Ossservatore Romano 3 febbraio 2016

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Ossservatore Romano 3 febbraio 2016
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 26 (47.161)
Città del Vaticano
mercoledì 3 febbraio 2016
.
Vertice a Roma tra i Paesi della coalizione a guida statunitense
Intervista di Papa Francesco ad «Asia Times»
Strategia comune contro l’Is
Incontro
attraverso il dialogo
Proseguono a Ginevra i negoziati sulla crisi siriana
DAMASCO, 2. Mentre continuano i
negoziati a Ginevra per raggiungere
un accordo sulla transizione politica
in Siria, si apre oggi a Roma la conferenza dei Paesi della coalizione a
guida statunitense che combattono
contro i jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is). È salito intanto ad
almeno 71 il bilancio delle vittime
della strage rivendicata dagli uomini
di Al Baghdadi ieri a Damasco. Pesanti scontri sono segnalati anche
nell’area di Aleppo e Hama. E in
Iraq, nel solo mese di gennaio sono
morte almeno 850 persone in attentati e attacchi armati, secondo i dati
dell’Onu. Le vittime civili sono state
circa 490.
Il segretario di Stato americano,
John Kerry, ribadendo ieri a Ginevra
la posizione di Washington sulla crisi, ha duramente criticato il Governo
siriano anche per aver ostacolato le
operazioni umanitarie. Diversa la
posizione di Mosca, che continua a
sostenere Assad, considerandolo un
alleato chiave nella lotta all’Is. Secondo il Cremlino, insistere sull’immediata uscita di scena del presidente rappresenta inoltre un’aperta interferenza negli affari di uno Stato
sovrano.
L’offensiva diplomatica per la pace in Siria si sta muovendo su due
piani: quello intersiriano, con i negoziati tra Governo e ribelli in corso
a Ginevra; e quello più generale della lotta all’Is che riguarda anche
l’Iraq, la Libia e altri Paesi. Come
detto, a Roma sono giunti oggi tutti
i rappresentanti dei ventitré Paesi inseriti nelle operazioni sotto la guida
statunitense.
Il vertice alla Farnesina intende
trarre un bilancio delle attività
dell’anno passato per rafforzare e soprattutto accelerare lo sforzo collettivo. L’ipotesi che sarà al centro delle
discussioni è soprattutto quella di
un allargamento delle operazioni anche allo scenario libico, dove la minaccia dell’Is si fa sempre più concreta. Roma, tuttavia, è solo la prima tappa di una settimana fitta di
Le spoglie a Roma
Padre Pio
e Leopoldo Mandić
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appuntamenti: il 4 febbraio a Londra si riuniranno i Paesi donatori
per gli aiuti. A questo proposito,
l’Oxfam (confederazione di organizzazioni umanitarie molto attiva in
Siria) ha lanciato ieri un appello affinché vengano prese decisioni concrete per alleviare le sofferenze di
milioni di siriani. Nel 2015 — riferisce Oxfam — soltanto la metà delle
risorse necessarie per assistere le persone in Siria e nei Paesi vicini è stata
finanziata.
E intanto ieri il Governo siriano
ha dato il via libera all’ingresso di
aiuti umanitari in alcune città assediate, tra le quali Madaya, dove la
popolazione soffre ormai la fame.
Secondo quanto riferiscono fonti
delle Nazioni Unite, il gesto è stato
deciso anche per lanciare un segnale
di distensione ai partecipanti al dialogo a Ginevra.
Il regime di Damasco — dicono
fonti Onu — ha approvato il passaggio dei convogli verso Madaya, assediata dalle truppe di Damasco, e
verso Kafraya e Fuaa, circondate dai
ribelli, nel nordovest del Paese. In
quasi cinque anni di guerra il conflitto in Siria ha causato oltre trecentomila morti, dei quali la maggior
parte civili. Le persone costrette ad
abbandonare le proprie case sono
quasi quattro milioni.
Un campo profughi in territorio libanese (Ansa)
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Con la messa del Pontefice nella basilica vaticana
Si chiude l’anno
della vita consacrata
Né vincitori né vinti
WASHINGTON, 2. Hillary Clinton
vince a fatica, Trump sconfitto e
l’astro nascente Rubio. È questo il
bilancio, solo in parte inatteso, dei
caucus nell’Iowa, primo step della
lunga corsa alla Casa Bianca. È ancora presto per tracciare un bilancio
o fare previsioni, ma alcune linee di
fondo di queste primarie già sono
chiare: sarà una lotta durissima,
combattuta fino all’ultimo, tanto
per i repubblicani quanto per i democratici.
La favorita Clinton, ex first lady,
è riuscita a vincere con fatica contro
l’outsider Bernie Sanders, senatore
del Vermont, dopo molte ore di sostanziale pareggio. Alla fine dopo il
conteggio del novanta per cento dei
voti, il team di Clinton ha dichiara-
to la vittoria. In alcuni collegi elettorali per decidere il vincitore si è
fatto ricorso — come da tradizione
— al lancio della monetina: in sei di
questi la fortuna ha baciato Clinton. Sanders ha messo in dubbio il
risultato e chiesto al partito il conteggio voto per voto. Dunque, la
vera sfida sembra rinviata. Il testa a
testa tra i due candidati è destinato
ad animarsi ancor di più nei prossimi mesi, almeno fino a quando non
saranno chiamati ad esprimersi gli
Stati più grandi.
In campo repubblicano il senatore conservatore del Texas, Ted
Cruz, ha battuto il favorito Donald
Trump: il 28 per cento delle preferenze contro il 24. Non è una sorpresa: il miliardario Trump era con-
sapevole di non avere una grande
platea di sostenitori nell’Iowa, Stato
tradizionalmente conservatore e nel
quale Cruz aveva mobilitato un’autentica “macchina da guerra” con
migliaia di sostenitori.
Ma la vera sorpresa del voto è
stato Marco Rubio, senatore della
Florida, che qui non era dato tra i
favoriti e puntava solo a limitare i
danni. Invece è arrivato terzo a una
manciata di voti da Trump, ottenendo un buon 23 per cento. Ed è
proprio su Rubio che ora si concentra l’attenzione dei media: potrebbe
infatti essere lui l’uomo nuovo su
cui i finanziatori e la leadership del
partito potrebbero decidere di puntare per uscire dall’alternativa tra
Cruz e Trump.
Un esperimento rischioso
di LAURA PALAZZANI*
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Per Francesco il mondo occidentale e quello orientale hanno «la
capacità di mantenere l’equilibrio
della pace e la forza per farlo». A
patto che si metta da parte la paura (che non è mai «un buon consigliere») e si accetti la «sfida» del
dialogo.
Nell’intervista il Papa parla anche del fenomeno della denatalità e
invita i cinesi a «riconciliarsi con la
propria storia» attraverso un atteggiamento di «misericordia» verso
se stessi. In conclusione il Pontefice invia i «migliori auspici e saluti
al presidente Xi Jinping e a tutto il
popolo» in occasione del nuovo
anno cinese che ha inizio l’8 febbraio.
Il verdetto dei primi caucus negli Stati Uniti
Autorizzati in Gran Bretagna l’uso e la distruzione di embrioni umani
n Gran Bretagna la Human Fertilisation and
Embryology Authority ha autorizzato i ricercatori del Francis Crick Institute a utilizzare
la tecnica gene-editing su embrioni umani congelati. È la tecnica detta del “taglia e cuci” applicato
a embrioni umani, che consentirebbe, con maggiore efficienza e precisione rispetto a tecnologie
precedenti, di intervenire sul genoma, eliminando
o disattivando geni “difettosi”. In Cina la tecnica
è stata sperimentata un anno fa per la prima volta, per prevenire la talassemia. In Gran Bretagna i
ricercatori si propongono di studiare quali sono i
geni che ostacolano o impediscono lo sviluppo
embrionale, per “correggerli”.
Non si può sottovalutare l’interesse scientifico
di questa ricerca: aumentare le conoscenze embriologiche dei primi giorni di vita, studiare le
cause genetiche dell’infertilità e di aborti spontanei, tuttora sconosciute. Il problema etico riguarda i mezzi: l’uso e la distruzione di embrioni
umani. Si riapre infatti la domanda che la bioetica si sta ponendo già da decenni: gli embrioni sono mucchi di cellule o soggetti umani sin dall’inizio della loro esistenza? La ricerca scientifica, il
possibile (nemmeno certo) aumento delle conoscenze giustifica la distruzione di esseri umani,
seppur all’inizio — ancora impercettibile a occhio
nudo — del loro percorso di sviluppo? Un percorso che li porterebbe a nascere, se non fossero usa-
I
Papa Francesco confessa la propria
«ammirazione» per la Cina e per il
suo popolo. «Per me è sempre stata un punto di riferimento di grandezza, un grande Paese, ma più
che un Paese, una grande cultura
con una saggezza inesauribile» racconta a Francesco Sisci, che lo ha
intervistato per il quotidiano on line in inglese «Asia Times».
Richiamando l’esperienza del
missionario gesuita Matteo Ricci, il
Pontefice afferma che oggi «è necessario entrare in dialogo con la
Cina», una terra «benedetta da
molte cose». E la Chiesa cattolica
— aggiunge — «ha il dovere di rispettare con la r maiuscola» una
civiltà come quella cinese, che rappresenta «una sintesi di saggezza e
di storia».
ti per la sperimentazione e fossero loro garantite
le condizioni indispensabili per l’esistenza.
Un paradosso: per prevenire aborti spontanei e
infertilità, dunque per aumentare le chance di sviluppo degli embrioni e per far nascere più bambini nel futuro, si distruggono embrioni oggi.
Certo, gli embrioni utilizzati sono quelli congelati, avanzati dall’uso delle tecnologie riproduttive. Embrioni che avrebbero comunque un futuro
incerto, soprattutto in Gran Bretagna, dove vengono periodicamente eliminati perché considerati
un costo sociale. Ma, anche se “residui”, sono
sempre embrioni umani: il loro statuto ontologico
non cambia.
Gli sperimentatori britannici cercano legittimazione dicendo che si tratta di una ricerca di base,
la quale nulla avrebbe a che vedere con la selezione eugenetica di embrioni umani e la produzione
di bambini “su misura”. Ma la connessione c’è:
una volta scoperta la modalità per identificare i
geni responsabili di aborti spontanei e della infertilità, tale identificazione potrebbe essere usata
per “scartare” embrioni malati nell’ambito della
procreazione assistita e impiantare solo gli embrioni sani. Oppure si potrebbe usare per prevenire la malattia, mediante sostituzione di geni “difettosi”: ma si tratta di un’ipotesi molto futuribile,
e poco praticabile. Gli stessi scienziati sono consapevoli che interventi correttivi di questo genere
possono provocare mutazioni inaspettate in un’altra parte del genoma, mutazioni anche trasmissibili geneticamente ai discendenti e si impegnano
a non trasferire gli embrioni in utero. Ma questo
non è eticamente sufficiente per legittimare l’esperimento: prima di tutelare le generazioni future, si
devono tutelare le generazioni presenti.
E che fine ha fatto la moratoria sottoscritta da
molti scienziati dopo l’esperimento cinese, con
appelli anche su riviste scientifiche come «Science» e «Nature»? Si chiedeva la sospensione momentanea di una tecnologia che suscitava forti
preoccupazioni nella comunità scientifica. Preoccupazioni che però non hanno impedito, in questo caso, l’autorizzazione di un esperimento insicuro, incerto, rischioso. Un esperimento, oltretutto, i cui risultati non consentirebbero comunque
di prevenire radicalmente i “difetti genetici”, perché molte malattie sono causate da cambiamenti
epigenetici.
L’argomento sta suscitando un dibattito internazionale globale: è indispensabile, oggi, a fronte
della forte pressione proveniente dal mondo
scientifico e industriale verso l’avanzamento delle
conoscenze, richiamare la necessità di un tempo
per la riflessione etica. Una riflessione equilibrata
che sappia identificare i percorsi di prudenza e
saggezza per conciliare le esigenze della ricerca e
dell’avanzamento della conoscenza con il primato,
riconosciuto in molti documenti internazionali,
dell’essere umano, non riducibile a oggetto.
*Vicepresidente del Comitato nazionale italiano
per la bioetica
«La presentazione di Gesù al Tempio» (XII secolo)
Nel segno della preghiera e della gratitudine si chiude l’anno della vita
consacrata, apertosi il 30 novembre 2014. Papa Francesco presiede nella
basilica vaticana la celebrazione eucaristica nel pomeriggio del 2 febbraio,
festa della presentazione del Signore, insieme con migliaia di consacrati e
consacrate che celebrano la loro giornata mondiale.
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NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia all’ufficio di Vescovo
di Moosonee e Hearst (Canada), Diocesi unite in persona
Episcopi, presentata da Sua Eccellenza Monsignor Vincent
Cadieux, O.M.I., in conformità
al canone 401 §1 del Codice di
Diritto Canonico.
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
dell’Esarcato Apostolico per i
cattolici di rito bizantino in
Grecia, presentata da Sua Eccellenza Monsignor Dimitrios
Salachas, in conformità al can.
210 § 1 del Codice dei Canoni
delle Chiese Orientali.
Provviste di Chiese
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo della Diocesi di Hearst
(Canada) e Amministratore
Apostolico della Diocesi di
Moosonee il Reverendo Monsignore Robert Bourgon, finora
Vicario Generale della diocesi
di Sault Sainte Marie.
Il Santo Padre ha nominato
Esarca Apostolico per i cattolici
di rito bizantino in Grecia il Reverendo Archimandrita Manuel
Nin, O.S.B., finora Rettore del
Pontificio Collegio Greco in Roma, elevandolo in pari tempo alla Sede Titolare Vescovile di
Carcabia.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato
Ausiliare dell’Arcidiocesi di Trivandrum dei Latini (India) il
Reverendo Christudas Rajappan, Rettore del St. Vincent’s Seminary della medesima Arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Avitta Bibba.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 3 febbraio 2016
La Union Jack sventola di fronte alla sede
della Commissione Ue a Bruxelles (Ansa)
Chiesto il rispetto delle normative per il salvataggio degli istituti
Draghi preme per la garanzia europea
delle banche
FRANCOFORTE, 2. La ripresa prosegue, moderata, ma i rischi sono di
nuovo aumentati a causa delle incertezze sui mercati emergenti. Un quadro che preoccupa e che, con l’inflazione più bassa delle attese, spingerà
la Banca centrale europea (Bce) ad
agire con interventi speciali già a
marzo. Questo il quadro delineato
ieri dal presidente dell’istituto di
Francoforte, Mario Draghi, nell’ultima riunione del Board e ribadito poi
davanti al Parlamento europeo a
Strasburgo.
Nei due interventi Draghi ha toccato soprattutto la questione bancaria, al momento molto discussa a
Bruxelles. L’architettura messa in
piedi finora, cioè le misure di supervisione e risoluzione unica per gli
istituti in difficoltà, deve essere applicata «con coerenza» — ha detto
Draghi — soprattutto le norme del
cosiddetto bail-in, ovvero la procedura del salvataggio di una banca
“dall’interno”, da attuare tramite le
risorse dell’istituto in situazione di
dissesto (azionisti, correntisti, obbligazionisti) e non attraverso l’azione
di agenti esterni come lo Stato (in
tal senso, è l’inverso del bail-out, cioè
la “garanzia esterna”). Il bail-in è disciplinato da una direttiva europea
sul risanamento e la risoluzione delle
banche, proposta dalla Commissione
Ue come cornice normativa in cui
realizzare l’unione bancaria. Si tratta
— dicono gli esperti — di una delle
riforme più importanti adottate
dall’Europa per evitare la deflagrazione di una nuova crisi finanziaria
all’interno dell’unione monetaria.
«Per rendere il nostro sistema finanziario davvero sicuro» ha spiegato
Draghi, bisogna «assicurare l’adeguata applicazione delle disposizioni
sul bail-in della direttiva europea»
che lo ha fatto nascere. Un tasto dolente per alcuni Paesi, tra i quali
l’Italia, con il Governatore della
Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ne
ha chiesto la revisione.
Draghi ha poi chiesto che l’unione bancaria sia completata con la
realizzazione del “terzo pilastro”,
cioè l’assicurazione comune sui depositi. Parlando agli eurodeputati, il
presidente della Bce ha spiegato che
da dicembre «le condizioni sono
cambiate» come dimostrano anche le
difficoltà delle Borse. In primo luogo, «le dinamiche dell’inflazione sono più deboli di quanto atteso».
Inoltre «è in corso una ripresa moderata guidata dalla domanda interna, ma i rischi al ribasso sono di
nuovo aumentati per l’incertezza sulle prospettive di crescita delle economie emergenti, volatilità dei mercati
e rischi geopolitici». È per questo
che «nell’ultimo meeting a gennaio
abbiamo deciso di rivedere e forse
riconsiderare la nostra politica monetaria». Draghi ha poi difeso le
mosse finora intraprese dal suo istituto: «Se non avessimo agito, l’eurozona sarebbe stata in conclamata deflazione nel 2015 e la crescita sarebbe
dell’un per cento più bassa» ha spiegato rispondendo alle recenti criti-
che sulla strategia anticrisi portata
avanti negli ultimi anni. A tal proposito, Draghi ha voluto sottolineare
che Francoforte «non può fare tutto
da sola perché per far diventare
strutturale una ripresa ciclica occorrono altri fattori». E in primis l’azione dei Governi che debbono contribuire con riforme strutturali. «Le
politiche di bilancio — ha detto Draghi — dovrebbero contribuire alla ripresa. Allo stesso tempo, dovrebbero
rispettare pienamente i requisiti del
patto di stabilità. Questo è importante per mantenere la fiducia nel
quadro di regole Ue». E tendere a
politiche pro-crescita si può fare attraverso «una maggiore efficienza
dei servizi del settore pubblico e
muovendo verso un sistema fiscale
più orientato alla crescita».
Su un piano più generale, per dare un segnale della coesione europea
che oggi «viene indubbiamente testata», Draghi ha auspicato poi che
si trovi un accordo che tenga la
Gran Bretagna «saldamente ancorata
alla Ue, e consenta all’eurozona di
integrarsi di più».
Il presidente della Bce Mario Draghi (Epa)
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Aperture dell’Ue
sulle richieste di Londra
LONDRA, 2. Potrebbe essere quella
di oggi la giornata decisiva per arrivare all’accordo tra l’Unione europea e la Gran Bretagna. Come
noto, in discussione sono le riforme chieste da Londra su alcuni capitoli delle relazioni con Bruxelles
prima del referendum sulla cosiddetta Brexit, la possibile uscita
dall’Unione.
Dopo due giorni di prolungamento dei colloqui tra il primo ministro britannico, David Cameron,
e il presidente del Consiglio euro-
Castro incontra Hollande all’Eliseo
Francia e Cuba
avviano la cooperazione economica
PARIGI, 2. Il presidente cubano,
Raúl Castro, è a Parigi per la prima
visita ufficiale di un capo di Stato
del Paese centroamericano in Francia, desiderosa di approfittare delle
opportunità che si aprono a Cuba
con la normalizzazione dei rapporti
diplomatici con gli Stati Uniti e la
comunità internazionale.
I colloqui all’Eliseo tra Castro e
il presidente francese, François
Hollande, sono tutti incentrati sulla
cosiddetta “diplomazia economica”
e sulla volontà di costruire un rapporto di fiducia in questo ambito,
appoggiandosi anche sull’accordo
trovato il 12 dicembre scorso tra
Cuba e il Club di Parigi per la ristrutturazione di 16 miliardi di dollari di debito, su cui L’Avana aveva
dichiarato default nel 1996.
Un accordo in cui la Francia ha
proposto di tramutare la maggior
parte del suo credito, 360 milioni di
euro, in progetti di sviluppo in territorio cubano con la partecipazione di aziende francesi. L’incontro
tra Hollande e Castro — indica «Le
Monde» — ha permesso di stilare
una roadmap per questi futuri progetti, a partire dall’installazione di
un’antenna dell’Agenzia francese
per lo sviluppo all’Avana.
Tra i settori che dovrebbero essere coinvolti nei futuri progetti ci sono le infrastrutture, i trasporti pub-
blici e la raccolta e gestione di rifiuti urbani, con il concorso di
aziende come il gestore ferroviario
Sncf, che avrebbe già lanciato un
esame preliminare delle ferrovie esistenti sull’isola, o il gruppo petrolifero Total, pronto a fornire catrame
e asfalto per le strade.
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Hollande e Castro entrano all’Eliseo (Ansa)
L’Osa tenta una mediazione ad Haiti
PORT-AU-PRINCE, 2. Sono improntate a ottimismo le prime dichiarazione della delegazione dell’O rganizzazione degli Stati americani
(Osa) arrivata ad Haiti ieri per mediare nella crisi politica del Paese
che ha portato il mese scorso
all’annullamento delle elezioni presidenziali. Il capo delegazione
dell’Osa, il rappresentante di Antigua e Barbuda, Ronald Sanders,
ha definito molto costruttivi i colloqui già avuti con il presidente
haitiano, Michel Martelly, che non
può ricandidarsi in base alla Costi-
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
dentale a sbarcare nel Paese centroamericano dopo l’inizio della
normalizzazione dei rapporti con
l’Amministrazione di Washington.
Oggi Castro si recherà al Musée
de l’Homme, appena riaperto, e
avrà un colloquio con il segretario
generale dell’Unesco, Irina Bokova.
Per sbloccare la crisi politica seguita all’annullamento delle elezioni
Partita dal Brasile, l’epidemia si
sta rapidamente diffondendo in tutto il continente americano. L’ultima
allerta riguarda Costa Rica e Nicaragua. Ma la paura è un po’ ovunque.
Intanto, in Brasile, il presidente,
Dilma Rousseff, ha firmato una misura provvisoria che autorizza l’accesso forzoso agli immobili in presenza di potenziali focolai larvali di
Aedes aegypti, la zanzara responsabile della trasmissione del virus. Il
Governo ha poi ha suggerito alle
donne incinte di non viaggiare in
Brasile per le Olimpiadi del 2016.
GIOVANNI MARIA VIAN
La predominanza dei temi economici nell’incontro tra i due presidenti — indicano gli analisti — è
stata fin da subito evidente, visto il
clima di fiducia su questo fronte instauratosi tra Parigi e L’Avana fin
dalla visita a Cuba di Hollande, nel
maggio scorso, primo leader occi-
peo, Donald Tusk, quest’ultimo ha
presentato stamane un testo di intesa che tiene in parte conto dei
dubbi avanzati dall’interlocutore.
«La linea che non ho varcato sono
i principi sui quali si fonda il progetto europeo», spiega Tusk nella
lettera allegata ai documenti. Sulle
questioni in qualche modo legate
al flusso di profughi e migranti,
Tusk scrive che «sui benefici sociali
e sulla libertà di movimento, dobbiamo rispettare pienamente i Trattati in vigore, in particolare i principi della libertà di movimento e di
non discriminazione. Quindi la soluzione proposta per venire incontro alle preoccupazioni del Regno
Unito si basa sul chiarimento
dell’interpretazione delle regole in
vigore, ivi inclusa una bozza di dichiarazione della Commissione su
una quantità di questioni connesse
a una migliore lotta contro gli abusi della libertà di movimento».
C’è anche una parziale apertura
sulla richiesta britannica di un potere di blocco nei confronti del
Parlamento europeo. Non si tratta,
comunque, di un vero e proprio diritto di veto nazionale, ma di un
meccanismo in base al quale il voto
contrario di almeno il 55 per cento
di tutti i Parlamenti dei Paesi
dell’Ue può annullare una norma
approvata a Strasburgo.
Tensione
sui migranti
tra Italia
e Unione europea
Epidemia di Zika
emergenza planetaria
GINEVRA, 2. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha decretato l’epidemia di Zika — che genera
gravi malformazioni fetali nelle donne incinte — emergenza planetaria.
L’annuncio è stato dato ieri a Ginevra al termine di una riunione
straordinaria del comitato di esperti.
Non è la prima volta che l’O ms
dichiara lo stato di emergenza sanitario mondiale per un virus. Era infatti già accaduto nel 2009 per la
pandemia dell’influenza suina e nel
2014 nei confronti di ebola e della
poliomielite.
Si profila un’intesa nei colloqui tra Tusk e Cameron
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tuzione, e con quelli del Senato e
della Camera dei deputati, Jocelerme Privert e Cholzer Chancy.
Oggi sono previsti colloqui della
delegazione dell’Osa anche con
l’opposizione haitiana che peraltro
ha più volte accusato l’organismo
continentale di parzialità a favore
del Governo e del suo candidato
alla presidenza Jovenel Moïse. In
particolare viene contestata la decisione degli osservatori dell’Osa di
aver ritenuto validi i risultati del
primo turno delle elezioni, tenuto
il 25 ottobre, a giudizio dell’oppo-
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
sizione viziato invece da frodi massicce. La commissione elettorale,
all’epoca aveva assegnato una maggioranza relativa a Moïse contro
Jude Célestin, il candidato dell’opposizione che aveva ribadito l’accusa di brogli e aveva annunciato che
non avrebbe partecipato al ballottaggio. Questo era stato fissato per
il 24 gennaio, ma il voto è stato sospeso a tempo indeterminato da
parte del Consiglio elettorale provvisorio, che aveva fatto riferimento
alla grave mancanza di sicurezza
nel Paese.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
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BRUXELLES, 2. Mentre nel Mediterraneo si continua a morire — questa mattina sono stati recuperati i
cadaveri di nove migranti, di cui
due bambini, al largo della Turchia
— emergono nuove tensioni sulla
strategia comune dell’Unione europea. «L’Italia non accetta provocazioni, non prendiamo ordini dai
burocrati di Bruxelles» ha detto ieri il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, a dimostrazione
del clima di tensione tra Palazzo
Chigi e la Commissione Ue.
Il punto nodale riguarda ancora
una volta la gestione dell’emergenza immigrazione e, nello specifico,
i fondi alla Turchia. Ieri Bruxelles
ha accettato il principio che le spese per Ankara vengano sostenute
dai Paesi membri, ma senza essere
conteggiate nel deficit. La stessa
cosa aveva chiesto più volte l’Italia.
Resta infatti ancora l’incognita
della cosiddetta “clausola migranti”
ovvero il margine di flessibilità (fissato allo 0,2 per cento del pil) che
gli Stati possono spendere per
l’emergenza senza che il deficit aumenti. L’Italia sostiene che questo
margine debba corrispondere ad almeno tre miliardi di euro. La Commissione non si è ancora espressa,
ma voci riportate dalla stampa non
escludono che possa aprirsi una
procedura d’infrazione. «Se vorranno aprire una procedura, che facciano pure» ha replicato ieri Renzi.
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mercoledì 3 febbraio 2016
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Non si fermano i combattimenti a Bengasi
Diplomazia internazionale
alla prova libica
TRIPOLI, 2. L’incubo del jihadismo e
la necessità di trovare una soluzione
politica alla crisi sono gli obiettivi
centrali dell’azione della diplomazia
internazionale in Libia. Il segretario
di Stato americano, John Kerry, ha
incontrato oggi a Roma, in occasione del vertice internazionale sulla
lotta al cosiddetto Stato islamico
(Is), i colleghi italiano e qatariota,
Paolo Gentiloni e Al-Thani, insieme
all’inviato speciale dell’Onu Martin
Kobler. Il colloquio — non sono stati forniti dettagli ulteriori — ha voluto mettere nero su bianco le azioni
da intraprendere per chiarire lo scenario libico e agevolare la formazione del Governo di unità nazionale
come stabilito dagli accordi siglati in
Colpi di mortaio
contro il palazzo
presidenziale
di Mogadiscio
MO GADISCIO, 2. Un bambino è
stato ucciso e sei persone, ieri, per
il lancio di obici di mortaio contro
villa Somalia a Mogadiscio, il
complesso che ospita il palazzo
presidenziale e gli uffici del Governo e del Parlamento. Ci sono
pochi dubbi sul fatto che l’obiettivo del bombardamento fosse appunto villa Somalia. Tuttavia, altri
cinque obici si sono abbattuti anche sui popolosi distretti circostanti, colpendone gli abitanti, tra
i quali appunto il bambino ucciso.
Le autorità locali attribuiscono
l’attacco ai ribelli radicali islamici
di Al Shabaab, dai quali peraltro
non sono giunte rivendicazioni. In
ogni caso, le milizie di Al Shabaab hanno più volte sferrato attacchi armati, oltre ad attentati
terroristici, anche a Mogadiscio.
Le milizie furono costrette a lasciare la capitale in seguito all’intervento armato dell’Etiopia che
rovesciò le corti islamiche all’epoca al Governo della capitale somala. Obiettivi degli attacchi di Al
Shabaab, di solito rivendicati, sono sempre stati i rappresentanti
delle nuove istituzioni somale,
quelli dei Paesi stranieri che le sostengono e gli stessi contingenti
dell’Amisom,
la
missione
dell’Unione africana in Somalia.
L’ultimo attacco di Al Shabaab a
Mogadiscio, che aveva provocato
oltre venti morti, è avvenuto dieci
giorni fa contro un complesso alberghiero sul lungomare frequentato da funzionari governativi e
rappresentanti di società straniere.
Pochi giorni prima, Al Shabaab
aveva inflitto un duro colpo al
contingente kenyano dell’Amisom
con un attacco alla base di El
Ade, nella località sudorientale di
Ceel Cado, al confine appunto
con il Kenya, costato la vita a oltre sessanta soldati di Nairobi.
L’azione di Al Shabaab contro
l’Amisom si è intensificata negli
ultimi anni, dopo che nella missione sono stati incorporati i contingenti kenyani. Proprio l’intervento del Kenya costrinse Al Shabaab al ritiro da Chisimaio, seconda città e secondo porto del Paese, il cui controllo aveva mantenuto per anni anche dopo essere stata costretta a lasciare Mogadiscio.
E da allora il Kenya è diventato
per Al Shabaab il principale bersaglio fuori dai confini nazionali,
soprattutto con un’intensificazione
di attentati terroristici.
Marocco sotto l’egida dell’Onu. È
stato concordato di sollecitare il consiglio presidenziale libico a definire
un Governo entro l’8 febbraio.
E mentre la diplomazia continua
a discutere, nel Paese si registrano
nuove violenze. Combattimenti si
sono registrati ieri sera nel quartiere
Bouatni di Bengasi. Il portavoce
dell’esercito libico, il colonnello Milud al Zaoui, ha spiegato che «sono
scoppiati violenti scontri con i terroristi» del cosiddetto Stato islamico
(Is). «I nostri caccia ed elicotteri
hanno compiuto una serie di attacchi contro le loro postazioni nel
quartiere di Bouatni. I combattimenti sono ancora in corso». Il bilancio
provvisorio è di almeno tre morti. Si
Tre miliziani uccisi in un’operazione dell’esercito
Cresce in Tunisia
la minaccia jihadista
ha inoltre notizia di un ordigno
esploso in un’abitazione dove si trovavano diversi terroristi.
La crisi libica ha radici molto profonde. Da alcuni anni il Paese è diviso in due entità separate. Da una
parte vi è un Parlamento eletto nel
giugno 2014 con sede a Tobruk e
che opera nell’area orientale, la Cirenaica; dall’altra un’amministrazione
sostenuta da gruppi islamisti che governa la capitale, Tripoli, e che controlla gran parte delle regioni occidentali. Nel mezzo vi sono le milizie
di Misurata e di Zintan, che sostengono rispettivamente Tripoli e Tobruk, e una miriade di gruppi armati
che seguono agende locali e stringono alleanze mutevoli. A complicare
questo scenario ci sono i militanti
armati fedeli ad Al Qaeda e i miliziani dell’Is, che controllano importanti centri del Paese. Lo scorso dicembre,
grazie
alle
pressioni
dell’Onu, era stato siglato un accordo a Skhirat, in Marocco, per la formazione di un Governo di unità nazionale. L’accordo, tuttavia, deve ancora essere realizzato.
Kerry discute con il rappresentante Ue Mogherini nel summit sulla Libia a Roma (Afp)
Uccisi venti agenti di polizia
Kabul nella morsa talebana
TUNISI, 2. Due notizie giunte a
breve distanza l’una dall’altra ieri
dalla Tunisia confermano la crescente minaccia del terrorismo jihadista nel Paese. In un’operazione
condotta ieri sera dall’esercito e
dalla guardia nazionale a Zaltan,
nei pressi dei rilievi di Matmata,
nel governatorato meridionale di
Gabes sono stati uccisi tre miliziani
jihadisti e ne sono stati feriti e catturati un numero imprecisato di altri. Secondo la stampa locale,
l’operazione, condotta anche con
l’appoggio di elicotteri, sarebbe
stata lanciata contro una formazio-
ne affiliata al cosiddetto Stato islamico i cui miliziani si sarebbero introdotti nel Paese attraversando il
confine con la Libia.
Poche ore prima, il ministero
dell’Interno tunisino aveva comunicato che unità di sicurezza hanno
scoperto a Monastir una cellula
jihadista, denominata Khaliyet Ahl
El Hakk (cellula della gente della
verità). L’indagine di polizia che
ha condotto alla scoperta era stata
aperta in seguito a sospetti emersi
riguardo a una lite tra due apprendisti di un centro di formazione
professionale.
Dieci miliardi di euro per rafforzare la cooperazione con il continente
Tokyo e la sfida africana
TOKYO, 2. A conferma di un aumento dell’impegno del Giappone
nella cooperazione con l’Africa, Tokyo ha annunciato che quest’anno
organizzerà a Nairobi il 27 e il 28
agosto una conferenza internazionale per lo sviluppo del continente nero (Ticad, nell’acronimo in inglese).
Il portavoce del Governo giapponese, Yoshihide Suga, nell’annunciarlo, ha sostenuto che «il Governo
e il settore privato concorreranno ad
assicurare il successo dell’iniziativa e
della nostra presenza nel continente
africano». Sembra previsto un significativo aumento dei fondi stanziati
dal Giappone. Gli aiuti di Tokyo al
continente africano nel 2013, ultimo
anno con dati certi, ammontarono a
2,3 miliardi di euro, mentre per i
prossimi cinque anni il Governo
giapponese si è detto pronto a investire in progetti di cooperazione una
cifra pari a 10,6 miliardi di euro.
Più significativi — dicono gli analisti — sembrano gli obiettivi strettamente commerciali del Giappone,
che guarda all’Africa per importare
risorse energetiche e minerarie, mentre punta a esportare macchinari e
beni di largo consumo. L’iniziativa
giapponese è dichiaratamente mirata
a contrastare la forte influenza in
Africa della Cina, diventata fin dal
2009 il principale partner delle economie locali tanto da accaparrarsi il
13,5 per cento del commercio estero
totale del continente, contro il 2,7
per cento del Giappone. A questo
scopo, tra l’altro, nei mesi scorsi il
primo ministro giapponese, Shinzo
Abe, ha intrapreso numerosi viaggi
nei Paesi emergenti.
Nel quadro specifico dell’aiuto allo sviluppo rientrano anche gli stanziamenti decisi dall’Unione europea
in favore del Ghana. Nel 2015
l’Unione ha fornito 190 milioni di
euro di sovvenzioni al Governo di
Accra destinati a finanziare diversi
obiettivi di sviluppo.
L’obiettivo quest’anno è trovare
una soluzione soprattutto alla piaga
della disoccupazione nel Paese africano e a sostenere i giovani ghanesi
nella formazione professionale. Il
nuovo stanziamento — per complessivi 31,6 milioni di euro — è infatti
destinato specificamente a sostenere
i programmi del ministero del Lavoro di Accra. Nel dettaglio, i fondi
europei al Ghana saranno utilizzati
in quattro aree specifiche: il programma nazionale per l’occupazione
(Nep); la formazione tecnica e professionale (Tvet); le piccole e medie
imprese; il sistema di protezione sociale. L’annuncio dei fondi è stato
dato dal capo della delegazione
dell’Ue in Ghana, William Hanna,
al ministro del Lavoro ghanese, Haruna Iddrisu.
KABUL, 2. I talebani tornano a colpire e a uccidere nella capitale afghana. A pochi giorni dall’assalto a
Tolo Tv, la principale emittente locale, con un bilancio di sette morti, un
nuovo attentato ha scosso ieri la capitale dell’Afghanistan. Almeno venti agenti sono morti e altri venticinque rimasti feriti, insieme a sette civili, dopo che un attentatore suicida
è entrato in azione davanti a un
compound della polizia nazionale
dell’ordine civile, nei pressi della zona del Parlamento.
A riferire per primo dell’attentato
è stato il portale di notizie Khaama
Press, che ha parlato di una forte
esplosione vicino al quartier generale
delle Guardie di frontiera. Secondo
la stessa fonte, l’attentatore sarebbe
giunto sul posto a piedi e avrebbe
cercato di entrare nel compound,
prima di essere ucciso dagli uomini
della sicurezza. Negli stessi minuti i
talebani rivendicavano l’azione in
una e-mail inviata ai media da parte
del portavoce degli insorti, Zabihullah Mujahid.
Condannando
«vigorosamente»
l’attentato, e fornendo un bilancio
aggiornato delle vittime, il portavoce
della missione della Nato in Afghanistan, generale Wilson Shoffner, ha
dichiarato che «ancora una volta i
talebani hanno colpito un’area affollata senza preoccuparsi per le vite di
persone innocenti». Questo attacco
contro la polizia —ha aggiunto Shoffner — «mostra il disprezzo che i talebani hanno per la legge in Afgha-
Impegno cinese
per la pace
nel Vicino oriente
TEL AVIV, 2. La Cina sostiene il
processo di pace in Vicino oriente.
Questo il messaggio espresso ieri
dall’inviato speciale cinese, Gong
Xiaosheng, che ha avuto alcuni colloqui con leader palestinesi a Ramallah. Sottolineando l’impegno
diplomatico di Pechino, Gong
Xiaosheng ha fatto riferimento anche al recente viaggio nella regione
del presidente cinese, Xi Jinping,
che in Egitto ha espresso la speranza di pace, stabilità e sviluppo.
Gong Xiaosheng ha dichiarato che
la Cina punta a una soluzione «a
tutto tondo» delle questioni aperte
tra israeliani e palestinesi, e sottolineato che Pechino sostiene l’idea di
una conferenza a livello internazionale in linea con il principio della
soluzione dei due Stati, Israele e
Palestina, in pace tra loro.
nistan e per coloro che si impegnano a difendere la gente». In serata,
il portavoce del Governo provinciale
di Nangarhar, Hazrat Hussain Mashriqiwal ha annunciato che la “radio del califfato”, gestita dai miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is)
nella provincia, è stata distrutta in
un raid aereo in cui sarebbero morti
anche cinque jihadisti. Mashriqiwal
ha precisato che l’attacco aereo è avvenuto nel distretto orientale di
Achin, al confine con il Pakistan.
Lanciata circa tre mesi fa, la radio
trasmetteva in pashtun, arabo e dari,
incoraggiando la popolazione ad
unirsi ai jihadisti di Al Baghdadi, facendo propaganda contro Kabul e
proferendo minacce, in particolare,
contro i giornalisti impegnati nelle
emittenti filogovernative. L’avvenuto
attacco da parte dell’aviazione afghana è stato confermato anche da
Tolo Tv che ha citato, a riguardo, il
portavoce del ministero della Difesa,
Dawlat Waziri. La penetrazione
dell’Is in Afghanistan rappresenta
una nuova sfida per il Paese, martoriato da decenni di guerre e sotto la
continua minaccia dei talebani.
Dialogo
tra Afghanistan e India
NEW DELHI, 2. L’India intende
rafforzare la cooperazione con l’Afghanistan, un Paese che è tra i più
importanti beneficiari degli aiuti di
New Delhi, in particolare nel settore militare e nella lotta al terrorismo di matrice talebana. A questo
proposito, il coordinatore del Governo afghano, Abdullah Abdullah, in visita ufficiale in India, ha
incontrato ieri a New Delhi, il premier, Narendra Modi, e il ministro
degli Esteri, Sushma Swaraj. Durante l’incontro è stato fatto il punto sul negoziato di pace con i tale-
bani. Il Governo indiano ha confermato l'impegno nel fronteggiare
il terrorismo e sulla cooperazione
economica trilaterale con l’Iran, in
particolare per lo sviluppo del porto di Chabahar. Nel suo discorso il
premier indiano Modi ha ringraziato le forze dell’ordine afghane
per il loro sostegno nel proteggere
il consolato indiano di Mazar-eSharif, attaccato dai talebani il 4 e
5 gennaio scorsi. Il coordinatore
Abdullah sarà oggi nella città di
Jaipur per partecipare ad una conferenza sul terrorismo.
Il nuovo Parlamento del Myanmar
alla ricerca di un’intesa con i militari
NAYPYIDAW, 2. Dopo il giuramento, ieri, del nuovo Parlamento del
Myanmar, il primo eletto democraticamente dopo cinquant’anni, l’attenzione si sposta ora sulle difficili
trattative tra la maggioranza e i militari. La nuova Assemblea è dominata dai deputati della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il
partito del leader dell’opposizione
e premio Nobel per la pace, Aung
San Suu Kyi, che ha vinto nettamente le elezioni legislative dello
scorso novembre. Ma la Costituzione del Paese del sudest asiatico
assegna per legge ai militari 166
seggi sui complessivi 664.
Sebbene l’Lnd abbia i numeri
per governare (alle elezioni ha
conquistato l’80 per cento dei voti), un’intesa con i generali sarà
indispensabile per garantire stabilità alla nuova maggioranza. L’attesa tra la popolazione è febbrile e
rischia di essere controproducente
per le enormi aspettative che crea.
Agli occhi di molti, infatti, democrazia equivale a progresso. Con
tutti i buoni propositi dell’Lnd,
resta però da vedere quale equilibrio verrà trovato per fare coesistere le fondamenta della maggioranza — a partire dai massicci investimenti necessari in tutti i settori — con i radicati interessi economici dei militari e degli oligarchi a
loro legati.
Al quadro vanno aggiunte anche
le rivendicazioni per una maggiore
autonomia da parte di diversi
gruppi etnici lungo le aree di
confine, alcuni dei quali protagonisti di conflitti ancora attivi contro
un esercito che si considera tradizionalmente
un
indispensabile
protettore dell’integrità territoriale
di un Paese dalle 135 etnie riconosciute.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 3 febbraio 2016
«Maria che sostiene con il braccio sinistro
(Aristerokràtusa) il Bambino» (XIII secolo, icona)
La fede autentica è inseparabile
dal dono di sé
Il dono indica qualcosa di concreto
E cioè l’atteggiamento benevolente
verso gli altri
di CATERINA CIRIELLO
he rapporto esiste tra vita
consacrata e misericordia? Se
il fondamento della vita consacrata è Cristo stesso, infatti
«i consacrati confessano che
Gesù è il Modello in cui ogni virtù raggiunge la perfezione» (Vita consecrata, 18),
diventa vitale essere e testimoniare l’immagine di Gesù, incarnazione del Padre che
è misericordia.
Nella Evangelii gaudium Papa Francesco
scrive: «Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto
dell’altro, con la sua presenza fisica che
interpella, col suo dolore e le sue richieste,
con la sua gioia contagiosa in un costante
corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio
di Dio fatto carne è inseparabile dal dono
di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal
servizio, dalla riconciliazione con la carne
degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione
della tenerezza». C’è materia per una profonda e solida riflessione.
Primo punto: la fede autentica è inseparabile dal dono di sé. Il dono indica qualcosa di concreto, la realizzazione dell’atteggiamento benevolente verso gli altri.
Ma se procede da Dio è una grazia o carisma. «La vita consacrata, profondamente
radicata negli esempi e negli insegnamenti
di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre
alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito»
C
Vita consacrata e misericordia
Rivoluzione della tenerezza
persone coraggiose, che si donano senza
riserva, perché la fede si vive nella concretezza della quotidianità.
«Appartenenza alla comunità», sottolinea il Papa. Il dono di sé dentro e fuori
dalla comunità. La vita consacrata vive
l’aspetto comunitario ad intra e ad extra,
cioè costruisce la fraternità nella propria
famiglia religiosa e nella grande famiglia
che è la Chiesa popolo di Dio. Dono, appunto, significa pure non appartenersi, ovvero essere sempre disponibile a rispondere alla chiamata che Dio ci fa in ogni
momento e in ogni luogo. Infatti siamo
stati comprati a caro prezzo (1 Corinzi 6,
19-20).
La comunità si costruisce
insieme, anche se non è facile.
Noi religiosi
Si impara a vivere in comunità, facendo lo sforzo di curare
abbiamo indurito i nostri cuori
le relazioni difficili, riconoPerché nel passaggio del deserto
scendo che l’unica via possibile è «imparare a incontrarsi
non abbiamo avuto
con gli altri apprezzandoli e
la capacità di gestire sapientemente
accettandoli come compagni
di strada» (Evangelii gaudium,
la libertà che Dio ci ha concesso
91), e ricordando che seguire
lo stile di Cristo, centro del
nostro stare insieme, vuol dire
(Vita consecrata, 1). Essa rimane perciò do- guardare con i suoi occhi e manifestare
no ed è allo stesso tempo offerta, in quan- l’essenziale: amore e misericordia, per rito procede dall’amore del Padre, di tutta cercare non la nostra ma l’altrui felicità.
La conseguenza è che se l’altro è felice lo
la Trinità (Vita consecrata, 20).
Il dono presuppone la gratuità, la vo- saremo anche noi.
Chi chiama e consacra è uno solo: Crilontà di regalare qualcosa anche di sé a
prescindere dalla possibilità di ricevere al- sto. In lui, per lui e con lui ci spingiamo
cunché in cambio. La vita consacrata na- verso le nostre periferie esistenziali per
sce come risposta d’amore a un Dio che si compiere il faticoso, quanto doveroso esodona senza riserve, risposta a un amore do da noi stessi, per centrare la nostra esigratuito che non si possiede ma si riceve. stenza. L’esodo è l’evento fondante nella
Non possiamo, dunque, pensare, come storia di Israele perché in esso ritroviamo
persone consacrate, di ignorare l’impegno tre verbi che sono anche i pilastri della vipreso davanti a Dio e alla comunità di es- ta cristiana: liberazione (Esodo, 13, 16), elesere dono di amore. Non siamo fatti per zione (Esodo, 19, 5-6), trasformazione
l’individualismo, ma per la relazione. Pos- (Esodo, 25, 8). Liberati dal peccato in virsiamo donare solo nello stare con gli altri. tù della morte e resurrezione di Cristo;
Grazie a Dio è finito il tempo dell’isola- chiamati (eletti) a essere figli nell’amore;
mento conventuale, o di sagrestia: il mon- continuamente trasformati (nuova creaziodo attuale, la Chiesa, ci chiama a essere ne) dallo Spirito di Dio.
«Questo esodo da se stessi — ha detto
Papa Francesco — è mettersi in un cammino di adorazione e di servizio. Adorare e
servire: due atteggiamenti che non si possono separare, ma che devono andare
sempre insieme. Adorare il Signore e servire gli altri, non tenendo nulla per sé».
Chi non ama non può servire. Il servizio è
l’espressione del Dio misericordia, che accoglie con la generosità di una madre:
«La comunità evangelizzatrice sperimenta
che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha
preceduta nell’amore, e per questo essa sa
fare sempre il primo passo, sa prendere
l’iniziativa senza paura, andare incontro,
cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un
desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto di aver sperimentato l’infinita
misericordia del Padre e la sua forza diffusiva» (Evangelii gaudium, 24).
Gesù è modello e maestro di misericordia, è il volto della misericordia. Quando
nel Vangelo ci dice: «Siate voi dunque
perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Matteo, 5, 48), non si aspetta da
noi una perfezione eterea, inconsistente,
ma come leggiamo in Luca, 6, 36 vuol dire
«siate misericordiosi come il Padre vostro
è misericordioso».
Dunque la perfezione in Matteo e in
Luca si concretizza nell’essere misericordiosi con tutte le conseguenze che ne derivano. Perché «con la misura con la quale
misurate, sarà misurato a voi in cambio»
(Luca, 6, 38), e pure «Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato
misericordia, ma la misericordia ha sempre
la meglio nel giudizio» (Giacomo, 2, 13).
Papa Francesco ci esorta a vivere ogni
incontro con «l’attenzione del cuore». Il
nostro — in particolare — deve essere un
«cuore che vede dove c’è bisogno d’amore
e agisce in modo conseguente». Il cuore è
il luogo dove ci riconosciamo per quello
che siamo veramente, è il luogo della nostra coscienza spirituale cristiana, dove
prendiamo le decisioni importanti: se stare
o no con Dio e conseguentemente con il
nostro prossimo. Gesù ci dice: «Dove è il
tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore»
(Matteo, 6, 21). Ma dov’è il nostro cuore?
La vita consacrata oggi deve recuperare
questa importante dimensione della misericordia, del sentire col cuore. Abbiamo,
infatti, indurito i nostri cuori, «come a
Meriba, come nei giorni di Massa nel deserto» (Salmi, 94, 8; Esodo, 17, 1-7), e
questo è accaduto perché — come per gli
Israeliti — nel passaggio del deserto non
abbiamo avuto la capacità di gestire sapientemente la libertà che Dio ci ha
concesso. Ricordo che sono passati cinquant’anni dalla fine del Vaticano II,
evento che ha segnato grandi cambiamenti
nella vita della Chiesa e della vita consacrata.
«Bisogna passare attraverso il deserto e
dimorarvici, per ricevere la grazia di Dio
(...). Il deserto è indispensabile. È un tempo di grazia. È un periodo attraverso il
quale ogni anima che vuol portare frutti
deve necessariamente passare. Le sono necessari questo silenzio, questo raccoglimento, quest’oblio di tutto il creato in
mezzo ai quali Dio pone in essa il suo regno e forma in essa lo spirito interiore».
Con queste parole, Charles de Foucauld
ha già risposto a ogni nostra eventuale
domanda. La vita consacrata non è più capace di contemplare, di stupirsi di fronte
alle novità che Dio ci propone quotidianamente, di provare compassione (rahamin),
di lasciarsi toccare le viscere (splanchna)
dalle vicende umane. Da quelle più dolorose, e dall’amore che Dio ci comunica in
quel momento di incontro personale, quotidiano e necessario, a cui la persona consacrata è chiamata al di sopra di tutto.
Perché niente, nessun apostolato, la
missione stessa della vita consacrata ha
senso se manca l’incontro personale con
Cristo. Bisogna coniugare sapientemente
Marta e Maria. Ignazio di Loyola ci parla
dell’essere contemplativi nell’azione e «la
contemplazione è intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera».
Allora la vita consacrata deve avere il
coraggio — perché di questo si tratta — di
rompere schemi precostituiti, vecchi, senza
vita, per attuare quella «rivoluzione della
tenerezza» a cui accenna il Papa. Tenerezza. Maternità e paternità. Dio padre e madre. La persona consacrata non è sterile. È
feconda perché partorisce figli nello Spirito: «Si dimentica forse una donna del suo
bambino, così da non commuoversi per il
figlio del suo seno?» (Isaia, 49, 14). Una
madre, un padre, hanno ben chiaro (o almeno dovrebbero) che i figli vengono prima di tutto. Una persona consacrata deve
avere ben chiaro che, a modello di Maria,
è diventata madre di tutti gli uomini e le
donne del mondo. Maria, madre di misericordia.
Nei Fioretti di san Francesco
di FELICE ACCRO CCA
Una vita semplice
Un volumetto di Daniele Solvi, Uomini celesti e angeli terrestri. Una lettura francescana dei Fioretti, pubblicato dalle Edizioni
Biblioteca Francescana nella ben nota
Collana “Presenza di san Francesco” (Milano, 2015, pagine 148, euro 11), richiama
ancora una volta l’attenzione sui Fioretti,
una delle fonti più amate da registi cinematografici (Rossellini, Pasolini), poeti
(Pascoli, D’Annunzio), musicisti. L’opera
costituisce la traduzione non integrale di
Pur nella proposta di un’austerità
che non lascia spazio
ad alcun compromesso
non si avverte alcuna polemica
una fonte latina, nota sotto il nome di Actus beati Francisci et sociorum eius, pubblicata per la prima volta da Paul Sabatier
nel 1902.
La tradizione manoscritta degli Actus,
tuttavia, è più esile di quella dei Fioretti e
Trophime Bigot, «San Francesco in preghiera» (1630)
il complesso di edizioni molto meno
florido, in quanto
già prima del 1500 si
contavano, di quest’ultimi, diverse edizioni a stampa.
Senza cadere in un
racconto dolciastro e
melenso, gli ActusFioretti pongono attenzione sulla bellezza di una vita semplice e — pur nella proposta di un’austerità
che non lascia posto
ad alcun compromesso — la polemica non
sembra prevalere. Come scrisse Arrigo Levasti, «lo scrittore, o
gli scrittori, possedevano un’anima candida e beata, senza la
curiosità di adden-
trarsi nella psicologia religiosa, senza la volontà di dirci quello che, per conto loro,
provarono. Aderirono con slancio e amore
alla vita di san Francesco e de’ suoi discepoli, e da tale spontanea adesione nacque
quella poesia ingenua e fresca, che, insieme
a profondo senso religioso, ha consolato e
consola milioni su milioni di uomini». Sulla stessa lunghezza d’onda si pone Solvi,
per il quale «elemento più caratteristico»
dei Fioretti «è proprio questa assenza del
male».
La realtà di molti episodi è naturalmente amplificata, anche se per parecchi di essi non si può negare un nucleo originale
più antico (per quanto, di per sé, ciò non
voglia dire che il fatto sia sostanzialmente
autentico): è il caso, ad esempio, di un
fioretto fra i più noti — e certo tra i più
fantastici —, quello del cosiddetto lupo di
Gubbio, del quale si possono comunque
rintracciare memorie più arcaiche.
In pagine dense e agili, Solvi — attraverso sondaggi mirati (l’esame è condotto
sui Fioretti 1-2, 8, 15-16, 18, 24-25) — si pro-
pone di verificare la compatibilità dell’insegnamento dei Fioretti con la proposta
cristiana testimoniata dagli Scritti di Francesco d’Assisi, ponendosi sul percorso già
battuto da Mariano d’Alatri, che ormai
quasi cinquant’anni or sono (1968) dedicò
alla questione un ampio saggio. A ragione, Solvi individua il pubblico del volgarizzatore nei laici devoti, «per i quali i
Fioretti valevano come lettura edificante
tra una predica e l’altra».
Con competenza e una prosa accattivante, Solvi coglie continuità e scarti dei
Fioretti rispetto alla proposta cristiana di
Francesco, così che le sue pagine costituiscono una rilettura dei principali capisaldi
della spiritualità degli Scritti, con considerazioni equilibrate che non temono di andare persino in controtendenza (riguardo
al rapporto con le donne, ad esempio, rileva: «Si deve concludere che gli scrupoli
dei Fioretti e delle altre fonti sono gli scrupoli di Francesco»), perché supportate da
un’analisi rigorosa. In sostanza, si tratta di
un volumetto agile, ma non leggero, solidamente fondato eppure non pesante, capace anche d’infondere ottimismo evangelico: non è poca cosa, soprattutto in tempi
come i nostri.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 3 febbraio 2016
pagina 5
La Cina è sempre stata per me
un punto di riferimento di grandezza
Un grande Paese, una grande cultura
con una saggezza inesauribile
Che ha molto da offrire al mondo
Incontro attraverso il dialogo
Intervista di Papa Francesco ad «Asia Times»
Pubblichiamo, in una nostra traduzione, l’intervista al Papa uscita il 2 febbraio su «Asia Times».
di FRANCESCO SISCI
Lo ha percepito subito, o almeno
così mi è parso, e ha cercato di mettermi a mio agio. Di fatto ero nervoso. Avevo passato molte ore a smussare ogni dettaglio delle domande
che avrei posto, e lui aveva voluto
del tempo per riflettere ed esaminarle. Aveva ragione. Avevo chiesto
un’intervista su questioni culturali e
filosofiche ampie, riguardanti tutti i
cinesi, il 99 per cento dei quali non
è cattolico. Non volevo toccare argomenti religiosi o politici dei quali altri Papi avevano parlato in altre occasioni. Speravo che potesse trasmettere agli uomini e alle donne in
Cina, la sua immensa empatia umana, parlando per la prima volta in
Un grande paese. Ma più che un
paese, una grande cultura con una
saggezza inesauribile. Da bambino,
quando leggevo qualcosa sulla Cina,
questo fatto aveva la capacità di ispirarmi ammirazione. Provo ammirazione per la Cina. In seguito ho approfondito la vita di Matteo Ricci e
ho visto come quell’uomo provava la
stessa cosa che provavo io e nello
stesso identico modo, ammirazione,
e come è riuscito a entrare in dialogo con questa grande cultura, con
questa saggezza secolare. Seppe “incontrarla”. Quando ero giovane e si
parlava della Cina, pensavamo alla
Grande Muraglia. Il resto non si conosceva nella mia patria. Ma approfondendo la questione sempre più,
ebbi un’esperienza d’incontro molto
diversa, sia per il tempo sia per i
modi, rispetto a quella di Ricci. Però
mi sono imbattuto in qualcosa che
non mi aspettavo. L’esperienza di
Matteo Ricci con Xu Guangqi
Matteo Ricci con Xu Guangqi
assoluto di questioni che li preoccupano profondamente ogni giorno: la
disgregazione della famiglia tradizionale; le loro difficoltà a essere compresi dal mondo occidentale e a
comprenderlo; il loro senso di colpa
derivante da esperienze del passato
come la rivoluzione culturale e così
via. E lui lo ha fatto, dando a tutti i
cinesi, e a tutte le persone preoccupate per la rapida crescita della Cina, motivi di speranza, pace e riconciliazione. Il Papa ritiene che i cinesi
stiano andando in una direzione positiva e che non debbano avere paura di ciò, e nemmeno il resto del
mondo. Pensa anche che i cinesi abbiano una grande eredità di saggezza che arricchirà loro e tutti gli altri;
questa eredità aiuterà tutti a trovare
un cammino pacifico per andare
avanti. In qualche modo, questa intervista è il Papa che benedice la
Cina.
Che cos’è per lei la Cina? Come la immaginava da giovane, considerato che
per l’Argentina la Cina non è oriente
ma lontano occidente? Cosa significa
per lei Matteo Ricci?
Per me la Cina è sempre stata un
punto di riferimento di grandezza.
Ricci c’insegna che è necessario entrare in dialogo con la Cina, poiché
si tratta di un accumulo di saggezza
e di storia. È una terra benedetta da
molte cose. E la Chiesa cattolica, tra
i cui doveri vi è quello di rispettare
tutte le civiltà, dinanzi a questa civiltà, direi che ha il dovere di rispettarla, con la r maiuscola. La Chiesa ha
il grande potenziale di ricevere cultura. L’altro giorno ho avuto l’occasione di vedere i dipinti di un altro
grande gesuita, Giuseppe Castiglione, il quale aveva anche lui il virus
gesuita (ride). Castiglione sapeva come esprimere bellezza, l’esperienza
dell’apertura nel dialogo: ricevere da
altri e dare qualcosa di se stessi su
una lunghezza d’onda “civilizzata”,
delle civiltà. Quando dico “civilizzato” non intendo soltanto civiltà
“educate”, ma anche civiltà che s’incontrano. Inoltre, non so se è vero,
ma dicono che sia stato Marco Polo
a portare gli spaghetti in Italia (ride). Quindi sono stati i cinesi a inventarli. Non so se è vero. Ma lo dico en passant. È questa la mia impressione: grande rispetto. E ancora
di più, quando ho sorvolato la Cina
per la prima volta, e in aereo mi è
stato detto “tra dieci minuti entrere-
mo nello spazio aereo cinese e invieremo il suo saluto”, confesso di avere provato una grande emozione, cosa che di solito non mi accade. Mi
sono commosso per il fatto di sorvolare questa grande ricchezza di cultura e saggezza.
Per la prima volta nella sua storia
millenaria la Cina sta uscendo dal
proprio ambiente e si sta aprendo al
mondo, creando sfide senza precedenti
per se stessa e il mondo. Lei ha parlato
di una terza guerra mondiale che sta
avanzando in modo nascosto: quali sfide questo rappresenta nella ricerca della pace?
Il timore, la paura, non è mai un
buon consigliere. Se un padre o una
madre hanno paura quando hanno
un figlio adolescente, non sanno come occuparsi bene di lui. In altre
parole, non dobbiamo temere sfide
di alcun genere, poiché tutti, uomini
e donne, hanno in loro la capacità di
trovare modi di coesistenza, di rispetto e di ammirazione reciproca.
Ed è evidente che tanta cultura e
tanta saggezza, e per giunta tanta
conoscenza tecnologica — pensiamo
solo alle antichissime tecniche mediche — non possono rimanere rinchiuse in un paese; tendono a espandersi, a diffondersi, a comunicarsi. L’uomo tende a comunicare, una civiltà tende a
comunicare. È ovvio che
quando la comunicazione
avviene in tono aggressivo
per difendere se
stessi, ne risultano
guerre. Ma non
avrei paura. È una
grande sfida mantenere l’equilibrio
della pace. Qui
abbiamo Nonna
Europa, come ho
detto a Strasburgo. Sembra che
non sia più Mamma Europa. Spero
che possa riuscire
a riprendersi quel
ruolo. E riceve da
questo antichissimo paese un contributo
sempre
più ricco. E quindi è necessario accettare la sfida e correre il rischio di
bilanciare questo scambio per la pace. Il mondo occidentale, il mondo
orientale e la Cina hanno tutti la capacità di mantenere l’equilibrio della
pace e la forza per farlo. Dobbiamo
trovare il modo, sempre attraverso il
dialogo; non c’è altra via (allarga le
braccia come per abbracciare). L’incontro si ottiene attraverso il dialogo. Il
vero equilibrio della pace si realizza
attraverso il dialogo. Dialogo non significa che si finisce con un compromesso, mezza torta a te e l’altra
mezza a me. È quello che è accaduto a Yalta e abbiamo visto i risultati.
No, dialogo significa: bene, siamo
arrivati a questo punto, posso essere
o non essere d’accordo, ma camminiamo insieme; è questo che significa costruire. E la torta rimane intera,
camminando insieme. La torta appartiene a tutti, è umanità, cultura.
Tagliare la torta, come a Yalta, significa dividere l’umanità e la cultura in
piccoli pezzi. E la cultura e l’umanità non possono essere tagliate in piccoli pezzi. Quando parlo di questa
grande torta parlo in senso positivo.
Tutti possono influire sul bene comune di tutti (il Papa sorride e chie-
de: «Non so se l’esempio della torta è
chiaro per i cinesi». Annuisco).
Negli ultimi decenni la Cina ha sperimentato tragedie senza pari. Dal 1980
i cinesi hanno sacrificato ciò che hanno
sempre avuto più a cuore, i loro figli.
Per i cinesi si tratta di ferite molto
profonde. Tra l’altro, hanno lasciato un
enorme vuoto nelle loro coscienze e in
qualche modo anche un bisogno estremamente profondo di riconciliarsi con
se stessi e di perdonarsi. Nell’anno della misericordia, che messaggio può dare
al popolo cinese?
L’invecchiamento di una popolazione e dell’umanità si sta verificando in molti luoghi. Qui in Italia il
tasso di natalità è quasi al di sotto
dello zero, e più o meno è lo stesso
anche in Spagna. La situazione in
Francia, con la sua politica di assistenza alle famiglie, sta migliorando.
Ed è ovvio che le popolazioni invecchiano. Invecchiano e non hanno figli. In Africa, per esempio, è stato
un piacere vedere bambini nelle strade. Qui a Roma, se vai in giro, vedi
pochissimi bambini. Forse dietro c’è
la paura alla quale lei sta alludendo,
l’errata percezione non che semplicemente rimarremo indietro, ma che finiremo in miseria, quindi non facciamo figli. Ci sono altre società che
hanno fatto la scelta opposta. Per
esempio, durante il mio viaggio in
Albania sono rimasto sorpreso nello
scoprire che l’età media della popolazione è di circa quarant’anni. Esistono paesi giovani; penso che in
Bosnia ed Erzegovina sia lo stesso.
Paesi che hanno sofferto e scelgono
la gioventù. Poi c’è il problema del
lavoro. È una cosa che la Cina non
ha, perché ha la capacità di offrire
lavoro sia in campagna sia in città.
Ed è vero, il problema della Cina di
non avere figli deve essere molto doloroso; perché la piramide viene invertita e un bambino deve portare il
fardello del padre, della madre, dei
nonni. E questo è sfibrante, faticoso,
disorientante. Non è naturale. Mi
sembra di capire che la Cina ha
aperto nuove possibilità su questo
fronte.
Come dovrebbero essere affrontate queste sfide delle famiglie in Cina, considerando che si trovano in un processo di
profondo cambiamento e non corrispondono più al modello tradizionale cinese
della famiglia?
Riprendendo il tema, nell’anno
della misericordia, che messaggio
posso dare al popolo cinese? La storia di un popolo è sempre un cammino. Talvolta un popolo cammina
più velocemente, altre volte più lentamente, altre ancora si ferma, a volte fa un errore e ritorna un po’ indietro, oppure prende il cammino
sbagliato e deve ritornare sui propri
passi per seguire quello giusto. Ma
quando un popolo va avanti, la cosa
non mi preoccupa perché significa
che sta facendo storia. E penso che
il popolo cinese stia andando avanti,
ed è questa la sua grandezza. Cammina, come tutti i popoli, attraversando luci e ombre. Guardando al
passato — e forse il fatto di non avere figli crea un complesso — è salutare assumersi la responsabilità del
proprio cammino. Bene, abbiamo seguito questo percorso, qualcosa non
ha funzionato per niente, quindi
adesso si sono aperte altre possibilità. Entrano in gioco altre questioni:
l’egoismo di alcuni dei settori benestanti che preferiscono non avere fi-
gli, e così via. Devono assumersi la
responsabilità del proprio cammino.
E andrei anche oltre: non siate amareggiati, bensì in pace con il vostro
cammino, anche se avete fatto errori.
Non posso dire la mia storia è stata
negativa, che odio la mia storia (il
Papa mi rivolge uno sguardo penetrante). No, ogni popolo deve riconciliarsi con la propria storia quale suo
cammino, con successi ed errori. E
questa riconciliazione con la propria
storia porta molta maturità, molta
crescita. Qui utilizzerei la parola
usata nella domanda: misericordia. È
salutare per una persona provare misericordia per se stessa, non essere
sadica o masochista. Questo è sbagliato. E direi la stessa cosa per un
popolo: è salutare per un popolo essere misericordioso verso se stesso. E
questa nobiltà d’animo… Non so se
usare o no la parola perdono, non lo
so. Ma accettare che quello è stato il
mio cammino, sorridere e andare
avanti. Se ci si stanca e ci si ferma,
si può diventare amareggiati e corrotti. E quindi, quando ci si assume
la responsabilità del proprio cammino, accettandolo per quel che è stato, ciò consente alla propria ricchezza storica e culturale di emergere,
anche nei momenti difficili. E come
le si può permettere di emergere?
Qui ritorniamo alla prima domanda:
nel dialogo con il mondo attuale.
Dialogare non significa arrendersi,
perché a volte c’è il pericolo, nel
dialogo tra paesi diversi, di agende
nascoste, ovvero di colonizzazioni
culturali. È necessario riconoscere la
grandezza del popolo cinese, che ha
sempre conservato la propria cultura. E la sua cultura — non sto parlando di ideologie che possono esserci state in passato — la sua cultura
non è stata imposta.
La crescita economica del paese è avvenuta a un ritmo straordinario, ma ciò
ha comportato anche disastri umani e
ambientali che Pechino sta cercando di
affrontare e risolvere. Allo stesso tempo,
la ricerca di efficienza lavorativa sta
imponendo nuovi costi alle famiglie:
talvolta genitori e figli
vengono divisi a causa
delle esigenze lavorative.
Che messaggio può dare
loro?
Mi sento piuttosto
come una suocera che
dà consigli su ciò che
andrebbe fatto (ride).
Suggerirei un sano
realismo; la realtà deve essere accettata,
ovunque essa provenga. Questa è la nostra
realtà; come nel calcio
il portiere deve prendere la palla da ovunque arrivi. La realtà
deve essere accettata
per ciò che è. Essere
realisti. Questa è la
nostra realtà. Per prima cosa devo essermi
riconciliato con la
realtà. Non mi piace,
sono contrario, mi fa
soffrire, ma devo venirci a patti, non posso farci niente. Il secondo passo è di lavorare per migliorare la
realtà e cambiarne la
direzione. Ora, vede
che sono suggerimenti
semplici, un po’ comuni. Ma fare come
lo struzzo che nascon-
de la testa nella sabbia per non vedere la realtà, non accettarla, non è
una soluzione. Dunque, discutiamo,
continuiamo a cercare, continuiamo
a camminare, sempre in cammino, in
movimento. L’acqua del fiume è pura perché continua a scorrere; l’acqua ferma ristagna. È necessario accettare la realtà così com’è, senza
mascherarla, senza sofisticarla, e trovare sempre modi per migliorarla.
Bene, questa è una cosa molto importante. Se ciò accade a un’azienda
che ha lavorato per vent’anni e c’è
una crisi negli affari, ci sono poche
vie creative per migliorarla. Al contrario, quando accade a un paese antico, con la sua storia secolare, la sua
saggezza secolare, la sua creatività
secolare, allora si crea tensione tra il
problema presente e il suo passato
di antica ricchezza. E questa tensione porta fecondità quando guarda al
futuro. Ritengo che la grande ricchezza della Cina, oggi, stia nel
guardare al futuro da un presente
sostenuto dalla memoria del suo
passato culturale. Vivere in tensione,
non nell’ansia, e la tensione è tra il
ricchissimo passato e la sfida del
presente che deve essere portata
avanti nel futuro; vale a dire, la storia non finisce qui.
In occasione del prossimo nuovo anno
cinese della Scimmia, vorrebbe inviare
un saluto al popolo cinese, alle autorità
e al presidente Xi Jinping?
Alla vigilia del nuovo anno, desidero inviare i miei migliori auspici e
auguri al presidente Xi Jinping e a
tutto il popolo cinese. E desidero
esprimere la mia speranza che non
perda mai la consapevolezza storica
di essere un grande popolo, con una
grande storia di saggezza, e che ha
molto da offrire al mondo. Il mondo
guarda alla vostra grande saggezza.
In questo nuovo anno, con questa
consapevolezza, possiate continuare
ad andare avanti per aiutare e cooperare con tutti nella cura per la nostra casa comune e i nostri popoli
comuni. Grazie!
In un dipinto di Giuseppe Castiglione,
l’imperatore Qianlong contempla le opere del gesuita
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 3 febbraio 2016
Raffaello Sanzio, «Scuola di Atene»
(nel particolare Platone e Aristotele)
Leader religiosi in Indonesia contro lo sfruttamento minerario indiscriminato
Con i più deboli
JAKARTA, 2. Numerosi leader religiosi e centinaia di persone
hanno manifestato nei giorni
scorsi presso Kupang, in Indonesia, contro un progetto di
estrazione di manganese nella
zona di South Central Timor. I
manifestanti hanno chiesto al
Governo di Jakarta di revocare
il permesso alla società estrattiva
titolare della concessione, accusata di inquinare notevolmente
l’intero territorio. Questa — rife-
risce l’agenzia Ucanews — sulla
base di un permesso accordato
nel 2008, è autorizzata a svolgere le sue attività su 4555 ettari di
terra che coprono sei villaggi in
due sub-distretti.
I leader religiosi, assieme agli
abitanti dei villaggi coinvolti dal
progetto, hanno messo in atto la
protesta davanti alla sede del
quartier generale della polizia
distrettuale mentre una manifestazione analoga si teneva davanti alla sede della compagnia
mineraria.
L’attività della società estrattiva — ha sottolineato il francesca-
no padre Yohanes Kristoforus
Tara della “Franciscan Justice,
Peace and Integrity” — «minaccia seriamente le risorse vitali
della popolazione locale». I lavori avviati hanno già danneggiato il territorio, prosciugando
diverse falde acquifere. Circa
6000 ettari di risaie nel villaggio
di Oebelo probabilmente subiranno analoghi effetti. I rifiuti
della compagnia mineraria — ha
proseguito il religioso — «minac-
ciano la salute della popolazione
locale, tant’è che alcuni abitanti
del villaggio hanno iniziato ad
avere irritazioni cutanee a causa
dell’acqua inquinata».
Padre Tara ha spiegato che,
sulla scorta di quanto affermato
dal Papa nell’enciclica Laudato
si’, è determinato a sostenere le
proteste della gente: «Noi — ha
ricordato il religioso — lottiamo
per i deboli, affinché che non
diventino vittime, e per la salvaguardia della terra».
Dello stesso avviso anche il
reverendo Yos Manu dalla Protestant Evangelical Church a Ti-
mor, il quale ha raccontato che
il progetto estrattivo ha addirittura avuto il potere di creare divisioni nella sua congregazione.
«Oltre all’impatto ecologico, la
compagnia ha anche un enorme
impatto sociale. La nostra congregazione si è spaccata in due
gruppi: da un lato i sostenitori e
dall’altro i contestatori». Manu,
però, è fermamente convinto di
continuare a lottare a fianco della popolazione e contro gli interessi della società mineraria.
Un abitante del villaggio, Soleman Nesimnasi, ha raccontato
di aver perso quattro ettari di
terreno nel villaggio Supul a
causa della concessione data alla
società: «Non mi è mai stato comunicato che il permesso della
società riguardasse anche la mia
terra. Mi hanno improvvisamente tolto il terreno dopo aver ottenuto il permesso di estrazione». Un caso giudiziario che è
durato quattro anni, e che si è
concluso con la sentenza in base
alla quale la terra dovrebbe essere restituita a Nesimnasi. «Ma
l’anno scorso — ha detto ancora
l’agricoltore —i rappresentanti
della società, insieme ad alcuni
soldati, sono venuti da me e mi
hanno detto che non avevo più
il diritto di utilizzare la mia terra» e lo hanno di fatto costretto
ad accettare un risarcimento, offrendogli 100.000 rupie (7 dollari statunitensi) al mese per ettaro. Yustinus Darma del Foro indonesiano per l’ambiente ha ammesso che le società minerarie
chiedono spesso aiuto ai poliziotti quando hanno problemi
con la popolazione locale. «È
una prassi — ha detto Darma —
che mira a spaventare la popolazione così da spingerla ad accettare qualsiasi proposta».
Nel forum della Pontificia accademia di teologia
L’uomo
e l’alleanza con Dio
di RÉAL TREMBLAY*
Nel discorso indirizzato al Parlamento europeo, il 25 novembre
2014, Papa Francesco insisteva sulla
«dignità trascendente» dell’uomo,
di ogni uomo. Dopo aver detto in
che cosa consiste questa dignità, si è
soffermato sull’idea della trascendenza che le è intrinsecamente collegata: «Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente — illustrata, come aveva appena
spiegato il Pontefice, dal dito puntato verso l’alto di Platone nella
Scuola di Atene affrescata da Raffael-
lo in Vaticano mentre Aristotele tende la mano in avanti verso la terra,
la realtà concreta — intendo affermare la centralità della persona umana,
altrimenti in balia delle mode e dei
poteri del momento».
L’argomento del forum della
Pontificia accademia di teologia che
si è tenuto il 28-29 gennaio alla Lateranense si è ispirato a questo pensiero del Papa, proposto all’intera
comunità europea e, tramite essa, al
mondo intero. L’articolazione del
suo contenuto ha inteso illustrare la
veracità di queste osservazioni del
Pontefice. Per renderle più immediatamente collegate alla fede cri-
stiana, si è voluto inserire il rapporto tra dignità umana e trascendenza
nel contesto dell’alleanza di Dio
con l’uomo, contesto vitale del legame tra il cielo additato da Platone e
la terra a cui richiama Aristotele
nella mirabile sintesi rinascimentale
rappresentata da Raffaello.
Nel forum si sono così succeduti
quattro sguardi sulla specificità
dell’uomo e sulla sua dignità trascendente. Anzitutto sull’humanum
in quanto tale, considerato nel fenomeno del sacro e nella ricerca costante di senso e di verità che caratterizza la persona umana. Successivamente sono state esaminate la
creazione dell’uomo secondo il racconto della Genesi e quindi l’esperienza profetica di Geremia.
Il terzo sguardo ha inteso trattare
l’aspetto più propriamente teologico, a partire dalla persona filiale di
Gesù per riconoscere in essa il compimento della perfetta alleanza. Si è
poi ripresa la lezione dei padri cappadoci e si è ancora cercato di rispondere alla domanda da dove viene e in che cosa consiste l’inclinazione dell’uomo verso la trascendenza. Per non rimanere troppo
nell’astratto, si è infine considerato
il confronto con alcuni aspetti della
vita dell’uomo: le sfide dell’ecologia,
la vita umana, la pace quale dono
escatologico.
Già la sola evocazione di questi
contributi lascia intravvedere la ricchezza dei dati teologici emersi.
Molti di essi meriterebbero certamente di essere approfonditi ancora,
ma le giornate del forum già hanno
fatto emergere punti essenziali e
prospettive stimolanti.
*Presidente
della Pontificia accademia di teologia
Giubileo in Cambogia
Cammino ecumenico nell’arcidiocesi di Semarang
Concluso l’anno della vita consacrata nello Stato indiano di Telangana
Per approfondire
il dialogo
tra le religioni
Efficacia
dei piccoli passi
Apice e inizio
di un continuo riflettere
PHNOM PENH, 2. Il giubileo della
misericordia è un tempo favorevole per praticare e approfondire anche il dialogo tra le religioni. È
quanto sottolinea il vicario apostolico di Phnom Penh, Olivier
Michel Marie Schmitthaeusler, in
un messaggio indirizzato ai fedeli
in occasione dell’anno santo. In
Cambogia, Paese a larga tradizione buddista, i cattolici sono poche
migliaia. Proprio per questo — riferisce l’agenzia Fides — il presule
invita i fedeli ad avere un cuore
aperto al prossimo, in un dialogo
franco e accogliente, riconoscendo
quei valori morali presenti nei fedeli che professano un altro credo.
JAKARTA, 2. «All’inizio, non è stato
facile riunire i pastori protestanti
ma, con un cammino di avvicinamento a piccoli passi, ci si è riusciti». Parole di padre Aloys Budi
Purnomo, responsabile della Commissione per gli Affari ecumenici e
interreligiosi nell’arcidiocesi indonesiana di Semarang, che esprime
soddisfazione per l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani appena celebrato. In particolare per la
grande partecipazione a una veglia
ecumenica che ha riunito fedeli cattolici e protestanti. Dando così anche una convinta testimonianza di
unità e condivisione della comunità
cristiana, tanto più importante perché vissuta in un contesto generale
profondamente segnato dalla tradizione islamica.
«Nella chiesa di Cristo Re di
Ungaran, i pastori di diverse confessioni cristiane hanno accolto il
nostro sforzo di operare per l’armonia pacifica tra i cristiani di varie
denominazioni», ha detto il sacerdote all’agenzia Fides.
Più di cinquanta sacerdoti e ministri di culto di venti diverse denominazioni, provenienti da varie città
di Giava e da altre isole, hanno
partecipato alla veglia per la settimana di preghiera per l’unità. Oltre
ai membri del clero erano presenti
anche circa 1200 fedeli, cattolici e
protestanti, dai bambini agli anziani. Il reverendo Markus, presidente
del Consiglio per la cooperazione
delle Chiese a Semarang, ha sottolineato che «il culto ecumenico è un
grande segno dell’opera di Dio. Il
nostro desiderio si è realizzato con
questa preghiera speciale, vivace e
incredibilmente ecumenica». Parole
condivise anche da padre Purnomo,
il quale ha osservato che tale incontro ha significato «apprezzare e
mettere in pratica la preghiera di
Gesù che voleva che i suoi discepoli vivessero in armonia, in pace e
unità».
Una sfida, quella dell’unità dei
cristiani, particolarmente sentita in
Indonesia, la nazione musulmana
più popolosa al mondo. In questi
giorni migliaia di fedeli, all’insegna
del motto evangelico «Sale e luce
della terra», celebrano gli 80 anni
della fondazione della missione cattolica a Jambi, provincia a maggioranza musulmana dell’isola di Sumatra. I primi semi del cristianesimo nella zona furono piantati dai
missionari olandesi del Sacro Cuore
nel 1925. Il primo battesimo risale
al 1932 e, tre anni più tardi, avvengono l’insediamento del primo sacerdote residenziale e la nascita della parrocchia intitolata a Santa Teresa. I primi a essere battezzati, a
pochi anni dalla fondazione della
missione, sono stati trenta nativi locali di etnia cinese. Da quel momento, la missione non è rimasta
attiva solo nel campo dell’evangelizzazione, ma si è anche impegnata
nella formazione educativa e in
quella dell’istruzione, promuovendo
le cosiddette Hollandsche Chineesche School e le Froebel School per
i nativi cinesi. Fin da subito, inoltre, le suore francescane missionarie
di Maria hanno dato il loro contributo nel campo sanitario.
Proprio riguardo l’istruzione e
l’assistenza medica — spiega ad
AsiaNews padre Felix Astono Atmajo, vicario generale dell’arcidiocesi di Palembang — i cattolici hanno fornito i servizi più apprezzati
dalla comunità locale. E, nel tempo, tutto ciò ha portato anche alla
nascita della scuola cattolica di San
Francesco Saverio e all’ospedale di
Santa Teresa, entrambi nella provincia di Jambi.
Alla cerimonia principale per
l’anniversario erano presenti trenta
sacerdoti, alcuni dei quali di Jambi
e altri che hanno lavorato, in passato, nella provincia. La provincia di
Jambi è a maggioranza musulmana
di etnia Malay, con la presenza di
una nutrita comunità cristiana di
etnia cinese.
HYDERABAD, 2. Migliaia di persone hanno partecipato alle celebrazioni conclusive dell’anno
della vita consacrata nello Stato
indiano di Telangana. «Questo
evento — ha detto monsignor
Udumala Bala Showreddy, vescovo di Warangal e presidente
della commissione per il clero e
i religiosi del Telegu Catholic
Bishops’ Council (Tcbc) — non
deve essere definito come la
conclusione dell’anno della vita
consacrata, ma deve diventare
l’apice e l’inizio di un continuo
riflettere, ridedicarsi, rinvigorire
e vivere la profonda dimensione
della chiamata di amore data da
Dio Padre all’umanità, di appartenere solo a Dio attraverso una
consacrazione speciale e l’impegno».
Il vescovo, inoltre — riferisce
AsiaNews — ha elencato vari
modi di vivere la consacrazione
nel corso dei secoli: i padri del
deserto, i cenobiti, i monaci e
gli eremiti, i predicatori e i missionari, i gesuiti, i carmelitani, i
francescani, gli agostiniani e le
centinaia di altri carismi religiosi
che sono fioriti all’interno della
Chiesa, dando essenza di santità
ai loro contemporanei. «Il segreto della vita comunitaria religiosa — ha precisato il presule —
risiede nell’amore delle tre persone divine della Trinità. I religiosi sono chiamati a essere
azionisti dell’amore aperto di
D io».
Monsignor Showreddy ha ringraziato
gli
organizzatori
dell’evento e ha reso grazie anche a Dio, «per il modo meraviglioso in cui ha portato la Chiesa a santificare i consacrati al
servizio dell’umanità».
Padre Taju, superiore generale
della congregazione dei missionari della Compassione, parlando di consacrazione e misericordia, nel ricordare la Misericordiae
He Qi, «Il battesimo di Gesù» (2005)
vultus, ha sottolineato la necessità di mettere in pratica la misericordia e guadagnare così il favore di Dio nel giorno del giudizio. «Siate misericordiosi come il Padre. I religiosi — ha ribadito — devono compiere atti
di misericordia significativi, sia a
livello individuale che nella propria congregazione, ed essere
simboli di misericordia divina
per un mondo che è cieco nella
sua ricerca egoistica del potere».
Inoltre, padre Taju ha presentato una sorprendente ricerca sul
numero di consacrati che servono le persone vulnerabili nel
mondo, e ha chiesto ai numerosi
presenti di essere “specialisti
della misericordia”.
L’evento si è concluso con
una benedizione, durante la
quale è stato augurato un futuro
radioso per la Chiesa nello Stato di Telangana.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 3 febbraio 2016
pagina 7
Dal 3 all’11 febbraio a Roma le spoglie di san Pio da Pietrelcina e di san Leopoldo Mandić
Una storia cristiana
di FRANCESCO CASTELLI
Sono passati quasi cinquant’anni dalla morte
di padre Pio da Pietrelcina (23 settembre 1968)
e ancora non è stata
pubblicata una biografia
scientifica sul frate del
Gargano che consenta
di poter leggere, in modo snello ed essenziale,
la sua parabola umana e
il suo significato.
Si tratta di un’operazione di sicuro laboriosa
per il reperimento delle
fonti. I carteggi del cappuccino e le diverse testimonianze di quanti lo
hanno avvicinato, solo
gradualmente sono state
raccolte e, in parte, tale
processo continua ancora. Ne doveva essere
consapevole uno studioso della Congregazione
delle cause dei santi,
Melchiorre da Pobladura (1904-1983), un maestro di storia
che, insieme ad Alessandro da Ripabottoni, aveva compiuto negli anni
Settanta la fondamentale opera di
pubblicare l’epistolario del cappuccino.
Oltre al difficile reperimento delle
fonti, c’è la complessità del personaggio a spiegare il ritardo della sua
biografia. C’è il farsi di una storia di
un uomo all’interno di uno scenario
più ampio. Molto più ampio. Ne
diamo qualche cenno. Padre Pio è
nato nel 1887, nel beneventano, da
nemmeno trent’anni regno d’Italia.
Appartiene a una generazione che
non conosce più il sovrano Pontefice. Il Papa è “prigioniero” in Vaticano quando il futuro frate cresce e
decide il suo avvenire. Per tutta la
vita, il suo attaccamento alla figura
del Pontefice sarà molto forte. L’ingresso in convento è nel 1897, a
quindici anni dal settimo centenario
della nascita di san Francesco. In
quel torno di anni è stata prodotta
abbondante letteratura sul poverello
d’Assisi. Abbondante e eterogenea.
La formazione culturale del giovane frate avviene lontano dai centri
accademici italiani. Del modernismo
e della Pascendi dominici gregis
(1907), dei fremiti e delle tensioni di
quel periodo, la vita del cappuccino
non sembra percepire l’eco. Il giovane (e oggi dichiarato venerabile)
don Olinto Marella, sospeso a divinis per aver accolto in casa propria
lo scomunicato Romolo Murri, è ancora lontano dal frequentare il convento di San Giovanni Rotondo e
dal raccontare, forse, al cappuccino
le sue passate vicissitudini.
Fra Pio diventa prete nel 1910.
Legge testi di spiritualità cappuccina
e gli scritti di Teresa di Lisieux. A
differenza
degli
altri frati, però, già
da qualche tempo
è a casa, a Pietrelcina, e vi rimane
quasi ininterrottamente
fino
al
1916. È un periodo
della sua esistenza ancora non sufficientemente ricostruito.
Ogni prete sa quanto
siano decisivi i primi
anni di ministero sacerdotale. Padre Pio impara a fare il prete con
un sacerdote diocesano, il parroco don
Salvatore Panullo, un
prete laureato in teologia che ha fatto anche da insegnante al
cappuccino.
Forse
un prete “alla Leone
XIII”. Un prete che,
sia per il ministero
pastorale tra i poveri che per aver
certamente letto la Rerum novarum,
non ignora i bisogni sociali della
gente. I disagi e le malattie. È da
qui che padre Pio ha mutuato la sua
sensibilità sociale, il suo futuro progetto di fondare un ospedale? Nel
frattempo l’Italia ha già compiuto la
guerra d’Abissinia (1895-1896): nel
carteggio del cappuccino se ne può
vedere qualche traccia. E infine arriva la grande guerra, con i drammi e
le speranze. E nel frattempo prega,
come tutti, che il Signore protegga
le truppe. Quelle italiane.
Alla fine del conflitto per il cappuccino si apre un nuovo scenario, o
meglio, si aprono le ferite sul suo
corpo, le stimmate. È l’inizio di una
storia altra. Un’esperienza singolare,
spiritualmente importante. Appesantita però dall’afflusso di gente, devota o scettica, di curiosi o di incaricati
di un chiarimento. Non deve essere
stato facile per il cappuccino gestire
se stesso in quei momenti. E di fatto
vi sono circostanze difficili in cui è
coinvolto: l’isolamento, la celebrazione della messa in privato. Per il
futuro biografo di padre Pio è la sospensione della corrispondenza epistolare a pesare di più (anno 1922).
Padre Pio non scrive un diario e così
la fine del carteggio segna anche
l’arresto di una fonte preziosissima
per seguire da vicino il personaggio.
La sua crescita spirituale e il suo affinamento come guida d’anime sono
ora più difficili da ricostruire.
Durante gli anni Trenta l’Europa
marcia velocemente verso la seconda
guerra mondiale. A San Giovanni
Rotondo i segni arrivano a conflitto
iniziato. Padre Pio è meta di svariati
reparti di soldati, di diversa provenienza. È occasione di ascolto. Di
mano amica. Anche se piagata.
Con la fine del conflitto e l’avvento della repubblica i cattolici sono in
prima linea per il successo della Democrazia cristiana. Padre Pio è tra
questi. I suoi testimoni lo ricordano
attivissimo nel favorire l’appoggio ai
candidati democristiani. Lui stesso si
reca alle urne a votare. I tempi della
sua infanzia, del non expedit, sono
lontani.
E infine c’è la stagione di Papa
Giovanni e di Paolo VI. Dell’indizione del concilio e della medicina della misericordia. Molti padri conciliari visitano il cappuccino, e forse gli
riportano speranze e impressioni.
Cosa pensa padre Pio?
Ciò fino al 1968, l’anno della morte. Una storia intensa, dunque. Storia che domanda lo studio della documentazione ancora non accessibile
negli archivi vaticani (sinora sono
consultabili i documenti sino al pontificato di Pio XI e proprio da tali
carte di recente è giunta una gran-
de quantità di dati significativi).
Una storia ancora da narrare in gran
parte. Gli anni della formazione sono un capitolo che aspetta di essere
scritto adeguatamente. E una particolare attenzione merita il profilo
delle sue guide spirituali e dei principali discepoli che con lui hanno
condiviso l’esistenza (in tale direzione metodologica andavano le ricerche di uno studioso del cappuccino
di recente scomparso, lo scrittore
Gennaro Preziuso). In una futura
biografia del cappuccino un posto
particolare dovrebbe essere dato anche alle figure ritenute “nemiche”
del frate ricordando però la lezione
di Alessandro Manzoni sull’impossibilità di una storia solo binaria,
bianca o nera, con tagli e labbri netti. Così andrebbe “ripulito” il volto
di Agostino Gemelli, in particolare
da quei calcinacci che le fonti storiche stanno progressivamente rimuovendo. E un discorso analogo vale
per altre personalità di recente meglio ricostruite (si pensi agli studi di
Angelo Giuseppe Dibisceglia su alcune figure dell’arcidiocesi di Manfredonia).
Tra le questioni a cui il futuro storico di padre Pio dovrebbe fare attenzione una sembra rivestire un valore particolare. La futura biografia
di padre Pio dovrebbe consentire di
osservare il cammino di crescita spirituale del cappuccino ed evitare
l’insidia di una ricostruzione da
“santità disincarnata”. Non è infrequente, in alcune biografie di santi,
assistere a un’operazione oleografica
che spoglia il personaggio della sua
umanità. E che dunque non gli riconosce i tentennamenti e i debiti con
la storia privandolo di quei limiti e
di quei difetti con i quali si nasce e
si muove. Per il timore di
intaccarne la figura o
per
un
approccio
Il fratello atteso
di FLAVIANO GIOVANNI GUSELLA*
Era solito dire: «Nascondiamo tutto
quello che può avere ombra di dono di
Dio in noi, affinché non se ne faccia
mercato. A Dio solo l’onore e la gloria».
E a un sacerdote suo penitente, un giorno di Pasqua, confidava: «Ringraziamo il
Signore e domandiamogli perdono, perché si è degnato dipermettere che la nostra miseria venisse a contatto con i suoi
tesori di grazia». Attorno a lui si muoveva tutto un mondo; per le sue preghiere
accadevano fatti straordinari, eppure tutto finiva nel silenzio; solo ne restavano
beneficate le anime e glorificato il Signore. Nessun rumore, nessuna pubblicità.
Sembrava che egli non si accorgesse di
nulla e, realmente, non sapeva darsi ragione dell’accorrere della gente al suo
confessionale. A un amico che gli faceva
notare la cosa, con semplicità rispose:
«Ma che colpa ne ho io se vengono con
tanta fede e, per la loro fede, il Padrone
Iddio li esaudisce? Che c’entro io?».
Il 22 settembre 1940, a Padova, nella
chiesa dei Cappuccini, padre Leopoldo
Mandić celebrò il cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio. Era quasi al termine della sua esistenza. Sarebbe morto
due anni dopo. Tenne il discorso gratulatorio monsignor Guido Bellincini, docente al seminario di Padova, direttore
dell’Opera antoniana. Si tratta di un discorso prezioso per comprendere la stima, l’affetto e la venerazione che il clero
padovano nutriva per padre Leopoldo e
per avere una sintesi del suo ministero.
Una rara e unica foto ritrae padre Leopoldo seduto in presbiterio, davanti
all’altare, quasi sprofondato in una poltrona, con l’espressione di chi vorrebbe
sprofondare del tutto. È evidente come
stia “subendo” quella situazione. Lui,
umilissimo, che voleva passare sulla terra
«come un’ombra senza lasciar traccia di
sé», appare in un atteggiamento di disagio e di confusione. Dopo aver riconosciuto a padre Leopoldo tre requisiti
dell’ottimo confessore («mente addottrinata, cuore spirante l’immensa carità di
Cristo, indole affabile e paziente») e aver
elogiato la sua larghezza di cuore, monsignor Bellincini descrive la sua mansuetudine: «Incantevole pregio di un’anima
morbida come il velluto. Si pensi a uno
votato ininterrottamente al servizio altrui,
a uno che per cinquant’anni, tutti i giorni, tutte le ore, sempre accogliente e sorridente, se ne sta chiuso in una cameretta, come in una specie di segregazione
cellulare, resa di più monotona dal pesante biascicarsi al suo fianco di innumerevoli miserie; fate che in quest’uomo
non si riesca mai a scoprire uno scatto di
sdegno, un atto d’impazienza, un cenno
di fastidio, una qualunque alterazione
della pia voce sommessa, e si avrà in
gran parte spiegato il segreto per cui padre Leopoldo ha guadagnato la fiducia
di tante anime. E a sua lode bisogna subito aggiungere che questo felice temperamento non è interamente un prodotto
di natura, bensì anche un frutto di virtù». Il venerabile cappuccino padre Mariano da Torino dedicò una delle sue apprezzate e seguite trasmissioni televisive a
Leopoldo Mandić, il 12 aprile 1966, nella
ricorrenza del primo centenario della sua
nascita. Da come parla di lui si può supporre che abbia avuto modo d’incontrarlo, anche se non risulta dai documenti
della vicepostulazione. Padre Mariano
definì il confessore croato «il servo dei
poveri peccatori, amico dell’umanità fragile, sofferente, peccatrice», sottolineando, in particolare, la sua capacità di accoglienza e di ascolto: «Un’accoglienza
singolare da parte di quel vecchio cappuccino. Se anche avesse confessato tutta
la giornata, per lunghe ore fosse stato nel
confessionale, non aveva mai uno scatto
d’impazienza, mai un atto di noia, e accoglieva sempre con un sorriso, come un
fratello che attendeva da tanto tempo un
caro fratello lontano: voleva abbracciarlo». La celletta confessionale di padre
Leopoldo fu definita il “salottino della
cortesia” per l’affabilità e la disponibilità
con cui accoglieva i penitenti. Testimoniò
un sacerdote: «Si andava da lui la mattina ed egli: “Si accomodi, si accomodi”,
oppure “Eccomi, eccomi”, oppure, “Venga, venga”. Si andava da lui la sera, e
sempre le stesse parole, la stessa dolcezza, lo stesso sorriso, dopo una giornata
piena di confessioni». Disse “Eccomi, eccomi” anche al fratello che lo assisteva
nell’ultima notte tra il 29 e 30 luglio
1942, che gli chiese di confessarlo. Papa
Francesco ha affermato che «la confessione è lo stupore di incontrare qualcuno
che ti sta aspettando. Dio è colui che ti
“anticipa”. Lo stai cercando, ma Lui ti
cerca per primo». Padre Leopoldo era
proprio così. Con l’olio della misericordia sapeva medicare le ferite aperte e
sanguinanti, senza infierire sulle anime
doloranti, senza umiliarle inutilmente. Disse un giorno: «Perché dovremmo noi umiliare maggiormente le anime che vengono a
prostrarsi ai nostri piedi? Non sono abbastanza umiliate? Ha forse
Gesù umiliato il pubblicano, l’adultera, la Maddalena?».
E poi — sottolineava ancora padre
Mariano — l’ascolto: «Non tutti sappiamo ascoltare. Padre Leopoldo aveva
tanta umanità nell’ascoltare i penitenti.
Era qualche cosa di dolce per il penitente vedere quell’uomo che stava ad
ascoltarlo con tanta bontà, a meno che
non interrompesse con quel suo “Basta
così”. Perché? Perché il resto lo sapeva
lui. Quante volte le testimonianze sono
sovrabbondanti su questo punto; padre
Leopoldo “leggeva” nella coscienza;
non c’era più bisogno di enumerare
neppure peccati gravi, che già egli conosceva. Poi le parole che diceva, i consigli che dava. Erano poche parole, elementari, semplici; di quelle fondamentali ed essenziali, di quelle che danno
una soluzione a un problema, che fanno prendere una decisione che lì per lì
non si sapeva prendere e che risultava,
poi, una volta presa, quella unica, quella
felice. Si usciva alleggeriti dal peccato, ma
anche contenti di essere stati compresi. Si
era illuminati, si era stati amati da qualcuno, e anche ringraziati». Padre Leopoldo
«sapeva distinguere molto bene tra peccato e peccatori. Il peccato era per lui, come deve essere, la cosa più brutta che può
colpire l’uomo e il male più brutto, perché deturpa l’anima che è ciò che più vale
nell’uomo, e offende Dio che è il Padrone
dell’universo. Il peccatore è, invece, un
uomo; è un uomo che ha toccato con mano la sua miseria e che, quindi, non deve
essere mortificato, ma vivificato, e non
può essere vivificato se non dalla misericordia di Dio. Padre Leopoldo era convinto che nessuno ha bisogno di un sorriso come colui che attende un sorriso di
Dio per la sua anima. Era convinto che
nessuno è bisognoso di tanta comprensione come colui che deve essere aiutato a
trovare dentro se stesso, in fondo all’anima, quello che di buono ancora è rimasto».
Albino Luciani, futuro Papa Giovanni
Paolo I, incontrò padre Leopoldo una sola volta, giovanissimo sacerdote, a Belluno. Si era confessato da lui, durante gli
esercizi spirituali, conservandone un dolce e vivo ricordo per tutta la vita. Il fratello Berto ha raccontato che dopo la sua
morte, tra gli effetti personali che gli furono restituiti, c’era anche il suo portafoglio. Dentro, assieme alle foto dei suoi
genitori, c’era un santino di Leopoldo
Mandić. Padre Leopoldo — disse Luciani, allora patriarca di Venezia, in un’omelia pronunciata il 30 maggio 1976, pochi
giorni dopo la beatificazione — «ha copiato fedelmente un aspetto di Gesù:
scontro col peccato, incontro col peccatore. Accoglieva il peccatore proprio come
un fratello, come un amico e per questo
non pesava confessarsi da lui. Sapete,
peccatori siamo tutti, lo sapeva benissimo. Bisogna prendere atto di questa nostra triste realtà: nessuno può a lungo
evitare le mancanze, piccole o grandi. Però, diceva san Francesco di Sales, se tu
troppo emotivo, si assiste a volte a
una “disumanizzazione” del santo a
cui non si riconosce l’incedere, a volte faticoso, sulle strade della vita.
Con il rischio di privare i credenti di
modelli cristiani capaci di parlare
all’oggi: in simili biografie i santi divengono forse stelle bellissime da
guardare, ma così poco umani e così
poco corrispondenti alla storia. Alla
loro storia fatta di giornate liete ma
anche di fallimenti, di perdite di
senso. Storia ricomposta gradualmente. Storia di ferite poi divenute
feritoie di salvezza. Storia di uomini.
Come ogni uomo anche padre Pio
ha conosciuto i suoi dubbi, le sue
ansietà. Anche lui si è dovuto affidare. Non si è trattato di un eroe greco. Anche lui — secondo una bella
espressione desunta dagli scritti del
monaco Andre Louf — ha imparato
che la santità è un dono ricevuto a
partire da «un’ascesi nella povertà e
debolezza». La straordinarietà dei
fenomeni non dovrebbe perciò cancellare le tracce di umanità. Anzi, le
stimmate del cappuccino dovrebbero
ricordare al credente che Dio si è
coinvolto con la nostra carne.
La storia di “san” Pio dovrebbe
dunque essere anche storia dell’“uomo” padre Pio. E questo consentirebbe di poter “ridire la santità” di
padre Pio.
La sua vicenda così fortemente legata al corpo, al suo — stimmatizzato — e a quello di tanti ammalati —
stimmatizzati in modo altro — ricorda proprio tale dato: la necessità di
integrare la memoria devota con la
memoria storica, anzi di fondare
quella a partire da questa senza sottrarre il personaggio alla sua complessità. E, per il credente, comprendere una volta in più cosa significa
che Dio si è fatto carne e si è raccontato in Gesù di Nazareth.
hai l’asinello e, per strada, ti casca sul
selciato, cosa devi fare? Mica vai là col
bastone a spianargli le costole, poverino, è già abbastanza sfortunato. Bisogna che tu lo prenda per la cavezza e dica: “Su, riprendiamo la
strada”. Aiutalo a tornare in
strada. È cascato. Ma adesso
riprendiamo il cammino, faremo più attenzione un’altra volta. Questo è il sistema e padre
Leopoldo l’ha applicato in pieno».
Mandić, abitualmente dolce e paterno con i suoi penitenti, diventava particolarmente energico quando constatava
gravi colpe d’infedeltà coniugale. Sulla
famiglia aveva idee limpide, sempre
rapportata al piano di Dio creatore. La
voleva impostata nell’amore, nell’unità,
nei figli. Usava parole molto dure per
i peccati contro l’amore, l’unità e la
fedeltà, contro la prepotenza, la brutalità. Un giorno andò a confessarsi
da lui un uomo sulla sessantina. Era
un disgraziato che maltrattava orrendamente la moglie. A un tratto padre Leopoldo si alzò in piedi e disse
per tre volte: «Lei è un delinquente». Quel tale si sentì offeso e invitò il confessore a ritirare le parole
dette. Per tutta risposta, padre
Leopoldo replicò: «Non ritiro
niente di quanto ho detto, anzi lo
confermo in nome di Dio». A tanta fermezza, quell’uomo rimase così profondamente colpito che si umiliò e
disse: «Padre, lei ha ragione. Vedo anch’io che a operare in questo modo sono
proprio un delinquente». Allora il padre
lo confessò e lo rimandò consolato e trasformato.
Così lo descrisse Papa Paolo VI nel
giorno della beatificazione (2 maggio
1976): «Noi non abbiamo che da ammirare e da ringraziare il Signore che offre
oggi alla Chiesa una così singolare figura
di ministro della grazia sacramentale della Penitenza; che richiama la capitale importanza, di così attuale pedagogia, di
così incomparabile spiritualità; e che ricorda ai fedeli, fervorosi o tiepidi e indifferenti che siano, quale provvidenziale e
ineffabile servizio sia ancor oggi, anzi oggi più che mai, per loro la confessione
individuale e auricolare, fonte di grazia e
di pace, scuola di vita cristiana, conforto
incomparabile nel pellegrinaggio terreno
verso l’eterna felicità».
*Rettore del santuario
di San Leopoldo Mandić (Padova)
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 3 febbraio 2016
Bilanci e prospettive in un’intervista al cardinale Braz de Aviz
Dall’anno della vita consacrata
al giubileo
di NICOLA GORI
D all’anno della vita consacrata al giubileo.
Un passaggio segnato da una parola chiave: misericordia. È stato Papa Francesco
in persona a suggerire questa prospettiva
per il cammino futuro di tutti i consacrati
e le consacrate del mondo. A rivelarlo è il
cardinale João Braz de Aviz, prefetto della
Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. In
questa intervista al nostro giornale il porporato brasiliano traccia un bilancio e indica gli orizzonti di questo anno che si
conclude con la messa celebrata dal Pontefice in San Pietro nel pomeriggio del 2
febbraio, festa liturgica della presentazione
del Signore.
tutto il mondo. Con l’arcivescovo segretario abbiamo compiuto molti viaggi nei
cinque continenti, incontrando più di
300.000 consacrati. Abbiamo scoperto cose meravigliose. Non che non ce le aspettassimo; ma non sapevamo esattamente
come in concreto i consacrati vivessero la
loro vocazione. Ricordo anche la bellezza
degli incontri mondiali che abbiamo celebrato a Roma. Ci siamo confrontati con le
esperienze religiose di altre confessioni cristiane e con i giovani consacrati, poi con i
formatori e le loro nuove esigenze. In
questi giorni abbiamo celebrato l’ultimo
simposio dell’anno, al quale hanno partecipato più di quattromila persone appartenenti a tutte le vocazioni e forme di vita
consacrata. Vorrei aggiungere che questo
quelli più difficili e importanti, come
l’educazione, la sanità, le opere sociali.
Ma si trovano anche a vivere su tante
frontiere dove non è permesso nemmeno
mostrare un segno cristiano all’esterno.
Queste cose accentuano il cammino verso
la misericordia. Guardiamo con speranza
a quanto avviene nella vita consacrata in
alcuni continenti, come l’Asia. Il Vietnam,
per esempio, è il Paese dove c’è il maggior
numero di vocazioni. In Corea ci sono
centomila battezzati all’anno. Questo indica che ci sono delle presenze profonde,
delle sensibilità importanti per la vita consacrata che dobbiamo accompagnare.
L’Africa ha altre potenzialità. Ci sono ancora molte culture che devono essere illuminate dal cristianesimo e situazioni che
devono essere cambiate, ma lo si può fare
solo attraverso una testimonianza forte di
vita cristiana. L’Africa è una speranza
grandissima per le vocazioni e per il rinnovamento della società. In questo senso
dobbiamo lavorare con gli africani. Anche
in America latina si nota ancora un movimento vocazionale, anche se è sempre più
presente la secolarizzazione. Vogliamo che
per il futuro il dicastero non sia solo quello che accompagna nelle difficoltà ma in
tutta la vita, soprattutto sostenendo quello
che è necessario.
In che modo il giubileo sta interpellando i
consacrati?
Nei luoghi in cui sono stato ho visto
che l’anno della misericordia viene vissuto
come un appello a riequilibrare il nostro
rapporto con Dio. Egli è giudice, ma lo è
di misericordia. Questa definizione esprime l’identità profonda di Dio. E noi dobbiamo trasformarla in coscienza personale
e comunitaria. Il fatto che Dio usi misericordia con noi comporta che anche noi
siamo chiamati a essere misericordia per
gli altri. In questo senso, i nostri rapporti
con gli altri cambiano molto.
A che punto è la revisione del documento
«Mutuae relationis» sui rapporti tra vescovi
e religiosi?
Sono stati raggiunti gli obiettivi che si proponeva l’anno della vita consacrata?
Ho un senso profondissimo di gratitudine a Dio e a Papa Francesco per questo
anno. È stato per noi come un tocco di
grazia e ha rilanciato la speranza. Ci ha
fatto guardare in modo positivo alla vita
consacrata e anche ai problemi che ci sono: e si tratta di problemi reali, come l’invecchiamento o la mancanza di vocazioni
in alcuni continenti. Abbiamo riscoperto
che in fondo c’è una vocazione speciale
che è parte integrante della Chiesa. Non è
un’appendice, non è qualcosa di temporaneo che sta per terminare, ma è un dono
di Dio alla comunità. Fin dalle origini è
sempre stato così; e siamo sicuri che Dio
continuerà a chiamare anche in tante forme nuove. Questo senso profondo di gratitudine e di speranza è importantissimo.
anno ci ha dato la certezza di un cammino molto concreto che getta luci sulla formazione, sulla vita comunitaria, sull’autorità.
Ora che l’anno si conclude è tempo di guardare al futuro. Che ulteriori sviluppi potrà
avere questa esperienza?
Durante un’udienza privata che io e il
segretario del dicastero abbiamo avuto con
Papa Francesco ci è stata data la risposta.
Il Pontefice ci ha fatto notare la bella circostanza della chiusura dell’anno della vita consacrata che avviene all’interno
dell’anno santo della misericordia. L’abbiamo interpretata come un’indicazione:
camminare, cioè, verso la misericordia,
quella che viene da Dio, quella che comprendiamo attraverso l’esperienza di Dio.
Che cosa significa in concreto?
Quali sono stati i momenti più significativi?
In questo anno abbiamo avuto l’opportunità di uscire dalla semplice casistica
giuridica sottoposta all’esame del dicastero
e di andare incontro alla vita consacrata in
Vuol dire che dobbiamo essere attenti:
nella vita consacrata la misericordia di Dio
deve arrivare alle persone. Già è così in
tante situazioni, perché i consacrati operano in vari ambienti nella Chiesa, anche in
Abbiamo fatto una consulta e stiamo lavorando insieme con l’Unione dei superiori maggiori e con l’Unione internazionale
delle superiore maggiori. Si tratta di una
collaborazione molto feconda. Il Papa ha
definito i due principi centrali su cui lavorare: la spiritualità di comunione e la
coessenzialità della dimensione gerarchica
e di quella carismatica. Penso si debba vedere la relazione tra gerarchia e carismi
nel senso della comunione. Nella spiritualità di comunione, infatti, le relazioni si
completano e diventano vere, positive. E
così si superano le difficoltà di rapporto.
Il secondo principio è quello di rimettere
in luce la coessenzialità della dimensione
gerarchica e di quella carismatica, perché
queste due dimensioni provengono dagli
inizi della Chiesa. Lo Spirito Santo che
parla nell’una e nell’altra dimensione non
si contraddice. Questo ha delle conseguenze pratiche, come il bisogno di recuperare rapporti veri nella verità, nella misericordia e nella libertà. Dobbiamo ritrovare questa maturità per il bene della
Chiesa. Ciò vuol dire che dobbiamo impegnarci molto di più nel cammino di comunione tra tutti gli istituti e tra gli istituti e
le Chiese locali.
Parlando di comunione, esiste una sensibilità
ecumenica nei consacrati?
Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice
Mercoledì delle ceneri, 10 febbraio 2016
Messa a San Pietro
presieduta da Papa Francesco
INDICAZIONI
Il 10 febbraio 2016, Mercoledì delle Ceneri,
inizio della Quaresima, alle ore 17, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco celebrerà
la Santa Messa con il Rito di benedizione e
imposizione delle Ceneri e l’Invio dei Missionari della Misericordia.
Per la circostanza, l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice comunica
quanto segue:
Potranno concelebrare con il Santo Padre:
— i Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi e i
Vescovi, che si troveranno, alle ore 16.30, nella
Cappella di San Sebastiano in Basilica, portando con sé: i Cardinali e i Patriarchi la mitria bianca damascata, gli Arcivescovi e i Vescovi la mitria bianca;
— i Missionari della Misericordia. Essi, muniti di apposito biglietto distribuito dal Ponti-
ficio Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione, e portando con sé amitto,
camice e cingolo, vorranno trovarsi al Braccio
di Costantino entro le ore 15.30, per indossare
le vesti sacre.
— I Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi e i
Vescovi e tutti coloro che, in conformità al
Motu Proprio «Pontificalis Domus», compongono la Cappella Pontificia e desiderano partecipare alla celebrazione liturgica senza concelebrare, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi alle ore 16.30
presso l’Altare della Confessione, per occupare
il posto che verrà loro indicato.
Città del Vaticano, 2 febbraio 2016
Mons. GUID O MARINI
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
Certo. Ed è anche molto grande: direi
che ormai è un fattore acquisito. Pochi sono i casi in cui non si avverte questa sensibilità. In generale nella vita consacrata
non c’è solo la dimensione ecumenica, ma
è alimentata anche quella del dialogo interreligioso. Con la globalizzazione siamo
venuti in contatto con le antiche culture e
le grandi tradizioni religiose. I consacrati
hanno accolto l’appello lanciato da Papa
Francesco a conoscerci di più, volerci più
bene, costruire insieme la pace, perché
tutti quelli che lavorano per Dio lavorano
per i valori umani. C’è anche il rapporto
necessario con quelli che nella cultura attuale non sentono la dimensione della fede. Non possiamo dire che sono colpevoli:
sono fratelli e sorelle con i quali si deve
fare un cammino comune. La visione della
Chiesa è sempre più aperta e i consacrati
l’appoggiano e cercano di incarnarla.
Qual è l’impegno dei consacrati in risposta
alle gravi emergenze sociali del nostro tempo,
come quella dei profughi e dei rifugiati?
Rispondo con un esempio. Sono stato
nella chiesa romana della Traspontina per
il cinquantesimo dell’Unione internazionale delle superiore maggiori. Alla fine della
celebrazione, sono state presentate due co-
munità composte da dieci suore. Ciascuna
di loro apparteneva a una congregazione e
a una cultura diversa. Sono andate in Sicilia per essere vicine ai profughi. Queste
sono iniziative che si stanno moltiplicando, nel segno dell’intercongregazionalità e
dell’internazionalità. A Roma ci sono molti progetti sorti dopo l’appello di Francesco a favore dei profughi. Il Papa invita la
società al dialogo, a comprendere certe situazioni e a farsi carico dei poveri. I consacrati stanno rispondendo con entusiasmo a questo appello.
lo stregone comanda vita e morte, il Vangelo è luce. E la popolazione lo capisce. È
questa la misericordia che ho constatato.
Il giorno di Natale è arrivato alla missione
il corpicino di una bambina di due anni a
cui avevano tolto cuore, testa e mani: forse per alimentare il traffico di organi, o
perché qualcuno ha detto che si doveva
fare così. Questo ci ha colpito in un modo
così forte che abbiamo capito veramente
quanto bisogno ci sia del Vangelo e di
consacrati che mostrino la luce di Dio.
Può essere interpretato così il richiamo alla
misericordia?
Quali sono le novità del documento del dicastero «Identità e missione del fratello religioso
nella Chiesa» presentato lo scorso dicembre?
Nei rapporti intraecclesiali talvolta viene fuori un atteggiamento per cui si esige
qualcosa dall’altro. Invece si cammina insieme molto di più nel rispetto e nell’apertura per l’altro. Questo è fondamentale. I
consacrati non andrebbero in missione nei
luoghi più difficili se non vivessero la misericordia. A Natale sono stato in una
missione di Dombe, nella diocesi di Chimoio, in Mozambico. Ero accompagnato
da tre suore che lavorano con me. Abbiamo visto come il Vangelo lì sia importante. Questa missione, che ha sessant’anni di
vita, è stata distrutta dalla guerra, ma poi
è stata riaperta. In un contesto culturale
dove ancora si vendono le donne e i bambini, dove c’è il commercio degli organi e
Questo documento ha mostrato come la
consacrazione maschile non è in rapporto
al sacerdozio ministeriale. Nel passato le
congregazioni si sono molto concentrate
su questo rapporto, tanto che la vocazione
nella vita consacrata maschile era quella
del sacerdote. Non è così. Il sacerdote è
una vocazione ministeriale, ma la consacrazione maschile è basata sulla scelta che
Dio fa della persona per la vita consacrata
nei tre voti. È essenzialmente una vita fraterna e di comunione. Occorre ritornare a
questa dimensione della fraternità. Stiamo
ricevendo tanti riscontri di fratelli che non
si sentono più come persone di seconda
categoria. Questo sarà un motivo di tante
altre consacrazioni.
Nomine episcopali
Le nomine di oggi riguardano la Chiesa
in Canada, Grecia e India.
Robert Bourgon, vescovo
di Hearst (Canada)
È nato il 10 marzo 1956 a Sudbury.
Dopo gli studi primari e secondari a
Creighton Mine e nel St. Charles College di Sudbury, si è iscritto alla Queen’s
University e alla Western University, dove ha ottenuto il baccalaureato in psicologia e filosofia. È poi entrato nel seminario St. Peter di London, e presso la
Saint Paul University (Ottawa) ha conseguito il master of divinity e il dottorato
in diritto canonico. È stato ordinato sacerdote l’8 maggio 1981 per la diocesi di
Sault Sainte Marie. Dopo l’ordinazione
è stato vicario della parrocchia Holy Name of Jesus e assistente della pro-cattedrale di North Bay (1981-1983); parroco
di St. Bartholomew di Levaci (19861992); parroco di St. François-Xavier di
Cartier (1988-1996). Dal 1996 è di nuovo
parroco delle parrocchie di Levaci, Cartier e di Bowling, fuse tra loro, e di
Onaping, nella regione di Sudbury. Insieme con l’attività pastorale ha svolto
anche incarichi amministrativi e curiali:
dal 1984 al 1986 è stato “prestato” alle
diocesi di London e all’arcidiocesi di
Kingston per riordinare i tribunali diocesani. Nel 1990 è stato annoverato tra i
membri del collegio dei consultori. Nel
1998 è stato nominato vicario giudiziale
di Sault Sainte Marie e vicario giudiziale
aggiunto del tribunale regionale di Toronto. Nel 2000 è stato nominato anche
vicario episcopale per le materie spirituali e nel 2011 cancelliere. Dal 17 aprile
2012 è stato vicario generale della diocesi
di Sault Sainte Marie.
Manuel Nin, esarca apostolico
per i cattolici
di rito bizantino in Grecia
È nato il 20 agosto 1956 a El Vendrell,
arcidiocesi di Tarragona (Spagna), dove
ha compiuto gli studi primari e secondari. Entrato nel 1975 nel monastero benedettino di Monserrat per il noviziato, ha
emesso la professione triennale il 26 aprile 1977 e la solenne professione monastica il 18 ottobre 1980. È stato ordinato sacerdote il 18 aprile 1998. Nella scuola
teologica del monastero ha frequentato il
biennio istituzionale filosofico (1977-1979)
e i corsi di teologia (1979-1984). Trasferitosi a Roma, all’Augustinianum ha con-
seguito prima la licenza (1987) e poi il
dottorato (1992) in teologia e scienze patristiche, con l’edizione critica di testi siriaci di Giovanni il Solitario. Ha insegnato, tra l’altro, al Pontificio istituto liturgico e nell’istituto monastico del Pontificio ateneo Sant’Anselmo, alla Pontificia università della Santa Croce, al Pontificio istituto orientale e alla Pontificia
università Gregoriana, ed è tuttora impegnato in una intensa attività didattica.
Dal 1996 al 1999 è stato direttore spirituale del Pontificio collegio greco, di cui
è stato nominato rettore il 29 giugno
1999, incarico rinnovatogli successivamente nel 2002, nel 2007, nel 2012 e nel
2015. Il 14 novembre 1999 è stato benedetto archimandrita della diocesi di
Akko, Haifa, Nazaret e tutta la Galilea.
In seno al suo ordine è stato primo assistente dell’abate presidente della congregazione sublacense-cassinese. È consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice e membro della commissione liturgica della Congregazione per le Chiese orientali. Autore di
numerosi studi, dal 2008 è editorialista
dell’Osservatore Romano.
Christudas Rajappan
ausiliare di Trivandrum
dei Latini (India)
È nato il 25 novembre 1971 ad Adimalathura, in arcidiocesi di Trivandrum dei
latini. Ha completato gli studi filosofici e
teologici nel Papal Seminary a Pune, poi
ha conseguito un dottorato in missiologia presso la Pontificia università Urbaniana a Roma. È stato ordinato sacerdote il 25 novembre 1998 per l’arcidiocesi
di Trivandrum dei latini. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti
incarichi: amministratore parrocchiale
della St. Nicholas Church, Neerody
(1998-1999); segretario del vescovo e cappellano del Jubilee Memorial Hospital &
Catholic Hostel (1999-2001); direttore del
Kerala Catholic Youth Movement
(Kcym), Trivandrum (2000-2003); cappellano del Catholic Hostel (2001-2007);
parroco alla St. Magdalene Church, Parthiyoor (2002-2004). Dal 2004 al 2009
ha compiuto gli studi per il dottorato a
Roma. Quindi è stato direttore spirituale
e docente al St. Joseph’s Pontifical Seminary, Alwaye (2010-2013). Dal 2013 è
rettore del St. Vincent’s Seminary, Menamkulam, direttore del Board of Clergy
& Religious e parroco della St. Thomas
Aquinas Church, Kochuthura.