30 marzo-12 aprile 2014 - Osservatorio di Politica Internazionale

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30 marzo-12 aprile 2014 - Osservatorio di Politica Internazionale
N°11, 30 MARZO-12 APRILE 2014
ISSN: 2284-1024
I
www.bloglobal.net
BloGlobal Weekly Report
Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)
© BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 13 aprile 2014
ISSN: 2284-1024
A cura di:
Davide Borsani
Giuseppe Dentice
Danilo Giordano
Maria Serra
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Weekly Report N°11/2014 (30 marzo-12 aprile 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo
sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net
Photo credits: AFP/Alexander Khudoteply, Amnesty Italia, AP/Majdi Mohammed, Reuters/Esam Omran Al-Fetori,
François Lenoir, Flickr, Wikimedia Commons.
FOCUS
GRECIA ↴
Quelle appena trascorse sono state due settimane importanti per la Grecia e per
l’Eurozona. Ad inizio aprile Atene era riuscita ad ottenere un nuovo pacchetto di
aiuti dall’Unione Europa, diviso in tre tranche, per un valore di 8,3 miliardi di euro.
Come ha dichiarato il Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, «la prima
tranche sarà consegnata in aprile, quelle successive in giugno e luglio. Ciascuna sarà
condizionata all’adozione di specifiche misure». La prima tranche, quella più corposa,
sarà consegnata entro la fine del mese e ammonterà ad oltre 6 miliardi di euro. Oltre
ai prestiti europei, ci saranno in entrata gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale, pari a circa 3,5 miliardi di euro.
Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, ha contestualmente lodato i
progressi di Atene, evidenziando gli importanti risultati: il Paese dovrebbe tornare a
crescere nel 2014 dello 0,6% per arrivare, secondo il FMI, ad un +2,9% nel 2015.
Draghi ha poi esortato la politica greca a non arenarsi e a «non mettere a repentaglio
l’aggiustamento dei conti pubblici condotto finora con tanti sforzi». Il Ministro delle
Finanze greco, Yannis Stournaras, ha risposto che il suo Paese dal 2015 non avrà più
bisogno di aiuti e sarà in grado di finanziarsi con il ritorno sul mercato obbligazionario.
Tale ritorno è avvenuto il 10 aprile scorso ed è stato un successo. Atene ha collocato
sul mercato tre miliardi di euro di bond con scadenza a cinque anni, ben 500
milioni in più di quanto preventivato, ad un tasso pari al 4,95%, anche questo inferiore rispetto quanto previsto alla vigilia (5-5,25%). Investitori americani, europei ed
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asiatici hanno manifestato grande interesse nell’acquistare i titoli di Stato greci, il che
ha dato nuova linfa vitale ad Atene. L’asta è stata guidata da due banche straniere,
la JP Morgan e la Deutsche Bank. Dei 3 miliardi di euro collocati, oltre il 90% sono
stati acquisiti da investitori esteri. Il vice Premier, Evangelos Venizelos, ha affermato
che «ci stiamo lasciando alle spalle il salvataggio e la maggior crisi del dopoguerra».
Anche il Direttore del FMI, Christine Lagarde, ha ben accolto l’emissione di bond di
Atene dichiarando che «la Grecia è sulla buona strada». Il vice Presidente della Commissione europea, Siim Kallas, ha riferito che «l’emissione è un segno importante che
l’economia greca sta riguadagnando la fiducia degli investitori e riflette l’effetto positivo delle riforme strutturali».
Il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, si è recata due giorni dopo ad Atene per
benedire il ritorno sul mercato obbligazionario della Grecia. La visita è stata preceduta
da una giornata turbolenta per la capitale greca: davanti all’edificio dove opera la
Banca centrale nazionale, poco distante dagli uffici della troika (UE, BCE, FMI), era
stata fatta detonare un’autobomba che, comunque, non ha provocato feriti. La
Merkel, dunque, rifiutandosi di incontrare il leader della sinistra, Alexis Tsipras (nonché candidato a Presidente della Commissione europea), ha rassicurato il Primo Ministro greco, Antonis Samaras, che «è tornata la fiducia, continueremo a sostenere
la Grecia e il suo popolo sulla sua buona strada». La leader tedesca ha poi così continuato: «avete mantenuto le promesse e onorato gli impegni, dopo le riforme ci
saranno più opportunità che difficoltà sulle quali si può costruire» un nuovo futuro
per il Paese «dopo un cammino difficile».
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ISRAELE ↴
Nonostante il parere favorevole di Israeliani e Palestinesi, quello altrettanto conciliante di Stati Uniti e dei Ministri degli Esteri di tutti i Paesi arabi, favorevoli ad estendere i colloqui di pace oltre la data limite del 29 aprile, le trattative tra le parti
rischiano di rivelarsi l’ennesimo flop del più lungo conflitto della storia contemporanea. Dopo le tensioni dei mesi passati, il mancato rilascio dell’ultimo gruppo di
prigionieri palestinesi – circa una trentina il 29 marzo scorso come previsto dal preaccordo di luglio 2013 – e le reciproche accuse di sabotaggio, il processo di pace
israelo-palestinese è attualmente in stallo.
L’ultimo episodio che ha fatto saltare il già fragile equilibrio è stata la decisione di
Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di chiedere l’adesione della Palestina a 15 convenzioni e accordi internazionali, tra cui la Corte Internazionale di Giustizia, scelta
che permetterebbe al governo palestinese di ottenere diversi benefici a livello internazionale ma che contravviene agli impegni assunti il 30 luglio 2013 a Washington
dalla delegazione guidata da Saeb Erekat di sospendere qualsiasi tentativo di ottenere
ulteriori riconoscimenti alle Nazioni Unite per aumentare le pressioni su Israele.
Una decisione, questa, che ha spinto il Segretario di Stato USA John Kerry a cancellare la visita prevista per il 2 aprile a Ramallah, in aperta contestazione nei
confronti dell’establishment palestinese, e a far dichiarare a Jen Psaki, portavoce del
Dipartimento di Stato, che si tratta di «un importante passo indietro verso un accordo
di pace in Medio Oriente». La visita in Cisgiordania era una fondamentale tappa di
avvicinamento alla road map prestabilita e che serviva a completare un accordo sul
prolungamento dei negoziati di pace. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti si sono mostrati molto critici verso Israele e nei confronti delle sue ultime decisioni – mancata scarcerazione dei prigionieri palestinesi e l’annuncio della costruzione di 700
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nuove unità abitative a Gerusalemme Est –, accusandoli di aver di fatto bloccato il
processo di pace.
Abu Mazen, durante un incontro il 9 aprile al Cairo tra i Ministri degli Esteri della Lega
Araba nel quale ha fatto il punto sull’attuale stato dei negoziati con Israele, ha poi
sollecitato i Paesi arabi a dare seguito alle “promesse finanziarie” che prevedono lo
stanziamento mensile di 100 milioni di dollari per l’ANP, risorse necessarie a
garantire una ripresa nei Territori ma soprattutto a tamponare il taglio delle tasse
deciso dal governo israeliano. Infatti, alla decisione palestinese di dare una scossa ai
negoziati di pace attraverso un coinvolgimento della Comunità internazionale, il Premier Benjamin Netanyahu ha risposto bloccando il trasferimento delle tasse
ai palestinesi, cioè 80 milioni di euro in tributi mensili che l'amministrazione israeliana riscuote per suo conto e poi cede all’ANP per pagare le sue amministrazioni nei
Territori Occupati. Il taglio delle imposte rientra all’interno di un pacchetto di dure
misure decise dall’Esecutivo israeliano il 10 aprile scorso che prevede la sospensione
di tutte le forme di cooperazione politica, giudiziaria, economica e commerciale – tranne quella diplomatica – in progetti vari in Cisgiordania e nella Striscia di
Gaza, come lo sviluppo di un impianto per il gas, un tetto ai depositi bancari palestinesi nelle istituzioni finanziarie israeliane e altre misure forti sulle restrizioni alla circolazione dei cittadini arabo-palestinesi dentro e fuori i Territori.
In particolare verso quest’ultima misura si sono levate nuovamente le proteste delle
ONG che hanno ricordato come il nuovo Rapporto sui Territori Occupati pubblicato lo
scorso febbraio e redatto da Richard Falk, accademico statunitense e Inviato Speciale
dell’ONU, definisce «le politiche di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania
equivalenti all’apartheid». Il duro parallelo con la politica razziale praticata in
Sud Africa fino al 1993 viene spiegato da Falk «con il fatto che Israele esercita una
sistematica oppressione nei confronti del popolo palestinese». Sempre dalle pagine
del Rapporto A/HRC/25/67, Falk spiega meglio il paragone soffermandosi su alcune
pratiche come ad esempio il fatto di «applicare il diritto civile nei confronti degli abitanti degli insediamenti e quello militare verso i Palestinesi». Oppure «l’effetto combinato di misure che proteggono i cittadini israeliani, facilitano le loro aziende agricole, espandono gli insediamenti e rendono la vita impossibile ai Palestinesi».
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REPUBBLICA CENTRAFRICANA ↴
Dopo diversi rinvii è stata approvata EUFOR RCA, la missione militare dell’Unione
Europea nella turbolenta Repubblica Centrafricana. L’annuncio è stato dato dalla portavoce Suzanne Kieffer martedì 1° aprile, durante l’ultima seduta del Consiglio d’Europa prima del Vertice UE-Africa, che sarebbe iniziato l’indomani. Sembra che lo slancio definitivo all’avvio dell’operazione sia stato fornito dall’Italia, che ha messo a disposizione diversi veicoli e un discreto numero di uomini del genio militare, e da
Germania e Regno Unito che metteranno a disposizione i mezzi necessari per l’implementazione della logistica. Mancano ancora alcuni dettagli ma si sa che il contingente
EUFOR RCA dovrebbe essere composto di 800 uomini e non 1000 come preventivato, probabilmente a causa dei forfait di Germania, Regno Unito e Romania, ed è
inizialmente preventivato il suo impiego per una durata di sei mesi.
Nove i Paesi coinvolti: Georgia, Francia, Spagna, Polonia, Finlandia, Svezia, Estonia,
Lettonia e, appunto, Italia. Il contingente sarà agli ordini del Generale francese Philippe Pontiès che avrà il comando operativo a Larissa, in Grecia, e il comando tattico
a Bangui, la capitale centrafricana. L’EUFOR RCA andrà ad affiancarsi alle altre due
missioni già schierate in Repubblica Centrafricana: la missione MISCA dell’Unione
Africana, composta da circa 6.000 uomini, e la missione francese dell’Operation Sangaris, schierata con circa 2.000 uomini.
L’intervento europeo è stato chiesto a gran voce dalla Francia, che già dal 5 dicembre
ha inviato i propri uomini, e che vorrebbe smarcarsi da un intervento che, unito a
quello in Mali dell’Operation Serval, sta avendo forti ripercussioni sulle casse statali.
L’offensiva diplomatica francese è poi continuata anche in seno all’ONU dove il Consiglio di Sicurezza ha dato il via libera al dispiegamento di 10.000 caschi blu e
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1.800 agenti di polizia in Repubblica Centrafricana. La missione, chiamata MINUSCA, prenderà avvio il prossimo settembre e resterà fino al maggio dell’anno successivo, andando a rimpiazzare, gradualmente, le truppe francesi e africane. EUFOR RCA
e MINUSCA avranno, naturalmente, tra i loro compiti, quello di porsi come cuscinetto tra le due fazioni in lotta, i Séléka e gli anti-Balaka, per permettere alla
popolazione civile di vivere in sicurezza e ricevere gli aiuti umanitari che adesso arrivano con difficoltà. Il dispiegamento di soldati francesi e soldati africani non è riuscito
a garantire la necessaria cornice di sicurezza e stabilità al Paese che, da circa un
anno, attraversa crisi continue. L’intervento francese e l’elezione alla presidenza del
Paese di Catherine Samba-Panza, non sono riusciti a portare la necessaria calma e
tranquillità: negli ultimi mesi sono aumentati gli atti di repressione delle milizie
cristiane anti-Balaka ai danni dei Séléka che hanno costretto migliaia di musulmani
a scappare dai propri villaggi, 670.000 secondo l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati.
Nel frattempo, per un contingente che arriva, un altro invece ha deciso di lasciare il
Paese: è cominciato, già da alcuni giorni, il rientro degli 850 soldati del Ciad,
inquadrati nella MISCA. Il rientro è dovuto alle accuse, lanciate da rappresentanti
dell’ONU, del coinvolgimento dei peacekeepers ciadiani nell’uccisione, ritenuta sproporzionata e non giustificata, di 30 civili all’interno di un mercato della città di Dekoua. Nonostante il governo del Ciad si sia dichiarato completamente estraneo alle
accuse, sostenendo che le proprie truppe sarebbero state attaccate, ha deciso ugualmente di ritirare il proprio contingente. Aldilà delle schermaglie diplomatiche, il Ciad
riveste un importante ruolo nell’area, ed è dall’inizio del conflitto accusato di sostenere i ribelli Séléka, data anche la comunanza di fede.
La situazione della Repubblica Centrafricana è stato il principale argomento di discussione del IV Vertice UE-Africa, tenutosi a Bruxelles il 2-3 Aprile. Oltre alla conferma
del dispiegamento della missione EUFOR RCA, al centro del Summit, cui hanno partecipato numerosi Capi di Stato e di Governo, vi sono stati la cooperazione in tema
di emergenze umanitarie, il commercio e gli investimenti. L’Unione Europea è il principale partner commerciale dell’Africa e il suo maggior donatore di aiuti internazionali.
Nonostante ciò, la sua preponderanza sembra essere scalfita dall’intraprendenza cinese, ed è forse per questo che si è deciso di dar vita a questo vertice a 14 anni di
distanza dal precedente. La ragione sta forse anche nella volontà dell’UE di cercare
nuovi mercati di sbocco nel tentativo di sollecitare la propria debole crescita: le ultime
previsioni del Fondo Monetario Internazionale parlano di un’Africa il cui sviluppo futuro è stimato attorno al 7%.
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UCRAINA ↴
Mentre sul piano della diplomazia internazionale sembravano registrarsi primi segnali
positivi a seguito dell'incontro del 30 marzo – non risolutivo, ma proficuo – tra il
Segretario USA John Kerry e il Ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov, la situazione
interna in Ucraina è tornata nuovamente a precipitare a seguito dello scoppio di manifestazioni da parte delle popolazioni russofone nelle regioni orientali del
Paese che chiedevano non solo una maggiore autonomia ma anche un referendum
sullo status del bacino carbonifero del Donec (meglio conosciuto come Donbass),
cuore dell’industria siderurgica nazionale. In particolare a Kharkiv, a Luhansk e a
Donetsk, gruppi filo-russi hanno preso d'assalto gli uffici del Servizio di Sicurezza
Ucraino (SBU) e i palazzi governativi regionali e nella stessa Donetsk hanno proclamato la nascita della Repubblica Popolare, annunciandone per l'11 maggio il
referendum per l'indipendenza da Kiev. La risposta delle autorità ucraine non si è
fatta attendere: accusando l'ex Presidente Yanukovich e Vladimir Putin di orchestrare
"disordini separatisti", l'8 aprile il Ministro degli Interni Arsen Avakov ha avviato una
prima vasta campagna "anti-terrorismo" nelle regioni orientali che ha portato all'arresto di almeno 70 separatisti e ha lanciato un ultimatum di 48 ore per sgomberare
i sit-in e porre fine all'occupazione di tutte le strutture pubbliche.
Il tentativo di negoziazione da parte del Primo Ministro Arseniy Yatsenyuk –
recatosi l'11 aprile a Donetsk per trattare direttamente con i leader regionali e
aprendo alla possibilità di trasferire ai governi locali maggiori poteri, oltre all'utilizzo
della lingua russa – si è rivelato sostanzialmente fallimentare: dopo un vertice di
emergenza nella serata del 12 aprile, le Forze Speciali di Kiev hanno iniziato una
nuova campagna anti-terrorismo a Slovansk e a Kramatorsk, nella provincia
orientale di Donetsk, dove nel corso di scontri con gruppi di auto-difesa non meglio
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identificati (come accaduto nel mese di marzo in Crimea) sarebbero morte almeno 3
persone e un'altra decina sarebbero i feriti.
L'utilizzo della forza da parte di Kiev, ha dichiarato Lavrov, mette a questo punto in
discussione i negoziati quadripartiti (USA, UE, Russia, Ucraina) previsti per il
17 aprile a Ginevra: un punto, quello della partecipazione delle nuove autorità
ucraine ai negoziati, su cui Washington ha particolarmente insistito. Kerry ha
espresso profonda preoccupazione per ciò che sta accadendo, chiedendo alla Russia
– le cui truppe restano sui confini, nella provincia di Krasnodar – dall'astenersi da un
intervento armato e ha annunciato per il 22 aprile la visita del vice Presidente
Joe Biden a Kiev per discutere della stabilizzazione del Paese e delle prospettive
economiche, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza energetica.
Gli stessi Stati Uniti hanno peraltro imposto nuove sanzioni per i responsabili
dell'annessione della Crimea: coinvolti questa volta Pyotr Zima (Capo dei Servizi di
Sicurezza della Crimea), Aleksei Chaliy (sindaco di Sebastopoli), Rustam Temirgaliev
(organizzatore del referendum del 16 marzo), Yuriy Zherebtsov (Presidente della
Rada di Simferopoli), Mikhail Malyshev (Presidente della Commissione elettorale referendaria), Valery Medvedev e Serghey Tsekov. Ad essere colpita anche la società di
gas Chernomorneftegaz, ex sussidiaria per la Crimea della Naftogaz attiva nel Mar di
Azov, che dal 18 marzo è diventata russa pur conservando nome e assets della società
di Stato ucraina.
La NATO dal canto suo, che nel corso del Summit dell'1 e 2 aprile a Bruxelles aveva
deciso di sospendere la cooperazione pratica, civile e militare con la Russia e
contemporaneamente di intensificare quella con l'Ucraina, ha chiesto nuovamente a
Mosca una de-escalation. Nel corso della settimana gli Stati Uniti hanno proceduto a
spostare dalla base navale spagnola di Rota verso il Mar Nero il cacciatorpediniere
USS Donald Cook (dotato di un sistema di difesa antimissile Aegis), che va ad aggiungersi alle due navi inviate durante i mesi di febbraio e marzo – la fregata lanciamissili USS Taylor (giunta in realtà durante i giochi di Sochi per garantirne la sicurezza) e la US Truxtun (per esercitazioni congiunte con Romania e Bulgaria) – e
alla nave da guerra elettronica francese Dupuy de Lome. Mosca ha dunque accusato Washington di violare la Convenzione di Montreux (relativa alla regolamentazione del passaggio e della navigazione attraverso lo Stretto dei Dardanelli, il Mar
di Marmara e il Bosforo - 1936).
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BREVI
IRAN, 7-9 APRILE ↴
Si è concluso a Vienna un nuovo round di negoziati sul
dossier nucleare iraniano tra Teheran, rappresentata
dal Ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, e il
Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina,
Russia + Germania), guidato dall’Alto Rappresentante
dell’Unione Europea, Catherine Ashton. Le trattative
continuano a proseguire tra alti e bassi: secondo la
scaletta condivisa dalle due parti, è d’altronde ancora troppo presto per giungere ad
un accordo totale e definitivo, raggiungibile entro l’estate. La Ashton, a margine dei
colloqui, ha dichiarato che «sarà necessario lavorare per superare le differenze che
esistono ancora a questo stadio del processo. Ora passeremo allo stadio successivo
dei negoziati in cui punteremo a colmare le distanze in tutte le aree chiave, e a
lavorare su elementi concreti di un possibile accordo globale». Segnali incoraggianti
sono comunque giunti dal capo dell'Organizzazione dell'energia atomica iraniana, Ali
Akbar Salehi, che ha annunciato che «stiamo riattrezzando il reattore di Arak per
ridurre sensibilmente la produzione di plutonio». L’appuntamento per un nuovo round
dei negoziati è ora fissato per maggio. Intanto, Stati Uniti ed Iran si stanno
scontrando a livello diplomatico riguardo la nomina ad Ambasciatore iraniano presso
l’ONU di Hamid Aboutalebi. Teheran ha richiesto a Washington il visto per consentire
l’accesso ad Aboutalebi al Palazzo di Vetro di New York, su suolo statunitense. Dopo
che il Dipartimento di Stato aveva affermato di voler vagliare la richiesta, il Congresso
ha votato compatto per negare il visto a causa della partecipazione del diplomatico
all’assalto all’Ambasciata americana di Teheran durante la Rivoluzione iraniana del
1979. La Casa Bianca ha quindi accettato la richiesta del Congresso e ha comunicato
all’Iran che Aboutalebi, già Ambasciatore in Italia, è sgradito agli Stati Uniti. Teheran
ha dichiarato che ciò è inaccettabile e che agirà di conseguenza.
KENYA, 1° APRILE ↴
Una serie di esplosioni hanno colpito la città di Nairobi,
capitale del Kenya, provocando la morte di sei persone
e il ferimento di venticinque, secondo quanto annunciato dal National Disaster Operation Center sul suo account Twitter. Le tre esplosioni quasi simultanee hanno
praticamente distrutto due piccoli ristoranti e una clinica del quartiere di Eastleigh, situato in un’area abitata prevalentemente da cittadini
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somali; proprio per questo motivo il quartiere è chiamato piccola Mogadiscio. Eastleigh è lo stesso quartiere in cui si trova lo shopping mall Westgate scenario dell’attacco perpetrato dai militanti di al-Shabaab nel mese di settembre dello scorso anno
che ha provocato la morte di 67 persone. In questo caso non ci sono state rivendicazioni da parte di al-Shabaab che però è il principale indiziato, poiché è stato protagonista di numerosi attentati nell’area, giustificandoli con l’opposizione all’intervento dei
militari kenyoti in Somalia. La reazione del governo kenyota è stata immediata ed
una massiccia operazione di polizia è stata lanciata: per circa tre ore, la polizia ha
scandagliato il quartiere, bussando porta a porta alla ricerca di qualsiasi indizio che
potesse essere utile alla ricerca dei colpevoli. Naturalmente nel mirino c’è sempre alShabaab e alla fine l’operazione di polizia si è conclusa con 627 persone arrestate,
molte di etnia somala e legate, in qualche modo, all’organizzazione terroristica. Molte
delle persone arrestate sono rifugiati somali a cui il governo kenyota ha intimato di
lasciare le aree urbane e ritornare negli appositi campi situati alla periferia della capitale: lo scorso anno, una decisione simile del governo era stata annullata dalla Corte
Costituzionale che l’aveva giudicata una minaccia ai diritti fondamentali dei cittadini.
Nel frattempo numerose organizzazioni somale hanno denunciato atti di soprusi e
minacce compiuti dalla polizia kenyota.
LIBIA, 7-10 APRILE ↴
Il governo centrale del Premier ad interim Abdullah alThani e l’Ufficio Politico di Barqa (nome arabo della Cirenaica) hanno trovato un accordo per la riapertura di
due dei quattro terminal petroliferi occupati dalla fine
di luglio 2013 da un gruppo separatista guidato dall’ex
rivoluzionario Ibrahim Jadran, deus ex machina dell’intera operazione di mediazione
e influente attore dell’attuale scena politica libica. I porti petroliferi in questione sono
quelli di Hariga e Zweytina, mentre quelli di Sidra e Ras Lanouf potrebbero riaprire
nelle prossime settimane. Alla base dello sblocco delle controverse trattative ci sarebbe un accordo negoziato in 6 punti firmato il 7 aprile ad Ajdabiya, nell'est della
Libia, tra i rappresentanti delle istituzioni libiche (Parlamento, governo e procura) e
lo stesso Jadran, che grazie alle sue guardie private riesce a controllare le intere
attività petrolifere della Cirenaica. L’intesa prevede al primo punto la formazione da
parte del Ministero della Giustizia di una commissione d'inchiesta di sei esperti atta a
far luce «sui furti e sugli abusi di petrolio da parte di alcuni funzionari governativi
prima dell'inizio della protesta del 2011» e proseguiti fino ad oggi. Il secondo punto
riguarda l'emissione da parte del governo di un decreto per il ripristino della sede
delle guardie dei terminal – quelle di Jadran – nella regione centrale della Libia. Il
terzo prevede il pagamento degli stipendi arretrati delle guardie poste a difesa dei
porti. Il quarto punto interessa la riapertura dei terminal di Zweytina e Hariga, siti
nei quali le guardie dei terminal dovranno impedire un nuovo blocco delle operazioni
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da parte di infiltrati e malviventi. Il quinto punto annuncia la riconsegna dei porti di
«Sidra e Ras Lanouf e di qualsiasi altro terminal petrolifero o giacimento alle autorità
libiche entro un periodo che va da due a quattro settimane». L’ultimo punto, infine,
prevede l'avvio di una mediazione presso la procura di Tripoli per revocare i mandati
di cattura e le indagini a carico dei leader separatisti e contro coloro che hanno provocato la chiusura dei porti petroliferi, tra cui anche tre ribelli cirenaici a bordo della
Morning Glory. Proprio il caso della nave cisterna nordcoreana e lo stallo nella produzione petrolifera che ha messo in ginocchio l'economia nazionale – con perdite per
oltre 10 miliardi di euro per un rentier state come la Libia che nei nel periodo prerivoluzionario produceva 1,6 milioni di barili giornalieri contro gli attuali 250.000 –
hanno contribuito ad aggravare l’instabilità politica provocando una crisi di governo,
rientrata dopo le dimissioni di Alì Zeidan – rifugiatosi in Germania per scampare agli
arresti – e la formazione di un esecutivo ad interim.
MALI, 7 APRILE ↴
Il governo del Mali ha rassegnato le proprie dimissioni
ed un nuovo Primo Ministro prenderà, a breve, il potere. Sabato 5 aprile, Il Premier in carica, Oumar Tatam
Ly, ha presentato al Presidente Ibrahim Boubacar
Keita, che le ha accettate, le dimissioni del suo governo, senza fornire ulteriori motivazioni. Il Presidente
ha poi incaricato Moussa Mara, suo principale avversario alle elezioni presidenziali dello scorso agosto, di formare un nuovo Esecutivo. Keita, conosciuto da tutti attraverso le sue iniziali IBK, si
trova quindi a dover affrontare un nuovo ostacolo lungo la tortuosa strada della ricostruzione e riunificazione del Paese, nonostante il rimpasto di governo venga considerato un normale avvicendamento politico. Il Mali sta affrontando un difficile periodo
storico da quando nel gennaio 2012 ha dovuto fronteggiare una ribellione tuareg che,
unitasi in seguito alle milizie islamiste operanti nel nord del Paese, ha minato seriamente l’unità nazionale. La situazione di crisi generale ha costretto la Francia ad
inviare proprie truppe in territorio maliano, per riportare la pace e scacciare dal Paese
i gruppi ribelli legati ad al-Qaeda che si erano impossessati dell’Azawad. Nonostante
l’offensiva francese si sia risolta favorevolmente in poco tempo, alcuni gruppi jihadisti
operano ancora nel nord, dove spesso le truppe francesi scoprono nutriti depositi di
munizioni. Il successore di Oumar Tatam Ly, Moussa Mara, ha affermato che i suoi
primi provvedimenti saranno volti a rafforzare la governance e i servizi pubblici e a
migliorare le relazioni tra cittadini e Stato.
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STATI UNITI, 3-7 APRILE ↴
Il Segretario di Stato americano, John Kerry, si è recato
in visita in Algeria lo scorso 3 aprile per discutere con
il governo algerino più questioni: dalla sicurezza –
come i problemi del Sahel – alla cooperazione economico-commerciale e politica. Il portavoce del Ministero
degli Esteri algerino, Sherif Abdelaziz Benali, ha dichiarato che «non esiste ragione per limitare le relazioni
bilaterali tra Algeri e Washington ai soli problemi di sicurezza», riconoscendo che «gli
Stati Uniti svolgono un ruolo fondamentale per la risoluzione» delle questioni regionali
e sono interessati «agli investimenti nel settore degli idrocarburi». Kerry ha dunque
discusso degli approvvigionamenti energetici che l’Algeria fornisce all’Europa, soprattutto alla luce della crisi ucraina, e ha affermato che «gli Stati Uniti contano di fornire
maggiore sostegno all'Algeria nella lotta contro il terrorismo». Pochi giorni dopo, il
Segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, ha effettuato un viaggio in Asia, recandosi a Tokyo e a Pechino. Nella prima tappa, Hagel ha rassicurato il Premier Shinzo
Abe che «non c'è alcun segnale di indebolimento dell'impegno completo e assoluto
degli Stati Uniti per la sicurezza del Giappone», promettendo che entro tre anni gli
USA dispiegheranno due nuove cacciatorpediniere lanciamissili per difendere Tokyo
dai lanci balistici della Corea del Nord. Hagel ha rassicurato Abe anche sul fatto che
la Crimea non costituirà un precedente per la gestione della questione delle Senkaku.
Giunto in Cina, Hagel ha incontrato il Ministro della Difesa, Chang Wanquan, che ha
chiarito che Pechino ha «una sovranità indiscutibile» sulle isole Diaoyu (le Senkaku):
«non ci sarà alcun compromesso» con Tokyo, minacciando che «le forze militari cinesi
possono raggrupparsi non appena chiamate, combattere qualsiasi battaglia e vincere». Hagel ha quindi esortato alla prudenza, affermando che nel Mar della Cina
orientale Pechino sta agendo «senza collaborazione, senza consultazioni». Washington, ha avvertito il Capo del Pentagono, ha dei trattati di difesa con il Giappone che
intende rispettare.
TURCHIA, 30 MARZO – 11 APRILE ↴
Le elezioni locali dello scorso 30 marzo hanno decretato una sostanziale vittoria per
il partito AKP del Premier Recep Tayyp Erdoğan ai danni del Partito Repubblicano CHP
di Kemal Kılıçdaroğlu, raccogliendo su base nazionale il 44,19% dei consensi e mantenendo le municipalità di Ankara e Istanbul (CONFRONTA MAPPA). Se questo risultato
sembra momentaneamente placare i dissidi interni al partito di governo, ciò non è
tuttavia servito né a stemperare il clima di tensioni che aveva accompagnato la vigilia
del voto né, soprattutto, a metter fine al braccio di ferro tra potere esecutivo e potere
giudiziario. Se per un verso, infatti, proprio il leader di CHP lo scorso 8 aprile è stato
aggredito in Parlamento da un uomo presumibilmente appartenente ad AKP, il 9 aprile
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il Tribunale di Ankara ha imposto all'Autorità governativa per le Telecomunicazioni TIB
la riapertura del canale YouTube, il cui blocco durava da 2 settimane. Una decisione
che fa seguito a quella di alcuni giorni prima della Corte Costituzionale, che aveva
ordinato lo sblocco di Twitter. La stessa Corte ha giudicato peraltro incostituzionale
una parte della riforma del sistema giudiziario che era stata varata dall'Esecutivo
nello scorso mese di dicembre, e approvata a febbraio, che avrebbe permesso a quest'ultimo un maggior controllo dello stato delle istituzioni giuridiche. L'organismo ha
giudicato in particolare contrarie alla Costituzione le norme che conferivano al Ministro della Giustizia poteri di nomina dei membri dell'Hsyk (il CSM turco) e dei magistrati, nonché la possibilità di intervenire nelle procedure disciplinari.
FONTE: HÜRRIYET DAILY NEWS/DATI: CIHAN NEWS AGENCY
UNGHERIA, 6 APRILE ↴
Con il 44,54% dei voti, il Magyar Polgári Szövetség (FIDESZ) del Premier Viktor Orbàn si è confermato il primo partito all'interno dell’Országház (il Parlamento ungherese) – conquistando 133 dei 199 seggi a disposizione – anche se in deciso calo
rispetto alle elezioni del 2010 quando ottenne il 52,73%. Battuto il Magyar Szocialista
Párt (MSZP) di Attila Mesterhàzy, passato tuttavia dal 19,3% delle scorse consultazioni al 26% (in generale alla colazione di centro-sinistra “Unity” vanno 38 seggi).
Parte del consenso perso da FIDESZ è stato inoltre riversato sul partito nazionalista
radicale Magyarországért Mozgalom (Jobbik) di Gábor Vona, che conferma e migliora
il proprio trend, passando dal 16,67% del 2010, quando si presentò per la prima volta
da solo dopo la breve esperienza con l'altro partito di destra MIEP, al 20,54% e ottenendo così 23 seggi. Si fermano poco al di sopra della soglia di sbarramento del 5%
i green-liberal Lehet Más a Politika (LMP) di András Schiffer (CONFRONTA GRAFICO).
Nonostante la stagione di proteste antigovernative tra il 2012 e il 2013, e nonostante
le critiche (e le procedure di infrazione) mosse anche a livello europeo per le modifiche costituzionali relative principalmente al potere giudiziario e alla libertà di espressione, Orbàn continuerà a governare per altri 4 anni forte anche di un andamento
positivo dell'economia, peraltro senza ricorrere, come sembrava ormai certo, all'in-
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tervento del Fondo Monetario Internazionale. La prossima sfida è prevista in occasione delle elezioni europee del 25 maggio, dove Jobbik punterà a sorpassare i 4
seggi a Bruxelles di MSZP.
VENEZUELA, 10 APRILE ↴
Non si scorge la fine nei disordini in Venezuela ad oltre due mesi dall’inizio del scontri tra il regime chavista e le variegate opposizioni nazionali, che hanno
provocato 39 morti e centinaia di feriti. Se da un lato
il Presidente Nicolás Maduro denuncia «il fascismo, il
terrorismo […] e le ingerenze statunitensi e colombiane che minacciano la stabilità
del Paese», dall’altro il successore di Hugo Chávez prova ad instaurare prove informali
di dialogo con l’opposizione antichavista, mediate dall’Unión de Naciones Suramericanas (UNASUR) e da Aldo Giordano, Nunzio apostolico della Santa Sede. Infatti, lo
scorso 10 aprile si è tenuto il primo incontro a Caracas, in diretta televisiva dal palazzo presidenziale di Miraflores, tra il governo venezuelano e i rappresentanti della
Mesa de Unidàd Democratica (MUD). Come ha ricordato il vice Presidente venezuelano Jorge Arreaza, «l’UNASUR sorveglierà il corretto svolgimento del processo con i
Ministri degli Esteri di Brasile, Colombia ed Ecuador, ed il Nunzio Apostolico rappresentante del Vaticano». Sebbene la strada sia ancora in salita, il religioso italiano
Aldo Giordano, leggendo un messaggio di Monsignor Pietro Parolin – ex Nunzio a
Caracas e ora Segretario di Stato –, ha precisato che «il processo di pace è una grave
responsabilità davanti a tutto il popolo del Venezuela, un’occasione preziosa da non
perdere». Governo e opposizione hanno espresso grande apprezzamento per le parole e il ruolo della Santa Sede ma hanno anche spiegato che è necessaria una strategia politica comune per uscire dalla crisi. In particolare il rappresentante del MUD,
Ramón Guillermo Aveledo, ha individuato nei temi dei «prigionieri politici, degli studenti e delle loro mobilitazioni pacifiche e degli attacchi ai diritti civili e sociali dei
venezuelani», i punti cardine entro cui dipanare e sviluppare il dialogo nazionale.
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ALTRE DAL MONDO
ARGENTINA, 10 APRILE ↴
Buenos Aires e le principali città del Paese sono state percorse da uno sciopero generale, proclamato da tre delle cinque sigle sindacali, contro la politica economica del
governo di Cristina Fernández de Kirchner: si tratta della più importante mobilitazione
dall‘inizio del mandato della Presidenta nel 2007.
CANADA, 9 APRILE ↴
Si sono svolte in Québec le elezioni per la nomina dei 125 membri dell’Assemblée
Nationale, le quali hanno visto l’affermazione, per la prima volta dal 1976, del Parti
Libéral du Québec, guidato da Philippe Couillard, a cui sono andati 70 seggi. Netta
sconfitta dei separatisti del Premier uscente Pauline Marois, la quale si è anche dimessa da leader del Parti Québécois che ha conseguito soltanto 30 scranni.
EGITTO, 5 APRILE ↴
Le avance nei confronti di una ragazza hanno scatenato violenze e disordini ad Assuan, capoluogo della provincia omonima dell'Alto Egitto, sfociati poi in veri e propri
scontri inter-tribali costati la vita a 23 persone – tra cui una bambina e diverse donne
sgozzate – e che hanno provocato una cinquantina di feriti. Protagonisti delle violenze
sono stati i clan locali Bani Hilal, egiziani di origine araba, e i Dabudiya, nubiani di
stirpe africana.
FINLANDIA, 7 APRILE ↴
Il Primo Ministro Jyrki Katainen ha annunciato da giugno le proprie dimissioni dalla
guida del governo nazionale per concentrarsi ad una candidatura come possibile
Commissario europeo al posto dell’uscente e suo connazionale Olli Rehn, Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari. Secondo i quotidiani nazionali i più
probabili successori alla carica di Katainen sono il Ministro dell’Economia Jan Vapaavuori, il collega agli Affari Europei Alexander Stubb o il Ministro degli Affari Comunali Hanna Virkkunen.
FRANCIA, 2 APRILE ↴
Il secondo turno delle municipali francesi si conferma una disfatta per i socialisti del
Presidente François Hollande. Nonostante la vittoria a Parigi, dove la socialista Anne
Hidalgo diventa la prima donna alla guida della capitale battendo la sfidante dell'UMP,
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Natalie Kosciusko-Morizet, i conservatori di Jean-Francois Copé vincono in gran parte
dei ballottaggi. L’insuccesso socialista ha costretto il Presidente ad un rimpasto di
governo con Manuel Valls, uscente dal Dicastero degli Interni, come nuovo Primo
Ministro. Confermati Laurent Fabius, Jean-Yves Le Drian e Christiane Taubira agli
Esteri, Difesa e Giustizia, mentre le principali novità sono Segolene Royal all’Ambiente
e lo smembramento del precedente Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato
da Bernard Cazeneuve, sciolto in Economia e Finanze e retti rispettivamente da Arnaud Montebourg e Michel Sapin.
GIAPPONE-AUSTRALIA, 7 APRILE ↴
Dopo trattative durate sette anni, il Premier australiano Tony Abbott e il suo omologo
giapponese Shinzo Abe hanno firmato a Tokyo un importante accordo di libero scambio del valore di decine di miliardi di dollari per i prossimi 20 anni. L'accordo di libero
scambio riguarda latticini, carne di manzo, vino e un'ampia gamma di servizi, rendendo più economici per i consumatori australiani prodotti nipponici come automobili,
fotocamere o televisori.
INDIA, 7 APRILE ↴
Dureranno 72 giorni le elezioni parlamentari in India per il rinnovo della camera bassa
del Parlamento (Lokh Saba), che si concluderanno il prossimo 12 maggio. La fine del
conteggio dei voti è prevista per il 16 maggio. Favorito il candidato del Bharatiya
Janata Party (BJP) e Governatore in carica del Gujarat, Norendra Modi. In netto calo
le quotazioni del Partito del Congresso di Rahul Gandhi.
PAKISTAN, 9 APRILE ↴
È di 23 morti e 50 feriti il bilancio dell’attentato in un mercato a Rawalpindi, città a
pochi chilometri dalla capitale Islamabad e quartier generale delle forze di sicurezza
pachistane. Secondo le autorità, la responsabilità dell’attentato sarebbe da attribuirsi
ad un gruppo indipendentista del Beluchistan.
SLOVACCHIA, 30 MARZO ↴
L'imprenditore Andrej Kiska è il nuovo Presidente della Slovacchia, ottenendo il
59,4% dei consensi e battendo al ballottaggio il Primo Ministro socialdemocratico Robert Fico, attestatosi al 40,6%. Kiska prenderà dunque il posto dell'uscente Ivan Gasparovic, l'unico Capo di Stato eletto per due mandati consecutivi dall'indipendenza
del 1993.
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SPECIALE AFGHANTISTAN
LA PERFECT STORM, IL 2014 DELL’AFGHANISTAN
DAVIDE BORSANI ↴
Il 2014 è l’anno della ‘tempesta perfetta’ per Kabul. Due sono gli eventi nei prossimi
otto mesi che determineranno il futuro dell’Afghanistan. Il primo è l’imminente elezione presidenziale, che proclamerà un nuovo Capo di Stato a distanza di oltre un
decennio dalla nomina ad opera della comunità internazionale di Hamid Karzai, un
incarico confermatogli (non in modo del tutto trasparente) dagli afghani nel 2004 e
nel 2009. Il secondo è la conclusione della missione internazionale di peace enforcement denominata International Security Assistance Force (ISAF), che dal 2002 ha
provato a garantire, pur con innumerevoli difficoltà, la stabilità di un territorio dilaniato da decenni di conflitti, non da ultimo la guerra civile degli anni Novanta. L’era
di Karzai è ufficialmente terminata. Dopo aver guidato il Paese per due mandati, la
Costituzione (…) SEGUE >>>
AFGHANISTAN TRA ELEZIONI E RITIRO ISAF: INTERVISTA A STEFANO RUZZA
DENISE SERANGELO ↴
Si sono chiuse da poche ore i seggi in Afghanistan, per quelle che sono state le prime
elezioni presidenziali dopo il decennio di Hamid Karzai. Tra accuse di brogli e attacchi
talebani, circa 7 milioni su 12 aventi diritto si sono recati alle urne. Non è solo un
voto, ma il volto di un Paese che ambisce al cambiamento e che spera di guardare al
futuro in modo diverso e più consapevole. Il 2014 è un anno decisivo non solo per
Kabul, ma anche per il contingente di forze internazionali che da un decennio è stabile
nel Paese per permettere al Governo di rinsaldare il rapporto autorità centrale-popolazione e mantenere al contempo una cornice di sicurezza in cui operano le stesse
autorità centrali e le organizzazioni internazionali. Circa il futuro del Paese e dell’International Security Assistance Force (ISAF), ne abbiamo discusso con il Professor
Stefano Ruzza, docente di “Conflitto, sicurezza e state-building” presso l’Università
degli Studi di Torino, nonchè Head of Research di T.wai – Torino World Affairs Institute (…) SEGUE >>>
AN EYE ON AFGHANISTAN – VISUALIZZA L’INFOGRAFICA
A CURA DI ANDREA MACARIO
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ANALISI E COMMENTI
LA CONTROVERSA QUESTIONE DEGLI EPA: L’EUROPA TORNA IN AFRICA
GIUSEPPE CONSIGLIO ↴
Che l’Africa rivestisse un’importanza strategica fondamentale per l’Unione Europea
non è certo una novità. Sebbene nel Continente si registri una presenza rilevante
degli Stati Uniti ed una penetrazione sempre più marcata da parte di Cina, nonché di
Russia, Kuwait, Brasile, India, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita
(anche se in maniera assai più contenuta), sono ancora i Paesi europei a giocare un
ruolo cruciale, tanto come “battitori liberi” quanto come membri dell’UE. La cooperazione in ambito economico tra Africa ed Europa, declinata in modo molto differente
nel corso dei decenni, ha prodotto una serie di strumenti – legali e commerciali – con
i quali l’Unione Europea ha esteso la propria influenza sul Continente rafforzando
delle posizioni già consolidate e tentando di recuperare quelle perdute a favore dei
suoi competitors globali (…) SEGUE >>>
LA CONNECTION SINO-RUSSA ALLA PROVA DELLA CRISI UCRAINA
ANDREA FERRANTE ↴
In attesa di capire se l’esito del referendum imposto dalla Duma nella regione di
Crimea abbia davvero messo la parola fine alla contesa in Ucraina, appare già chiaro
quali sottili e fondamentali implicazioni comporti un’efficace gestione del caos politico
ucraino sulla dinamiche della “partnership strategica” sorta tra Mosca e Pechino all’indomani della più grande tragedia del ventesimo Secolo (Putin, sulla disgregazione
dell’Unione Sovietica). In attesa di capire se l’esito del referendum imposto
dalla Duma nella regione di Crimea abbia davvero messo la parola fine alla contesa
in Ucraina, appare già chiaro quali sottili e fondamentali implicazioni comporti un’efficace gestione del caos politico ucraino sulla dinamiche della “partnership strategica”
sorta tra Mosca e Pechino all’indomani della più grande tragedia del ventesimo Secolo (Putin, sulla disgregazione dell’Unione Sovietica) (…) SEGUE >>>
IL BRACCIO DI FERRO TRA AUSTRALIA E INDONESIA SULL’IMMIGRAZIONE
VINCENZA LOFINO ↴
Si fanno sempre più aspre le relazioni diplomatiche tra Australia e Indonesia in merito
alla questione dell’immigrazione clandestina a seguito di alcuni incidenti sul finire
dello scorso anno. Si tratta di un tema molto sensibile e non solo dal punto di vista
umanitario: tragedie di migranti provenienti dalla vicina Indonesia, si ripetono al
largo delle coste australiane e ricordano i recenti scenari che hanno coinvolto i migranti africani diretti a Lampedusa in cerca di fortuna in Italia e in Europa. Sull’annoso
problema non si giocano solo le sorti degli immigrati ma anche i destini delle relazioni
e degli interessi comuni di Canberra e Jakarta. Non è la prima volta che tra Indonesia
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e Australia si verificano screzi sul tema dell’immigrazione A scatenare l’ultimo scontro
tra i due Paesi è stato il salvataggio di un’imbarcazione carica di 60 rifugiati in prossimità della costa meridionale di Java (…) SEGUE >>>
GUERRA IN SIRIA: LE ARMI IN CAMPO
DAMIANO BECHERUCCI ↴
Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA
Mentre l’attenzione dei media internazionali è concentrata sui fatti di Crimea, in Siria
continua ad imperversare la guerra civile. Anche la seconda sessione di negoziati di
Ginevra II, conclusasi il 16 febbraio scorso, si è dimostrata un sostanziale fallimento
e il mediatore ONU Lakhdar Brahimi ha giudicato una ripresa dei negoziati come
un’eventualità fuori discussione al momento. L’ultima iniziativa internazionale registrata è stata, invece, l’approvazione, il 22 febbraio, della Risoluzione 2139 del Consiglio di Sicurezza ONU, che ha visto per la prima volta Russia e Cina non opporsi con
il veto ad una decisione vincolate contro il regime siriano. La Risoluzione, però, nonostante minacciasse entro 30 giorni “ulteriori azioni” in caso della violazione delle
sue richieste (si chiede la fine degli attacchi verso i civili e il permesso di accesso
degli aiuti umanitari), è solo una risposta annacquata alle violazioni dei diritti umani
e alle violenze che la popolazione siriana sta vivendo da ormai 3 anni (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net
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