Scarica Notizie donna n. 16

Transcript

Scarica Notizie donna n. 16
COMMISSIONE PARI OPPORTUNITÀ DELLA PROVINCIA DI TERAMO
EDITORIALE
Questo spazio dell’editoriale, stavolta, sarà
stato per colpa della prima vera luce chiara
di bella stagione, avrei voluto farlo scivolare, come dire, più sul leggero. Avrei voluto.
Mi è venuta però incontro dalle profondità
inespressive del computer o dalle viscere la
figura, buffa, tenera, forse ai più incomprensibile, di quella ragazza vestita da sposa, una
sposa simbolicamente a metà, senza un
compagno come invece accade nei pupazzetti che si mettono sulla cima della più classica torta da matrimonio, con tanto di panna
e i cinque piani d’obbligo. Una ragazza partita l’8 marzo, guarda il caso, da Milano, direzione Terra santa. Mi è venuta incontro
Pippa Bacca. Capelli rossi indomiti, naso
importante, sorriso di sfida contagiosa alla
vita, decisa a partire in autostop verso la Turchia. Artista sui generis l’ha definita pittorescamente qualcuno, innamorata nella vita
del colore verde che, vedi un po’, simboleggia da sempre la speranza.
Partita per avventurarsi in una performance
anomala, e quando mai non dovrebbe esserlo?, fino ad Israele, passando per quei paesi
che hanno subito guerre e distruzioni, vestita da sposa, per simboleggiare “un matrimonio con la terra , la pace, con la gente tutta”.
Portatrice sana di pace e fiducia, in un mondo, quello della Turchia, dove la donna sembra conservare una sua quasi sacralità, sempre che non pretenda di indossare una gonna
troppo abbondantemente sopra il ginocchio
o una scollatura eccessiva che ne fanno,
d’obbligo, una donnaccia, si dice così, no?
Una poco di buono. Peggio, una puttana.
Unico biglietto di viaggio nelle mani di Pippa, quello della fiducia nel mondo e nel
prossimo. Un po’ strampalata questa Pippa
Bacca, all’anagrafe più comunemente Giuseppina Pasqualino, 33 anni, secondo i commenti tagliati con l’accetta dai blogger, e giù
ad insistere che chi gliel’ha fatto fare a questa benedetta ragazza e che quando ci si mette in mente di avventurarsi in queste provocazioni beh, certe cose vanno pur messe in
conto… Sfrontata, Pippa, quindi, che chissà
cosa voleva dimostrare. Un po’ come suo
zio, ed ecco i giornali a sottolineare la parentela illustre con lo scultore Pietro Manzoni, che, a chi gli sfuggisse, sconcertò non poco con la sua storica “Merda d’artista”. Gli
scatti ce l’hanno fissata, questa GiuseppinaPippa, prima in una cornice dalla sfumatura
goliardica e intellettual-snob poi in una, più
fosca, di violenza e di morte. Pippa che ride
dentro una nuvola bianca del suo vestito da
DONNE E POLITICA:
il diritto e il dovere di esserci
I dati consegnano un lieve incremento ma si può fare di più
“È andata meglio che in passato, ma le
donne elette sono ancora poche”. Questo in estrema sintesi quanto affermato
o scritto, a volte con sincero disappunto altre con ipocrita doglianza, all’indomani delle ultime elezioni politiche.
Unica voce fuori dal coro è quella di
Gianluigi Paragone che, sul quotidiano “Libero” del 22 Aprile, provocatoriamente pone il quesito se questa stagione “del rosa e dei colori pastello”
rappresenti una vera conquista femminile o una semplice moda.
Per Paragone in politica, come in altri
settori della vita pubblica, non ci sono
ostacoli per le donne se la competenza
è accertata. Bisogna sfatare la “leggenda metropolitana secondo la quale
le donne in carriera o in politica siano
come i panda, la Confindustria, ad
esempio, sta diventando un gineceo”.
Il giornalista della Lega esprime, comunque, una visione del tutto personale, e contraddittoria, sull’equilibrio
della rappresentanza fra i due sessi affermando che in Italia “poco meno di
un sindaco su dieci è donna… e due
donne sono alla guida… di Giunte regionali”.
Questi numeri che dovrebbero avvalorare la sua tesi, sono, invece, un’ulte-
riore dimostrazione che la parità in politica è ancora lontana da raggiungere,
anche se non mancano intelligenze ed
impegno femminili.
Le donne, nel corso del ’900, sono state protagoniste di grandi cambiamenti
socio culturali ed economici. Sono entrate in massa nel mercato del lavoro,
anche in quelle professioni ritenute da
sempre di pertinenza maschile, diventando poliziotte, magistrati, ingegneri,
deputati, piloti d’aereo, docenti universitarie. Hanno determinato, con i
loro acquisti, lo sviluppo di interi settori economici: il boom economico in
Italia è iniziato proprio con la produzione e la vendita degli elettrodomestici, di cui le donne erano le principali destinatarie. Conquistata la parità fra
i coniugi, hanno rivoluzionato il con-
SOMMARIO
Donne e politica: il diritto e il dovere di esserci
Ingrid Betancourt, voce delle “donne coraggio”
da ogni latitudine
Giuliana Sanvitale, poetessa teramana, si racconta
Il tema della violenza entra nella scuola:
incontri fra il “G. Milli” e la Cpo
“Quell’antica ragazza” di Floriana Ferrari
Adelaide Melles
pag.
1
3
4
5
6
8
1
sposa, a fianco uno zainetto verde militare.
Pippa che trova il primo strappo sopra uno
scooter e se la ride. Pippa che viene trovata
morta, dopo una settimana che l’ha inghiottita nel nulla, ad una cinquantina di chilometri a sudest di Instabul, nella campagna di
Gezbe: un corpo nudo coperto da terra e da
rami, gli stessi che però non riescono a sotterrare un’altra violenza, l’ennesima, traditora, consumata da un reo confesso che poi,
dopo la violenza, ha deciso di strangolare la
sua vittima. Pippa quel suo viaggio-performance lo ha concluso così, anche se sua madre e le sue quattro sorelle hanno deciso di
esporlo egualmente in mostra, così come era
previsto, quel vestito bianco. Finito mezzo
bruciato. Sporcato di sangue. Sì, poteva restarsene a casa e se poi si pensa di girare il
mondo con un progetto così folle, francamente, se l’è cercata. Questo il tenore dei
commenti nei vari blog che, francamente, mi
hanno fatto salire i brividi. La miopia mi
mette sempre i brividi, mi innervosisce
quando non riesco a veder bene e così mi
rendono feroce questi pensieri affastellati in
modo sgarbato, epidermico, stolto di chi fa
finta, ancora una volta, di non vedere. La
violenza sarebbe successa se Pippa se ne
fosse andata in un cinema d’essai, ad uno
spettacolo teatrale, a fare footing nel parco?
Se non avesse pensato provocato, sfidato,
osato? Io non lo so. So solo che quasi contestualmente a casa nostra, a Villa Rosa di
Martinsicuro, un’altra donna di nemmeno
trent’anni veniva violentata in un cantiere
edile. Una donna qualsiasi che stava andando a casa di un amico, in una sera qualsiasi,
in un posto di mare qualsiasi, con le palme,
il lungomare e tutto il resto come nelle cartoline. Non se l’è andata a cercare. Non ha
sfidato nessuno. Più fortunata di Pippa, non
ci ha lasciato la pelle. Allora non raccontiamoci balle. Non ci avvitiamo attorno a pretesti. Non diamo addosso all’untore. Quello
che inoppugnabilmente, oggettivamente,
miserabilmente sopravvive è la violenza che
gira attorno alle donne. Esiste. Resiste, Durissima da sradicare dal cervello e dalle mani di certi uomini che degli uomini, intesi
come genere umano, non hanno la dignità.
Accade in ogni angolo. A due passi da casa
o in autostop sulle strade del mondo, poco
cambia. Un pensiero di amore, allora, a Pippa e a tutte quelle come lei, morte davvero o
morte solo un poco dentro. La mamma di
Pippa e le sue sorelle hanno deciso di indossare qualcosa di verde in suo omaggio. Il lutto non si addice a Pippa e sarebbe ora non si
addicesse più, per principio, alle donne. Meglio il verde. Meglio sperare. Meglio che chi
può, la politica, la giustizia, aiutino la speranza delle donne. Meno parole, più fatti.
Patrizia Lombardi
2
cetto stesso di famiglia; non più la totale sottomissione al marito, ma pari
diritti e doveri.
Nelle relazioni sociali sono diventate
più forti, più decise a far rispettare i loro diritti. Ma continuano, come sessant’anni fa, ad incontrare grandi ostacoli nel raggiungere i posti delle decisioni in politica e la sottorappresentanza femminile nei luoghi della decisione politica non è una criticità solo italiana. Importanti incontri internazionali (Conferenza di Ginevra nel 1989,
rete di esperti su “Le donne nei processi decisionali in sede pubblica e po-
te utilizzati per il riequilibrio della rappresentanza fra i sessi si basano sui
principi della proporzionalità, dell’utilità, della valorizzazione della differenza.
È evidente che la visione quantitativa,
secondo cui le donne dovrebbero avere diritto ad una rappresentanza politica proporzionale al loro numero, non è
avulsa da quella qualitativa, legata a
talenti e competenze femminili. Nessuna deroga alla meritocrazia nella
“concorrenza” elettorale, e negli altri
settori della vita sociale, viene richiesta in un discorso di riequilibrio fra le
ELEZIONI POLITICHE 2008
PRESENZA DI DONNE IN PARLAMENTO
CAMERA: 21,1% incremento del 3,8% rispetto al 2006
SENATO: 17,4% incremento del 3,4% rispetto al 2006
GOVERNO: 4 Ministre, 2 in meno rispetto al 2006
ELEZIONI COMUNALI IN PROVINCIA DI TERAMO
ALBA ADRIATICA: Consiglio: 5 elette (su 16 candidate) - Giunta: 1 Assessora
ATRI: Consiglio: 2 elette (su 11 candidate) - Giunta: 1 Assessora
CASTILENTI: Consiglio: nessuna donna (su 8 candidate) - Giunta: nessuna donna
CIVITELLA: Consiglio: 2 elette (su 11 candidate) - Giunta: 1 Assessora - Vice Sindaco
CONTROGUERRA: Consiglio: 2 elette (su 6 candidate) - Giunta: nessuna Assessora
NOTARESCO: Consiglio: 2 elette su 6 candidate - Nomina della giunta in corso
litica”durante la Commissione europea nel 1994 e Conferenza internazionale di Pechino del 1995), sono stati
incentrati su questo tema. Ma quali sono le cause dello scollamento fra la società civile, dove le donne rivestono
un ruolo sempre più rilevante, e la politica che registra invece una bassa
presenza femminile nei ruoli apicali?
E, poi, perché le donne hanno il diritto
e il dovere di esserci?
Sicuramente incide la difficoltà che incontrano nel conciliare le attività di
cura familiare e quelle lavorative con i
tempi e gli orari della politica.
E in questo le donne italiane non sono
sicuramente aiutate dal sistema di servizi all’infanzia, agli anziani, dagli
orari, e da molto altro ancora. Esiste,
poi, il fattore culturale per cui la donna, molto spesso ma non sempre, si
trova a disagio con la gestione del potere così come la intendono gli uomini. Invece, gli argomenti maggiormen-
rappresentanze dei due sessi.
La parità, inoltre, rientrerebbe nella tematica della personalizzazione della
scelta elettorale, la candidata si presenterebbe non solo come persona ma
anche come portatrice di una differenza, che implicherebbe una maggiore
attenzione alle istanze provenienti dalle donne. Naturalmente alla base di
ogni argomentazione c’è il diritto
umano alla parità, sancito dalla nostra
Costituzione ma per rendere concreto
questo diritto bisognerebbe, da un lato,
rimuovere gli ostacoli, culturali e politici, che di fatto impediscono alle donne di raggiungere i luoghi dove si decide e si governano le sorti della società, e, dall’altro, porre in essere azioni per incentivare la loro partecipazione alla politica, come la formazione e
la creazione di reti locali di sostegno.
Azioni comunque mirate a rafforzare
l’autostima e la sicurezza di chi vuole
cimentarsi nella vita pubblica.
INGRID BETANCOURT,
voce delle “donne coraggio” da ogni latitudine
Ingrid Betancourt, dopo oltre sei anni di prigionia nella selva colombiana, sta morendo di malattia tropicale. In tutto il mondo e soprattutto in
Francia, sua terra di origine, si sono
svolte manifestazioni per la sua liberazione ma, a tutt’oggi, un silenzio misterioso ed impenetrabile la
separa ancora dai suoi cari. La madre si appella per la sua liberazione
al Farc, le forze armate rivoluzionarie di Colombia; all’Italia dove è
stata ricevuta dall’allora sindaco
Veltroni e dal Papa; al mondo intero. Due donne rapite con lei sono
state rilasciate attraverso l’intermediazione diretta del presidente venezuelano Ugo Chavez con il capo dei
guerriglieri, Trofico (“Tiro infallibile”, ndr).
La sua liberazione rimane, purtroppo, nell’incertezza. Di donne coraggiose ce ne sono tante ed in ogni
continente, ma verso Ingrid Betancourt nutro un’ammirazione speciale perché ho visitato la Colombia e
tuttora conservo stretti rapporti con
questa terra. La Colombia è un pae-
se andino che si affaccia sul Mar dei
Caraibi al Nord e sull’Oceano Pacifico ad Ovest; nonostante la sua ricchezza (il miglior caffé del mondo,
smeraldi pregiatissimi, pietre preziose, una terra fertilissima) e la sua
grande bellezza, è uno dei paesi più
martoriati del Sudamerica. Qui la
droga, e coloro che ne gestiscono il
traffico, hanno infettato tutti gli
strati della società: dai poveri campesinos ai vertici stessi dello Stato,
dall’amministrazione pubblica all’esercito regolare e alle truppe
paramilitari, scaraventando il paese
nell’anarchia totale. Ingrid Betancourt, di origine francese ma colombiana di nascita, vuole bene al suo
paese, si batte con furia e coraggio
contro narcotrafficanti e politici
corrotti. Va in mezzo alla gente,
parla, si fa conoscere: il popolo le
crede, la appoggia nelle tappe verso
la presidenza della Repubblica della
Colombia. Non ce la fa perché alla
vigilia delle elezioni presidenziali,
il 23 febbraio 2003, viene sequestrata e strappata all’amore dei suoi
figli, allora ancora bambini, insieme
a tutti i suoi affetti più cari.
Sono passati sei lunghi, interminabili anni e lei è ancora prigioniera.
Nel suo libro autobiografico, dal titolo profetico “Forse mi uccideranno domani”, Ingrid Betancourt, ottimista e fiduciosa, conclude così:
«Amo appassionatamente la vita,
non voglio morire. Tutto ciò che costruisco in Colombia ha anche lo
scopo di garantirmi il diritto di invecchiare qui felice. E di viverci
senza temere nessuna disgrazia per
coloro che amo». Quando sarà stata
liberata, nonostante la durissima
prova, mi auguro che continui a lottare per il suo bellissimo e sfortunato paese perché l’intero mondo ha
bisogno di donne come lei.
Adriana Paola Di Giulio
Vicepresidente
Commissione pari opportunità
3
GIULIANA SANVITALE
la poetessa teramana si racconta
Prima di introdurre i temi della sua
poetica mi piacerebbe che, in breve,
raccontasse qualcosa della sua vita e
come si è scoperta poeta.
Sono nata a Giulianova. Mi sono laureata in Lettere all’Università degli studi di Urbino, con una tesi su Salvatore
Di Giacomo e la poesia napoletana, ed
ho insegnato per un quarantennio in diverse scuole. Mi sono anche cimentata
nella stesura di recensioni e relazioni,
ho curato laboratori di poesia nelle
scuole e corsi di aggiornamento sull’Ermeneutica. Un mio adattamento all’Epistolario di Giacomo Leopardi è
agli atti nel centro il Centro nazionale
di studi leopardiani di Recanati. Ho
vinto, a livello nazionale ed internazionale, oltre quindici premi ed una medaglia del Presidente della Repubblica.
Dal 2004 insegno all’Università della
terza età e del tempo libero di Giulianova. Fin dall’infanzia sono stata dotata di una fantasia sfrenata, di una certa
facilità a costruire rime ed assonanze.
«Parlavi con i fiori, li carezzavi», mi
testimonia una signora che mi ha conosciuta in quegli anni.
Avevo accanto una madre che mi insegnava a guardare, ad ascoltare e ad
ascoltarmi.
4
le donne…” è la prima silloge (2001,
Premio Gabriele D’Annunzio), è stato
un atto di coraggio, un mettersi in discussione con le produzioni degli anni
di adolescente affiancate alle poesie di
protesta degli anni maturi. Sono poesie
rivolte alle donne, ispirate da affetti,
comunione di intenti, partecipazione
emotiva e lotta, matura e consapevole,
per la condizione della donna, per la
mancanza di libertà, per le continue
violenze cui è quotidianamente sottoposta, “ combatti da sempre/ una guerra di tutti i giorni/ montagne insormontabili/ di violenze”.
Lei ha fatto della poesia una ragione
di esperienza e di vita. Perché?
La poesia comunque mi è cresciuta
dentro da sempre fino a trasformarsi,
soprattutto nei momenti più difficili e
dolorosi dell’esistenza.in ragione di vita, strumento di riscatto e di salvezza.
Si è ammantata della malìa dell’acqua,
si è annidata “nel flusso primordiale di
Oceano, nella liquida profondità del
grembo di Teti”.
Nella raccolta “Acquaria (2° premio Poesia e Rete a Trapani e 2°
premio internazionale G. Ricciuti a
Teramo), come si evince dal titolo
stesso, il tema fondamentale è l’acqua. Che rapporto sente oggi con
questo elemento?
Questo continuo, ripetuto, mai casuale
o scontato ritorno al tema dell’acqua
mi accompagna cullandomi in un rapporto salvifico che mi appartiene da
sempre e da sempre i indirizza verso
l’orizzonte. Come la “Donna sul pontile” ritratta sulla copertina del mio ultimo libro, sono una donna in cammino,
sospesa tra mare e cielo, protesa verso
l’infinito.
La Commissione Pari opportunità considera molto attuale la sua raccolta “E
le donne…”. Quale è stata la spinta
principale che l’ha portata a comporre
versi dedicati soltanto alle donne? “E
Quali le sue ultime composizioni ed i
più recenti riconoscimenti ricevuti a
livello locale ed internazionale?
L’ultima fatica poetica è il libro “Treno
in corsa- Treni in sosta” ed un romanzo
autobiografico “I cibi della memoria”
(finalista a Massa Carrara e a Basilea).
Tra i riconoscimenti più gratificanti: il
Premio Donna Teramo per la letteratura e la poesia, il 1°premio “Le donne
abruzzesi raccontano” della Regione e
la nomina a Socio onorario degli scrittori italiani dell’Unione nazionale degli
artisti e degli scrittori di Roma.
Adriana Paola Di Giulio
Commissione pari opportunità
Direttore responsabile: Patrizia Lombardi
Comitato redazione: Germana Goderecci,
Piera Ruffini, Maria Provvisiero, Simona
Crescenti, Paola Natali, Iolanda Piersanti,
Pina Vallese.
Realizzazione editoriale: Paper’s World srl
Stampa: Paper’s World srl - Bellante Staz. (TE)
Tiratura n. 5.000 copie
Reg. Trib. n. 539 del 05/08/2005
Sede legale: Provincia di Teramo
N. 16 - Maggio 2008
Il tema della violenza entra nella scuola:
incontri fra l’istituto “G. Milli” e la Cpo
Violenza contro le donne: su questo tema,
mai come adesso bollente, l’istituto liceale
statale “G. Milli” ha costruito un progetto
tanto interessante quanto consapevole. Un
progetto che ha dietro di sé una storia iniziata due anni fa, dai primi incontri avuti
con la Commissione Pari Opportunità. Le
docenti referenti del laboratorio di storia,
Giovanna Cortellini, e delle sportello
C.I.C., Nicoletta Profeta, hanno infatti pensato, elaborato ed organizzato una serie di
incontri sul tema della violenza contro le
donne.
Una rete di sinergie, quella che ha reso
fruibile il progetto alle ultime classi, degli
indirizzi linguistico, socio-psico-pedagogico e scientifico-tecnologico, resa possibile
dalla collaborazione delle docenti, le professoresse Casasanta, Corradi, Di Felice,
Di Ferdinando, Di Giulio e Paoletti, oltre
che della dottoressa Di Pietro Piccirilli e
della presidente della Commissione Pari
opportunità, Germana Goderecci. Il progetto è stato articolato in due fasi: nella prima, le classi interessate hanno assistito alla proiezione del film “Ti do i miei occhi”,
autore il regista Iciar Bollain, a cui hanno
fatto fatto seguito dibattiti e riflessioni;
nella seconda fase, invece, si aperto agli incontri, e confronti, con la presidente della
Commissione Pari opportunità.
Giovanna Cortellini, docente di filosofia e
storia, commenta così la scelta di portare il
tema della violenza nella scuola: “Credo
che la scuola, in qualità di agenzia pubblica per la formazione e l’istruzione, non
possa non interagire con la società civile.
Non solo deve farlo per la vocazione educativa che riveste, ma deve mettere in atto
tutti gli strumenti e le strategie più idonee
a far rispettare i dettami della nostra costituzione.
È basandomi sul rispetto dei diritti inalie-
Nel 1999 fu istituita la Giornata Internazionale per l’Eliminazione
della Violenza contro le donne dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violazione
dei diritti delle donne. Perché fu ritenuta necessaria questa iniziativa? Perché i delitti contro le donne sono sempre più frequenti e
continuamente aumentano. Infatti, le donne spesso vengono considerate e trattate come esseri inferiori o di serie B. I pregiudizi contro di loro sono profondamente radicati, ma la violenza di genere
in tutte le sue forme è un problema che persiste, anche nei cosiddetti paesi sviluppati.
Secondo l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan,
la violenza contro le donne è un problema di portata mondiale che
si riscontra in tutte le società e culture. Riguarda le donne a prescindere da razza, etnia, origine, posizione sociale o distinzione
d’altro genere, e secondo Radhika Coomaraswamy, ex relatrice
speciale della commissione dell’ONU per i Diritti Umani sulla violenza contro le donne, per la stragrande maggioranza delle donne
questo tipo di violenza è “un argomento tabù, un problema invisibile nella società e una realtà vergognosa”.
Ma i dati sono preoccupanti: le statistiche pubblicate da un istituto
che si occupa di vittimologia, con sede in Olanda, sostiene che in
un paese sudamericano il 23 per cento delle donne, ovvero una su
quattro, è vittima di qualche forma di violenza domestica. In modo simile il Consiglio d’Europa calcola che nel corso della vita una
donna europea su quattro subisca violenza all’interno delle mura
nabili della persona e sui principi di uguaglianza e “differenza” tra uomini e donne
che ritengo mio compito professionale, e
penso che lo sia per ogni insegnante della
scuola italiana, educare gli allievi e le allieve a riflettere anche sugli avvenimenti
che mettono a “dura prova” la nostra intelligenza, la nostra sensibilità e i nostri sentimenti, come nel caso della violenza sulle
donne. Tema complesso, se pensiamo alle
diverse forme della violenza sulle donne;
tema doloroso e drammatico se pensiamo
alla violenza sessuale o a quella in famiglia; tema che non può essere lasciato alla
cronaca o alla politica, ma deve essere affrontato in ambito culturale. In primo luogo, deve essere conosciuto come fenomeno trasversale, che riguarda la sfera del
pubblico e del privato; in secondo luogo
come fenomeno che ci riguarda tutti, giovani e meno giovani. Solo attraverso una
nuova cultura del rispetto della persona vi
può essere la possibilità di modificare l’esistente sociale e familiare.
Solo attraverso la consapevolezza di “essere” persona ci può realizzarsi un nuovo
umanesimo.
domestiche. Dai dati forniti dal Ministro dell’Interno britannico, in
Inghilterra e Galles in un anno sono state uccise in media due donne alla settimana dal partner o dal partner precedente.
In un articolo della rivista India Today International troviamo che
per le donne dell’India il timore è un compagno onnipresente e lo
stupro è lo sconosciuto in cui si possono imbattere in ogni angolo,
in ogni via, in ogni luogo pubblico e ad ogni ora.
Amnesty International definisce la violenza contro le donne e le ragazze come “La violazione più diffusa dei diritti umani” al giorno
d’oggi. Secondo le scrittrice Dacia Maraini, abruzzese d’adozione,
sono “Passi affrettati” quelli che compiono le donne che tentano di
fuggire ai loro violentatori. Nel suo nuovo libro appunto, l’autrice
parla di esperienze e di storie di donne provenienti da tutto il mondo, prigioniere di un matrimonio non voluto, di una famiglia violenta o di uno sfruttatore. “Il libro, sottolinea Dacia Maraini, vuole essere, oltre che una denuncia, un atto di solidarietà verso tutte
quelle donne che vivono ancora nell’orrore”. Anche noi, giovani
donne di provincia, consapevoli di tutto ciò che accade nel mondo,
la sera tardi, tornando a casa, abbiamo timore di incontrare qualche
maleintenzionato che possa far del male al nostro corpo e ferire la
nostra anima. Perciò invitiamo tutte le donne a denunciare le violenze subite...
BASTA CON LA VIOLENZA!!!
Valentina Gatti
Studentessa I A - Indirizzo SocioPsicoPedagogico
5
“Quell’antica ragazza” di Floriana Ferrari
Floriana Ferrari, autrice del racconto “Quell’antica ragazza”, oltre a svolgere l’attività di direttrice scolastica e psicopedagogista, è impegnata in diverse attività di volontariato culturale, sociale ed in diversi progetti pedagogici nelle
scuole cittadine. Attualmente a questo racconto stanno lavorando gli allievi di una scuola di danza ed un’artista toscana; il progetto artistico verrà presentato nell’ambito di un evento culturale. A Floriana Ferrari sono andati premi
e riconoscimenti nazionali ed internazionali nell’ambito della scrittura creativa e della poesia.
Quell’anno l’inverno era stato particolarmente clemente quasi da rubare il
primato alla primavera. Avevo dato
l’ultima occhiata alla stanza e mi sembrava che tutto fosse curato e predisposto per accogliere gli ospiti che, di lì a
poco, avrebbero allietato la tavola e
gustato tutto quel ben di Dio.
Accarezzando la tovaglia ricamata a
punto a croce, mi pareva di sentire la
mano di mia nonna che guidava, attraverso quei percorsi colorati e difficili,
la mia mano bambina e alla fine, come
premio al mio impegno, scioglieva il
suo viso accigliato e mi avvolgeva in
un caldo abbraccio.
Oltre la vetrata il melo, con braccia allargate a dolce rifugio, conservava ancora le mele rinsecchite della passata
stagione che, dondolandosi, cercavano
di fare posto alle nuove gemme. Avevo
lasciato scorrere la porta finestra e portato i miei passi nella parte più remota
dell’uliveto e, man mano che procedevo nel sentiero, ero rimasta quasi sconcertata da un chiarore inusuale e da una
luminosità nuova impressa in quel luogo. Improvvisamente, mi ero resa conto della ragione di quella luce che filtrava indisturbata dagli spazi vuoti: un
mare di tronchetti e rami dalle svariate dimensioni occupava buona parte
del terreno circostante. I rami più sottili erano affastellati in uno scenario
spettrale in cui la brina gelata aveva
ibernato le giovani gemme. Ero rimasta come pietrificata in una sensazione
di dolore e di impotenza. I miei ciliegi
erano a terra in una selva di morte e
giacevano su quella terra che li aveva
fatti nascere, aiutati a crescere e conservati, alti e maestosi, per tanti anni.
Non potevo credere che era accaduto
senza che fossi stata lì a proteggerli da
mani impietose. Ricordavo le loro fio6
riture che mi lasciavano sgomenta per
tanta bellezza e i loro frutti, quelle drupe rosse che scintillavano ai raggi del
sole, riuscendo a lenire qualsiasi sconforto. Le lacrime mi scivolavano lentamente lasciandomi in bocca un sapore
amarognolo, accarezzavo quei tronchetti argentei e quei rami posati sopra
quel manto di segatura rossastra. Avevo preso una piccola gemma che era
ancora verde, viva, palpitante quasi volesse schiudersi in un ultimo gemito di
vita. Così deve essere al momento del
trapasso quando non è ben definito il
confine e chi muore sembra, di lì a poco, risospinto alla vita.
Quelle gemme ancora integre, riscaldate da quei rivoli salati, reclamavano
il loro posto nel mondo. La loro era
stata una morte annunciata, erano nati
spontaneamente e la loro crescita, così
vigorosa, aveva annientato gli ulivi che
davano miseri frutti e giacevano asfittici e annichiliti in attesa di tempi migliori. Avevo combattuto con tutte le
mie forze contro il loro abbattimento
ed il nonno non era riuscito a farmi ra-
gionare e nemmeno Vito che, salito dal
sud per la mezzadria, si era affezionato
a noi come uno di famiglia e mi ripeteva: «Piccirilla, quegli alberi s’aggiano
a taglià, tuo nonno te ne pianterà uno
tutto per te». Ero rimasta in silenzio,
non avevo più parole, i ciliegi li amavo
per quella gita in moto che avevo fatto
con il babbo.
Mi ricordo ancora il cestino che non
riusciva a contenere quelle ciliegie che
mi piovevano addosso da tutte le parti,
dall’alto della pianta dove il mio papà
si era arrampicato, e mi sembrava un
albero delle meraviglie, tanto era
straordinario. Quella volta lui si era
rammaricato di non avermi fatto portare un cestino più grande. Andare in
moto mi riempiva di gioia, assaporavo
un senso di libertà. Mio padre era sempre sorridente, ero orgogliosa del suo
modo di fare, aveva sempre la soluzione per tutti i problemi ed affrontava di
petto la vita. Mia madre era un po’ gelosa di certi sguardi femminili ed a dire il vero anch’io. A volte quando si
soffermava a parlare con qualche amica lo tiravo subito via. In quel periodo,
di moto così grandi non se ne vedevano in giro e le uniche a circolare erano
quelle dei poliziotti; quando veniva a
prendermi a scuola le compagne, senza
nemmeno chiedermelo, mi dicevano
che mio padre era un poliziotto, io non
rispondevo e mi piaceva pensare che lo
fosse davvero.
Poi l’incidente con la mamma e poi più
nulla. Con i miei fratelli ero andata a
vivere a casa del nonno che, lasciato il
lavoro in città, si era trasferito in campagna a coltivare vigneti ed uliveti.
Mio nonno era una roccia come il mio
papà ma più taciturno e con noi più autoritario e severo. Quando gli chiedevo
di mio padre si rabbuiava e restava tri-
ste più giorni, così avevo imparato a tenere i miei pensieri dentro, cercando di
allontanare i ricordi e ad essere contenta come il mio papà. Sapevo che per il
nonno era necessario abbattere quei ciliegi, per far fruttificare gli ulivi, ma
ora mi ritrovavo a piangere tutte le mie
lacrime perché la scelta era stata fatta.
Per la prima volta non mi ero curata
della mia sorellina che mi aveva raggiunto e, rimanendo sorpresa dalle mie
lacrime, aveva iniziato a piangere anche lei. Solo allora mi ero scossa e l’avevo abbracciata forte: «Guardami non
piango più, ti pare possibile che possa
piangere per delle piante, stai tranquilla, è passato tutto, sono alberi mi consolerò».
Eravamo tornate a casa, per fortuna gli
ospiti tardavano ad arrivare ed avevo
avuto tutto il tempo di ricompormi. All’orecchio del nonno era arrivata la voce delle mie lacrime e mi aveva mandato una missiva “I tuoi alberi sono
stati tagliati da due settimane e nemmeno te ne sei accorta, era necessario
farlo per via dell’olio, ora falla finita
altrimenti perdo la pazienza”.
Così era mio nonno, burbero e dolce
allo stesso tempo e, quando ti doveva
comunicare qualcosa di spiacevole,
non te lo diceva direttamente.
Nutrivo un grande sconforto anche se
ero riuscita a celarlo di fronte alla
gaiezza degli ospiti che avevano preso
posto nella grande sala.
Erano tutti contenti, si festeggiava il ritorno di mio fratello che aveva portato
una sua amica orientale. Quella conoscenza all’inizio ci aveva resi ansiosi,
ma poi la tensione si era sciolta come
neve al sole.
La ragazza era bella, la pelle liscia e luminosa, gli occhi a mandorla, vivaci ed
intelligenti, erano neri come i capelli,
la voce dolce dai toni bassi, indossava
una camicetta di seta e jeans. Avevamo
saputo che amava la letteratura inglese
e la sua amabile conversazione aveva
coinvolto tutti i commensali. Mio nonno, come per caso, aveva fatto scivolare il discorso sul taglio dei ciliegi e
quel dolore che provavo era come risalito dal profondo ma avevo fatto in modo di riportarlo giù ed ora era come ri-
mosso nel cuore, come quando arriva
qualcosa di spiacevole e si cerca una
ragione di risalita. Avevo partecipato
alla conversazione con malcelata indifferenza, per decretarne con gli altri l’ineluttabilità, tanto ormai non c’era più
niente da fare. La morte dei ciliegi era
stata una decisione di famiglia e tutti si
erano astenuti dal contrariare il nonno.
Osservavo mio fratello che era molto
tenero con Mirto, quella ragazza ci
aveva conquistati e la sentivamo già
una di noi. Più tardi l’avevo presa per
mano e condotta per il sentiero fino all’uliveto, in prossimità della piana avvolta dalla nebbia, come per gioco, l’avevo invitata a chiudere gli occhi ed a
salire su una delle basi dei tronchi tagliati che affioravano in superficie come cippi lignei, lei, all’inizio era rimasta un pò sorpresa ma poi si era affidata alle mie parole ed era come incantata nel racconto dei miei ciliegi. Dopo
un po’ aveva riaperto gli occhi: «Sei
molto brava, li ho proprio visti i tuoi ciliegi, sai esiste una poetessa inglese
che di fronte ad un ciuffo d’erba e ad
una farfalla riesce a creare dei versi
bellissimi e come te sa viaggiare con la
fantasia. Le tue piante non moriranno
mai, come tutto quello che si ama. Un
giorno ti porterò in Giappone, nel mio
Paese c’è una festa “Hanami” in cui si
celebra la fioritura dei ciliegi. Per noi il
fiore del ciliegio “Sakura” rappresenta
la bellezza dell’esistenza e quando la
fioritura è al suo massimo splendore
corriamo nei parchi, cercando di allontanare il mal di vivere». Ero contenta,
con Mirto avevo trovato un’amica, una
ragazza speciale e mi auguravo che rimanesse nella nostra famiglia. È tornata la primavera, la campagna è brulicante di vita e restituisce colori e profumi intensi. In quell’angolo remoto
dell’uliveto, vicino ai cippi lignei, gli
ulivi sono risorti a nuova vita e come
dice il nonno l’annata dell’olio sarà
migliore.
Per Mirto ha piantato un boschetto di
bambù che, quando si alza il vento e attraversa le fronde, disperde nell’aere
suoni nuovi e voci lontane.
Floriana Ferrari
Nota bibliografica della scrittrice
FLORIANA FERRARI
Floriana Ferrari svolge la sua attività
lavorativa di Direttrice scolastica e
Psicopedagogista nella città di Teramo.
È impegnata in diverse attività di volontariato culturale, sociale e in diversi progetti pedagogici nelle scuole cittadine. Ha ricevuto premi a livello nazionale e internazionale nell’ambito
della scrittura creativa e della poesia.
In particolare è stata 2ª classificata nel
Premio Teramo per un racconto inedito nella sezione dedicata agli scrittori
abruzzesi nell’Ed. 1995; 2ª classificata
nel Premio Adriatico VI Ed.
IL VERO
SESSO FORTE
Femmene, ciucci e crape
teneno ‘a stessa capa!*
Così dice Partenope
che offende Penelope!
Però la vita insegna
che questa tesi è indegna
e che non rende onore
alle nostre Signore,
che han grande dignità
in questa umanità.
E se ci fate caso,
pur se vi salta al naso,
oggi la miglior cosa
è far le quote rosa.
Lo so. Non ci credete.
Ma a far cose concrete
ci vogliono le donne
che, ormai, sotto le gonne,
nel prender decisioni,
davvero hanno i coglioni.
* Detto napoletano che
va tradotto così:
“Donne, asini e capre
hanno la stessa intelligenza”
Luigi Pardo
7
Raccontiamo le donne
a cura di
Maria Provvisiero
ADELAIDE MELLES, storia di una passione
Adelaide è una matrioska. Quella più
esterna, e che per prima si impone all’attenzione, è tessuta di solarità, così
soffice eppure lieve da fa innamorare
un Botero.
È quella che buca lo schermo, ogni giovedì di buonora, dal salotto mattiniero
di Teleponte, avvolta dentro un turbinio
profumato di muffin al mirtillo o cioccolato, di torte capresi e ciambelloni
che più leggeri non si può, di dessert
colorati come opere d’arte. Dentro a
questa, c’è un’altra matrioska ed è un
gomitolo assolutamente rosso per quel
filo sottile che non puoi spezzare di
passione allo stato puro, un filo che avvolge compatto il cerchio della sua vita. Passione per ricette, pentole, fornelli, o meglio per quella cucina fusion
che l’ha spinta a ripensare un sushi mediterraneo e via, al posto del pesce, sotto con le verdure dentro il rotolino di riso. Ed è scontata questa passione che,
però, lei amalgama in una grammatura
perfetta con quella «per un marito
straordinario, senza il quale Adelaide
non potrebbe essere Adelaide» e per i
suoi figli. E dentro ad un‘altra matrioska, ancora, c’è Napoli e la napoletanità annidata nel suo dna, ed il suo cognome, Melles, la dice lunga su questo
legame. Evoca avi Borboni ma anche i
primi anni di matrimonio in un paesino
dalle parti di Benevento ed una vita più
sonnacchiosa, la pastiera che non le
piace così come non la fa impazzire
neppure la pizza di Pasqua teramana.
Una par condicio, quella tra Napoli e
Teramo, dove pure il puzzle dei suoi affetti ha messo tutti i tasselli della vita al
posto giusto e chiuso il cerchio di affetti, passioni, famiglia. Guai, però a pensarla pasticcera, cuoca e neppure chef,
per carità.
Per Adelaide Melles la cucina è passione. Energia. Stimoli. Filosofia. Interpretazione. Il centro dei suoi pensieri.
Quando parla della magia dell’impastare, e accompagna la parola con la gestualità, si trasforma in una piccola Mago Merlino che di un atto apparente8
mente semplice e banale rivela l’alchimia segreta, la gioiosità nascosta. Adelaide, figlia del suo tempo, appartiene
al polo dei food blogger: il suo è il blog
di una passione ed è visitatissimo, in
rete la cercano amici dalle Barbados,
da quella che fu la Russia come dall’America. Lì finiscono le sue ricette, costantemente accompagnate da una foto
perchè lei non è certo arcigna custode
di grammature e ingredienti che “osa”
sostituire, con un personalissimo colpo
d’ala di creatività, alla ricetta originale.
Come una spugna assorbe e le piace
trasmettere quello che dell’arte, in questi anni, ha meticolosamente messo da
parte. Il suo data base di ricette ne conta un numero impressionante e se a lei
piace trasmettere e comunicare, agli altri piace che lei lo faccia: televisiva è
televisiva, anche se lontana anni luce
da stereotipi alla Clerici o alla Moroni,
e ben lo hanno capito ad Alice Tv e
Gambero rosso Channel che le assicurano spazi ambiti.
Si muove tra videoricette e corsi privati a Roma, tutta cucina fusion e respingente, invece, verso gli stravolgimenti
della cucina molecolare, che compone
e scompone. E come si fa, noi, a non
comprenderne la stellare differenza?
L’asso nella manica di Adelaide? Il
ciambellone più soffice del mondo, con
l’acqua che sostituisce il latte e qualcuno, ops!, ecco che gliela scippa ma queste piccolezze neppure sfiorano gli
equilibri di una passione. Cosa si mangia più spesso a casa sua?
Piatto gettonatissimo, pasta con olio,
piccoli pomodori allungati, napoletani
si capisce, appena schiacciati, l’aglio
appena solo imbiondito. Il piatto preferito, guarda un po’, un “banale”risotto
alla milanese con la più scontata delle
cotolette. La sua maestra? La chef
Laura Ravaioli. La sua cucina? Libri e
poi libri, la mitica planetaria, l’ultimo
acquisto di una sfiziosa pentola Wok.
In un piatto «occorre ci sia qualcosa di
morbido, croccante, acido, dolce, salato, agrodolce», recita diligente e misteriosa Adelaide. Come dire, per noi miseri profani, tutto e niente: una mousse,
spiega lei paziente, la devi pensare accompagnata da una granella o un biscotto e l’alchimia sfiziosa si compie.
Cosa farebbe per mettere le mani su
una ricetta supersegreta? «Proverei a
ricrearla a sola», sorride disarmante e
fiduciosa. Le virtù del 1° maggio? Certo che sa farle, ma verso la pazienza e i
segreti di cui sono depositarie le teramane doc ha un segno di profondo rispetto, come si dice in questi casi.
Un piccolo inchino gentile e fa posto a
quello che hanno tramandato le anziane
signore, le irriducibili artefici delle virtù. Cosa vorrebbe fare Adelaide “da
grande”? Ad aprire un ristorante tutto
suo, passaggio che per molti è business
senza cuore, non ci pensa proprio. Tutt’al più si vede dentro a qualcosa che
sappia di atmosfera e passione (eccola
che torna!), molto simile ad un bistrot
parigino, con una bella cucina a vista
perchè, sia chiaro, nella vita non è una
che si è mai nascosta. Nemmeno quando a sedici anni, ai tempi del liceo e prima di cimentarsi con arabo e cinese all’Orientale, si tagliò provocatoriamente
i capelli a spazzola, per distinguersi dai
riccioli laccati e fintamente scomposti
di quegli anni ’80.
Chissà che, davvero, dentro l’ultima
matrioska non si nasconda, se non un
bistrot, un qualche porto di approdo.
Perché una passione, si sa, a volte riesce a farsi destino.
Patrizia Lombardi