Racconto Cavalieri della montagna. Di Bruno Longanesi

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Racconto Cavalieri della montagna. Di Bruno Longanesi
CAVALIERI DELLA MONTAGNA
“Odio la guerra, ma amo chi è costretto a farla”
Rifugio Locatelli, di fronte al versante nord delle Tre Cime di Lavaredo.
Molti turisti, ogni anno, arrivano in questa zona.
Ammirano, giustamente, il panorama, uno dei più “belli al mondo”.
Quanti sanno, però, che ogni sasso, ogni anfratto o zolla di terreno, è stato bagnato dal
sangue di giovani che si contendevano, quel territorio?
Alcuni anni fa, pernottai una notte al “rifugio”, e una guida del posto mi spiegò il
motivo per cui nei pressi dei Laghetti dei Piani e, precisamente, quella modesta altura che
si stacca tra il monte Paterno e la Torre Toblin, viene chiamata la zona dei cecchini
ciechi!”
Avevo sentito parlare vagamente del particolare e m’incuriosì saperne di più...
“Accadde nel 1915...” - mi spiegò l’uomo di montagna - “.
Tra le posizioni occupate dagli Italiani c’era un torrione roccioso, un rilievo insignificante tra
quelle immense pareti, ma di una certa importanza strategica per i nostri Alpini.
“Era stato trasformato in un agguerrito caposaldo avanzato dal quale si poteva
dominare parte delle posizioni austriache e causare forti perdite con il fuoco d’abili tiratori
scelti ( i micidiali “cecchini”).
“Questa “posizione avanzata” aveva assunto una grande rilevanza e, soprattutto, una
triste fama fra i combattenti austriaci che lo avevano battezzato Totenkopf (Testa di
morto).
“Era una preoccupazione per il Comando Austriaco che decise di annientare il
caposaldo.
L’“azione” fu affidata ad un giovane Tenente tirolese e a tre esperti scalatori del posto.
“Aspettarono la notte, una notte particolare: nevicava abbondantemente da molte
ore e il fronte sembrava “addormentato”. La sorpresa doveva essere l’arma vincente
dell’azione.
“La pattuglia austriaca scese cautamente sul fondo vallone, protetta dall’oscurità.
Riuscì a giungere, silenziosamente, alle spalle dell’avamposto nemico con la convinzione che
gli Italiani fossero intenti a riposare, dato il maltempo che diminuiva il rischio di attacco.
“Invece, attraverso le fessure di una parete di legno di una baracca, i quattro militari
austriaci intravidero una debole luce e sentirono voci che stavano parlando..
“Dinnanzi a loro una breve scala di legno portava all’ingresso di quel piccolo riparo.
Il Tenente austriaco la raggiunse in silenzio, posò la mano sul primo piolo, si guardò attorno
e...scorse due occhi scintillanti nel buio: erano quelli di un Alpino di sentinella!
“Un attimo solo. I due uomini si scagliarono uno contro l’altro e si avvinghiarono in un
abbraccio mortale.
“La lotta fu brevissima: l’Alpino, colto alla sprovvista, venne spinto verso i baratro.
Ma prima di cadere lanciò un urlo altissimo: fu l’allarme!
“Gli Italiani reagirono con una furiosa sparatoria: la sorpresa era mancata!
La pattuglia austriaca riuscì a sfuggire al fuoco ed a dileguarsi nel buio, ricongiungendosi ai
compagni.
“Trascorsero alcune ore. Il tenente tirolese stava riposando nella sua tenda, quando
un soldato lo risvegliò bruscamente per avvisarlo che, sulle rocce, c’era qualcuno che si
lamentava.
“Intuì subito la realtà: rivide quegli occhi brillanti, stralunati e spaventati del giovane
alpino che aveva buttato nel vuoto!
“Questione di fortuna. La sorte che a lui era stata benigna, avrebbe potuto aver
invertito i ruoli: in quel momento avrebbe potuto essere lui a lamentarsi fra le rocce.
“Uscì all’aperto. Nevicava abbondantemente. Spostò un sacchetto di terra e spiò attraverso la piccola
feritoia.
“Fra il turbinio della neve, a metà della “terra di nessuno”, vide un corpo umano.
Scavalcò la trincea, fece srotolare una corda nel vuoto e si fece calare fino a raggiungere un
punto vicino al ferito.
Vide distintamente l’Alpino semicoperto dalla neve, arrossata dal suo sangue.
“Guardò con più attenzione.
L’ Italiano giaceva con gli occhi chiusi.
“Notò, comunque, che una mano si alzava di tanto in tanto per poi ricadere senza
forze.
Era vivo!
“Udì un lamento...sì...aveva udito bene!
Quel “ragazzo”, con rauchi singhiozzi, invocava la mamma: dunque era in grado di
connettere!
“Ma non poteva essere soccorso da lei e da nessuno!
Stava morendo nella disperazione!
“Anche gli Italiani avevano udito i gemiti e incominciarono ad organizzare il
salvataggio del loro compagno, malgrado l’estremo pericolo di esporsi al fuoco nemico.
“Stavano già discutendo il modo migliore per prestare il soccorso, quando si avvidero
che, nelle vicinanze del ferito, assicurato ad una corda, stava scendendo quell’Ufficiale
austriaco, nel tentativo di raggiungere l’Alpino.
“Sarebbe stato un facile “tiro al bersaglio”.
Ma sulle “linea di fuoco” passò un ordine non espresso, un “ordine” che nessuno aveva dato
ma che tutti udirono e intesero.
“Italiani e Austriaci si sporsero dai loro ripari per seguire, trepidanti, i movimenti del
soccorritore che tentava di avvicinarsi al ferito.
“Una larga spaccatura lo separava dal terrazzino dove l’Alpino giaceva sofferente.
Il Tenente austriaco non esitò. Fece “pendolo” con la corda e, con un acrobatico balzo. si
lasciò cadere sulla neve molle.
“Sapeva benissimo che non sarebbe stato in grado di ripetere l’operazione inversa con
il ferito sulle spalle!
“Ma non volle darsi una risposta!
Quel “ragazzo” continuava a lamentarsi e lui sapeva che era il responsabile di quella
situazione drammatica anche se la guerra non poneva troppe morali.
“A carponi si avvicinò al ferito. Sapeva di essere esposto al fuoco nemico.
Non arretrò.
“Davanti a lui vide l’Alpino che aveva il viso contratto dal dolore.
“E questo è il mio nemico?” - si chiese per un attimo - “No! No! Questo è solo un fratello che
invoca aiuto!” - concluse.
“L'Alpino spalancò gli occhi e, intuì che il soldato al suo fianco era un militare nemico
che, forse, stava per dargli il colpo di grazia. Ebbe un tremito di terrore e poi, reclinò il
capo e aspettò...
“Mormorò ancora una volta la parola “mamma”.
Poi, chiuse gli occhi e aspettò l’istante fatale.
“Il giovane Ufficiale austriaco lo guardò con aria afflitta: vide che era un ragazzo
giovanissimo, imberbe, un coetaneo probabilmente.
“Cercò di tamponare le ferite con la neve per rallentare il dissanguamento.
Lo sollevò delicatamente con entrambe le braccia, lo rincuorò con una carezza, altro non
poteva fare in quella situazione.
“Io tuo amico…coraccio.” - disse in uno stentato italiano.
Il giovane Alpino aprì gli occhi, comprese i gesti amichevoli del “nemico” sdraiato vicino a
lui e, dopo un attimo d’incertezza, sussurrò un “grazie” impercettibile.
“Allungò faticosamente un braccio per toccare la mano del soccorritore.
L’Ufficiale austriaco si rese conto che ogni attimo era prezioso: bisognava fare presto,
doveva essere subito soccorso da un medico.
“Con estrema delicatezza lo trascinò, a fatica, verso le linee italiane.
Una striscia lunga di sangue, sulla neve, segnava il lento progresso.
“A pochi passi dalle trincee nemiche, rivolse di nuovo uno sguardo all’Alpino e
sussurrò:
“Coraccio…Italiano…coraccio!”
“Rivide gli occhi dell’Alpino, stavolta non più sorpresi e spaventati: erano
straordinariamente aperti e non esprimevano più timore ma soltanto fiduciosa gratitudine.
“Avvenne uno spontaneo scambio di commoventi sorrisi.
Il Tenente austriaco arrivò a pochi passi dalle “linee” italiane.
“Gli Alpini avevano già aperto un varco nei reticolati perché il ferito potesse passare.
L’ Ufficiale austriaco, prima di consegnare il ferito agli infermieri, afferrò una mano del
giovane Alpino e gli sussurrò: “Frohe Weihnacht, Freund” (“Auguri, amico”).
“Un Ufficiale italiano si pose davanti a lui, irrigidito nel saluto militare.
Poi, con voce commossa, pronunciò: “Danke...Grazie camerata”.
“I due Ufficiali “nemici” rimasero uno di fronte all’altro.
Si guardarono a lungo senza parlare.
“Ogni decisione doveva essere presa nel contesto della guerra...
L’Austriaco, con fare deciso, volse le spalle e si avviò verso il varco ancora aperto nella
trincea italiana, mentre tutti gli Alpini presenti gli fecero ala, irrigiditi nell’attenti.
“L’Ufficiale italiano, immediatamente, gli si affiancò.
Uscirono insieme dal “passaggio”.
“Marciarono vicini, ben in vista da tutti i contendenti in un silenzio pieno di
significativa partecipazione.
“Si fermarono vicino alla linee austriache.
Si guardarono negli occhi.
“Si scambiarono un impeccabile saluto militare, poi, le mani si congiunsero in una
lunga stretta amichevole.
“Ciao “Kamerad”
“Ciao Alpino”
La “guida” del rifugio Locatelli concluse il suo racconto con un significativo
commento:
“Da quel giorno, il saliente del fronte interessato a quest’episodio, fu conosciuto come la
“zona dei “cecchini ciechi!”
Infatti, da entrambi le parti, gli infallibili “tiratori scelti”, non “riuscirono” più ad
essere precisi nella mira come lo erano stati in precedenza”.