padre Ezio Mascaretti Bangladesh
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padre Ezio Mascaretti Bangladesh
Non lo fermano neppure i tifoni del Bangladesh BANGLADESH UN GEOMETRA NEI CANTIERI DEL REGNO DALLA PRIMA FORMAZIONE IN PARROCCHIA ALL’ATTIVITÀ PROFESSIONALE, DALL’IMPEGNO IN UN ORGANISMO DI VOLONTARIATO INTERNAZIONALE ALLA SCELTA DELLA CONSACRAZIONE SACERDOTALE: PADRE EZIO MASCARETTI, MISSIONARIO DEL PIME IN BANGLADESH, RIPERCORRE CON NOI LE TAPPE DEL SUO CAMMINO DI FEDE. Nasce da lontano la vocazione di padre Ezio per le costruzioni. E se, per qualche anno, egli ha concretamente progettato al tecnigrafo case e arredamenti, ad un certo punto della vita ha deciso di lavorare in un cantiere molto speciale, vasto quanto il mondo, e di dedicarsi definitivamente ad un progetto impegnativo: collaborare alla costruzione del Regno di Dio. Per capire come e perché il geometra Ezio Mascaretti sia diventato a 37 anni padre Ezio, è necessario ripercorrere la sua vita a ritroso, risalire ai suoi primi anni negli oratori di Villa d’Almè, il paese dove è nato cinquant’anni fa, e di Petosino, località in cui all’età di 13 anni si è trasferito con la famiglia. Sono stati i luoghi della sua formazione. Padre Ezio ne parla con entusiasmo e con riconoscenza nei confronti di chi allora scavò in lui fondamenta profonde, posò i primi mattoni, innescò la miccia… E se è a Villa e a Petosino che si sprigiona la prima scintilla, è in anni successivi, nell’incontro con il CELIM, organismo di volontariato internazionale cristiano, che si sviluppa il fuoco vero e proprio a cui padre Ezio, nel raccontare la sua esperienza, accenna più volte, quasi per ‘giustificare’ la svolta data alla sua vita. Se si ha il fuoco che brucia dentro, non si può ignorarlo e così, quando nel 1975, nell’ambito dell’impegno con il CELIM, padre Ezio si reca per la prima volta in Africa, sente che il fuoco divampa. “Dovevo andare a vedere: un conto è parlare qui di missione, tutt’altra faccenda andare di persona. Tutto mi ha entusiasmato: il lavoro dei missionari, l’impegno dei laici che ho incontrato, l’accoglienza che ho ricevuto, i campi di impegno che vedevo aprirsi anche per me. Al ritorno rifletto sulla mia vita: amavo il mio lavoro di geometra, ero apprezzato negli studi professionali in cui lavoravo, sentivo anche che avrei potuto formarmi una famiglia. Ma si faceva sempre più prepotente l’attrazione per la missione. Ho vissuto momenti di dubbio; dentro di me c’era una ricerca profonda sostenuta dalla preghiera. Poi la scelta della consacrazione definitiva. Sono entrato nel PIME, un Istituto che ha il seminario a Monza. La sua vicinanza con Bergamo mi avrebbe consentito di tornare, come poi i superiori mi hanno permesso di fare, nei fine settimana, per continuare a seguire il CELIM, di cui in quegli anni sono stato il presidente: è stata la mia forma di apostolato fino all’ordinazione”. IL FASCINO DEGLI OCCHI A MANDORLA Diventato prete nel 1981, padre Ezio chiede di essere mandato in India o in Bangladesh. Lui che aveva conosciuto nei suoi viaggi per il CELIM un po’ di Africa e di America Latina, sente fortemente il richiamo dell’Asia, una sfida per i cristiani: un continente immenso in cui le cifre sono incredibilmente grandi, ma si riducono vertiginosamente quando si tratta di contare coloro che hanno ricevuto e accolto l’annuncio del Vangelo. E sottolineando le sue parole con un sorriso, padre Ezio non nasconde di aver sempre subìto il fascino degli occhi a mandorla. Così, quando gli viene proposta l’India, non esita a frequentare in Spagna un corso per la cura della lebbra. Sa infatti che per entrare in India è necessario almeno un diploma di paramedico. Ma l’anno dopo la sua domanda viene respinta. Resta aperta la possibilità del Bangladesh che, dal 1984, diventa la terra della sua missione. “La mia diocesi si trova in una zona dove spesso cicloni improvvisi provocano inondazioni spaventose. Nel ’71, a 50 chilometri dalla nostra missione, un ciclone ha causato 500 mila morti. Nel ’91, per un altro ciclone, i morti sono stati 300 mila. Qualche giorno dopo un tornado, nel giro di pochi minuti, ha seminato distruzione intorno a noi: dove è passata la furia del tornado tutto è andato distrutto. In questi tre anni, nella ricostruzione della missione abbiamo fatto lavorare decine di famiglie. La mancanza di lavoro è il grande problema del Bangladesh che, su una superficie che è la metà di quella italiana, ha 120 milioni di abitanti e il reddito medio è di 130 dollari all’anno: uno dei più bassi del mondo. Lavoro in una parrocchia molto vasta, ma i cattolici sono solo 3.500, sparsi in quarantacinque villaggi. L’85% della popolazione bengalese è musulmana, circa il 15% indù, lo 0,2% è formato da cristiani, tra cui molti protestanti presenti anche nella mia zona. Seguo le famiglie cattoliche sparse nei villaggi, celebro i sacramenti, organizzo incontri. Non è facile spostarsi perché il fango rende le strade impraticabili dilatando le distanze. Si usa, quando è possibile, la moto o la bicicletta, la barca sui grandi fiumi e più spesso…le proprie gambe”. Padre Ezio, che lavora al sud del Bangladesh dove operano altri padri del PIME, da alcuni anni vive da solo la sua esperienza di missione, ma afferma di non sentire il peso di una solitudine che di fatto non esiste. Ci pensa la sua gente a riempire le sue giornate e la sua casa, gente di cui parla con affetto, elencando difetti e virtù di un popolo geniale e creativo, che vive in condizioni disperate, in balìa di una natura avara e capricciosa. UN MONDO DA RIPROGETTARE Non nasconde anche le difficoltà, e non sono poche, che si incontrano accostando un mondo musulmano che guarda con sospetto il nostro mondo di occidentali resi schiavi da un consumismo sfrenato e da altri mali che li scandalizzano. E poiché essi identificano l’Occidente con il Cristianesimo, i mali che ci affliggono rendono noi cristiani, ai loro occhi, dei ‘traditori’ di Cristo e del suo messaggio. “Annunciare Cristo in Asia è una grande sfida. Per questo occorre riprogettare la nostra vita, le nostre scelte qui, prima di pensare di poter far breccia nei loro cuori”. Parla animato dall’antico fuoco padre Ezio e, quando gli chiedo che cosa prevede per il suo futuro, alla vigilia del ritorno in Bangladesh, risponde che, chissà, fra un anno o due gli potrebbe anche venir chiesto di tornare in Italia, per svolgere qui il suo servizio, in un mondo tutto da riprogettare… Da MISSIONDUEMILA, inserto mensile del settimanale diocesano “La Nostra Domenica”, 15 gennaio 1995