 10 anni questo impianto è stato uno di quelli maggiormente al centro
delle polemiche tra associazioni che difendono il paesaggio e associazioni ambientaliste.
La campagna mediatica contro l’eolico è un attacco scientifico finalizzato a creare il mostro. In
questi anni, il mostro è stato l’impianto di Scansano in Toscana che è stato etichettato come
tale. Mario Pirani ne ha parlato tante volte su La Repubblica. Mi ricordo interventi di Fulco
Pratesi a convegni e in Tv in cui diceva: “si rischia di creare degli ecomostri come Scansano”.
Pratesi non l’aveva neanche visto il progetto di Scansano, perché io glielo ho chiesto. In questi
casi si entra dentro un loop per cui si nomina sempre un progetto. L’impianto di Scansano è
un bellissimo progetto. Se oggi si va a Scansano e si dice ai cittadini di toglierlo ti dicono:
“ma di che stai parlando?”, perché è un impianto che sta in una zona in cui uno solo lo vede,
il Biondi Santi (importante produttore di vino Montalcino e Morellino, ndr), che è quello che,
insieme ad Italia Nostra, ha fatto i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato per bloccarlo. Noi, come
Legambiente, abbiamo pure giocato un ruolo in questo caso. Quando all’inizio il progetto era in
fase di impostazione, ci sono state le polemiche, e noi abbiamo detto alla Gamesa e al Comune
di cercare di costruire un percorso di partecipazione e di informazione e poi di investire in un
percorso in loco dato che si tratta di un posto particolarmente bello dal punto di vista panoramico, perché si vede dall’Amiata fino al mare. Questo è stato realizzato, con pochi soldi, perché
le aziende tendono sempre a mettere pochi soldi in questi aspetti del progetto, però questo
oggi permette di far diventare quello un posto che le persone vanno a visitare, a vedere. Oggi, è
un nuovo paesaggio, anche vissuto, mentre prima era una zona dove non ci andava nessuno. Il
motivo per cui è stato fatto lì l’impianto di Scansano è stato perché c’era un mega elettrodotto,
per cui è stato detto a Gamesa di farlo lì in modo da eliminare quell’infrastruttura fortemente
impattante. Però, si è preferito creare il mostro (Edoardo Zanchini, Legambiente).
97 Tocco è noto anche per la Centerba, un liquore ricavato dalla distillazione di diverse piante della Maiella, inventato dal
farmacista Beniamino Toro come medicamento. Nel 1817 diviene prodotto di consumo. Per quanto riguarda l’olio d’oliva, la
provincia di Pescara, e quindi Tocco, è stata tra le prime in Italia ad ottenere il riconoscimento ufficiale da parte dell’Unione
europea per la denominazione di origine protetta (D.O.P.) del suo Olio di Oliva Extravergine “Aprutino Pescarese”; questo marchio
certifica l’alta qualità dell’olio extravergine prodotto in questa zona. Il vino prodotto è di ottima qualità ed è quello tipico della
cultura abruzzese: Montepulciano, Cerasuolo e Trebbiano con ottime caratteristiche organolettiche, di gusto e retrogusto.
121
Energia eolica e sviluppo locale
Conosco molto bene, perché l’ho seguito, un caso che riguarda il Comune toscano di Scansano,
dove l’amministrazione comunale, il sindaco in particolare, Flavio Morini, sono stati i principali
fautori di questa scelta. Una scelta che ha anche provocato l’opposizione di Biondi Santi. Questo
è un caso tipico in cui l’opposizione che è stata presentata come l’opposizione della comunità era,
assolutamente legittima dal suo punto di vista, di un signore al quale le pale eoliche rompevano
le scatole perché le vedeva dalla finestra della sua tenuta. È un caso tipico in cui il problema
dell’accettazione sociale è stata molto ingigantita, ma è anche un caso tipico in cui la comunità
ha accettato questa scelta e anzi l’ha sentita come una scelta propria, vedendo in questa scelta la
possibilità anche di un modello di produzione di energia non solo meno impattante da un punto
di vista ambientale, ma anche conveniente per quel territorio. Per cui credo che un modello come
questo, poi ce ne sono altri in giro per l’Italia, ma questo di Scansano è quello che ho seguito
di più e, quindi, conosco meglio, sia un modello di successo perché il controllo democratico,
pubblico, sulle scelte, non avviene soltanto nelle forme di contrasto, di dialettica, per cui nasce il
comitato, ma avviene dall’inizio, nella misura in cui un Comune – una amministrazione che poi
come hanno dimostrato le elezioni gode della fiducia dei cittadini – non solo è il proponente di
quella iniziativa, ma ne diventa anche il garante (Roberto Della Seta, senatore).
L’impianto è stato completato nel 2006, ma nel 2007 è stato bloccato dal Tar, mentre
nel 2008 una sentenza del Consiglio di Stato ha sbloccato definitivamente la situazione, respingendo tra l’altro le osservazioni dei ricorrenti, l’azienda agraria Montepò di Jacopo Biondi
Santi e Italia Nostra, in merito all’inquinamento acustico, all’altezza massima delle torri e ad
altre obiezioni sull’iter amministrativo. Veniva anche sollevata l’incompatibilità dell’impianto
con le vigne da cui si ricavano il Brunello e il Morellino e che tappezzano le vallate circostanti. Le motivazioni sono state ritenute tutte prive di fondamento dal Consiglio di Stato, tranne
una: l’aver affidato il monitoraggio dell’impatto degli aerogeneratori sull’avifauna all’azienda
titolare. Una decisione ritenuta “contraddittoria” nell’iter stabilito dalla Regione.
Il parco eolico di Scansano è da 20 MW e soddisfa circa 22 mila famiglie come fabbisogno. È composto da 10 aereogeneratori da 2 MW ciascuno, per un investimento di circa 30 milioni di euro.
Perché è importante questo parco? Dopo tutte le vicende giudiziarie che ha avuto, adesso funziona e funzione per come era stato progettato, cioè produce energia per quelle 22 mila famiglie,
anzi quest’anno, rispetto alle 1.600 ore programmate di vento, ne ha fatte 1.800, perché tutti e
10 gli aereogeneratori funzionano. Perché è importante questo parco rispetto ad altri parchi eolici,
anche più grandi? È importante perché se un parco eolico, così contestualizzato nel paesaggio,
diventa un parco didattico per i ragazzi che, oltre a produrre energia, spiega come funziona l’energia rinnovabile e viene così ben inserito nel paesaggio agrario toscano, dove ci sono quei bocage
di siepi, per cui diventa chiaramente un fuori scala rispetto all’aereogeneratore alto 90 metri, vuol
dire che il grande eolico, se fatto bene, può essere fatto chiaramente dove c’è vento, ma anche
rispettando criteri di buon inserimento nel paesaggio esistente (Flavio Morini, ANCI e Scansano).
In questi anni, il sindaco di Scansano è riuscito, con successo, anche ricontrattare i termini della convenzione tra il Comune e l’operatore del parco, riuscendo ad alzare le royalties
per che vanno all’amministrazione comunale.
Quando è stata fatta la convenzione per il parco eolico il sindaco di Scansano non ero io. Noi
avevamo una convenzione assurda. Non so come mai sia stata firmata. Io non l’avrei mai
firmata. Una convenzione fatta al contrario, per due motivi. Il primo, si basava su una percentuale a decrescere. Per assurdo, il parco produce poco all’inizio e tanto dopo, quindi tu fai
una convenzione a crescere, anche perché le spese all’inizio si ammortizzano meno per cui si
pagano più volentieri a crescere che a decrescere. Probabilmente, il sindaco precedente l’aveva
122
8. Ricadute territoriali e buone pratiche
fatta secondo il suo mandato. Peraltro, recuperava una percentuale bassissima perché alcune
opere – come la strada e altre infrastrutture – venivano fatte nella sua legislatura, ma quelle le
fanno comunque tutti. La storicizzazione della royalty era: il 2% per i primi 5 anni, l’1,8% dal
5° all’8° anno e l’1,5% dall’8° anno in poi. E purtroppo questo solo sulla produzione di energia,
mente, come si sa, la vera rendita dei parchi eolici oggi è la vendita dei certificati verdi, più
che la produzione di energia. Tant’è che allora la produzione di energia stava a 40 euro a MW,
mentre i certificati verdi stavano a 170 euro. Praticamente, questo parco per il Comune produceva un introito quasi nullo – circa 20 mila euro all’anno. Una vergogna! Quando sono diventato
sindaco, sono andato dall’operatore che prima era la società spagnola Gamesa, poi diventata
Endesa, e poi E.On, sostenendo che questa convenzione era ridicola. Era la più bassa in tutta
Italia. Loro hanno annuito, ma mi hanno anche detto che noi l’avevamo firmata e che non avevano intenzione di ritoccarla. Allora, io dissi che voleva dire che quando avrei parlato di E.On ne
avrei parlato male. Loro si sono dimostrati disponibili a parlarne e l’abbiamo rivista. Abbiamo
rifatto una convenzione che non è l’ottimale che si sarebbe potuto fare all’inizio, ma è 4-5 volte
superiore alla precedente. Abbiamo stabilito delle percentuali in base alle condizioni di vento.
Minimo dell’1,6%, sia sulla produzione di energia che sui certificati verdi. L’1,8% se si sta tra
le 1.700 e le 1.800 ore, l’1,8% se si sta tra le 1.800 e le 2.000 ore, il 2% se è oltre le 2.000, e
sopra le 2.100 è il 2,2%. Quindi, siamo arrivati ad una percentuale che si è avvicinata a quella
che si sarebbe potuto fare normalmente intorno al 2,5-3%. Le pale funzionano dal 2006, però
ci sono state delle sentenze con problemi giuridici, per cui non si poteva fare la manutenzione.
Si diceva che il parco di Scansano non produceva. Chiaro, se di 10 pale, 7 erano ferme! Ora che
ne funzionano 10, il parco quest’anno ha prodotto per 1.800 ore di vento. Quindi, il parco è
andato a regime solo nel 2010, dopo 4 anni di tribolazioni giudiziarie. Tenga conto che io sono
l’architetto di Biondi Santi e gli ho fatto la cantina. Lui, quando mi vede, mi dà una pacca
sulla spalla, perché mi vuole bene, e poi mi dice un po’ di ingiurie, perché ho contribuito alla
realizzazione del parco. Non me ne pento e rimprovero a lui un fatto: invece di dire che il parco
non lo voglio, fa schifo e non lo voglio vedere, perché non dice che il suo vino è più buono perché viene prodotto in un territorio dove ci sono le energie rinnovabile, sfruttando questo come
marketing territoriale. Cosa che altri hanno fatto. La popolazione locale è felicissima del parco
eolico, È fondamentale, quando si fanno questi impianti, non agire da soli, come sindaci e amministratori, perché se no vieni massacrato. Bisogna sempre coinvolgere la popolazione locale,
chiedendogli che ne pensa e soprattutto far capire il prima e il dopo cosa può comportare sotto
vari aspetti. Nel nostro caso, oltre ad avere circa 3 mila persone l’anno, Murci, che è la frazione
dove è il parco, si sta popolando di attori, proprio perchè un posto bellissimo, ottocentesco,
con una natura incontaminata. Nel mio comune ci sono solo 16 abitanti per kmq. La gente
viene a stare lì e non solo non gli dà fastidio il parco, ma gli fa piacere perché vuol dire che un
ente pubblico si è mosso nella direzione della sostenibilità (Flavio Morini, ANCI e Scansano).
Le royalties che il Comune di Scansano incassa dall’operatore in base alla produzione
di energia elettrica del parco eolico vengono reinvestiti in progetti legati alle rinnovabili e
all’educazione ambientale.
Quello che la politica deve fare, cosa è? È fare in modo che si crei una filiera anche dove si fanno
in grandi impianti. Un grande impianto si può fare. A Scansano è stato fatto un parco eolico,
ma cosa è stato fatto con i proventi del parco eolico? Sono stati reinvestiti per fare fotovoltaico
sulle scuole, per fare educazione ambientale per i cittadini, è stato creato un centro didatticoambientale dove si parla di energie rinnovabili. Lì c’è un parco che viene visitati da circa 3 mila
persone all’anno, dove si spiega tutto il percorso dell’eolico, ci sono delle altane da dove si può
osservare il paesaggio, dove si illustra la flora e la fauna presente. Quindi, il parco eolico è diventato per il territorio un punto di riferimento. Nessuna di quelle 3 mila persone sarebbe andata
sul quel territorio. Ha riaperto il piccolo bar, ha riaperto il piccolo ristorante, l’agriturismo lavora
123
Energia eolica e sviluppo locale
di più. Quindi, legato al mondo del parco eolico c’è un altro mondo. Non è che queste cose sono
necessariamente negative, dipende da come le si fa (Flavio Morini, ANCI e Scansano).
* * *
Peglio (PU)
Il piccolo Comune di Peglio (PU) è stato tra i comuni premiati da Legambiente nel 2011
per la realizzazione di un parco minieolico (inaugurato il 10 ottobre 2010). L’impianto, situato nell’area degli impianti sportivi, è formato da due torri da 50 kW ciascuna con una produzione netta di 162 MWh annui in grado di coprire da soli il 21% dei consumi elettrici domestici dell’intero Comune. L’intervento è costato circa 228.000 euro ed è stato finanziato dalla
Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro di cui il Comune di Peglio fa parte. L’impianto
permette di evitare l’emissione di oltre 90 tonnellate di CO2 l’anno. Il Comune di Peglio è
interessante anche per gli obiettivi energetico-ambientali che si è proposto di raggiungere
entro il 2014, che riguardano lo sviluppo di impianti da fonti rinnovabili in edifici pubblici e
privati, e di sistemi per il risparmio energetico. Tra le realizzazioni in corso si può segnalare
il nuovo impianto fotovoltaico da 19,44 kW di potenza installato sulle coperture del centro
polifunzionale, a cui si affiancherà un impianto fotovoltaico da 36 kW che verrà installato
sulle coperture del cimitero. Per quanto riguarda il solare termico si segnala l’installazione di
15 mq di pannelli per la produzione di acqua calda sanitaria necessaria al centro sportivo. Tra
i progetti in corso, c’è il piano strategico per l’illuminazione pubblica che prevede la sostituzione delle lampade meno efficienti con un risparmio di 13.000 kWh annui, mentre il Comune
ha in programma la realizzazione di una centrale a biomassa da cippato di piccole dimensioni
(500 kW) alla quale verrà collegata una piccola rete di teleriscaldamento.
* * *
Mammola (RC)
Un altro caso interessante è quello del parco eolico di 11 aerogeneratori della potenza
di 9,35 MW attualmente in corso di realizzazione (dovrebbe entrare in funzione nel 2011) di
Piano di Canolo nel territorio del comune di Mammola. La vicenda da cui è nata l’idea risale
al lontano 2003. Dopo vari sopralluoghi di agenti di imprese nazionali ed internazionali, i
quali avevano intuito le grandi potenzialità che l’Aspromonte poteva offrire in fatto di energie
rinnovabili, l’allora presidente del Parco d’Aspromonte, Tonino Perna, aveva convocato diversi
sindaci dell’area aspromontana. Nacque inizialmente un patto tra quindici comuni ed il Parco
chiamato “Alleanza dei figli di Eolo”. Nello stesso periodo, all’interno del Consiglio direttivo
del Parco, alcuni consiglieri avevano espresso il desiderio di occuparsi seriamente della questione delle energie rinnovabili. Maturò così l’idea di dar vita ad una società denominata Eolo
21 SpA dal sindaco di Mammola Antonio Longo.98 La società, inizialmente, era formata da
sette comuni (Mammola, Canolo, Cittanova e San Giorgio Morgeto) ed il Parco d’Aspromonte
che allora aveva la quota maggioritaria poi venduta al Gruppo ICQ di Roma (che ora ha una
partecipazione del 49%). Canolo, Cittanova e San Giorgio Morgeto. L’attuale obiettivo della
società la realizzazione di circa 180 MWe eolici e 10 MW alimentati a biomasse e piccoli idroelettrici per un investimento previsto di euro 120.000.000,00.
98 Da notare che Mammola è stato uno dei pochi comuni che ha fatto tesoro dei finanziamenti dei POR Calabria 2000/2006
che riguardavano il risparmio energetico, con cui il comune ha portato avanti dei lavori di ammodernamento della rete di illuminazione pubblica, sostituendo tutti gli apparecchi illuminanti con altri a basso consumo energetico.
124
9. Aprire una seconda fase:
rinnovabili e sviluppo locale
In questi 15 anni, lo sviluppo dell’energia eolica e delle altre rinnovabili è avvenuto quasi
esclusivamente a seguito della diffusione sul territorio di grandi impianti industriali. Impianti di grande taglia sono presenti in 260 dei 374 Comuni dell’eolico. Oggi, aprire una seconda
fase della diffusione dell’eolico e delle altre rinnovabili, significa avviare una programmazione
capace di disegnare un modello che non sia costituito esclusivamente da impianti di grandi
dimensioni.
Il modello di energia verso il quale dobbiamo tendere è quello di un modello energetico distribuito, non fatto solo da grandi impianti, ma anche da piccoli impianti distribuiti sul territorio.
La tecnologia ci aiuta in questo, perché ormai oggi esistono degli aereogeneratori altri 1 metro
e ½ - 2 metri che si possono montare sul tetto di casa, sulla terrazza o lungo le nostre vie.
L’evoluzione tecnologica va avanti e il modello deve essere distribuito perché l’energia prodotta,
se consumata sul posto, elimina tutta una serie di problemi: dalla perdita di carica dovuta al
trasporto, al sovraccarico della rete e, quindi, allo stand by degli impianti e al dispacciamento.
Ma, soprattutto, consente due fattori importanti:
1. che si muove tutta un’attività economica intorno a questo tipo di energia distribuita sul
territorio;
2. che gli incentivi che ci sono possono essere messi a frutto in un quadro più ampio, mi riferisco ad esempio agli imprenditori agricoli che in questo momento hanno necessità anche di
poche migliaia di euro all’anno per mantenere il paesaggio e le aziende agricole in esercizio.
La politica per essere saggia per il nostro territorio dovrebbe favorire l’installazione massiccia
delle rinnovabili a basso impatto, quindi di piccole dimensioni, distribuite al massimo sul
territorio. La politica dovrebbe consentire, attraverso accordi fatti con il credito, attraverso un
fondo di rotazione o comunque uno strumento finanziario, agli agricoltori di avere un prestito
a basso tasso o a tasso quasi nullo, per installare impianti eolici o fotovoltaici, in modo che lo
possano restituire nel momento in cui il GSE gli ridà il contributo, dal momento che l’impianto
è entrato in funzione. Chiaramente, questi sono soldi che passano attraverso gli incentivi e che
derivano dalla bolletta dei cittadini e che sarebbe corretto che venissero reimpiegati per queste
questioni (Flavio Morini, ANCI e Scansano).
È, dunque, importante proprio per le caratteristiche del territorio italiano, approfondire
anche l’opportunità di aerogneratori di dimensione ridotta, che risultano più facilmente in-
125
Energia eolica e sviluppo locale
tegrabili rispetto a quelli di grande taglia in aree agricole estensive ed anche insediamenti
artigianali/industriali.99
È pensabile un coinvolgimento attivo con una ricaduta che non sia solo sui proprietari dei
terreni come avviene adesso, nel caso del mini eolico, che potrebbe avere un certo sviluppo e
soddisfare delle esigenze locali. C’è un incentivo molto buono e siamo solo agli inizi di questa
tecnologia. Per questo si potrebbe vedere un ruolo attivo perché consentirebbe di produrre energia a coloro che la consumano direttamente, come realtà dell’agricoltura o della piccola e media
industria (Gianni Silvestrini, Kyoto Club).
Oggi, sono 123 i Comuni che possiedono nel proprio territorio impianti minieolici, cioè
torri di potenza sotto i 200 kW, per una potenza complessiva di 4,2 MW (Legambiente,
2011:63-64). I notevoli progressi nella sperimentazione realizzati nel Nord Europa hanno
permesso di verificare la fattibilità tecnico-economica anche in aree con condizioni di vento
medie, dove si può soddisfare il fabbisogno di una domanda di energia diffusa nel territorio,
con investimenti che in pochi anni diventano competitivi e la possibilità di creare una filiera
di aziende agroenergetiche e artigianali. Per arrivare così a sviluppare un modello energetico
innovativo, che in parte utilizza/consuma direttamente sul posto l’energia prodotta e in parte
la interscambia in rete.
Per quanto riguarda l’estero: in Germania si fanno molti più parchi eolico, ma più piccoli e
quasi mai in project financing. Vanno in banca, chiedono il prestito, non devono costituire una
società dedicata a quel parco eolico. Ad esempio, un grosso consorzio agricolo che decide di
installare tre turbine, va in banca e si fa finanziare. Siccome c’è certezza di quanto guadagneranno per i prossimi 15 anni, la banca li finanzia perché c’è stabilità. I parchi eolici in Germania
sono più piccoli perché ci sono anche degli investitori privati che lo fanno, che vedono una
convenienza nel fare questo. In Germana ci sono parecchi agricoltori che si consorziano per
costruire un parco eolico. Le banche locali tedesche certamente supportano il business (Carlo
Schiapparelli, REpower).
A noi piacerebbe avere tante piccole torri eoliche – minieolico – disseminate nelle nostre imprese oppure disseminate sul territorio per creare energia spendibile localmente per lo scambio sul
posto o attraverso delle reti che guidino delle possibilità di uso. Anzi, questo potrebbe essere un
elemento apprezzabile di valorizzazione dell’insediamento sul territorio. Abbiamo anche cercato
in qualche occasione di costruire qualche buon rapporto con dei soggetti disponibili. Magari
poter sviluppare questa tecnologia nelle imprese agricole o comunque sul territorio (Stefano
Masini, Coldiretti).
Nel caso del mini e micro eolico, i vantaggi di integrazione nel paesaggio sono evidenti,
perché stiamo parlando di una o due torri di piccole e medie dimensioni integrate all’interno
di attività compatibili. Chiari sono anche i vantaggi energetici, legati ad un approvvigionamento rinnovabile e diffuso, riducendo così la produzione da fonti fossili, ma anche la necessità di grandi reti di distribuzione.
99 In Italia, dall’inizio del 2009 (Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 18/12/2008), è stato introdotto l’incentivo di € 0,30/kwh (tariffa onnicomprenisva) per l’energia messa in rete dagli impianti eolici fino a 200kW (mini-eolici), entrati
in esercizio dopo il 31 dicembre 2007. L’incentivo, la cui durata è di 15 anni, è un’alternativa ai certificati verdi e allo scambio
sul posto. Al termine di questo periodo, l’energia elettrica prodotta sarà remunerata alle condizioni economiche previste dall’art.
13 del Decreto Legislativo 387/03. Per mantenere la congruità della remunerazione, la tariffa onnicomprensiva potrà essere
variata ogni 3 anni tramite decreto del Ministero dello Sviluppo Economico.
126
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
Noi siamo convinti che nell’eolico la fase dei grandi impianti finirà. Era ed è una fase necessaria
perché ha consentito una industrializzazione massiccia dell’eolico, del fotovoltaico e delle altre
energie rinnovabili. Oggi, se un pannello costa il 50% in meno rispetto ad un anno fa, è perché
la produzione è aumentata del 100%. Quest’anno avremo quasi 15 GWh di potenza prodotta,
15 volte tanto rispetto a 4 anni fa. I costi si sono abbassati. Questa fase dei grandi impianti
era necessaria. A breve questa fase andrà a scemare, se non a terminare, anche perché in tutti
i paesi gli incentivi per i grandi impianti andranno a declinare, mentre il privato sarà sempre
più incentivato a fare piccoli impianti. Quindi, noi diciamo: bene i grandi impianti, grazie agli
incentivi, ma ora iniziamo anche ad orientare gli investimenti verso questo tipo di impianti,
orientando maggiormente gli incentivi verso i piccoli impianti. Questo è sicuramente il futuro
che noi ci aspettiamo. Minieolico, minifotovoltaico, la biomassa da filiera corta, i piccolissimi
impianti da biogas che hanno un futuro enorme anche per il disinquinamento delle aree. Tutte
le fonti hanno le potenzialità per i piccoli impianti. Oramai i piccoli motori Sterling ad alto
rendimento da 3-5 kW condominiali sono una realtà e saranno il prossimo passo. Ad oggi, per
i condomini si è fatto poco e il nuovo conto energia prevede degli incentivi per i condomini,
anche se non sarà facile, ci vorranno anni, perché sappiamo le difficoltà con cui si prendono le
decisioni a livello condominiale. Però, ad esempio, le caldaie a condensazione per il riscaldamento centralizzato. Comunque, la tecnologia sta andando verso una miniaturizzazione degli
impianti, per cui di sicuro arriveremo ad una generazione distribuita molto facile da fare (Domenico Belli, Greenpeace).
Ma, aprire una seconda fase dello sviluppo dell’eolico e delle altre rinnovabili non significa soltanto promuovere la diffusione capillare di micro e mini impianti, ma soprattutto
cercare di collegare in modo veramente sinergico lo sviluppo di queste tecnologie con le
dinamiche di sviluppo locale dei territori, nella convinzione che l’accettabilità sociale delle
rinnovabili dipenda dalla capacità che queste hanno di integrarsi con le specificità, le vocazioni e i settori produttivi territoriali.
L’energia eolica svolge un ruolo decisivo… ma proprio perché stiamo ragionando di impianti
che hanno un impatto sul paesaggio dobbiamo individuare soluzioni efficaci per integrare gli
impianti nel territorio, capire le accortezze e i limiti nelle aree più delicate. Sono proprio le
aree interne montane, i centri cosiddetti minori, i piccoli comuni, gli ambiti dove questa sfida
è più delicata e avvincente. È infatti necessario dialogare e interagire con le realtà territoriali,
perché lo sviluppo di impianti eolici può essere una concreta opportunità per riportare servizi e
far sopravvivere usi e culture agricole, ma può rivelarsi anche un rischio e un impatto gravissimo
per il paesaggio. Per questo occorre superare i limiti di questa prima fase “pionieristica” del
processo di diffusione dell’eolico in Italia e evitare errori dovuti alla mancanza di regole e alla
forza degli interessi economici (Realacci, in Zanchini, 2002:9).
9.1 Rinnovabili e sviluppo locale
Il concetto di “sviluppo locale” e, parallelamente, di “buone pratiche” per lo sviluppo
locale è entrato ormai a far parte del linguaggio corrente. La letteratura in materia ha individuato diversi “modelli” di sviluppo, sovente interrelati tra loro: tra i principali è possibile
ricordare lo “sviluppo economico sostenibile” o “autosostenibile”, lo “sviluppo endogeno”,
lo “sviluppo integrato”, lo “sviluppo sociale”, lo “sviluppo dall’alto” (top down) e lo sviluppo
dal basso (bottom up), ovvero, per l’appunto, lo sviluppo locale in senso proprio. In quest’ultimo caso è di norma prevista la partecipazione e/o il coinvolgimento di una pluralità di
attori pubblici e privati, partecipazione finalizzata alla individuazione di percorsi di sviluppo
integrati (e relativi strumenti di attuazione), ovvero coerenti con le potenzialità e le risorse
127
Energia eolica e sviluppo locale
locali, siano esse economiche, naturali, umane e, in generale, territoriali. Lo sviluppo locale,
per essere sostenibile, duraturo ed effettivo deve nascere dal pensiero, dalla scelta partecipe
e dal coinvolgimento attivo delle popolazioni locali, delle comunità locali, che si prendono
nelle mani – attraverso la scelta consapevole di gestire le proprie risorse – il proprio futuro.
In questo senso, un progetto di sviluppo locale deve saper cucire con il filo della specificità
territoriale materie diverse fra loro come l’agricoltura e il turismo, l’industria e i cambiamenti
climatici, le energie rinnovabili e la biodiversità, l’accessibilità locale e i servizi di interesse
generale, l’interconnessione con le reti e l’innovazione, la formazione e la ricerca, la diversità
culturale e la capacità di connettersi con il mondo globale.
Lo sviluppo diffuso sul territorio dell’eolico e delle altre rinnovabili, quindi, può collegarsi in maniera stretta con lo sviluppo locale, può esserne una delle leve, dei driver, ma occorre
innanzitutto che il territorio sia considerato come un giacimento patrimoniale a molti livelli:
ambientale, territoriale, energetico, produttivo e culturale. In questo modo, può risultare
evidente che le caratteristiche e le potenzialità dei mix energetici dei territori sono differenti
a seconda delle specifiche condizioni ambientali di contesto, della composizione sociale, del
sistema produttivo e dei consumi.
Quello che cerchiamo di segnalare – in perfetto accordo con UNCEM – è che occorre creare delle
reti/sinergie locali, perché sappiamo che il territorio ha delle specificità diverse anche a soli
pochi chilometri di distanza. Quindi, è giusto creare delle aree, anche non omogenee territorialmente, ma di compensazione e di fruizione in loco del consumo energetico. Noi proponiamo un
mix energetico con impianti distribuiti sul territorio, stressando la componente di distribuzione
(Giada Maio, ANCI).
L’Italia è un paese fatto anzitutto, e soprattutto, di montagne, di coste, di isole, di
ruralità, oltre che di città medie e di città grandi. E, quindi, di diversità, di complessità, di
esigenza di analisi e comprensione mirata alle specificità territoriali, che tenga conto delle
reali vocazioni e delle potenzialità delle diverse fonti rinnovabili presenti su ciascun territorio e suscettibili di sfruttamento (valutazione e definizione delle potenzialità energetiche
territoriali e identificazione degli ambiti territoriali). Purtroppo, al momento mancano studi
locali, infraregionali, in grado di individuare i bacini territoriali alla scala giusta (non può
essere dato per scontato che sia quella del singolo comune) per capire quale può essere il mix
energetico (energy modeling o diagnosi energetica del territorio) di ciascun bacino.100
I bacini sono tutti diversi. In uno c’è il mare, in un altro la montagna, in un altro ci sono i
boschi, l’altro ha le città. Ho lavorato un po’ di anni fa per il Contratto di Fiume dell’Olona, e
facendo gli studi per un progetto di riqualificazione del fiume, del sistema fluviale, è venuto
fuori che la metà della portata che riguarda il deflusso vitale minimo in estate è data dai reflui
urbani. Questo vuol dire che se tolgo i reflui urbani il fiume non esiste. Di conseguenza, devo
pensare ad un sistema di depurazione che non sia composto dai grandi depuratori, ma da una
piattaforma di quartiere tra Varese e Milano in cui io costruisco un sistema “di digestione” dei
reflui. Bisogna iniziare a pensare al territorio come ad un produttore di energia. Una cosa che
non si può fare in astratto, in astratto si può fare una centrale nucleare, così come una centrale
eolica, cioè posso fare un qualcosa in astratto che mi mette in rete l’energia e poi la distribuisce
ai vari territori. Se io devo pensare ad una produzione “locale” di energia, soprattutto legata ad
100 L’UNCEM sta accompagnando alcune comunità montane locali nell’elaborazione delle linee guida per lo sviluppo sostenibile che riguardino le funzioni fondamentali di gestione e valorizzazione del territorio, dentro le quali la partita energetica è un
driver fondamentale, coniugata al tema dei servizi ambientali.
128
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
un tema di sviluppo locale, devo innanzitutto modificare l’analisi territoriale, integrandola con
un’analisi delle potenzialità energetiche viste in modo integrato (Alberto Magnaghi, Università
di Firenze).
In questi ultimi 10 anni, lo sviluppo delle rinnovabili è stato guidato dal mercato, cioè
da investitori e gruppi imprenditoriali privati che liberamente hanno scelto siti, potenze,
modalità realizzative, senza che ci sia stata una vera politica di indirizzo e di pianificazione
territoriale da parte degli enti locali (Regione, Province, Comunità Montane, Unioni dei Comuni e Comuni), con l’individuazione delle aree-bacino ottimali, delle compatibilità ambientali
o delle tipologie costruttive degli impianti.
Di fronte a noi c’è un campo completamente libero, per cui arriva l’imprenditore e presenta
un progetto per un parco eolico nel mio comune e mi trovo a prendere quello che mi vuol dare
perché altrimenti se ne va. Quindi, devo stare al “buon cuore” dell’imprenditore, se ci tiene o
meno al territorio e ha voglia di sviluppare qualcosa insieme “ai locali”. Non c’è una legge che
tutela i nostri territori. La Regione in qualche modo con i PRIE aveva dato almeno la facoltà di
scegliere se fare o non fare eolico. Tutto questo è venuto meno, perché la Corte Costituzionale
ha detto che quella legge regionale è nulla. E ripartiamo. La Regione ha fatto le linee guida
nuove che alcuni imprenditori hanno già contestato. Ci rimettiamo a giocare un’altra volta, ma
intanto il tempo passa e il metro di valutazione se funziona l’eolico al Sud, è vedere a Rocchetta, piuttosto che a Roseto o a Bovino, l’andamento demografico nell’anno 2010. Se questi
comuni continuano a perdere abitanti, vuol dire che con tutta la buona volontà che ci stiamo
mettendo, la gente continua ad andarsene e, quindi, grossi frutti non ne abbiamo portati. Questo è il nocciolo della questione. Siamo partiti con delle buone intenzioni, ma alla fine stiamo
rimasti con il 3–4 % di royalty al Comune. Questa grossa opportunità che aveva l’Appennino
Meridionale la vedo persa, ma non l’ha presa neanche la nazione, perché chi produce le pale
viene da fuori e la maggior parte dei fondi di investimento sono stranieri. Quindi, a noi che
rimane? (Michele Dedda, Bovino).
Il punto di caduta di tutta questa situazione, è che l’ente locale – se anche si svincola
da situazioni poco lineari e assume su di sé il giusto ruolo di programmazione e controllo del
territorio, ma anche di utilizzo delle opportunità che il territorio ha, magari dimensionandolo
con altre amministrazioni locali limitrofe e/o sovraordinate - oggi si trova nelle condizioni di
non conoscere quali sono le progettualità che insistono sul proprio territorio o cosa la Regione decide o cosa decide e presenta il privato, e molto spesso si scopre privo, oltre che di competenze tecniche, anche di reali poteri decisionali in materia di programmazione territoriale.
Secondo me, al di là delle esperienze più o meno “virtuose” di tutti i Comuni, e dei rapporti problematici con le società, credo che noi, in quanto sindaci, dovremmo recuperare intanto un ruolo. Tutti frequentiamo dei partiti, abbiamo rapporti con rappresentanti degli enti sovraordinati,
presenziamo in organismi di rappresentanza come l’ANCI, ebbene oggi non riusciamo, al di là di
alcuni sfoghi che facciamo, ad incidere sugli aspetti fondamentali di questa materia. Questa è
una cosa che dovremmo almeno tentare di fare. È probabile che nelle “alte sfere” non si terrebbe conto di questo tentativo, però il dato di fondo è che noi non lo facciamo. Il primo grosso
problema del nostro territorio non è il rapporto con gli operatori, ma che ci mancano gli strumenti normativi per poter incidere in questa vicenda. I Comuni non rilasciano le autorizzazioni,
partecipano alle Conferenze di Servizio, ma soltanto per esprimere dei pareri non vincolanti.
Non hanno più nemmeno la facoltà e la capacità di programmare il proprio sviluppo territoriale
perché se prima questo avveniva attraverso i PIR e i PRIA, adesso è stata superata pure questa
fase. Oggi, le decisioni sono sempre più complesse e noi non possiamo decidere dove vogliamo
129
Energia eolica e sviluppo locale
che le torri vengano installate e dove invece vogliamo che il nostro territorio abbia un’altra
vocazione. Tutti quanti possiamo fare i piani regolatori e decidere la direzione di sviluppo del
territorio, ma nel caso dell’energia non lo possiamo fare. Il fatto che non si possa pensare “oltre” è un’assurdità. Quando qualcuno parla della nostra posizione di svantaggio contrattuale
nei confronti di chi vuole fare eolico nel nostro territorio, non si riferisce soltanto all’aspetto
economico, si riferisce anche all’aspetto funzionale delle competenze. Ad esempio, non c’è un
canale privilegiato nel caso in cui il proponente di una iniziativa eolica fosse un ente pubblico.
Addirittura, oggi si sostiene che i Comuni non possono più fare energia. Non possiamo decidere
la nostra pianificazione territoriale, ci hanno ridotto o negato la possibilità di fare società miste
che potevano essere una soluzione per fare energia e scegliere l’operatore. Se fai un bando per
cercare un partner privato, puoi promuovere lo sviluppo territoriale con il coinvolgimento di un
soggetto che presenta delle caratteristiche e dei requisiti che scegli, il quale giocoforza deve
anche condividere le finalità di pubblico interesse. Ma, nemmeno questo si può fare. Avremmo
bisogno di consulenti e di energy mananger nei nostri comuni, ma noi non abbiamo piante
organiche che sono in grado di poter gestire questo fenomeno. I nostri uffici tecnici fino a 5-6
anni fa facevano permessi “a costruire” per abitazioni, molto spesso non superiori ai due piani
e si sono ritrovati di fronte a fenomeni che non hanno la possibilità di governare. Ammesso che
abbiamo le risorse, non possiamo dotarci di consulenti perché la normativa lo vieta o riduce
questa possibilità ad un massimo del 20% della spesa pregressa. Quindi, innanzitutto dobbiamo
evidenziare queste problematiche che attengono ai poteri dell’ente locale per poi recuperare
un ruolo politico nei confronti di chi le norme le deve fare. Ad esempio, le ultime Linee guida
regionali sono state fatte in fretta perché c’era la scadenza del 31 dicembre dettata dalle linee
guida nazionali, però sono state fatte in maniera unilaterale. Non sono stati sentiti né l’ANCI
né i Comuni. Il governo regionale non vuole che si faccia più eolico e non a caso le linee guida
vanno in senso restrittivo, bypassando anche il volere delle amministrazioni locali. In questo
modo, siamo esposti al solito ricatto per cui dobbiamo cercare di prendere quello che si può e
non fare quello che invece vorremmo (Gianfilippo Mignogna, Biccari).
È chiaro che in queste condizioni la diffusione dell’eolico e delle altre rinnovabili sul
territorio non si è realizzata sulla base di un’analisi integrata delle potenzialità locali collegate alle caratteristiche e dinamiche dello sviluppo locale. Le decisioni territoriali sono
state governate esclusivamente dalle imprese attive nella produzione di energia. Sui territori
sono arrivati dei soggetti esterni, in molti casi imprese multinazionali, attratti dalla possibilità di sfruttare la disponibilità di vento e di incentivi generosi, realizzando un impianto
eolico industriale. Pertanto in questi ultimi 15 anni nell’eolico (ma, spesso anche nelle altre
rinnovabili, si pensi, ad esempio, al fotovoltaico101, alle grandi dighe idroelettriche) è stata
privilegiata la dimensione del grande investimento industriale, in sostanziale continuità con
il modello energetico fordista basato su un sistema centralizzato, verticale e polarizzato in
pochi grandi/mega impianti.102
Finora il modello applicativo delle rinnovabili è stato deficitario rispetto alle premesse per un
mancanza di governance. Dai territori arrivano al FAI, come alle altre associazioni di tutela,
esposti da parte di cittadini che si difendono “contro” l’impianto sia di eolico sia di fotovoltai101 In Italia gli incentivi del conto energia sono stati distribuiti quasi per il 90% a grandi impianti fotovoltaici a terra di
potenza superiore ai 20 kWp, quindi esclusi dallo scambio sul posto, che molto spesso hanno devastato il paesaggio o addirittura provocato l’espianto di vigneti e oliveti. “Gli incentivi, tra le difficoltà burocratiche, le complicazioni sul consenso sociale,
sono andati solo a favorire i grandi gruppi che avevano il tempo e la capacità di supportare investimenti per 4-5 anni in attesa di
un’autorizzazione, di ungere e ruote, perché dopo c’erano incentivi straordinari. Invece, hanno scoraggiato i piccoli” (Tommaso Dal
Bosco, UNCEM).
102 Anche l’energia nucleare, fattore rischio a parte, è ancora legata a una fonte destinata a un rapido esaurimento (come
petrolio e metano) e a un impianto ipercentralizzato, che richiede addirittura una militarizzazione preventiva del territorio.
130
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
co, quando si tratta di impianti abbastanza estesi. Questa è una sconfitta da registrare, perché
è evidente il fatto che non sia riusciti a far passare, a governare, questa grande novità e oggi
si arrivi ad avere invece l’opposizione da parte delle popolazioni. Questo vuol dire che qualcosa
non ha funzionato. Noi che cosa vediamo non di buon occhio? Il fatto che il modello dell’eolico
che ha la meglio sia “fordista”, quindi fatto di grandi impianti industriali. Questa, però, è
la stessa politica di qualsiasi altro impianto, cioè di un progetto avulso dal suo territorio che
per motivi strettamente economici viene insediato, ma che rispetto ad altri impianti produttivi
non ha neanche il “plus” della forza lavoro. Crediamo invece che sia su un modello diverso
che si dovrebbe iniziare a procedere. Un modello che parta dalle popolazioni locali, lavori sulla
progettazione, sulla qualità del progetto e sul buon senso di avere o non avere un impianto, e
di quale tipo, in quella località. Una prospettiva che rimanda al “tema del progetto” e di non
avere un corpo estraneo sul territorio (Costanza Pratesi, FAI).
Ancora quasi del tutto inesplorata è la possibilità di applicare all’eolico e alle altre rinnovabili il modello postfordista dello sviluppo locale, della specializzazione flessibile e del
sistema a rete basato su una molteplicità di piccoli e medi impianti diffusi e distribuiti sul
territorio laddove sono disponibili le risorse energetiche.
Il passaggio dall’era dei combustibili fossili a quella delle energie rinnovabili, o anche solo la
sua promozione, impongono un cambio di paradigma. L’economia degli idrocarburi è un sistema
centralizzato. È fatto di campi petroliferi e pozzi minerari distanti migliaia di chilometri dai suoi
utilizzatori finali, di oleodotti e gasdotti, di grandi petroliere, di convogli giganteschi e di navi
carboniere e metaniere, di raffinerie e centrali di generazione elettrica di grande taglia, di grandi
kombinat industriali, di elettrodotti ad alta tensione, di società di prospezione, di gestione e di
distribuzione, pubbliche e private, di dimensioni mondiali e di capitali proporzionati: un sistema
che produce sempre più centralizzazione, dispotismo e guerre; il trasporto e i suoi impatti costituiscono una quota crescente dei costi ambientali ed economici della filiera. La logica di un’economia
delle fonti rinnovabili richiede invece un sistema distribuito, che migliora la sua efficienza quanto
più è decentrato. Ogni comunità dovrà produrre, attraverso mix di fonti che variano da un contesto
all’altro, la maggior parte dell’energia che consuma e le reti di vettoriamento dell’energia elettrica
saranno asservite esclusivamente al riequilibrio tra le diverse utenze (Viale, 2011:10).
Il nostro auspicio è che si riesca a garantire attraverso le diverse fonti rinnovabili l’effettiva autosufficienza dei piccoli nuclei, perché il problema energetico è dato anche dalla perdita di energia
nella sua distribuzione. Quindi, la capacità, di volta in volta, di autolimentarsi consentendo una
efficienza nella produzione di energia. Per questo noi siamo favorevoli al micro-eolico o a impianti di misura mediana. Mi ricordo di aver visto in altri paesi europei, in Baviera, ad esempio,
quelle che sono chiamate centrali diffuse, ma questo modello può funzionare solo se è articolato
su più fonti di energia. L’eolico è un fonte di energia non continua e, quindi, non offre da sola
determinate sicurezza, ma all’interno di un sistema integrato di fonti rinnovabili può funzionare.
Attualmente, nelle rinnovabili l’iniziativa sta in capo al privato che va giù, progetta, negozia
realizza e gestisce. Investire sulla popolazione, costa. Quindi, non lo fa. Questo è un compito
che dovrebbe assumere il pubblico che dovrebbe aprire una discussione pubblica – un forum – su
quello che si vuole e si deve fare. Credo che l’ente locale possa assumere il ruolo di soggetto
catalizzatore in questa direzione, un po’ perché la dimensione comunale corrisponde anche a
quella della gestione del territorio e un po’ perché è più controllabile politicamente dato che il
sindaco è nominato ed eletto da chi sta sul territorio. Credo che si possa ragionare con sindaci
e amministratori locali illuminati su un piano di lavoro per riuscire a far sì che su un contesto
locale si possa andare a produrre energie da diversi tipi di fonte. Ad esempio, nelle zone agricole
si può utilizzare il biogas, riutilizzando i liquami degli allevamenti. Il modello italiano di centrale diffusa ancora non si ancora visto perché purtroppo, soprattutto sul fotovoltaico c’è sempre
131
Energia eolica e sviluppo locale
il problema legale della proprietà del terreno o della superficie su cui viene ad inserirsi e della
titolarità del soggetto che gestisce per conto di tutti il sistema (Stefano Leoni, presidente WWF).
Nel processo di riconversione da un’economia dipendente dalle risorse energetiche fossili
a un sistema maggiormente sostenibile, fondato sull’utilizzo crescente delle risorse locali, una
delle maggiori riserve energetiche a disposizione di una comunità, unitamente allo sfruttamento
delle fonti energetiche rinnovabili presenti sul territorio medesimo, è costituita dall’efficienza,
ovvero dall’uso razionale dell’energia. In questo senso le politiche nazionali ed internazionali
supportano l’uso combinato delle due strategie - efficienza consumi e fonti rinnovabili - per il
raggiungimento degli obiettivi di contenimento degli impatti sul clima dell’effetto serra.
Scenari di riduzione del contenuto di CO2 in emissioni correlate alla produzione
di energia
Fonte: OECD/IEA, 2008.
La transizione verso una produzione energetica maggiormente sostenibile è un obiettivo
strategico planetario, ma è materia complessa: le fonti energetiche fossili (carbone, petrolio
e metano) non sono facilmente sostituibili con nessuna delle fonti rinnovabili singolarmente
prese, la cui introduzione andrebbe collocata nel territorio, attraverso una corretta modulazione delle risorse e dei fabbisogni.
In questo quadro il nuovo concetto di l’interconnessione a livello locale con reti intelligenti e interattive, risulta un tassello fondamentale.
Un modello di questo genere può consentire effettivamente di legare lo sviluppo delle
rinnovabili allo sviluppo del territorio, favorendo anche l’integrazione della produzione di
energia con la “chiusura” dei cicli locali, incrementando così il livello di sostenibilità dello
stile di vita complessivo.
Investire in efficienza energetica e rinnovabili, oltretutto, costituisce una buona politica,
che può avere ripercussioni su diversi ambiti: può essere una risposta alla crisi economica,
non solo per le nuove filiere industriali, ma anche per ridurre la dipendenza dall’estero per
l’approvvigionamento energetico.
132
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
E se fosse proprio il territorio il laboratorio di una rivoluzione energetica incentrata sulle fonti
rinnovabili? A guardare quello che sta accadendo nei Comuni italiani sembrerebbe proprio di sì,
sono decine di migliaia gli impianti installati negli ultimi anni – piccoli, grandi, da fonti diverse
–, migliaia i progetti in corso di realizzazione, che stanno dando forma a un nuovo modello di
generazione distribuita. Impianti solari fotovoltaici, solari termici, mini idro-elettrici, geotermici ad alta e bassa entalpia, da biomasse e biogas, integrati con reti di teleriscaldamento e
pompe di calore: lo scenario cambia completamente rispetto al modo tradizionale di guardare
all’energia e al rapporto con il territorio. Ed è diverso perfino dalle “vecchie” rinnovabili italiane, il grande idroelettrico e la geotermia, quelle che dalla fine del 1800 hanno accompagnato la
prima industrializzazione del Paese. Eppure il dibattito pubblico sull’energia non sembra ancora
aver compreso la portata di questo processo e l’importanza di guardare al territorio per capire
come sviluppare le fonti rinnovabili. Per un riflesso condizionato qualsiasi ragionamento sembra
non poter prescindere da un approccio centralizzato e quantitativo, fatto di MW installati per
impianto. Ma questo modo di ragionare di energia risulta inevitabilmente datato, inadeguato
rispetto a un processo che apre delle strade assolutamente nuove. Se si ragiona delle attuali
tecnologie rinnovabili occorre partire dalle risorse presenti nei diversi territori, guardare alla
domanda di energia di case, uffici e aziende, per capire come soddisfare con le soluzioni più
adatte ed efficienti utenze collegate da una rete moderna che permette di scambiare energia
(Legambiente, 2010:4).
Per quanto riguarda il fotovoltaico sociale si stanno facendo alcune esperienze. Le amministrazioni locali mettono a disposizione delle aree loro, raccolgono le adesioni e i finanziamenti
dei privati, costruendo l’impianto fotovoltaico, la cui quota azionaria è divisa tra i cittadini.
Ad esempio, uno che vive in un centro storico non può farsi un impianto fotovoltaico sul tetto
di casa, ma può dare la sua quota parte equivalente a 3 kW al Comune che quando costruisce
l’impianto fotovoltaico a 10 km di distanza, gli gira l’1%, il 3% o il 5% di introito di quell’impianto. Ci sono un paio di comuni che stanno facendo questo. Anche Frosinone ci sta lavorando,
sta preparando il bando. Queste iniziative permettono a persone che vivono in contesti come i
centri storici di poter partecipare allo sviluppo e alla redditività dell’energia fotovoltaica. Queste
sono iniziative che ci piacciono molto perché noi come Greenpeace sosteniamo come principio
la generazione distribuita di energia, una capillarità nella produzione di energia. Questa è per
noi la vera rivoluzione energetica (Domenico Belli, Greenpeace).
In una logica di sviluppo locale, sempre maggiore attenzione deve essere dedicata dagli
amministratori locali all’integrazione tra più fonti sul territorio, come già succede in molti
Comuni per ottimizzare le caratteristiche del territorio e dare spazio adeguato, oltre all’eolico
e al fotovoltaico, anche alle biomasse e in generale alle agroenergie. Secondo Legambiente
(2011), oggi sono 7.661 i Comuni in Italia dove è installato almeno un impianto da fonte
energetica rinnovabile. Erano 6.993 nel 2010, 5.580 nel 2009, 3.190 nel 2008. In pratica le
fonti pulite che fino a 10 anni fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le
aree più interne, e comunque una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti
nell’94% dei Comuni. Sono 7.273 i Comuni del solare, 374 quelli dell’eolico, 946 quelli del
mini idroelettrico, 290 i comuni della geotermia e 1.033 quelli che utilizzano biomasse e
biogas. In particolare, escludendo i grandi impianti idroelettrici, sono 964 (circa il 12%) i
Comuni 100% rinnovabili, cioè che grazie ad una sola fonte rinnovabile (mini-idroelettrica,
eolica, fotovoltaica, da biomasse o geotermica) producono più energia elettrica di quanta ne
consumano, mentre sono 274 i Comuni che grazie a impianti di teleriscaldamento collegati a
impianti biomassa o da geotermia superano il proprio fabbisogno, e 27 quelli che superano
sia il fabbisogno elettrico che termico.
133
Energia eolica e sviluppo locale
Il contesto di intervento non deve essere solo un piano energetico tout court, ma un piano
territoriale che possa mettere in moto delle valenze positive, il cui impatto, cioè, è che si hanno degli attori territoriali che diventano molto attivi per sostenerlo. Voglio dire che il piccolo
comune determina un circolo virtuoso che va dai rifiuti all’energia, e questo lo fa diventare
un comune d’eccellenza. Dentro un contesto del genere, certamente le esperienze di energie
rinnovabili hanno un impatto di racconto e di sopportabilità più forte rispetto a “piazzarle lì”
senza un contesto. Se operi dentro il contesto è molto più facile ottenerne il consenso e magari
hai il comitato “pro” e non “contro”. Occorre tenere conto che l’obiettivo 20-20-20 impone un
richiamo ad una comunità nel creare una reazione o un’azione. Non può essere solo un ambito che viene toccato, ma uno deve cercare di mettere in moto più elementi. C’è un problema
anche di efficienze. Se in un Comune si apre la sfida di utilizzare il 30% dell’energia da fonti
rinnovabili, non si può non avere la raccolta differenziata dei rifiuti e così via. Quella comunità, quella realtà locale deve mettere in moto diverse cose per avere un’accettabilità forte, per
avere il comitato “pro” e non “contro”. Il tema, a mio avviso, è quello di riuscire a coinvolgere
le realtà, le comunità, le imprese di quel” territorio. Che cosa vuol dire coinvolgere una realtà
territoriale? Ad esempio, che quel Comune abbia non solo una ricaduta nel fare il marciapiede,
ma che si sappia che può spendersi”, perché usa energie rinnovabili. Bisogna mettere nella
“carta d’identità” di quella realtà comunale o intercomunale che le pale hanno una virtuosità
di ricaduta. Devono balzare ai primi posti nella classifica dei comuni dove si utilizzano energie
alternative. Però, non devono fare solo questa cosa. Se ci sono le pale bisogna fare in modo
che quel territorio possa essere spendibile perché ha una serie di altre azioni coerenti con lo
“sforzo” dell’eolico che sono degli indicatori dell’impresa virtuosa e di una storia comunitaria
virtuosa. Se si fa questo si può vendere il prodotto, l’abitare e tutto quello che si vuole in un
modo diverso con una ricaduta economica diretta e vera sugli attori di quel territorio, perché
l’energia costa meno, perché si creano dei nuovi posti di lavoro, perché dà una classificazione
al tuo prodotto che può andare meglio sul mercato. Se però questo non si fa, si avrà sempre un
conflitto forte con questi impianti (Franco Pasquali, Coldiretti).
Allo stesso tempo, però, occorre ricordare che i processi che concorrono a una riconversione del sistema economico in grado di portare il pianeta fuori dall’era dei combustibili fossili non si limitano al ricorso alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. Ne comprendono
molti altri, tra cui la dematerializzazione dei consumi, l’agricoltura biologica, la mobilità
flessibile, la cultura della manutenzione, etc.
Sono tutti l’esatto contrario delle “grandi opere” e delle produzioni di massa di tipo fordista
a cui i governi di tutto il mondo hanno cercato di affidare l’”uscita dalla crisi”; e richiedono
tutti un diverso tipo di regia. Perché sono interventi distribuiti e diffusi sul territorio, altamente differenziati, legati alla specificità degli ambienti e dei contesti sociali; per essere efficaci
richiedono, sì, risorse cognitive specialistiche – ormai largamente diffuse in segmenti specifici
di ogni comunità – ma soprattutto conoscenze pratiche del contesti sociali: conoscenze che solo
chi vive e opera al loro interno può avere. Richiedono informazioni e tecnologie disponibili a
livello globale, ma sono tanto più efficaci quanto più sanno adeguarsi alla dimensione locale
della produzione e del consumo (Viale, 2011:12).
Ragionare in modo integrato può consentire di andare nella direzione dello sviluppo locale, ovvero di considerare il territorio come un patrimonio energetico, di aria, acqua, suolo,
culture produttive, agricolture, cioè di tutti gli aspetti che connotano un modello integrato
di sviluppo locale, inserendo all’interno un driver energetico. In questo senso risulta evidente
che poiché gli impianti eolici si possono realizzare laddove il vento soffia davvero, che non è
ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta nel concorrere insieme alle altre rinnovabili
134
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
in un processo di riconversione energetica e non nel rappresentare l’alternativa, da sola, al
petrolio. Un’analisi integrata del potenziale energetico territoriale dovrebbe essere richiesta
alle Regioni, Province e Comuni, perché la loro risposta alla diffusione delle rinnovabili non
può continuare ad essere solo “difensiva”, tutta giocata sull’introduzione di sempre maggiori
vincoli all’interno di linee guida che identificano le aree non idonee, in modo da cercare di
limitare la libertà di fare impianti ovunque e di qualsiasi dimensione. Bisognerebbe superare
la visione “vincolistica” per andare verso una visione “progettuale”. Una visione che deve essere condivisa dalla platea dei portatori di interessi territoriali (autonomie locali e funzionali,
rappresentanze degli interessi, associazioni, imprese, istituzioni finanziarie, saperi e cittadini), mentre il vincolo lo fissa la Sopraintendenza.
In Puglia si disattende completamente l’obiettivo della VIA. Nella VIA, uno dei temi è l’aspetto
socioeconomico. Qui, viene fatta solamente sugli aspetti ambientali, sul vincolo. È ovvio che
un progetto sull’eolico industriale ha un peso socioeconomico, ma questo non viene per niente
valutato. Dire che un impianto eolico si vede è dire un’ovvietà, però dire che è ben fatto e in
più porta dei vantaggi, permette di introdurre dei “pesi”. La valutazione “ambientale” si fa
solo su aspetti “ambientali”. Liberi da vincoli sono dei territori che invece avrebbero necessità
di interventi molto più strutturati. In questa situazione, succede che tutti gli operatori si sono
concentrati su queste aree che già erano degradate e dequalificate, e le hanno ricoperte con
centinaia di impianti fatti per la sola ragione che lì si potevano fare. Questi territori hanno
la “fortuna” di non avere vincoli, e la sfortuna che per lo stesso motivo, nessuno li ha messi
“al centro” di un ragionamento. Comuni come San Severo, che sono privi di vincoli, e hanno
produzioni vinicole importanti, si trovano sommersi da centinaia di iniziative per il solo fatto
che sono un’area bianca in mezzo ad aree vincolate. Che senso ha? Se si lascia alle imprese la
totale libertà di presentare progetti nelle “aree bianche”, e chi arriva prima realizza, così si fa
un danno, perché lì non si avrà nessun vantaggio, perchè quel territorio non è stato veramente
coinvolto. La programmazione non si fa sui vincoli. Oltretutto una torre eolica è alta 100metri,
e allora che senso ha salvaguardare un’area a ridosso? Produci solo una “sperequazione”. Il
rischio è che tu posizioni le torri nei posti sbagliati, e penalizzi il comune vicino che è vincolato
(Giovanni Alessandro Selano, Holding Fortore Energia SpA).
Sull’eolico posso agire in due modi. O come abbiamo fatto la Puglia giocoforza, cioè fare delle
Linee Guida che dicono “qui no, qui no, qui no, restano queste aree, fate quello che volete”.
Lo stesso stanno facendo in Toscana, cioè prendono le Linee Guida nazionali e le specificano,
sottraendo una serie di aree di pregio, come le aree protette, alla localizzazione dell’eolico. Va
già meglio che dire “liberi tutti, mettetele dove volete”, però è chiaro che questo è un atteggiamento “difensivo” e non è programmatorio, non è progettuale rispetto al territorio. Il progettuale richiederebbe un ragionamento integrato sulle potenzialità di un mix energetico per micro
regioni. Qui abbiamo le valli appenniniche, le pianure, il mare. Non possiamo dire “la Toscana”,
la Toscana è tante cose, sono 52 i sistemi territoriali riconosciuti dalla Regione, ognuno dei
quali è diverso dal punto di vista delle potenzialità energetiche e soprattutto di come trattare
“il mix” (Alberto Magnaghi, Università di Firenze).
È necessario innescare un processo di condivisione delle scelte che miri al potenziamento delle
risorse locali attraverso il consenso. E per fare questo il primo passo da compiere è quello di
definire un quadro di conoscenze da trasmettere ad amministrazioni e a gente comune sulle
relazioni tra energia, ambiente e territorio nel nuovo contesto del libero mercato dell’energia.
In questo modo sarà possibile sviluppare al meglio le peculiarità dei luoghi nello sfruttamento
delle rinnovabili, dando vita ad una nuova identità ad antichi luoghi. Chi avrebbe detto, infatti,
fino a pochi anni fa, che un elemento naturale come il vento, così caratterizzante per alcune
135
Energia eolica e sviluppo locale
aree d’Italia, potesse divenire una risorsa economica? La storia ci sta offrendo la possibilità di
valorizzare la vocazione di aree spesso contraddistinte da una forte povertà, sviluppando un
nuovo senso di appartenenza. Ma per fare questo occorre un serio progetto di coordinamento del
territorio (a scala nazionale e regionale) che veda un’organica diffusione delle fonti rinnovabili
(Battistella, 201:71).
Mix vuol dire creare dei circuiti di produzione e consumo che sono adatti al territorio,
quindi più aderenti, sia come capacità produttiva che come consumo, alle peculiarità di ogni
sistema territoriale. E’ chiaro che costruire un sistema di produzione e consumo nel Tavoliere
Pugliese è diverso che sull’Appennino Dauno o sulla piana di Bari. Questo è ovvio per tutti,
però attualmente non si ragiona così. Il non affrontare il problema in questo modo, rende
impotenti tutti gli enti pubblici che hanno interesse a qualche forma di sviluppo locale. Se
non sono individuate, area per area, quali sono le ottimizzazioni possibili del mix, arrivano
le ditte che “comperano” i Comuni che magari sono in crisi perché devono pagare le spese
correnti e, quindi, tutto avviene in forme “pre-pianificatorie”.
Il petrolio non è diverso dal vento, però noi abbiamo le società spagnole che vengono qui, mettono le pale e se ne vanno. In realtà, il 70-80% degli impianti è un tentativo di corruttela verso
gli amministratori per poter far sì che l’autorizzazione riguardi una società piuttosto che un’altra. Per fortuna penso che gli amministratori siano abbastanza onesti e corretti da non cadere
in questo tipo di trappole. Ma, c’è un’arroganza fondata sull’uso delle leggi, per cui vengono a
mettere quello che vogliono. Quando c’è questo tipo di atteggiamento nei riguardi delle nostre
comunità, che è di emarginazione psicologica, politica, industriale, di che parliamo? È ora che
ci svegliamo e iniziamo a dire che qui c’è in atto un’emarginazione verso le nostre comunità che
sono già emarginate da secoli (Pasquale Murgante, Accadia).
Posso arrivare all’assurdo, come in Toscana, che a Pontedera essendo il vento sotto i 4ms, danno
al Comune il 2% in royalty, mentre se vanno un po’ più in alto lungo la valle gli danno il 7%.
Questo per dire che questa vicenda di Pontedera è simbolica per il Comune (Alberto Magnaghi,
Università di Firenze).
Occorre partire da un progetto di sviluppo socio-economico del territorio e deve essere
questo a guidare le scelte di settore nei vari ambiti. Altrimenti, se non si ha questo progetto
non si hanno neanche i parametri valutativi. Le Linee guida hanno dei parametri valutativi di
settore: quali sono le disponibilità di suolo, le quantità che si possono installare e poco altro.
Ma se si ragiona in questo modo non si riesce a riportare il ragionamento allo sviluppo locale.
Muoversi all’interno di una visione “progettuale” dello sviluppo delle rinnovabili in rapporto allo sviluppo locale comporta il trasferimento, a territori più o meno circoscritti e alle
comunità che li abitano, di larga parte delle responsabilità di governo dei processi economici
attualmente consegnate all’impresa e finanza privata. Questo, per un Comune o un gruppo di
Comuni significa dover svolgere un ruolo molteplice:
• svolgere servizi animazione socio-culturale e di supporto informativo, diffondendo le
informazioni sulle evoluzioni tecnologiche e sugli indirizzi politici e normativi in vigore
riguardanti lo svolgimento di attività economiche (dirette e indirette) per la produzione
di energia da fonti rinnovabili, le modalità autorizzative e di accesso alle agevolazioni, la
struttura produttiva del territorio locale;103
103 Concretamente, i comuni possono organizzare attività e iniziative finalizzate a coinvolgere la popolazione nelle operazioni
di trasformazione del territorio: convegni, escursioni nelle aree di trasformazione, stabilire punti di ascolto e di informazione
136
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
• essere un canale per veicolare e garantire risorse finanziarie altrimenti non mobilitabili;
• svolgere un ruolo di garante della trasparenza dell’iter di riferito a ciascuna domanda di
autorizzazione di nuovi insediamenti produttivi;
• essere un volano per promuovere nuove iniziative imprenditoriali attraverso la trasformazione del proprio modo di operare e di gestire il proprio patrimonio;
• essere fonte di legittimazione di nuove pratiche agli occhi della cittadinanza;
• essere nodo del coordinamento e della diffusione di pratiche replicabili, ancorché nate in
contesti locali e specifici, nei confronti degli altri territori o all’interno del territorio stesso;
• affiancare alle funzioni tradizionali della pubblica amministrazione quelle relative alle
politiche di sviluppo locale, promuovendo la partecipazione integrata di tutti gli attori del
territorio (autonomie locali e funzionali, rappresentanze degli interessi, istituzioni finanziarie, associazioni, imprese, saperi e cittadini).
Soprattutto, significa non “svendere il territorio” per “quattro soldi” di royalty/compensazioni, per provare a costruire dei progetti di impianti rinnovabili a capitale misto pubblicoprivato e/o con forme di azionariato diffuso tra i cittadini. Un forte radicamento pubblicoprivato della proprietà degli impianti consentirebbe di sviluppare politiche di sviluppo delle
rinnovabili molto attente alle potenzialità e ai bisogni del territorio. Per operare ci vogliono
imprese, vecchie o nuove, pubbliche o private, o miste, o cooperative, o sociali. In questa
dimensione, il carattere locale dell’impresa – o un suo radicamento a livello locale, ancorché
nel quadro di una rete a filiera lunga – è molto più importante delle dimensioni e per questo
può ritrovarsi in vantaggio.
Ma, il “terzo attore” di una redistribuzione del potere di governo dell’economia a livello
locale è la comunità stessa o, meglio, la “cittadinanza attiva”, attraverso le sue espressioni
organizzate – università e centri di ricerca, sindacati, associazioni professionali, scuole, parrocchie, volontariato, comitati civici, etc. – e il suo coinvolgimento diretto nelle iniziative
intraprese. È a questo livello che risiedono quei saperi diffusi di cui la popolazione è depositaria e sempre più, anche, fonte di elaborazione.104 Occorre cercare di esplorare strade nuove
e avanzate, promuovendo la crescita di un desiderio di auto-organizzazione delle istituzioni
locali e delle popolazioni, destinato ad alimentare una sempre più forte e impegnativa forma
di “imprenditorialità collettiva”. In questo senso, la costruzione di forme di partenariato
esprime:
• un’assunzione di responsabilità da parte dei gestori (enti o privati) degli impianti, delle
imprese del territorio e delle collettività locali;
• la volontà di ripartire in modo migliore i benefici della produzione energetica da fonti
rinnovabili sul territorio;
sui progetti in atto e sulle energie rinnovabili e sullo scenario energetico generale, mostrare possibili simulazioni di come può
apparire il progetto della centrale una volta realizzato.
104 Il modello oggi più diffuso di questo “trasferimento di poteri”, ancorché di dimensioni minime e di valore quasi esclusivamente esemplare, è forse rappresentato dai GAS: Gruppi di acquisto solidale. Sono associazioni volontarie di cittadini attivi
che si organizzano per saltare l’intermediazione commerciale – e i suoi costi – e per accedere in modo diretto ad acquisti di
qualità controllata: prevalentemente, ma non solo, in campo alimentare (prodotti dell’agricoltura biologica o di lavorazioni tradizionali). Nel promuovere la loro pratica mettono al lavoro e sviluppano nuovi saperi: quelli che permettono loro di esercitare
un controllo sulla qualità di ciò che comprano. Ma, al tempo stesso, stimolano un numero crescente in imprese agricole e di
trasformazione ad adeguarsi agli standard richiesti e, quindi, ad imboccare la strada di una riconversione ambientale. In questo
processo lo stimolo è reciproco: il produttore che apre la sua azienda alla verifica del consumatore, gli trasmette – trasmette
ad alcuni, i più disponibili a farsene coinvolgere - i suoi saperi e ne riceve a sua volta nuovi stimoli. Manca ancora, in questo
intreccio, il terzo attore: l’amministrazione locale. In alcuni, rari, casi comincia a fare la sua comparsa. Per esempio con i
farmers market e con la diffusione degli orti urbani. Ma se la promozione dei GAS, da iniziativa spontanea di gruppi ristretti di
cittadini attivi, venisse adottata da un’amministrazione locale, garantendo il coinvolgimento organizzato degli utenti, potrebbe
gradualmente coinvolgere un numero crescente di cittadini, favorire una vera riconversione del territorio agricolo circostante,
investire progressivamente altre produzioni: non solo, necessariamente, locali ma sempre caratterizzate da un rapporto diretto
con interlocutori che esprimono le esigenze di una comunità.
137
Energia eolica e sviluppo locale
•
la volontà di trovare soluzioni adeguate per favorire una più equa distribuzione della
ricchezza prodotta;
• la volontà di una più capillare diffusione delle innovazioni.
Sulle rinnovabili il ragionamento che si dovrebbe fare è quello più complessivo dello sviluppo
locale, per ricondurre il loro sviluppo sul territorio all’interno di un progetto più complessivo di
sviluppo locale. In questo modo, si dà la possibilità alle popolazioni locali di prendere parte
effettivamente al processo, al limite solo in termini di distribuzione dei benefici economici
dell’iniziativa. Il problema è che ormai c’è una finanziarizzazione esasperata in tutti i settori.
L’altro giorno sono andato da un sindaco che ha avuto una proposta, perché qualcuno ha saputo
che dovevano ampliare il cimitero. Unicredit gli ha detto che glielo fanno loro, basta che il Comune sottoscrive un mutuo ventennale. Questo sindaco, con tutti i parametri di stabilità, non
può accendere mutui, però quelli di Unicredit gli hanno detto che loro una soluzione la trovano.
La sesta potenza del mondo deve fare i cimiteri in project financing? Qui, c’è il buco nella vasca
e i fa finta che non c’è… Nelle valli del Tirolo hanno fatto degli interventi molto piccoli per la
produzione di energia idraulica che sono stati finanziati attraverso l’azionariato popolare. Quindi,
ci sono cittadini che non solo non pagano la bolletta, ma a fine anno ricevono anche un dividendo. Questa è una logica che va nella direzione dello sviluppo locale. Se deve esserci sviluppo
locale è chiaro che innanzitutto deve essere la popolazione locale a trarre vantaggio da queste
operazioni. Giustamente, chi fa tecnologia deve avere il suo ritorno, però anche la popolazione
non può non avere il suo. Questo, secondo me, è il problema, perché qua non scatta la molla?
Non c’è dubbio che questo è un affare e che per alcuni diventa anche l’affare del secolo, ma
vogliamo distribuirlo in maniera più diffusa? Oppure stiamo sempre tra i Guelfi e i Ghibellini. Non
sono d’accordo con i Ripa di Meana nel merito – loro sono dei fondamentalisti perchè dicono no
a priori -, però il ragionamento dietro c’è. Perché mai in questa operazione deve guadagnarci uno
solo, l’operatore economico? Bisognerebbe fare un ragionamento di questo tipo. Se riusciamo a
fare questo saltino si riuscirebbe davvero a mettere in moto un percorso che riterrei accettabile.
Bisogna, però, coinvolgere veramente la popolazione e non mettere in piedi dei finti processi
partecipativi solo per far ingoiare quello che è già deciso. Mi rendo conto che una partecipazione vera fa perdere tempo all’operatore economico, però questo può essere messo nel bilancio
d’azienda, tenendolo in conto dall’inizio. Con il consenso si può andare pure più lontano, col
tempo si può aumentare la potenza dell’impianto, altrimenti comincia una guerriglia che secondo
me non ci porta più da nessuna parte. In questo senso prevedere anche forme di azionariato
popolare può essere buona soluzione (Paolo Berdini, Università di Roma Tor Vergata).
Ci sono esperienze di azionariato popolare. Ad esempio, c’è il Comune di Peccioli (PI), in Val
d’Era, che ha fatto una società pubblico-privata con azionariato popolare e l’ha fatta per l’uso
di una tecnologia di recupero di gas da una discarica e adesso pensano di trasferirlo sul fotovoltaico, sull’eolico, etc. Quasi tutte le iniziative energetiche “sono “esogene” nel senso che il
territorio prende dei soldi, ma poi non decide nulla, non ha possibilità di governo. Qui si sta
riproducendo quello che è stato in Italia la follia delle Aree di Sviluppo Industriale (ASI) dove
ogni comune ha voluto la sua per incamerare gli oneri di urbanizzazione. Che cosa abbiamo
creato? Un disastro, un’occupazione di suolo pazzesca, diseconomie perché queste aree si devono poi collegare all’autostrada, superstrade, cioè delle diseconomie di lungo periodo. Sulle
energie rinnovabili stiamo andando nella stessa identica direzione e cioè ogni Comune contratta
o viene contrattato dalle ditte e ogni comune ha il suo impianto eolico. In Val D’Era una unione
di Comuni sta tentando di ragionare - essendoci questa esperienza di Peccioli sull’azionariato
popolare - a livello di valle sia per la localizzazione ottimale e sia per la redistribuzione dei
vantaggi. Però se non c’è una proprietà dei Comuni degli impianti, un meccanismo diverso da
quello della ditta che tratta con il singolo comune e con il singolo agricoltore, tutto questo
meccanismo non si riesce a mettere in piedi (Alberto Magnaghi, Università di Firenze).
138
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
Se il meccanismo è esclusivamente quello delle royalties, è evidente che il singolo Comune (salvo casi eccezionali) non è in grado di incidere veramente o riuscire a fare un suo
piano. Ci vuole un progetto in cui il Comune o un gruppo di Comuni predispone un piano energetico territoriale complessivo, anche introducendo degli elementi di innovazione rispetto a
piano regionale e provinciale sulla base delle potenzialità che possono emergere dallo studio
del mix locale e che il piano regionale/provinciale può non aver considerato del tutto o in
parte. Il territorio locale - e la sua filiera istituzionale fatta di Comune, Comunità Montana e
Provincia - può cercare di “governare” il processo solo se riesce a riportare la produzione di
energia all’interno del progetto di sviluppo locale. Un approccio “progettuale” da parte del
territorio locale può essere la chiave per un “risveglio dell’economia margine che scopre la sua
modernità” (Rullani, 2009). Grazie a questa forza, e non solo alle opportunità (contingenti)
del mercato, si può avviare un processo di innovazione diffusa in territori marginali, che in
precedenza potevano essere al massimo considerati aree deboli, l’”osso”, appunto: da sostenere in base a criteri perequativi assistenziali, rispetto alle aree “centrali” più produttive (la
Il progetto di distretto energetico vento-legno della Comunità Montana di Camerino
Il PEAR (Piano Energetico Ambientale della Regione Marche) nel differenziare in modo oggettivo
(tecnico-economico) l’effettivo contributo delle varie fonti energetiche rinnovabili, reputa le biomasse e la fonte eolica tra quelle in grado di incidere a breve sul bilancio energetico regionale, favorendo
peraltro le aree interne, rispetto a quelle che invece, seppur considerate strategiche, necessitano di
tempi attuativi più lunghi come l’energia solare-fotovoltaica e la geotermia b-t più adatte a contesti
agricoli e/o urbani. La Comunità Montana di Camerino, in conformità con tali obiettivi di pianificazione regionale, ha quindi individuato nella valorizzazione diretta e integrata delle fonti energetiche rinnovabili disponibili sul territorio, principalmente vento (con un parco eolico da 34 MW) e
biomasse, il fattore di “volano” per realizzare un proprio modello di nuovo sviluppo auto-sostenibile
in termini di miglioramento ambientale e e progresso socio-economico locale. “In effetti, l’intuizione e la volontà di rilanciare generiche e indebolite competenze di valorizzazione socio-economica e
ambientale del proprio ambito grazie alla sopraggiunta vocazione energetica dello stesso intermini di
fonte eolica (ventosità idonea oltre i 900 m slm) e di biomassa agro-forestale (la superficie a boscopascolo-seminativo è pari al 90% del totale), stanno ridisegnando per questo Ente montano un ruolo
istituzionale e una strategia d’azione davvero al passo coi tempi e con le sopravvenute esigenze locali e
non” (Marchetti, 2009:257). I benefici attesi dalla realizzazione del progetto di distretto energetico
montano sono così sintetizzabili:
• presidio e manutenzione permanenti dell’ecosistema montano e forestale con riduzione e prevenzione del rischio incendi, del dissesto idrogeologico e del degrado ambientale;
• creazione/riconversione occupazione locale connessa con le attività economiche di filiera e con
l’indotto ad esse collegato (multifunzionalità in agricoltura, ecoturismo, turismo didattico e congressuale, certificazione ambientale del patrimonio boschivo, del processo e dei prodotti di filiera);
• formazione e informazione/sensibilizzazione sulla filiera agro-energetica nei confronti degli attori
locali pubblici e imprenditoriali;
• trasformazione per l’utilizzo energetico in loco dei residui da a attività agro-silvicole, di matrici
organici preselezionate (raccolte differenziate di sfalci e potature da utenze private e pubbliche),
dei reflui zootecnici eccedenti le esigenze locali di fertilizzazione;
• risparmio energetico per autoconsumo in impianti termici a biomasse, riduzione dell’utilizzo di
combustibili fossili e dell’emissione di gas serra;
• sussidiarietà e integrazione tra le fonti energetiche rinnovabili tradizionali (biomasse) e tecnologiche (eolico) implementabili nel territorio con queste ultime, in quanto più immediatamente praticabili e remunerative, sostenere lo sviluppo dell’intera filiera energetica da incentrare sulle prime.
139
Energia eolica e sviluppo locale
Nel progetto è stata coinvolta anche l’Università di Camerino e Ancona, per le competenze e le ricerche connesse, ma soprattutto sono state mobilitate le risorse di imprenditorialità collettiva locali, sia
sul piano degli enti e delle comunità coinvolte, che su quello delle imprese e delle loro associazioni.
Ma, l’implementazione pratica del progetto non è stata affatto facile. Nonostante le cautele impiegate per ridurre l’impatto ambientale, e l’esito positivo del processo autorizzatorio (VIA, conferenza
dei servizi, autorizzazione regionale) ha suscitato l’opposizione della Sovrintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggio delle Marche, aprendo una vertenza dagli esiti ancora incerti.
“polpa”), ma non da valorizzare come luoghi che si pongono – nel campo prescelto – all’avanguardia nell’esplorazione del nuovo.
I territori non vanno lasciati soli nello studio di queste politiche e d interventi nel
campo energetico, anche perché possono essere preda di attori “egoisti” che in realtà non
hanno alcun interesse all’esito collettivo di queste politiche e interventi, ma hanno fini solo
speculativi. Pertanto, anche considerata la grande distanza che c’è tra la realtà attuale e la
possibilità di fare un ragionamento sullo sviluppo delle rinnovabili in relazione allo sviluppo
locale, sarebbe importante realizzare un’azione di sistema per provare ad accompagnare con
un approccio sperimentale qualche territorio che volesse affrontare il tema delle energie rinnovabili in modo integrato attraverso una valutazione dei mix energetici, arrivando a definire
dei piani energetici locali con un obiettivo di autosufficienza energetica.
La domanda che ci si deve porre è se è possibile, partendo dalle aree che hanno delle rinnovabili
insediate attraverso l’eolico, immaginare che quei territori possano diventare in modo consapevole delle comunità integralmente sostenibili? A questa domanda è difficile rispondere, ma è
una buona sfida. Noi abbiamo dei territori in cui è già significativa “la buona pratica” rispetto
ad un tema di sostenibilità e di fronte a processi innovativi come questi bisogna “accompagnare” (Antonio Saturnino, Formez).
Buoni segnali che arrivano dal territorio noi li abbiamo dalla Campania, in tutta la zona
dell’Agro Nocerino Sarnese, dove ci sono dei comuni lungimiranti, che magari compaiono poco
nelle classifiche, ma che manifestano una buona predisposizione fare governance. Hanno
una buona classe di amministratori e una immensa potenzialità di risorse sul territorio. Loro,
ad esempio, hanno tutto il sistema legato alle biomasse e alla quota idrica che non è da sottovalutare. Quello potrebbe essere un esempio di ecosistema che potrebbe utilizzare le leve
programmatiche sull’energia per potenziare quella filiera, anche con la partecipazione privata e
utilizzare poi anche la leva dei beni e delle risorse culturali che sarebbe una naturale sinergia,
anche come sbocco occupazionale e di visibilità. Questo potrebbe essere un modello di integrazione, di mix (Giada Maio, ANCI).
Ci vuole un accompagnamento istituzionale e tecnico dei territori. A noi questo sembra giusto e
ragionevole, anche perché le strade che abbiamo percorso fino ad adesso non hanno funzionato.
La programmazione nazionale e regionale non esiste e dove c’è è fallace o sbagliata. Bisogna
provare a prendere il problema da un altro lato. Quello che abbiamo cercato di fare in questi
anni è stato di coltivare il rapporto con il territorio. Ci sono almeno 5-6 punti diversi, sparsi
dal Veneto, al Trentino, alla Basilicata, alla Campania, alla Calabria, alla Sicilia, dove noi facciamo questo ragionamento della comunità sostenibile in cui il driver fondamentale è l’utilizzo
energetico in forma sostenibile delle risorse del territorio. Ce li abbiamo a non faccio fatica a
dire che è difficile coltivarli, perché cerchiamo di farlo in una maniera che poi lasci a loro la
capacità di alzarsi sui pedali e di fare la propria strada, cercando la loro identità, coltivando un
140
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
proprio progetto di sviluppo. Fare questo lavoro di scouting, di valutazione del potenziale delle
risorse, è faticoso, difficile e presuppone poi anche la capacità di tenersi fuori, di non andare
ad asfaltare, anche concettualmente, il pensiero (Tommaso Dal Bosco, UNCEM).
9.2 Rinnovabili e agricoltura
All’interno di una prospettiva di sviluppo locale, una diffusione sul territorio degli impianti di energia da fonti rinnovabili deve mirare a produrre effetti moltiplicativi in diversi campi. Innanzitutto, in campo ambientale, attraverso il contenimento dei fenomeni di
inquinamento, con particolare riferimento alle emissioni di gas serra. Inoltre, nel campo
dello sviluppo locale, attraverso la valorizzazione delle risorse presenti in maniera diffusa
sul territorio, spesso in aree marginali con scarsità di prospettive di sviluppo economico, e
attraverso lo sviluppo integrato del territorio - ad esempio, con il collegamento dell’uso delle
fonti rinnovabili (anche per la forza comunicazionale che oggi ha la leva ambientale) con lo
sviluppo del sistema agro-alimentare, del sistema delle piccole e medie imprese artigianali ed
industriali, col turismo, con la produzione artistica e culturale, etc. - e la creazione di nuove
opportunità di lavoro e d’impresa.
In questa visione multisettoriale integrata, particolare importanza e complessità riveste il
rapporto tra la diffusione delle rinnovabili e l’agricoltura. Le attività agricole e forestali, infatti,
assumono funzioni complesse di produzione anche di beni pubblici. Con la produzione agricola
si svolgono funzioni di: salvaguardia idrogeologica, conservazione della fertilità dei suoli e
della complessità ecosistemica (biodiversità), valorizzazione del paesaggio agrario, sostenibilità complessiva dello sviluppo. Anche il bosco rientra nella visione integrata dello sviluppo e,
quindi, viene considerato come “sistema forestale integrato” che vede nel piano di forestazione
il suo strumento privilegiato in grado di: organizzare l’attività di forestazione e di taglio nonché
tutte le attività produttive connesse, di sviluppare le interazioni sinergiche con l’occupazione,
il turismo e l’ambiente. In agricoltura, l’offerta non solo del prodotto (di qualità) ma anche del
suo sistema (ambientale, storico, culturale) produce ricadute positive sullo stesso mercato del
settore a fronte dell’evoluzione della domanda e dell’importanza del turismo.
L’agricoltura oggi, almeno nel nostro Paese, non si presenta competitiva in termini di rendimenti
di scala, di grandezze, in termini di rendimenti produttivi, ma in termini di qualità, la somma
delle qualità: paesaggio, ambiente, natura, cultura, mestieri, tradizioni, storia, bellezza, luoghi
che vengono messi dentro la cassetta di vino o di olio che rappresentano quei valori immateriali
che fanno si che il nostro prodotto possa essere molto competitivo se dotato di informazioni
lungo la catena alimentare e presso il punto vendita (Stefano Masini, Coldiretti).
La definizione e la costruzione di questa visione sistemica comporta per la produzione
agricola una trasformazione radicale del peso economico, culturale e sociale del mondo rurale
rispetto a quello (marginale) attribuitogli dalla società industriale. Le innovazioni (metodologiche, di atteggiamento scientifico, di sensibilità ecologica e sociale) portano nel territorio
agricolo la voglia di fondare nuove comunità, il gusto della sperimentazione (biologica,105
105 L’agricoltura biologica costituisce una reale risposta alle problematiche poste dal riorientamento dell’attività agricola ed
in particolare della diversificazione colturale collocate nel contesto più generale della conservazione ambientale. Si qualificano
biologici, infatti, quei prodotti che derivano da una agricoltura ecologicamente sostenibile e che utilizza sistemi di produzione
naturali, senza aggiunta di agenti chimici, che evita ogni forma di inquinamento, che riduce al minimo l’impatto sull’ambiente
e sulla vita animale, che valorizza il potenziale dei cicli biologici e che ha un approccio globale alla produzione. In tal senso
l’agricoltura biologica, da un lato, offre prodotti sani e privi di residui di origine chimica e, dall’altro, elimina i rischi di contaminazione ed inquinamento dell’ambiente naturale. Obiettivo dell’agricoltura biologica non è l’ottenimento di elevate rese produttive pur richiedendo di norma un maggior impiego di manodopera, bensì il raggiungimento di obiettivi: di carattere ambientale
(impiego meno intensivo del terreno e dei fattori produttivi, conservazione degli insediamenti umani nell’ambiente rurale, tutela
141
Energia eolica e sviluppo locale
biodinamica), il tentativo di arricchire il complesso delle attività che si svolgono nella campagna di funzioni terziarie alte, e così via. L’agricoltura sostenibile richiede inoltre la ripresa
e o il rafforzamento delle attività di manutenzione attiva del territorio. La riqualificazione
del paesaggio, la sua difesa, l’intervento nel caso di disastri naturali o artificiali (alluvioni,
incendi, erosione, frane, siccità, etc.) richiedono una osservazione continua del territorio, un
monitoraggio sensibile delle trasformazioni ambientali, una partecipazione consapevole, anche collettivamente organizzata, alla gestione del patrimonio naturale e paesistico. La manutenzione del territorio richiede uno stile di vita individuale sensibile verso la terra, uno stile
di vita della collettività basato sulla cooperazione e l’aiuto reciproco, una partecipazione
diretta e sapiente alle vicende del suolo e dell’ambiente, una collaborazione con gli organismi
istituzionali di pianificazione e di gestione. Da qui, la rivalutazione dell’agricoltore in rapporto all’evoluzione dei bisogni reali e alla costante ricerca di risposte adeguate, all’interno
di una rete di relazioni complesse con il territorio di cui fa parte e ha cura. La stessa azienda
agricola si configura come una struttura complessa (agroterziaria), che fa riferimento a reti
territoriali dense ed estese nell’attivare finalità sociali, culturali, formative e di ospitalità.
Su questa base lo sviluppo agricolo del territorio deve concorrere a: migliorare la qualità
dell’ambiente divenendo elemento propulsivo per il riassetto idrogeologico, sviluppare la
produttività del terreno contro la perdita costante di potenzialità e la desertificazione progressiva, sviluppare la diversificazione produttiva caratterizzando le diverse produzioni fino
alla costituzione di marchi, sviluppare le filiere produttive per l’integrazione di produzione
- processi di lavorazione e trasformativi - commercializzazione. In relazione a ciò, le politiche per lo sviluppo delle aree rurali non sono più limitate alle tradizionali politiche agrarie,
ma sono un “mix” delle politiche dello sviluppo quali, quelle dell’artigianato, del turismo,
dell’ambiente, dell’agricoltura, etc. Si tratta di politiche indirizzate a tutto ciò che non è
soltanto agricolo, ma rurale.
Pertanto, la diffusione della produzione di energia da fonti rinnovabili da parte delle
imprese agricole rappresenta una sfida importante e di sicuro interesse, soprattutto se interpretata in chiave multifunzionale. L’agricoltura, infatti, può contribuire in maniera significativa al raggiungimento degli obiettivi di produzione di energia da fonti rinnovabili stabiliti a
livello internazionale, nell’ambito delle strategie di mitigazione del cambiamento climatico.
L’interesse del settore agricolo allo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili
si evince, ad esempio, dal sostegno dato dalle organizzazioni di rappresentanza all’adozione
dell’articolo 1, comma 423 della legge n. 266/05 (Legge Finanziaria 2006), mediante il quale,
è stata riconosciuta la qualifica di attività connessa alla produzione ed alla cessione di energia elettrica e calore da fonti agroforestali e fotovoltaiche. Da qui, il diffondersi del modello
dell’azienda agri-energetica, cioè di un’azienda agricola che può ricoprire un ruolo molto importante: nel mercato locale delle piccole applicazioni per la produzione di energia da fonti
rinnovabili, nella produzione, soprattutto, di reddito incrementale per le aziende stesse e il
sistema agricolo nel suo complesso.
In questi ultimi anni è cresciuto rapidamente il numero imprese agricole che hanno visto
la realizzazione di impianti (propri o di terzi) di produzione da energia rinnovabile sui propri
terreni. In questo modo, il reddito prodotto da queste installazioni va ad integrare quello
delle attività agricole primarie e collegate, sostenendole, sia dal punto di vista finanziario
sia dell’immagine.
e salvaguardia del territorio), di carattere agricolo (economia di gestione aziendale, valorizzazione delle produzioni, garanzia di
reddito degli operatori), di carattere alimentare (prodotti con tecniche a ridotti “input” e qualità certificata), di riequilibrio dei
mercati (riavvicinamento della domanda e dell’offerta), di tutela del consumatore.
142
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
L’energia rinnovabile non deve essere vista come in competizione con l’agricoltura, ma ad interazione di questa, come quell’elemento che può rilanciare l’agricoltura, dandogli un reddito fisso, stabile, senza oscillazioni che dipendono dalle variazioni nel prezzo del grano o della carne
o delle condizioni climatiche stagionali, e magari permettono di fare uno sviluppo agricolo di
qualità. Se uno ha già una rendita può fare anche un investimento su una serra per fare una
primizia (Ivano Bruni, Enel Green Power).
Ci sono delle piccole aziende che iniziano a dire: ”il nostro prodotto è realizzato con energia
da fonti rinnovabili”. È un segnale anche piccolo, ma c’è. Ci sono dei segmenti che cominciano a trovare una risposta nella certificazione di qualità. Comincia ad esserci un’attenzione e
disponibilità in questo senso anche all’interno delle nostre comunità (Virgilio Caivano, Piccoli
Centri Europei).
Tuttavia, le associazioni di rappresentanza del mondo agricolo guardano con crescente
preoccupazione alla diffusione di grandi impianti eolici e fotovoltaici su suolo agricolo, perché ritengono che queste grandi strutture (e le necessarie infrastrutture di contorno) finiscano per danneggiare l’esercizio dell’attività agricola stessa, oltre che la qualità del territorio.
C’è una certa “antipatia” per gli impianti eolici che conosciamo oggi – perché poi possiamo anche parlare di quelli che vorremmo conoscere – perchè si tratta di iniziative che, a differenza di
altre rinnovabili, non vedono protagonista l’imprenditore agricolo. In fondo, l’imprenditore cede
il terreno per una iniziativa imprenditoriale di terzi. Nel momento in cui si instaurano contratti
di filiera per le biomasse o il biogas, lo sfruttamento del legname, il recupero e la valorizzazione
dei residui, l’imprenditore agricolo con la sua struttura aziendale è coinvolto, cioè partecipa ad
un progetto di sviluppo energetico, diventa attore del territorio, anche attraverso la eventuale
creazione di piccoli consorzi di produttori. Invece, gli impianti eolici industriali sono apparsi
come un qualcosa che cala dall’alto – e lo sono oggi soprattutto dopo che si sono costruiti dei
percorsi di accesso ad aree svantaggiate, in cui c’è la traccia paesistica di una strada e di un
percorso di torri -, e molto spesso il territorio non ha una vera ricaduta occupazionale, non c’è
economia locale, si è creato un investimento che dà i suoi frutti distribuiti in dividendo in società, che è qualcosa di molto diverso dal nostro modello di compartecipazione nello sviluppo delle
energie. Da questo punto di vista, lo sviluppo dell’energia fotovoltaica, per quanto in alcuni
casi si registrano le medesime finalità speculative, consente di rendere partecipi gli agricoltori.
È chiaro che in questo caso noi siamo di fronte ad ettari di terreno investito a tetti fotovoltaici. L’agricoltore cede il fondo, si abbandona il presidio di una determinata area, lo sviluppo
prende una direzione diversa e cosa rimane? Rimane l’alterazione del mercato fondiario, perché
in quell’area i prezzi dei terreni a quel punto oscillano su valori che non corrispondono a quelli
tradizionali legati alla produzione di foraggio. Il problema è che bisogna rendersi conto che il
concetto di sviluppo in rete delle microenergie deve pure trovare una logica di componimento
sul territorio altrimenti si ha solo un irradiamento in maniera frazionata sul territorio che determina molti scompensi nell’economia agricola (Stefano Masini, Coldiretti).
Secondo le rappresentanze agricole, tale tipologia di impianti può determinare impatti
ambientali rilevanti, anche in virtù degli effetti cumulativi, come, ad esempio, la perdita di permeabilità del suolo, disequilibri idrogeologici, fenomeni alluvionali, di erosione e
desertificazione, danni alla biodiversità, alterazioni microclimatiche, produzione di ingenti
quantitativi di rifiuti nelle fasi di smantellamento, effetti negativi legati alla necessaria infrastrutturazione di trasporto dell’energia.
In particolare, per quanto riguarda la diffusione di grandi impianti fotovoltaici sul suolo, si evidenzia come questi abbiano una potenza tale da dover impegnare ampie superfici
143
Energia eolica e sviluppo locale
agricole, nonostante l’uso dei terreni dovesse rappresentare – nelle intenzioni del legislatore
– una alternativa secondaria rispetto all’uso di superfici più idonee, come i capannoni industriali e le discariche in fase post operativa. A ciò si lega, inoltre, la preoccupante diffusione
del fenomeno dell’affitto di terreni agricoli da parte di soggetti estranei al settore, spesso
con manifesti fini speculativi. Tutto ciò comporta il rischio di una ulteriore riduzione della
superficie agricola disponibile.
Per avere un’idea della portata del fenomeno si deve pensare che il 64% degli impianti fotovoltaici installati in Italia ha una taglia superiore a 20 kW ed il 44% della potenza installata non
è integrata. Si pensi, ad esempio, che nel Comune di Canaro, in Provincia di Rovigo, sono stati
occupati ben 120 ettari di terreno per un totale di 240.000 pannelli di una dimensione pari
ad 80x100 centimetri. Inoltre, in Puglia, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione
dell’Ambiente ha comunicato ai competenti uffici regionali di formulare “parere contrario” ad
ogni nuovo insediamento di impianti di generazione di energia da fonte solare in ambito agricolo, almeno fino a quando non siano stati definiti approfonditi ed esaustivi studi di valutazione
di alcuni elementi di forte criticità e l’autorità competente non abbia provveduto ad una programmazione attenta in questo ambito. Le stime fornite dall’Arpa Puglia relative alla potenza
installata e alla superficie agricola regionale occupata (nel 2009: 738,323 MW installati per
una superficie agricola totale di 2.214 ettari) dimostrano l’assoluta rilevanza del fenomeno.
Per quanto riguarda, poi, la diffusione di grandi impianti eolici, si evidenzia come la maggior
parte delle torri eoliche siano alte fino a 100 metri, con pale di 30 metri di diametro, con un
area di assoggettamento, per ognuna, calcolata in circa 400 metri quadri, cosa che comporta,
ad oggi, la perdita di circa 25.000 ettari di territorio, con effetti paesaggistici, ambientali ed
economici che si estendono, peraltro, in una area molto più vasta e che potrebbero presto moltiplicarsi, visti i 10.000 MW di energia eolica già autorizzati e gli oltre 40.000 MW in istruttoria
(Stefano Masini, Coldiretti).
Per tutti questi motivi, la Coldiretti ha accolto con soddisfazione le linee guida nazionali
per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti da fonti rinnovabili, sulla base delle
quali le Regioni possono individuare le aree del proprio territorio non idonee alla loro realizzazione. Tali aree sono identificabili, in particolare, in quelle agricole di pregio e nelle aree
protette a livello regionale, nazionale ed internazionale.
La produzione di energia rinnovabile deve sempre avvenire nel rispetto di alcuni principi generali, quali, proprio, un ridotto consumo di suolo, il riutilizzo di aree già degradate da attività
antropiche, come i siti industriali o contaminati, ed una progettazione legata alle specificità
dell’area. Nell’autorizzare progetti localizzati in zone agricole caratterizzate da produzioni
agro-alimentari di qualità e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale, ad esempio, è necessario verificare che non compromettano o interferiscano negativamente
con la valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, la tutela della biodiversità, del
patrimonio culturale e del paesaggio rurale. La preoccupazione di Coldiretti circa una diffusione indiscriminata degli impianti eolici e fotovoltaici di grossa taglia nasce dal timore
che, nel promuovere questi impianti, non si proceda alle opportune valutazioni degli impatti
paesaggistici ed economici, rischiando, così, di compromettere gli investimenti delle imprese
agricole finalizzati a rendere il territorio un vero e proprio fattore produttivo, cui legare le
produzioni tipiche, di qualità ed identitarie, così come le attività agrituristiche e ricreative,
che rappresentano strumenti capaci di garantire la vitalità e la competitività di un’agricoltura,
oggi, indissolubilmente legata al territorio di appartenenza. Nella valutazione di impatto degli
impianti energetici, anche quando si tratti di fonti rinnovabili, non si può prescindere, quindi,
da un’analisi circostanziata dei costi-benefici, che tenga in debito conto quale reale valore
144
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
abbia l’integrità ambientale, territoriale e paesaggistica per le imprese agricole. L’impatto
della diffusione delle centrali di energia sul territorio, con la facile compromissione dei valori
del suo paesaggio, rischia di indebolire l’importante processo di rigenerazione dell’agricoltura,
non più finalizzato a produrre in termini quantitativi, ma mirato alla qualità e, sempre con
maggiore convinzione, alla valorizzazione del territorio. Auspichiamo che le linee guida possano costituire effettivamente uno strumento adeguato, capace di contribuire alla definizione di
politiche territoriali, che sono efficaci nella misura in cui ricercano ed attuano idonei strumenti
normativi di regolazione dei processi economici e di salvaguardia del territorio e dei segni della
sua identità (Stefano Masini, Coldiretti).
Infine, c’è da considerare la possibilità che l’installazione dei parchi eolici e degli altri
impianti da fonti rinnovabili può essere anche un’opportunità per incrementare i flussi del
turismo rurale. Negli ultimi anni si è enormemente sviluppata, in Italia, l’offerta e la fruizione del cosiddetto turismo enogastronomico, che punta alla valorizzazione dei territori rurali
attraverso la conoscenza e la promozione di produzioni vitivinicole, olearie ed alimentari
tipiche e tradizionali di alta qualità. Oggi, è possibile partire dalle grandi aree metropolitane
e avventurarsi nelle aree rurali alla scoperta di luoghi di interesse storico, artistico, ambientale. Ai movimenti come Slow Food, il Touring Club, oltre che ai più specializzati come
il Movimento del Turismo del Vino o l’Associazione Città dell’Olio, supportati anche dagli
incentivi europei e dalle conseguenti legislazioni italiane in materia, va il merito di aver
introdotto nuove abitudini, nuove curiosità, nuovi ritmi tra i turisti che attraversano la penisola. Si sono moltiplicate in tutte le regioni le “Strade del Vino”, “Strade dell’Olio”, “Strade
dei Sapori” e “dei prodotti tipici”. In questa accezione, le “strade” sono percorsi segnalati e
pubblicizzati con appositi cartelli, caratterizzati da particolare interesse sotto diversi punti
di vista: naturale, culturale e ambientale. Questi percorsi si snodano lungo vigneti, cantine,
aziende agricole aperte al pubblico, che costituiscono strumento attraverso il quale i territori
e le relative produzioni possono essere divulgati, commercializzati e fruiti in forma di offerta
turistica. Si sviluppano così attività di ricezione e di ospitalità, compresa la degustazione dei
prodotti aziendali e l’organizzazione di attività ricreative, culturali e didattiche.
A questa tipologia turistica potrebbero fare riferimento nei territori dove già oggi c’è una
forte concentrazione di parchi eolici installati, la creazione di “Strade del Vento”, con l’intento di valorizzare di percorsi, interni, longitudinali e trasversali che seguono o incrociano
le dorsali appenniniche e pre-appeniniche meridionali. Itinerari che possono riservare grandi
sorprese dal punto di vista paesaggistico e che possono far conoscere le potenzialità di sviluppo di questi territori. Un intervento di questo tipo potrebbe contribuire a dare impulso
a una zona a tradizionale vocazione rurale non più (non solo) attraverso le sue produzioni
agricole tipiche, ma attraverso la scoperta delle sue potenzialità energetiche, che sfruttano
un elemento altamente caratterizzante di questi luoghi: il vento. È un filo conduttore poetico
e potente, che può articolarsi, analogamente ai modelli sperimentati per le altre “strade”,
secondo diversi punti di vista. Primo tra tutti la conoscenza del tipo di produzione, che può
concretizzarsi in questo caso con la visita agli impianti eolici, con lo scopo della divulgazione della tematica dell’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile, anche per sgombrare
il campo da tanti equivoci ambientalistici che rendono alcuni tendenzialmente diffidenti dal
ricorso a fonti energetiche rinnovabili. Le piccole aziende agricole potrebbero essere visitate con occhio diverso, come strutture autosufficienti dal punto di vista energetico, luoghi
idonei allo sviluppo di progetti-pilota per l’impianto di aerogeneratori di piccola taglia. La
sensibilità al mondo del biologico nella sua accezione più ampia, che i movimenti turistici
sopra ricordati hanno ampiamente contribuito a radicare, favorisce senz’altro un approccio
145
Energia eolica e sviluppo locale
interessato a tali argomenti. All’aspetto “didattico” si può affiancare quello tradizionalmente
culturale, per la presenza di centri piccoli e poco conosciuti, ma ricchi di storia e di testimonianze artistiche, archeologiche e medioevali.
9.3 Rinnovabili e aggregazioni territoriali
Spesso oggi dietro l’opposizione di comuni adiacenti a quello su cui insiste un impianto
eolico vi è non tanto una questione estetica e/o ambientale, quanto un comprensibile malumore per il mancato coinvolgimento ai benefici economici di quella attività, al punto che,
probabilmente, ove fosse stata prevista una ripartizione degli utili su scala territoriale più
ampia rispetto a quella comunale in alcuni casi si sarebbero potute superare le resistenze.
Tempo fa avevamo fatto un progetto nel comune di Delicato in provincia di Foggia per iniziare
a capire quali erano le aree potenzialmente interessanti e che problematiche ognuna di queste avesse. In quel caso vi era una collina che volevamo diventasse una specie di “distretto”
energetico, quindi eolico, piantagioni da biomasse, etc. Insomma, abbiamo lavorato per creare
una “collina energetica”, coinvolgendo tutti. Questo per provare a capire se tutti i proprietari
della zona potevano entrare nel progetto e non solamente chi aveva “la torre” nel suo campo.
Questo è un grosso problema perché chi si ritrova la “torre” ha l’affitto annuale e quello a un
metro di distanza non ha nulla. Questo problema si supererebbe facendo “dei comparti” come
si fa in edilizia, per cui tutti quanti partecipano e non solamente pochi fortunati. È una cosa
complicata, non ci sono i meccanismi. Molto spesso i crinali sono sui confini comunali per cui
può succedere che il maggiore impatto visivo c’è l’ha il comune limitrofo che però non ha nessun beneficio. Queste cose non hanno senso, andrebbero trovate delle formule diverse (Daniela
Moderini, architetto del paesaggio).
Per questo c’è chi pensa che ci sia bisogno di una regia di area, di un coordinamento tra
gli Enti locali, anche attraverso la gestione associata o l’obbligo di formare dei consorzi tra
comuni limitrofi.106 In questo modo si può effettuare una valutazione dei progetti considerando un ambito sovra comunale per capire dove le torri si vanno a collocare e verificare come
si relazionano rispetto a progetti già realizzati o in corso di approvazione o realizzazione, e
per introdurre così correttivi e adattamenti.
Il comune che chiede il 10% di royalty monetarie, che adesso chiaramente con le Linee Guida
non sono più possibili, perché lo fa? Perché c’è qualcuno che dall’altra parte bussa alla porta del
sindaco e gli propone alcune cose, assicurando che si possono fare. Non può essere altrimenti,
perché il comune non ha ancora questa capacità su questi settori. Sono pochi i comuni che
hanno un energy manager o altre figure competenti. La percentuale di competenza comunale
è ancora bassissima anche perché la maggior parte dei comuni italiani sono dimensionati in
modo tale da non avere una struttura dedicata. Qua, sarebbe importante il ruolo delle Province o
106 Un caso di successo è senz’altro il Consorzio CeV di Verona (ww.consorziocev.it), un Consorzio di 1.001 enti pubblici,
costituito in base al codice civile, che si sono uniti per abbattere tutti i costi dell’energia, per usufruire gratuitamente di importanti servizi che ne semplificano la gestione, ma soprattutto per costruire, insieme, una nuova cultura dell’energia all’interno ed
all’esterno dell’ente e nella comunità. Da sempre attento alle tematiche dell’ambiente, che oggi con grande enfasi coinvolgono
istituzioni ed opinione pubblica, CeV rappresenta una realtà unica, competente ed affermata nel panorama nazionale, in grado
di garantire un supporto concreto all’ente:
• risparmiare sui costi d’acquisto dell’energia garantendosi una fornitura 100% proveniente da fonti rinnovabili;
• gestire al meglio tutti gli aspetti tecnici dell’energia;
• produrre energia da fonti rinnovabili senza costi per l’ente;
• formare del personale esperto per gestire le complessità e le opportunità della liberalizzazione.
In costante ascesa, il Consorzio CeV ha fatto dello spirito di aggregazione un meccanismo virtuoso che sino ad oggi ha garantito
un risparmio complessivo di 14 milioni di Euro ad esclusivo vantaggio dei soci. Tutti i Comuni possono aderire a CeV, poiché
l’adesione non è in contrasto con le limitazioni previste dall’art. 2 della finanziaria 2008.
146
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
comunque di una gestione associata. Noi, la gestione associata di molti processi l’abbiamo proposta anche come emendamento alla bozza di decreto di recepimento della direttiva 28. Si vuole
la procedura semplificata, va bene, ma è un altro titolo di inizio che è la procedura semplificata
per gli impianti da energie rinnovabili. Noi abbiamo accettato, perché è meglio che reintrodurre
la vecchia Scia che ci toglie il potere di controllo sul territorio. Però, abbiamo detto che occorreva
dare al comune di mille abitanti almeno la possibilità di farlo in gestione associata, al di là che ci
sia una delega alla Provincia, perché sappiamo che purtroppo oggi pochi sono i territori dove c’è
una cooperazione tra i diversi livelli della filiera istituzionale-amministativa (Giada Maio, ANCI).
Mi pare che in Italia le condizioni per uno sviluppo forte di forme vere e proprie di azionariato
popolare siano ancora assenti o molto, molto deboli. Invece, c’è la possibilità che i Comuni si
consorzino per progetti di questo tipo. È una possibilità che in qualche misura viene praticata
ed è assolutamente positiva perché ovviamente se a promuovere progetti di produzione energetica da fonti rinnovabili sono i comuni, l’attenzione ai dati legati all’impatto paesaggistico e in
generale all’accettazione sociale è inevitabilmente più grande, più spiccata. Quindi, credo che
forme di questo tipo, con il coinvolgimento dei comuni nei progetti, naturalmente se avviene in
forme trasparenti, credo che sia un fatto assolutamente positivo e che può anche ridurre i rischi
di accettazione sociale degli impianti (Roberto Della Seta, senatore).
In questa direzione le Regioni dovrebbero spingere progetti che coinvolgano, anche nelle
procedure di approvazione, un bacino più ampio di Comuni, in modo da evitare speculazioni
e permettere una valutazione che aiuti l’integrazione nel paesaggio e nel contesto socio-economico locale. La direzione dovrebbe essere quella di spingere progetti integrati in contesti
territoriali e visivi che vanno oltre i confini comunali e per questo la soluzione più efficace
appare quella di prevedere il coinvolgimento di più Comuni (anche nei vantaggi economici)
in tutti i casi in cui gli impianti sono posti entro una distanza stabilita dai confini oppure
sono visibili le torri, ad esempio, da centri abitati nei Comuni confinanti.
Per governare le trasformazioni del paesaggio non si può contare solo sulla spontanea capacità
delle comunità locali di mettere insieme i Comuni, ma occorre obbligare i Comuni a consorziarsi,
perché è nel rapporto diretto tra imprenditore e Comune che si crea o qualcosa di positivo o
qualcosa di estremamente negativo. Occorre obbligarli ad arrivare a delle soluzioni condivise e
trasparenti (Edoardo Zanchini, Legambiente).
Sono sindaco di un Comune che vede il business dell’eolico passare, cioè che guarda le torri
eoliche degli altri comuni, ma non ci ricava quasi niente perché il territorio comunale è di solo
1.000 ha. Nel ‘94-’95 è stato realizzato il primo impianto eolico in questo territorio nel Comune
di Monteleone, confinante con il mio, con 10 torri eoliche della potenza di 1,5Mw e con una
royalty dell’1,5%. All’epoca non conoscevamo quant’era la produzione, quindi mi limitai a fare
un’indagine per vedere se queste installazioni potessero dare dei problemi alla popolazione.
Appurai che le onde elettromagnetiche si annullavano entro i 20-40 metri, e allora diedi anch’io
per la mia piccolissima parte l’assenso. Quindi, Monteleone e Anzano sono stati i primi a partire
sull’eolico. Inizialmente, ci ricavavamo circa 20 milioni di lire, oggi la produzione si è talmente
abbassata che ci ricavo circa 1.000 euro all’anno. Pertanto, il nostro ricavo si è quasi completamente azzerato e, quindi, io non ho neppure l’opportunità che qualche comune ha di risanare
il proprio bilancio. Che cosa vedo per il nostro territorio? Noi storicamente siamo vissuti in un
territorio marginale con delle risorse marginali, per cui era difficile andare avanti. Oggi, alla
luce di tutto questo, vedo che queste nostre risorse “marginali”, che una volta non valevano
niente, oggi valgono tantissimo, perché sono rappresentate dal vento, dal sole, dalle biomasse
legnose e vengo utilizzate per produrre energie che servono alle zone “avanzate”. Credo che
147
Energia eolica e sviluppo locale
dobbiamo iniziare a vedere la presenza di queste risorse energetiche non soltanto come una
posizione di rendita, perchè questo ci può consentire soltanto di sopravvivere per 10-15 anni.
Dobbiamo immaginare di andare oltre al beneficio immediato, per avere anche uno sviluppo
sostenibile per le generazioni future. Questa è la vera scommessa che dobbiamo portare avanti.
Come? Io credo che bisogna cominciare ad “obbligare”, a far considerare a chi vuole investire
sul nostro territorio per riconversioni o per ampliamento, non solo il parametro dell’“utilità economica”, ma anche quello dell’occupazione. Quanta occupazione mi dai? Altrimenti, qui non ci
metti piede. L’occupazione non può essere solo quella del cantiere edile che non produce niente,
ma deve essere anche quella qualificata legata alla produzione e manutenzione di queste torri.
Analogamente, possiamo estendere il discorso alle biomasse. Le imprese hanno bisogno di noi
come territorio ed è questa è la nostra vera ricchezze. Se noi siamo capaci di sfruttare bene
questa nostra posizione allora ci sarà un futuro anche per noi. Alle imprese dobbiamo chiedere
che facciano formazione, ma se questo lo vado a chiedere come singolo piccolo Comune, probabilmente vengo sopraffatto dalle mie necessità economiche e se mi danno il contentino dello
0,5% in più, oggi accetto tutte le condizioni. Questo perché i continui tagli ai trasferimenti
dello Stato ci obbligano anche a fare questi tipi di accordi. Viviamo in una situazione in cui
tutti i Comuni non riescono più a fare il bilancio e quei pochi che ci riescono è solo perché
hanno queste piccole entrate, ma sono situazioni che non portano da nessuna parte. Quello che
bisogna chiedere a chi vuole investire qui è di aiutarci a costruire un vero sviluppo sostenibile
e per far questo dobbiamo agire non più come singoli Comuni ma come sistema territoriale,
magari anche a seguito di una legge che obbliga i Comuni che vogliono ampliare o allargare ad
altre forme di energia sostenibile, l’obbligo di stare insieme. Questa potrebbe essere modo per
avviare un processo di sviluppo locale, altrimenti saremo sempre sopraffatti dai nostri stessi
bisogni (Antonio Rossi, Anzano di Puglia).
Queste sono questioni che riguardano un’area “vasta”, non riguardano singoli comuni, e vanno
quindi organizzate in maniera collettiva. Sono questioni che vanno ragionate insieme e organizzate insieme, per rispondere insieme. Non c’è dubbio che abbiamo vissuto una fase in cui eravamo assolutamente ignoranti rispetto a questo fenomeno, parlo degli anni ’90, e quindi quel
poco che veniva dato come royalty veniva visto come la manna. Ma, anche quando abbiamo
capito che in realtà nessuno ci stava regalando niente, e anzi, ci stavano derubando, abbiamo
fatto poco per modificare la situazione. Questo è un patrimonio che in Italia solo quest’area
o poche altre aree del Paese posseggono. Così come la Val d’Agri ha un po’ di petrolio, il SubAppennino Appulo–Irpino ha il vento. È esattamente la stessa cosa. Però non sappiamo come
farcelo valorizzare. I sindaci che ricevono il 3-4% pensano di aver spuntato chissà che cosa.
Questo perché è mancata un’azione sinergica. Quello che voglio dire è che gestisco in Master
ma gli studenti vengo più da fuori che da queste aree. C’è un’esigenza di formazione, ma credo che vi sia innanzitutto un’esigenza di “fare sistema”. C’è il problema del Decreto 387 che
stabilisce che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e le
opere connesse, come le infrastrutture necessarie alla costruzione e all’esercizio degli impianti, si devono considerare di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti e, quindi, al di fuori del
potere decisionale discrezionale degli enti locali. Così come ANEV, cioè qualche grossa azienda
dell’eolico, riesce ad influenzare l’attività legislativa del Parlamento, piuttosto che del Governo,
allora mi chiedo perché questo intero “comprensorio del vento” non riesce a fare sistema per
fare lobbying a Bari, piuttosto che a Roma. Perché Bari ha fatto in due mesi le Linee guida
senza sentire assolutamente nessuno? Perché lo steso ha fatto il governo nazionale? Cantiamo
il federalismo, ma forse solo perché dobbiamo spostare i soldi dal Sud al Nord, però di dare voce
e forza al territorio, alle popolazioni, alle aree marginali come sono queste, non si parla. Credo
che i sindaci abbiano una grande responsabilità. Purtroppo, per quegli errori del passato non
ci si può fare niente, però poniamo rimedio per il futuro. Intanto c’è bisogno di fare sistema.
Cominciamo ad imparare qualcosa dai sindaci dell’Irpinia: 31 comuni che si mettono insieme e
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9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
creano un distretto. Perché questo non si può allargare alla sponda pugliese o alla sponda lucana? Cominciano a fare sistema al di là della colorazione politica o partitica, cominciamo a fare
sistema perché è l’unico modo per poi poter incidere sulle scelte che si fanno a Bari piuttosto
che a Roma (Giuseppe Martino Nicoletti, Università di Foggia).
In Italia c’è una legge, la 959/53, che è quella che istituisce i Consorzi dei Bacini Imbriferi Montani imponendo alle imprese idroelettriche un sovracanone in favore dei comuni
montani, che è una legge che, pur avendo 60 anni, ripescata e riutilizzata parzialmente per
sostenere un processo di regolazione sullo sviluppo delle energie rinnovabili potrebbe essere
un buon punto di partenza. Riconoscendo che la dimensione municipale è troppo esigua e
limitata per un ritorno fiscale efficace, lo Stato promuove la costituzione di un “ambito ottimale” che si trasforma in “consorzio di bacino imbrifero montano” in maniera obbligatoria
qualora i tre quinti dei Comuni compresi in ciascun bacino lo richiedano. Nelle intenzioni
della legge, il sovracanone è da destinare ad opere di sistemazione montana e di valorizzazione del territorio a compensazione dei disagi causati alle popolazioni locali dalla presenza
di opere di captazione.
Tali Consorzi venivano chiamati gestire le rimesse fiscali derivanti da dall’autentico provvedimento rivoluzionario della legge: le società titolari di concessioni per grandi derivazioni di
energia elettrica i cui impianti sono compresi all’interno di un bacino imbrifero montano venivano obbligate a versare, a decorrere dall’entrata in vigore della legge, un “sovraccanone” per
ogni kilowatt di potenza nominale media concessa. Tali sovraccanoni dovevano essere utilizzati
dai Consorzi “esclusivamente a favore del progresso economico sociale delle popolazioni”. La
legge 959 è ancora oggi, in epoca di riformisti parolai e inconcludenti, un faro e un esempio
di innovazione profonda in tema di politica montana, forse la più democratica e valida in tema
di decentramento si tutti gli anni cinquanta. Sancisce infatti il criterio di giustizia distributiva
nei confronti della montagna, depredata da sempre delle sue risorse per il bene della pianura e
della città e l’utile di imprenditori e finanzieri non certo montani. Inoltre riconosce il principio
di autonomia locale per l’ampia libertà nell’utilizzo dei fondi lasciata ai Comuni raggruppati
in Consorzio, con la promozione del concetto comprensoriale e comunitario per l’impiego delle
risorse (Borghi, 2009:61-62).
Secondo Enrico Borghi, presidente dell’UNCEM, se i 70-80 milioni di euro che “tornano”
alla montagna italiana dai sovracanoni idroelettrici fossero utilizzati dalla settantina di Consorzi esistenti non meramente in termini di redistribuzione generale come accade oggi, ma
come fondo di investimento che consenta alle autonomie locali di essere protagoniste nello
sviluppo dell’energia rinnovabile, quei fondi ritornerebbero sul territorio in dimensioni molto
più dilatate.
In questo modo il territorio montano italiano avrebbe risolto in sé la capacità, da un lato di
garantire investimenti e servizi, dall’altro di fare la perequazione indispensabile per la coesione
sociale e al stessa competitività del sistema (Borghi, 2009:87).
Questo tipo di soluzione può essere utile anche per due ulteriori ragioni legate alla
programmazione territoriale degli impianti. Una prima, che occorre guardare con attenzione
allo sviluppo dell’eolico nei prossimi anni, considerando che ci sono almeno due diverse e
specifiche situazioni:
• territori dove non esistono impianti e quindi dove servono specifiche valutazioni;
149
Energia eolica e sviluppo locale
• territori dove sono già presenti impianti e si dovrebbe rendere coerente il quadro visivo
(minimizzando le conseguenze più negative dell’“effetto cumulativo”), magari mettendo
ordine rispetto al tipo di torri e colori, agli allineamenti.
Una seconda ragione, riguarda soprattutto alcune Regioni dove occorre organizzare una
procedura che permetta di valutare i tanti progetti presentati e la specifica attenzione da
avere nei confronti di impianti da sostituire o di situazioni invece dove i progetti si vanno a
collocare in contesti già fitti di impianti (dove magari mettere ordine), oppure di aree delicate e prive di progetti.
In questo contesto, si può pensare anche ad un serio protagonismo delle Province, che
metta a disposizione degli Enti locali competenze, piani di realizzazione, criteri e regole
per ottenere il massimo senza deturpare il territorio o subire speculazioni insostenibili, in
modo che i Comuni, soprattutto i piccoli Comuni, non si espongano indifesi alle pressioni
degli operatori. In una dimensione provinciale, inoltre, sarebbe anche più facile fare massa
critica sufficiente per poter puntare anche sullo sviluppo di una filiera produttiva completa
nel campo delle rinnovabili e, quindi, avere maggiori ricadute produttive ed occupazionali
sul territorio.
Legata alla filiera di installazione e gestione degli impianti da rinnovabili, bisogna cercare
di creare una filiera locale produttiva, sia questa turistica sia questa di opifici. L’impianto
fotovoltaico da 30 MW che hanno richiesto di fare gli industriali sul mio territorio – ne hanno
chiesti di fare 20 di impianti, ma quell’uno che si farà -, oltre a rispettare tutti quei criteri di
paesaggio e, quindi, essere realizzato su terreni agricoli ormai dismessi da anni, oltre a non
vedersi, etc., deve produrre non solo un introito per il Comune da riversare sui cittadini in termini di servizi, ma deve anche produrre un introito che deve dare delle risorse alla collettività
provinciale, insieme ad introiti di altri, per mettere sul territorio magari anche una filiera di
produzione di pannelli o un centro di ricerca sulle energie rinnovabili collegato all’università.
Queste filiere vanno aperte. Se ci si limita a far fare l’impianto, magari al gruppo straniero che
poi i soldi che incassa li prende e se li porta via per investirli altrove, questo è un problema.
La politica deve consentire, anche sacrificando una minima parte del territorio, la realizzazione di certi impianti, limitatamente ad alcune localizzazioni che siano altamente compatibili,
che abbiano un ritorno non solo in royalty per i sindaci, ma abbiano un ritorno anche in
occupazione e nello sviluppo dell’economia locale più complessiva. Certo, non dappertutto
potranno nascere imprese della filiera industriale, ma ogni territorio può avere la sua filiera.
In questo senso, è giusto pensare anche ad una filiera di territorio che sia anche provinciale,
che la Provincia la coordini, perché se no ogni sindaco potrebbe volere un impianto nel proprio
territorio, anzi lo vorrebbe in quello degli altri, però i posti di lavoro li vorrebbe nel suo. Per
questo, ci deve essere un coordinamento tra i comuni limitrofi. Faccio un esempio a livello
di coordinamento provinciale della provincia di Grosseto. Se si fanno 28 impianti da 10 MW,
per un totale di 280 Mw, in 28 comuni, questi mettono in moto, se si considera anche solo
l’1%, qualche milione di euro da dare alla Provincia per investire. È chiaro che l’investimento
va fatto nell’area industriale dove c’è, non necessariamente nel singolo comune, però tutta la
manutenzione degli impianti, che comprenda quindi una filiera di cooperative e di lavoratori,
quella può essere messa in quel territorio. Se faccio 70 MW e ci sono 5-6 persone che ci devono
lavorare è giusto che siano dei ragazzi del mio territorio. È questo che in quei comuni dove
vengono messi gli impianti, si faccia della formazione gratuita per i giovani che vogliono lavorare in questo settore. Una sorta di perequazione di livello più ampio la può fare la Provincia
con un’azione di coordinamento ed è giusto che la faccia un ente superiore al singolo comune,
ma è giusto anche che ci sia una perequazione locale che deve essere fatta dal sindaco con i
propri cittadini. Per ora la Provincia non può svolgere questo ruolo di coordinamento, neanche
in Toscana, perché non sono ancora stati definiti gli obiettivi nazionali di burden sharing per
150
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
le Regioni e le Province. Se la macchina non ha lo sterzo, è inutile che ci sia un bel motore o
delle belle gomme, perché non si può guidare. Questo è il problema e da questo punto di vista
siamo completamente ingessati (Flavio Morini, ANCI e Scansano).
9.4 Rinnovabili, multiutilities e smart grid
Rispetto al tema del rapporto tra sviluppo locale e sviluppo delle energie rinnovabili, al
fine di superare l’asse tra localismo e i processi di resistenza e conflitto, vanno presi in considerazione altri due temi chiave che sono tra loro strettamente intrecciati:
• il tema delle utilities;
• il tema della modernizzazione della rete elettrica.
In primo luogo, il tema delle utilities è cruciale perché, con pochissime eccezioni, le
amministrazioni locali e soprattutto il loro personale politico (ma anche quello inquadrato
nella struttura) non hanno la cultura, la sensibilità e le conoscenze per avviare, o anche solo
aggregarsi, a processi di sviluppo integrato delle fonti rinnovabili. D’altra parte, anche se lo
volessero, non dispongono, e disporranno sempre meno, di strumenti operativi. La legge italiana – a seguito di una interpretazione molto drastica e violenta di orientamenti dell’UE assai
meno vincolanti - impone loro di dimettere entro breve le imprese controllate o partecipate,
per affidarle a gestioni private e a processi di aggregazione che le allontanano sempre più
dal territorio, dalle sue esigenze e, soprattutto, dalle sue possibilità di un controllo diretto
da parte degli utenti/cittadini. Se questo processo andrà avanti, queste società, oggi sotto
il controllo degli enti locali, si trasformeranno in holding coinvolte nel gioco finanziario
planetario.
Occorre, invece, che nei territori di loro competenze agli enti locali venga restituita la
possibilità, nella massima trasparenza di fronte ai propri amministrati, di fare impresa, di
promuovere accordi che garantiscono mercato a chi impegna in produzioni che corrispondono
ad un disegno condiviso, di sostenere lo sviluppo locale delle energie rinnovabili.
All’inizio del Novecento, per fornire alla parte meno privilegiata dei propri amministrati
elettricità, acqua, gas, fognature, trasporto, e poi anche gestione dei rifiuti, sanità, assistenza, cultura, le amministrazioni a guida socialista o democratica del nostro Paese avevano
fondato le imprese “municipalizzate” che esse potevano controllare direttamente grazie alla
copertura di una legge nazionale voluta da Giolitti. Quel sistema di imprese pubbliche – molto
presente al Centro-Nord e assai meno nel Mezzogiorno –, che ora l’art. 15 del D.L. 135/08
(cosiddetto Decreto Ronchi), che ha modificato l’art. 23 bis della Legge 133/08 impone di
smantellare,107 è stato fatto in gran parte degenerare dal clientelismo. Nei casi in cui queste
imprese pubbliche sono già state privatizzate, il cambiamento di proprietà non sembra aver
apportato alcun miglioramento agli utenti, mentre ha contribuito comunque non poco ad
alimentare una nuova ondata di “finanziarizzazione” dell’economia e l’”esternalizzazione” dei
servizi, affidati a subappalti fondati sullo sfruttamento intensivo del lavoro.
Le forme dell’intervento dei municipi nell’economia devono sicuramente cambiare. La
trasparenza di tutte le operazioni effettuate, il coinvolgimento della cittadinanza attiva nella
gestione ne devono diventare vincoli ineludibili, perché sono l’unico presidio nei confronti
delle degenerazioni clientelari, che aprono poi le porte alle infiltrazioni e al controllo della
107 Si prevede come forme ordinarie di affidamento la gara ad evidenza pubblica e la società mista pubblico-privato (nella
quale il privato scelto attraverso gara, possegga almeno il 40% delle azioni), relegando come residuali e straordinarie persino le
gestioni attraverso SpA a totale capitale pubblico. Con l’avvento delle SpA, non solo i cittadini, ma persino i consigli comunali
perdono ogni capacità di controllo e di intervento sulle decisioni; e quando addirittura le società gestrici sono collocate in
Borsa, ogni possibile vincolo può essere eliminato, in quanto considerato turbativo del buon andamento del titolo sul mercato
finanziario.
151
Energia eolica e sviluppo locale
L’ACSM - Azienda Consortile per i Servizi Municipali del Primiero (Trento)
L’ACSM (www.acsmprimiero.com) è una piccola multiutility – società per azioni la cui quota di larga
maggioranza è detenuta dai Comuni del territorio - che opera nel territorio del Primiero, area sudorientale della provincia di Trento a ridosso della regione Veneto, che si compone di tre valli principali
(Cismòn, Vanoi e Mis), con un concentrazione degli abitanti nel fondovalle (Marella e Baldo, 2009).
L’ACSM si occupa della produzione e della distribuzione dell’energia idroelettrica del Primiero-Vanoi-Vanoi, della gestione degli acquedotti e dei rifiuti, oltre che di progetti innovativi per l’uso sostenibile di
fonti energetiche rinnovabili (oltre all’idroelettrico, il bio-metano e il teleriscaldamento da biomasse
legnose). Le risorse collettive (acqua e legno) che la società gestisce, sono strategiche per il territorio
e ne fanno indirettamente un attore chiave della governance locale, uno spazio negoziale e di definizione degli indirizzi condivisi delle politiche per l’area vasta in alcune delle materie di competenza
degli enti locali. “E interessante notare che i Comuni soci trovano ACM un ambito privilegiato per quanto
riguarda l’elaborazione di risposte originali alle sfide complesse che si pongono nelle valli, grazie anche
alle competenze tecniche e manageriali che il gruppo ha portato a sviluppare. Tale patrimonio locale di
conoscenze e skills è in grado di supportare l’azione congiunta degli attori locali, che si snoda attraverso
processi di negoziazione articolati, aventi come esito una gestione condivisa dei beni comuni del territorio con prospettive di lungo-lunghissimo periodo” (Marella e Baldo, 2009:241). Attualmente, l’ACSM sta
costruendo un’offerta innovativa nel circuito internazionale delle Oil Free Zone, attraverso investimenti
integrati sull’efficienza energetica, la produzione di energia da fonti rinnovabili e la creazione di un
sistema di mobilità sostenibile integrato con un sistema di ospitalità e di animazione turistica sempre
più specifico e innovativo. Si tratta di un sistema produttivo ancora in gran parte da costruire, ma
molto promettente nei confronti della crescente area di domanda turistica green.
malavita organizzata. Ma, non ci potrà essere uno sviluppo delle energie rinnovabili all’interno di processi di sviluppo locale senza un recupero radicale, da parte delle amministrazioni
locali, del potere di intervenire nella gestione dei processi di produzione e consumo che
interessano il loro territorio.
In secondo luogo, il tema della modernizzazione della rete elettrica è cruciale perché il
nuovo rapporto tra produzione e consumo è alla base della metamorfosi che si profila nel campo della generazione e distribuzione di energia elettrica. Il recente moltiplicarsi di impianti a
fonti rinnovabili, infatti, impone un adeguamento dell’attuale sistema elettrico, ad oggi programmato e realizzato per una generazione centralizzata. Nel nuovo scenario caratterizzato
da una ampia diffusione degli impianti a fonti rinnovabili, con riferimento all’evoluzione del
sistema elettrico, inteso nel senso più generale, emergono due esigenze prioritarie:
• come favorire le generazione di energia elettrica da fonte rinnovabile tipicamente caratterizzata da discontinuità produttiva, piccole taglie e localizzazione decentrata;
• come far partecipare anche i piccoli impianti o i carichi di modesta entità al bilanciamento della domanda e dell’offerta di energia.
Per perseguire questi due obiettivi, un ruolo importante è necessariamente svolto dalle
reti di distribuzione elettrica, quelle reti prevalentemente esercite in media e bassa tensione
che coprono capillarmente il territorio nazionale e garantiscono la fornitura alle utenze di
piccole dimensioni, come quelle del settore domestico. Queste reti, però, non sono state
progettate per soddisfare queste due esigenze:
• la presenza di numerosi impianti di generazione di piccola taglia non programmabili
richiede una revisione delle protezioni di linea e un controllo delle caratteristiche della fornitura, in primis della tensione, per salvaguardare la sicurezza e la qualità;
152
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
Integrazione delle energie rinnovabili nel sistema elettrico: il ruolo della meteorologia
La complessità dell’integrazione delle fonti rinnovabili nei sistemi elettro-energetici è legata essenzialmente alla non programmabilità di queste. Gli impianti di conversione dell’energia eolica e solare
in elettrica producono energia elettrica solo nel momento in cui la fonte rinnovabile è disponibile/
presente e sono, quindi, caratterizzate da una variabilità intrinseca (giornaliera/stagionale e atmosferico/meteorologica) che si ripercuote sulla rete elettrica. D’altronde la politica di incentivazione
delle fonti rinnovabili dispone che la loro produzione goda della priorità di dispacciamento, ovvero
dell’immissione in rete, rispetto alle fonti convenzionali. L’aleatorietà della produzione rinnovabile e
la necessità di bilanciare istantaneamente domanda ed offerta di energia può, quindi, provocare sbilanciamenti che devono essere subito compensati dal gestore della Rete Elettrica Nazionale attraverso
la gestione di quote di potenza generate da fonti rapidamente disponibili e modulabili. Attualmente
le uniche fonti con queste caratteristiche e con potenza sufficiente sono le centrali idroelettriche
con serbatoio e quelle turbogas. La quota di potenza che ogni giorno viene messa a disposizione per
questa operazione si chiama “riserva” e viene acquistata dal gestore della Rete Elettrica Nazionale
sul mercato libero. Al fine di aumentare il margine di modulazione, sono state costruite in passato le cosiddette centrali di pompaggio, in grado di immagazzinare energia mediante sollevamento
dell’acqua durante i periodi di basso fabbisogno e fornire energia nei momenti di maggior bisogno.
Lo sviluppo di questo metodo di accumulo è però condizionato dalla disponibilità di bacini idrici
adatti a questo scopo. Tali bacini sono solitamente situati al nord, lontano dalle zone di produzione
delle centrali eoliche e solari. Rispetto al passato, caratterizzato da un’offerta di potenza e un fabbisogno abbastanza prevedibili (centrali a carbone, olio, e idroelettrico modulabile), oggi l’immissione
di quote sempre maggiori di potenza ad alta variabilità fa aumentare la necessità di modulazione e
di previsione della riserva necessaria per l’operazione di bilanciamento. In aggiunta le attuali linee
elettriche che collegano il nord con il sud non sono in grado di trasferire con efficienza l’energia
necessaria per queste modulazioni.
Le energie rinnovabili introducono un’altra difficoltà gestionale, di tipo economico, relativa alla
vendita sul mercato operata dai singoli grandi produttori o dal GSE per conto dei piccoli. Per poter
vendere in modo ottimale l’energia rinnovabile è necessario avere una stima, quanto più affidabile,
del profilo orario che si produrrà il giorno dopo. Questa previsione è ovviamente ottenibile attraverso
una buona previsione di vento e di radiazione solare sui siti degli impianti. A tutt’oggi tale attività
è lasciata ai singoli produttori o al GSE e non esiste per ora in Italia l’intenzione di unificare i sistemi di previsione a beneficio di tutti: Gestore della Rete e produttori. Le previsioni meteorologiche
sono utili anche nei casi in cui il Gestore della Rete ha la facoltà di scollegare i generatori eolici per
evitare sbilanciamenti tali da compromettere la stabilità della rete. In queste occasioni il produttore
“scollegato” riceve un indennizzo proporzionale all’energia che avrebbe prodotto durante il periodo di
distacco. L’unico modo per calcolare questo indennizzo è quello di conoscere a posteriori il vento che
ha agito sul sito del generatore distaccato. A tal fine è necessario che GSE, preposto a questa valutazione, disponga di misure affidabili oppure valutazioni modellistiche del vento per ogni parco eolico
che ha subito un distacco. I modelli meteorologici vengono così incontro a diversi problemi sorti con
lo sviluppo delle energie rinnovabili, sia per mezzo di una previsione nel futuro, sia ricostruendo il
tempo passato. Essi partono da uno stato iniziale e, imponendo forzanti esterne (energia solare, oceano, terreno), simulano la dinamica di tutti i fenomeni atmosferici, restituendo stime delle principali
variabili, quali temperatura, vento, radiazione solare, ecc. I modelli meteorologici sono già da tempo
in uso nei paesi a forte penetrazione rinnovabile, come la Germania, Danimarca, Spagna, Olanda. Nel
campo eolico questi paesi sono leader per la previsione meteorologica. Per l’energia solare invece il
problema è complicato dall’influenza di fenomeni micro-fisici di difficile simulazione, come le nubi
e la dinamica degli aerosol atmosferici. La ricerca scientifica sta però facendo passi da gigante in
questo campo proprio perché spinta dalle criticità gestionali sollevate dalle energie rinnovabili, nella
loro integrazione nelle reti elettriche.
153
Energia eolica e sviluppo locale
• la presenza di produzioni e carichi non programmabili richiederebbe lo sviluppo di
nuovi servizi di rete, come il servizio di storage (attraverso sistemi di accumulo/stoccaggio
dell’energia elettrica prodotta e non immettibile in rete), per non indurre un onere eccessivo
al mercato del bilanciamento.
Lo sviluppo della generazione eolica si inserisce in un contesto più ampio di profonda
trasformazione del sistema elettrico, che parte dalle reti di distribuzione (quelle a media e
bassa tensione, che alimentano la maggior parte dei carichi) e arriva fino al sistema di trasmissione (le “autostrade dell’energia”, 220-380 kV). La variabilità e volatilità introdotta dalla generazione eolica sulle reti di trasmissione e distribuzione richiedono strumenti avanzati
di monitoraggio e controllo del sistema elettrico. In particolare le reti di distribuzione oggi
hanno una struttura radiale e “a senso unico”, dalle stazioni di trasformazione verso i consumatori. Oggi, la rete elettrica è un sistema gerarchico complesso monodirezionale e controllato secondo canoni precisi. Con la diffusione delle rinnovabili sul territorio, le sorgenti
diventano miriadi, fonti intermittenti, variabili, incostanti. Pertanto, occorrono modifiche
concettuali alla struttura, ma soprattutto alla gestione delle reti, trasformando radicalmente
il loro modus operandi, fra l’altro, le reti di distribuzione passano da sistemi “passivi”, in cui
l’elettricità viene trasportata dal luogo di produzione a quello di consumo, a sistemi “attivi”,
intelligenti e customer centric in cui ci sono:
• sistemi di misura avanzati (smart metering108);
• un controllo tempestivo dei flussi di rete;
• sistemi bidirezionali di dialogo tra la rete e gli utenti che sono sia consumatori sia produttori;
• nuovi usi dell’energia funzionali al condizionamento dei profili di carico alle interfacce
con la rete di trasmissione nazionale.
Una trasformazione questa che implica un adattamento delle infrastrutture elettriche e
la creazione di vere e proprie smart grid, reti/apparati intelligenti, per dar vita ad un sistema
elettrico più affidabile, flessibile, sicuro ed efficiente, in grado di:
• far dialogare produttori e consumatori, accogliendo le nuove esigenze dei consumatori,
come quella di partecipare attivamente al processo di produzione dell’energia;
• accogliere l’energia non programmabile (fonti rinnovabili);
• conciliare sistemi tradizionali di generazione centralizzati con quelli distribuiti, tipici
delle fonti rinnovabili;
• anticipare le esigenze degli utenti finali;
• garantire ai fruitori un riscontro dei consumi energetici.
Una smart grid è una rete con molti nodi e tecnologie intelligenti, capaci di bilanciare e
ridistribuire i flussi di produzione delle diverse fonti, compensando automaticamente gli sbalzi che possono portare a black-out. La rete dovrà assicurare, mediante comunicazione interna,
automazione digitale diffusa in ogni cabina elettrica, software per il bilanciamento delle
tensioni e centri di controllo, la stessa identica stabilità di prima, prevedendo in tempo e poi
correggendo ogni variabilità in pochi secondi. Si tratta di innovazioni basate sull’ottimizzazione della produzione elettrica a seconda della domanda e di una migliore gestione dell’energia da generazione distribuita. L’intelligenza rappresenta il fattore cruciale nell’adeguamento
delle attuali reti di trasmissione e distribuzione elettrica. Solo aggiungendo elementi di
“proattività” all’infrastruttura, infatti, potrà essere possibile ottimizzare il contributo delle
108 L’Italia detiene il primato in Europa nello sviluppo di smart meter, i contatori elettronici capaci, sulle stesse linee elettriche di inviare alle centrali i dati dei consumi delle utenze. Entro il 2011 i 36 milioni di clienti finali potranno usufruire di
contatori intelligenti. Il primo pese europeo, però, che ha raggiunto il 100% di copertura è stato la Svezia.
154
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e sviluppo locale
fonti rinnovabili alla produzione e al consumo di energia, gestire la convenienza con le altre
fonti, garantire l’approvvigionamento a sistemi di mobilità “pulita”, aumentare l’efficienza
complessiva della trasmissione e della distribuzione anche attraverso soluzioni di storage e,
soprattutto, incrementare la quantità di informazioni che sulle reti possono viaggiare.
Questo è un problema strutturale generale di un sistema che per un secolo è stato alimentato da
poche grandissime centrali a combustibile programmabile e che ora deve fare la transizione verso un combustibile non programmabile, ma universalmente disponibile come il vento e il sole. È
chiaro che una transizione di questo genere non la si fa in 10 anni. Probabilmente, ci vuole un
secolo, perché si deve progressivamente, man mano che le rinnovabili si diffondono, avere dei
punti di ingresso e uscita molto più capillari e, quindi, una moltiplicazione di cabine elettriche,
realizzate anche là dove non ci sono delle utenze – questo è soprattutto il problema dell’eolico,
mentre il fotovoltaico anche se è a terra normalmente sta vicino alle aree abitate. Questa è
soltanto la prima fase. Nella seconda fase ci sarebbe bisogno di stoccarla quell’energia eolica
e, quindi, trasformarla in vettori che siano utilizzabili in maniera differita rispetto al consumo.
Lì c’è tutto il tema dell’idrogeno, della trasformazione di un’energia aleatoria in un sistema di
stoccaggio. Quello sarà un passo ulteriore, un problema che probabilmente affronteremo nella
seconda metà di questo secolo. Dal 2050 in poi ci saranno già tecnologie – avendo il petrolio
ormai un prezzo/disponibilità troppo più elevato rispetto alle fonti rinnovabili – in grado di
adeguare la rete per valorizzare l’opzione più competitiva (Mario Gamberale, Kyoto Club).
La tecnologia è in continua evoluzione e il mercato dei prodotti “intelligenti” deve
ancora consolidarsi: spetta ai governi individuare le strategie da implementare e attuare,
dando impulso all’industria. La complessità dei meccanismi di sviluppo di un sistema di reti
intelligenti non deve essere sottovalutata. Non vi è dubbio che si tratti di progetti complessi
che, oltre al lancio commerciale della tecnologia, presuppongono l’investimento di ingenti
capitali, contestualmente allo sviluppo di una nuova governance e delle rete di fornitura e al
coinvolgimento degli stakeholders.
Lo scenario energetico che abbiamo davanti comporta dei cambiamenti radicali nelle reti. Non
siamo in Cina, dove si decide da un lato di promuovere le rinnovabili e dall’altro di ristrutturare
le reti, e quindi, si spende per fare entrambe le cose contemporaneamente in maniera coordinata, è un tutt’uno la decisione politica e l’azione. In Europa, invece, noi abbiamo il mercato
dell’energia che è liberalizzato e, quindi, l’iniziativa è in mano ai privati, mentre le infrastrutture sono in mano allo Stato o a società parastatali che sono sempre in deficit di fondi, pertanto
il processo è molto più complicato. Ci sono aree che hanno grande potenziale da vento e sole,
dove il mercato spinge a realizzare grandi infrastrutture di produzione, e una rete che arranca
nel tentativo di trovare risorse per provare ad adeguarla per consentire il diritto prioritario di
dispacciamento, per intercettare quell’energia e quella potenza (Mario Gamberale, Kyoto Club).
Sicuramente con le tecnologie disponibili oggi, e sempre più nel futuro, permetteranno
la creazione di smart grid locali interconnesse, sviluppate tenendo conto dell’energy modeling
di ciascun territorio.
È il passaggio dal modello ad albero al modello a rete: non più una grande centrale con l’energia
che scende per i rami, ma un network senza scala gerarchica. Una rivoluzione che consente una
serie di risparmi. Il primo è nell’investimento, perché siriesce a produrre energia con una serie
di piccoli e piccolissimi punti di produzione. Il secondo vantaggio è nel miglioramento della
gestione degli impianti, che non sono più sottoposti allo stress del salto improvviso da un minimo di produzione a un picco, ma possono attestarsi sulla capacità ottimale e quindi durano
155
Energia eolica e sviluppo locale
di più. Il terzo beneficio è l’eliminazione delle perdite di trasmissione, che possono arrivare al
30% dell’elettricità prodotta. A Roma abbiamo cominciato a costruire delle smart grid: una è
alla Sapienza, una all’EUR, un’altra collega un gruppo di impianti sportivi (Livio Santoli, prorettore dell’Università La Sapienza di Roma e responsabile del nuovo piano energia del Comune
di Roma, in Cianciullo, 2011d).
E’ un modello che richiede un cambio radicale del sistema organizzativo: dal sistema di
produzione alle connessioni, al controllo, tutto deve cambiare. Fra le innovazioni tecnologiche emerge anche il ruolo della corrente continua, che è quella fornita dagli impianti basati
sulle rinnovabili e che oggi viene convertita in alternata utilizzando gli inverter. In questo
contesto, risulta fondamentale rendere i consumatori parti attive nel processo di fornitura
dell’energia, attraverso una giusta informazione che li incentivi gradualmente a modificare le
proprie abitudini per accostarsi in modo “intelligente” a nuovi comportamenti di consumo.
L’internazionalizzazione del mercato e l’accresciuta decentralizzazione della produzione
energetica, poi, spingono verso l’interconnessione di impianti a fonti rinnovabili localizzati
in zone geografiche diverse e il trasferimento di grandi quantitativi di energia attraverso l’installazione di diverse migliaia di chilometri di cavi sottomarini ad alta tensione in corrente
continua (HVDC), così come previsto dal progetto Desertec e da quello per l’eolico offshore dei
Paesi del Mare del Nord (con 140 GW di capacità eolica offshore già pianificati).
Questa non è fantascienza, ma già oggi ci pone il problema di come andare a realizzare le
infrastrutture solari energetiche nel Nord Africa e trasferire grandissime quantità di energia
elettrica ad altissima tensione per alimentare la rete europea. La Germania ha un progetto su
Gibilterra, la Francia da Tunisi attraverso la Sicilia. Dall’Albania verso l’Italia. Insomma, ci sono
dei progetti operativi come Desertec, promosso da banche e utility europee, per un costo di
3-400 miliardi di euro per iniziare a realizzare questo tipo di infrastrutture. In Marocco sono
partiti i progetti preliminari con i layout degli impianti, finanziato da un fondo e dalla Banca
Mondiale per avviare il processo (Mario Gamberale, Kyoto Club).
156
Testimoni privilegiati
Nominativo
Organizzazione
Battistella Alessio
Architetto, docente di progettazione del paesaggio, consulente
RSE SpA
Belli Domenico
Responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace
Italia
Berdini Paolo
Ingegnere, urbanista, docente all’Università di Roma Tor Vergata,
già segretario generale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica
Brandi Roberto
Consigliere e membro del Gruppo di lavoro energia del CNEL
Bruni Ivano
Generation market development – Italy development – Renewable Energies Division di Enel Green Power SpA
Caivano Virgilio
Presidente della rete Piccoli Centri Europei
(www.piccolicentrieuropei.com)
Canavero Giulia
Responsabile dell’ufficio ambiente e qualità di FERA Srl – Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative
Caradonna Gerardo
Presidente ed amministratore delegato di PurEnergy SpA
di Bisaccia (AV)
Castelli Ranieri
Sindaco di Rocchetta Sant’Antonio (FG)
Dal Bosco Tommaso
Direttore generale di UNCEM
Dedda Michele
Sindaco di Bovino (FG)
Della Seta Roberto
Membro della XIII Commissione Territorio, Ambiente, Beni Ambientali, già presidente di Legambiente
Gamberale Mario
Responsabile energie rinnovabili del Kyoto Club
Gurisatti Paolo
Responsabile ricerca e sviluppo del Consorzio Habitech
(www.dttn.it) e consulente ambiente e energia dell’UNCEM
Leoni Stefano
Presidente nazionale del WWF
Lincetti Alberto
Responsabile prodotto energia di Leasint – Gruppo Intesa San
Paolo
Magnaghi Alberto
Ordinario di pianificazione territoriale della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze
Maio Giada
Responsabile del settore energia di ANCI Nazionale
Marchisio Andrea
Responsabile del settore eolico di APER – Associazione Produttori
Energia da Fonti Rinnovabili
Masini Stefano
Responsabile ambiente della Coldiretti
Midulla Maria Grazia
Responsabile clima ed energia del WWF Italia
157
Energia eolica e sviluppo locale
158
Mignogna Gianfilippo
Sindaco di Biccari (FG)
Moderini Daniela
Architetto e docente di architettura del paesaggio all’Università
di Ferrara
Morini Flavio
Sindaco di Scansano (GR) e delegato per l’ambiente dell’ANCI
Nazionale
Murgante Pasquale
Sindaco di Accadia (FG)
Nicoletti Giuseppe Martino
Docente di Sistemi di gestione e certificazione ambientale e turismo sostenibile e coordinatore del Master di primo livello in
Management delle imprese di servizi energetici e ambientali
dell’Università di Foggia
Parisi Lucilla
Vicesindaco di Roseto Valfortore (FG)
Pasquali Franco
Segretario generale della Col diretti
Pennesi Federico
Sindaco di Santa Luce (PI)
Pratesi Costanza
Responsabile dell’ufficio paesaggistico e territorio del FAI – Fondo Ambiente Italiano
Raffa Michele
Amministratore di Fortore Energia SpA
Refrigeri Roberto
Responsabile dell’unità di business di Napoli di Enel Green Power
Ricciardi Francesco
Sindaco di Monteverde (AV)
Rossi Antonio
Sindaco di Anzano di Puglia (FG)
Sacco Marina
Referente APER – Associazione Produttori Energia da Fonti Rinnovabili
Saturnino Antonio
Dirigente del settore ambiente del FORMEZ
Selano Giovanni Alessandro
Responsabile tecnico progetti e sviluppo di Holding Fortore Energia SpA
Schiapparelli Carlo
managing director REpower System Italia
Silvestrini Gianni
Direttore scientifico del Kyoto Club
Togni Simone
Segretario generale ANEV – Associazione Nazionale Energia del
Vento
Zanchini Edoardo
Responsabile dell’ufficio energia e clima di Legambiente
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coprono l´intera filiera elettro-energetica in un´ottica essenzialmente applicativa e sperimentale. RSE S.p.A. è partecipata totalmente da capitale pubblico: socio unico GSE
S.p.A.
Analisi e Ricerche Territoriali – ART S.r.l. È impegnata in attività di analisi e di ricerca
socio-economica e territoriale con un’attenzione particolare alle tematiche dell’animazione
sociale e dello sviluppo locale.
Energia eolica e sviluppo locale
Se c’è un’immagine che, meglio di altre, connota la grande transizione dell’economia e
della società dei paesi avanzati questa è certamente la pala di un generatore a vento. Simbolo e paradigma della green economy, dell’affermarsi di una via “alta” dello sviluppo che
sappia incorporare e valorizzare una crescita sostenibile e compatibile con le risorse finite
del pianeta, la turbina eolica prefigura una ridefinizione dei rapporti che collegano l’uomo con l’ambiente, il paesaggio, le fonti di energia, la società, l’economia, il consumo, la
cultura. L’eolico e, più in generale, le energie rinnovabili si stanno sviluppando in Italia,
diffondendosi sui territori locali a ritmi inimmaginabili solo 10 anni fa, nonostante fattori
che incidono negativamente come le farraginosità degli iter autorizzativi o l’inadeguato
sviluppo della rete elettrica. Ma, l’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità
locali che vivono nei territori dove tali impianti vengono realizzati. Pertanto, ragionare sul
tema dell’impatto sociale, dell’accettabilità culturale rispetto alla realizzazione di questi
impianti di produzione energetica, significa misurarsi con l’insieme delle problematiche e
delle opportunità connesse ai temi dello sviluppo locale in contesti socio-economici che
molto spesso sono rimasti ai margini del processo di civilizzazione industriale del Novecento e che finora hanno subito i processi di modernizzazione.
Energia
eolica
e
sviluppo
locale
Territori, green economy e processi partecipativi
COP Rapporto RSE_def.indd B
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