psicoanalisi come percorso - Appuntiunito
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PSICOANALISI COME PERCORSO Franco Borgogno CAPITOLO 1 - CHARCOT OGGETTO PIENO DI VALORE PER FREUD Considerando i primi passi di Freud verso ciò che oggi è considerata la psicoanalisi, bisogna iniziare dalla Salpêtrière e dall'incontro con il primo maestro, Charcot, grazie al quale matura l’ideale di conoscenza e di osservazione che lo accompagnano nelle sue scoperte e che tuttora accompagna gli analisti nel lavoro e nella ricerca. Nel suo testo "Relazione sui Miei Viaggi di Studio a Parigi e Berlino" del 1886, Freud pone la ricerca del nuovo e dell’evidenza, la fuga dai valori pubblici e dalla conformità accademica, il giudizio fondato sull’esperienza diretta, lo studio ininterrotto ed esclusivo e l'amore e la dedizione all’oggetto studiato come base per la conoscenza, la quale nasce nasce attraverso un rapporto fatto di contatto approfondito e di intensa partecipazione personale. Charcot non rifugge quindi le isteriche, come la scienza ufficiale, e ciò mostra la debolezza e la precarietà degli strumenti psichiatrici dell’epoca nei loro confronti e il negativismo, l’odio e la malavoglia che assalgono l’osservatore quando si trova esposto alla propria sessualità, alla propria impotenza e alle ansie che nascono dalla relazione e nel processo di conoscenza. Ciò che è assolutamente nuovo in Charcot, secondo Freud, è il suo coraggio di andare oltre una dichiarazione di impotenza personale e di giudizio morale, basate entrambe su meccanismi di difesa e riparo da quanto è sconosciuto e diverso. Charcot, con la sua modalità basata su un'attenzione calda ed intensa e su un atteggiamento di "allievo oltre che di maestro", restituisce dignità umana e scientifica alle pazienti isteriche ed in generale all'operare della fantasia. Nei suoi primi lavori, databili tra il 1886 ed il 1895, Freud teorizzerà quindi che sono fondamentali l'esperienza, la conoscenza e lo studio dei particolari, entrando quindi sempre più in contatto con i propri sentimenti nell’osservare e con le proprie fantasie e, dunque, con il legame che si instaura fra l’osservatore e l’oggetto osservato. Nel suo libro "L'Illusione di Osservare" (1978), Borgogno considera che non è possibile osservare senza disturbare ed essere disturbati, in quanto il disturbo è un’occasione per conoscere dal vivo il soggetto osservato e lo stesso osservatore nell’atto di osservare. Si evince quindi la necessità di riconsiderare il diverso quadro epistemologico che ha ispirato Freud, Klein e Bion e di rivedere i criteri e le condizioni di oggettività scientifica nel campo delle scienze psicologiche. In quegli anni Freud apprende allora che conoscere non è magia, ma implica fatica e produce dolore, in quanto non sempre riesce e dipende da moltissimi fattori fra cui le vicende relazionali con l’oggetto osservato e con se stessi mentre si ricerca. Nella famosa frase di Charcot "la théorie, c’est bon, mais ça n’empèche pas d’exister" si riconosce quindi quello che teorizzerà anni dopo Bion, definendo la teoria come un modello utile e conveniente, ma che non può mai prescindere dalla pratica. Freud per natura era un osservatore, ma dopo poche settimane di soggiorno presso la clinica di Charcot abbandona l’anatomia ed il cervello per lo studio dell’uomo e delle nevrosi, continuando quindi ad essere osservatore, ma dell’uomo e della sua mente, senza altro microscopio che la propria persona e la conoscenza che di essa aveva raggiunto. Secondo Borgogno analizzando le considerazioni di Freud su Charcot, molto differenti da quelle di altri studiosi dell'epoca, si può notare come egli abbia rappresentato un primo modello ideale interiore che lo avrebbe aiutato nella divisione fra la pressione dei gruppi socioculturali a lui contemporanei e la spinta a conoscere, basata sulla tensione verso lo sviluppo della propria singolare esperienza anche quando non immediatamente chiara ed esaustiva. Questo ha caratterizzato il suo stile di apprendimento, fondato sul confronto del proprio lavoro e delle proprie idee con idee e lavoro di pazienti e colleghi, senza rinunciare al piacere della scoperta e dell’ignoto e senza scoraggiarsi del buio e dell’indeterminatezza in cui talvolta ci si deve muovere. Attraverso introspezione e fiducia, soprattutto con l’adesione a modelli genitoriali pieni di valore e di creatività di cui Charcot è il primo rappresentante esterno (Freud darà ai suoi figli i nomi dei suoi padri spirituali e ispiratori), si è caratterizzato l'abbraccio alla via del mutamento di Freud, con un crescente credito alla sua esperienza più personale pur nelle sensazioni di inadeguatezza ed irrisolta dipendenza infantile propria della massima incertezza e di assenza immediata di prove evidenti. CAPITOLO 2 - SULLA VIA DI UN MODO DI PENSARE PSICOANALITICO: UNO SCRITTO DI FREUD SCONOSCIUTO Per Borgogno pubblicare questo scritto, riguardante la Relazione Madre-Bambino, dopo quasi vent’anni dalla sua creazione, è un occasione per riflettere sulle complesse e lunghe vicissitudini del pensiero e della sua comunicabilità al gruppo di colleghi e inoltre per offrire osservazioni sulla teoria della psicoanalisi. Leggere Freud nel Percorso Il modo più remunerativo per leggere Freud è quello di immedesimarsi con lui nei suoi primi passi verso la psicoanalisi e dentro di essa, come del resto fa anche Meltzer (1978), in quanto questo può permettere di notare come egli abbia costruito le sue ipotesi di partenza ed i suoi iniziali concetti apprendendo dalle vicende emozionali che accompagnavano il suo incontro con il paziente. Paula Heimann ha dato voce a questa prospettiva di lettura nel 1949 nel suo intervento famoso a Zurigo sul controtransfert (“On Counter-Transference”, 1949) in cui considerò come Freud sia giunto alla psicoanalisi attraverso processi di identificazione nei pazienti, via via metabolizzati in modo da distinguere nella relazione sperimentata in vivo il proprio contributo da quello del paziente ospitato internamente in sé. In particolare perviene al concetto di rimozione e di resistenza servendosi della sua risposta emozionale per entrare in contatto con le difese inconsce e gli impulsi sottostanti e operanti nel paziente in un dato momento. Borgogno, ripensando al caso del piccolo Hans, visto come un lavoro di evoluzione tecnica, considera che Freud, supervisionando la coppia padre-bambino, raggiunge una capacità di ascolto maggiore rispetto a ciò che avviene tra paziente ed analista nelle vicende del loro incontro, giungendo a quella Capacità di Secondo Sguardo, che anticipa il “listening to listening" di Faimberg (1981) che Ferenczi a partire dal 1912 aveva già cominciato a teorizzare. Si tratta però di percezioni preconosce di Freud, che solo con il tempo diverranno concettualizzazioni consapevoli e reale attrezzatura quotidiana e ordinaria degli analisti. Le Ragioni del Ritardo di una Pubblicazione L'analisi di questo scritto "sconosciuto" di Freud faceva parte della seconda parte del lavoro di Borgogno per il Congresso della SPI a Roma nel 1982, in cui nella prima parte si esponeva invece i valori fondamentali di Freud agli inizi del suo percorso, visti alla luce dell’esperienza parigina con Charcot, intitolato “Sulla via di un modo di pensare psicoanalitico” proprio per sottolineare il cammino di certe sue presupposizioni ideali e per segnalare come Freud nei suoi primi passi da psicoanalista fosse stato specificamente ricettivo rispetto al legame madre-neonato, mostrando attenzione e consapevolezza nei confronti dei ritmi e delle qualità del rapporto che giudicava influenti nella strutturazione dei sintomi e del carattere e nel costituire la rete profonda che da l’avvio ad un processo terapeutico e ad un’eventuale trasformazione e crescita di personalità. Tale seconda parte non venne però presentata perché a chi guidava il gruppo alcuni elementi messi in luce non piacevano in quanto non ritenuti in accordo alle idee ed alle teorie ufficiali con cui si stavano formando, che si rifacevano quasi esclusivamente alla Klein e alle primissime teorie di Bion. Stessa sorte è toccata in tale occasione a Dina Vallino che, sulla scia della Heimann, descriveva un particolare rientro in se stessi di due bambini interpretato da lei come tentativo di formulare primi pensieri e non come ritiro autistico (quello che i francesi chiamano reculer pour mieux sauter). Borgogno fa allora notare come al lasso di tempo fra la percezione preconscia ed inconscia e la sua concreta consapevolizzazione e successiva possibile formulazione in teorie e modelli, partecipa l’establishment che, ovviamente, protegge l’esistente generando dipendenza da esso e tende a scartare il nuovo e l’ignoto e ogni ipotesi che non vi si accorda, mettendolo in discussione. Come suggeriva Freud a Joan Riviere al progresso del pensiero allora non è soltanto utile scrivere i propri pensieri, metterli nero su bianco dandovi una forma meno privata ed intima e più esteriorizzata e pubblica se non altro per se stessi ma occorre un gruppo di pari non istituzionale che li accetti e li consideri senza riserve mentre tu li stai formulando. Questo concetto era già stato formulato da Winnicott il quale teorizzava che il pensiero comincia a formularsi più nitidamente quando lo si mette di fronte a un altro che ti ascolta senza giudicarti e limitarti nella tua esperienza, in quanto all’evoluzione della conoscenza è indispensabile un altro di fronte al quale perseguirla e raggiungerla. Lo Scritto di Freud Non Conosciuto: “Un Caso di Guarigione Ipnotica” del 1892 E' fondamentale considerare il primo scritto in cui Freud parla di un trattamento e non solo dei sintomi. In tale caso del 1992, in cui si tratta di una donna che aveva appena partorito il cui problema era quello dell’alimentazione, la neo-mamma non voleva alimentarsi e di conseguenza non poteva adeguatamente allattare il proprio bambino. Freud in questo periodo sta ancora applicando ai suoi pazienti il metodo dell’ipnosi, che poi cambierà grazie anche a ciò che apprende dopo questo caso. Incontra allora la paziente due volte; - la prima volta la sottopone ad ipnosi e durante lo stato ipnotico le dice semplicemente “non preoccuparti, tu sarai una bravissima madre, quando ti sveglierai avrai fame”. Dopo questa seduta il problema per quel giorno scompare ma si ripresenta immutato il giorno successivo; - la seconda volta decide di adottare un metodo ipnotico diverso da quello usato la prima volta e, al posto di rassicurarla semplicemente, le dice “quando ti sveglierai chiederai ai tuoi parenti: insomma dove mi avete nascosto il cibo, voi mi nascondete il cibo e allora io come faccio ad allattare il mio bambino”. Al risveglio il problema si risolve e non si ripresenta più fino a tre anni dopo quando la paziente avrà un secondo bambino. Il motivo del cambiamento potrebbe essere che Freud, nel secondo intervento, aveva intuito che il problema della donna non fosse una capriccio o un problema di tipo organico come le vecchie teorie dell’isteria dicevano. Poteva essere che la paziente, da bambina, avesse sperimentato a sua volta, da parte di sua madre, una negazione dell’allattamento e quindi si fosse sentita affamata lei stessa nel rapporto con sua madre e avesse conservato dentro di lei questa ostilità nei confronti della madre che però non era possibile fosse espressa verbalmente, perché era stata rimossa nell’inconscio, quindi non era consapevole. Invece facendo sì che la donna potesse rimproverare sua madre o i suoi pazienti, come venne invitata a fare nella seconda ipnosi, del fatto che non le davano da mangiare aveva fatto sbloccare questa idea che era rimasta fissa nell’inconscio in modo che lei, una volta agita e resa consapevole la sua rabbia, potesse continuare la sua opera di madre. Anche qui quindi, come nel caso di Hans e di Emmy von N. (pubblicato negli "Studi sull'Isteria" del 1895), vediamo un avvicinamento al paziente in cui si tenta di comprendere quale può essere la causa scatenante del problema oltre che eliminare il sintomo senza chiedersi le motivazioni, come solitamente si faceva col metodo ipnotico. I motivi che Borgogno identifica come necessari a Freud per comprendere e risolvere questo caso clinico sono relativi alla somiglianza della condizione della madre e di Freud che, in quel periodo, stava “partorendo” la sua nuova teoria che avrebbe dovuto successivamente “nutrire” per portarla avanti. Freud intuisce allora in questo periodo come le isteriche di cui si occupa siano state persone non ascoltate, non viste e non comprese nei loro legittimi bisogni infantili da ambienti perlopiù distratti e sicuramente rigidi e convenzionali. Le descrive anche come bambine e adolescenti sole, che precocemente hanno dovuto occuparsi di altri fino a quando, con il crollo nella malattia, hanno riaccentrato lo sguardo su se stesse. Restituendo loro comunicazione affettiva sottostante, un tempo taciuta e ora anche segreta a sé, le tratta come persone intere ed esse, di conseguenza, diventano più capaci di risposta integrata e meno scissa e frammentata. Considerazioni Finali Con il progressivo abbandono dell'ipnosi in quanto non permetteva di andare a fondo e di comprendere i significati dei sintomi, Freud giunge a considerare che il disturbo psichico deriva dall’essere tagliato fuori da esperienze che hanno inciso su sé ma, poiché non sono rammentate e significate, ricadono sul corpo e nella mente come ingombri dolorosi e pesanti, apparentemente insensati ed inutili finché non verranno riscattati e restituiti in parole da uno sguardo coinvolto e partecipe che, riannodandoli nella comunità umana, li possa pensare e leggere come esiti di infelici incontri di crisi vitali che hanno bloccato il corso di un’esistenza. E' proprio per questo che tutti i primi pazienti di Freud sono paralizzati in funzioni vitali (parola, vista, udito e camminare) che permettono il contatto con gli altri e con la realtà umana condivisa. La base originaria della psicoterapia si situa nell’esclusiva e privilegiata relazione di mutualità tra paziente e terapeuta che richiede, per instaurarsi proficuamente, una particolare reciprocità di legame e sensibilità, non dissimile da quella presente nella situazione di allattamento. Freud individua inoltre una somiglianza tra le condizioni di madre-neonato, ipnotizzatore-ipnotizzato e terapeuta-paziente in cui la mente crescerebbe in condizioni di nutrimento e soccorso, estendendosi per assimilazione di contenuti informativi e di qualità affettive sostanziali. Questo processo di "discesa verso le madri", chiamato così per la prima volta da Breuer nel 1892, è stato però un elemento a lungo trascurato in psicoanalisi. Bisogna infine considerare come il terapeuta, non diversamente dall’ipnotizzatore, con il suo allontanarsi ed avvicinarsi a ciò che il paziente proferisce e porta può prescrivere, senza rendersene conto mentre lo fa, quali aree di vita e di esistenza siano dicibili e trattabili e quali non lo siano e suggerire così modi con cui affrontarle e vederle. CAPITOLO 3 - IL CASO CLINICO DEL PICCOLO HANS COME SCRITTO DI TECNICA Come Lavora la Mente dell'Analista: una Premessa Teorica Paula Heimann, nel suo lavoro del 1949 intitolato “On Counter-Transference” e pubblicato sul "International Journal of Psycho-Analysis", partendo da Ferenczi che più volte aveva sottolineato la vasta gamma di sentimenti ed ansie sollecitate nell’analisi, propone la risposta emotiva quale chiave fondamentale per accedere all’inconscio del paziente. Riconsiderando le sue prime tesi che prendevano le distanze dallo stesso Ferenczi si riallaccia alle problematiche da lui troppo precocemente messe in evidenza. Apprezza quindi tale generale orientamento di collegando la conoscenza autentica al movimento profondo di immedesimazione nell’altro e con l’altro, ma non condivide quella che Ferenczi chiama la sua “onestà” che spesso si era espressa nel rendere i pazienti partecipi dei propri sentimenti. Successivamente la Heimann allargherà la sua visione e distinguerà, ad esempio, all’interno della necessaria risposta reciproca e sincronica dell’analista, ciò che è un onere per il paziente se viene comunicato e quanto può essere, all’opposto, un passo inevitabile per raggiungerlo e comprenderlo favorendo il suo sviluppo psichico e quello dell’analisi. Ciò le sarà permesso dal suo aver riflettuto di più sulle funzioni dell’analista e su quelle genitoriali nella direzione di quanto permette al paziente di sviluppare una capacità di pensiero. Come sosterrà in tutti i suoi ultimi lavori, è rilevante non tanto ciò che si dice o non si dice ma se ciò che si dice o non si dice promuove la crescita psichica progressiva del paziente e della coppia psicoanalitica. Analizzare implica allora numerosi fattori creativi tra cui inventiva, naturalezza e tatto. Tali teorie derivano direttamente da Ferenczi ma Heimann vi contribuirà anche lei descrivendo le complesse operazioni cognitive ed affettive che sottende (1970). Sono queste caratteristiche che permettono di dare un nome e verbalizzare ciò che viene percepito, visualizzato e immaginato e a cui talora si risponde reattivamente nell’interazione con il paziente, diventandone consapevoli solo in un secondo tempo e non mentre l’atto conoscitivo avviene. La particolare attenzione che ha progressivamente dedicato ai processi cognitivi dell’analista è anticipata nello scritto del 1949 e molto interesse è dato al funzionamento mentale dell’analista al lavoro. Non è soltanto la comprensione del paziente che deriva dall’esperienza emotiva relazionale globale ma anche i concetti e le ipotesi teoriche. E' proprio in queste teorizzazioni che cita Freud, considerando come egli sia giunto ad evidenziare i processi di resistenza e rimozione grazie alle vicissitudini affettive sperimentate nell'incontro con il paziente stesso. Il Caso Clinico del Piccolo Hans come Revisione Tecnica Il caso del piccolo Hans (1909) rappresenta nell'ottica di Freud: - ripensamento della precedente esperienza psicoanalitica di Freud ed esplorazione di quegli stati infantili della mente in cui si era imbattuto nel transfert; - raggiungimento di una diversa e più matura posizione psicoanalitica, capace di maggiore separatezza e di un contatto più sano e meno difensivo rispetto ai pazienti ed alle loro vicende. Bisogna inoltre tenere conto di una concomitante autoanalisi che, riannodando i legami con lui stesso bambino e con la sua infanzia, come sostenuto da Bergeret (1987), lo porta a revisionare il suo comportamento psicoanalitico ed a rivedere anche criticamente certi suoi atteggiamenti marcatamente autoritari ed impositivi, particolarmente evidenti nel trattamento di Dora. Attraverso questa esperienza di supervisione, Freud sta quindi acquisendo quel Secondo Sguardo, basato sulla capacità di guardare all’incontro di coppia paziente-analista da un vertice meno direttamente coinvolto e più attento al mutuo dialogo che li trova entrambi profondamente impegnati quali agenti e protagonisti in parte non consapevoli del loro reciproco scambio, seppur fermamente distinti nei loro rispettivi ruoli. Questo tipo di ottica dota quindi l’analista di un più fecondo equilibrio fra partecipazione ed osservazione, rendendolo più attrezzato a distinguere e separare il proprio contributo da quello del paziente nel soccorrere e dare rappresentazione responsiva a bisogni, fantasie, problemi, conflitti interni ed esterni portati in seduta dal paziente. Freud è quindi più mobile nelle sue possibilità di identificarsi ora nel paziente e si avvicina al concetto di “ascolto dell’ascolto dell’analista" di Faimberg (1981) che implica una maggiore funzione autoanalitica dell’analista che, riconoscendo di non essere del tutto cosciente del proprio coinvolgimento affettivo, non solo esamina i propri sentimenti consapevoli in seduta ma osserva la risposta del paziente alla sua condotta come potenziale segnale della posizione emotiva inconscia che il paziente gli ha assegnato nel dialogo. Interrogarsi su questo aspetto ha rilanciato il lavoro di “working through”. Già Ferenczi porterà avanti questo lavoro (soprattutto in “Sintomi transitori nel corso dell’analisi”, 1912) e leggerà i sintomi che compaiono in seduta e da una seduta all’altra come dovuti all’atteggiamento dell’analista verso il paziente e quindi in termini di commento criptico a qualche sua azione o non azione. Anche Paula Heimann ha ben in mente questo discorso quando chiede ai pazienti di interromperla, in quanto è cosciente dei meccanismi narcisistici dello stesso analista. Freud, nel periodo in cui tratta il caso del piccolo Hans, abbandona la teoria del trauma in favore della fantasia inconscia e della realtà psichica, ma nonostante questo non perde mai la sua sollecitudine nei confronti delle ragioni e dei diritti del bambino, spesso soverchiati e messi a tacere e a dura prova dai comportamenti degli adulti. La radiosa intelligenza dei bambini può quindi essere spenta e corrotta dall’atteggiamento dell’adulto. Eppure il bambino non mette da parte la ricerca della verità e continua a perseguirla, seppure in circostanze avverse, in modo inconscio e scisso dato che ciò che in partenza deve essere segreto rispetto ai grandi lentamente e successivamente diventerà segreto anche rispetto a sé. Appare quindi una “versione ufficiale della realtà” che i genitori impongono, la quale non impedisce ai bambini il processo veritativo né sospende la riflessione personale, ma la costringe a rinunciare ad una parte importantissima rappresentata dal confronto con gli adulti. A questo va aggiunto ciò che Freud dice in "Diagnostica del Fatto e Psicoanalisi" nel 1906 circa il sentirsi comunque colpevoli dei bambini, i quali possono venire tranquillamente accusati di qualsiasi cosa con il loro assenso finale. Rispetto al caso clinico è utile valutare alcune risposte tipiche, definibili così in quanto si ripetono più volte, di Hans che Freud trova perspicaci e psicoanalitiche, anche se a livello preconscio: - ”Voglia non è fare e fare non è voglia” (a proposito della masturbazione); - distinzione tra “pensiero” e “azione” (i bambini possono pensarli e poi si possono scrivere al professore che li capisce). Rispetto all'esplorazione attuata da Hans relativa a cosa i genitori facciano a letto è utile valutare la Fantasia delle Due Giraffe che vede una grande e una sgualcita su cui Hans immaginativamente si sarebbe messo a sedere provocando gli strilli di quella grande. In questa fantasia, come in molte altre occasioni presenti nel caso di Hans, Freud nota una preponderante intrusività dall'analista-padre, giungendo a dichiarare che “il materiale che affiora dall’inconscio non va inteso con l’aiuto di ciò che precede, ma di ciò che verrà” (Freud, 1909). Un buon analista, dichiara Freud, è quello che ha fiducia in sé e nel suo preconscio ed è sinceramente disposto a porre altrettanta fiducia nei suoi pazienti, negli aspetti competenti della loro immaginazione, e nei loro tentativi di aiuto e cooperazione, per quanto goffi e maldestri. Freud ricorda la mortificazione che Hans aveva sperimentato per essere stato imbrogliato dal padre con la storia della cicogna, che aveva colpito la sua dignità di “piccolo investigatore”. Freud si domastra inoltre in grado di apprezzare le fantasie inconsce che preannunciano la guarigione di Hans, rappresentate dal nominare il padre “nonno” facendogli sposare la nonna così lui può sposare la propria mamma (in tale fantasia ognuno sposa la propria mamma) e riceve un “fapipì” più grande dallo stagnaio superando la paura di castrazione e prospettandosi in un prossimo futuro grande e potente come il papà. La delusione ed il rancore del piccolo Hans si possono, comunque ricondurre ad una risposta ad un padre più impegnato ed identificato con Freud e nella psicoanalisi che immedesimato in lui e nei suoi bisogni di affetto e vicinanza. Invece tali risposte vengono trattati principalmente come derivati di impulsi sadici e possessivi, anche se Freud sembra nei commenti rendersi conto di questo aspetto. Va però infine ricordate che in tale caso Hans è usato lui stesso come giraffa sgualcita-spiegazzata (Antonino-Ferro, 1992) in quanto deve sottomettere se stesso e i suoi bisogni alle esigenze di studio dell'analisi. Da Dora a Hans: un’Evoluzione Nel trattamento di Dora prevale non solo l’entusiasmo per la teoria ma una trascuratezza globale di Freud rispetto alle problematiche relazionali che la paziente senza indugio gli racconta, senza ricevere in risposta il riconoscimento che avrebbe dovuto avere. Forse la seduzione e la manipolazione che Dora denunciava, il tradimento che di lì a poco avrebbe urlato rivincita e vendetta, era una seduzione nascosta e mascherata da parte di un adulto che ti illude di avere importanza, ma poi trama e cospira ai tuoi danni, in quanto la tua importanza è quella di essere un oggetto di scambio in un commercio di fini e propositi altrui. Questo tipo di delusione è descritta come Forma di Crudeltà da Ferenczi nel suo “Diario clinico”. Freud capisce tutto ciò ma poi in realtà lo trascura poiché insegue le fantasie inconsce soggiacenti, privandole del contesto soggettivo più peculiare in cui esse sorgono. Per questo Dora, che già nella sua infanzia e prima adolescenza non era stata ascoltata e creduta rispetto a quanto vedeva pur bene, ridiventa in analisi non ascoltata e non creduta dato che una parte della sua protesta non viene accreditata, convalidata e riconosciuta e, pertanto, non viene investigata. Il Caso del piccolo Hans è, in questo senso, un iniziale tentativo di riparazione di insufficienze analitiche ravvisate nel dare più ampia dignità al contributo ed alle risorse del paziente e nell’intendere maggiormente il lavoro terapeutico come frutto non di una mente accoppiata con la psicoanalisi, ma come l’incontro di due menti, di cui l’una, quella dell’analista, è appositamente preparata e appoggiata dal sapere psicoanalitico nell’accogliere e far esistere e crescere quella del paziente in un clima di aiuto, lealtà e solidarietà. Dove Vanno a Finire i Pensieri: Sàndor Ferenczi Ferenczi scrive, all'interno dell'ottica fin qui trattata, un nuovo capitolo della storia della psicoanalisi, in quanto illustra come i pazienti nei loro spostamenti di espressione, che coinvolgono regressioni temporanee ad impulsi pregenitali (ad es. bisogni urgenti di urinare) o a modalità di relazione arcaiche, narrano di continuo, insieme alla dinamica dell’instaurarsi della malattia e del conflitto inconscio, le vicende della relazione psicoanalitica. CAPITOLO 4 - EVOLUZIONE DELLA TECNICA PSICOANALITICA: UN OMAGGIO A PAULA HEIMANN La Figura Per Paula Heimann le qualità fondamentali per l'incontro con il paziente sono: - capacità di sostenere, raccogliere ed elaborare le tensioni; - propensione a fare posto all'altro e a riceverlo; - giungere ad essere sé stessi. Questi elementi sono fondamentali per un incontro emozionale significativo, non incline ad alcuna forma di idealizzazione e abuso, che realizzi quel modello interazionale complesso che è giunta a strutturare nei suoi ultimi scritti, in cui il paziente non è più visto come indispensabile compagno di viaggio ma come protagonista del viaggio stesso. Fatti e Ragioni di Vita Paula Heimann nasce dopo la morte della sua sorellina di poco maggiore, e il suo concepimento ha simbolicamente lo scopo di far rinascere la figlia morta. Per queste ragioni essa sente per tutta l’infanzia, continuando poi anche nella vita adulta, il mandato di confortare e proteggere dalla depressione chi l’aveva generata, quindi la propria madre. Vi è successivamente una drammatica ripetizione di questa storia nel suo incontro con la Klein ma con un esito persino più infelice, dato che la madre dimostra a Paula riconoscenza e gratitudine, al contrario della Klein, “regina” della Società Psicoanalitica, che non le permette neppure di esprimere le proprie opinioni. Quando si conoscono la Klein ha appena perso il figlio Hans in un incidente alpino e per lei ci saranno diversi nuovi lutti come l’incrinarsi dei rapporti con la figlia Melitta. La Heimann in quel periodo è sola in un paese straniero, ha appena divorziato da suo marito. Sembra che la Klein non si sia mai resa conto del legame di transfert tra lei e Paula, in cui lei è la madre, mentre Paula è sempre più consapevole di essere Melitta e di averla sostituita. In molti scritti della Heimann viene da chiedersi se non abbia presentato pezzi della propria analisi e della propria storia, in quanto ricorre spesso nell’anamnesi una madre depressa ed un figlio che ne rimpiazza un altro sacrificando se stesso. Paula teorizza che il cedere capacità e funzioni mettendosi al servizio di un genitore bisognoso sia un'arma molto pericolosa poiché chi lo fa si ritrova svuotato, pur se all’apparenza inorgoglito per il compito importante ricevuto o per il ruolo occupato. Svuotato di un godimento e di un amore nello stare con il proprio bambino che non ci sono stati, poiché il genitore depresso non investiva la propria libido su di lui e, di rimando, è venuta a mancare un’esperienza fondante per la crescita della propria persona. Il bambino cresciuto, per queste ragioni, troppo precocemente, diventa inoltre quanto mai allertato a cogliere il più piccolo mutamento dell’ambiente intimo, di cui finisce per sentirsi di fatto responsabile anche quando non lo è affatto. Con queste considerazioni la Heimann sta descrivendo, come già aveva fatto Ferenczi, il Bambino Saggio (Wise Baby) denunciando le gravi limitazioni di questa intelligenza ipersensibile ed ipervulnerabile, che crea cecità nei confronti del proprio Sé e una buona motivazione per diventare, in futuro, degli analisti che si occuperanno di vite altrui, al posto di vivere la propria vita di esseri ordinari. Evoluzione negli Scritti della Heimann (1939-1981) Bisogna considerare gli scritti della Heimann nella loro evoluzione: - 1939 primo scritto, in cui già parla del giungere ad essere se stessi; - 1949 “On Counter-Transference” (Sul Controtransfert): la risposta emozionale dell’analista, vista come coinvolgimento di tutti i sentimenti, è uno strumento di lavoro per esplorare le sottili distorsioni tra fantasia e realtà, nella riattualizzazione della storia nell’hic et nunc, al fine di comprendere in che modo si è usati dal paziente e quale figura del passato si è. Il Controtransfert è per lei, in questo scritto, una creazione ed una parte della personalità del paziente che l’analista deve accogliere con sospensione di giudizio, con sensibilità estesa più che intensa, al fine di trasformarlo in un utile criterio nella selezione dell’interpretazione di un materiale che è sempre sovraordinato. Poiché possa diventare un utile strumento l’analista deve lavorare per distinguerlo dal proprio transfert; - 1955 “La dinamica delle interpretazioni di transfert”: la risposta emozionale dell’analista è uno strumento nei confronti del mondo interno del paziente, ma anche qualcosa cambia, in quanto non si rivolge più soltanto alla fantasia inconscia ma all’Io del paziente. E' questo un segno di maggiore parità e di avvicinamento dei partner nel dialogo psicoanalitico dato che in tal senso il transito affettivo risulta a doppio senso. L’analista è allora all’interno di una squadra di due persone che agiscono come un’unità funzionale pur con ruoli separati, e deve essere il più possibile consapevole di se stesso e di tutti quegli elementi che possono aver stimolato nel paziente risposte e reazioni intrapsichiche ed interpersonali. L’interpretazione può anche non essere subito disponibile per qualcosa che ha intralciato il movimento conoscitivo di introiezione e di differenziazione, generando turbamento, confusione e rifiuto, non più risolvibile in un breve intervallo di tempo. Alla fine dello scritto viene presentata come eccezione una svolta ancora più radicale. Si legge, infatti, che in certi momenti, qui intesi come momenti di lutto, l’analista deve saper passare in secondo piano considerandosi una presenza aggiuntiva, ascoltatore e spettatore che attivamente orientato al paziente, gli offre uno spazio ed un tempo per ricordare e stare con se stesso e con i suoi oggetti, senza interferire ma come compagno benevolmente sintonizzato sui suoi bisogni. La risposta emozionale dell’analista viene, in questi anni, sintetizzata in uno schema interpretativo che risponde ad alcune domande: - “Che cosa?” (“che cosa sta facendo il paziente in questo momento?”); - “Perché?”, “Chi?” (“chi rappresenta l’analista in questo momento?” “quale sé del paziente prevale in questo momento?”); - “A chi?” (“a chi parla il paziente in questo momento?” ma anche “per voce di chi parla il paziente in questo momento?”) sapendo che il paziente può parlare con la voce della madre, con quella del padre o con voci di altri soggetti e oggetti rilevanti per lui. Ha inizio con questo lavoro un graduale e sempre più netto distanziarsi, della sua tecnica e del suo pensiero, da un concetto forte di Interpretazione. Anche se la verbalizzazione delle percezioni rimane il primo compito dell’analista e ciò che arricchisce l’Io ed il rapporto. - 1964 "Osservazioni sul Concetto Psicoanalitico di Lavoro": la Heimann dapprima sottolinea la complessità del comportamento dell’individuo e la sua natura comunicativa, per arrivare ad affermare che può non essere il paziente a distruggere la squadra di lavoro, ma l’interpretazione troppo satura e troppo “brillante” dell’analista, diversamente da quanto affermato dalla Klein in "Invidia e Gratitudine" nel 1957. La Heimann parla anche di intrusione, ed in questo si avvicina a Ferenczi, nel Sé di oggetti alieni vissuti come non propri. Il Punto di Arrivo Al Congresso Internazionale di Roma del 1969 il contributo della Heimann propone l'idea di un analista attivo e responsabile, e sulla sua risposta emozionale come mezzo di incontro. L'analista deve quindi richiamare il paziente al contatto, alla reciprocità, invitandolo al pensiero, al gioco e alla novità mostrandogli che ha cercato di capirlo come specifico individuo e spartendo ad alta voce il modo di giungere a inferire i collegamenti, attraverso un ambiente vivo e vivente di condivisione. Il lavoro analitico non si basa quindi più sul "levare" che teorizzava Freud ma "pone" qualcosa, in termini di un'interpretazione che, con ampiezza e creatività, metta in crisi i circoli viziosi che si creano nei colloqui. Un'Apertura al Futuro Gli ultimi scritti della Heimann, che rappresentano un mandato per le nuove generazioni di psicoanalisti, iniziano con quello del 1978, sul tema della Spontaneità, in cui la percezione emozionale inconscia è vista come il metodo d'elezione per guidare la selezione dei fatti centrali della seduta. Le percezioni dell'analista quindi, nonostante rischino di mostrare troppo di sé, permette di mettersi al servizio del paziente e dei suoi potenziali sé taciti ed inespressi. Ciò richiama quello che Bollas nel 1987 teorizzerà come "conosciuto non pensato" e come "funzioni multiple" dell'analista. Nel 1979 in "A Proposito di Bambini e Non più Bambini" la Heimann, dimostrando ottime abilità di sintonizzazione con i bambini e sapendo leggere le risposte interne che questo le suscita, sottolinea le necessità di contenimento dei pazienti, sia nei sentimenti negativi che in quelli positivi, al fine di essere in grado di pensare i propri desideri e le proprie emozioni attraverso il rapporto con un analista che li rispetta e che si mette a loro servizio, rendendo evidente come funziona la propria mente. CAPITOLO 5 - "SPOILT CHILDREN". L'INTRUSIONE E L'ESTRAZIONE PARENTALE COME FATTORE DI DISTRUTTIVITA' Questo capitolo raccoglie una serie di pensieri sull’origine e sul trattamento di alcune forme di distruttività. Borgogno concentra la descrizione, in particolare, su due fenomeni alla base della sofferenza di questi pazienti: - l’intrusione parentale; - la conseguente estrazione di parti vitali ed evolutive dell’Io. Essere Sé Stessi e Cambiamento Catastrofico Risulta fondamentale all'inizio l'illustrazione di due aspetti centrali del processo psicoanalitico che hanno particolare rilevanza nella tecnica utile ad avvicinare e comprendere il gruppo di pazienti sui quali ci si sofferma in questo capitolo: - il sogno per evidenziare la drammaticità di percorso a essi necessaria per procedere nel viaggio psicoanalitico; - il tipo di angoscia e cambiamento catastrofico a cui vanno incontro nello sviluppare una nuova fiducia nella sopravvivenza e nella ricerca di sé. Bisogna comunque considerare di base che la meta naturale della crescita è l’essere se stessi e questa finalità può essere conseguita anche nell’analisi. Gli esempi che sono citati sono: - Sogno di Agnese: si parla di un sogno nel quale la paziente vede da lontano una valle florida e verde mentre lei si trova su un ghiacciaio e cerca di andare verso questa valle ma, man mano che va avanti, la marcia diventa sempre più difficile dato che c’è un qualcosa che la blocca, si sente sempre più stanca, deve fermarsi a riposare su questa montagna ghiacciata e mentre si riposa le sembra di essere in un luogo piacevole. Questo per far capire che un paziente che si trovi davanti alla prospettiva di un cambiamento di vita, in questo caso positivo perché favorito dall’analisi, lo si vive come una catastrofe e quindi ha paura di conoscere questa realtà ignota, che gli dicono che è positiva ma in fondo lui conosce la realtà del presente, anche se lo fa soffrire, mentre l’altra realtà, quella futura non la conosce e quindi ha il terrore che possa essere traumatica; - Citazione di Ibsen: Margaret Little (1977) nota che Ibsen mette in scena nelle sue opere il diritto inalienabile di vivere e di essere veramente se stessi e l’impossibilità di accedervi senza amore e soprattutto senza averlo ricevuto. È questo il conflitto che attanaglia persone, come l’adolescente del sogno, che si sono sentite separate da un accadimento amoroso e rispettoso della loro unicità e che alimenta l’enorme odio con cui ricercano nelle loro vite il riconoscimento del proprio essere, spesso annullandosi oltre che annullando l’altro. Nel trattamento di Agnese ricorre in Borgogno l'uso della parola "oliva" che, a seconda dell'accento, può sembrare “Oh-li-va” che con il tempo diventa “on-y-va", rappresentando l'ineluttabile catastroficità di un cambiamento ambientale. Questo, a lungo, pare solo a Borgogno desiderabile e promettente, mentre a lei suona come perdita e orrore, soprattutto dolore e disperazione. Richiede, infatti, come nel sogno, frequenti pause per sedimentazione e digestione. Non è quindi solo il terrore di non essere e di non aver vissuto, ma anche il terrore di esistere e di vivere. Essere in grado di avviare, con la fede, la speranza e l'amore, un simile cambiamento di culture, prevede un riconoscimento di fede, speranza ed amore nella sofferenza che le persone portano ed una loro restituzione senza il peso del debito. Non è ovviamente cosa facile, né sempre possibile, perché il dolore psichico, quando è estremo, richiama anche in chi è attrezzato difese ed automatismi e vicende di non-ascolto che vanno costantemente considerate e metabolizzate con coraggio e partecipazione per apprestare nell’incontro con il paziente quelle condizioni di base che possono consentirgli di esserci e di esistere e di attivare quelle risorse e funzioni dell’Io che Freud postulava come fine dell’analisi. La Centralità dell'Ambiente nel Percorso di Crescita Psichica La psicoanalisi moderna ripensa con rinnovato interesse all'attenzione necessaria all’ambiente ed alla sua centralità nella nascita della vita psichica. Ferenczi, Balint, Bowlby, Winnicott, Fairbairn e Heimann e, per certi versi anche Bion, hanno continuato a sottolineare quanto determinante fosse il ruolo dei genitori e dell’analista, cioè che cosa essi trasmettono e come lo trasmettono. La realtà psichica non è quindi più da ritrovarsi in quanto già data ma da costruirsi e da far nascere in numerosi suoi aspetti a partire dal rapporto di coppia che l’analisi potrà permettere ed inaugurare. Nel contesto psicopatologico dei pazienti del capitolo, la scelta ideologica è quella di un Criterio di Equità, come già sostenuto da Anna Freud (1968) e Winnicott (1987), che preveda l'accordare ai bambini ed agli adolescenti diritti e doveri, compiti e responsabilità differenti rispetto all’adulto e pensare, di conseguenza, fino a prova contraria, al danno che il bambino e l’adolescente possono aver ricevuto dai genitori. Non è una colpevolizzazione dei genitori ma l’evidenza di quanta sofferenza può circolare all’interno delle famiglie e quanto dolore, in gran parte inconscio e non elaborato e proveniente da più generazioni, venga ineluttabilmente e drammaticamente veicolato dai genitori ai figli attraverso la logica operativa profonda che essi offrono loro come implicita guida per lo stare al mondo e per affrontare i diversi aspetti dell’esistenza. Questi concetti richiamano il Modello Operativo Inconscio di Bowlby (1988) e la Logica Materna di Cura che trasmette una sorta di grammatica dell’essere e delle sue modificazioni di Bollas (1989). Non soccorrere il paziente col renderlo consapevole della sua specifica storia, attraverso il nostro riconoscimento, e quindi soffermarci prevalentemente sulla sua invidia, ostilità, attacco al legame e manipolatività, ha su di lui un effetto devastante dato che metacomunica e rafforza il diniego e rinnova una pressione intimidatoria a non percepire, a non vivere, a non dire e non ricordare, come quella che può aver subito quel bambino piccolo o quel paziente nella sua infanzia con i suoi genitori così sofferenti e malati. Questi elementi sono ad esempio stati messi in evidenza da Primo Levi nel testo “I sommersi e i salvati” come metodi operativi delle SS. "Spoilt Children" Il paziente, a seconda dell'atteggiamento profondo dell'analista, verbale e non verbale verso di lui, può manifestarsi in molti casi ulteriormente isterilito e morto psichicamente, come, altrettanto, può lentamente risvegliarsi ed avviare la sua vita ed i suoi accoppiamenti mentali e fisici a nuove trame e nuovi sviluppi, più costruttivamente emozionati. È necessaria, in questa prospettiva, un’autocritica della psicoanalisi che riguarda diversi concetti. Uno di questi concerne quelli che usualmente chiamiamo Oggetti Interni” che è necessario distinguere se non altro in due opposte categorie a seconda della loro diversa origine e del diverso atto incorporativo con cui sono stati assunti all’interno della propria personalità: - Cattivi Oggetti Interni: descritti da Freud e dalla Klein, sono la stessa cosa di quelli che risultano dall’identificazione inconscia al ruolo realmente difettoso e deprivante dei caregivers e dall’introiezione di moduli relazionali che la cultura ambientale ha trasmesso; - bisogna chiedersi se l’incorporazione alla base dell’identificazione introiettiva è stata libera e confacente ai propri bisogni di base, o forzata ed obbligata dalle circostanze, come Ferenczi e Heimann hanno messo in luce, e se l’esito di questa incorporazione, è stato introiettato nell’Io e nel Super-Io e viene quindi sentito proprio, oppure è percepito inconsciamente, pur essendovi identificati, come alieno ed estraneo e dunque è rifiutato, eluso e dissociato da sé. Le deprivazioni necessitano quindi di una riflessione sulle qualità affettive che i genitori, ma anche i terapeuti, veicolano nel quotidiano processo di assunzione ed elaborazione dei bisogni, dei sentimenti, delle ansie e, in senso lato, dei messaggi di bambini e pazienti. In quest'ottica Borgogno riflette allora su uno scritto del 1975 di Paula Heimann, “Dal trauma cumulativo alla privazione del Sé“, che commenta ed amplia il concetto di trauma cumulativo di Masud Khan per porre un importante quesito circa l’amore dei genitori. A proposito dei genitori iperprotettivi ed iperindulgenti come causa di grave patologia, la Heimann si chiede se davvero questi genitori apprezzano il bambino, realmente lo capiscono e se effettivamente lo amano. Il più delle volte succede che non possano essere disturbati dal loro bambino, che non se ne possano concretamente occupare, che non possano essergli disponibili nella mente e nel corpo, offrendo loro tempo e sforzo, e che si liberino dei loro obblighi genitoriali soddisfacendo magari bisogni e desideri prima che il bambino li senta. Crescere in un siffatto ambiente crea però quelli che Borgogno definisce come Spoilt Children. Seguendo questo filo di pensiero, lo Spoilt Child è, per Borgogno, un bambino in cui non soltanto vengono poste proiettivamente delle esigenze, dei bisogni, dei desideri che non sono suoi, ma da cui vengono estratte aree di espressione e di esistenza l’evoluzione, che per diritto naturale spetterebbe ad ogni essere vivente, viene così bloccata ed impedita, in parte o del tutto. Il bambino risulta espropriato di qualcosa di suo e di specifico, trovandosi depositato interamente qualcosa di alieno e di estraneo. Bion (1962) parla di Fallimento della Rêverie Materna in cui si installa nel mondo interno del lattante un oggetto che rifiuta l’identificazione proiettiva e ciò comporta due cose: - avere dentro di sé un oggetto non in grado di capire e avere dentro di sé un terrore senza nome; - uno stato mentale privo di significato. È però comunque riduttivo per Borgogno in quanto bisogna sottolineare, come fa la Heimann, il ruolo della proiezione genitoriale, vista come intrusione, e l’estrazione conseguente. Bisogna allora sottolineare il carattere alieno di questo processo identificatorio che rimane per molti versi estraneo all’individuo, dato che a queste persone viene meno un’area sostanziale di sviluppo e può essere stata sottratta quella necessaria esperienza che permette la pensabilità dei bisogni, quella base affettiva minima che permette l’ingresso nella comunità di scambi umani goduti ed apprezzati con sé e con gli altri. Borgogno è inoltre assolutamente in disaccordo con la traduzione del termine “spoilt” come “viziato” di fronte ad una madre con problemi di aggressività irrisolti che non sa dire di no alle richieste narcisistiche del proprio bambino e non è supportata dal marito in quanto, anche se le dinamiche possono sembrare queste, nascondono e falsano un contesto profondo dal quale si origina il significato della sofferenza del bambino che la mette in atto. È necessario, per l’analista, fare attenzione a tutti i livelli di comunicazione. Il nuovo inizio è possibile solo se l’analista acconsentirà di vivere sensazioni, emozioni e pensieri che ordinariamente non gli appartengono ma sorgono in lui, nella relazione con il paziente e dovrà diventare degno di fiducia ed essere capace di progettare autenticamente, al suo interno, il loro struggente desiderio di affetti ed intimità. Essi hanno bisogno, come dice la Heimann, di contenimento di angoscia, dolore e devastazione psichica, ma anche dell’apprezzamento dei loro tentativi di ricerca e di conquista e dei loro abbozzi di creatività. Di accoglimento inventivo e lungimiranza prospettica: di una risposta, cioè, che sappia proiettarli nel domani. L'Identificazione massiccia con un oggetto devitalizzato e devitalizzante che parassita il sé prevede una descrizione del transfert di questi pazienti in questi termini, per cui ella misura in cui il transfert è esperienza nuova, minaccia mortalmente lo stato attuale e nella misura in cui è ripetizione, è la rappresentificazione di una madre che approva solo la morte. Un tale tipo di madre per l’inconscio del bambino è una madre che lo vuole morto, con emozioni morte, desideri morti, fantasie morte, e che gli prescrive sotterraneamente che questa è la condizione per essere amato (Franca Meotti, 1994) Bisogna quindi distinguere, per Borgogno, tra il processo di costruzione del contenitore ed i sentimenti conflittuali che l’individuo prova verso di esso. Si tratta innanzitutto di facilitare la nascita e lo sviluppo di quote non nate e non rappresentata del proprio sé e di favorire l’iniziale distinzione fra ciò che è proprio e ciò che è dell’altro. Casi Clinici Per meglio spiegare i concetti trattati, Borgogno parla di alcuni suoi casi clinici in cui questi elementi sono emersi in modo chiaro ed inequivocabile: - Caso di Albino: rappresentato da un ragazzo andato in terapia perché compiva degli atti anticonservativi su di sé e su altre persone (ha investito con l'autobus due suoi conoscenti) andando incontro a problemi con la legge. La sua vita infantile è stata caratterizzata da una madre depressa, la quale, quando il bambino tornava dall’asilo si preoccupava di metterlo a dormire con dosi eccessive di valium, perché non disturbasse e perché la madre non sopportasse la luce e il rumore, in poche parole in sopportava la vita. Quello che si è instaurato per Albino è questa idea della vita come qualcosa di pericoloso, perché la madre questo gli ha trasmesso, e ciò viene esemplificato dal sogno che fa, dato che sogna un coniglio bianco che non può uscire dalla tana a meno che non sia avvolto in un sacco della spazzatura perché se no il bosco, il cacciatore o altro lo ucciderebbero. Questo sogno riporta a quella che è stata la sua vita infantile ed è quello che lui pensa ossia la vita è pericolosa, avere la curiosità o una passione per la vita possa essere una cosa pericolosa che apporta dei danni. Il suo sogno è quello di fare un viaggio in Argentina, in mezzo alle lande desolate, in realtà questo suo viaggio sarà una immagine fantasiosa del processo analitico. Nel senso che come questa terra è rischiosa con strade tortuose e comunque un cammino difficile, così sarà anche per il processo terapeutico, dovrà far sì che da un non luogo, cioè quello in cui lui viveva privo di vita e di rumori, si possa passare in un luogo vero, caratterizzato da tutti quegli elementi che compongono la vita. - Caso di Mara: anche qui si parte con un sogno in cui una persona giapponese che fa hara-kiri davanti a lei e lei fugge ma questa persona la insegue e alla fine lei cade ai suoi piedi con tutti gli organi interni che escono dal suo corpo. Risalendo all’esperienza infantile di Mara vediamo che la madre, depressa, quando Mara era molto piccola, invece di prendersi cura della figlia, chiedeva alla figlia di occuparsi di lei. Quindi la bambina era dovuta diventare precocemente una sorta di confidente dovendo rinunciare a quella che è la parte più importante della vita di un bambino. Il sogno porta una sensazione di svuotamento interiore, sensazione di essere stata svuotata dalla madre che aveva tolto da dentro di lei tutte le caratteristiche di una bambina normale. - Caso di Mirko: Mirko è un ragazzo extracomunitario che ha un comportamento definito da tutti da "asino”, in quanto si presenta come una persona stupidotta, e anche uno psichiatra che lo aveva in cura gli aveva diagnosticato un ritardo oligofrenico. In realtà, in terapia era saltato fuori che il concetto di Mirko di asino era quello di una bestia da soma e quindi di qualcuno che portava sulle sue spalle un peso delle cose senza poter mai ribellarsi e essere autonomo. Contemporaneamente saltò fuori che Mirko aveva delle doti nascoste, tra cui scrivere poesie molto belle, ma nessuno doveva leggerle perché se qualcuno le avesse fatto, sicuramente lo avrebbe svalutato. Con il processo analitico si fa in modo che questa creatività si rafforzi. Mirko era un extracomunitario di origine zingara e nel suo processo analitico si riscontra un certo esser nomade nel senso che non era mai puntuale alle sedute, quando arrivava non si sedeva mai ma stava sempre in piedi, poi in un sogno si trovava in una stanza buia dove cercava di accendere gli interruttori della luce ma non ci riusciva e alla fine si spegnevano sempre. L’interpretazione riguarda il fatto che Mirko aveva bisogno di stare al buio, nel senso che per qualche paziente arrivare troppo in fretta alla luce, cioè troppo in fretta alla chiarificazione dei suoi problemi può essere traumatizzante quindi è importante che l’analista sappia tollerare nel paziente questo suo stare al buio, senza avere fretta e rispettare quelle che sono le tappe del paziente. In un altro sogno di Mirko, c’è un gregge di pecore e lì, lui e suo fratello giocano a pallone. Il pallone cade al di là del filo spinato che delimitava il gregge delle pecore e suo fratello aveva scavalcato il filo spinato per andare a prendere il pallone. Tempo fa agli analisti si diceva che dovevano avere l’aria di pecora perché così risultavano distaccati da ciò che provava il paziente. In realtà riguardando questo concetto l’analista pecora potrebbe essere colui che ha la capacità di scavalcare il filo spinato e di seguire il gregge dei pensieri del paziente in modo semplice, senza essere vincolato dai cliché culturali. CAPITOLO 6 - INTORNO A "MEMORIA DEL FUTURO" DI W.R. BION Quello che Bion in "Memoria del Futuro" del 1979 invita a fare è lo sviluppo di un punto di vista personale, cercando di sgombrare il campo da formalismi e riserve. Questo testo rappresenta una sorta di testamento per i futuri analisti, basato su un concetto di pensiero che non nasce dalla sofferenza in sé, ma dall’accoglienza e da un incontro. Per Bion la mente è estesa e relazionale, per cui necessita di un partner, di un gruppo e anche di un atto di fede. Paradossalmente, però, l’esperienza è squisitamente personale, pur nascendo in un’interazione e da un’interazione. L’essere conosciuto concerne unicamente il soggetto e non l’oggetto che lo aiuta a conoscersi. La mente attrezzata dell’analista, secondo Bion, non lo autorizza a sapere che cosa ha in mente il paziente ma gli permette di poterglisi avvicinare ed aiutarlo a capirsi. Perché ciò avvenga è però indispensabile che l’analista diventi transitoriamente il paziente, che lo sia, accogliendolo, ma senza mettersi, nel differenziarsi da lui, in alcun modo al suo posto in ciò che gli risponde. Si può quindi considerare la simmetria e la separatezza come strumenti fondamentali dell’analisi. Per Bion il paziente sa di più su di sé, così che l’interpretazione non dirà quel che lui è, ma potrà facilitare la conoscenza potenziale che è già presente nel paziente. La qualità del concetto di mente è basata sul Rispetto: - per l’altro che è comunque esterno a noi e quindi ha delle potenzialità e delle caratteristiche sue proprie; - della psicoanalisi come metodo che cerca di far sì che si crei un accoppiamento di menti che permetta una qualche trasformazione. Il Controtransfert è per Bion sostanzialmente inconscio, poiché l’analista non è immediatamente e prontamente consapevole né del messaggio che il paziente gli invia, né di quanto lui intende e sente al riguardo, né tantomeno del perché sente e intende ciò che sente e intende. Bion pensa che l’analista possa personificare il paziente, e così esserlo, con il suo coinvolgersi profondamente, seppure transitoriamente, a livello emotivo e che, solo in un secondo tempo ed in parte, potrà divenire cosciente di qualcosa concernente la loro interazione tramite quel faticoso lavoro di trasformazione che è far nascere l’altro a se stessi. Si tratta di un’attenzione allo spazio intermedio tra le persone. Vero scoglio, per Bion dell’analista è la Paura. È importante che l’analista la riconosca e possa continuare a pensare pur in sua presenza. La psicoanalisi, quando è sapere istituzionalizzato, può non aiutare l’analista nell’affrontarla, operando all’interno dell’analista come un Super-Io severo e tirannico che non sopporta di non possedere il significato delle cose e qualsivoglia emozione e idea che si discosti dai suoi percorsi dogmatici ed idealistici. C’è quindi un solo vero scoglio, rappresentato dal controtransfert quando è morto. La morte del controtransfert, inteso in senso lato naturalmente, e non di quello a pronto uso, che ci permetterebbe le interpretazioni precise e corrette e ci censura nell’errare. CAPITOLO 7 - INCONTRARE BION: "COGITATIONS", UN NUOVO "DIARIO CLINICO" Premessa Nel 1992 viene pubblicato “Cogitations” una serie di annotazioni sparse nel tempo che potrebbero essere paragonate al "Diario Clinico" di Ferenczi. Il lavoro su Cogitations, presentato il 17 luglio 1997, viene portato avanti da Borgogno e Merciai in collaborazione con Parthenope Bion Talamo, scomparsa, insieme alla figlia Patrizia, il 16 luglio 1998 (altra coincidenza sta nella data dell’ultimo seminario italiano, a Roma, di Bion, il 17 luglio 1977). Cogitations, un Diario Clinico? Nei primi tentativi di percorso di "Cogitations", in realtà, ciò che appare è l’esatto contrario di ciò che ci si aspetta pensando al "Diario Clinico" di Ferenczi, dal momento che traspare un’attenzione non adeguata alle comunicazioni degli analizzati, dense di emozioni ed esposte con grande difficoltà, e questo è esattamente ciò che Ferenczi denuncia. Appaiono quindi la pigrizia mentale e l’insensibilità dell’analista, che Ferenczi imputava primariamente al Freud accecato dalla sua passione teorica che non ascolta più il paziente e ne fraintende il messaggio, e che riconosceva, poi, coraggiosamente, in se stesso, nell’odio, nell’apatia, nella malavoglia per sentirsi chiamato in causa in tutta la sua persona all’interno dell’analisi. Eppure, in questa luce, "Cogitations" potrebbe essere selettivamente un "Diario Clinico" per l’onestà con cui Bion offre allo sguardo della comunità la tragedia che lo attraversa in quegli anni di vita, allorché cerca di uscire dall’anonimato che il coro di cui fa parte (sopratutto il suo legame con la Klein) gli prescrive, svelando qualcosa di molto intimo e personale del suo funzionamento mentale sia al lavoro nella seduta sia a tavolino quando riflette e teorizza. La tragedia di riuscire a scorgere con estrema lucidità come l’istituzione, in nome di una supposta verità, possa giungere ad uccidere l’individuo nella sua specificità e, nonostante questa consapevolezza, rimanere imbrigliato ed imbrogliato nella medesima prospettiva che si combatte. Il tragico bioniano nella riflessione di "Cogitations" è dunque la scissione assoluta fra pensiero teorico ed atteggiamento clinico. Bion, a distanza di alcuni anni dalla franca e calda perorazione di Winnicott a favore del paziente, “baby” e non solo “crazy” (teorizzazione presente nella lettera di Winnicott a Bion del 1955), non poteva ancora avvalersene e non poteva rendersi conto che davvero il paziente stava comunicando con lui nella seduta, segnalandogli la geografia affettiva delle reciproche mosse e posizioni. Non cogliendo questo livello centrale dell’analisi, che Ferenczi aveva acutamente intuito e seguito fin dai suoi primi scritti e che lo stesso Freud aveva raggiunto nel caso del piccolo Hans, quando nella veste di supervisore aveva potuto gettare un secondo sguardo sul suo lavoro di analista ben ricettivo nei confronti delle ragioni e delle sensibili percezioni inconsce del paziente, Bion sembra rendere vano e morto l’appello disperato che il suo paziente gli rivolge. Il suo modo di porsi con i pazienti mostra un preponderante interesse e legame con un’analisi ideale e con il gruppo di riferimento, assai superiore all’attenzione al benessere del paziente ed ai suoi accorati e ripetuti messaggi. Ma è presente un filo inconscio del “Chi uccide chi?” ed è rispetto a questa domanda che nasce, nelle pagine prese in esame, il tormento e l’angoscia dell’interrogazione di Bion, che parte da una teoria che esige che sia il paziente (ed il neonato) per invidia ad attaccare sempre e comunque l’analista (la madre) e la sua buona interpretazione, per approdare all’idea, insolita in quel contesto gruppale ed ideativo, che possa essere talvolta lo stesso analista ad uccidere il paziente con la sua visione troppo intelligente e brillante, ma ristretta e scostante, che lo paralizza e colpevolizza per ciò che metacomunica al di là dei contenuti. A questo punto del percorso, alla fine degli anni ’60, possono fiorire in "Cogitations" altre immagini dell’analisi e diminuiscono gli spazi riservati all’analista sfolgorante o diabolico che voleva “lavare il cervello senza sporcarsi le mani”: Bion scrive “Non penso che un paziente accetterà mai un’interpretazione, non importa quanto corretta, a meno di non aver sentito che l’analista è passato attraverso questa crisi emotiva come parte essenziale dell’atto di dare l’interpretazione” È proprio sulla scia di queste immagini che, non a caso, Bion arriva, ormai nel Nuovo Continente, a fare, nel 1976, il nome di Ferenczi e a sostenere, due anni dopo che il paziente ha bisogno di un analista “essere umano” e non di “rappresentazioni di essere umano” o di “interpretazioni artefatte” perché per approssimarsi alla verità la “condizione minima necessaria” è la “sincerità”. Sono quindi indubbie le analogie di percorso tra Bion e Ferenczi relative al rapporto con il gruppo e alla ricerca di riconoscimento ed appartenenza, da un lato, e l’intenso investimento sulla libertà personale e sulla creatività mentale dell’analista e del paziente, dall’altro. Il Bion della "Svolta" L'esperienza americana di Bion, databile tra il 1973 ed il 1978, partendo dall'apertura empatica e dialogo nelle ultime "Cogitations", tra cui “Riverenza e timor sacro” del 1967 in cui comincia a mettere in discussione la sua presunta verità, la fantastica rêverie immaginativa rilassata e rasserenante nella sua dedizione al paziente cattivo ed invidioso, per approdare a “Memoria e desiderio” del 1975, porta ad un Bion che dichiara, con serena accettazione dei limiti del vivere e pensare alla vasta gamma delle emozioni dell’altro e più in contatto cioè con il terrore di cui parla e meno fobico ed allarmato nell’affrontarlo, che l’analista ha come strumenti efficaci di lavoro soltanto la sua pancia, il suo cuore e la sua testa. Nell’ultimo seminario in Italia, il 17 luglio 1977, ad un partecipante che chiede di un proprio paziente morente di leucemia, Bion risponde: “Si dice che questo particolare paziente stia morendo e noi tutti stiamo morendo, dal momento in cui in effetti stiamo vivendo. Ma mi interessa se la vita e lo spazio che ci restano sono tali che valga la pena di viverli oppure no e se c’è qualche scintilla lì sulla quale si potrebbe soffiare fino a che diventi una fiamma in modo che la persona possa vivere quella vita che ancora ha, possa usare quel capitale che ha ancora in banca? Quanto capitale vitale ha questa persona? E potrebbe essere aiutato ad usare quel capitale a buon fine?". E' sorprendente, in queste frasi, la vicinanza della visione di questo Bion con Ferenczi. Bion muore di leucemia acuta nel 1979, ad 82 anni, dopo aver lasciato la testimonianza della sofferenza del percorso per arrivare alla reale significazione delle sue parole e per arrivare dall’applicazione della psicoanalisi all’essere profondamente psicoanalisti. CAPITOLO 8 - L'ELASTICITA' DELLA TECNICA COME PROGETTO E PERCORSO PSICOANALITICO DI SANDOR FERENCZI Nello scritto “L’Elasticità della tecnica” del 1928 Ferenczi inizia a parlare della profonda qualità di atteggiamento che egli matura lentamente e fa lievitare attraverso la sua esperienza, pervenendo a sostanziali cambiamenti di teoria e pratica. La condizione psichica e valoriale che si trova alla base di questo atteggiamento, identificabile in ciò che egli chiamava “sentirsi uno con”, e specificamente elettiva del conoscere psicoanalitico è quindi l'Elasticità, che non vuol dire affatto indulgenza e simmetria, ma un inizio di riconoscimento ed elaborazione dell'influenza e delle funzioni nel processo psicoanalitico, limiti inclusi. Quindi un aumento di responsabilità dell’analista. Ferenczi non aveva timore di “mischiarsi” con il paziente e seppe opporsi ai molti conformismi che ottenebrano le menti impegnate e devote, bloccandole nella loro esplorazione dei fatti e nella libertà di trovarli e di esprimerli più oggettivamente mantenendone l’unicità. Va però notato come le carenze di Ferenczi come psicoanalista si situano prioritariamente sul piano della metabolizzazione e della trasformazione degli affetti e dei contenuti psichici del paziente, e non invece a livello della recezione e del contenimento. Il Progetto e l’Esordio Nella prospettiva di Borgogno, che vede l'elasticità della tecnica come un percorso d’opera e di vita, si può trovare all'inizio gli scritti preanalitici (1899-1908) in cui il giovane Ferenczi, che non ha ancora incontrato Freud, anticipa ed esplicita i valori per lui centrali nella sua futura pratica terapeutica. Mettendo in causa la medicina e la psichiatria dell’epoca, egli ne denuncia gli aspetti di sapere e di potere che le rendono tronfie e lasse di fronte alla cura ed alla sofferenza. I medici ben presto abbandonano la dedizione al paziente ed all’apprendere dall’esperienza per sostituirvi un insieme di concetti, di rituali e di formalismi che impediscono l’autentico ascolto e soccorso, creando un atteggiamento di falsa superiorità e di idealizzazione, fondate sul diniego dell’ignoranza e della fallibilità della propria attrezzatura. L’ambito elettivo su cui Ferenczi eserciterà la sua ardita e coraggiosa palestra di psicoanalista sarà quello che s può definire l’ovvio, che egli considererà una fonte importante dell’inconscio scisso e rimosso, dato che rappresenta quell’area di esistenza e di realtà che viene data per scontata e non viene più osservata, conosciuta e riconosciuta. Nell’ovvio ricadranno sia quelle dimensioni, funzioni ed operazioni mentali di base che, proprio perché fondanti la vita psichica e la sua comprensione diventano automatiche, sia quei comportamenti di routine e di assetto ordinario di lavoro che usualmente vengono ritenuti normali ed essenziali, e per giunta utili, mentre all’opposto potrebbero non esserlo, in quanto possono contenere, come ben dimostrerà nel "Diario Clinico", un aspetto di sopraffazione e di violenza subdola e sottile o, più semplicemente, mascherare pigrizia, insensibilità, indifferenza ed ambiguità, poco rispettose del paziente e del metodo psicoanalitico stesso. Ferenczi, inoltre, allargherà il concetto freudiano di inconscio estendendolo a quanto non è mai stato iscritto psichicamente ed espresso in parole nell’infanzia e nel passato del paziente, a causa di frequenti inadeguate forme di allevamento e di educazione. E' in quest'ottica che Ferenczi scrive che “si può arditamente affermare che il comportamento privo di tatto dei genitori, insegnanti e medici in questa circostanza così importante per il bambino, provoca più danno di tutte le altre calamità messe così spesso sotto accusa. L’isolamento dei bambini nelle loro necessità sessuali, i concetti esagerati e falsi propinati a titolo di spiegazione su tutto ciò che è fisiologicamente o psichicamente legato alla sessualità, una severità eccessiva nel punire le abitudini sessuali infantili, la sistematica educazione del bambino ad una cieca obbedienza e ad un rispetto immotivato dei genitori, sono tutti ingredienti di un metodo educativo che si potrebbe anche definire un allevamento artificiale di nevrotici e di impotenti sessuali”. Bisogna sicuramente tenere conto che per Ferenczi, fin dagli inizi del suo percorso, ciò che è traumatico non è il trauma in se stesso quanto la rimozione delle rappresentazioni ad esso legate. Il diniego dei genitori e il loro fraintendimento nel sintonizzarsi agli stati ed ai bisogni affettivi del bambino, ben oltre la sessualità ed i conflitti ad essa collegati. Un luogo, in sintesi, l’ovvio, in cui vanno a finire nella visione di Ferenczi, molte incertezze, dubbi, angosce profonde, misteri che la mente non può sostenere nella sua esplorazione, poiché ne sarebbe troppo inquietata e perturbata se venissero sottratti al silenzio, al non detto che la stessa comunità talvolta impone e sancisce. Ferenczi, enfant terribile della psicoanalisi, propone quindi subito i concetti di dinamica e finalità dell’incontro fra due menti con interrogativi sulle qualità e sui ritmi del loro scambio, sul piacere e dispiacere che i membri della coppia provano. Teorizza quindi il “Giardinaggio d’anima” e la “propensione ostetrica” per l’analista che può intuire che non è la spiegazione corretta che il paziente desidera maggiormente, ma sentire come l’analista ha partecipato e attraversato un’analoga turbolenza e crisi emotiva nell’atto di arrivare all’interpretazione, qualcosa di più intimo e profondo circa le caratteristiche libidiche ed affettive che generano nel rapporto significato e significatività. E' molto importante inoltre in Ferenczi il rispetto e la tutela della voce dell’altro, in primis della voce infantile. Vi è quindi un filo che collega, nei suoi scritti, le storie di bambini violati ed il lavoro della sua maturità, prevedendo l’attenzione a non introdurre parole e sentimenti alieni ed estranei nell’altrui cuore, nell’altrui bocca e nell’altrui mente. Un taglio clinico che ne fa il vero capostipite degli Indipendenti britannici, il cui motto è l’accoglimento e l’incontro con lo straniero quale cittadino a pieno titolo del Sé la cui espressione deve essere sostenuta ed aiutata a radicarsi nel più vasto consorzio umano e sociale del mondo interno e della realtà esterna. La scoperta, la valorizzazione e la protezione dell’alterità sono così, a tutti gli effetti, nel suo progetto, la principale chiave di accostamento e messa a fuoco del paziente in quell’esplorazione dell’inconscio che Freud ha posto a fondamento della psicoanalisi, perché la psicoanalisi non si riduca a promuovere una qualche forma di identificazione acritica e mimetica con l’aggressore o una sorta di sottomissione ipnotica e suggestiva ad un feticcio, quest'ultimo concetto sviluppato poi anche dalla Heimann e da Bion. Il Percorso e il Modello Ferenczi sposterà in seguito l’accento da uno sguardo più distanziante ed oggettivante, focalizzato sul materiale verbale allo studio dell’interazione di transfert e controtransfert, nell’hic et nunc della seduta e nell’evoluzione di un’analisi, concentrandosi sulla sperimentazione viva che nasce dal cuore e si radica in un’esperienza affettiva di relazione e colloquio su cui si riflette procedendo per prove ed errori. Perdersi ed immedesimarsi nell’altro, quindi, secondo Ferenczi, rappresenta il primo momento di conoscenza per l’analista che può temporaneamente rinunciare all’idealizzazione della coscienza ed esporsi fiducioso a tutti quei movimenti inconsci che è necessario sostenere in un rapporto, per entrare in contatto con la sua singolarità e, solo successivamente, poterla mettere in parole realmente significative ed attuali. Per poter ospitare, senza volerli aprioristicamente possedere, quei messaggi molteplici che i due inconsci reciprocamente si inviano. Vi è quindi un passaggio bidirezionale di esperienza vissuta e di comunicazione inconsce. Nello scritto “Sintomi Transitori nel Corso dell’Analisi” del 1912, il quale rappresenta il primo scritto tecnico di Ferenczi, la conoscenza è vista come transito ed il soggetto del discorso si dà in parte all’insaputa stessa dei due contraenti il rapporto. In questo scritto, inoltre, Ferenczi nota la ricaduta sull’altro del proprio silenzio e della propria parola, intende cioè la risposta verbale, preverbale e non verbale del paziente quale segreto e nascosto commento rispetto all’atteggiamento ed al funzionamento mentale che l’analista esprime in un dato momento della seduta e della relazione. Ma perché la più auspicabile via verbale avvenga, quindi perché possano emergere i messaggi inconsci, è necessario che l’analista per primo non sia spaventato di viverli e di lasciarsene attraversare, sorpreso dall’altro che è in lui non diversamente che nel paziente. Ferenczi, senza saperlo, sta entrando con queste riflessioni nel regno delle Identificazioni Proiettive scoperto dalla Klein, sua allieva, un regno nel quale è per Ferenczi necessario abdicare al potere ed al sapere e considerando l’errore di interpretazione non come un fallimento, bensì come inevitabile tramite di conoscenza e come occasione di riapertura e di ritrascrizione del passato. Ferenczi tenta sempre di apprendere dall’esperienza e, così facendo, inaugura una Metapsicologia dei Processi Psichici dell’Analista, come egli la definirà nel 1928, basata sul riflettere su tutte le componenti attive delle comunicazioni e non-comunicazioni dell’analista che sono ineluttabilmente inconsce ed eccedono le migliori intenzioni di astinenza e di neutralità ed offre, per questa via, la sua passione ed il suo entusiasmo a ciò che non c’è e manca, al “a-venire” dell’errare attraverso il punto di vista del paziente e risvegliandolo così a vita psichica non alienata. Un tipo di analisi quindi che vuol rendere il paziente meno permeabile alle valenze arcaiche ed inconsapevoli dell’introiezione, soprattutto incoraggiando e sostenendo lo sviluppo di una capacità di no-entry che vieti all’altro di disporre di un’affettività, imprimendo bisogni, sentimenti ed ansie eterogenei e ideologia e mentalità non proprie. Il Lascito e il Movente Il contributo e lascito principale di Ferenczi riguarda la mancanza della madre e il diritto a essa nelle sue funzioni, che sono movente e motore della sua indagine. Ferenczi li ha messi in primo piano quale problema di fondo (e non solo personale visto che vari studiosi hanno correlato la depressione di Ferenczi, personale e professionale, alla depressione della madre) dell’elaborazione e della cura della sofferenza psichica, sottraendo all’oblio e alla difesa importanti bisogni e legittime aspettative infantili nonché ruoli e valenze materni dati per scontati e presenti oppure svillaneggiati e visti come debolezza ed imperizia. Il suo contributo ha gettato le basi di una migliore forma di analisi, che si rivolge ad un soggetto più integrato anche quando molto malato, soffusa da quel tatto di cui per tutta la vita egli ha investigato, con la ricchezza della sua immaginazione e del suo sentire, le dimensioni e le componenti profonde che lo rendono fondamentale elemento della psicoanalisi. CAPITOLO 9 - UN CONTRIBUTO DI FERENCZI ALLA PSICOANALISI INFANTILE: LA PENSABILITA' DEL TRAUMA E DEL TRAUMATICO Una Teoria Originale e Innovativa Il contributo di Ferenczi al concetto di trauma è innovativo e fecondo, e la sua teoria non è affatto un ritorno al primo Freud della seduzione. Ferenczi, come Winnicott ed Heimann dopo di lui, introduce in psicoanalisi l’urgenza di distinguere fra bisogni e desideri del bambino e dell’adulto e la necessità di diversificare i loro diritti e doveri. Seppure avesse intuito fin dall’inizio della sua attività clinica che l’abuso sessuale, le punizioni passionali e la violenza sui bambini erano più diffusi di quanto i colleghi dell’epoca non credessero, il trauma che descrive è già nei suoi primi scritti soprattutto emozionale e psicologico, in quanto prevede forme di deprivazione per eccesso o per difetto sul corpo e sulla mente in formazione ed in crescita e un'addizione e sottrazione di qualcosa che modifica il naturale avvio alla vita psichica mediante operazioni di intrusione e si estrazione che segnano e danneggiano l’esperienza del bambino. Questo conduce ad un effetto da lui riscontrato nella patologia borderline e psicotica laddove l’Io ha subito una consistente umiliazione a livello dell’amore di sé e la scissione e la dissociazione, con conseguente alterazione della consapevolezza, prendono il posto della rimozione e dei meccanismi di difesa più propriamente nevrotici come risposta di sopravvivenza e di difesa psichica. Ciò che rende patologico l'evento traumatico non è il trauma in se, che è un elemento fondamentale dello sviluppo, ma il Diniego in cui non è unicamente negata e disconosciuta la percezione della realtà che ha il bambino, ma vengono negati e disconosciuti la realtà e lo sviamento che il genitore impone, sì che il bambino viene trasportato in un luogo mentale non suo e privato di sue peculiarità, anche solo potenziali e fisiologiche. L'estrazione e l'intrusione sono quindi alimentate dal Doppio Legame, inteso da Ferenczi in uno stretto rapporto con la riflessione di Bateson sull’origine della schizofrenia. Vi è allora una conduzione del bambino fuori da sé per sostituire al posto lasciato vuoto la persona che ne è fautore, basandosi su un progressivo non riconoscimento e non convalida percettiva ed affettiva. Il trauma è quindi alla soggettività dell’individuo, alla sua esistenza psichica autonoma e differente, che viene in tal modo ad essere abitata da pezzi di persone e di personalità a lui estranee ed eterogenee che, non essendosi qualificate e presentate simbolicamente e non dovendo essere in nessun caso individuate, vivono clandestinamente nel luogo del bambino, agendo su di lui, per lui, contro di lui, al posto suo. Trauma che si basa sulla confusione dell’adulto fra sé e il bambino ed implica un fraintendimento delle lingue e dei codici (1932). Trauma che diventa, per via introiettiva e a scopi di sopravvivenza somatico ed intrapsichico, quando la sua origine è indubbiamente extrapsichica e non può essere addotta al bambino che la subisce. Se ciò accade, un ulteriore diniego viene a pesare sulla sua testa, invitandolo ad una rottura con la realtà ed alla psicosi per aver dovuto rinunciare a se stesso e alle sue insicure sensazioni e percezioni in nome dell’essere oggetto di quelle altrui. Il trauma appartiene, così, al campo del non nominato, non detto, non affrontato, non capito e simbolizzato ma certamente vissuto e sperimentato più di quanto non si creda. Ferenczi non prospetta colpevolizzazione ma immedesimazione nelle ragioni dei bambini e degli adulti, priva di superiorità morale, poiché l’odio, il dolore psichico, la ferita, la colpa e il lutto non metabolizzati si trasmettono per generazioni se non sono resi consapevoli e affettivamente convalidati. Fenomenologia Complessa del Traumatico Compiendo la goethiana "discesa alle madri” Ferenczi esplora il funzionamento mentale dei caregivers, le qualità del loro contenimento e del loro prendersi cura, sottolineando come modi ed atteggiamenti genitoriali imprimano nella mente dei figli una sorta di impronta. Il primo concetto interessante che Ferenczi introduce è la Noncuranza (o trascuratezza emozionale), intesa come non sintonizzazione del genitore nei confronti dei bisogni e dei desideri infantili. La noncuranza traumatica è per lui quindi disattenzione, lontananza, insensibilità, indifferenza, valorizzazione, non rispetto dei limiti, tirannide e sfruttamento, un vero “atto di crudeltà” (1908) che comporta omissione di soccorso ed intromissione antiprotettiva ed antitrasformativa di bisogni e desideri, ansie e conflitti dei genitori, che vengono ad imporsi e sovrapporsi a quelle dei figli. Si trovano infine menzogna ed ipocrisia. Tutte derivano da una dimenticanza della propria infanzia che ostacola l’immedesimazione e la relazione nella comprensione e promuove la trasmissione di comportamenti coercitivi, di repressioni mistificanti e identificazioni aliene, che minano l’identità autentica e sottraggono risorse sostanziali per affrontare la vita. Noncuranza, menzogna ed ipocrisia indeboliscono la percezione del bambino di bisogni, impulsi ed emozioni, non assistendolo e non sostenendolo a sufficienza nel metabolizzare gli stimoli interni ed esterni connessi al vivere ed alle sue difficoltà, e nel mettere in parole significative tutte quelle inevitabili vicende che derivano dai disturbi di interazione e comunicazione dell’ambiente umano. La vita diventa indegna di essere vissuta e la personalità si scinde in due metà, una delle quali svolge il ruolo di madre e di padre che non ci sono stati, rendendo l’abbandono compiuto, mentre si fissano come adesivo potente l’amore malato e l’odio dei genitori, disturbati e sofferenti, perpetuando al posto della capacità di ricevere e di dare e offrirsi in modo sano condotte aggressive e distruttive rivolte contro la propria persona, spesso basate su modalità inconsce anestetizzanti e anestetiche nei confronti di tutto ciò che è relazionale (può essere definito un “assassinio di anima” che porterà al “suicidio psichico”). Il bambino scivola allora verso l’inesistenza o l’assenza di forza vitale e l’identità alienata avvia il bambino ad una precocità intellettuale ed emotiva traumatica, conducendo a quello che Ferenczi chiamò “bambino saggio” (o wise baby), che sottende a livello profondo e spesso celato, un “embrionale gemello” la cui crescita affettiva è stata del tutto arrestata. Il bambino si sottomette all’adulto deprivante per difendersi dai pericoli generati dalla sua assenza di controllo. Diviene indovino dei suoi bisogni e desideri, identificandosi con lui, con le sue gravi ansie e con la colpa e con la confusione di linguaggio e di codici di cui l’adulto è portatore e fautore. Il diniego e la sconfessione del genitore sono così rafforzati dal bambino stesso che in un clima di terrorismo della sofferenza cede la sua anima all’adulto violento, intimidatorio e minaccioso che abusa di lui, e all’ambiente circostante che non gli crede, rendendo via introiezione e identificazione primitive gli eventi extrapsichici interni. Lo scotto è il sacrificio di sé, inteso come la vera castrazione per Ferenczi, e il risultato è la dematerializzazione e la frammentazione dell’autentica soggettività che attendono qualcuno che possa visualizzare e mettere in parole, attraverso la comprensione, le dolorose vicende che l’anestesia ed il vuoto di umanità gelosamente racchiudono quale unico tesoro di esperienza a cui rimanere attaccati e legati. CAPITOLO 10 - IL PRIMO SCRITTO DI FERENCZI COME BIGLIETTO DA VISITA Il primo scritto di Ferenczi, intitolato “Il Significato dell’Eiaculazione Precoce”, del 1908 ha un orientamento decisamente intersoggettivo e pone al centro dell’attenzione la donna su cui vanno a finire gli effetti fisiologici e le conseguenze psicologiche dell’eiaculazione precoce. Inoltre considera esplicitamente la specificità di entrambi i partner della relazione. Non è la patologia ad essere messa in primo piano e neppure il significato inconscio dei simboli legati al sintomo, ma la ricaduta sull’altro dato che Ferenczi, sopravanzando le consuetudini dell’epoca, sottolinea che ciascun membro della relazione ha peculiari bisogni ed idiosincrasie che devono essere tenuti nel massimo conto se si vuole raggiungere un rapporto degno del nome con mutuo piacere e vantaggio. Egli mostra, consapevole dell’inclinazione maschilista e fallicocentrica della cultura, il risultato del disconoscimento di esigenze legittime della partner, spesso causa di disturbi funzionali e di disagio psichico. Avverte, quindi, come necessari, il rispetto dei tempi appropriati ed il ritrovamento del ritmo idoneo ad una coppia. Non sempre Ferenczi è stato così aperto nei confronti delle donne come in questo scritto, in quanto le sue idee oscillano per un lungo tratto del suo percorso fra posizioni più illuminate e posizioni più tradizionali e androfile (ad es. in "Thalassa" del 1924). L’oscillazione è influenzata, fra le altre cose, dal suo rapporto con Freud e dal suo potersi permettere maggiore o minore autonomia di pensiero rispetto a lui. Ma Ferenczi raggiunge indubbiamente una visione personale e indipendente dal 1927 in avanti che comporta una netta rivalorizzazione esplicita dello specifico femminile. Egli è comunque assai più disposto di quanto non lo fosse Freud a identificarsi nelle donne e nelle madri. Se lo si guarda ad un livello traslato è possibile scorgere un primo passo in linea con l’evoluzione del suo percorso teorico e tecnico che affronterà campi di intervento ancora oggi vivi e rilevanti nel dibattito psicoanalitico, tra cui: - la ricerca di condizioni affettive più democratiche e sincroniche nei preliminari che permettono l’incontro psicoanalitico e nelle azioni psichiche in cui l’esplorazione di copia lievita con esito finale fecondo e fertile; - l’enfasi sulla risposta verbale e non verbale del paziente ai nostri modi di essere, sentire e percepire in seduta, sovente poco recettivi e trasformativi perché scostanti, masturbatori e precocemente eiaculativi al fine di svincolarsi al più presto dal peso e dall’impegno di un effettivo contatto e di un’effettiva separazione; - l’allestimento di uno spazio di legame e di pensiero che si prefigge, nel confronto psicoanalitico, di accogliere e di invitare al dialogo l’elemento più debole e svantaggiato come partner a pieno titolo, riscattandone la voce nel processo stesso dell’individuarla e conoscerla. Ferenczi propone alla comunità del tempo la necessità di guardare alla donna ed alla sua psicologia da una prospettiva meno restrittiva, meno unilaterale e più consona a lei e, attraverso ciò, evidenzia l’imprescindibile necessità di privilegiare l’altro ed il suo punto di vista nell’atto che vuole essere scientifico. Il più forte deve porsi in assetto di servizio nei confronti di quello più fragile. Deve vigilare con cura che non prendano piede, nella realizzazione delle sue azioni, tendenze prevaricatorie e colonizzanti, frequentemente stimolate ed alimentate dallo status di sapere e di potere che si accompagna alla disparità di genere e di ruolo. La donna, i bambini ed i pazienti vengono facilmente “parlati” dalla società, che li uniforma alle proprie esigenze e alle proprie norme trattandoli come proprietà e possessi mentre sono e devono essere soggetti! Esempio del suo cruciale atteggiamento è Rosa K. (1902) a cui egli dice che la psichiatria e la psicologia conoscono poco delle vicende di vita e delle dinamiche interne che portano una persona anagraficamente donna, lei in questo caso, a sentirsi intimamente uomo, per cui può essere esclusivamente lei stessa ad illuminarci al riguardo, annotando la sua esperienza e scrivendo la sua autobiografia. L’originalità di questo piccolo scritto consiste nell’atteggiamento di comprensione della differenza che Ferenczi dimostra verso questa giovane donna, una donna omosessuale travestito, che la famiglia, la società, il mondo medico universitario avevano condannato, rifiutato, incarcerato ed escluso. Ferenczi la riabilita come essere umano restituendole la dignità di persona con lo stesso invito, nell’occuparsi di lei, a scrivere lei medesima la sua storia. Privilegia in questo modo il punto di vista del soggetto come fonte di conoscenza della sua esperienza. Egli in quegli anni lotterà per far riconoscere agli omosessuali il diritto ad una propria sessualità psichica, cercando di aprire una prospettiva umanistica di ricerca e trattamento delle problematiche psicologiche connesse ai disturbi della sessualità. Ferenczi, quindi, anticipa, nel suo primo scritto psicoanalitico, il suo prossimo programma terapeutico, basato sul risvegliare una parola dissociata ed aliena resa tale non solo dalla rimozione ma dal mandato repressivo e coercitivo della cultura egemone sugli individui e dall’ingombrante deriva nella loro psiche di forme di allevamento ed educazione, talora anche improprie, lesive e traumatiche. Inoltre lotta, nel tentare di farlo accedere alle proprie associazioni e di “sciogliere”, come lui stesso diceva, “la sua lingua”, contro una forma di analisi che lo responsabilizzava, con l’interpretazione tradizionale, troppo prematuramente e per la pace mentale e il comodo dell’analista. Borgogno, ma anche altri psicoanalisti prima di lui, creano allora un paragone tra l’eiaculazione precoce e l’interpretazione, vista come il masturbarsi in vagina teorizzato da Ferenczi nel 1912, per rammentare la differenza tra il rapporto puramente interno con un oggetto e il lento incontro con esso nelle transazioni della relazione. Più avanti (1932) Ferenczi parlerà poi di emorragia cerebrale per mettere in evidenza l’assenza e perdita di pensiero, prodotta da un’interpretazione precoce e precipitosa, e la falsa separatezza rispetto ad un legame reciproco riconosciuto che promuova e valorizzi affettivamente le vicendevoli capacità di comunicazione e rapporto. Ferenczi si batte per una psicoanalisi fondata sull’esperienza affettiva e sulla convinzione che deriva dalla sperimentazione vissuta elaborata, in cui intelletto e conoscenza possono bypassare il corpo e le emozioni. Vi sarebbe quindi una predisposizione narcisistica operante nello stesso analista che non rispetta i tempi della relazione ed è distratto rispetto alle caratteristiche singolari dell’altro, poco sollecito e vigile a rinvenire continui aggiustamenti di ritmo che in ogni scambio ed in ogni dialogo sono essenziali per determinare un prodotto che sia esito di matrimonio fra due menti e non prestazione onanistica ed esibizionistica di una soltanto. Nasce in questo ambito ideativo il suo considerare l’analista resto di vita fondante. Enfatizzando i fattori relazionali dell’hic et nunc e nella lunga onda di un’analisi, inclusi quelli primari che usano vie metacomunicative nel collegarsi all’altro, Ferenczi si inoltra ancor più nell’universo materno preverbale e comincia ad esplorare quei fattori intersoggettivi che sono intimamente congiunti e indisgiungibili nell’interpretazione, che è creazione personale di significato. Fattori raccolti più recentemente sotto il nome di contenimento e trasformazione, che ne costituiscono i preliminari e che implicano una delicata istruzione che richiede all’analista essenzialmente un’attività di gestione mentale delle emozioni e delle sensazioni reciproche sorte nell’incontro, tra cui recezione ed immedesimazione e, quindi, sodo sforzo di metabolizzazione per stemperare, rasserenare e bonificare quanto, proveniente dal paziente, è da lui preso dentro ed accolto, e calibrata modulazione immaginativa di ciò che gradualmente egli restituisce narrativamente nella formulazione verbale. L’inconscio a cui si rifà Ferenczi non è soltanto l’inconscio freudiano rimosso. Egli parla di un inconscio scisso e dissociato, inscritto concretamente nel corpo e nelle sue sensazioni e, altresì, di un inconscio privo di rappresentazioni di cosa e di parola, non nominato e permeato tutt’al più di sensorialità arcaica e diffusa non strutturata. Quest’orientamento diventa centrale nel "Diario Clinico" in cui il paziente segnala all’analista le sue problematiche non risolte oltre che la sua non-comprensione. Ferenczi amplierà quest’area di consapevolezza, contribuendo alla comprensione delle funzioni cognitive ed affettive che sottostanno all’interpretare e la preparano. Nel 1928 fonderà una Metapsicologia dei Processi Psichici dell’Analista” indicando alcune qualità preconosce della comunicazione e della conversazione che giudica essenziali al rapporto reciprocamente soddisfacente: - spontaneità e naturalezza nel cogliere, stabilire e far maturare contatti; - non-timorosità curiosa e rilassata nel sapere farsi sorprendere e nel sorprendere; - giocosità che stimoli la partecipazione del paziente senza spaventarla e farla recedere e che permetta di entrare nei ruoli che la vicenda psicoanalitica chiede di sostenere, capendoli nel vivo e dal vivo. L’analista deve, altresì, essere disponibile a farsi momentaneamente parassitare, se ciò può essere utile al processo conoscitivo che l’analisi vuole estendere, oltre che, naturalmente, essere sempre aperto ad identificarsi nel paziente per non disattendere la sua posizione. E' importante allora essere se stessi e riconoscersi come due soggetti entrambi attivi ed influenti e convivere per poter condividere a un livello verbale che sia significativo per la coppia. Ferenczi farà affiorare come legittime e naturali molte aspettative e bisogni dei pazienti, dichiarando il loro diritto ad avere una fase di preparazione all’interpretazione e a ricevere un’analisi non traumatica, che sa essere estremamente attenta agli effetti di dolore e di piacere che la situazione di accoppiamento produce, e che può accettare l’aspetto percettivo sano della risposta critica o idealizzante senza velocemente ridurla a facili fantasie inconsce di natura difensiva persecutoria, avida e ostile, che potrebbero appiattirne il significato e il valore relazionale. Lavora inoltre per una maggiore consapevolezza dell’analista, tentando di allargare l’area di contenimento ed accoglimento passibili di pensiero, con particolare sollecitudine nel liberare l’analisi da quelle quote aggiuntive di sofferenza e frustrazione che essa può veicolare provocando disturbo ed anche malattia psichica. Il Nuovo Inizio è per lui possibile non per i contenuti che l’analista porge al paziente ma per le funzioni che la sua interpretazione gli mette a disposizione, funzioni di trasformazione (gestione differente di bisogni, desideri, ansie e conflitti) perché egli possa lentamente negoziare e superare in modo più dignitoso e confacente problemi, traumi e difficoltà legate all’esistere. Spetta all’analista individuare l’insieme di forze antievolutive ed opprimenti e notificarle dentro di sé ed al paziente nella costruzione di uno spazio di vita e di analisi più agevole e più conforme alla relazione feconda, quello spazio psichico dove l’accoppiamento e il confronto sono paritari e sincronici nell’immedesimazione che permette l’autentico avvicinamento all’altro, ma asimmetrici nella risposta, poiché è l’analista che per primo deve riconoscere queste forze che militano contro la crescita ed il cambiamento e sapervi resistere saldamente. Può sorgere, così, nel paziente in un secondo tempo, e non certo con la velocità e l’aritmicità, una maggiore libertà di relazione con l’altro che è riconoscimento di reciproca soggettività e movimento a due di entrata ed uscita nel rapporto, con tutela e protezione di mutua separatezza e di mutuo piacere e salvaguardia dai molteplici e inevitabili inganni, manipolazioni e mistificazioni, tutt’altro che insoliti ed elaborati una volta per tutte anche nell’analista. Per Borgogno al di là dei valori e degli ideali psicoanalitici che sono stati sottolineati in questo capitolo, la loro messa in pratica incontrerà dei limiti, se non altro perché l’autonomizzazione a cui Ferenczi ad ogni costo vuole portare i pazienti, non riesce poi lui stesso a raggiungerla nei loro confronti, rimanendo parzialmente imbrogliasto-imbrigliato nelle complesse problematiche relazionali che essi riattualizzeranno. Tenderà in molti sensi a sottomettersi alla stessa influenza ipnotica che ha svelato antesignanamente, cercando di offrire loro un ambiente più idoneo, ma ciò facendo perderà di vista la globalità del gioco interattivo di transfert e controtransfert non riuscendo a restituirla rappresentativamente in parole. In particolare Ferenczi, pur cogliendo l’identificazione inconscia dei pazienti con la tirannia dei genitori seduttori, non curanti, aggressori, non lavorerà a sufficienza questo aspetto centrale del loro trattamento, restandone in parte ipnotizzato quando nel rovesciamento dei ruoli gli ritornerà contro. CAPITOLO 11 - SANDOR FERENCZI E IL SOGNO: IMMAGINI E PENSIERI TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO Perché Questo Titolo? Ferenczi accoppia, nelle sue idee sul sogno, l’enfasi antica della catarsi e una prospettiva di percorso che vede nei suoi contenuti un luogo di messa in scena, di ri-presentazione e rappresentazione, uno spazio di potenziale trasformazione non solo della storia passata ma di quella psicoanalitica e anche di quella più recente. Nel sogno si inscrive non esclusivamente il mondo transpersonale che connota l’individuo, bensì la realtà psichica del paziente per come si va costruendo evento dopo evento, seduta dopo seduta, attraverso legami significativi come quello con l’analista. La Realtà Psichica è soggettiva, ed è la realtà dell’individuo nel suo essere soggetto, e processuale, in quanto non è data una volta per tutte ma implica un movimento e un divenire che si intrecciano continuamente e profondamente con i vari livelli del contesto in causa e con il funzionamento mentale dei propri interlocutori privilegiati. Il presente è, di conseguenza, centrale nell’opera di Ferenczi. Nell’hic et nunc emerge il passato, per l’analista che ha approntato strumenti teorici e tecnici appropriati ad accoglierlo, ma si delinea pure il futuro del rapporto e del soggetto, sempre che l’analista contempli fra i suoi mezzi conoscitivi questa direzionalità di valori, capace di individuare germi ed abbozzi di identificazioni a-venire da ogni minimo ed impercettibile segno e gesto. Ma un sogno senza le associazioni vive del sognatore e la sua presenza sveglia perderebbe tutto il suo valore di messaggio specifico e non sarebbe realmente disponibile ad un genuino lavoro psicoanalitico di coppia. Il sogno può essere, così, preziosa occasione psichica di narrazione e di integrazione della persona e dei suoi molteplici incontri. Attraverso i sogni non sono unicamente i desideri freudiani ad esistere ed insistere ma la realtà dell’Io e del soggetto che cercano una via futura di vivibilità, affettivamente più piena e socialmente più coinvolta. La Diaspora di una Radicale Innovazione Con il tatto Ferenczi pone in risalto che, anche a proposito dei sogni, per incontrare vantaggiosamente il paziente ridestando e ravvivando le sue potenzialità di coinvolgimento emozionato, l’analista non potrà prescindere dalle idiosincrasie del paziente stesso nel valutare le parole che gli dirà. Si tenga inoltre conto che in analisi, secondo Ferenczi, sarebbe il bambino ed il neonato nel paziente il principale interlocutore, per cui è giocoforza guardare insieme al bambino che dorme nell’inconscio i suoi genitori, ponendosi domande sulla loro vita psichica e sui comandi e le direttive che essi hanno imposto al figlio per vie ipnotiche e suggestive. Il Sogno come Transito di Due Inconsci che Dialogano Il sogno è allora visto come transito di due inconsci che dialogano, quindi non soltanto come espressione simbolica di tendenze inconsapevoli ma come tentativo di trascrizione e di working through di eventi attuali, i cui resti diurni, da lui felicemente chiamati Resti di Vita, coinvolgono in prima persona l’analista e la sua tecnica individuale perché il presente ed il passato possano nuovamente essere resi accessibili e ri-animati nei loro residui traumatici, angosciosi e dolorosi. Lo scritto pilota, a questo riguardo, è “Sintomi Transitori nel Corso dell’Analisi” (1912) e in esso Ferenczi riconduce le azioni sintomatiche dei pazienti, sogni inclusi, non soltanto all’accadere endopsichico illustrato da Freud ma ad eventi interpersonali suscitati da elementi inconsci dell’analista che ne costituiscono la scatenante origine esogena in connessione alla loro storia singolare. Sono necessari adesso alcuni esempi: - il primo esempio è tratto da “Sogni di profani” del 1917 e rende vividamente pur nella sua elementarità, forse un po’ rozza e cruda, lo stile di Ferenczi. Il sogno riguarda il desiderio di un collega, al quale Ferenczi aveva negato un favore, e che allora sogna che Ferenczi stesso venga affogato da un malvivente canale; - il secondo esempio del 1926 mostra la risposta emozionale ed ideativi del paziente alla perentorietà presuntuosa dell’analista (Rank e il sogno della “vecchietta”). Non è sufficiente che l’analista abbia in mente la nascita del paziente, il paziente chiede all’analista di farsi responsabile dei movimenti generativi o occlusivi, contenutivi o abortivi. Per analizzare il transfert materno non bastano interpretazioni che parlano di madre. Occorre vedere che funzione si sta realmente esplicando nelle vicende in atto e volgere uno sguardo coraggioso alla pragmatica delle proprie comunicazioni, pronti a riconoscere eventuali mancanze rispetto ai bisogni e ai desideri del paziente in quel momento. I Sogni e i Simboli del Trauma: la Revisione dell'Interpretazione Psicoanalitica dei Sogni Nell’interpretazione dei sogni Ferenczi è capace di costruire un ponte (metafora che amava più di altre per il suo “congiungere e separare”) soprattutto con l’animo infantile del sognatore, che necessita in linea di principio di essere trattato alla pari con sensibilità e rispetto e non con sufficienza e distanza altezzosa: che vuol dire, per l’ultimo Ferenczi, non attribuire tassativamente al paziente le mutevoli e mai uniche identificazioni che abitano i suoi sogni, senza aver prima riconosciuto e distinto chi parla realmente in nome suo e dei suoi bisogni e desideri e chi impone la propria voce e presenza da luoghi di non-appartenenza personale del soggetto. In questa concezione del sogno come luogo che comprende le parti costitutive della personalità, non tutte di provenienza certa del soggetto poiché di possibile derivazione introiettiva e proiettiva primitiva, Ferenczi è particolarmente vicino a ciò che teorizza Fairbairn nel 1944 vedendo i sogni come drammatizzazione di situazioni esistenti nella realtà interiore. Entrambi lavorano su un livello ben antecedente l’Edipo classico, prima di qualsivoglia separazione e separatezza. I sogni saranno da Ferenczi spiegati non più nei termini prevalenti di esaurimento di desideri pulsionali ma come ricerca incessante di riconoscimento e tentativo di soluzione di vicende di vita indigerite e traumatiche che non possiedono parole per essere espresse sentitamente e consapevolmente, né uno spazio interno atto a condividerle. Vicende che possono in partenza non riguardare il soggetto che le vive ma i genitori e anche le generazioni precedenti, che rimandano alla discendenza l’onere penoso di liquidarle, comparendo nei sogni come memorie sepolte. In "Thalassa" Ferenczi parla anche di simboli che sono monumenti storici e cioè vestigia arcaiche del nostro passato animale che continuano a ripresentarsi nei nostri modi di agire attuali. Per questo Ferenczi, il sognatore poteva essere giunto, per sopravvivere ad un dolore troppo grande vissuto, a staccare la testa dal suo corpo come ultima difesa. Non si tratta in queste circostanze soltanto di far fronte ad una dissociazione parziale della vista e dell’udito, ma di riportare alla vita uno stato di vera e propria morte psichica ed affettiva che i sogni ritraggono con evidenza e di rigenerare un contatto umano con l’esperienza ripudiata e resa, per così dire, artistica. Di offrire, innanzitutto, con l’analisi quel contenitore, qui inesistente, che permette di guardarsi e di sentirsi in modo emotivamente riverberativi e, a livello di rappresentazione, significativo, trovando i mezzi ottimali per toccare e scongelare i sognatori facendoli rientrare nei loro sogni e nella loro pelle dal loro essere fuori di sé ed esterni ai loro accadimenti onirici. L’analista ha come compito inalienabile quello di dar credito alle percezioni e alle sensazioni del paziente e di esplorarle, anche quelle che traspaiono nei sogni, con una teoria ma soprattutto con uno spirito profondo che consideri che nella vastità del vivere si possono dare situazioni di crescita per nulla adeguate. Assumersi transitoriamente la responsabilità del dolore psichico che il paziente sperimenta e sostare nella difficile situazione in cui si trova aumentando l’ascolto ed il coinvolgimento, diviene così indispensabile come altrettanto indispensabile è indossare i suoi panni prima di restituirglieli. All’opposto, spingerlo anticipatoriamente ad una diversa collaborazione all’impresa comune lo renderebbe unicamente un’altra volta quel “poppante saggio” che probabilmente già è stato su pressioni non modificabili dei suoi genitori raggiungendo una forma di autocontrollo compiacente e “come se” non effettivamente maturata ed integrata. Va però detto che Ferenczi finirà per incorrere nello stesso errore che avrebbe voluto evitare con i pazienti poiché con l’analisi reciproca favorirà egli stesso la ripetizione delle loro vicende di “poppanti saggi”. Permettendo infatti che essi diventassero, seppure in modo alternato, un analista per lui, li invitò a continuare a curare la depressione e i bisogni di riconoscimento dei genitori ed capire le loro mancanze e in ciò ostacolò l’autentico processo di autonomizzazione favorendo a sua volta il loro destino di figli che si sono dovuti occupare pressoché da soli di se stessi. Sembra rendersi conto di questo aspetto ma gli manca la forza trasformativi necessaria per elaborare la loro complessa storia di pazienti-bambini per molti versi deprivati, che intende tuttavia assai meglio e ben più profondamente dei colleghi del suo tempo. Limitarsi a sottolineare unicamente e prevalentemente questo dato del suo lavoro è comunque fargli torto perché così si dimentica che egli fu disponibile ad introiettare, nel rovesciamento di ruoli riattualizzato in quelle analisi, la posizione del bambino capendo per questa via sia gli affetti e le reazioni di questi sia le tecniche manipolative e narcisistiche usate dai genitori in quelle situazioni. Non fu invece capace di metabolizzare una sufficiente separazione fra se stesso ed il paziente, dal momento che si trovava, per la reviviscenza di propri traumi, troppo identificato nel “poppante saggio”. Il che lo portò da un lato a giustificare ad oltranza le proteste e le richieste dei pazienti addossandosi il compito di risolverle, dall’altro a finire per chiedere lui stesso una cura di sé, ritenendo, nell’accettarla, di rinsaldare la loro precaria fiducia in se stessi e di valorizzare il loro sé sacrificato. Anche Winnicott, come Ferenczi e come Paula Heimann, ebbe una madre depressa ed assorbita in sé in un determinato periodo della sua vita infantile. Colpisce che tutti e tre abbiano elaborato una teoria fondata sulla dipendenza primaria e studiato le vie per promuovere e risanare l’espressione matura e autentica del sé, combattendo nei loro scritti e nel loro lavoro clinico le forme di sviamento dello sviluppo emozionale sia negli anni della crescita sia all’interno dell’analisi. Tutti e tre hanno inoltre indagato l’umore dell’oggetto facendo attenzione alla sua onerosa ricaduta sui processi psichici personali del bambino e del paziente. Significativa è la poesia di Winnicott “L’albero” (Woods era il cognome da signorina della madre): “Sotto mamma sta piangendo / piangendo / piangendo / In questo modo la conoscevo / Una volta, steso sul suo grembo / come ora su albero morto (dead wood) / imparai a farla sorridere / a fermare le sue lacrime / ad annullare la sua colpa / a guarire la morte che aveva dentro / Il rallegrarla era la mia ragione di vita". Nasce da questa inquieta e stimolante fucina di idee, che Ferenczi da solo non riuscirà a trasformare in un nuovo assetto clinico davvero soddisfacente, il suo appello a minor suggestione di contenuti e maggior suggestione di coraggio che significa l’esigenza di una più consistente apertura mentale ed affettiva e di una diminuzione del terrorismo della sofferenza implicito nel procedere classico. CAPITOLO 12 - SUL "DIARIO CLINICO": PAURA DI SOFFRIRE E TERRORISMO DELLA SOFFERENZA Il “Diario Clinico” del 1932 rappresenta una cronaca in diretta dell'esperienza di Ferenczi come analista ai margini dell’analizzato e dell’analizzabile. In esso egli mostra nel dettaglio il modo di procedere della sua mente alla ricerca della comprensione che cura e delle interpretazioni che egli riteneva realmente utili alla crescita, senza quella distanza che solitamente separa l’immediatezza dell’esperienza dal resoconto di essa. Si intravede inoltre la solitudine del ricercatore che trova nella scrittura il sostituto di un partner amichevole che al momento gli manca e che certamente avrebbe bilanciato e potenziato il suo fervore creativo e il suo sviluppo non ipocrita. In questo senso il Diario è una lunga ed amareggiata lettera indirizzata a Freud e una situazione di privazione di risposta emotiva da parte del maestro-amico e della comunità dei fratelli che Little coglie appieno. Primo e centrale elemento che mette a fuoco nel Diario sono le Riserve e la Latitanza dell’analista nell’adempiere le funzioni immedesimative e trasformative implicite nel suo ruolo, per non passare dentro la sua sofferenza e il suo terrore nel tentare di capirlo. Gli analisti finiscono quindi per nascondere a loro stessi la paura da cui scaturisce il loro impegno di terapeuti e la loro vocazione, la paura di soffrire, della morte psichica e della follia. Ferenczi anticipa in questo Bion precisando in questa riflessione che i due, analista e paziente, ugualmente spaventati sono bambini e che gli analisti non devono dimenticarlo se vogliono veramente porgere aiuto ai loro pazienti ed essere pazienti nel farlo. E' quindi necessaria a chi cura una sorta di regressione allo stato infantile, come quella che caratterizza le madri. In questo concetto si anticipa anche Winnicott e il suo scritto “La preoccupazione materna primaria” del 1956. Cuore del "Diario Clinico" è il concetto del Terrorismo della Sofferenza, che compare con questo nome in “Confusione delle lingue” in concomitanza al Diario ed è annunciato tre anni prima allorché Ferenczi ritorna ad un interesse per un’economia del soffrire ripensando ulteriormente a quali siano le frustrazioni inevitabili alla crescita e quali siano invece aggiuntive, mortificanti e gratuite poiché concernono la non-responsività del caregiver nei confronti di esigenze fondamentali nello sviluppo e non il soddisfacimento di pulsioni. Così Ferenczi cita per la prima volta Elizabeth Severn, paziente americana borderline-psicotica dalla personalità multipla che ebbe alle spalle un’infanzia ed un’adolescenza caratterizzate da miseria psichica e abuso sessuale e violento continuato. Questo tipo di esperienza ne segnò a tal punto la personalità da portare Ferenczi ad affermare che a livello profondo essere ipnotizzata e violentata (veniva sistematicamente drogata quando era piccola) divenne per lei ragione di vita. Nonostante apparisse energica, intraprendente ed estremamente sensibile e versatile nel suo tentativo di crearsi un’esistenza dignitosa, crollava frequentemente in uno stato crepuscolare di assoluta impotenza e inanità manifestandosi totalmente sfiduciata rispetto alle sue effettive capacità percettive. La sua analisi è al centro dell’elaborazione finale di Ferenczi che la definisce paziente principale per sottolineare sia l’importanza dell’analisi sia quanto da lei imparasse. Egli cerca fino all’ultimo di sbrogliare con sincerità ed onestamente la vicenda con lei, non risparmiandosi ed ammettendo, ad esempio, la propria chiusura emozionale nei suoi confronti, stimolata da odio e passione non governati di provenienza privata e personale. In questa lunga analisi, che durò 7-8 anni, giunge a capire i sentimenti di ostilità rimossi e scissi verso sua madre, che lo rendeva mentalmente omicida e lo spaventava a morte con i ricatti e le pesanti domande affettive frammiste ad assenza di emozioni e di rapporto e si vede, di rimando, lui stesso bambino di fronte ad una siffatta madre narcisistica, e per certi versi violenta e terrificante, ora duplicata e rappresentata dalla Severn. Il Terrorismo della Sofferenza rappresenta allora l'evitamento della propria responsabilità di adulti verso chi dipende e le sue ineludibili richieste e la colpa indotta, intesa come il disturbo che il bambino arreca, si manifesta nel far sentire l’altro cattivo, sbagliato e distruttivo per il suo bisogno e per l’intensità di esso e ne segue una pressione inconscia affinché questi rinunci a sé e si annulli fino a divenire aiutante del genitore o genitore stesso. E' nel letterale svisceramento di questi aspetti e di questa problematica che termina l’opera di Ferenczi con la sua messa in atto dell’analisi reciproca come tentativo di contenimento. Ferenczi non ebbe paura di incontrarsi con l’odio che è componente attiva dell’analisi e dell’analizzare il che gli permise di entrare in contatto con il dolore inespresso della persona congelata e, per molti aspetti, mai nata. I suoi limiti, spesso citati anche nei capitoli precedenti, risiedono solo nel suo non aver saputo trasformare interpretativamente quanto era stato capace di cogliere a livello recettivo.