Gli equivoci del folk
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Gli equivoci del folk
GLI EQUIVOCI DEL FOLK Intervento sul I Festival del folk amiatino (Pubblicato su «Nuovo Amiata, 1984) Quando si parla di “canzone folk”, spesso si incorre in equivoci piuttosto gravi che, se possono sfuggire all'opinione pubblica, devono essere colti e rifiutati non solo dagli studiosi del ramo ma anche da coloro che hanno responsabilità politiche e pubbliche. In effetti con “canzone folk” si intendono oggi molte cose: per questo va fatta chiarezza. Negli Stati Uniti, per esempio, il folk è la canzone di protesta sociale e politica (quella di Dylan e Baez, per capirci) ; in Italia invece il folk è la riproposta, a livello commerciale, dei “canti popolari” (come “L'uva fogarina” della Orietta Berti e “La domenica andando alla messa” della Cinquetti; o, ad un livello di maggiore serietà e buon gusto, le interpretazioni della Catrina Bueno o della Dodi Moscati, per stare in Toscana): Quando invece a cantare sono gli stessi protagonisti, gente cioè che canta non per professione, come gli artigiani, i contadini, i minatori, i boscaioli, ecc., allora si preferisce parlare di “canto popolare”. Ma queste distinzioni spesso purtroppo non vengono fatte, cosicché capita di assistere a spettacoli, finanziati magari dagli Enti locali, in cui sotto l'etichetta di “Festival della canzone folk”, si propinano agli spettatori canti ed esecutori che poco hanno a che fare con il folk e meno che mai con la “cultura popolare”. Anche a Castiglione d'Orcia è accaduta la stessa cosa: al Festival della canzone folk amiatina, patrocinato dalla Comunità montana, sono stati presentati quattro gruppi di cantori diversissimi tra di loro non solo per repertorio, ma soprattutto per collocazione culturale. Accanto, infatti, ai Minatori di S. Fiora, ottime voci ed onesti esecutori di canzoni “folk” (come “Maremma”), c'erano gli autentici portatori di una tradizione come quella del Maggio di Castiglion d'Orcia; c'erano poi i Cardellini di Castel del Piano, che hanno portato a livello professionistico il tipico e bellissimo canto “a bei” della montagna, ed infine c'era il gruppo di “Seggiano Folk” che, volendo, si può inquadrare tra i produttori e gli esecutori della canzonetta tipo festival di San Remo. Era dunque un incontro tra realtà culturali differenti, tanto che un componente dei maggiaioli castiglionesi sentì la necessità di segnalare al pubblico la diversità esistente tra i loro canti e quelli degli altri. La melodia dei loro canti, infatti, nonha nulla a chefare con la musica che quotidianamente possiamo ascoltare alla radio e alla Tv; musica che ha “regole moderne”, che si potevano riscontrare non solo nelle canzoni di Alfio “il menestrello”, ma anche nei canti dei Minatori di S. Fiora e in quelli dei Cardellini. La musica popolare è più difficile e oggi anche più noiosa da ascoltare, perché i nostri orecchi non sono più abituati a sentirla, perché il nostro gusto è stato ormai stravolto dalle canzonette che i mass-media ci propinano ogni giorno ormai da decenni. Tanto per essere più chiari, spesso le melodie dei canti popolari non possono essere trascritte sul pentagramma, perché le loro note spesso non coincidono con quelle del pianoforte, perché risalgono a empi in cui le scale musicali erano molto diverse da quelle in uso dopo Bach. E allora tutto negativo al festival del Folk amiatino? No; abbiamo ascoltato canti autenticamente popolari e bellissime voci da recuperare e utilizzare successivamente; ma soprattutto è stato l'occasione che ci permetterà di riflettere sulle questioni inerenti il recupero della musica e dellacultura popolare, in modo che la prossima volta il festival possa essere organizzato con maggiore coscienza scientifica e con precisi obiettivi di politica culturale. Il discorso sulla musica popolare e quindi sulla cultura popolare non deve infatti servire solo per approntare spettacoli di evasione o di rievocazione nostalgica. Diceva Gramsci: «Il folklore non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa che è molto seria e da prendere sul serio». Limitarsi ad ascoltare il canto “a bei” degli amiatini può essere piacevole; ma può diventare anche utile se ci chiede come è nato, perché è nato, dove si eseguiva e quando; e allora si scoprirà non solo la vita delle canzoni ma anche la vita degli uomini che le cantavano, che andavano in Maremma a smacchiare e a mietere; che erano costretti a vivere per lunghi mesi, da soli, in capanne misere e malsane. Attraverso la storia dei canti viene fuori la storia di una società di uomini, con le loro condizioni materiali e culturali di vita, con i oro pensieri, le loro speranze, le loro sofferenze, i loro sogni, con la loro visione del mondo. Si scopre cioè una vita ormai del tutto scomparsa, perché lqa società capitalistica ha distrutto e trasformato il vecchio mondo rurale, ma senza sapervi sostituire niente di alternativamente valido. E' dunque compito degli Enti Locali e di quegli Amministratori che, per estrazione sociale o per ideologia, sono vicini al mondo popolare, aiutare quei gruppi che ancora tengono in vita queste tradizioni. Ma il compito degli Amministratori è anche quello di dare al mondo popolare gli strumenti per crescere, per emanciparsi impossessandosi della cultura moderna. Ma tra questa e la cultura popolare c'è un abisso. Bene: anche questo è compito degli Amministratori culturalmente e politicamente avvertiti: quello di colmare questo distacco, di operare questa cucitura tra passato e futuro, tra cultura popolare e folklore da una parte e cultura moderna dall'altra. Perché senza la conoscenza critica del proprio passato non potrà mai esserci una vera cultura moderna, ma una cultura d'accatto, d'importazione di altri Paesi, com'è avvenuto in Italia in questi ultimi quarant'anni in Italia. Per questo, quando si parla di “folk” e ci sono in ballo finanziamenti pubblici, è bene che si sia a posto scientificamente e culturalmente.