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N. 00006/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01292/2014 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1292 del 2014, proposto da:
Michela Minuti, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Saita e Massimo Giavazzi, con
domicilio ex lege presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Carlo Zima n. 3;
contro
Comune di Quinzano d’Oglio, rappresentato e difeso dall’avv.to Domenico Bezzi, con domicilio
eletto presso lo studio di quest’ultimo in Brescia, Via A. Diaz n. 13/c;
per l'annullamento
DELL’ORDINANZA DEL RESPONSABILE DELLO SPORTELLO UNICO PER LE
ATTIVITA’ PRODUTTIVE IN DATA 5/8/2014, CHE HA DISPOSTO LA CESSAZIONE
IMMEDIATA DELL’ATTIVITA’ DI ADDESTRAMENTO CANI ESERCITATA IN VIRTU’
DELLA SCIA DEL 16/6/2014.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Quinzano D'Oglio;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
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Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2015 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti
i difensori come specificato nel verbale;
FATTO
In data 25/11/2013 la ricorrente depositava all’amministrazione comunale una prima SCIA per
l’avvio di una nuova attività di onoterapia, pet therapy, addestramento (doc. 2 Comune). Con
successiva SCIA presentata il 16/6/2014, la Sig.ra Minuti integrava la dichiarazione precedente,
segnalando una variazione consistente nell’addestramento di cani – singolarmente o in gruppo – con
un massimo di 10 unità. Con l’atto impugnato, il Commissario aggiunto inibiva l’esercizio
dell’attività, la quale si svolgerebbe in area agricola ricadente nel Parco della Savarona, per il quale
l’art. 7 delle NTA del Piano dei Servizi consente soltanto – fino all’adozione dello strumento di
pianificazione specifico per il Parco – “interventi connessi all’attività agricola, attività
agrituristiche, realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche o di uso o interesse pubblico”.
Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della
Sezione, l’esponente impugna il provvedimento in epigrafe, illustrando le seguenti censure in
diritto:
a) Violazione degli artt. 1 e 2 della L. 23/8/1993 n. 349, in quanto l’attività cinotecnica – per
espressa definizione normativa – è configurabile come attività agricola, diretta all’allevamento,
addestramento e selezione delle razze canine;
b) Violazione degli artt. 1 e 2 della L. 349/93 sotto altro profilo, eccesso di potere per carenza di
motivazione dal momento che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in zona
agricola sono del tutto incompatibili gli insediamenti residenziali, mentre sono ammessi utilizzi di
tipo intermedio tra quello agricolo e quello edificatorio (ad esempio, parcheggio, caccia, sport,
agriturismo), tra l’altro in assenza di opere edilizie;
c) Eccesso di potere per illogicità manifesta, dato che la pet therapy consiste in un’attività
terapeutica finalizzata a migliorare la salute di un paziente (appartenente a fasce fragili, come
anziani, malati, disabili fisici e psichici) avvalendosi di animali domestici come cani, gatti, cavalli,
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asini, conigli, capre, maiali, volatili; dunque si realizza un chiaro interesse pubblico, trattandosi
anche di favorire la convivenza tra uomo e cane.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la reiezione del gravame. In particolare
sottolinea in punto di fatto che la Sig.ra Minuti è priva della qualifica di imprenditore agricolo e che
l’area in cui insiste l’attività si trova all’interno di un Parco Locale di Interesse Sovracomunale
(PLIS). La ricorrente è munita della sola agibilità sanitaria per un’attività asini-amatoriale (priva di
collegamento con l’attività economica legata all’agricoltura). Con la SCIA del 16/6/2014 ha
introdotto l’addestramento di cani, con conseguente trasformazione dell’attività da amatoriale a
professionale. In punto di diritto, l’amministrazione invoca l’art. 1 della L. 349/93, per cui è attività
riconducibile all’agricoltura soltanto quella che contempla l’allevamento e la selezione dei cani (in
connessione inscindibile con l’addestramento), e che presuppone in aggiunta il titolo di
imprenditore agricolo (circostanza desumibile dall’art. 7 delle NTA del Piano dei Servizi, che
richiamano gli interventi regolati all’art. 59 della L.r. 12/2005). Anche la recinzione (in precedenza
soltanto amovibile) non è consentita dall’art. 7.
Con ordinanza n. 1009, emessa alla Camera di consiglio del 5/12/2014, questo Tribunale ha
motivatamente accolto la domanda cautelare.
Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2015 il gravame introduttivo è stato chiamato per la
discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
La ricorrente censura il provvedimento comunale che ha paralizzato gli effetti della SCIA
depositata il 16/6/2014.
1. Ad avviso del Collegio sono anzitutto fondati i primi due motivi di ricorso, per le ragioni
illustrate di seguito.
1.1 La disciplina della cd. “cinotecnica” è racchiusa nella L. 349/93, ai sensi della quale consiste
nell’attività “volta all'allevamento, alla selezione e all'addestramento delle razze canine” (art. 1
comma 1), mentre assume natura imprenditoriale agricola “quando i redditi che ne derivano sono
prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso
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soggetto” (art. 2 comma 1): tali soggetti così definiti sono “imprenditori agricoli, ai sensi
dell'articolo 2135 del codice civile”.
1.2 Una prima riflessione conduce a ritenere plausibile, in quanto giuridicamente ammissibile,
l’espletamento dell’attività cinotecnica in forma non imprenditoriale, secondo quanto stabilisce lo
stesso art. 2 comma 3 della L. 349/93 per cui “Non sono comunque imprenditori agricoli gli
allevatori che producono nell'arco di un anno un numero di cani inferiore a quello determinato, per
tipi o per razze, con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste da emanare entro trenta
giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”. A questo proposito, il D.M. 28/1/1994
statuisce che “Non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero
inferiore a cinque fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiore alle trenta
unità”. Il legislatore regolamenta l’attività cinotecnica svolta in forma professionale, ponendo
alcuni requisiti minimi (afferenti al reddito e al numero di capi), in difetto dei quali il soggetto
interessato non assume la qualifica di imprenditore agricolo.
1.3 In buona sostanza, la L. 349/93 non impone a colui che esercita l’attività cinotecnica di
assumere necessariamente lo status di imprenditore agricolo. Né tale conclusione si evince dalla
previsione pianificatoria del Comune di Quinzano d’Oglio (art. 7 delle NTA del Piano dei Servizi),
per la quale nell’area ricadente nel PLIS sono ammessi soltanto “interventi connessi all’attività
agricola, attività agrituristiche, realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche o di uso o interesse
pubblico”. Innanzitutto non appare direttamente pertinente il richiamo agli artt. 59 e ss. della L.r.
12/2005, i quali disciplinano gli interventi edificatori in zona agricola, mentre l’iniziativa
economica di cui si controverte non prevede la realizzazione di opere edili. Lo stesso art. 2135 del
c.c. – nello stabilire il criterio di collegamento dell'attività economica con il fattore produttivo
“terra”, individuando le “attività connesse” come quelle che si inseriscono nel ciclo dell'economia
agricola (cfr. Corte di Cassazione, sez. I civile – 10/5/2013 n. 11237) – è comunque rubricato
“imprenditore agricolo”, e dunque si rivolge ai soggetti che (diversamente dal caso di specie)
prestano l’attività in forma professionale. Osserva infine il Collegio che l’art. 7 delle NTA già
citato, nella sua formulazione letterale, permette gli interventi connessi all’attività agricola
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“contemplati dalla vigente legislazione”, in tal modo effettuando un rinvio recettizio di tipo
dinamico alle disposizioni normative vigenti, tra le quali acquistano rilevanza gli artt. 1 e 2 della L.
349/96.
1.4 Un ulteriore profilo investe la definizione di attività cinotecnica, che ad avviso della resistente
difesa deve necessariamente comprendere l’allevamento e la selezione canina. Nell’ambiguità della
norma, che semplicemente elenca le tre tipologie di attività (ossia allevamento, selezione e
addestramento delle razze canine), il Collegio non ravvisa ragioni logiche per escludere la sua
operatività nel caso di iniziative limitate al solo addestramento. Se, come già rilevato, è ammessa
l’attività in forma non imprenditoriale, è ipotizzabile che la specializzazione investa esclusivamente
una delle 3 fasi normativamente contemplate e che l’operatore effettui le prestazioni coinvolgendo
gli animali che vengono di volta in volta condotti in loco dai rispettivi proprietari. Se è logico
ritenere che, in via ordinaria, l’addestramento sia rivolto agli animali allevati sul fondo, è comunque
ragionevole consentire che il predetto singolo segmento qualificante dell’attività possa essere
valorizzato secondo l’indicazione (non esplicitamente preclusiva) fornita dalla norma.
2. Appare meritevole di positivo apprezzamento anche il terzo motivo, con il quale parte ricorrente
deduce l’eccesso di potere per illogicità manifesta, in quanto la pet therapy consiste effettivamente
in un’attività terapeutica di promozione della salute dei soggetti beneficiari, i quali si trovano in
condizioni di particolare debolezza o fragilità: l’instaurazione di una relazione positiva con
l’animale domestico realizza un evidente interesse di portata generale, ossia il miglioramento del
benessere degli individui in difficoltà. La cura delle patologie che affliggono talune persone
mediante l’ausilio di animali ben può rientrare nella definizione di “servizi di interesse pubblico”,
adoperata dall’amministrazione per descrivere gli interventi ammessi nella zona ove la ricorrente
svolge la propria attività.
In conclusione, la pretesa è fondata e merita accoglimento, con conseguente annullamento del
provvedimento impugnato.
Le spese di lite devono tuttavia essere compensate, per le difficoltà interpretative inerenti alla
normativa di riferimento.
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P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione
Seconda) definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il
provvedimento impugnato.
Spese compensate.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale, che provvederà a darne
comunicazione alle parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2015 con l'intervento dei
magistrati:
Alessandra Farina, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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