Scarica Notizie donna n. 16
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COMMISSIONE PARI OPPORTUNITÀ DELLA PROVINCIA DI TERAMO EDITORIALE Questo spazio dell’editoriale, stavolta, sarà stato per colpa della prima vera luce chiara di bella stagione, avrei voluto farlo scivolare, come dire, più sul leggero. Avrei voluto. Mi è venuta però incontro dalle profondità inespressive del computer o dalle viscere la figura, buffa, tenera, forse ai più incomprensibile, di quella ragazza vestita da sposa, una sposa simbolicamente a metà, senza un compagno come invece accade nei pupazzetti che si mettono sulla cima della più classica torta da matrimonio, con tanto di panna e i cinque piani d’obbligo. Una ragazza partita l’8 marzo, guarda il caso, da Milano, direzione Terra santa. Mi è venuta incontro Pippa Bacca. Capelli rossi indomiti, naso importante, sorriso di sfida contagiosa alla vita, decisa a partire in autostop verso la Turchia. Artista sui generis l’ha definita pittorescamente qualcuno, innamorata nella vita del colore verde che, vedi un po’, simboleggia da sempre la speranza. Partita per avventurarsi in una performance anomala, e quando mai non dovrebbe esserlo?, fino ad Israele, passando per quei paesi che hanno subito guerre e distruzioni, vestita da sposa, per simboleggiare “un matrimonio con la terra , la pace, con la gente tutta”. Portatrice sana di pace e fiducia, in un mondo, quello della Turchia, dove la donna sembra conservare una sua quasi sacralità, sempre che non pretenda di indossare una gonna troppo abbondantemente sopra il ginocchio o una scollatura eccessiva che ne fanno, d’obbligo, una donnaccia, si dice così, no? Una poco di buono. Peggio, una puttana. Unico biglietto di viaggio nelle mani di Pippa, quello della fiducia nel mondo e nel prossimo. Un po’ strampalata questa Pippa Bacca, all’anagrafe più comunemente Giuseppina Pasqualino, 33 anni, secondo i commenti tagliati con l’accetta dai blogger, e giù ad insistere che chi gliel’ha fatto fare a questa benedetta ragazza e che quando ci si mette in mente di avventurarsi in queste provocazioni beh, certe cose vanno pur messe in conto… Sfrontata, Pippa, quindi, che chissà cosa voleva dimostrare. Un po’ come suo zio, ed ecco i giornali a sottolineare la parentela illustre con lo scultore Pietro Manzoni, che, a chi gli sfuggisse, sconcertò non poco con la sua storica “Merda d’artista”. Gli scatti ce l’hanno fissata, questa GiuseppinaPippa, prima in una cornice dalla sfumatura goliardica e intellettual-snob poi in una, più fosca, di violenza e di morte. Pippa che ride dentro una nuvola bianca del suo vestito da DONNE E POLITICA: il diritto e il dovere di esserci I dati consegnano un lieve incremento ma si può fare di più “È andata meglio che in passato, ma le donne elette sono ancora poche”. Questo in estrema sintesi quanto affermato o scritto, a volte con sincero disappunto altre con ipocrita doglianza, all’indomani delle ultime elezioni politiche. Unica voce fuori dal coro è quella di Gianluigi Paragone che, sul quotidiano “Libero” del 22 Aprile, provocatoriamente pone il quesito se questa stagione “del rosa e dei colori pastello” rappresenti una vera conquista femminile o una semplice moda. Per Paragone in politica, come in altri settori della vita pubblica, non ci sono ostacoli per le donne se la competenza è accertata. Bisogna sfatare la “leggenda metropolitana secondo la quale le donne in carriera o in politica siano come i panda, la Confindustria, ad esempio, sta diventando un gineceo”. Il giornalista della Lega esprime, comunque, una visione del tutto personale, e contraddittoria, sull’equilibrio della rappresentanza fra i due sessi affermando che in Italia “poco meno di un sindaco su dieci è donna… e due donne sono alla guida… di Giunte regionali”. Questi numeri che dovrebbero avvalorare la sua tesi, sono, invece, un’ulte- riore dimostrazione che la parità in politica è ancora lontana da raggiungere, anche se non mancano intelligenze ed impegno femminili. Le donne, nel corso del ’900, sono state protagoniste di grandi cambiamenti socio culturali ed economici. Sono entrate in massa nel mercato del lavoro, anche in quelle professioni ritenute da sempre di pertinenza maschile, diventando poliziotte, magistrati, ingegneri, deputati, piloti d’aereo, docenti universitarie. Hanno determinato, con i loro acquisti, lo sviluppo di interi settori economici: il boom economico in Italia è iniziato proprio con la produzione e la vendita degli elettrodomestici, di cui le donne erano le principali destinatarie. Conquistata la parità fra i coniugi, hanno rivoluzionato il con- SOMMARIO Donne e politica: il diritto e il dovere di esserci Ingrid Betancourt, voce delle “donne coraggio” da ogni latitudine Giuliana Sanvitale, poetessa teramana, si racconta Il tema della violenza entra nella scuola: incontri fra il “G. Milli” e la Cpo “Quell’antica ragazza” di Floriana Ferrari Adelaide Melles pag. 1 3 4 5 6 8 1 sposa, a fianco uno zainetto verde militare. Pippa che trova il primo strappo sopra uno scooter e se la ride. Pippa che viene trovata morta, dopo una settimana che l’ha inghiottita nel nulla, ad una cinquantina di chilometri a sudest di Instabul, nella campagna di Gezbe: un corpo nudo coperto da terra e da rami, gli stessi che però non riescono a sotterrare un’altra violenza, l’ennesima, traditora, consumata da un reo confesso che poi, dopo la violenza, ha deciso di strangolare la sua vittima. Pippa quel suo viaggio-performance lo ha concluso così, anche se sua madre e le sue quattro sorelle hanno deciso di esporlo egualmente in mostra, così come era previsto, quel vestito bianco. Finito mezzo bruciato. Sporcato di sangue. Sì, poteva restarsene a casa e se poi si pensa di girare il mondo con un progetto così folle, francamente, se l’è cercata. Questo il tenore dei commenti nei vari blog che, francamente, mi hanno fatto salire i brividi. La miopia mi mette sempre i brividi, mi innervosisce quando non riesco a veder bene e così mi rendono feroce questi pensieri affastellati in modo sgarbato, epidermico, stolto di chi fa finta, ancora una volta, di non vedere. La violenza sarebbe successa se Pippa se ne fosse andata in un cinema d’essai, ad uno spettacolo teatrale, a fare footing nel parco? Se non avesse pensato provocato, sfidato, osato? Io non lo so. So solo che quasi contestualmente a casa nostra, a Villa Rosa di Martinsicuro, un’altra donna di nemmeno trent’anni veniva violentata in un cantiere edile. Una donna qualsiasi che stava andando a casa di un amico, in una sera qualsiasi, in un posto di mare qualsiasi, con le palme, il lungomare e tutto il resto come nelle cartoline. Non se l’è andata a cercare. Non ha sfidato nessuno. Più fortunata di Pippa, non ci ha lasciato la pelle. Allora non raccontiamoci balle. Non ci avvitiamo attorno a pretesti. Non diamo addosso all’untore. Quello che inoppugnabilmente, oggettivamente, miserabilmente sopravvive è la violenza che gira attorno alle donne. Esiste. Resiste, Durissima da sradicare dal cervello e dalle mani di certi uomini che degli uomini, intesi come genere umano, non hanno la dignità. Accade in ogni angolo. A due passi da casa o in autostop sulle strade del mondo, poco cambia. Un pensiero di amore, allora, a Pippa e a tutte quelle come lei, morte davvero o morte solo un poco dentro. La mamma di Pippa e le sue sorelle hanno deciso di indossare qualcosa di verde in suo omaggio. Il lutto non si addice a Pippa e sarebbe ora non si addicesse più, per principio, alle donne. Meglio il verde. Meglio sperare. Meglio che chi può, la politica, la giustizia, aiutino la speranza delle donne. Meno parole, più fatti. Patrizia Lombardi 2 cetto stesso di famiglia; non più la totale sottomissione al marito, ma pari diritti e doveri. Nelle relazioni sociali sono diventate più forti, più decise a far rispettare i loro diritti. Ma continuano, come sessant’anni fa, ad incontrare grandi ostacoli nel raggiungere i posti delle decisioni in politica e la sottorappresentanza femminile nei luoghi della decisione politica non è una criticità solo italiana. Importanti incontri internazionali (Conferenza di Ginevra nel 1989, rete di esperti su “Le donne nei processi decisionali in sede pubblica e po- te utilizzati per il riequilibrio della rappresentanza fra i sessi si basano sui principi della proporzionalità, dell’utilità, della valorizzazione della differenza. È evidente che la visione quantitativa, secondo cui le donne dovrebbero avere diritto ad una rappresentanza politica proporzionale al loro numero, non è avulsa da quella qualitativa, legata a talenti e competenze femminili. Nessuna deroga alla meritocrazia nella “concorrenza” elettorale, e negli altri settori della vita sociale, viene richiesta in un discorso di riequilibrio fra le ELEZIONI POLITICHE 2008 PRESENZA DI DONNE IN PARLAMENTO CAMERA: 21,1% incremento del 3,8% rispetto al 2006 SENATO: 17,4% incremento del 3,4% rispetto al 2006 GOVERNO: 4 Ministre, 2 in meno rispetto al 2006 ELEZIONI COMUNALI IN PROVINCIA DI TERAMO ALBA ADRIATICA: Consiglio: 5 elette (su 16 candidate) - Giunta: 1 Assessora ATRI: Consiglio: 2 elette (su 11 candidate) - Giunta: 1 Assessora CASTILENTI: Consiglio: nessuna donna (su 8 candidate) - Giunta: nessuna donna CIVITELLA: Consiglio: 2 elette (su 11 candidate) - Giunta: 1 Assessora - Vice Sindaco CONTROGUERRA: Consiglio: 2 elette (su 6 candidate) - Giunta: nessuna Assessora NOTARESCO: Consiglio: 2 elette su 6 candidate - Nomina della giunta in corso litica”durante la Commissione europea nel 1994 e Conferenza internazionale di Pechino del 1995), sono stati incentrati su questo tema. Ma quali sono le cause dello scollamento fra la società civile, dove le donne rivestono un ruolo sempre più rilevante, e la politica che registra invece una bassa presenza femminile nei ruoli apicali? E, poi, perché le donne hanno il diritto e il dovere di esserci? Sicuramente incide la difficoltà che incontrano nel conciliare le attività di cura familiare e quelle lavorative con i tempi e gli orari della politica. E in questo le donne italiane non sono sicuramente aiutate dal sistema di servizi all’infanzia, agli anziani, dagli orari, e da molto altro ancora. Esiste, poi, il fattore culturale per cui la donna, molto spesso ma non sempre, si trova a disagio con la gestione del potere così come la intendono gli uomini. Invece, gli argomenti maggiormen- rappresentanze dei due sessi. La parità, inoltre, rientrerebbe nella tematica della personalizzazione della scelta elettorale, la candidata si presenterebbe non solo come persona ma anche come portatrice di una differenza, che implicherebbe una maggiore attenzione alle istanze provenienti dalle donne. Naturalmente alla base di ogni argomentazione c’è il diritto umano alla parità, sancito dalla nostra Costituzione ma per rendere concreto questo diritto bisognerebbe, da un lato, rimuovere gli ostacoli, culturali e politici, che di fatto impediscono alle donne di raggiungere i luoghi dove si decide e si governano le sorti della società, e, dall’altro, porre in essere azioni per incentivare la loro partecipazione alla politica, come la formazione e la creazione di reti locali di sostegno. Azioni comunque mirate a rafforzare l’autostima e la sicurezza di chi vuole cimentarsi nella vita pubblica. INGRID BETANCOURT, voce delle “donne coraggio” da ogni latitudine Ingrid Betancourt, dopo oltre sei anni di prigionia nella selva colombiana, sta morendo di malattia tropicale. In tutto il mondo e soprattutto in Francia, sua terra di origine, si sono svolte manifestazioni per la sua liberazione ma, a tutt’oggi, un silenzio misterioso ed impenetrabile la separa ancora dai suoi cari. La madre si appella per la sua liberazione al Farc, le forze armate rivoluzionarie di Colombia; all’Italia dove è stata ricevuta dall’allora sindaco Veltroni e dal Papa; al mondo intero. Due donne rapite con lei sono state rilasciate attraverso l’intermediazione diretta del presidente venezuelano Ugo Chavez con il capo dei guerriglieri, Trofico (“Tiro infallibile”, ndr). La sua liberazione rimane, purtroppo, nell’incertezza. Di donne coraggiose ce ne sono tante ed in ogni continente, ma verso Ingrid Betancourt nutro un’ammirazione speciale perché ho visitato la Colombia e tuttora conservo stretti rapporti con questa terra. La Colombia è un pae- se andino che si affaccia sul Mar dei Caraibi al Nord e sull’Oceano Pacifico ad Ovest; nonostante la sua ricchezza (il miglior caffé del mondo, smeraldi pregiatissimi, pietre preziose, una terra fertilissima) e la sua grande bellezza, è uno dei paesi più martoriati del Sudamerica. Qui la droga, e coloro che ne gestiscono il traffico, hanno infettato tutti gli strati della società: dai poveri campesinos ai vertici stessi dello Stato, dall’amministrazione pubblica all’esercito regolare e alle truppe paramilitari, scaraventando il paese nell’anarchia totale. Ingrid Betancourt, di origine francese ma colombiana di nascita, vuole bene al suo paese, si batte con furia e coraggio contro narcotrafficanti e politici corrotti. Va in mezzo alla gente, parla, si fa conoscere: il popolo le crede, la appoggia nelle tappe verso la presidenza della Repubblica della Colombia. Non ce la fa perché alla vigilia delle elezioni presidenziali, il 23 febbraio 2003, viene sequestrata e strappata all’amore dei suoi figli, allora ancora bambini, insieme a tutti i suoi affetti più cari. Sono passati sei lunghi, interminabili anni e lei è ancora prigioniera. Nel suo libro autobiografico, dal titolo profetico “Forse mi uccideranno domani”, Ingrid Betancourt, ottimista e fiduciosa, conclude così: «Amo appassionatamente la vita, non voglio morire. Tutto ciò che costruisco in Colombia ha anche lo scopo di garantirmi il diritto di invecchiare qui felice. E di viverci senza temere nessuna disgrazia per coloro che amo». Quando sarà stata liberata, nonostante la durissima prova, mi auguro che continui a lottare per il suo bellissimo e sfortunato paese perché l’intero mondo ha bisogno di donne come lei. Adriana Paola Di Giulio Vicepresidente Commissione pari opportunità 3 GIULIANA SANVITALE la poetessa teramana si racconta Prima di introdurre i temi della sua poetica mi piacerebbe che, in breve, raccontasse qualcosa della sua vita e come si è scoperta poeta. Sono nata a Giulianova. Mi sono laureata in Lettere all’Università degli studi di Urbino, con una tesi su Salvatore Di Giacomo e la poesia napoletana, ed ho insegnato per un quarantennio in diverse scuole. Mi sono anche cimentata nella stesura di recensioni e relazioni, ho curato laboratori di poesia nelle scuole e corsi di aggiornamento sull’Ermeneutica. Un mio adattamento all’Epistolario di Giacomo Leopardi è agli atti nel centro il Centro nazionale di studi leopardiani di Recanati. Ho vinto, a livello nazionale ed internazionale, oltre quindici premi ed una medaglia del Presidente della Repubblica. Dal 2004 insegno all’Università della terza età e del tempo libero di Giulianova. Fin dall’infanzia sono stata dotata di una fantasia sfrenata, di una certa facilità a costruire rime ed assonanze. «Parlavi con i fiori, li carezzavi», mi testimonia una signora che mi ha conosciuta in quegli anni. Avevo accanto una madre che mi insegnava a guardare, ad ascoltare e ad ascoltarmi. 4 le donne…” è la prima silloge (2001, Premio Gabriele D’Annunzio), è stato un atto di coraggio, un mettersi in discussione con le produzioni degli anni di adolescente affiancate alle poesie di protesta degli anni maturi. Sono poesie rivolte alle donne, ispirate da affetti, comunione di intenti, partecipazione emotiva e lotta, matura e consapevole, per la condizione della donna, per la mancanza di libertà, per le continue violenze cui è quotidianamente sottoposta, “ combatti da sempre/ una guerra di tutti i giorni/ montagne insormontabili/ di violenze”. Lei ha fatto della poesia una ragione di esperienza e di vita. Perché? La poesia comunque mi è cresciuta dentro da sempre fino a trasformarsi, soprattutto nei momenti più difficili e dolorosi dell’esistenza.in ragione di vita, strumento di riscatto e di salvezza. Si è ammantata della malìa dell’acqua, si è annidata “nel flusso primordiale di Oceano, nella liquida profondità del grembo di Teti”. Nella raccolta “Acquaria (2° premio Poesia e Rete a Trapani e 2° premio internazionale G. Ricciuti a Teramo), come si evince dal titolo stesso, il tema fondamentale è l’acqua. Che rapporto sente oggi con questo elemento? Questo continuo, ripetuto, mai casuale o scontato ritorno al tema dell’acqua mi accompagna cullandomi in un rapporto salvifico che mi appartiene da sempre e da sempre i indirizza verso l’orizzonte. Come la “Donna sul pontile” ritratta sulla copertina del mio ultimo libro, sono una donna in cammino, sospesa tra mare e cielo, protesa verso l’infinito. La Commissione Pari opportunità considera molto attuale la sua raccolta “E le donne…”. Quale è stata la spinta principale che l’ha portata a comporre versi dedicati soltanto alle donne? “E Quali le sue ultime composizioni ed i più recenti riconoscimenti ricevuti a livello locale ed internazionale? L’ultima fatica poetica è il libro “Treno in corsa- Treni in sosta” ed un romanzo autobiografico “I cibi della memoria” (finalista a Massa Carrara e a Basilea). Tra i riconoscimenti più gratificanti: il Premio Donna Teramo per la letteratura e la poesia, il 1°premio “Le donne abruzzesi raccontano” della Regione e la nomina a Socio onorario degli scrittori italiani dell’Unione nazionale degli artisti e degli scrittori di Roma. Adriana Paola Di Giulio Commissione pari opportunità Direttore responsabile: Patrizia Lombardi Comitato redazione: Germana Goderecci, Piera Ruffini, Maria Provvisiero, Simona Crescenti, Paola Natali, Iolanda Piersanti, Pina Vallese. Realizzazione editoriale: Paper’s World srl Stampa: Paper’s World srl - Bellante Staz. (TE) Tiratura n. 5.000 copie Reg. Trib. n. 539 del 05/08/2005 Sede legale: Provincia di Teramo N. 16 - Maggio 2008 Il tema della violenza entra nella scuola: incontri fra l’istituto “G. Milli” e la Cpo Violenza contro le donne: su questo tema, mai come adesso bollente, l’istituto liceale statale “G. Milli” ha costruito un progetto tanto interessante quanto consapevole. Un progetto che ha dietro di sé una storia iniziata due anni fa, dai primi incontri avuti con la Commissione Pari Opportunità. Le docenti referenti del laboratorio di storia, Giovanna Cortellini, e delle sportello C.I.C., Nicoletta Profeta, hanno infatti pensato, elaborato ed organizzato una serie di incontri sul tema della violenza contro le donne. Una rete di sinergie, quella che ha reso fruibile il progetto alle ultime classi, degli indirizzi linguistico, socio-psico-pedagogico e scientifico-tecnologico, resa possibile dalla collaborazione delle docenti, le professoresse Casasanta, Corradi, Di Felice, Di Ferdinando, Di Giulio e Paoletti, oltre che della dottoressa Di Pietro Piccirilli e della presidente della Commissione Pari opportunità, Germana Goderecci. Il progetto è stato articolato in due fasi: nella prima, le classi interessate hanno assistito alla proiezione del film “Ti do i miei occhi”, autore il regista Iciar Bollain, a cui hanno fatto fatto seguito dibattiti e riflessioni; nella seconda fase, invece, si aperto agli incontri, e confronti, con la presidente della Commissione Pari opportunità. Giovanna Cortellini, docente di filosofia e storia, commenta così la scelta di portare il tema della violenza nella scuola: “Credo che la scuola, in qualità di agenzia pubblica per la formazione e l’istruzione, non possa non interagire con la società civile. Non solo deve farlo per la vocazione educativa che riveste, ma deve mettere in atto tutti gli strumenti e le strategie più idonee a far rispettare i dettami della nostra costituzione. È basandomi sul rispetto dei diritti inalie- Nel 1999 fu istituita la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le donne dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violazione dei diritti delle donne. Perché fu ritenuta necessaria questa iniziativa? Perché i delitti contro le donne sono sempre più frequenti e continuamente aumentano. Infatti, le donne spesso vengono considerate e trattate come esseri inferiori o di serie B. I pregiudizi contro di loro sono profondamente radicati, ma la violenza di genere in tutte le sue forme è un problema che persiste, anche nei cosiddetti paesi sviluppati. Secondo l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, la violenza contro le donne è un problema di portata mondiale che si riscontra in tutte le società e culture. Riguarda le donne a prescindere da razza, etnia, origine, posizione sociale o distinzione d’altro genere, e secondo Radhika Coomaraswamy, ex relatrice speciale della commissione dell’ONU per i Diritti Umani sulla violenza contro le donne, per la stragrande maggioranza delle donne questo tipo di violenza è “un argomento tabù, un problema invisibile nella società e una realtà vergognosa”. Ma i dati sono preoccupanti: le statistiche pubblicate da un istituto che si occupa di vittimologia, con sede in Olanda, sostiene che in un paese sudamericano il 23 per cento delle donne, ovvero una su quattro, è vittima di qualche forma di violenza domestica. In modo simile il Consiglio d’Europa calcola che nel corso della vita una donna europea su quattro subisca violenza all’interno delle mura nabili della persona e sui principi di uguaglianza e “differenza” tra uomini e donne che ritengo mio compito professionale, e penso che lo sia per ogni insegnante della scuola italiana, educare gli allievi e le allieve a riflettere anche sugli avvenimenti che mettono a “dura prova” la nostra intelligenza, la nostra sensibilità e i nostri sentimenti, come nel caso della violenza sulle donne. Tema complesso, se pensiamo alle diverse forme della violenza sulle donne; tema doloroso e drammatico se pensiamo alla violenza sessuale o a quella in famiglia; tema che non può essere lasciato alla cronaca o alla politica, ma deve essere affrontato in ambito culturale. In primo luogo, deve essere conosciuto come fenomeno trasversale, che riguarda la sfera del pubblico e del privato; in secondo luogo come fenomeno che ci riguarda tutti, giovani e meno giovani. Solo attraverso una nuova cultura del rispetto della persona vi può essere la possibilità di modificare l’esistente sociale e familiare. Solo attraverso la consapevolezza di “essere” persona ci può realizzarsi un nuovo umanesimo. domestiche. Dai dati forniti dal Ministro dell’Interno britannico, in Inghilterra e Galles in un anno sono state uccise in media due donne alla settimana dal partner o dal partner precedente. In un articolo della rivista India Today International troviamo che per le donne dell’India il timore è un compagno onnipresente e lo stupro è lo sconosciuto in cui si possono imbattere in ogni angolo, in ogni via, in ogni luogo pubblico e ad ogni ora. Amnesty International definisce la violenza contro le donne e le ragazze come “La violazione più diffusa dei diritti umani” al giorno d’oggi. Secondo le scrittrice Dacia Maraini, abruzzese d’adozione, sono “Passi affrettati” quelli che compiono le donne che tentano di fuggire ai loro violentatori. Nel suo nuovo libro appunto, l’autrice parla di esperienze e di storie di donne provenienti da tutto il mondo, prigioniere di un matrimonio non voluto, di una famiglia violenta o di uno sfruttatore. “Il libro, sottolinea Dacia Maraini, vuole essere, oltre che una denuncia, un atto di solidarietà verso tutte quelle donne che vivono ancora nell’orrore”. Anche noi, giovani donne di provincia, consapevoli di tutto ciò che accade nel mondo, la sera tardi, tornando a casa, abbiamo timore di incontrare qualche maleintenzionato che possa far del male al nostro corpo e ferire la nostra anima. Perciò invitiamo tutte le donne a denunciare le violenze subite... BASTA CON LA VIOLENZA!!! Valentina Gatti Studentessa I A - Indirizzo SocioPsicoPedagogico 5 “Quell’antica ragazza” di Floriana Ferrari Floriana Ferrari, autrice del racconto “Quell’antica ragazza”, oltre a svolgere l’attività di direttrice scolastica e psicopedagogista, è impegnata in diverse attività di volontariato culturale, sociale ed in diversi progetti pedagogici nelle scuole cittadine. Attualmente a questo racconto stanno lavorando gli allievi di una scuola di danza ed un’artista toscana; il progetto artistico verrà presentato nell’ambito di un evento culturale. A Floriana Ferrari sono andati premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali nell’ambito della scrittura creativa e della poesia. Quell’anno l’inverno era stato particolarmente clemente quasi da rubare il primato alla primavera. Avevo dato l’ultima occhiata alla stanza e mi sembrava che tutto fosse curato e predisposto per accogliere gli ospiti che, di lì a poco, avrebbero allietato la tavola e gustato tutto quel ben di Dio. Accarezzando la tovaglia ricamata a punto a croce, mi pareva di sentire la mano di mia nonna che guidava, attraverso quei percorsi colorati e difficili, la mia mano bambina e alla fine, come premio al mio impegno, scioglieva il suo viso accigliato e mi avvolgeva in un caldo abbraccio. Oltre la vetrata il melo, con braccia allargate a dolce rifugio, conservava ancora le mele rinsecchite della passata stagione che, dondolandosi, cercavano di fare posto alle nuove gemme. Avevo lasciato scorrere la porta finestra e portato i miei passi nella parte più remota dell’uliveto e, man mano che procedevo nel sentiero, ero rimasta quasi sconcertata da un chiarore inusuale e da una luminosità nuova impressa in quel luogo. Improvvisamente, mi ero resa conto della ragione di quella luce che filtrava indisturbata dagli spazi vuoti: un mare di tronchetti e rami dalle svariate dimensioni occupava buona parte del terreno circostante. I rami più sottili erano affastellati in uno scenario spettrale in cui la brina gelata aveva ibernato le giovani gemme. Ero rimasta come pietrificata in una sensazione di dolore e di impotenza. I miei ciliegi erano a terra in una selva di morte e giacevano su quella terra che li aveva fatti nascere, aiutati a crescere e conservati, alti e maestosi, per tanti anni. Non potevo credere che era accaduto senza che fossi stata lì a proteggerli da mani impietose. Ricordavo le loro fio6 riture che mi lasciavano sgomenta per tanta bellezza e i loro frutti, quelle drupe rosse che scintillavano ai raggi del sole, riuscendo a lenire qualsiasi sconforto. Le lacrime mi scivolavano lentamente lasciandomi in bocca un sapore amarognolo, accarezzavo quei tronchetti argentei e quei rami posati sopra quel manto di segatura rossastra. Avevo preso una piccola gemma che era ancora verde, viva, palpitante quasi volesse schiudersi in un ultimo gemito di vita. Così deve essere al momento del trapasso quando non è ben definito il confine e chi muore sembra, di lì a poco, risospinto alla vita. Quelle gemme ancora integre, riscaldate da quei rivoli salati, reclamavano il loro posto nel mondo. La loro era stata una morte annunciata, erano nati spontaneamente e la loro crescita, così vigorosa, aveva annientato gli ulivi che davano miseri frutti e giacevano asfittici e annichiliti in attesa di tempi migliori. Avevo combattuto con tutte le mie forze contro il loro abbattimento ed il nonno non era riuscito a farmi ra- gionare e nemmeno Vito che, salito dal sud per la mezzadria, si era affezionato a noi come uno di famiglia e mi ripeteva: «Piccirilla, quegli alberi s’aggiano a taglià, tuo nonno te ne pianterà uno tutto per te». Ero rimasta in silenzio, non avevo più parole, i ciliegi li amavo per quella gita in moto che avevo fatto con il babbo. Mi ricordo ancora il cestino che non riusciva a contenere quelle ciliegie che mi piovevano addosso da tutte le parti, dall’alto della pianta dove il mio papà si era arrampicato, e mi sembrava un albero delle meraviglie, tanto era straordinario. Quella volta lui si era rammaricato di non avermi fatto portare un cestino più grande. Andare in moto mi riempiva di gioia, assaporavo un senso di libertà. Mio padre era sempre sorridente, ero orgogliosa del suo modo di fare, aveva sempre la soluzione per tutti i problemi ed affrontava di petto la vita. Mia madre era un po’ gelosa di certi sguardi femminili ed a dire il vero anch’io. A volte quando si soffermava a parlare con qualche amica lo tiravo subito via. In quel periodo, di moto così grandi non se ne vedevano in giro e le uniche a circolare erano quelle dei poliziotti; quando veniva a prendermi a scuola le compagne, senza nemmeno chiedermelo, mi dicevano che mio padre era un poliziotto, io non rispondevo e mi piaceva pensare che lo fosse davvero. Poi l’incidente con la mamma e poi più nulla. Con i miei fratelli ero andata a vivere a casa del nonno che, lasciato il lavoro in città, si era trasferito in campagna a coltivare vigneti ed uliveti. Mio nonno era una roccia come il mio papà ma più taciturno e con noi più autoritario e severo. Quando gli chiedevo di mio padre si rabbuiava e restava tri- ste più giorni, così avevo imparato a tenere i miei pensieri dentro, cercando di allontanare i ricordi e ad essere contenta come il mio papà. Sapevo che per il nonno era necessario abbattere quei ciliegi, per far fruttificare gli ulivi, ma ora mi ritrovavo a piangere tutte le mie lacrime perché la scelta era stata fatta. Per la prima volta non mi ero curata della mia sorellina che mi aveva raggiunto e, rimanendo sorpresa dalle mie lacrime, aveva iniziato a piangere anche lei. Solo allora mi ero scossa e l’avevo abbracciata forte: «Guardami non piango più, ti pare possibile che possa piangere per delle piante, stai tranquilla, è passato tutto, sono alberi mi consolerò». Eravamo tornate a casa, per fortuna gli ospiti tardavano ad arrivare ed avevo avuto tutto il tempo di ricompormi. All’orecchio del nonno era arrivata la voce delle mie lacrime e mi aveva mandato una missiva “I tuoi alberi sono stati tagliati da due settimane e nemmeno te ne sei accorta, era necessario farlo per via dell’olio, ora falla finita altrimenti perdo la pazienza”. Così era mio nonno, burbero e dolce allo stesso tempo e, quando ti doveva comunicare qualcosa di spiacevole, non te lo diceva direttamente. Nutrivo un grande sconforto anche se ero riuscita a celarlo di fronte alla gaiezza degli ospiti che avevano preso posto nella grande sala. Erano tutti contenti, si festeggiava il ritorno di mio fratello che aveva portato una sua amica orientale. Quella conoscenza all’inizio ci aveva resi ansiosi, ma poi la tensione si era sciolta come neve al sole. La ragazza era bella, la pelle liscia e luminosa, gli occhi a mandorla, vivaci ed intelligenti, erano neri come i capelli, la voce dolce dai toni bassi, indossava una camicetta di seta e jeans. Avevamo saputo che amava la letteratura inglese e la sua amabile conversazione aveva coinvolto tutti i commensali. Mio nonno, come per caso, aveva fatto scivolare il discorso sul taglio dei ciliegi e quel dolore che provavo era come risalito dal profondo ma avevo fatto in modo di riportarlo giù ed ora era come ri- mosso nel cuore, come quando arriva qualcosa di spiacevole e si cerca una ragione di risalita. Avevo partecipato alla conversazione con malcelata indifferenza, per decretarne con gli altri l’ineluttabilità, tanto ormai non c’era più niente da fare. La morte dei ciliegi era stata una decisione di famiglia e tutti si erano astenuti dal contrariare il nonno. Osservavo mio fratello che era molto tenero con Mirto, quella ragazza ci aveva conquistati e la sentivamo già una di noi. Più tardi l’avevo presa per mano e condotta per il sentiero fino all’uliveto, in prossimità della piana avvolta dalla nebbia, come per gioco, l’avevo invitata a chiudere gli occhi ed a salire su una delle basi dei tronchi tagliati che affioravano in superficie come cippi lignei, lei, all’inizio era rimasta un pò sorpresa ma poi si era affidata alle mie parole ed era come incantata nel racconto dei miei ciliegi. Dopo un po’ aveva riaperto gli occhi: «Sei molto brava, li ho proprio visti i tuoi ciliegi, sai esiste una poetessa inglese che di fronte ad un ciuffo d’erba e ad una farfalla riesce a creare dei versi bellissimi e come te sa viaggiare con la fantasia. Le tue piante non moriranno mai, come tutto quello che si ama. Un giorno ti porterò in Giappone, nel mio Paese c’è una festa “Hanami” in cui si celebra la fioritura dei ciliegi. Per noi il fiore del ciliegio “Sakura” rappresenta la bellezza dell’esistenza e quando la fioritura è al suo massimo splendore corriamo nei parchi, cercando di allontanare il mal di vivere». Ero contenta, con Mirto avevo trovato un’amica, una ragazza speciale e mi auguravo che rimanesse nella nostra famiglia. È tornata la primavera, la campagna è brulicante di vita e restituisce colori e profumi intensi. In quell’angolo remoto dell’uliveto, vicino ai cippi lignei, gli ulivi sono risorti a nuova vita e come dice il nonno l’annata dell’olio sarà migliore. Per Mirto ha piantato un boschetto di bambù che, quando si alza il vento e attraversa le fronde, disperde nell’aere suoni nuovi e voci lontane. Floriana Ferrari Nota bibliografica della scrittrice FLORIANA FERRARI Floriana Ferrari svolge la sua attività lavorativa di Direttrice scolastica e Psicopedagogista nella città di Teramo. È impegnata in diverse attività di volontariato culturale, sociale e in diversi progetti pedagogici nelle scuole cittadine. Ha ricevuto premi a livello nazionale e internazionale nell’ambito della scrittura creativa e della poesia. In particolare è stata 2ª classificata nel Premio Teramo per un racconto inedito nella sezione dedicata agli scrittori abruzzesi nell’Ed. 1995; 2ª classificata nel Premio Adriatico VI Ed. IL VERO SESSO FORTE Femmene, ciucci e crape teneno ‘a stessa capa!* Così dice Partenope che offende Penelope! Però la vita insegna che questa tesi è indegna e che non rende onore alle nostre Signore, che han grande dignità in questa umanità. E se ci fate caso, pur se vi salta al naso, oggi la miglior cosa è far le quote rosa. Lo so. Non ci credete. Ma a far cose concrete ci vogliono le donne che, ormai, sotto le gonne, nel prender decisioni, davvero hanno i coglioni. * Detto napoletano che va tradotto così: “Donne, asini e capre hanno la stessa intelligenza” Luigi Pardo 7 Raccontiamo le donne a cura di Maria Provvisiero ADELAIDE MELLES, storia di una passione Adelaide è una matrioska. Quella più esterna, e che per prima si impone all’attenzione, è tessuta di solarità, così soffice eppure lieve da fa innamorare un Botero. È quella che buca lo schermo, ogni giovedì di buonora, dal salotto mattiniero di Teleponte, avvolta dentro un turbinio profumato di muffin al mirtillo o cioccolato, di torte capresi e ciambelloni che più leggeri non si può, di dessert colorati come opere d’arte. Dentro a questa, c’è un’altra matrioska ed è un gomitolo assolutamente rosso per quel filo sottile che non puoi spezzare di passione allo stato puro, un filo che avvolge compatto il cerchio della sua vita. Passione per ricette, pentole, fornelli, o meglio per quella cucina fusion che l’ha spinta a ripensare un sushi mediterraneo e via, al posto del pesce, sotto con le verdure dentro il rotolino di riso. Ed è scontata questa passione che, però, lei amalgama in una grammatura perfetta con quella «per un marito straordinario, senza il quale Adelaide non potrebbe essere Adelaide» e per i suoi figli. E dentro ad un‘altra matrioska, ancora, c’è Napoli e la napoletanità annidata nel suo dna, ed il suo cognome, Melles, la dice lunga su questo legame. Evoca avi Borboni ma anche i primi anni di matrimonio in un paesino dalle parti di Benevento ed una vita più sonnacchiosa, la pastiera che non le piace così come non la fa impazzire neppure la pizza di Pasqua teramana. Una par condicio, quella tra Napoli e Teramo, dove pure il puzzle dei suoi affetti ha messo tutti i tasselli della vita al posto giusto e chiuso il cerchio di affetti, passioni, famiglia. Guai, però a pensarla pasticcera, cuoca e neppure chef, per carità. Per Adelaide Melles la cucina è passione. Energia. Stimoli. Filosofia. Interpretazione. Il centro dei suoi pensieri. Quando parla della magia dell’impastare, e accompagna la parola con la gestualità, si trasforma in una piccola Mago Merlino che di un atto apparente8 mente semplice e banale rivela l’alchimia segreta, la gioiosità nascosta. Adelaide, figlia del suo tempo, appartiene al polo dei food blogger: il suo è il blog di una passione ed è visitatissimo, in rete la cercano amici dalle Barbados, da quella che fu la Russia come dall’America. Lì finiscono le sue ricette, costantemente accompagnate da una foto perchè lei non è certo arcigna custode di grammature e ingredienti che “osa” sostituire, con un personalissimo colpo d’ala di creatività, alla ricetta originale. Come una spugna assorbe e le piace trasmettere quello che dell’arte, in questi anni, ha meticolosamente messo da parte. Il suo data base di ricette ne conta un numero impressionante e se a lei piace trasmettere e comunicare, agli altri piace che lei lo faccia: televisiva è televisiva, anche se lontana anni luce da stereotipi alla Clerici o alla Moroni, e ben lo hanno capito ad Alice Tv e Gambero rosso Channel che le assicurano spazi ambiti. Si muove tra videoricette e corsi privati a Roma, tutta cucina fusion e respingente, invece, verso gli stravolgimenti della cucina molecolare, che compone e scompone. E come si fa, noi, a non comprenderne la stellare differenza? L’asso nella manica di Adelaide? Il ciambellone più soffice del mondo, con l’acqua che sostituisce il latte e qualcuno, ops!, ecco che gliela scippa ma queste piccolezze neppure sfiorano gli equilibri di una passione. Cosa si mangia più spesso a casa sua? Piatto gettonatissimo, pasta con olio, piccoli pomodori allungati, napoletani si capisce, appena schiacciati, l’aglio appena solo imbiondito. Il piatto preferito, guarda un po’, un “banale”risotto alla milanese con la più scontata delle cotolette. La sua maestra? La chef Laura Ravaioli. La sua cucina? Libri e poi libri, la mitica planetaria, l’ultimo acquisto di una sfiziosa pentola Wok. In un piatto «occorre ci sia qualcosa di morbido, croccante, acido, dolce, salato, agrodolce», recita diligente e misteriosa Adelaide. Come dire, per noi miseri profani, tutto e niente: una mousse, spiega lei paziente, la devi pensare accompagnata da una granella o un biscotto e l’alchimia sfiziosa si compie. Cosa farebbe per mettere le mani su una ricetta supersegreta? «Proverei a ricrearla a sola», sorride disarmante e fiduciosa. Le virtù del 1° maggio? Certo che sa farle, ma verso la pazienza e i segreti di cui sono depositarie le teramane doc ha un segno di profondo rispetto, come si dice in questi casi. Un piccolo inchino gentile e fa posto a quello che hanno tramandato le anziane signore, le irriducibili artefici delle virtù. Cosa vorrebbe fare Adelaide “da grande”? Ad aprire un ristorante tutto suo, passaggio che per molti è business senza cuore, non ci pensa proprio. Tutt’al più si vede dentro a qualcosa che sappia di atmosfera e passione (eccola che torna!), molto simile ad un bistrot parigino, con una bella cucina a vista perchè, sia chiaro, nella vita non è una che si è mai nascosta. Nemmeno quando a sedici anni, ai tempi del liceo e prima di cimentarsi con arabo e cinese all’Orientale, si tagliò provocatoriamente i capelli a spazzola, per distinguersi dai riccioli laccati e fintamente scomposti di quegli anni ’80. Chissà che, davvero, dentro l’ultima matrioska non si nasconda, se non un bistrot, un qualche porto di approdo. Perché una passione, si sa, a volte riesce a farsi destino. Patrizia Lombardi