Il lavoro nero in Calabria

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Il lavoro nero in Calabria
Osservatorio sul Mezzogiorno
Anno I n. 2
IL LAVORO NERO IN CALABRIA:
Prospettive per l’emersione dopo i fatti di Rosarno
di Maria Clara Donato
SOMMARIO: 1. Caratteri generali del lavoro
sommerso. 2. Il sommerso in Calabria: dati
statistici. 3. Rosarno: un paese sommerso. 4. I
provvedimenti del Governo. 5. Conclusioni.
1. Caratteri
sommerso
generali
del
lavoro
La rivolta degli immigrati di Rosarno,
del 7 gennaio scorso, ha drammaticamente
riproposto l’annoso problema del lavoro
sommerso nella Piana di Gioia Tauro.
Il legislatore è intervenuto più volte in
questa materia, dapprima con la L. 23 aprile
2002, n. 73 e, successivamente, con la L. 4
agosto 2006, n. 248.
L’art. 36 bis comma 1, di quest’ultima
reca: “Misure urgenti per il contrasto del
lavoro nero e per la promozione della
sicurezza nei luoghi di lavoro” e fornisce
una definizione giuridica del lavoro nero,
qualificandolo come « ... l’impiego di
personale non risultante dalle scritture o da
altra documentazione obbligatoria».
Si può ritenere che rientrano nel lavoro
sommerso tutte quelle attività sconosciute
alla
pubblica
amministrazione
che,
sfuggendo alle statistiche ufficiali, rendono
impossibile la valutazione del reale
andamento dell’economia, la determinazione
del reddito nazionale, del PIL e del tasso di
disoccupazione.
I lavoratori a nero non sono registrati
presso i centri per l’impiego e presso gli
Istituti previdenziali come Inps o Inail e, di
conseguenza, eseguono le loro prestazioni
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senza alcuna copertura previdenziale e
contributiva.
Il lavoro nero, di fatto, attua la
concorrenza sleale nei confronti delle
imprese regolari, annientando così qualsiasi
possibilità di sviluppo economico e
minacciando gravemente il libero mercato.
Il
sommerso
favorisce,
inoltre,
l’evasione fiscale, contribuendo così alla
diminuzione e alla perdita di qualità dei
servizi statali.
Individuare le cause del sommerso non è
semplice poiché ciò che non si vede è anche
difficile da capire ma i mutamenti socioeconomici
che
l’ordinamento
sta
attraversando di sicuro non vanno
sottovalutati. Ci si riferisce innanzitutto alla
flessibilità del mercato del lavoro, iniziata
con la legge Biagi e sempre più conosciuta
come deregulation, che ha introdotto nuovi
tipi contrattuali, abbassando il costo del
lavoro.
Ispirata alle linee guida fornite all’Italia
dalla Commissione Europea, questa legge ha
apportato cambiamenti sui singoli rapporti di
lavoro e sull’intero mercato del lavoro, con
l’obiettivo di aumentare la produttività e far
crescere l’occupazione.
Inoltre non si può negare che l’evento
epocale delle migrazioni contemporanee è
ormai una realtà con la quale bisogna
confrontarsi nella consapevolezza che non si
può più tornare indietro: pensare di arrestare
i flussi migratori significherebbe infatti
peggiorare la già grave crisi economica che
stiamo vivendo. Gli immigrati, infatti, sono
spesso disponibili ad accettare tutti i lavori
offerti sul mercato e ciò contribuisce a
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migliorare la produttività e competitività
dell’economia.
I cambiamenti dell’economia formale,
dunque, influenzano anche quella irregolare,
considerando che quasi mai il sommerso
opera in parallelo con l’economia regolare
ma interagisce con essa, ad esempio, per
assicurarsi le materie prime e poi per
rivendere sul mercato i prodotti finiti.
2. Il sommerso in Calabria: dati
statistici
Trattandosi di un fenomeno articolato e
invisibile, ottenere una stima precisa
dell’economia sommersa è alquanto
difficile, tuttavia secondo i dati del
Ministero del Lavoro, elaborati dalla UIL,
nel 2009 la Calabria ha detenuto il triste
primato del lavoro nero, con un tasso di
irregolarità del 24% e un fatturato sommerso
di 5,5 miliardi di euro. In particolare
spiccano i dati relativi a Vibo Valentia, dove
il 25,8% dei lavoratori opera nel sommerso e
di Reggio Calabria dove il tasso di
irregolarità si assesta al 24,7%, con un
fatturato di 1,6 miliardi di euro.
Del resto non va molto meglio nelle altre
regioni del Mezzogiorno dove sempre dal
rapporto della UIL risulta che nel 2009 in
Sicilia i lavoratori irregolari ammontavano
al 22,7%, in Campania al 21,9%, in Puglia
al 20,7%, in Basilicata al 20,2% con
un’economia sommersa rispettivamente di
14,1 miliardi di euro, 12,4 miliardi di euro,
10,5 miliardi di euro e 1,5 miliardi di euro.
Quello del lavoro nero, inoltre, non è un
fenomeno solo meridionale: nel Nord Italia
si rileva che 13 lavoratori su 100 sono
irregolari: ad esempio, in Trentino il tasso di
lavoro sommerso si attesta sul 15,6%. Nel
Centro Italia 15 lavoratori su 100 sono
irregolari: in Toscana e Lazio si registra un
tasso di irregolarità che ammonta al 14,7%.
Il settore in cui è più frequente il ricorso
al lavoro nero è sicuramente quello agricolo.
L’ISTAT ha infatti affermato che nel 2007 il
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lavoro agricolo irregolare ammontava al
24,2% su scala nazionale, con percentuali
del 22,9% e 23,4% rispettivamente nel Nord
Est e nel Nord Ovest del Paese.
Nello stesso anno il tasso di irregolarità
era del 23,1% nel Centro e del 25,3% nel
Sud.
Su base regionale, sempre nel 2007 la
Calabria era già al primo posto con il suo
27,3%. Da questi dati si evince che il lavoro
sommerso prima di essere uno dei tanti mali
della Regione Calabria è anche un problema
tutto italiano che costituisce il volto cupo
del capitalismo, quello che forse nessuno
vuole guardare.
Nel corso degli anni la presenza di
lavoratori extracomunitari nelle campagne
italiane è aumentata sensibilmente. Secondo
i dati forniti dall’INEA (Istituto Nazionale di
Agraria) nel ventennio 1989/2007 si è
passati dai 23.000 lavoratori immigrati del
1989 a circa 172.000 del 2007 su scala
nazionale. Allo stato attuale i migranti
rappresentano una risorsa importante
soprattutto perché spesso svolgono le attività
agricole stagionali.
3. Rosarno, un paese sommerso
Da alcuni anni Rosarno e gli altri paesi
della Piana di Gioia Tauro sono meta di
migliaia di immigrati in parte regolari, in
parte
clandestini,
provenienti
prevalentemente dall’Africa e dall’Est
europeo.
Si tratta di braccianti stagionali che
giungono da queste parti tra novembre ed
aprile per raccogliere agrumi e olive, fragole
nelle serre di Lamezia o cipolle a Tropea.
Per questi uomini il lavoro nei campi
rappresenta l’unica fonte di sostentamento,
così spesso essi finiscono in balìa di caporali
arroganti e senza scrupoli che li sfruttano,
costringendoli a lavorare al limite delle loro
forze, senza rispettare orari di lavoro, norme
sulla sicurezza e minimi salariali. Vivono in
condizioni a dir poco disdicevoli, dimorando
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in edifici abbandonati e fatiscenti, senza luce
né acqua corrente e in condizioni igienico –
sanitarie precarie, come l’ex cartiera
Rognetta, l’ex Opera Sila lungo la S.S. 18 e
il casolare abbandonato sulla collina di
Rizziconi.
Molto spesso questi migranti sono anche
clandestini ricattati dai loro datori di lavoro,
a volte delinquenti locali, che minacciano di
denunciarli alle autorità. Per questo sono
costretti a sopportare quotidianamente
soprusi, violenze e insulti.
È proprio nell’immigrazione clandestina
che prolifera il germe del lavoro nero ed è in
questo contesto che è maturata la violenta
reazione degli extracomunitari di Rosarno.
In seguito al ferimento di un gruppo di
immigrati ad opera di ignoti, circa 1.500
lavoratori africani, ormai esasperati, hanno
messo a ferro e fuoco la città, scatenando
una guerriglia urbana con la popolazione che
ha causato danni e altri feriti. Forse si è
trattato di una tragedia annunciata, poiché lo
stato di precarietà e degrado degli africani,
lavoratori a nero di Rosarno, era noto a molti
da tempo. Forse quella drammatica mattina
di gennaio è stata l’unica occasione in cui
essi hanno potuto far sentire la loro voce
perché il clandestino sta nel buio e non ha
voce. La sua condizione è quella dell’uomo
nero che dimora nel mondo delle ombre
perché egli non esiste come persona, quindi
non è soggetto di diritto. Spesso è proletario
che lavora ma non ha diritto di parola e
senza la parola è un servo. Il servo ha solo le
sue braccia che lavorano come pale
meccaniche e le sue mani che non possono
parlare ma si muovono alla ricerca
dell’identità umana perduta.
È probabile che dietro lo sfruttamento di
questi extracomunitari ci sia la mano della
criminalità organizzata. È innegabile, infatti,
che i problemi dell’immigrazione e dello
sfruttamento del lavoro nero in Calabria
siano connessi all’oppressione mafiosa.
Cittadina di circa 16.000 abitanti,
Rosarno è situata su una collina proprio al
centro della Piana di Gioia Tauro,
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dominando un paesaggio lussureggiante,
ricco di agrumeti e di oliveti.
Per i contadini della piana di Sibari e gli
imprenditori napoletani una volta Rosarno
era l’Americanicchia poiché essi venivano a
lavorare qui e investivano in questi luoghi.
Poi arrivò la ‘ndrangheta che si prese
tutto, comprando le terre e assicurandosi il
controllo del mercato delle arance.
Dicono che oggi il passatempo preferito
dai ragazzi rosarnesi sia la caccia al nero,
essendo l’intolleranza e il fanatismo l’unico
modo per affermare la propria virilità e per
sentirsi uomini d’onore.
Ma i bad guys di Rosarno sono i figli di
quella Calabria degradata e violenta che
soffre l’assenza del governo centrale e di
quelli locali, che si nutre di mafiosità e
ignoranza, perché non ha altra alternativa.
Eppure proprio a Rosarno, in passato, c’è
stato qualcuno che credeva che un’altra
realtà fosse possibile, che si potesse stare
accanto ai lavoratori e sostenerli, che fosse
concesso sognare un futuro di socialismo: si
chiamava Giuseppe Valarioti, un giovane
intellettuale che qui ha fondato la Casa del
Popolo. Nel 1980 Valarioti è stato
assassinato dalla ‘ndrangheta, sacrificando
così la sua vita in nome dell’uguaglianza
sociale e della solidarietà popolare.
4. I provvedimenti del Governo
Il caso di Rosarno ha sollecitato
interventi urgenti in materia da parte del
Governo. Il 28 gennaio 2010, infatti, il
Consiglio dei Ministri si è riunito a Reggio
Calabria ed ha ufficialmente avviato il Piano
straordinario di vigilanza sul lavoro
sommerso in agricoltura ed edilizia nel
mezzogiorno.
Oltre che in Calabria, questo progetto è
destinato ad operare anche in Puglia,
Campania e Sicilia. Esso prevede il
potenziamento delle attività di controllo su
circa 20.000 aziende, 10.000 agricole e
10.000 edili.
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Le azioni di vigilanza saranno effettuate
da 550 soggetti, scelti tra gli ispettori del
Lavoro, dell’Inps, dell’Inail e dei militari
dipendenti dal Nucleo dei Carabinieri per la
Tutela del Lavoro.
Una maggiore vigilanza sulle imprese
può funzionare da deterrente nei confronti
dei datori di lavoro, costituendo così un
valido strumento nella lotta al sommerso.
L’importante è che le ispezioni siano
dirette nei confronti delle aziende che
effettivamente sfruttano il lavoro nero o che
comunque sono a maggior rischio di
illegalità.
Il Ministro Sacconi, inoltre, ha ribadito
l’utilità dello strumento dei “voucher” nella
lotta al lavoro nero: si tratta dei buoni lavoro
introdotti dalla legge Biagi per le prestazioni
occasionali di tipo accessorio.
Questi nuovi tipi contrattuali sono stati
applicati alle attività agricole stagionali e tra
i soggetti destinatari figurano anche i
lavoratori extracomunitari, regolarmente
soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi
alla perdita del lavoro.
I voucher sono emessi dall’Inps, il
committente li acquista e li consegna al
lavoratore.
Alla fine della prestazione il buono sarà
consegnato all’ente concessionario che
provvederà all’erogazione del compenso.
Dal valore del singolo voucher saranno
poi detratte le somme da versare all’Inps e
all’Inail.
I buoni lavoro sono dunque convenienti
per il datore di lavoro perché gli consentono
di avvalersi di una prestazione lavorativa
regolare e legale, a fronte di una spesa
minima poiché un voucher non costa più di
10 euro.
D’altra parte convengono anche al
lavoratore che attraverso di essi percepisce
una retribuzione certa per il lavoro svolto,
godendo della copertura previdenziale
dell’Inps e assicurativa dell’Inail.
Pur costituendo una buona soluzione
contro il lavoro nero, i voucher da soli non
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sono sufficienti a risolvere il problema nella
sua interezza.
Essi possono favorire l’emersione dei
lavori occasionali di tipo accessorio, così
come ideati dalla legge Biagi, ma non va
dimenticato che il lavoro agricolo
subordinato non è solo occasionale e
stagionale, ma anche a tempo determinato e
indeterminato.
Per questo occorre studiare strumenti più
efficaci da affiancare ai buoni lavoro per
regolarizzare ogni tipo di attività agricola.
Va ricordato che nel nostro ordinamento
esiste una procedura di emersione, introdotta
dalla Finanziaria 2007, che il datore di
lavoro può attivare, previo accordo con i
sindacati, nei confronti dei lavoratori non
risultanti dalle scritture o da altra
documentazione obbligatoria.
Lo scorso 3 marzo 2010 il Senato della
Repubblica ha approvato il cosiddetto
“collegato lavoro” alla legge Finanziaria
2010, il cui art. 4 ha novellato la vigente
normativa in tema di sommerso1.
La disposizione stabilisce l’applicazione
di una sanzione compresa tra i 1.500 e i
12.000 euro per ogni lavoratore irregolare,
con una maggiorazione di 150 euro per
ciascuna giornata di lavoro effettivo in caso
di lavoro subordinato per il quale il datore di
lavoro abbia omesso la comunicazione
dell’instaurazione del rapporto di lavoro.
Peraltro, l’art. 36 bis, co. 7 della legge 4
agosto 2006, n. 248 aveva già previsto le
stesse sanzioni amministrative ma solo nel
caso di lavoratori non risultanti dalle
scritture o da altra documentazione
obbligatoria.
5. Conclusioni
Ricercare le cause dei drammatici fatti di
Rosarno nell’indole violenta dei clandestini
e nel razzismo dei calabresi è sicuramente
una spiegazione superficiale e semplicistica,
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L. 23 aprile 2002 n.73 e L. 4 agosto 2006, n. 248.
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del tutto inutile ai fini della reale
comprensione di questo evento.
Il vero problema da queste parti è la crisi
del settore agricolo: il prezzo degli agrumi è
diminuito progressivamente negli ultimi
anni, di conseguenza, gli imprenditori per
non sospendere la produzione abbassano i
costi della manodopera, motivo per il quale
il salario giornaliero del bracciante
stagionale non supera i 25 euro.
Le aziende agro-alimentari del posto
risentono della mancanza di politiche
agricole serie, capaci di valorizzare le
risorse locali e di puntare sulla qualità dei
prodotti, esaltandone la tipicità attraverso
investimenti pubblici mirati.
Solo così possono restare in corsa e
sopravvivere nell’era della globalizzazione e
della new economy.
È proprio dall’agricoltura che si deve
ripartire per rilanciare l’economia locale,
considerando che su questo settore si adagia
quasi tutto il sistema produttivo regionale.
Bisogna puntare sull’innovazione dei
processi produttivi e investire nel settore
agro-alimentare, nelle colture biologiche e
nelle dotazioni infrastrutturali, di cui la
regione è carente.
Si auspica che le recenti misure antisommerso del Governo possano operare
efficacemente, risolvendo almeno in parte la
difficile situazione della Piana di Gioia
Tauro.
In ogni caso per contrastare il sommerso,
le istituzioni statali non devono limitarsi ad
intervenire solo nei casi di emergenza ma
devono garantire una presenza costante sul
territorio, in modo che gli imprenditori non
si sentano soli.
Va rilevato anche che la realtà
frammentaria e disorganica delle aziende
irregolari non consente l’ingresso delle
organizzazioni sindacali: in questo modo si
ha un’ulteriore mancanza di tutele per i
lavoratori che spesso, soprattutto se
immigrati, non sono neanche a conoscenza
dell’esistenza dei sindacati.
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A ciò va ovviamente aggiunto che la
criminalità organizzata svolge un ruolo di
primo piano nello sfruttamento del lavoro
nero e, con ogni probabilità, anche nei
traffici dei permessi di soggiorno falsi,
alimentando così la clandestinità.
Non si può negare che l’impiego della
sanzione penale possa rivelarsi un valido
strumento di contrasto, considerando che
attraverso
l’impiego
di
manodopera
irregolare, il datore di lavoro pone in essere
delle condotte lesive di diritti fondamentali,
dunque penalmente rilevanti.
Tuttavia ciò che più conta, aldilà della
punizione dei personali responsabili, è
l’emersione che probabilmente può attuarsi
meglio attraverso l’applicazione della
sanzione amministrativa.
Lottare contro il lavoro nero significa
anche puntare sull’integrazione degli
extracomunitari, che prima di essere
lavoratori devono diventare cittadini.
Le leggi sull’immigrazione, più che
contenere il fenomeno dovrebbero invece
tendere verso l’integrazione e l’inserimento
regolare dei migranti nel mondo del lavoro.
I flussi migratori rappresentano un
prezioso capitale umano per migliorare la
produttività, anche quando i migranti
rivestono qualifiche di basso grado perché
ciò consente ai lavoratori più qualificati di
svolgere mansioni superiori.
Dal canto suo la gente di Calabria è nota
nel mondo per la sua accoglienza e ospitalità
nei confronti degli stranieri.
Ricostruire una pacifica convivenza e
combattere il lavoro sommerso sono
obiettivi possibili se le misure per
l’emersione si combinano efficacemente con
politiche di immigrazione più aperte, che
combattano la clandestinità e con
l’educazione alla legalità per le nuove
generazioni. Tutto questo deve avvenire al
cospetto di un potere centrale sempre attivo
e presente nella regione, affinchè questa
possa definitivamente uscire dallo stato di
isolamento che per troppi anni l’ha
caratterizzata.
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