Pino Tursi Prato confessa: «Sono stato prestanome dei
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Pino Tursi Prato confessa: «Sono stato prestanome dei
Pino Tursi Prato confessa: «Sono stato prestanome dei fratelli Gentile» 21/03/2014 - Cronaca È a lui che Pino e Tonino Gentile intestarono i terreni sui quali, in seguito, Piero Citrigno costruirà le ville cosentine dei due fratelli. «Mi chiesero questo favore in quanto Pino era sindaco della città» “Prestanome”. Una definizione che sta stretta a uno come Pino Tursi Prato, ma tant’é: è a lui che Pino e Tonino Gentile intestarono i terreni sui quali, in seguito, Piero Citrigno costruirà le ville cosentine dei due fratelli. «Mi chiesero questo favore in quanto lui (Pino Gentile, ndr) era sindaco della città. Nell'85 diventai consigliere comunale e i terreni furono intestati a mio cognato. Alla fine fu lui che gli passò le ville», ha dichiarato ai microfoni di “Servizio pubblico” l’ex enfant prodige del socialismo cosentino, già segretario provinciale del Psi, consigliere regionale, potentissimo presidente dell’Asl, amico personale di Gianni De Michelis e uomo di fiducia del vecchio Giacomo Mancini. Questo era Tursi Prato prima che la sua carriera inciampasse in un’accusa di concussione e poi in una condanna a sei anni di carcere per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa. Troppo riduttivo definirlo “Prestanome”, dunque, anche perché la statura del suo rapporto con i due fratelli, il diretto interessato l’aveva già chiarita cinque anni fa con un’intervista a “Calabria Ora”. «Senza il mio apporto – spiegava allora Tursi Prato non sarebbe stata possibile l’elezione, prima a sindaco di Cosenza e poi a consigliere regionale di Pino Gentile. Né tantomeno la nomina a membro del Comitato di gestione dell’allora Cassa di Risparmio, del fratello senatore Antonio Gentile. A riprova della nostra amicizia sono stato fiduciario di alcune operazioni immobiliari per tutti e due, sia Pino che Tonino». Accadeva nel 2009. Due anni prima, mentre si trovava in carcere a scontare la condanna, gli era venuto lo schiribizzo di collaborare con la giustizia. Incontrò De Magistris (erano i tempi di “Why not”) e parlò con il pm Eugenio Facciolla che indagava sull’affaire “Eolico”, ma rinunciò al suo proposito quando l’attuale sindaco di Napoli fu sollevato dall’incarico. Oggi, a 64 anni, è un pensionato della politica, custode di numerosi segreti da Prima repubblica nonché detentore di un personalissimo record. Basta guardare il suo processo, 160 indagati e un solo condannato: lui. La vicenda aveva per oggetto le elezioni regionali del 1990 e quelle comunali del 1993. All’allora esponente socialista (poi transitato nel Psdi) venivano contestati i contatti con la cosca del boss Franco Pino, che gli avrebbe assicurato voti in cambio di assunzioni all’ospedale dell’Annunziata. Nel 1993, invece, il voto di scambio sarebbe servito per favorire l’elezione di Mancini a sindaco di Cosenza. L’inchiesta, partita proprio a seguito del pentimento di Franco Pino, coinvolgeva politici, notabili, imprenditori e qualche personaggio di grido come Vittorio Sgarbi e Tiziana Maiolo, oltre allo stesso Mancini che, però, venne poi prosciolto in abbreviato. E mentre gli altri indagati uscivano gradualmente di scena, a giudizio rimasero solo lui e Franco Pino. L’ultima beffa fu l’assoluzione del boss pentito, seguita dalla sua condanna in solitario e dalla breve latitanza prima dell’arresto in clinica.