Ossservatore Romano 3 febbraio 2016
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Ossservatore Romano 3 febbraio 2016
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVI n. 26 (47.161) Città del Vaticano mercoledì 3 febbraio 2016 . Vertice a Roma tra i Paesi della coalizione a guida statunitense Intervista di Papa Francesco ad «Asia Times» Strategia comune contro l’Is Incontro attraverso il dialogo Proseguono a Ginevra i negoziati sulla crisi siriana DAMASCO, 2. Mentre continuano i negoziati a Ginevra per raggiungere un accordo sulla transizione politica in Siria, si apre oggi a Roma la conferenza dei Paesi della coalizione a guida statunitense che combattono contro i jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is). È salito intanto ad almeno 71 il bilancio delle vittime della strage rivendicata dagli uomini di Al Baghdadi ieri a Damasco. Pesanti scontri sono segnalati anche nell’area di Aleppo e Hama. E in Iraq, nel solo mese di gennaio sono morte almeno 850 persone in attentati e attacchi armati, secondo i dati dell’Onu. Le vittime civili sono state circa 490. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ribadendo ieri a Ginevra la posizione di Washington sulla crisi, ha duramente criticato il Governo siriano anche per aver ostacolato le operazioni umanitarie. Diversa la posizione di Mosca, che continua a sostenere Assad, considerandolo un alleato chiave nella lotta all’Is. Secondo il Cremlino, insistere sull’immediata uscita di scena del presidente rappresenta inoltre un’aperta interferenza negli affari di uno Stato sovrano. L’offensiva diplomatica per la pace in Siria si sta muovendo su due piani: quello intersiriano, con i negoziati tra Governo e ribelli in corso a Ginevra; e quello più generale della lotta all’Is che riguarda anche l’Iraq, la Libia e altri Paesi. Come detto, a Roma sono giunti oggi tutti i rappresentanti dei ventitré Paesi inseriti nelle operazioni sotto la guida statunitense. Il vertice alla Farnesina intende trarre un bilancio delle attività dell’anno passato per rafforzare e soprattutto accelerare lo sforzo collettivo. L’ipotesi che sarà al centro delle discussioni è soprattutto quella di un allargamento delle operazioni anche allo scenario libico, dove la minaccia dell’Is si fa sempre più concreta. Roma, tuttavia, è solo la prima tappa di una settimana fitta di Le spoglie a Roma Padre Pio e Leopoldo Mandić PAGINA 7 appuntamenti: il 4 febbraio a Londra si riuniranno i Paesi donatori per gli aiuti. A questo proposito, l’Oxfam (confederazione di organizzazioni umanitarie molto attiva in Siria) ha lanciato ieri un appello affinché vengano prese decisioni concrete per alleviare le sofferenze di milioni di siriani. Nel 2015 — riferisce Oxfam — soltanto la metà delle risorse necessarie per assistere le persone in Siria e nei Paesi vicini è stata finanziata. E intanto ieri il Governo siriano ha dato il via libera all’ingresso di aiuti umanitari in alcune città assediate, tra le quali Madaya, dove la popolazione soffre ormai la fame. Secondo quanto riferiscono fonti delle Nazioni Unite, il gesto è stato deciso anche per lanciare un segnale di distensione ai partecipanti al dialogo a Ginevra. Il regime di Damasco — dicono fonti Onu — ha approvato il passaggio dei convogli verso Madaya, assediata dalle truppe di Damasco, e verso Kafraya e Fuaa, circondate dai ribelli, nel nordovest del Paese. In quasi cinque anni di guerra il conflitto in Siria ha causato oltre trecentomila morti, dei quali la maggior parte civili. Le persone costrette ad abbandonare le proprie case sono quasi quattro milioni. Un campo profughi in territorio libanese (Ansa) PAGINA 5 Con la messa del Pontefice nella basilica vaticana Si chiude l’anno della vita consacrata Né vincitori né vinti WASHINGTON, 2. Hillary Clinton vince a fatica, Trump sconfitto e l’astro nascente Rubio. È questo il bilancio, solo in parte inatteso, dei caucus nell’Iowa, primo step della lunga corsa alla Casa Bianca. È ancora presto per tracciare un bilancio o fare previsioni, ma alcune linee di fondo di queste primarie già sono chiare: sarà una lotta durissima, combattuta fino all’ultimo, tanto per i repubblicani quanto per i democratici. La favorita Clinton, ex first lady, è riuscita a vincere con fatica contro l’outsider Bernie Sanders, senatore del Vermont, dopo molte ore di sostanziale pareggio. Alla fine dopo il conteggio del novanta per cento dei voti, il team di Clinton ha dichiara- to la vittoria. In alcuni collegi elettorali per decidere il vincitore si è fatto ricorso — come da tradizione — al lancio della monetina: in sei di questi la fortuna ha baciato Clinton. Sanders ha messo in dubbio il risultato e chiesto al partito il conteggio voto per voto. Dunque, la vera sfida sembra rinviata. Il testa a testa tra i due candidati è destinato ad animarsi ancor di più nei prossimi mesi, almeno fino a quando non saranno chiamati ad esprimersi gli Stati più grandi. In campo repubblicano il senatore conservatore del Texas, Ted Cruz, ha battuto il favorito Donald Trump: il 28 per cento delle preferenze contro il 24. Non è una sorpresa: il miliardario Trump era con- sapevole di non avere una grande platea di sostenitori nell’Iowa, Stato tradizionalmente conservatore e nel quale Cruz aveva mobilitato un’autentica “macchina da guerra” con migliaia di sostenitori. Ma la vera sorpresa del voto è stato Marco Rubio, senatore della Florida, che qui non era dato tra i favoriti e puntava solo a limitare i danni. Invece è arrivato terzo a una manciata di voti da Trump, ottenendo un buon 23 per cento. Ed è proprio su Rubio che ora si concentra l’attenzione dei media: potrebbe infatti essere lui l’uomo nuovo su cui i finanziatori e la leadership del partito potrebbero decidere di puntare per uscire dall’alternativa tra Cruz e Trump. Un esperimento rischioso di LAURA PALAZZANI* y(7HA3J1*QSSKKM( +]!"!$!"!@! Per Francesco il mondo occidentale e quello orientale hanno «la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e la forza per farlo». A patto che si metta da parte la paura (che non è mai «un buon consigliere») e si accetti la «sfida» del dialogo. Nell’intervista il Papa parla anche del fenomeno della denatalità e invita i cinesi a «riconciliarsi con la propria storia» attraverso un atteggiamento di «misericordia» verso se stessi. In conclusione il Pontefice invia i «migliori auspici e saluti al presidente Xi Jinping e a tutto il popolo» in occasione del nuovo anno cinese che ha inizio l’8 febbraio. Il verdetto dei primi caucus negli Stati Uniti Autorizzati in Gran Bretagna l’uso e la distruzione di embrioni umani n Gran Bretagna la Human Fertilisation and Embryology Authority ha autorizzato i ricercatori del Francis Crick Institute a utilizzare la tecnica gene-editing su embrioni umani congelati. È la tecnica detta del “taglia e cuci” applicato a embrioni umani, che consentirebbe, con maggiore efficienza e precisione rispetto a tecnologie precedenti, di intervenire sul genoma, eliminando o disattivando geni “difettosi”. In Cina la tecnica è stata sperimentata un anno fa per la prima volta, per prevenire la talassemia. In Gran Bretagna i ricercatori si propongono di studiare quali sono i geni che ostacolano o impediscono lo sviluppo embrionale, per “correggerli”. Non si può sottovalutare l’interesse scientifico di questa ricerca: aumentare le conoscenze embriologiche dei primi giorni di vita, studiare le cause genetiche dell’infertilità e di aborti spontanei, tuttora sconosciute. Il problema etico riguarda i mezzi: l’uso e la distruzione di embrioni umani. Si riapre infatti la domanda che la bioetica si sta ponendo già da decenni: gli embrioni sono mucchi di cellule o soggetti umani sin dall’inizio della loro esistenza? La ricerca scientifica, il possibile (nemmeno certo) aumento delle conoscenze giustifica la distruzione di esseri umani, seppur all’inizio — ancora impercettibile a occhio nudo — del loro percorso di sviluppo? Un percorso che li porterebbe a nascere, se non fossero usa- I Papa Francesco confessa la propria «ammirazione» per la Cina e per il suo popolo. «Per me è sempre stata un punto di riferimento di grandezza, un grande Paese, ma più che un Paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile» racconta a Francesco Sisci, che lo ha intervistato per il quotidiano on line in inglese «Asia Times». Richiamando l’esperienza del missionario gesuita Matteo Ricci, il Pontefice afferma che oggi «è necessario entrare in dialogo con la Cina», una terra «benedetta da molte cose». E la Chiesa cattolica — aggiunge — «ha il dovere di rispettare con la r maiuscola» una civiltà come quella cinese, che rappresenta «una sintesi di saggezza e di storia». ti per la sperimentazione e fossero loro garantite le condizioni indispensabili per l’esistenza. Un paradosso: per prevenire aborti spontanei e infertilità, dunque per aumentare le chance di sviluppo degli embrioni e per far nascere più bambini nel futuro, si distruggono embrioni oggi. Certo, gli embrioni utilizzati sono quelli congelati, avanzati dall’uso delle tecnologie riproduttive. Embrioni che avrebbero comunque un futuro incerto, soprattutto in Gran Bretagna, dove vengono periodicamente eliminati perché considerati un costo sociale. Ma, anche se “residui”, sono sempre embrioni umani: il loro statuto ontologico non cambia. Gli sperimentatori britannici cercano legittimazione dicendo che si tratta di una ricerca di base, la quale nulla avrebbe a che vedere con la selezione eugenetica di embrioni umani e la produzione di bambini “su misura”. Ma la connessione c’è: una volta scoperta la modalità per identificare i geni responsabili di aborti spontanei e della infertilità, tale identificazione potrebbe essere usata per “scartare” embrioni malati nell’ambito della procreazione assistita e impiantare solo gli embrioni sani. Oppure si potrebbe usare per prevenire la malattia, mediante sostituzione di geni “difettosi”: ma si tratta di un’ipotesi molto futuribile, e poco praticabile. Gli stessi scienziati sono consapevoli che interventi correttivi di questo genere possono provocare mutazioni inaspettate in un’altra parte del genoma, mutazioni anche trasmissibili geneticamente ai discendenti e si impegnano a non trasferire gli embrioni in utero. Ma questo non è eticamente sufficiente per legittimare l’esperimento: prima di tutelare le generazioni future, si devono tutelare le generazioni presenti. E che fine ha fatto la moratoria sottoscritta da molti scienziati dopo l’esperimento cinese, con appelli anche su riviste scientifiche come «Science» e «Nature»? Si chiedeva la sospensione momentanea di una tecnologia che suscitava forti preoccupazioni nella comunità scientifica. Preoccupazioni che però non hanno impedito, in questo caso, l’autorizzazione di un esperimento insicuro, incerto, rischioso. Un esperimento, oltretutto, i cui risultati non consentirebbero comunque di prevenire radicalmente i “difetti genetici”, perché molte malattie sono causate da cambiamenti epigenetici. L’argomento sta suscitando un dibattito internazionale globale: è indispensabile, oggi, a fronte della forte pressione proveniente dal mondo scientifico e industriale verso l’avanzamento delle conoscenze, richiamare la necessità di un tempo per la riflessione etica. Una riflessione equilibrata che sappia identificare i percorsi di prudenza e saggezza per conciliare le esigenze della ricerca e dell’avanzamento della conoscenza con il primato, riconosciuto in molti documenti internazionali, dell’essere umano, non riducibile a oggetto. *Vicepresidente del Comitato nazionale italiano per la bioetica «La presentazione di Gesù al Tempio» (XII secolo) Nel segno della preghiera e della gratitudine si chiude l’anno della vita consacrata, apertosi il 30 novembre 2014. Papa Francesco presiede nella basilica vaticana la celebrazione eucaristica nel pomeriggio del 2 febbraio, festa della presentazione del Signore, insieme con migliaia di consacrati e consacrate che celebrano la loro giornata mondiale. PAGINA 8 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Vescovo di Moosonee e Hearst (Canada), Diocesi unite in persona Episcopi, presentata da Sua Eccellenza Monsignor Vincent Cadieux, O.M.I., in conformità al canone 401 §1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Esarcato Apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia, presentata da Sua Eccellenza Monsignor Dimitrios Salachas, in conformità al can. 210 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Hearst (Canada) e Amministratore Apostolico della Diocesi di Moosonee il Reverendo Monsignore Robert Bourgon, finora Vicario Generale della diocesi di Sault Sainte Marie. Il Santo Padre ha nominato Esarca Apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia il Reverendo Archimandrita Manuel Nin, O.S.B., finora Rettore del Pontificio Collegio Greco in Roma, elevandolo in pari tempo alla Sede Titolare Vescovile di Carcabia. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Ausiliare dell’Arcidiocesi di Trivandrum dei Latini (India) il Reverendo Christudas Rajappan, Rettore del St. Vincent’s Seminary della medesima Arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Avitta Bibba. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 3 febbraio 2016 La Union Jack sventola di fronte alla sede della Commissione Ue a Bruxelles (Ansa) Chiesto il rispetto delle normative per il salvataggio degli istituti Draghi preme per la garanzia europea delle banche FRANCOFORTE, 2. La ripresa prosegue, moderata, ma i rischi sono di nuovo aumentati a causa delle incertezze sui mercati emergenti. Un quadro che preoccupa e che, con l’inflazione più bassa delle attese, spingerà la Banca centrale europea (Bce) ad agire con interventi speciali già a marzo. Questo il quadro delineato ieri dal presidente dell’istituto di Francoforte, Mario Draghi, nell’ultima riunione del Board e ribadito poi davanti al Parlamento europeo a Strasburgo. Nei due interventi Draghi ha toccato soprattutto la questione bancaria, al momento molto discussa a Bruxelles. L’architettura messa in piedi finora, cioè le misure di supervisione e risoluzione unica per gli istituti in difficoltà, deve essere applicata «con coerenza» — ha detto Draghi — soprattutto le norme del cosiddetto bail-in, ovvero la procedura del salvataggio di una banca “dall’interno”, da attuare tramite le risorse dell’istituto in situazione di dissesto (azionisti, correntisti, obbligazionisti) e non attraverso l’azione di agenti esterni come lo Stato (in tal senso, è l’inverso del bail-out, cioè la “garanzia esterna”). Il bail-in è disciplinato da una direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche, proposta dalla Commissione Ue come cornice normativa in cui realizzare l’unione bancaria. Si tratta — dicono gli esperti — di una delle riforme più importanti adottate dall’Europa per evitare la deflagrazione di una nuova crisi finanziaria all’interno dell’unione monetaria. «Per rendere il nostro sistema finanziario davvero sicuro» ha spiegato Draghi, bisogna «assicurare l’adeguata applicazione delle disposizioni sul bail-in della direttiva europea» che lo ha fatto nascere. Un tasto dolente per alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, con il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ne ha chiesto la revisione. Draghi ha poi chiesto che l’unione bancaria sia completata con la realizzazione del “terzo pilastro”, cioè l’assicurazione comune sui depositi. Parlando agli eurodeputati, il presidente della Bce ha spiegato che da dicembre «le condizioni sono cambiate» come dimostrano anche le difficoltà delle Borse. In primo luogo, «le dinamiche dell’inflazione sono più deboli di quanto atteso». Inoltre «è in corso una ripresa moderata guidata dalla domanda interna, ma i rischi al ribasso sono di nuovo aumentati per l’incertezza sulle prospettive di crescita delle economie emergenti, volatilità dei mercati e rischi geopolitici». È per questo che «nell’ultimo meeting a gennaio abbiamo deciso di rivedere e forse riconsiderare la nostra politica monetaria». Draghi ha poi difeso le mosse finora intraprese dal suo istituto: «Se non avessimo agito, l’eurozona sarebbe stata in conclamata deflazione nel 2015 e la crescita sarebbe dell’un per cento più bassa» ha spiegato rispondendo alle recenti criti- che sulla strategia anticrisi portata avanti negli ultimi anni. A tal proposito, Draghi ha voluto sottolineare che Francoforte «non può fare tutto da sola perché per far diventare strutturale una ripresa ciclica occorrono altri fattori». E in primis l’azione dei Governi che debbono contribuire con riforme strutturali. «Le politiche di bilancio — ha detto Draghi — dovrebbero contribuire alla ripresa. Allo stesso tempo, dovrebbero rispettare pienamente i requisiti del patto di stabilità. Questo è importante per mantenere la fiducia nel quadro di regole Ue». E tendere a politiche pro-crescita si può fare attraverso «una maggiore efficienza dei servizi del settore pubblico e muovendo verso un sistema fiscale più orientato alla crescita». Su un piano più generale, per dare un segnale della coesione europea che oggi «viene indubbiamente testata», Draghi ha auspicato poi che si trovi un accordo che tenga la Gran Bretagna «saldamente ancorata alla Ue, e consenta all’eurozona di integrarsi di più». Il presidente della Bce Mario Draghi (Epa) L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Aperture dell’Ue sulle richieste di Londra LONDRA, 2. Potrebbe essere quella di oggi la giornata decisiva per arrivare all’accordo tra l’Unione europea e la Gran Bretagna. Come noto, in discussione sono le riforme chieste da Londra su alcuni capitoli delle relazioni con Bruxelles prima del referendum sulla cosiddetta Brexit, la possibile uscita dall’Unione. Dopo due giorni di prolungamento dei colloqui tra il primo ministro britannico, David Cameron, e il presidente del Consiglio euro- Castro incontra Hollande all’Eliseo Francia e Cuba avviano la cooperazione economica PARIGI, 2. Il presidente cubano, Raúl Castro, è a Parigi per la prima visita ufficiale di un capo di Stato del Paese centroamericano in Francia, desiderosa di approfittare delle opportunità che si aprono a Cuba con la normalizzazione dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti e la comunità internazionale. I colloqui all’Eliseo tra Castro e il presidente francese, François Hollande, sono tutti incentrati sulla cosiddetta “diplomazia economica” e sulla volontà di costruire un rapporto di fiducia in questo ambito, appoggiandosi anche sull’accordo trovato il 12 dicembre scorso tra Cuba e il Club di Parigi per la ristrutturazione di 16 miliardi di dollari di debito, su cui L’Avana aveva dichiarato default nel 1996. Un accordo in cui la Francia ha proposto di tramutare la maggior parte del suo credito, 360 milioni di euro, in progetti di sviluppo in territorio cubano con la partecipazione di aziende francesi. L’incontro tra Hollande e Castro — indica «Le Monde» — ha permesso di stilare una roadmap per questi futuri progetti, a partire dall’installazione di un’antenna dell’Agenzia francese per lo sviluppo all’Avana. Tra i settori che dovrebbero essere coinvolti nei futuri progetti ci sono le infrastrutture, i trasporti pub- blici e la raccolta e gestione di rifiuti urbani, con il concorso di aziende come il gestore ferroviario Sncf, che avrebbe già lanciato un esame preliminare delle ferrovie esistenti sull’isola, o il gruppo petrolifero Total, pronto a fornire catrame e asfalto per le strade. direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Hollande e Castro entrano all’Eliseo (Ansa) L’Osa tenta una mediazione ad Haiti PORT-AU-PRINCE, 2. Sono improntate a ottimismo le prime dichiarazione della delegazione dell’O rganizzazione degli Stati americani (Osa) arrivata ad Haiti ieri per mediare nella crisi politica del Paese che ha portato il mese scorso all’annullamento delle elezioni presidenziali. Il capo delegazione dell’Osa, il rappresentante di Antigua e Barbuda, Ronald Sanders, ha definito molto costruttivi i colloqui già avuti con il presidente haitiano, Michel Martelly, che non può ricandidarsi in base alla Costi- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione dentale a sbarcare nel Paese centroamericano dopo l’inizio della normalizzazione dei rapporti con l’Amministrazione di Washington. Oggi Castro si recherà al Musée de l’Homme, appena riaperto, e avrà un colloquio con il segretario generale dell’Unesco, Irina Bokova. Per sbloccare la crisi politica seguita all’annullamento delle elezioni Partita dal Brasile, l’epidemia si sta rapidamente diffondendo in tutto il continente americano. L’ultima allerta riguarda Costa Rica e Nicaragua. Ma la paura è un po’ ovunque. Intanto, in Brasile, il presidente, Dilma Rousseff, ha firmato una misura provvisoria che autorizza l’accesso forzoso agli immobili in presenza di potenziali focolai larvali di Aedes aegypti, la zanzara responsabile della trasmissione del virus. Il Governo ha poi ha suggerito alle donne incinte di non viaggiare in Brasile per le Olimpiadi del 2016. GIOVANNI MARIA VIAN La predominanza dei temi economici nell’incontro tra i due presidenti — indicano gli analisti — è stata fin da subito evidente, visto il clima di fiducia su questo fronte instauratosi tra Parigi e L’Avana fin dalla visita a Cuba di Hollande, nel maggio scorso, primo leader occi- peo, Donald Tusk, quest’ultimo ha presentato stamane un testo di intesa che tiene in parte conto dei dubbi avanzati dall’interlocutore. «La linea che non ho varcato sono i principi sui quali si fonda il progetto europeo», spiega Tusk nella lettera allegata ai documenti. Sulle questioni in qualche modo legate al flusso di profughi e migranti, Tusk scrive che «sui benefici sociali e sulla libertà di movimento, dobbiamo rispettare pienamente i Trattati in vigore, in particolare i principi della libertà di movimento e di non discriminazione. Quindi la soluzione proposta per venire incontro alle preoccupazioni del Regno Unito si basa sul chiarimento dell’interpretazione delle regole in vigore, ivi inclusa una bozza di dichiarazione della Commissione su una quantità di questioni connesse a una migliore lotta contro gli abusi della libertà di movimento». C’è anche una parziale apertura sulla richiesta britannica di un potere di blocco nei confronti del Parlamento europeo. Non si tratta, comunque, di un vero e proprio diritto di veto nazionale, ma di un meccanismo in base al quale il voto contrario di almeno il 55 per cento di tutti i Parlamenti dei Paesi dell’Ue può annullare una norma approvata a Strasburgo. Tensione sui migranti tra Italia e Unione europea Epidemia di Zika emergenza planetaria GINEVRA, 2. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha decretato l’epidemia di Zika — che genera gravi malformazioni fetali nelle donne incinte — emergenza planetaria. L’annuncio è stato dato ieri a Ginevra al termine di una riunione straordinaria del comitato di esperti. Non è la prima volta che l’O ms dichiara lo stato di emergenza sanitario mondiale per un virus. Era infatti già accaduto nel 2009 per la pandemia dell’influenza suina e nel 2014 nei confronti di ebola e della poliomielite. Si profila un’intesa nei colloqui tra Tusk e Cameron Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va tuzione, e con quelli del Senato e della Camera dei deputati, Jocelerme Privert e Cholzer Chancy. Oggi sono previsti colloqui della delegazione dell’Osa anche con l’opposizione haitiana che peraltro ha più volte accusato l’organismo continentale di parzialità a favore del Governo e del suo candidato alla presidenza Jovenel Moïse. In particolare viene contestata la decisione degli osservatori dell’Osa di aver ritenuto validi i risultati del primo turno delle elezioni, tenuto il 25 ottobre, a giudizio dell’oppo- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale sizione viziato invece da frodi massicce. La commissione elettorale, all’epoca aveva assegnato una maggioranza relativa a Moïse contro Jude Célestin, il candidato dell’opposizione che aveva ribadito l’accusa di brogli e aveva annunciato che non avrebbe partecipato al ballottaggio. Questo era stato fissato per il 24 gennaio, ma il voto è stato sospeso a tempo indeterminato da parte del Consiglio elettorale provvisorio, che aveva fatto riferimento alla grave mancanza di sicurezza nel Paese. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 BRUXELLES, 2. Mentre nel Mediterraneo si continua a morire — questa mattina sono stati recuperati i cadaveri di nove migranti, di cui due bambini, al largo della Turchia — emergono nuove tensioni sulla strategia comune dell’Unione europea. «L’Italia non accetta provocazioni, non prendiamo ordini dai burocrati di Bruxelles» ha detto ieri il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, a dimostrazione del clima di tensione tra Palazzo Chigi e la Commissione Ue. Il punto nodale riguarda ancora una volta la gestione dell’emergenza immigrazione e, nello specifico, i fondi alla Turchia. Ieri Bruxelles ha accettato il principio che le spese per Ankara vengano sostenute dai Paesi membri, ma senza essere conteggiate nel deficit. La stessa cosa aveva chiesto più volte l’Italia. Resta infatti ancora l’incognita della cosiddetta “clausola migranti” ovvero il margine di flessibilità (fissato allo 0,2 per cento del pil) che gli Stati possono spendere per l’emergenza senza che il deficit aumenti. L’Italia sostiene che questo margine debba corrispondere ad almeno tre miliardi di euro. La Commissione non si è ancora espressa, ma voci riportate dalla stampa non escludono che possa aprirsi una procedura d’infrazione. «Se vorranno aprire una procedura, che facciano pure» ha replicato ieri Renzi. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 3 febbraio 2016 pagina 3 Non si fermano i combattimenti a Bengasi Diplomazia internazionale alla prova libica TRIPOLI, 2. L’incubo del jihadismo e la necessità di trovare una soluzione politica alla crisi sono gli obiettivi centrali dell’azione della diplomazia internazionale in Libia. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha incontrato oggi a Roma, in occasione del vertice internazionale sulla lotta al cosiddetto Stato islamico (Is), i colleghi italiano e qatariota, Paolo Gentiloni e Al-Thani, insieme all’inviato speciale dell’Onu Martin Kobler. Il colloquio — non sono stati forniti dettagli ulteriori — ha voluto mettere nero su bianco le azioni da intraprendere per chiarire lo scenario libico e agevolare la formazione del Governo di unità nazionale come stabilito dagli accordi siglati in Colpi di mortaio contro il palazzo presidenziale di Mogadiscio MO GADISCIO, 2. Un bambino è stato ucciso e sei persone, ieri, per il lancio di obici di mortaio contro villa Somalia a Mogadiscio, il complesso che ospita il palazzo presidenziale e gli uffici del Governo e del Parlamento. Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’obiettivo del bombardamento fosse appunto villa Somalia. Tuttavia, altri cinque obici si sono abbattuti anche sui popolosi distretti circostanti, colpendone gli abitanti, tra i quali appunto il bambino ucciso. Le autorità locali attribuiscono l’attacco ai ribelli radicali islamici di Al Shabaab, dai quali peraltro non sono giunte rivendicazioni. In ogni caso, le milizie di Al Shabaab hanno più volte sferrato attacchi armati, oltre ad attentati terroristici, anche a Mogadiscio. Le milizie furono costrette a lasciare la capitale in seguito all’intervento armato dell’Etiopia che rovesciò le corti islamiche all’epoca al Governo della capitale somala. Obiettivi degli attacchi di Al Shabaab, di solito rivendicati, sono sempre stati i rappresentanti delle nuove istituzioni somale, quelli dei Paesi stranieri che le sostengono e gli stessi contingenti dell’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia. L’ultimo attacco di Al Shabaab a Mogadiscio, che aveva provocato oltre venti morti, è avvenuto dieci giorni fa contro un complesso alberghiero sul lungomare frequentato da funzionari governativi e rappresentanti di società straniere. Pochi giorni prima, Al Shabaab aveva inflitto un duro colpo al contingente kenyano dell’Amisom con un attacco alla base di El Ade, nella località sudorientale di Ceel Cado, al confine appunto con il Kenya, costato la vita a oltre sessanta soldati di Nairobi. L’azione di Al Shabaab contro l’Amisom si è intensificata negli ultimi anni, dopo che nella missione sono stati incorporati i contingenti kenyani. Proprio l’intervento del Kenya costrinse Al Shabaab al ritiro da Chisimaio, seconda città e secondo porto del Paese, il cui controllo aveva mantenuto per anni anche dopo essere stata costretta a lasciare Mogadiscio. E da allora il Kenya è diventato per Al Shabaab il principale bersaglio fuori dai confini nazionali, soprattutto con un’intensificazione di attentati terroristici. Marocco sotto l’egida dell’Onu. È stato concordato di sollecitare il consiglio presidenziale libico a definire un Governo entro l’8 febbraio. E mentre la diplomazia continua a discutere, nel Paese si registrano nuove violenze. Combattimenti si sono registrati ieri sera nel quartiere Bouatni di Bengasi. Il portavoce dell’esercito libico, il colonnello Milud al Zaoui, ha spiegato che «sono scoppiati violenti scontri con i terroristi» del cosiddetto Stato islamico (Is). «I nostri caccia ed elicotteri hanno compiuto una serie di attacchi contro le loro postazioni nel quartiere di Bouatni. I combattimenti sono ancora in corso». Il bilancio provvisorio è di almeno tre morti. Si Tre miliziani uccisi in un’operazione dell’esercito Cresce in Tunisia la minaccia jihadista ha inoltre notizia di un ordigno esploso in un’abitazione dove si trovavano diversi terroristi. La crisi libica ha radici molto profonde. Da alcuni anni il Paese è diviso in due entità separate. Da una parte vi è un Parlamento eletto nel giugno 2014 con sede a Tobruk e che opera nell’area orientale, la Cirenaica; dall’altra un’amministrazione sostenuta da gruppi islamisti che governa la capitale, Tripoli, e che controlla gran parte delle regioni occidentali. Nel mezzo vi sono le milizie di Misurata e di Zintan, che sostengono rispettivamente Tripoli e Tobruk, e una miriade di gruppi armati che seguono agende locali e stringono alleanze mutevoli. A complicare questo scenario ci sono i militanti armati fedeli ad Al Qaeda e i miliziani dell’Is, che controllano importanti centri del Paese. Lo scorso dicembre, grazie alle pressioni dell’Onu, era stato siglato un accordo a Skhirat, in Marocco, per la formazione di un Governo di unità nazionale. L’accordo, tuttavia, deve ancora essere realizzato. Kerry discute con il rappresentante Ue Mogherini nel summit sulla Libia a Roma (Afp) Uccisi venti agenti di polizia Kabul nella morsa talebana TUNISI, 2. Due notizie giunte a breve distanza l’una dall’altra ieri dalla Tunisia confermano la crescente minaccia del terrorismo jihadista nel Paese. In un’operazione condotta ieri sera dall’esercito e dalla guardia nazionale a Zaltan, nei pressi dei rilievi di Matmata, nel governatorato meridionale di Gabes sono stati uccisi tre miliziani jihadisti e ne sono stati feriti e catturati un numero imprecisato di altri. Secondo la stampa locale, l’operazione, condotta anche con l’appoggio di elicotteri, sarebbe stata lanciata contro una formazio- ne affiliata al cosiddetto Stato islamico i cui miliziani si sarebbero introdotti nel Paese attraversando il confine con la Libia. Poche ore prima, il ministero dell’Interno tunisino aveva comunicato che unità di sicurezza hanno scoperto a Monastir una cellula jihadista, denominata Khaliyet Ahl El Hakk (cellula della gente della verità). L’indagine di polizia che ha condotto alla scoperta era stata aperta in seguito a sospetti emersi riguardo a una lite tra due apprendisti di un centro di formazione professionale. Dieci miliardi di euro per rafforzare la cooperazione con il continente Tokyo e la sfida africana TOKYO, 2. A conferma di un aumento dell’impegno del Giappone nella cooperazione con l’Africa, Tokyo ha annunciato che quest’anno organizzerà a Nairobi il 27 e il 28 agosto una conferenza internazionale per lo sviluppo del continente nero (Ticad, nell’acronimo in inglese). Il portavoce del Governo giapponese, Yoshihide Suga, nell’annunciarlo, ha sostenuto che «il Governo e il settore privato concorreranno ad assicurare il successo dell’iniziativa e della nostra presenza nel continente africano». Sembra previsto un significativo aumento dei fondi stanziati dal Giappone. Gli aiuti di Tokyo al continente africano nel 2013, ultimo anno con dati certi, ammontarono a 2,3 miliardi di euro, mentre per i prossimi cinque anni il Governo giapponese si è detto pronto a investire in progetti di cooperazione una cifra pari a 10,6 miliardi di euro. Più significativi — dicono gli analisti — sembrano gli obiettivi strettamente commerciali del Giappone, che guarda all’Africa per importare risorse energetiche e minerarie, mentre punta a esportare macchinari e beni di largo consumo. L’iniziativa giapponese è dichiaratamente mirata a contrastare la forte influenza in Africa della Cina, diventata fin dal 2009 il principale partner delle economie locali tanto da accaparrarsi il 13,5 per cento del commercio estero totale del continente, contro il 2,7 per cento del Giappone. A questo scopo, tra l’altro, nei mesi scorsi il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha intrapreso numerosi viaggi nei Paesi emergenti. Nel quadro specifico dell’aiuto allo sviluppo rientrano anche gli stanziamenti decisi dall’Unione europea in favore del Ghana. Nel 2015 l’Unione ha fornito 190 milioni di euro di sovvenzioni al Governo di Accra destinati a finanziare diversi obiettivi di sviluppo. L’obiettivo quest’anno è trovare una soluzione soprattutto alla piaga della disoccupazione nel Paese africano e a sostenere i giovani ghanesi nella formazione professionale. Il nuovo stanziamento — per complessivi 31,6 milioni di euro — è infatti destinato specificamente a sostenere i programmi del ministero del Lavoro di Accra. Nel dettaglio, i fondi europei al Ghana saranno utilizzati in quattro aree specifiche: il programma nazionale per l’occupazione (Nep); la formazione tecnica e professionale (Tvet); le piccole e medie imprese; il sistema di protezione sociale. L’annuncio dei fondi è stato dato dal capo della delegazione dell’Ue in Ghana, William Hanna, al ministro del Lavoro ghanese, Haruna Iddrisu. KABUL, 2. I talebani tornano a colpire e a uccidere nella capitale afghana. A pochi giorni dall’assalto a Tolo Tv, la principale emittente locale, con un bilancio di sette morti, un nuovo attentato ha scosso ieri la capitale dell’Afghanistan. Almeno venti agenti sono morti e altri venticinque rimasti feriti, insieme a sette civili, dopo che un attentatore suicida è entrato in azione davanti a un compound della polizia nazionale dell’ordine civile, nei pressi della zona del Parlamento. A riferire per primo dell’attentato è stato il portale di notizie Khaama Press, che ha parlato di una forte esplosione vicino al quartier generale delle Guardie di frontiera. Secondo la stessa fonte, l’attentatore sarebbe giunto sul posto a piedi e avrebbe cercato di entrare nel compound, prima di essere ucciso dagli uomini della sicurezza. Negli stessi minuti i talebani rivendicavano l’azione in una e-mail inviata ai media da parte del portavoce degli insorti, Zabihullah Mujahid. Condannando «vigorosamente» l’attentato, e fornendo un bilancio aggiornato delle vittime, il portavoce della missione della Nato in Afghanistan, generale Wilson Shoffner, ha dichiarato che «ancora una volta i talebani hanno colpito un’area affollata senza preoccuparsi per le vite di persone innocenti». Questo attacco contro la polizia —ha aggiunto Shoffner — «mostra il disprezzo che i talebani hanno per la legge in Afgha- Impegno cinese per la pace nel Vicino oriente TEL AVIV, 2. La Cina sostiene il processo di pace in Vicino oriente. Questo il messaggio espresso ieri dall’inviato speciale cinese, Gong Xiaosheng, che ha avuto alcuni colloqui con leader palestinesi a Ramallah. Sottolineando l’impegno diplomatico di Pechino, Gong Xiaosheng ha fatto riferimento anche al recente viaggio nella regione del presidente cinese, Xi Jinping, che in Egitto ha espresso la speranza di pace, stabilità e sviluppo. Gong Xiaosheng ha dichiarato che la Cina punta a una soluzione «a tutto tondo» delle questioni aperte tra israeliani e palestinesi, e sottolineato che Pechino sostiene l’idea di una conferenza a livello internazionale in linea con il principio della soluzione dei due Stati, Israele e Palestina, in pace tra loro. nistan e per coloro che si impegnano a difendere la gente». In serata, il portavoce del Governo provinciale di Nangarhar, Hazrat Hussain Mashriqiwal ha annunciato che la “radio del califfato”, gestita dai miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is) nella provincia, è stata distrutta in un raid aereo in cui sarebbero morti anche cinque jihadisti. Mashriqiwal ha precisato che l’attacco aereo è avvenuto nel distretto orientale di Achin, al confine con il Pakistan. Lanciata circa tre mesi fa, la radio trasmetteva in pashtun, arabo e dari, incoraggiando la popolazione ad unirsi ai jihadisti di Al Baghdadi, facendo propaganda contro Kabul e proferendo minacce, in particolare, contro i giornalisti impegnati nelle emittenti filogovernative. L’avvenuto attacco da parte dell’aviazione afghana è stato confermato anche da Tolo Tv che ha citato, a riguardo, il portavoce del ministero della Difesa, Dawlat Waziri. La penetrazione dell’Is in Afghanistan rappresenta una nuova sfida per il Paese, martoriato da decenni di guerre e sotto la continua minaccia dei talebani. Dialogo tra Afghanistan e India NEW DELHI, 2. L’India intende rafforzare la cooperazione con l’Afghanistan, un Paese che è tra i più importanti beneficiari degli aiuti di New Delhi, in particolare nel settore militare e nella lotta al terrorismo di matrice talebana. A questo proposito, il coordinatore del Governo afghano, Abdullah Abdullah, in visita ufficiale in India, ha incontrato ieri a New Delhi, il premier, Narendra Modi, e il ministro degli Esteri, Sushma Swaraj. Durante l’incontro è stato fatto il punto sul negoziato di pace con i tale- bani. Il Governo indiano ha confermato l'impegno nel fronteggiare il terrorismo e sulla cooperazione economica trilaterale con l’Iran, in particolare per lo sviluppo del porto di Chabahar. Nel suo discorso il premier indiano Modi ha ringraziato le forze dell’ordine afghane per il loro sostegno nel proteggere il consolato indiano di Mazar-eSharif, attaccato dai talebani il 4 e 5 gennaio scorsi. Il coordinatore Abdullah sarà oggi nella città di Jaipur per partecipare ad una conferenza sul terrorismo. Il nuovo Parlamento del Myanmar alla ricerca di un’intesa con i militari NAYPYIDAW, 2. Dopo il giuramento, ieri, del nuovo Parlamento del Myanmar, il primo eletto democraticamente dopo cinquant’anni, l’attenzione si sposta ora sulle difficili trattative tra la maggioranza e i militari. La nuova Assemblea è dominata dai deputati della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito del leader dell’opposizione e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, che ha vinto nettamente le elezioni legislative dello scorso novembre. Ma la Costituzione del Paese del sudest asiatico assegna per legge ai militari 166 seggi sui complessivi 664. Sebbene l’Lnd abbia i numeri per governare (alle elezioni ha conquistato l’80 per cento dei voti), un’intesa con i generali sarà indispensabile per garantire stabilità alla nuova maggioranza. L’attesa tra la popolazione è febbrile e rischia di essere controproducente per le enormi aspettative che crea. Agli occhi di molti, infatti, democrazia equivale a progresso. Con tutti i buoni propositi dell’Lnd, resta però da vedere quale equilibrio verrà trovato per fare coesistere le fondamenta della maggioranza — a partire dai massicci investimenti necessari in tutti i settori — con i radicati interessi economici dei militari e degli oligarchi a loro legati. Al quadro vanno aggiunte anche le rivendicazioni per una maggiore autonomia da parte di diversi gruppi etnici lungo le aree di confine, alcuni dei quali protagonisti di conflitti ancora attivi contro un esercito che si considera tradizionalmente un indispensabile protettore dell’integrità territoriale di un Paese dalle 135 etnie riconosciute. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 3 febbraio 2016 «Maria che sostiene con il braccio sinistro (Aristerokràtusa) il Bambino» (XIII secolo, icona) La fede autentica è inseparabile dal dono di sé Il dono indica qualcosa di concreto E cioè l’atteggiamento benevolente verso gli altri di CATERINA CIRIELLO he rapporto esiste tra vita consacrata e misericordia? Se il fondamento della vita consacrata è Cristo stesso, infatti «i consacrati confessano che Gesù è il Modello in cui ogni virtù raggiunge la perfezione» (Vita consecrata, 18), diventa vitale essere e testimoniare l’immagine di Gesù, incarnazione del Padre che è misericordia. Nella Evangelii gaudium Papa Francesco scrive: «Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza». C’è materia per una profonda e solida riflessione. Primo punto: la fede autentica è inseparabile dal dono di sé. Il dono indica qualcosa di concreto, la realizzazione dell’atteggiamento benevolente verso gli altri. Ma se procede da Dio è una grazia o carisma. «La vita consacrata, profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito» C Vita consacrata e misericordia Rivoluzione della tenerezza persone coraggiose, che si donano senza riserva, perché la fede si vive nella concretezza della quotidianità. «Appartenenza alla comunità», sottolinea il Papa. Il dono di sé dentro e fuori dalla comunità. La vita consacrata vive l’aspetto comunitario ad intra e ad extra, cioè costruisce la fraternità nella propria famiglia religiosa e nella grande famiglia che è la Chiesa popolo di Dio. Dono, appunto, significa pure non appartenersi, ovvero essere sempre disponibile a rispondere alla chiamata che Dio ci fa in ogni momento e in ogni luogo. Infatti siamo stati comprati a caro prezzo (1 Corinzi 6, 19-20). La comunità si costruisce insieme, anche se non è facile. Noi religiosi Si impara a vivere in comunità, facendo lo sforzo di curare abbiamo indurito i nostri cuori le relazioni difficili, riconoPerché nel passaggio del deserto scendo che l’unica via possibile è «imparare a incontrarsi non abbiamo avuto con gli altri apprezzandoli e la capacità di gestire sapientemente accettandoli come compagni di strada» (Evangelii gaudium, la libertà che Dio ci ha concesso 91), e ricordando che seguire lo stile di Cristo, centro del nostro stare insieme, vuol dire (Vita consecrata, 1). Essa rimane perciò do- guardare con i suoi occhi e manifestare no ed è allo stesso tempo offerta, in quan- l’essenziale: amore e misericordia, per rito procede dall’amore del Padre, di tutta cercare non la nostra ma l’altrui felicità. La conseguenza è che se l’altro è felice lo la Trinità (Vita consecrata, 20). Il dono presuppone la gratuità, la vo- saremo anche noi. Chi chiama e consacra è uno solo: Crilontà di regalare qualcosa anche di sé a prescindere dalla possibilità di ricevere al- sto. In lui, per lui e con lui ci spingiamo cunché in cambio. La vita consacrata na- verso le nostre periferie esistenziali per sce come risposta d’amore a un Dio che si compiere il faticoso, quanto doveroso esodona senza riserve, risposta a un amore do da noi stessi, per centrare la nostra esigratuito che non si possiede ma si riceve. stenza. L’esodo è l’evento fondante nella Non possiamo, dunque, pensare, come storia di Israele perché in esso ritroviamo persone consacrate, di ignorare l’impegno tre verbi che sono anche i pilastri della vipreso davanti a Dio e alla comunità di es- ta cristiana: liberazione (Esodo, 13, 16), elesere dono di amore. Non siamo fatti per zione (Esodo, 19, 5-6), trasformazione l’individualismo, ma per la relazione. Pos- (Esodo, 25, 8). Liberati dal peccato in virsiamo donare solo nello stare con gli altri. tù della morte e resurrezione di Cristo; Grazie a Dio è finito il tempo dell’isola- chiamati (eletti) a essere figli nell’amore; mento conventuale, o di sagrestia: il mon- continuamente trasformati (nuova creaziodo attuale, la Chiesa, ci chiama a essere ne) dallo Spirito di Dio. «Questo esodo da se stessi — ha detto Papa Francesco — è mettersi in un cammino di adorazione e di servizio. Adorare e servire: due atteggiamenti che non si possono separare, ma che devono andare sempre insieme. Adorare il Signore e servire gli altri, non tenendo nulla per sé». Chi non ama non può servire. Il servizio è l’espressione del Dio misericordia, che accoglie con la generosità di una madre: «La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore, e per questo essa sa fare sempre il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto di aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva» (Evangelii gaudium, 24). Gesù è modello e maestro di misericordia, è il volto della misericordia. Quando nel Vangelo ci dice: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Matteo, 5, 48), non si aspetta da noi una perfezione eterea, inconsistente, ma come leggiamo in Luca, 6, 36 vuol dire «siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso». Dunque la perfezione in Matteo e in Luca si concretizza nell’essere misericordiosi con tutte le conseguenze che ne derivano. Perché «con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Luca, 6, 38), e pure «Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia, ma la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio» (Giacomo, 2, 13). Papa Francesco ci esorta a vivere ogni incontro con «l’attenzione del cuore». Il nostro — in particolare — deve essere un «cuore che vede dove c’è bisogno d’amore e agisce in modo conseguente». Il cuore è il luogo dove ci riconosciamo per quello che siamo veramente, è il luogo della nostra coscienza spirituale cristiana, dove prendiamo le decisioni importanti: se stare o no con Dio e conseguentemente con il nostro prossimo. Gesù ci dice: «Dove è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore» (Matteo, 6, 21). Ma dov’è il nostro cuore? La vita consacrata oggi deve recuperare questa importante dimensione della misericordia, del sentire col cuore. Abbiamo, infatti, indurito i nostri cuori, «come a Meriba, come nei giorni di Massa nel deserto» (Salmi, 94, 8; Esodo, 17, 1-7), e questo è accaduto perché — come per gli Israeliti — nel passaggio del deserto non abbiamo avuto la capacità di gestire sapientemente la libertà che Dio ci ha concesso. Ricordo che sono passati cinquant’anni dalla fine del Vaticano II, evento che ha segnato grandi cambiamenti nella vita della Chiesa e della vita consacrata. «Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvici, per ricevere la grazia di Dio (...). Il deserto è indispensabile. È un tempo di grazia. È un periodo attraverso il quale ogni anima che vuol portare frutti deve necessariamente passare. Le sono necessari questo silenzio, questo raccoglimento, quest’oblio di tutto il creato in mezzo ai quali Dio pone in essa il suo regno e forma in essa lo spirito interiore». Con queste parole, Charles de Foucauld ha già risposto a ogni nostra eventuale domanda. La vita consacrata non è più capace di contemplare, di stupirsi di fronte alle novità che Dio ci propone quotidianamente, di provare compassione (rahamin), di lasciarsi toccare le viscere (splanchna) dalle vicende umane. Da quelle più dolorose, e dall’amore che Dio ci comunica in quel momento di incontro personale, quotidiano e necessario, a cui la persona consacrata è chiamata al di sopra di tutto. Perché niente, nessun apostolato, la missione stessa della vita consacrata ha senso se manca l’incontro personale con Cristo. Bisogna coniugare sapientemente Marta e Maria. Ignazio di Loyola ci parla dell’essere contemplativi nell’azione e «la contemplazione è intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera». Allora la vita consacrata deve avere il coraggio — perché di questo si tratta — di rompere schemi precostituiti, vecchi, senza vita, per attuare quella «rivoluzione della tenerezza» a cui accenna il Papa. Tenerezza. Maternità e paternità. Dio padre e madre. La persona consacrata non è sterile. È feconda perché partorisce figli nello Spirito: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno?» (Isaia, 49, 14). Una madre, un padre, hanno ben chiaro (o almeno dovrebbero) che i figli vengono prima di tutto. Una persona consacrata deve avere ben chiaro che, a modello di Maria, è diventata madre di tutti gli uomini e le donne del mondo. Maria, madre di misericordia. Nei Fioretti di san Francesco di FELICE ACCRO CCA Una vita semplice Un volumetto di Daniele Solvi, Uomini celesti e angeli terrestri. Una lettura francescana dei Fioretti, pubblicato dalle Edizioni Biblioteca Francescana nella ben nota Collana “Presenza di san Francesco” (Milano, 2015, pagine 148, euro 11), richiama ancora una volta l’attenzione sui Fioretti, una delle fonti più amate da registi cinematografici (Rossellini, Pasolini), poeti (Pascoli, D’Annunzio), musicisti. L’opera costituisce la traduzione non integrale di Pur nella proposta di un’austerità che non lascia spazio ad alcun compromesso non si avverte alcuna polemica una fonte latina, nota sotto il nome di Actus beati Francisci et sociorum eius, pubblicata per la prima volta da Paul Sabatier nel 1902. La tradizione manoscritta degli Actus, tuttavia, è più esile di quella dei Fioretti e Trophime Bigot, «San Francesco in preghiera» (1630) il complesso di edizioni molto meno florido, in quanto già prima del 1500 si contavano, di quest’ultimi, diverse edizioni a stampa. Senza cadere in un racconto dolciastro e melenso, gli ActusFioretti pongono attenzione sulla bellezza di una vita semplice e — pur nella proposta di un’austerità che non lascia posto ad alcun compromesso — la polemica non sembra prevalere. Come scrisse Arrigo Levasti, «lo scrittore, o gli scrittori, possedevano un’anima candida e beata, senza la curiosità di adden- trarsi nella psicologia religiosa, senza la volontà di dirci quello che, per conto loro, provarono. Aderirono con slancio e amore alla vita di san Francesco e de’ suoi discepoli, e da tale spontanea adesione nacque quella poesia ingenua e fresca, che, insieme a profondo senso religioso, ha consolato e consola milioni su milioni di uomini». Sulla stessa lunghezza d’onda si pone Solvi, per il quale «elemento più caratteristico» dei Fioretti «è proprio questa assenza del male». La realtà di molti episodi è naturalmente amplificata, anche se per parecchi di essi non si può negare un nucleo originale più antico (per quanto, di per sé, ciò non voglia dire che il fatto sia sostanzialmente autentico): è il caso, ad esempio, di un fioretto fra i più noti — e certo tra i più fantastici —, quello del cosiddetto lupo di Gubbio, del quale si possono comunque rintracciare memorie più arcaiche. In pagine dense e agili, Solvi — attraverso sondaggi mirati (l’esame è condotto sui Fioretti 1-2, 8, 15-16, 18, 24-25) — si pro- pone di verificare la compatibilità dell’insegnamento dei Fioretti con la proposta cristiana testimoniata dagli Scritti di Francesco d’Assisi, ponendosi sul percorso già battuto da Mariano d’Alatri, che ormai quasi cinquant’anni or sono (1968) dedicò alla questione un ampio saggio. A ragione, Solvi individua il pubblico del volgarizzatore nei laici devoti, «per i quali i Fioretti valevano come lettura edificante tra una predica e l’altra». Con competenza e una prosa accattivante, Solvi coglie continuità e scarti dei Fioretti rispetto alla proposta cristiana di Francesco, così che le sue pagine costituiscono una rilettura dei principali capisaldi della spiritualità degli Scritti, con considerazioni equilibrate che non temono di andare persino in controtendenza (riguardo al rapporto con le donne, ad esempio, rileva: «Si deve concludere che gli scrupoli dei Fioretti e delle altre fonti sono gli scrupoli di Francesco»), perché supportate da un’analisi rigorosa. In sostanza, si tratta di un volumetto agile, ma non leggero, solidamente fondato eppure non pesante, capace anche d’infondere ottimismo evangelico: non è poca cosa, soprattutto in tempi come i nostri. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 3 febbraio 2016 pagina 5 La Cina è sempre stata per me un punto di riferimento di grandezza Un grande Paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile Che ha molto da offrire al mondo Incontro attraverso il dialogo Intervista di Papa Francesco ad «Asia Times» Pubblichiamo, in una nostra traduzione, l’intervista al Papa uscita il 2 febbraio su «Asia Times». di FRANCESCO SISCI Lo ha percepito subito, o almeno così mi è parso, e ha cercato di mettermi a mio agio. Di fatto ero nervoso. Avevo passato molte ore a smussare ogni dettaglio delle domande che avrei posto, e lui aveva voluto del tempo per riflettere ed esaminarle. Aveva ragione. Avevo chiesto un’intervista su questioni culturali e filosofiche ampie, riguardanti tutti i cinesi, il 99 per cento dei quali non è cattolico. Non volevo toccare argomenti religiosi o politici dei quali altri Papi avevano parlato in altre occasioni. Speravo che potesse trasmettere agli uomini e alle donne in Cina, la sua immensa empatia umana, parlando per la prima volta in Un grande paese. Ma più che un paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile. Da bambino, quando leggevo qualcosa sulla Cina, questo fatto aveva la capacità di ispirarmi ammirazione. Provo ammirazione per la Cina. In seguito ho approfondito la vita di Matteo Ricci e ho visto come quell’uomo provava la stessa cosa che provavo io e nello stesso identico modo, ammirazione, e come è riuscito a entrare in dialogo con questa grande cultura, con questa saggezza secolare. Seppe “incontrarla”. Quando ero giovane e si parlava della Cina, pensavamo alla Grande Muraglia. Il resto non si conosceva nella mia patria. Ma approfondendo la questione sempre più, ebbi un’esperienza d’incontro molto diversa, sia per il tempo sia per i modi, rispetto a quella di Ricci. Però mi sono imbattuto in qualcosa che non mi aspettavo. L’esperienza di Matteo Ricci con Xu Guangqi Matteo Ricci con Xu Guangqi assoluto di questioni che li preoccupano profondamente ogni giorno: la disgregazione della famiglia tradizionale; le loro difficoltà a essere compresi dal mondo occidentale e a comprenderlo; il loro senso di colpa derivante da esperienze del passato come la rivoluzione culturale e così via. E lui lo ha fatto, dando a tutti i cinesi, e a tutte le persone preoccupate per la rapida crescita della Cina, motivi di speranza, pace e riconciliazione. Il Papa ritiene che i cinesi stiano andando in una direzione positiva e che non debbano avere paura di ciò, e nemmeno il resto del mondo. Pensa anche che i cinesi abbiano una grande eredità di saggezza che arricchirà loro e tutti gli altri; questa eredità aiuterà tutti a trovare un cammino pacifico per andare avanti. In qualche modo, questa intervista è il Papa che benedice la Cina. Che cos’è per lei la Cina? Come la immaginava da giovane, considerato che per l’Argentina la Cina non è oriente ma lontano occidente? Cosa significa per lei Matteo Ricci? Per me la Cina è sempre stata un punto di riferimento di grandezza. Ricci c’insegna che è necessario entrare in dialogo con la Cina, poiché si tratta di un accumulo di saggezza e di storia. È una terra benedetta da molte cose. E la Chiesa cattolica, tra i cui doveri vi è quello di rispettare tutte le civiltà, dinanzi a questa civiltà, direi che ha il dovere di rispettarla, con la r maiuscola. La Chiesa ha il grande potenziale di ricevere cultura. L’altro giorno ho avuto l’occasione di vedere i dipinti di un altro grande gesuita, Giuseppe Castiglione, il quale aveva anche lui il virus gesuita (ride). Castiglione sapeva come esprimere bellezza, l’esperienza dell’apertura nel dialogo: ricevere da altri e dare qualcosa di se stessi su una lunghezza d’onda “civilizzata”, delle civiltà. Quando dico “civilizzato” non intendo soltanto civiltà “educate”, ma anche civiltà che s’incontrano. Inoltre, non so se è vero, ma dicono che sia stato Marco Polo a portare gli spaghetti in Italia (ride). Quindi sono stati i cinesi a inventarli. Non so se è vero. Ma lo dico en passant. È questa la mia impressione: grande rispetto. E ancora di più, quando ho sorvolato la Cina per la prima volta, e in aereo mi è stato detto “tra dieci minuti entrere- mo nello spazio aereo cinese e invieremo il suo saluto”, confesso di avere provato una grande emozione, cosa che di solito non mi accade. Mi sono commosso per il fatto di sorvolare questa grande ricchezza di cultura e saggezza. Per la prima volta nella sua storia millenaria la Cina sta uscendo dal proprio ambiente e si sta aprendo al mondo, creando sfide senza precedenti per se stessa e il mondo. Lei ha parlato di una terza guerra mondiale che sta avanzando in modo nascosto: quali sfide questo rappresenta nella ricerca della pace? Il timore, la paura, non è mai un buon consigliere. Se un padre o una madre hanno paura quando hanno un figlio adolescente, non sanno come occuparsi bene di lui. In altre parole, non dobbiamo temere sfide di alcun genere, poiché tutti, uomini e donne, hanno in loro la capacità di trovare modi di coesistenza, di rispetto e di ammirazione reciproca. Ed è evidente che tanta cultura e tanta saggezza, e per giunta tanta conoscenza tecnologica — pensiamo solo alle antichissime tecniche mediche — non possono rimanere rinchiuse in un paese; tendono a espandersi, a diffondersi, a comunicarsi. L’uomo tende a comunicare, una civiltà tende a comunicare. È ovvio che quando la comunicazione avviene in tono aggressivo per difendere se stessi, ne risultano guerre. Ma non avrei paura. È una grande sfida mantenere l’equilibrio della pace. Qui abbiamo Nonna Europa, come ho detto a Strasburgo. Sembra che non sia più Mamma Europa. Spero che possa riuscire a riprendersi quel ruolo. E riceve da questo antichissimo paese un contributo sempre più ricco. E quindi è necessario accettare la sfida e correre il rischio di bilanciare questo scambio per la pace. Il mondo occidentale, il mondo orientale e la Cina hanno tutti la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e la forza per farlo. Dobbiamo trovare il modo, sempre attraverso il dialogo; non c’è altra via (allarga le braccia come per abbracciare). L’incontro si ottiene attraverso il dialogo. Il vero equilibrio della pace si realizza attraverso il dialogo. Dialogo non significa che si finisce con un compromesso, mezza torta a te e l’altra mezza a me. È quello che è accaduto a Yalta e abbiamo visto i risultati. No, dialogo significa: bene, siamo arrivati a questo punto, posso essere o non essere d’accordo, ma camminiamo insieme; è questo che significa costruire. E la torta rimane intera, camminando insieme. La torta appartiene a tutti, è umanità, cultura. Tagliare la torta, come a Yalta, significa dividere l’umanità e la cultura in piccoli pezzi. E la cultura e l’umanità non possono essere tagliate in piccoli pezzi. Quando parlo di questa grande torta parlo in senso positivo. Tutti possono influire sul bene comune di tutti (il Papa sorride e chie- de: «Non so se l’esempio della torta è chiaro per i cinesi». Annuisco). Negli ultimi decenni la Cina ha sperimentato tragedie senza pari. Dal 1980 i cinesi hanno sacrificato ciò che hanno sempre avuto più a cuore, i loro figli. Per i cinesi si tratta di ferite molto profonde. Tra l’altro, hanno lasciato un enorme vuoto nelle loro coscienze e in qualche modo anche un bisogno estremamente profondo di riconciliarsi con se stessi e di perdonarsi. Nell’anno della misericordia, che messaggio può dare al popolo cinese? L’invecchiamento di una popolazione e dell’umanità si sta verificando in molti luoghi. Qui in Italia il tasso di natalità è quasi al di sotto dello zero, e più o meno è lo stesso anche in Spagna. La situazione in Francia, con la sua politica di assistenza alle famiglie, sta migliorando. Ed è ovvio che le popolazioni invecchiano. Invecchiano e non hanno figli. In Africa, per esempio, è stato un piacere vedere bambini nelle strade. Qui a Roma, se vai in giro, vedi pochissimi bambini. Forse dietro c’è la paura alla quale lei sta alludendo, l’errata percezione non che semplicemente rimarremo indietro, ma che finiremo in miseria, quindi non facciamo figli. Ci sono altre società che hanno fatto la scelta opposta. Per esempio, durante il mio viaggio in Albania sono rimasto sorpreso nello scoprire che l’età media della popolazione è di circa quarant’anni. Esistono paesi giovani; penso che in Bosnia ed Erzegovina sia lo stesso. Paesi che hanno sofferto e scelgono la gioventù. Poi c’è il problema del lavoro. È una cosa che la Cina non ha, perché ha la capacità di offrire lavoro sia in campagna sia in città. Ed è vero, il problema della Cina di non avere figli deve essere molto doloroso; perché la piramide viene invertita e un bambino deve portare il fardello del padre, della madre, dei nonni. E questo è sfibrante, faticoso, disorientante. Non è naturale. Mi sembra di capire che la Cina ha aperto nuove possibilità su questo fronte. Come dovrebbero essere affrontate queste sfide delle famiglie in Cina, considerando che si trovano in un processo di profondo cambiamento e non corrispondono più al modello tradizionale cinese della famiglia? Riprendendo il tema, nell’anno della misericordia, che messaggio posso dare al popolo cinese? La storia di un popolo è sempre un cammino. Talvolta un popolo cammina più velocemente, altre volte più lentamente, altre ancora si ferma, a volte fa un errore e ritorna un po’ indietro, oppure prende il cammino sbagliato e deve ritornare sui propri passi per seguire quello giusto. Ma quando un popolo va avanti, la cosa non mi preoccupa perché significa che sta facendo storia. E penso che il popolo cinese stia andando avanti, ed è questa la sua grandezza. Cammina, come tutti i popoli, attraversando luci e ombre. Guardando al passato — e forse il fatto di non avere figli crea un complesso — è salutare assumersi la responsabilità del proprio cammino. Bene, abbiamo seguito questo percorso, qualcosa non ha funzionato per niente, quindi adesso si sono aperte altre possibilità. Entrano in gioco altre questioni: l’egoismo di alcuni dei settori benestanti che preferiscono non avere fi- gli, e così via. Devono assumersi la responsabilità del proprio cammino. E andrei anche oltre: non siate amareggiati, bensì in pace con il vostro cammino, anche se avete fatto errori. Non posso dire la mia storia è stata negativa, che odio la mia storia (il Papa mi rivolge uno sguardo penetrante). No, ogni popolo deve riconciliarsi con la propria storia quale suo cammino, con successi ed errori. E questa riconciliazione con la propria storia porta molta maturità, molta crescita. Qui utilizzerei la parola usata nella domanda: misericordia. È salutare per una persona provare misericordia per se stessa, non essere sadica o masochista. Questo è sbagliato. E direi la stessa cosa per un popolo: è salutare per un popolo essere misericordioso verso se stesso. E questa nobiltà d’animo… Non so se usare o no la parola perdono, non lo so. Ma accettare che quello è stato il mio cammino, sorridere e andare avanti. Se ci si stanca e ci si ferma, si può diventare amareggiati e corrotti. E quindi, quando ci si assume la responsabilità del proprio cammino, accettandolo per quel che è stato, ciò consente alla propria ricchezza storica e culturale di emergere, anche nei momenti difficili. E come le si può permettere di emergere? Qui ritorniamo alla prima domanda: nel dialogo con il mondo attuale. Dialogare non significa arrendersi, perché a volte c’è il pericolo, nel dialogo tra paesi diversi, di agende nascoste, ovvero di colonizzazioni culturali. È necessario riconoscere la grandezza del popolo cinese, che ha sempre conservato la propria cultura. E la sua cultura — non sto parlando di ideologie che possono esserci state in passato — la sua cultura non è stata imposta. La crescita economica del paese è avvenuta a un ritmo straordinario, ma ciò ha comportato anche disastri umani e ambientali che Pechino sta cercando di affrontare e risolvere. Allo stesso tempo, la ricerca di efficienza lavorativa sta imponendo nuovi costi alle famiglie: talvolta genitori e figli vengono divisi a causa delle esigenze lavorative. Che messaggio può dare loro? Mi sento piuttosto come una suocera che dà consigli su ciò che andrebbe fatto (ride). Suggerirei un sano realismo; la realtà deve essere accettata, ovunque essa provenga. Questa è la nostra realtà; come nel calcio il portiere deve prendere la palla da ovunque arrivi. La realtà deve essere accettata per ciò che è. Essere realisti. Questa è la nostra realtà. Per prima cosa devo essermi riconciliato con la realtà. Non mi piace, sono contrario, mi fa soffrire, ma devo venirci a patti, non posso farci niente. Il secondo passo è di lavorare per migliorare la realtà e cambiarne la direzione. Ora, vede che sono suggerimenti semplici, un po’ comuni. Ma fare come lo struzzo che nascon- de la testa nella sabbia per non vedere la realtà, non accettarla, non è una soluzione. Dunque, discutiamo, continuiamo a cercare, continuiamo a camminare, sempre in cammino, in movimento. L’acqua del fiume è pura perché continua a scorrere; l’acqua ferma ristagna. È necessario accettare la realtà così com’è, senza mascherarla, senza sofisticarla, e trovare sempre modi per migliorarla. Bene, questa è una cosa molto importante. Se ciò accade a un’azienda che ha lavorato per vent’anni e c’è una crisi negli affari, ci sono poche vie creative per migliorarla. Al contrario, quando accade a un paese antico, con la sua storia secolare, la sua saggezza secolare, la sua creatività secolare, allora si crea tensione tra il problema presente e il suo passato di antica ricchezza. E questa tensione porta fecondità quando guarda al futuro. Ritengo che la grande ricchezza della Cina, oggi, stia nel guardare al futuro da un presente sostenuto dalla memoria del suo passato culturale. Vivere in tensione, non nell’ansia, e la tensione è tra il ricchissimo passato e la sfida del presente che deve essere portata avanti nel futuro; vale a dire, la storia non finisce qui. In occasione del prossimo nuovo anno cinese della Scimmia, vorrebbe inviare un saluto al popolo cinese, alle autorità e al presidente Xi Jinping? Alla vigilia del nuovo anno, desidero inviare i miei migliori auspici e auguri al presidente Xi Jinping e a tutto il popolo cinese. E desidero esprimere la mia speranza che non perda mai la consapevolezza storica di essere un grande popolo, con una grande storia di saggezza, e che ha molto da offrire al mondo. Il mondo guarda alla vostra grande saggezza. In questo nuovo anno, con questa consapevolezza, possiate continuare ad andare avanti per aiutare e cooperare con tutti nella cura per la nostra casa comune e i nostri popoli comuni. Grazie! In un dipinto di Giuseppe Castiglione, l’imperatore Qianlong contempla le opere del gesuita L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 3 febbraio 2016 Raffaello Sanzio, «Scuola di Atene» (nel particolare Platone e Aristotele) Leader religiosi in Indonesia contro lo sfruttamento minerario indiscriminato Con i più deboli JAKARTA, 2. Numerosi leader religiosi e centinaia di persone hanno manifestato nei giorni scorsi presso Kupang, in Indonesia, contro un progetto di estrazione di manganese nella zona di South Central Timor. I manifestanti hanno chiesto al Governo di Jakarta di revocare il permesso alla società estrattiva titolare della concessione, accusata di inquinare notevolmente l’intero territorio. Questa — rife- risce l’agenzia Ucanews — sulla base di un permesso accordato nel 2008, è autorizzata a svolgere le sue attività su 4555 ettari di terra che coprono sei villaggi in due sub-distretti. I leader religiosi, assieme agli abitanti dei villaggi coinvolti dal progetto, hanno messo in atto la protesta davanti alla sede del quartier generale della polizia distrettuale mentre una manifestazione analoga si teneva davanti alla sede della compagnia mineraria. L’attività della società estrattiva — ha sottolineato il francesca- no padre Yohanes Kristoforus Tara della “Franciscan Justice, Peace and Integrity” — «minaccia seriamente le risorse vitali della popolazione locale». I lavori avviati hanno già danneggiato il territorio, prosciugando diverse falde acquifere. Circa 6000 ettari di risaie nel villaggio di Oebelo probabilmente subiranno analoghi effetti. I rifiuti della compagnia mineraria — ha proseguito il religioso — «minac- ciano la salute della popolazione locale, tant’è che alcuni abitanti del villaggio hanno iniziato ad avere irritazioni cutanee a causa dell’acqua inquinata». Padre Tara ha spiegato che, sulla scorta di quanto affermato dal Papa nell’enciclica Laudato si’, è determinato a sostenere le proteste della gente: «Noi — ha ricordato il religioso — lottiamo per i deboli, affinché che non diventino vittime, e per la salvaguardia della terra». Dello stesso avviso anche il reverendo Yos Manu dalla Protestant Evangelical Church a Ti- mor, il quale ha raccontato che il progetto estrattivo ha addirittura avuto il potere di creare divisioni nella sua congregazione. «Oltre all’impatto ecologico, la compagnia ha anche un enorme impatto sociale. La nostra congregazione si è spaccata in due gruppi: da un lato i sostenitori e dall’altro i contestatori». Manu, però, è fermamente convinto di continuare a lottare a fianco della popolazione e contro gli interessi della società mineraria. Un abitante del villaggio, Soleman Nesimnasi, ha raccontato di aver perso quattro ettari di terreno nel villaggio Supul a causa della concessione data alla società: «Non mi è mai stato comunicato che il permesso della società riguardasse anche la mia terra. Mi hanno improvvisamente tolto il terreno dopo aver ottenuto il permesso di estrazione». Un caso giudiziario che è durato quattro anni, e che si è concluso con la sentenza in base alla quale la terra dovrebbe essere restituita a Nesimnasi. «Ma l’anno scorso — ha detto ancora l’agricoltore —i rappresentanti della società, insieme ad alcuni soldati, sono venuti da me e mi hanno detto che non avevo più il diritto di utilizzare la mia terra» e lo hanno di fatto costretto ad accettare un risarcimento, offrendogli 100.000 rupie (7 dollari statunitensi) al mese per ettaro. Yustinus Darma del Foro indonesiano per l’ambiente ha ammesso che le società minerarie chiedono spesso aiuto ai poliziotti quando hanno problemi con la popolazione locale. «È una prassi — ha detto Darma — che mira a spaventare la popolazione così da spingerla ad accettare qualsiasi proposta». Nel forum della Pontificia accademia di teologia L’uomo e l’alleanza con Dio di RÉAL TREMBLAY* Nel discorso indirizzato al Parlamento europeo, il 25 novembre 2014, Papa Francesco insisteva sulla «dignità trascendente» dell’uomo, di ogni uomo. Dopo aver detto in che cosa consiste questa dignità, si è soffermato sull’idea della trascendenza che le è intrinsecamente collegata: «Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente — illustrata, come aveva appena spiegato il Pontefice, dal dito puntato verso l’alto di Platone nella Scuola di Atene affrescata da Raffael- lo in Vaticano mentre Aristotele tende la mano in avanti verso la terra, la realtà concreta — intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento». L’argomento del forum della Pontificia accademia di teologia che si è tenuto il 28-29 gennaio alla Lateranense si è ispirato a questo pensiero del Papa, proposto all’intera comunità europea e, tramite essa, al mondo intero. L’articolazione del suo contenuto ha inteso illustrare la veracità di queste osservazioni del Pontefice. Per renderle più immediatamente collegate alla fede cri- stiana, si è voluto inserire il rapporto tra dignità umana e trascendenza nel contesto dell’alleanza di Dio con l’uomo, contesto vitale del legame tra il cielo additato da Platone e la terra a cui richiama Aristotele nella mirabile sintesi rinascimentale rappresentata da Raffaello. Nel forum si sono così succeduti quattro sguardi sulla specificità dell’uomo e sulla sua dignità trascendente. Anzitutto sull’humanum in quanto tale, considerato nel fenomeno del sacro e nella ricerca costante di senso e di verità che caratterizza la persona umana. Successivamente sono state esaminate la creazione dell’uomo secondo il racconto della Genesi e quindi l’esperienza profetica di Geremia. Il terzo sguardo ha inteso trattare l’aspetto più propriamente teologico, a partire dalla persona filiale di Gesù per riconoscere in essa il compimento della perfetta alleanza. Si è poi ripresa la lezione dei padri cappadoci e si è ancora cercato di rispondere alla domanda da dove viene e in che cosa consiste l’inclinazione dell’uomo verso la trascendenza. Per non rimanere troppo nell’astratto, si è infine considerato il confronto con alcuni aspetti della vita dell’uomo: le sfide dell’ecologia, la vita umana, la pace quale dono escatologico. Già la sola evocazione di questi contributi lascia intravvedere la ricchezza dei dati teologici emersi. Molti di essi meriterebbero certamente di essere approfonditi ancora, ma le giornate del forum già hanno fatto emergere punti essenziali e prospettive stimolanti. *Presidente della Pontificia accademia di teologia Giubileo in Cambogia Cammino ecumenico nell’arcidiocesi di Semarang Concluso l’anno della vita consacrata nello Stato indiano di Telangana Per approfondire il dialogo tra le religioni Efficacia dei piccoli passi Apice e inizio di un continuo riflettere PHNOM PENH, 2. Il giubileo della misericordia è un tempo favorevole per praticare e approfondire anche il dialogo tra le religioni. È quanto sottolinea il vicario apostolico di Phnom Penh, Olivier Michel Marie Schmitthaeusler, in un messaggio indirizzato ai fedeli in occasione dell’anno santo. In Cambogia, Paese a larga tradizione buddista, i cattolici sono poche migliaia. Proprio per questo — riferisce l’agenzia Fides — il presule invita i fedeli ad avere un cuore aperto al prossimo, in un dialogo franco e accogliente, riconoscendo quei valori morali presenti nei fedeli che professano un altro credo. JAKARTA, 2. «All’inizio, non è stato facile riunire i pastori protestanti ma, con un cammino di avvicinamento a piccoli passi, ci si è riusciti». Parole di padre Aloys Budi Purnomo, responsabile della Commissione per gli Affari ecumenici e interreligiosi nell’arcidiocesi indonesiana di Semarang, che esprime soddisfazione per l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani appena celebrato. In particolare per la grande partecipazione a una veglia ecumenica che ha riunito fedeli cattolici e protestanti. Dando così anche una convinta testimonianza di unità e condivisione della comunità cristiana, tanto più importante perché vissuta in un contesto generale profondamente segnato dalla tradizione islamica. «Nella chiesa di Cristo Re di Ungaran, i pastori di diverse confessioni cristiane hanno accolto il nostro sforzo di operare per l’armonia pacifica tra i cristiani di varie denominazioni», ha detto il sacerdote all’agenzia Fides. Più di cinquanta sacerdoti e ministri di culto di venti diverse denominazioni, provenienti da varie città di Giava e da altre isole, hanno partecipato alla veglia per la settimana di preghiera per l’unità. Oltre ai membri del clero erano presenti anche circa 1200 fedeli, cattolici e protestanti, dai bambini agli anziani. Il reverendo Markus, presidente del Consiglio per la cooperazione delle Chiese a Semarang, ha sottolineato che «il culto ecumenico è un grande segno dell’opera di Dio. Il nostro desiderio si è realizzato con questa preghiera speciale, vivace e incredibilmente ecumenica». Parole condivise anche da padre Purnomo, il quale ha osservato che tale incontro ha significato «apprezzare e mettere in pratica la preghiera di Gesù che voleva che i suoi discepoli vivessero in armonia, in pace e unità». Una sfida, quella dell’unità dei cristiani, particolarmente sentita in Indonesia, la nazione musulmana più popolosa al mondo. In questi giorni migliaia di fedeli, all’insegna del motto evangelico «Sale e luce della terra», celebrano gli 80 anni della fondazione della missione cattolica a Jambi, provincia a maggioranza musulmana dell’isola di Sumatra. I primi semi del cristianesimo nella zona furono piantati dai missionari olandesi del Sacro Cuore nel 1925. Il primo battesimo risale al 1932 e, tre anni più tardi, avvengono l’insediamento del primo sacerdote residenziale e la nascita della parrocchia intitolata a Santa Teresa. I primi a essere battezzati, a pochi anni dalla fondazione della missione, sono stati trenta nativi locali di etnia cinese. Da quel momento, la missione non è rimasta attiva solo nel campo dell’evangelizzazione, ma si è anche impegnata nella formazione educativa e in quella dell’istruzione, promuovendo le cosiddette Hollandsche Chineesche School e le Froebel School per i nativi cinesi. Fin da subito, inoltre, le suore francescane missionarie di Maria hanno dato il loro contributo nel campo sanitario. Proprio riguardo l’istruzione e l’assistenza medica — spiega ad AsiaNews padre Felix Astono Atmajo, vicario generale dell’arcidiocesi di Palembang — i cattolici hanno fornito i servizi più apprezzati dalla comunità locale. E, nel tempo, tutto ciò ha portato anche alla nascita della scuola cattolica di San Francesco Saverio e all’ospedale di Santa Teresa, entrambi nella provincia di Jambi. Alla cerimonia principale per l’anniversario erano presenti trenta sacerdoti, alcuni dei quali di Jambi e altri che hanno lavorato, in passato, nella provincia. La provincia di Jambi è a maggioranza musulmana di etnia Malay, con la presenza di una nutrita comunità cristiana di etnia cinese. HYDERABAD, 2. Migliaia di persone hanno partecipato alle celebrazioni conclusive dell’anno della vita consacrata nello Stato indiano di Telangana. «Questo evento — ha detto monsignor Udumala Bala Showreddy, vescovo di Warangal e presidente della commissione per il clero e i religiosi del Telegu Catholic Bishops’ Council (Tcbc) — non deve essere definito come la conclusione dell’anno della vita consacrata, ma deve diventare l’apice e l’inizio di un continuo riflettere, ridedicarsi, rinvigorire e vivere la profonda dimensione della chiamata di amore data da Dio Padre all’umanità, di appartenere solo a Dio attraverso una consacrazione speciale e l’impegno». Il vescovo, inoltre — riferisce AsiaNews — ha elencato vari modi di vivere la consacrazione nel corso dei secoli: i padri del deserto, i cenobiti, i monaci e gli eremiti, i predicatori e i missionari, i gesuiti, i carmelitani, i francescani, gli agostiniani e le centinaia di altri carismi religiosi che sono fioriti all’interno della Chiesa, dando essenza di santità ai loro contemporanei. «Il segreto della vita comunitaria religiosa — ha precisato il presule — risiede nell’amore delle tre persone divine della Trinità. I religiosi sono chiamati a essere azionisti dell’amore aperto di D io». Monsignor Showreddy ha ringraziato gli organizzatori dell’evento e ha reso grazie anche a Dio, «per il modo meraviglioso in cui ha portato la Chiesa a santificare i consacrati al servizio dell’umanità». Padre Taju, superiore generale della congregazione dei missionari della Compassione, parlando di consacrazione e misericordia, nel ricordare la Misericordiae He Qi, «Il battesimo di Gesù» (2005) vultus, ha sottolineato la necessità di mettere in pratica la misericordia e guadagnare così il favore di Dio nel giorno del giudizio. «Siate misericordiosi come il Padre. I religiosi — ha ribadito — devono compiere atti di misericordia significativi, sia a livello individuale che nella propria congregazione, ed essere simboli di misericordia divina per un mondo che è cieco nella sua ricerca egoistica del potere». Inoltre, padre Taju ha presentato una sorprendente ricerca sul numero di consacrati che servono le persone vulnerabili nel mondo, e ha chiesto ai numerosi presenti di essere “specialisti della misericordia”. L’evento si è concluso con una benedizione, durante la quale è stato augurato un futuro radioso per la Chiesa nello Stato di Telangana. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 3 febbraio 2016 pagina 7 Dal 3 all’11 febbraio a Roma le spoglie di san Pio da Pietrelcina e di san Leopoldo Mandić Una storia cristiana di FRANCESCO CASTELLI Sono passati quasi cinquant’anni dalla morte di padre Pio da Pietrelcina (23 settembre 1968) e ancora non è stata pubblicata una biografia scientifica sul frate del Gargano che consenta di poter leggere, in modo snello ed essenziale, la sua parabola umana e il suo significato. Si tratta di un’operazione di sicuro laboriosa per il reperimento delle fonti. I carteggi del cappuccino e le diverse testimonianze di quanti lo hanno avvicinato, solo gradualmente sono state raccolte e, in parte, tale processo continua ancora. Ne doveva essere consapevole uno studioso della Congregazione delle cause dei santi, Melchiorre da Pobladura (1904-1983), un maestro di storia che, insieme ad Alessandro da Ripabottoni, aveva compiuto negli anni Settanta la fondamentale opera di pubblicare l’epistolario del cappuccino. Oltre al difficile reperimento delle fonti, c’è la complessità del personaggio a spiegare il ritardo della sua biografia. C’è il farsi di una storia di un uomo all’interno di uno scenario più ampio. Molto più ampio. Ne diamo qualche cenno. Padre Pio è nato nel 1887, nel beneventano, da nemmeno trent’anni regno d’Italia. Appartiene a una generazione che non conosce più il sovrano Pontefice. Il Papa è “prigioniero” in Vaticano quando il futuro frate cresce e decide il suo avvenire. Per tutta la vita, il suo attaccamento alla figura del Pontefice sarà molto forte. L’ingresso in convento è nel 1897, a quindici anni dal settimo centenario della nascita di san Francesco. In quel torno di anni è stata prodotta abbondante letteratura sul poverello d’Assisi. Abbondante e eterogenea. La formazione culturale del giovane frate avviene lontano dai centri accademici italiani. Del modernismo e della Pascendi dominici gregis (1907), dei fremiti e delle tensioni di quel periodo, la vita del cappuccino non sembra percepire l’eco. Il giovane (e oggi dichiarato venerabile) don Olinto Marella, sospeso a divinis per aver accolto in casa propria lo scomunicato Romolo Murri, è ancora lontano dal frequentare il convento di San Giovanni Rotondo e dal raccontare, forse, al cappuccino le sue passate vicissitudini. Fra Pio diventa prete nel 1910. Legge testi di spiritualità cappuccina e gli scritti di Teresa di Lisieux. A differenza degli altri frati, però, già da qualche tempo è a casa, a Pietrelcina, e vi rimane quasi ininterrottamente fino al 1916. È un periodo della sua esistenza ancora non sufficientemente ricostruito. Ogni prete sa quanto siano decisivi i primi anni di ministero sacerdotale. Padre Pio impara a fare il prete con un sacerdote diocesano, il parroco don Salvatore Panullo, un prete laureato in teologia che ha fatto anche da insegnante al cappuccino. Forse un prete “alla Leone XIII”. Un prete che, sia per il ministero pastorale tra i poveri che per aver certamente letto la Rerum novarum, non ignora i bisogni sociali della gente. I disagi e le malattie. È da qui che padre Pio ha mutuato la sua sensibilità sociale, il suo futuro progetto di fondare un ospedale? Nel frattempo l’Italia ha già compiuto la guerra d’Abissinia (1895-1896): nel carteggio del cappuccino se ne può vedere qualche traccia. E infine arriva la grande guerra, con i drammi e le speranze. E nel frattempo prega, come tutti, che il Signore protegga le truppe. Quelle italiane. Alla fine del conflitto per il cappuccino si apre un nuovo scenario, o meglio, si aprono le ferite sul suo corpo, le stimmate. È l’inizio di una storia altra. Un’esperienza singolare, spiritualmente importante. Appesantita però dall’afflusso di gente, devota o scettica, di curiosi o di incaricati di un chiarimento. Non deve essere stato facile per il cappuccino gestire se stesso in quei momenti. E di fatto vi sono circostanze difficili in cui è coinvolto: l’isolamento, la celebrazione della messa in privato. Per il futuro biografo di padre Pio è la sospensione della corrispondenza epistolare a pesare di più (anno 1922). Padre Pio non scrive un diario e così la fine del carteggio segna anche l’arresto di una fonte preziosissima per seguire da vicino il personaggio. La sua crescita spirituale e il suo affinamento come guida d’anime sono ora più difficili da ricostruire. Durante gli anni Trenta l’Europa marcia velocemente verso la seconda guerra mondiale. A San Giovanni Rotondo i segni arrivano a conflitto iniziato. Padre Pio è meta di svariati reparti di soldati, di diversa provenienza. È occasione di ascolto. Di mano amica. Anche se piagata. Con la fine del conflitto e l’avvento della repubblica i cattolici sono in prima linea per il successo della Democrazia cristiana. Padre Pio è tra questi. I suoi testimoni lo ricordano attivissimo nel favorire l’appoggio ai candidati democristiani. Lui stesso si reca alle urne a votare. I tempi della sua infanzia, del non expedit, sono lontani. E infine c’è la stagione di Papa Giovanni e di Paolo VI. Dell’indizione del concilio e della medicina della misericordia. Molti padri conciliari visitano il cappuccino, e forse gli riportano speranze e impressioni. Cosa pensa padre Pio? Ciò fino al 1968, l’anno della morte. Una storia intensa, dunque. Storia che domanda lo studio della documentazione ancora non accessibile negli archivi vaticani (sinora sono consultabili i documenti sino al pontificato di Pio XI e proprio da tali carte di recente è giunta una gran- de quantità di dati significativi). Una storia ancora da narrare in gran parte. Gli anni della formazione sono un capitolo che aspetta di essere scritto adeguatamente. E una particolare attenzione merita il profilo delle sue guide spirituali e dei principali discepoli che con lui hanno condiviso l’esistenza (in tale direzione metodologica andavano le ricerche di uno studioso del cappuccino di recente scomparso, lo scrittore Gennaro Preziuso). In una futura biografia del cappuccino un posto particolare dovrebbe essere dato anche alle figure ritenute “nemiche” del frate ricordando però la lezione di Alessandro Manzoni sull’impossibilità di una storia solo binaria, bianca o nera, con tagli e labbri netti. Così andrebbe “ripulito” il volto di Agostino Gemelli, in particolare da quei calcinacci che le fonti storiche stanno progressivamente rimuovendo. E un discorso analogo vale per altre personalità di recente meglio ricostruite (si pensi agli studi di Angelo Giuseppe Dibisceglia su alcune figure dell’arcidiocesi di Manfredonia). Tra le questioni a cui il futuro storico di padre Pio dovrebbe fare attenzione una sembra rivestire un valore particolare. La futura biografia di padre Pio dovrebbe consentire di osservare il cammino di crescita spirituale del cappuccino ed evitare l’insidia di una ricostruzione da “santità disincarnata”. Non è infrequente, in alcune biografie di santi, assistere a un’operazione oleografica che spoglia il personaggio della sua umanità. E che dunque non gli riconosce i tentennamenti e i debiti con la storia privandolo di quei limiti e di quei difetti con i quali si nasce e si muove. Per il timore di intaccarne la figura o per un approccio Il fratello atteso di FLAVIANO GIOVANNI GUSELLA* Era solito dire: «Nascondiamo tutto quello che può avere ombra di dono di Dio in noi, affinché non se ne faccia mercato. A Dio solo l’onore e la gloria». E a un sacerdote suo penitente, un giorno di Pasqua, confidava: «Ringraziamo il Signore e domandiamogli perdono, perché si è degnato dipermettere che la nostra miseria venisse a contatto con i suoi tesori di grazia». Attorno a lui si muoveva tutto un mondo; per le sue preghiere accadevano fatti straordinari, eppure tutto finiva nel silenzio; solo ne restavano beneficate le anime e glorificato il Signore. Nessun rumore, nessuna pubblicità. Sembrava che egli non si accorgesse di nulla e, realmente, non sapeva darsi ragione dell’accorrere della gente al suo confessionale. A un amico che gli faceva notare la cosa, con semplicità rispose: «Ma che colpa ne ho io se vengono con tanta fede e, per la loro fede, il Padrone Iddio li esaudisce? Che c’entro io?». Il 22 settembre 1940, a Padova, nella chiesa dei Cappuccini, padre Leopoldo Mandić celebrò il cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio. Era quasi al termine della sua esistenza. Sarebbe morto due anni dopo. Tenne il discorso gratulatorio monsignor Guido Bellincini, docente al seminario di Padova, direttore dell’Opera antoniana. Si tratta di un discorso prezioso per comprendere la stima, l’affetto e la venerazione che il clero padovano nutriva per padre Leopoldo e per avere una sintesi del suo ministero. Una rara e unica foto ritrae padre Leopoldo seduto in presbiterio, davanti all’altare, quasi sprofondato in una poltrona, con l’espressione di chi vorrebbe sprofondare del tutto. È evidente come stia “subendo” quella situazione. Lui, umilissimo, che voleva passare sulla terra «come un’ombra senza lasciar traccia di sé», appare in un atteggiamento di disagio e di confusione. Dopo aver riconosciuto a padre Leopoldo tre requisiti dell’ottimo confessore («mente addottrinata, cuore spirante l’immensa carità di Cristo, indole affabile e paziente») e aver elogiato la sua larghezza di cuore, monsignor Bellincini descrive la sua mansuetudine: «Incantevole pregio di un’anima morbida come il velluto. Si pensi a uno votato ininterrottamente al servizio altrui, a uno che per cinquant’anni, tutti i giorni, tutte le ore, sempre accogliente e sorridente, se ne sta chiuso in una cameretta, come in una specie di segregazione cellulare, resa di più monotona dal pesante biascicarsi al suo fianco di innumerevoli miserie; fate che in quest’uomo non si riesca mai a scoprire uno scatto di sdegno, un atto d’impazienza, un cenno di fastidio, una qualunque alterazione della pia voce sommessa, e si avrà in gran parte spiegato il segreto per cui padre Leopoldo ha guadagnato la fiducia di tante anime. E a sua lode bisogna subito aggiungere che questo felice temperamento non è interamente un prodotto di natura, bensì anche un frutto di virtù». Il venerabile cappuccino padre Mariano da Torino dedicò una delle sue apprezzate e seguite trasmissioni televisive a Leopoldo Mandić, il 12 aprile 1966, nella ricorrenza del primo centenario della sua nascita. Da come parla di lui si può supporre che abbia avuto modo d’incontrarlo, anche se non risulta dai documenti della vicepostulazione. Padre Mariano definì il confessore croato «il servo dei poveri peccatori, amico dell’umanità fragile, sofferente, peccatrice», sottolineando, in particolare, la sua capacità di accoglienza e di ascolto: «Un’accoglienza singolare da parte di quel vecchio cappuccino. Se anche avesse confessato tutta la giornata, per lunghe ore fosse stato nel confessionale, non aveva mai uno scatto d’impazienza, mai un atto di noia, e accoglieva sempre con un sorriso, come un fratello che attendeva da tanto tempo un caro fratello lontano: voleva abbracciarlo». La celletta confessionale di padre Leopoldo fu definita il “salottino della cortesia” per l’affabilità e la disponibilità con cui accoglieva i penitenti. Testimoniò un sacerdote: «Si andava da lui la mattina ed egli: “Si accomodi, si accomodi”, oppure “Eccomi, eccomi”, oppure, “Venga, venga”. Si andava da lui la sera, e sempre le stesse parole, la stessa dolcezza, lo stesso sorriso, dopo una giornata piena di confessioni». Disse “Eccomi, eccomi” anche al fratello che lo assisteva nell’ultima notte tra il 29 e 30 luglio 1942, che gli chiese di confessarlo. Papa Francesco ha affermato che «la confessione è lo stupore di incontrare qualcuno che ti sta aspettando. Dio è colui che ti “anticipa”. Lo stai cercando, ma Lui ti cerca per primo». Padre Leopoldo era proprio così. Con l’olio della misericordia sapeva medicare le ferite aperte e sanguinanti, senza infierire sulle anime doloranti, senza umiliarle inutilmente. Disse un giorno: «Perché dovremmo noi umiliare maggiormente le anime che vengono a prostrarsi ai nostri piedi? Non sono abbastanza umiliate? Ha forse Gesù umiliato il pubblicano, l’adultera, la Maddalena?». E poi — sottolineava ancora padre Mariano — l’ascolto: «Non tutti sappiamo ascoltare. Padre Leopoldo aveva tanta umanità nell’ascoltare i penitenti. Era qualche cosa di dolce per il penitente vedere quell’uomo che stava ad ascoltarlo con tanta bontà, a meno che non interrompesse con quel suo “Basta così”. Perché? Perché il resto lo sapeva lui. Quante volte le testimonianze sono sovrabbondanti su questo punto; padre Leopoldo “leggeva” nella coscienza; non c’era più bisogno di enumerare neppure peccati gravi, che già egli conosceva. Poi le parole che diceva, i consigli che dava. Erano poche parole, elementari, semplici; di quelle fondamentali ed essenziali, di quelle che danno una soluzione a un problema, che fanno prendere una decisione che lì per lì non si sapeva prendere e che risultava, poi, una volta presa, quella unica, quella felice. Si usciva alleggeriti dal peccato, ma anche contenti di essere stati compresi. Si era illuminati, si era stati amati da qualcuno, e anche ringraziati». Padre Leopoldo «sapeva distinguere molto bene tra peccato e peccatori. Il peccato era per lui, come deve essere, la cosa più brutta che può colpire l’uomo e il male più brutto, perché deturpa l’anima che è ciò che più vale nell’uomo, e offende Dio che è il Padrone dell’universo. Il peccatore è, invece, un uomo; è un uomo che ha toccato con mano la sua miseria e che, quindi, non deve essere mortificato, ma vivificato, e non può essere vivificato se non dalla misericordia di Dio. Padre Leopoldo era convinto che nessuno ha bisogno di un sorriso come colui che attende un sorriso di Dio per la sua anima. Era convinto che nessuno è bisognoso di tanta comprensione come colui che deve essere aiutato a trovare dentro se stesso, in fondo all’anima, quello che di buono ancora è rimasto». Albino Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I, incontrò padre Leopoldo una sola volta, giovanissimo sacerdote, a Belluno. Si era confessato da lui, durante gli esercizi spirituali, conservandone un dolce e vivo ricordo per tutta la vita. Il fratello Berto ha raccontato che dopo la sua morte, tra gli effetti personali che gli furono restituiti, c’era anche il suo portafoglio. Dentro, assieme alle foto dei suoi genitori, c’era un santino di Leopoldo Mandić. Padre Leopoldo — disse Luciani, allora patriarca di Venezia, in un’omelia pronunciata il 30 maggio 1976, pochi giorni dopo la beatificazione — «ha copiato fedelmente un aspetto di Gesù: scontro col peccato, incontro col peccatore. Accoglieva il peccatore proprio come un fratello, come un amico e per questo non pesava confessarsi da lui. Sapete, peccatori siamo tutti, lo sapeva benissimo. Bisogna prendere atto di questa nostra triste realtà: nessuno può a lungo evitare le mancanze, piccole o grandi. Però, diceva san Francesco di Sales, se tu troppo emotivo, si assiste a volte a una “disumanizzazione” del santo a cui non si riconosce l’incedere, a volte faticoso, sulle strade della vita. Con il rischio di privare i credenti di modelli cristiani capaci di parlare all’oggi: in simili biografie i santi divengono forse stelle bellissime da guardare, ma così poco umani e così poco corrispondenti alla storia. Alla loro storia fatta di giornate liete ma anche di fallimenti, di perdite di senso. Storia ricomposta gradualmente. Storia di ferite poi divenute feritoie di salvezza. Storia di uomini. Come ogni uomo anche padre Pio ha conosciuto i suoi dubbi, le sue ansietà. Anche lui si è dovuto affidare. Non si è trattato di un eroe greco. Anche lui — secondo una bella espressione desunta dagli scritti del monaco Andre Louf — ha imparato che la santità è un dono ricevuto a partire da «un’ascesi nella povertà e debolezza». La straordinarietà dei fenomeni non dovrebbe perciò cancellare le tracce di umanità. Anzi, le stimmate del cappuccino dovrebbero ricordare al credente che Dio si è coinvolto con la nostra carne. La storia di “san” Pio dovrebbe dunque essere anche storia dell’“uomo” padre Pio. E questo consentirebbe di poter “ridire la santità” di padre Pio. La sua vicenda così fortemente legata al corpo, al suo — stimmatizzato — e a quello di tanti ammalati — stimmatizzati in modo altro — ricorda proprio tale dato: la necessità di integrare la memoria devota con la memoria storica, anzi di fondare quella a partire da questa senza sottrarre il personaggio alla sua complessità. E, per il credente, comprendere una volta in più cosa significa che Dio si è fatto carne e si è raccontato in Gesù di Nazareth. hai l’asinello e, per strada, ti casca sul selciato, cosa devi fare? Mica vai là col bastone a spianargli le costole, poverino, è già abbastanza sfortunato. Bisogna che tu lo prenda per la cavezza e dica: “Su, riprendiamo la strada”. Aiutalo a tornare in strada. È cascato. Ma adesso riprendiamo il cammino, faremo più attenzione un’altra volta. Questo è il sistema e padre Leopoldo l’ha applicato in pieno». Mandić, abitualmente dolce e paterno con i suoi penitenti, diventava particolarmente energico quando constatava gravi colpe d’infedeltà coniugale. Sulla famiglia aveva idee limpide, sempre rapportata al piano di Dio creatore. La voleva impostata nell’amore, nell’unità, nei figli. Usava parole molto dure per i peccati contro l’amore, l’unità e la fedeltà, contro la prepotenza, la brutalità. Un giorno andò a confessarsi da lui un uomo sulla sessantina. Era un disgraziato che maltrattava orrendamente la moglie. A un tratto padre Leopoldo si alzò in piedi e disse per tre volte: «Lei è un delinquente». Quel tale si sentì offeso e invitò il confessore a ritirare le parole dette. Per tutta risposta, padre Leopoldo replicò: «Non ritiro niente di quanto ho detto, anzi lo confermo in nome di Dio». A tanta fermezza, quell’uomo rimase così profondamente colpito che si umiliò e disse: «Padre, lei ha ragione. Vedo anch’io che a operare in questo modo sono proprio un delinquente». Allora il padre lo confessò e lo rimandò consolato e trasformato. Così lo descrisse Papa Paolo VI nel giorno della beatificazione (2 maggio 1976): «Noi non abbiamo che da ammirare e da ringraziare il Signore che offre oggi alla Chiesa una così singolare figura di ministro della grazia sacramentale della Penitenza; che richiama la capitale importanza, di così attuale pedagogia, di così incomparabile spiritualità; e che ricorda ai fedeli, fervorosi o tiepidi e indifferenti che siano, quale provvidenziale e ineffabile servizio sia ancor oggi, anzi oggi più che mai, per loro la confessione individuale e auricolare, fonte di grazia e di pace, scuola di vita cristiana, conforto incomparabile nel pellegrinaggio terreno verso l’eterna felicità». *Rettore del santuario di San Leopoldo Mandić (Padova) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 3 febbraio 2016 Bilanci e prospettive in un’intervista al cardinale Braz de Aviz Dall’anno della vita consacrata al giubileo di NICOLA GORI D all’anno della vita consacrata al giubileo. Un passaggio segnato da una parola chiave: misericordia. È stato Papa Francesco in persona a suggerire questa prospettiva per il cammino futuro di tutti i consacrati e le consacrate del mondo. A rivelarlo è il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. In questa intervista al nostro giornale il porporato brasiliano traccia un bilancio e indica gli orizzonti di questo anno che si conclude con la messa celebrata dal Pontefice in San Pietro nel pomeriggio del 2 febbraio, festa liturgica della presentazione del Signore. tutto il mondo. Con l’arcivescovo segretario abbiamo compiuto molti viaggi nei cinque continenti, incontrando più di 300.000 consacrati. Abbiamo scoperto cose meravigliose. Non che non ce le aspettassimo; ma non sapevamo esattamente come in concreto i consacrati vivessero la loro vocazione. Ricordo anche la bellezza degli incontri mondiali che abbiamo celebrato a Roma. Ci siamo confrontati con le esperienze religiose di altre confessioni cristiane e con i giovani consacrati, poi con i formatori e le loro nuove esigenze. In questi giorni abbiamo celebrato l’ultimo simposio dell’anno, al quale hanno partecipato più di quattromila persone appartenenti a tutte le vocazioni e forme di vita consacrata. Vorrei aggiungere che questo quelli più difficili e importanti, come l’educazione, la sanità, le opere sociali. Ma si trovano anche a vivere su tante frontiere dove non è permesso nemmeno mostrare un segno cristiano all’esterno. Queste cose accentuano il cammino verso la misericordia. Guardiamo con speranza a quanto avviene nella vita consacrata in alcuni continenti, come l’Asia. Il Vietnam, per esempio, è il Paese dove c’è il maggior numero di vocazioni. In Corea ci sono centomila battezzati all’anno. Questo indica che ci sono delle presenze profonde, delle sensibilità importanti per la vita consacrata che dobbiamo accompagnare. L’Africa ha altre potenzialità. Ci sono ancora molte culture che devono essere illuminate dal cristianesimo e situazioni che devono essere cambiate, ma lo si può fare solo attraverso una testimonianza forte di vita cristiana. L’Africa è una speranza grandissima per le vocazioni e per il rinnovamento della società. In questo senso dobbiamo lavorare con gli africani. Anche in America latina si nota ancora un movimento vocazionale, anche se è sempre più presente la secolarizzazione. Vogliamo che per il futuro il dicastero non sia solo quello che accompagna nelle difficoltà ma in tutta la vita, soprattutto sostenendo quello che è necessario. In che modo il giubileo sta interpellando i consacrati? Nei luoghi in cui sono stato ho visto che l’anno della misericordia viene vissuto come un appello a riequilibrare il nostro rapporto con Dio. Egli è giudice, ma lo è di misericordia. Questa definizione esprime l’identità profonda di Dio. E noi dobbiamo trasformarla in coscienza personale e comunitaria. Il fatto che Dio usi misericordia con noi comporta che anche noi siamo chiamati a essere misericordia per gli altri. In questo senso, i nostri rapporti con gli altri cambiano molto. A che punto è la revisione del documento «Mutuae relationis» sui rapporti tra vescovi e religiosi? Sono stati raggiunti gli obiettivi che si proponeva l’anno della vita consacrata? Ho un senso profondissimo di gratitudine a Dio e a Papa Francesco per questo anno. È stato per noi come un tocco di grazia e ha rilanciato la speranza. Ci ha fatto guardare in modo positivo alla vita consacrata e anche ai problemi che ci sono: e si tratta di problemi reali, come l’invecchiamento o la mancanza di vocazioni in alcuni continenti. Abbiamo riscoperto che in fondo c’è una vocazione speciale che è parte integrante della Chiesa. Non è un’appendice, non è qualcosa di temporaneo che sta per terminare, ma è un dono di Dio alla comunità. Fin dalle origini è sempre stato così; e siamo sicuri che Dio continuerà a chiamare anche in tante forme nuove. Questo senso profondo di gratitudine e di speranza è importantissimo. anno ci ha dato la certezza di un cammino molto concreto che getta luci sulla formazione, sulla vita comunitaria, sull’autorità. Ora che l’anno si conclude è tempo di guardare al futuro. Che ulteriori sviluppi potrà avere questa esperienza? Durante un’udienza privata che io e il segretario del dicastero abbiamo avuto con Papa Francesco ci è stata data la risposta. Il Pontefice ci ha fatto notare la bella circostanza della chiusura dell’anno della vita consacrata che avviene all’interno dell’anno santo della misericordia. L’abbiamo interpretata come un’indicazione: camminare, cioè, verso la misericordia, quella che viene da Dio, quella che comprendiamo attraverso l’esperienza di Dio. Che cosa significa in concreto? Quali sono stati i momenti più significativi? In questo anno abbiamo avuto l’opportunità di uscire dalla semplice casistica giuridica sottoposta all’esame del dicastero e di andare incontro alla vita consacrata in Vuol dire che dobbiamo essere attenti: nella vita consacrata la misericordia di Dio deve arrivare alle persone. Già è così in tante situazioni, perché i consacrati operano in vari ambienti nella Chiesa, anche in Abbiamo fatto una consulta e stiamo lavorando insieme con l’Unione dei superiori maggiori e con l’Unione internazionale delle superiore maggiori. Si tratta di una collaborazione molto feconda. Il Papa ha definito i due principi centrali su cui lavorare: la spiritualità di comunione e la coessenzialità della dimensione gerarchica e di quella carismatica. Penso si debba vedere la relazione tra gerarchia e carismi nel senso della comunione. Nella spiritualità di comunione, infatti, le relazioni si completano e diventano vere, positive. E così si superano le difficoltà di rapporto. Il secondo principio è quello di rimettere in luce la coessenzialità della dimensione gerarchica e di quella carismatica, perché queste due dimensioni provengono dagli inizi della Chiesa. Lo Spirito Santo che parla nell’una e nell’altra dimensione non si contraddice. Questo ha delle conseguenze pratiche, come il bisogno di recuperare rapporti veri nella verità, nella misericordia e nella libertà. Dobbiamo ritrovare questa maturità per il bene della Chiesa. Ciò vuol dire che dobbiamo impegnarci molto di più nel cammino di comunione tra tutti gli istituti e tra gli istituti e le Chiese locali. Parlando di comunione, esiste una sensibilità ecumenica nei consacrati? Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice Mercoledì delle ceneri, 10 febbraio 2016 Messa a San Pietro presieduta da Papa Francesco INDICAZIONI Il 10 febbraio 2016, Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, alle ore 17, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco celebrerà la Santa Messa con il Rito di benedizione e imposizione delle Ceneri e l’Invio dei Missionari della Misericordia. Per la circostanza, l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice comunica quanto segue: Potranno concelebrare con il Santo Padre: — i Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi, che si troveranno, alle ore 16.30, nella Cappella di San Sebastiano in Basilica, portando con sé: i Cardinali e i Patriarchi la mitria bianca damascata, gli Arcivescovi e i Vescovi la mitria bianca; — i Missionari della Misericordia. Essi, muniti di apposito biglietto distribuito dal Ponti- ficio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, e portando con sé amitto, camice e cingolo, vorranno trovarsi al Braccio di Costantino entro le ore 15.30, per indossare le vesti sacre. — I Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi e tutti coloro che, in conformità al Motu Proprio «Pontificalis Domus», compongono la Cappella Pontificia e desiderano partecipare alla celebrazione liturgica senza concelebrare, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi alle ore 16.30 presso l’Altare della Confessione, per occupare il posto che verrà loro indicato. Città del Vaticano, 2 febbraio 2016 Mons. GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie Certo. Ed è anche molto grande: direi che ormai è un fattore acquisito. Pochi sono i casi in cui non si avverte questa sensibilità. In generale nella vita consacrata non c’è solo la dimensione ecumenica, ma è alimentata anche quella del dialogo interreligioso. Con la globalizzazione siamo venuti in contatto con le antiche culture e le grandi tradizioni religiose. I consacrati hanno accolto l’appello lanciato da Papa Francesco a conoscerci di più, volerci più bene, costruire insieme la pace, perché tutti quelli che lavorano per Dio lavorano per i valori umani. C’è anche il rapporto necessario con quelli che nella cultura attuale non sentono la dimensione della fede. Non possiamo dire che sono colpevoli: sono fratelli e sorelle con i quali si deve fare un cammino comune. La visione della Chiesa è sempre più aperta e i consacrati l’appoggiano e cercano di incarnarla. Qual è l’impegno dei consacrati in risposta alle gravi emergenze sociali del nostro tempo, come quella dei profughi e dei rifugiati? Rispondo con un esempio. Sono stato nella chiesa romana della Traspontina per il cinquantesimo dell’Unione internazionale delle superiore maggiori. Alla fine della celebrazione, sono state presentate due co- munità composte da dieci suore. Ciascuna di loro apparteneva a una congregazione e a una cultura diversa. Sono andate in Sicilia per essere vicine ai profughi. Queste sono iniziative che si stanno moltiplicando, nel segno dell’intercongregazionalità e dell’internazionalità. A Roma ci sono molti progetti sorti dopo l’appello di Francesco a favore dei profughi. Il Papa invita la società al dialogo, a comprendere certe situazioni e a farsi carico dei poveri. I consacrati stanno rispondendo con entusiasmo a questo appello. lo stregone comanda vita e morte, il Vangelo è luce. E la popolazione lo capisce. È questa la misericordia che ho constatato. Il giorno di Natale è arrivato alla missione il corpicino di una bambina di due anni a cui avevano tolto cuore, testa e mani: forse per alimentare il traffico di organi, o perché qualcuno ha detto che si doveva fare così. Questo ci ha colpito in un modo così forte che abbiamo capito veramente quanto bisogno ci sia del Vangelo e di consacrati che mostrino la luce di Dio. Può essere interpretato così il richiamo alla misericordia? Quali sono le novità del documento del dicastero «Identità e missione del fratello religioso nella Chiesa» presentato lo scorso dicembre? Nei rapporti intraecclesiali talvolta viene fuori un atteggiamento per cui si esige qualcosa dall’altro. Invece si cammina insieme molto di più nel rispetto e nell’apertura per l’altro. Questo è fondamentale. I consacrati non andrebbero in missione nei luoghi più difficili se non vivessero la misericordia. A Natale sono stato in una missione di Dombe, nella diocesi di Chimoio, in Mozambico. Ero accompagnato da tre suore che lavorano con me. Abbiamo visto come il Vangelo lì sia importante. Questa missione, che ha sessant’anni di vita, è stata distrutta dalla guerra, ma poi è stata riaperta. In un contesto culturale dove ancora si vendono le donne e i bambini, dove c’è il commercio degli organi e Questo documento ha mostrato come la consacrazione maschile non è in rapporto al sacerdozio ministeriale. Nel passato le congregazioni si sono molto concentrate su questo rapporto, tanto che la vocazione nella vita consacrata maschile era quella del sacerdote. Non è così. Il sacerdote è una vocazione ministeriale, ma la consacrazione maschile è basata sulla scelta che Dio fa della persona per la vita consacrata nei tre voti. È essenzialmente una vita fraterna e di comunione. Occorre ritornare a questa dimensione della fraternità. Stiamo ricevendo tanti riscontri di fratelli che non si sentono più come persone di seconda categoria. Questo sarà un motivo di tante altre consacrazioni. Nomine episcopali Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Canada, Grecia e India. Robert Bourgon, vescovo di Hearst (Canada) È nato il 10 marzo 1956 a Sudbury. Dopo gli studi primari e secondari a Creighton Mine e nel St. Charles College di Sudbury, si è iscritto alla Queen’s University e alla Western University, dove ha ottenuto il baccalaureato in psicologia e filosofia. È poi entrato nel seminario St. Peter di London, e presso la Saint Paul University (Ottawa) ha conseguito il master of divinity e il dottorato in diritto canonico. È stato ordinato sacerdote l’8 maggio 1981 per la diocesi di Sault Sainte Marie. Dopo l’ordinazione è stato vicario della parrocchia Holy Name of Jesus e assistente della pro-cattedrale di North Bay (1981-1983); parroco di St. Bartholomew di Levaci (19861992); parroco di St. François-Xavier di Cartier (1988-1996). Dal 1996 è di nuovo parroco delle parrocchie di Levaci, Cartier e di Bowling, fuse tra loro, e di Onaping, nella regione di Sudbury. Insieme con l’attività pastorale ha svolto anche incarichi amministrativi e curiali: dal 1984 al 1986 è stato “prestato” alle diocesi di London e all’arcidiocesi di Kingston per riordinare i tribunali diocesani. Nel 1990 è stato annoverato tra i membri del collegio dei consultori. Nel 1998 è stato nominato vicario giudiziale di Sault Sainte Marie e vicario giudiziale aggiunto del tribunale regionale di Toronto. Nel 2000 è stato nominato anche vicario episcopale per le materie spirituali e nel 2011 cancelliere. Dal 17 aprile 2012 è stato vicario generale della diocesi di Sault Sainte Marie. Manuel Nin, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia È nato il 20 agosto 1956 a El Vendrell, arcidiocesi di Tarragona (Spagna), dove ha compiuto gli studi primari e secondari. Entrato nel 1975 nel monastero benedettino di Monserrat per il noviziato, ha emesso la professione triennale il 26 aprile 1977 e la solenne professione monastica il 18 ottobre 1980. È stato ordinato sacerdote il 18 aprile 1998. Nella scuola teologica del monastero ha frequentato il biennio istituzionale filosofico (1977-1979) e i corsi di teologia (1979-1984). Trasferitosi a Roma, all’Augustinianum ha con- seguito prima la licenza (1987) e poi il dottorato (1992) in teologia e scienze patristiche, con l’edizione critica di testi siriaci di Giovanni il Solitario. Ha insegnato, tra l’altro, al Pontificio istituto liturgico e nell’istituto monastico del Pontificio ateneo Sant’Anselmo, alla Pontificia università della Santa Croce, al Pontificio istituto orientale e alla Pontificia università Gregoriana, ed è tuttora impegnato in una intensa attività didattica. Dal 1996 al 1999 è stato direttore spirituale del Pontificio collegio greco, di cui è stato nominato rettore il 29 giugno 1999, incarico rinnovatogli successivamente nel 2002, nel 2007, nel 2012 e nel 2015. Il 14 novembre 1999 è stato benedetto archimandrita della diocesi di Akko, Haifa, Nazaret e tutta la Galilea. In seno al suo ordine è stato primo assistente dell’abate presidente della congregazione sublacense-cassinese. È consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice e membro della commissione liturgica della Congregazione per le Chiese orientali. Autore di numerosi studi, dal 2008 è editorialista dell’Osservatore Romano. Christudas Rajappan ausiliare di Trivandrum dei Latini (India) È nato il 25 novembre 1971 ad Adimalathura, in arcidiocesi di Trivandrum dei latini. Ha completato gli studi filosofici e teologici nel Papal Seminary a Pune, poi ha conseguito un dottorato in missiologia presso la Pontificia università Urbaniana a Roma. È stato ordinato sacerdote il 25 novembre 1998 per l’arcidiocesi di Trivandrum dei latini. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: amministratore parrocchiale della St. Nicholas Church, Neerody (1998-1999); segretario del vescovo e cappellano del Jubilee Memorial Hospital & Catholic Hostel (1999-2001); direttore del Kerala Catholic Youth Movement (Kcym), Trivandrum (2000-2003); cappellano del Catholic Hostel (2001-2007); parroco alla St. Magdalene Church, Parthiyoor (2002-2004). Dal 2004 al 2009 ha compiuto gli studi per il dottorato a Roma. Quindi è stato direttore spirituale e docente al St. Joseph’s Pontifical Seminary, Alwaye (2010-2013). Dal 2013 è rettore del St. Vincent’s Seminary, Menamkulam, direttore del Board of Clergy & Religious e parroco della St. Thomas Aquinas Church, Kochuthura.