una scommessa e uno stile di vita

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una scommessa e uno stile di vita
Casa del Giovane
Pavia
UNA SCOMMESSA
E UNO STILE DI VITA
Pensieri concreti di don Enzo Boschetti
sull’educare e sull’educatore
nell’esperienza della Casa del Giovane
Queste riflessioni riguardanti il piano educativo sono nate dall'esperienza della
nostra vita quotidiana vissuta, quindi presentano i limiti propri di tale esposizione.
Riflettono la realtà comunitaria in cui siamo chiamati a vivere e di
conseguenza non sono soggette a schemi precostituiti; sono nate di volta in volta
a seconda delle situazioni che si presentano e sono il frutto di un comune
impegno di condivisione e di molto amore con un gruppo di minori che in
comunità chiamiamo "giovanissimi". Risentono per tanto di una certa flessibilità e
sono soggette a cambiamenti proprio perché fanno parte di una dinamica
educativa. Naturalmente le idee di fondo in cui crediamo e sulle quali si fonda la
comunità, non saranno modificate.
Intendiamo precisare che il rapporto educativo non avviene a livello
professionale, ma come in una famiglia dove si condivide la vita, basandola sui
valori della gratuità completa, del servizio disinteressato. Questo perché, alla
base, esiste una scelta di vita, di fede che porta l'educatore a mettersi al servizio
degli altri per camminare e crescere insieme verso un'autentica promozione
umana e cristiana.
Queste riflessioni sull’educare sono per coloro che vogliono innamorarsi del
‘mestiere’ di educare, di amare ed essere amati e di vivere la vita di comunità
come scelta di condivisione in nome del vangelo e nella chiesa, per una società
più giusta e più fraterna. È l'alternativa per coloro che non si accontentano di
condannare le mille forme di potere e di violenza che incancreniscono la nostra
società e intossicano la vita di tanti giovani, ma con coraggio vogliono essere
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protagonisti di un mondo nuovo e di una diversa qualità della vita.
1. LE CARATTERISTICHE DELL'EDUCATORE
a. La maturità
1. La maturità a livello educativo si esprime in termini di autorevolezza.
Comporta una seria preparazione e competenza. È un ideale e una vita che
dona a livello di amore e di libertà ed è vivere per educare ed educare per
vivere.
2. È importante che il volontario-educatore abbia a fare un cammino insieme,
creando un rapporto fondato sull'amicizia, per trasmettere, comunicare,
coinvolgere il ragazzo a fare delle cose con interesse.
3. Può capitare che il ragazzo abbia a stimare cose e persone sbagliate, allora
occorre rettificare o modificare certe concezioni discutibili. L'educatore dovrà
impegnarsi con una presenza di sensibilizzazione, aiutando il giovane a
verificare certi aspetti comportamentali, e presentando con la sua vita un altro
modello valido. Questo è possibile se ha raggiunto una discreta maturità.
4. Per maturità intendiamo un giovane che è consapevole dei suoi limiti e che
tende sinceramente a creare un solido equilibrio interiore.
5. È colui che vive con passione e con coraggio il grande ideale educativo
evidenziando l'aspetto della corresponsabilità, e privilegiando i più deboli e i
più insicuri.
6. È un uomo che non si appartiene più al punto che vive la sua vita come una
scommessa con Cristo e con i poveri.
7. L'educatore deve costruire un rapporto con il giovane, fatto di dialogo e di
attento ascolto, evitando di cadere nelle schermaglie e nell'aridità della
polemica.
8. Nelle sue valutazioni sarà attento a non umiliare il ragazzo rendendolo
incapace di ripresa.
9. Ricorderà il problema della gratuità e della pazienza cominciando ad
interessarsi ai problemi di ogni giovane.
10. Il ragazzo deve vedere nell'educatore non soltanto il responsabile ma prima di
tutto l'amico e il compagno che sa interessarsi a tutti i momenti della sua vita
compresi i momenti di gioco.
11. Il ragazzo non è il ‘dipendente’ e tanto meno un esecutore passivo, ma un
protagonista, con il quale fare delle esperienze, facendogli scoprire le proprie
capacità.
12. Questo impegno è bene che sia puntualizzato nel piano educativo in comune
con gli educatori e i volontari in modo da favorire un intervento incisivo e
unitario.
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b. La formazione
13. L'educatore non è un ‘arrivato’, in possesso di verità e di metodi infallibili, ma
deve quotidianamente mettersi in discussione e rivedere il suo
comportamento, i suoi interventi, desiderando di progredire a livello di
coerenza e di competenza.
14. La formazione pedagogica e metodologica è indispensabile.
15. L'educatore frequentemente si confronterà con gli educatori che operano con
lui e con il responsabile primo.
16. Fa parte della sua preparazione la conoscenza dell'esperienza e delle mete
educative dei volontari ed educatori che lo hanno preceduto.
17. La preparazione e l'aggiornamento riguardano anche alcuni aspetti specifici e
settoriali nell'educazione perché nulla è secondario in questa fase di crescita.
18. Ci può essere l'educatore con particolare attitudine o carisma e colui che non
ha dei doni particolari e sia tentato di fare solo il proprio dovere, il che
sarebbe uno sbaglio. Nel momento delle difficoltà si sforzi di ascoltare e
studiare più degli altri, e la sua carica di generosità lo aiuterà a raggiungere
dei traguardi ottimi.
19. Saprà educare molto chi molto ama.
20. L'educatore deve avere raggiunto una eccellente maturità affettiva, e un serio
dominio di se stesso, senza indulgere in pericolose simpatie che mortificano
la trasparenza e la libertà del cuore.
21. L'educatore è colui che esige da se stesso tutto quanto è bene ed è vero
indipendentemente dal fatto di avere la qualifica di educatore e perché vuole
diventare sempre più umano e sempre più responsabile.
22. Un serio impegno educativo significa esigere il massimo dalle proprie
capacità, senza cedere al male dell'orgoglio e della presunzione, perché
questo inquinerebbe lo splendore del suo cuore compromettendo qualsiasi
rapporto. Per questo si ricorderà l'invito del Maestro: "Imparate da me che
sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29).
23. L'educatore deve appartenere all'ambiente e sentirsi protagonista delle
situazioni concrete che sono oggetto del suo intervento educativo, senza
lasciarsi coinvolgere emotivamente e indiscriminatamente, ed esprimere una
valutazione equilibrata e obbiettiva.
24. La superficialità e la leggerezza possono causare mali irreparabili.
25. In ogni tempo della storia della chiesa e fuori di essa, ci furono uomini grandi
con un particolare carisma educativo, come Don Bosco e Don Orione, che
con sapienza, sull'esempio del Maestro, hanno suscitato autentiche scuole di
progresso, di crescita e di virtù cristiane. È consigliabile che l'educatore abbia
a riferirsi a questi modelli validi, scoprendone le motivazioni e la saggezza.
Questi gli saranno di stimolo e di conforto, se calati con senso critico nelle
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proprie realtà giovanili.
26. Concretamente: come può un educatore formarsi alla fermezza e al rispetto,
al coraggio e alla pazienza, all'ottimismo e all'allegria? Dovrà privilegiare la
povertà dei mezzi, la vita spartana, il sacrificio, lo studio di questi
intramontabili profeti dei giovani, e vivendo il suo impegno come una
vocazione e un dono di Dio.
27. La sua personalità educativa si formerà soprattutto se accetterà di lottare
aspramente per superare le sue difficoltà con l'aiuto della grazia e della
preghiera.
28. L'educatore, per diventare forte, non deve cercare le cose facili ed uno stile
comodo, ma deve appassionarsi alla sua crescita e a quella dei ragazzi.
29. Si deve far credito ai mezzi più naturali e semplici, come il gioco, le feste, il
teatro, le escursioni.
30. Gli impegni caritativi e di solidarietà senza svalutare per questo certe tecniche
educative moderne, per esempio gli audiovisivi.
31. Settimanalmente si valuteranno i programmi utili da vedersi in rapporto ai
nostri criteri educativi cristiani con tempi ben precisi, per evitare anche il male
dei condizionamenti e dei videodipendenti.
32. Un grave pericolo da evitare è l’efficientismo perché porta a certe forme di
discriminazione e di emarginazione.
33. Questi mezzi educativi non devono mai mortificare la creatività, la naturalezza
del sacrificio e delle difficoltà, ma favorire la partecipazione e la socialità di
tutti.
Fermezza e comprensione
34. La preparazione dell'educatore esige la fermezza e questa è frutto di una
personalità matura, ricca d'interiorità e di coerenza. L'interiorità facilita la
scoperta del mondo interiore e il potenziale nascosto nel cuore del ragazzo.
35. La fortezza nasce dalla fedeltà che l'educatore vive facendo certe cose e
vivendo certi impegni con continuità nonostante le antipatie e le difficoltà.
36. Quando il Signore ci ha fatto capire che siamo sulla strada giusta, allora
dobbiamo perseguire quel giusto obiettivo con fermezza e umiltà, senza mai
deflettere, costi quel che costi.
37. Se non sarà esigente con se stesso, difficilmente diventerà un educatore
credibile e capace d'incoraggiare chi è demoralizzato e scoraggiato dai piccoli
fallimenti.
38. Per favorire la comprensione, l’educatore non dimenticherà che lui stesso ha
dovuto faticare per superare certi ostacoli e che il tempo della semina non
può coincidere con il raccolto, ma ci vogliono dei tempi non brevi di
maturazione.
39. L'intolleranza è spesso frutto di un disagio interiore e di una non chiara
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motivazione cristiana. Certi malcontenti sono il risultato di piccole schiavitù e
di confusione interiore che possono essere pazientemente risolti con la guida
spirituale e la grazia.
La fermezza deve rispecchiarsi nella chiarezza e nella bontà con i suoi
momenti di comprensione, frutto di una concreta conoscenza del cuore del
ragazzo.
Cosa fare quando il giovanissimo diventa troppo esigente, indisciplinato,
scorretto? Fino a che punto si può e si deve essere comprensivi? Prima di
tutto dobbiamo stare vicino al giovanissimo per conoscerlo e amarlo,
permettendogli di conoscersi, per mezzo dei fatti, con la chiarezza della
propria vita, aiutandolo a fare l'autocritica di se stesso senza scoraggiarsi.
È bene che il ragazzo conosca gradualmente e liberamente il valore del
sacrificio e della libertà, dell'amicizia e ad amarsi al punto da esigere da se
stesso degli atti di bontà e di altruismo per mezzo dei quali potrà raggiungere
dei traguardi incoraggianti.
Se la tolleranza diventa una norma di vita e se deresponsabilizza, allora
bisogna rivedere il rapporto educativo.
44. L'educatore deve accettare certi momentanei fallimenti, non passivamente,
diversamente nascono dei meccanismi sbagliati di demotivazione o di rivalsa.
45. Dovrà vigilare perché nel minore non abbia ad annidarsi una concezione
sbagliata della vita e della morale, qual è il soggettivismo e l'immanentismo
che accettano il dato oggettivo.
46. Questa pericolosa visione della vita, porta a valutare il bene e il male solo in
rapporto ad un giudizio strettamente personale, relativizzando la legge di Dio
e le direttive della Chiesa e della sua morale cristiana.
47. Può capitare che per evitare l'insuccesso faccia delle concessioni
all'ambizione e al favoritismo, ma queste scorrettezze aprono la strada
all'ipocrisia e all'individualismo.
48. Queste precisazioni sono suggerite dall'esperienza e dalla chiara
consapevolezza che il problema educativo è di enorme importanza per lo
sviluppo armonico del ragazzo.
49. L'educatore deve accettare i suoi limiti senza rassegnarsi e armarsi di tanta
pazienza e non cedere mai al compromesso in fatto di valori morali ed
educativi.
50. L’educatore non deve mai dimenticare che prima di tutto è un seminatore di
libertà, da conquistare lentamente ma tenacemente, con tanti piccoli gesti di
coraggio e di benevolenza.
51. L'educatore vivendo con i ragazzi a tempo pieno e alla pari, sarà facilitato a
condividere tutto di tutti e a diventare una proposta di vita con la sua vita.
52. Una presenza educativa ad intermittenza non giova né al volontario né
tantomeno al minore. Solo un impegno assiduo, disinteressato e pieno di
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amore si fa esperienza determinante e incancellabile. Il "tempo pieno e alla
pari" non esclude un tempo utile di distensione e di riposo, se questo è
indispensabile al recupero della serenità e per la vivacità del suo impegno.
L'educatore deve essere un amico
53. È un amico che ‘vive con loro’ per scoprire gli aspetti positivi e negativi e per
comprendere quanto non sa dire o non vuol dire il ragazzo, evidenziando così
il valore di un rapporto sicuro che dia certezza e realismo alla sua vita.
54. La sua presenza deve essere attenta per stimolare a certe forme di altruismo
che lui stesso deve vivere.
55. Con i suoi gesti di presenza cercherà di comprendere certe necessità e alcuni
comprensibili desideri che possono far piacere e creare così un rapporto di
stima e di simpatia.
56. Da vero amico, l'educatore deve suscitare e stimolare dei motivi di gioia e di
ottimismo, di allegria, in un'ottica di crescita; questi valori sono da conquistare
e da arricchire ogni giorno senza dimenticare Dio in quanto Padre che segue
con amore provvidente le proprie creature.
57. L'educatore non deve vivere e proporre un ottimismo episodico e di
circostanza, ma animare la vita con i suoi gesti e per suscitare nel ragazzo i
valori del coraggio e della speranza nella comunità.
58. Così formerà un carattere capace di sanare certi momenti di depressione, di
scoraggiamento e di disimpegno.
59. Questi momenti difficili per il minore non possono mancare, perché sono la
conseguenza di tanti rifiuti e di troppe umiliazioni.
60. Pazientemente aiuterà il ragazzo ad accettare con realismo cristiano la
propria situazione, con la prospettiva di costruirsi onestamente la propria vita,
con l'aiuto di amici sinceri che non mancheranno mai.
61. L'educatore non deve essere un ‘rintanato’ nelle sue sicurezze, ma un amico
che vuole affrontare le situazioni non facili e rischiose senza spavalderia e
temerarietà.
62. Solo se il suo servizio si farà esperienza personale, potrà favorire un
cammino promozionale nel giovane; poiché si trasmette quello che si è.
63. L'educatore deve ‘guadagnarsi’ l'amicizia del minore perché solamente con
questa può affrontare in termini di concretezza e con realismo quel particolare
problema.
64. L'amicizia si far ottimismo in chiave critica per attuare il nostro progetto di
liberazione: questo non può esaurirsi nelle parole o in un semplice episodio
come farebbe un buon camerata.
65. Altro motivo di gioia è il fatto che Gesù-Amico si è compromesso totalmente
con noi: ha fatto quello che facciamo noi, tranne il peccato: lui è l’amico che
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come nessun altro ci conosce e ci ama.
66. Dobbiamo essere degli ottimisti per vocazione, perché il Maestro ci ricorda:
“Se uno mi ama e osserva la mia parola e faremo dimora presso di lui"(Gv
14,23) e "Vi ho detto queste cose perché la vostra gioia sia piena"(Gv 15,11).
La nostra gioia sta nel fatto che Gesù è “la via, la verità, la vita” (Gv 14,6) e la
nostra liberazione, purché non abbiamo ad ostacolare l'azione della grazia in
noi. È la grazia che ci aiuta ad essere sempre amico, fedelmente amico, e
responsabile amico, con un'amicizia solida e disinteressata tale da non più
dimenticare.
67. L'educatore cristiano è un uomo che prega e non si risparmia mai
specialmente quando si tratta di contestare il proprio peccato e le proprie
evasioni.
68. I presupposti dell'amicizia sono la gentilezza, la premura, l'affabilità
specialmente nel momento dell'accoglienza e nei momenti di sofferenza e di
difficoltà del minore.
69. Se l'accoglienza sarà attenta e fraterna e se sapremo accogliere il nuovo
arrivato con il cuore e molto affetto, allora il ragazzo si sentirà come a casa
propria e supererà facilmente il trauma di certi distacchi e il suo inserimento
sarà facilitato.
70. L'amicizia è il valore per mezzo del quale l'educatore, amando il ragazzo,
insegna ad amare e amandolo, lo conquista e lo responsabilizza.
71. Chi non è amato gratuitamente, difficilmente imparerà ad amare da adulto, e
quando non si ama e non si superano certe carenze affettive è compromesso
il processo di crescita a tutti i livelli non ultimo quello intellettivo e di
socializzazione.
72. L'amicizia può esistere anche tra una persona che crede in Dio e una che
non crede ma è in un atteggiamento di ascolto, di ricerca e di stima.
73. L'educatore deve avere un senso cristiano dell'amicizia e il fatto che il
giovane non l'abbia, non deve scoraggiarlo, ma renderlo più attento
donandogli un amore disinteressato perché solo così comprenderà che Dio è
amore nella verità.
74. L'educatore non deve preoccuparsi di convincere nessuno e tantomeno il
minore, ma deve essere prima di tutto credibile e coerente con la propria
fede.
75. Proprio perché cristiani dobbiamo proclamare Dio-Amore con la libertà della
nostra vita e non con il proselitismo.
76. Quando sarà arrivata l'ora di Dio, la ‘proposta’ di Cristo in termini di maturità e
di libera scelta, non è solo utile ma doverosa, confidando non tanto nelle
capacità umane ma nel misterioso valore della grazia.
77. L'amicizia deve essere:
a. Gratuita e completamente disinteressata: frutto di una vera libertà
interiore.
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b. Deve conoscere certamente il valore della sincerità, della fedeltà,
nonostante certi comprensibili rifiuti del ragazzo. Uno dei motivi per cui
rifiuta l'amicizia potrebbe essere dovuto al fatto che in passato non è
stato accettato e accolto con amore. Certi rifiuti diventano frustrazioni e
tali da ostacolare un rapporto di crescita e di amicizia.
c. Deve conoscere la dimensione della comprensione e del perdono e tale
che lo aiuti a dimenticare ciò che precedentemente lo ha traumatizzato.
Un passato doloroso non si può cancellare facilmente.
d. Deve fondarsi non soltanto sulle qualità esteriori, ma deve crescere sui
valori spirituali in un rapporto di corresponsabilità, non dimenticando che
questo sarà un non facile punto di arrivo, ed esige tanta pazienza e
costanza. Solo amando sarà a suo tempo riamato e dare così solidità
all'amicizia.
e. L'educatore dovrà conoscere la problematica del ragazzo per non
chiedere meno o più di quanto di fatto può dare con l'amicizia.
f. L'educatore deve stimolare, con gesti concreti, un desiderio e una
conoscenza di libertà che lentamente si abbia a concretizzare. Il rapporto
con il ragazzo non dovrà essere costrittivo, ma propositivo, e lentamente
interiorizzato e assimilato.
g. Ricorderà che l'amicizia più credibile sarà quella vissuta e donata senza
nulla chiedere se non ciò che è bene per il ragazzo, nel momento della
prova e delle difficoltà, con gesti di sincero affetto.
h. È importante che il minore abbia a fare esperienza di amicizia e con una
profondità tale da non più dimenticare questo tempo eccezionale.
i. L'amicizia che sottovaluta l'importanza di una ragionevole disciplina, di un
preciso orario che favorisce la scorrevolezza della giornata, è
antieducativa. Ma guai se la disciplina non conoscesse la flessibilità e la
dolcezza del cuore.
c. Il ‘dover essere‘ dell'educatore
Cosa non deve essere l’educatore
78. Non deve essere complice del male e favorire la mediocrità e l'indifferenza.
79. Non deve essere un improvvisatore, un impreparato ed un incompetente, un
disinformato, un intellettualista ed un teorico.
80. Non deve essere amante del quieto vivere, permissivo e opportunista.
81. Non deve vivere un'amicizia interessata e disimpegnata rispetto alle
necessità del giovane.
82. Non deve credere di saper tutto e di essere il depositario della verità, di
essere un infallibile.
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83. Non deve spadroneggiare, ma si ricorderà che dpvrà rendere conto a Dio del
come e del quanto si è donato.
84. Non deve essere insicuro, ma nemmeno un sicuro che non tiene conto del
parere degli altri chiudendosi nelle sue proprie convinzioni.
85. Non deve scoraggiarsi di fronte all'insuccesso.
86. Non deve essere un triste, un sognatore e un soggettivista.
87. Non dovrà riprenderlo in pubblico, se non in casi eccezionali e qualora
venisse a sapere qualche cosa che intacca alla radice lo spirito della
Comunità oppure offendesse seriamente e volutamente la moralità. In questi
casi, dopo seria valutazione, sarà dimesso dal responsabile della Comunità.
88. Non deve avere una mentalità anticomunitaria e antisociale, rifiutando il
confronto, la progettazione e la crescita insieme.
89. Non deve manipolare e condizionare il ragazzo nella sua crescita e nelle sue
scelte.
90. Non deve credersi capace di risolvere qualsiasi difficoltà e non deve
escludere altre soluzioni fuori dal suo contesto comunitario.
91. Normalmente non dovrà agire al di fuori di certi criteri comunitari, educativi
collaudati.
92. Non dovrà mai dimenticare che la sua presenza educativa deve tendere alla
maturità e alla crescita della persona.
93. Non dovrà favorire, né permettere che si determinino situazioni di ghettizzare
e certe larvate forme di emarginazione specialmente rispetto al più debole e
al più povero.
94. Non deve fare una proposta cristiana, educativa e promozionale che lui
stesso non vive.
95. Non dovrà proporre un Gesù riduttivo e impoverito dai propri limiti.
96. Se venisse a conoscenza di qualche fatto spiacevole e grave, non dovrà
tacere ma riferirà con chiarezza quanto è accaduto al responsabile, facendo il
possibile per verificare attentamente e personalmente quanto ha conosciuto.
97. Nella sua proposta cristiana impegnata, non dovrà sottovalutare la
dimensione della gradualità e del rispetto e della generosità.
98. Non dovrà usare dei metodi repressivi me preventivi.
99. Non dovrà essere un vecchio e un violento ma un giovane con i giovani che
sappia farsi rispettare ed amare.
Cosa deve essere l’educatore
100. Un maestro nell'arte della libertà che non sottovaluta mai il valore della
chiarezza e della sincerità. Senza la sincerità e la confidenza, tutto sarebbe
compromesso.
101. Un uomo con la mentalità aperta, possibilmente comunitaria e sociale,
sempre attento perché il ragazzo sia impegnato. L'ozio e il disimpegno sono
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un male pericoloso, che portano alla tristezza e alla noia.
102. Avrà fermezza e chiarezza circa i principi e i criteri educativi.
103. Sarà sempre pronto al perdono, come Gesù che perdonava per meglio
educare al bene della sincerità e dell'amicizia.
104. È colui che s'impegna nell'aggiornamento circa le problematiche della realtà
sociale del nostro tempo, per mezzo di letture e di corsi appropriati e di
rapporti costruttivi con il sociale.
105. Con i fatti vivrà la sua fede cristiana e in tutti momenti della sua scelta e
condivisione, e anche quando non fosse con i ragazzi.
106. Se per forza maggiore, dopo essersi consultato con il responsabile, dovesse
punire l'allievo lo farà privatamente con il cuore d'amico e di padre senza
togliergli la speranza del perdono e della fiducia, aiutandolo a capire il suo
sbaglio e senza mai umiliarlo. Solo in casi eccezionali e dopo ripetuti
richiami, punirà pubblicamente.
107. Sarà modello di coerenza e di fedeltà ai principi morali e cristiani, in qualsiasi
posto venga a trovarsi.
108. Un animatore che trascina il gioco, che corre e sa dare il tono della festa a
certi momenti di vita comunitaria.
109. Un impegnato nel divertimento e nello sport per favorire la disciplina e la
buona salute fisica e spirituale.
110. Si sentirà sempre impegnato a vivere una forte armonia interiore e con gesti
di premura e di riservatezza, di allegria e di compostezza per favorire un
clima piacevole e disteso. Questo perché la crescita del ragazzo ha bisogno
di ‘aria pura’. Un cuore turbolento e inquieto creerà un clima turbolento; un
cuore mite e gioioso, creerà un clima di unità, di complementarietà e di
serenità e svilupperà il senso dell'appartenenza.
2. CHE COSA DEVE DARE E RICEVERE L'EDUCATORE
111. Deve dare fiducia al giovane per permettergli di esprimere la sua capacità e
la sua creatività.
112. Deve credere nel giovane per impegnarlo a livello di responsabilità.
113. L'educatore deve crearsi una coscienza dinamica del dare e del ricevere.
114. La molla di questa tensione educativa del dare e del ricevere ha la sua
ragione d’essere nella consapevolezza profonda della sua vocazione, che è
la chiamata a svolgere un servizio per amore.
115. I ragazzi devono accorgersi di essere amati, e privilegerà i meno dotati e i
più provati dalla sofferenza.
116. Il giovane deve ricevere non soltanto dall’educatore, ma da tutto il contesto
in cui vive; tutto sarà filtrato dai criteri educativi con elasticità mettendo
sempre al centro la crescita integrale del ragazzo.
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117. L'educatore deve mantenersi in atteggiamento di verifica e di ricerca per
trasmettere certi valori, non dimenticando che incontrerà delle difficoltà.
118. Per trasmettere, deve ricercare continuamente la verità nella propria
coscienza illuminata dalla grazia.
119. Sarà utile questo concetto: nel nostro mondo pluralista spesso si danno
diverse interpretazioni a ‘principi primi’ o principi etici universalmente
riconosciuti, come la vita, la libertà, la ricerca della verità.
120. Queste diverse interpretazioni devono essere esaminate a livello di verifica
comunitaria, per fare emergere la proposta educativa, con chiarezza, e per
evitare la confusione e un pluralismo incontrollato che danneggerebbe il
minore.
121. Una proposta educativa influenzata da posizioni intellettuali educative troppo
personali, creerebbe un clima d'insicurezza, respirando, il quale il ragazzo
sarebbe ostacolato nella sua crescita: le ‘acrobazie’ e il dilettantismo non
hanno senso.
122. La proposta educativa deve essere chiara e frutto di una saggia e paziente
convergenza di atteggiamenti, di conseguenza è ‘una’ anche se con modi
diversi.
123. Questa unitarietà di proposta deve valorizzare le possibili e sane esperienze
dei singoli educatori.
124. Tutte le esperienze possono essere buone ed utili purché siano chiaramente
inclusi dei veri valori umani e cristiani, come la libertà-dono di Dio, la vita
come vocazione, l'amicizia, l'impegno responsabile a livello di studio e di
lavoro, l'interesse per il gioco e la fede come modo nuovo di vivere.
a. Eventuali pericoli del rapporto educativo
125. Concretamente è bene precisare che il rapporto educatore-educando, pur
rispettando il ruolo di ognuno, deve integrarsi e tendere ad essere
partecipato da parte del giovane.
126. Si deve tendere ad un coinvolgimento reciproco, senza per questo essere
incauti e imprudenti, agendo con superficialità e compromettendo la libertà e
la chiarezza del ruolo personale.
127. Questo coinvolgimento dovrà articolarsi in chiave di responsabilità.
128. Il suo amore se vero, sarà rispettoso, delicato e paziente per non creare
delle attese irrealizzabili e delle delusioni nel ragazzo.
129. L'educatore deve mirare in una vera maturità affettiva, facendosi aiutare in
questo particolare aspetto.
130. L'affettività è parte integrante di tutte le personalità dell'uomo e deve
esercitarsi con impegni di altruismo e di libertà e di generosità, perché
questa acquisti solidità.
131. Il rapporto affettivo non deve essere iperprotettivo o emotivo, sentimentale,
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immaturo.
132. Tanto meno deve creare dei legami possessivi, perché metterebbe in
pericolo la virtù della fortezza e della libertà interiore e comprometterebbe
seriamente la crescita del ragazzo.
133. L'amore di benevolenza esclude il ricatto affettivo, la frivolezza, l'istintività, la
confidenza incontrollata e il paternalismo.
134. Il rapporto-dipendenza del giovane dall'educatore non deve essere
spersonalizzante, ma stimolante, per una coscientizzazione sempre più
valida.
135. Il rapporto, se sincero e disinteressato, deve favorire una vera autonomia nel
minore tale da garantire un ascolto attento della propria coscienza.
136. Un altro pericolo per l'educatore potrebbe essere un'immagine troppo
personale e limitata del modello di crescita: rischierebbe di soffocare oppure
di ostacolare l'affermarsi della personalità del ragazzo.
137. L'educatore non dovrà reprimere, ma ricordarsi che il suo ruolo è prima di
tutto quello di riscoprire e di animare, facendo emergere le potenzialità del
minore e canalizzarle verso i veri valori.
138. La Comunità non è né la famiglia naturale, né un istituto, ed esige
dall'educatore una sensibilità particolare che tenga in debito conto le scelte
particolari della comunità.
139. Per rendere operativi i valori proposti non è sufficiente una presentazione a
livello di ragionamento, ma dovranno seguire dei gesti concreti dai quali il
giovane possa tradurre e assimilare lo stile e il modo di fare e di condurre
quel certo impegno o quel certo lavoro.
140. La presenza dell'educatore deve essere continua, attenta, amichevole, tale
da non indurre il ragazzo alla meccanicità e al formalismo, tanto nel
momento del lavoro che in altri momenti comunitari, non ultimo il gioco.
141. Il lavoro manuale è un momento importante nel processo di crescita e dovrà
essere programmato in modo da non poter sottovalutare le attitudini e le
esperienze del minore.
142. Il lavoro e lo studio, come cultura e responsabilità personale e speciale, è
garanzia per una vita onesta.
143. Senza un interesse per il lavoro, rischierebbe l'emarginazione un domani.
144. Qualsiasi impegno dovrà essere vivacizzato e guidato con saggezza, così
che sia tutta la componente umana, nella sua natura, ad esprimersi.
145. L'intervento dell'educatore non deve essere prima di tutto ‘professionale’, ma
motivato dall'amore e da un vero interesse per la crescita del minore, come
se fosse il proprio figlio e il proprio fratello.
146. Se è vero che l'educatore deve fare tutto quello che farebbe un padre o una
madre, è altrettanto vero che non dovrà mai pretendere che il ragazzo gli
attribuisca questo ruolo e tanto meno enunciare frasi come questa: "ti faccio
da padre, o da madre".
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147. Le varie fasi del lavoro vanno seguite facendo attenzione perché nulla ci sia
di pericoloso.
148. L’educatore curerà attentamente l'ordine, la pulizia e la precisione.
149. Ci ricorderemo che il ragazzo è disposto a ricevere uno schiaffo o peggio da
uno dei genitori ma, giustamente, si sentirà gravemente offeso se fosse
picchiato da un educatore.
150. La nostra forza è la ragione e l'amore.
151. Il clima di responsabilizzazione deve tendere ad eliminare nel ragazzo la
convinzione che tutto gli è dovuto gratuitamente.
152. Sarà aiutato a guadagnarsi la fiducia, la stima e quando è necessario alla
sua vita di ogni giorno, per non scadere nell'assistenzialismo e per non
alimentare nel ragazzo il disimpegno e l'indolenza.
153. Per evitare certe forme di assistenzialismo o di passività da parte del
ragazzo, bisogna aiutarlo a recuperare il ‘senso dell'appartenenza’ alla
Comunità e coinvolgerlo in certe responsabilità e stimolarlo a portare un
contributo, come se fosse nella propria famiglia.
154. Se il minore non impara dall'educatore ad amare la Comunità, come realtà
scelta liberamente, difficilmente vivrà il suo processo di crescita, proprio
perché si cresce nell'amore e amando.
155. Bisogna però rispettare e capire le difficoltà del ragazzo e non chiedergli
l'impossibile o l'eroico: si valorizzerà il concetto della crescita graduale con
dei tempi lunghi e tanta pazienza, senza per questo nascondergli la vetta
che lo attende.
156. Le più alte vette e le più vere virtù si potranno raggiungere se saranno
motivate con vivacità e molto affetto.
157. Un altro errore potrebbe essere quello di confondere i criteri educativi con le
scelte del comunitario: l'educatore ha un livello di motivazioni, di maturità e
di finalità diverse dal ragazzo, di conseguenza deve rispettare il piano
educativo e il ritmo del medesimo.
158. È facile scoraggiarsi al punto di arrendersi quando il ragazzo rifiuta una certa
proposta educativa, coinvolgendo in questo senso anche il gruppo o per lo
meno i più insicuri.
159. Quando si verificasse questa situazione, tutto il gruppo educativo tenterà
determinati interventi di emergenza con pazienza e coraggio, non
dimenticando che da quel ragazzo difficile potrebbe nascere un impegno
positivo e stimolante per il gruppo stesso.
160. Lottare con amore per superare le inevitabili difficoltà, può diventare un
mezzo di crescita.
161. Se è vero che certe situazioni sembrano impossibili da gestire, è altrettanto
vero che se avremo fiducia, Gesù Cristo, come primo responsabile,
certamente ci aiuterà.
162. L’educatore, in nome della propria scelta, deve rispettare, attendere e
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seminare con fiducia, non dimenticando che il tempo della semina è il più
faticoso e non è mai quello del raccolto.
163. Non bisogna sottovalutare l'importanza che il tempo dell'accoglienza del
ragazzo abbia a coincidere con un momento di informazione e di
conoscenza dell'ambiente e delle situazioni personali del medesimo.
164. Il capo gruppo oppure il responsabile, con prudenza e chiarezza, farà
conoscere agli educatori quanto è utile a sapersi per la conoscenza e per il
bene del ragazzo, con tutta la discrezione necessaria.
165. Sarebbe deplorevole per l'educatore, qualora trattasse il minore meno dotato
come uno stupido, un incapace e un antipatico: certe violenze psicologiche
sono inammissibili.
166. Sono molti i ragazzi che attendono di venire accolti in comunità perché sono
scoraggiati e avviliti per tante umiliazioni, e li tradiremmo se anche qui
trovassero un piccolo calvario e non l'accoglienza più chiara e affettivamente
sicura e incoraggiante.
167. L'educatore che si comportasse in modo violento o per lo meno
preoccupante, sarà ammonito severamente e se non desse segno di
ravvedimento, potrà anche essere allontanato dal Responsabile, dopo
attenta valutazione.
168. Anche per noi è valido l'ammonimento di Gesù: "Lasciate che i piccoli
vengano a me" (Lc 18,16) e così pure: "chi ascolta voi, ascolta me e chi
disprezza voi, disprezza me" (Lc 10,16).
169. Solo l'amore vigile e indomabile e, se vogliamo, a volte esigente e
impegnato, deve regnare da signore incontrastato nelle nostre comunità
giovanili.
170. Se non abbiamo capito questo o non vogliamo comprenderlo, è perché non
siamo fatti per questo servizio.
3. CIO’ CHE LA PROPOSTA EDUCATIVA
DEVE CONSOLIDARE NEL GIOVANE
171. La comunità deve preparare il ragazzo a vivere il suo domani senza lasciarsi
rimorchiare dalle situazioni ambigue.
172. Tutta la proposta educativa deve tendere a consolidarsi nel senso che il
ragazzo abbia ad assimilare certi valori conosciuti e sperimentati, per
affrontare il dono della comunità con una certa sicurezza.
173. L'esperienza comunitaria deve essere forte e convincente al punto da
reggere l'urto delle inevitabili difficoltà che il ragazzo incontrerà fuori della
medesima.
174. Se la proposta educativa deve avere una sua validità anche fuori della
Comunità, l'educatore assolutamente non potrà prescindere dal fatto di
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conoscere attentamente quella certa realtà sociale che il ragazzo dovrà
incontrare.
175. Con l'interessato dovrà valutare l’ambiente, i possibili rapporti e le difficoltà
che il giovane potrebbe incontrare, specialmente in fatto di amicizia e di
rapporti nel tempo libero.
176. Ci saranno dei tempi lunghi per stimolare il ragazzo ad assimilare le ideeforza, con i fatti e delle esperienze quotidiane.
177. Quel certo impegno e un forte senso critico, guidati da un rapporto
amichevole con l'educatore, aiuteranno il minore a costruire delle solide
convinzioni per il futuro.
178. Consolidare questa proposta educativa significa prendere la strada né facile
né breve per diventare uomo maturo e tale da fare delle scelte concrete e
precise, come il lavoro, un sano interesse per la cultura, la lettura, la musica,
lo sport e i momenti di fede e di carità, di solidarietà vissuta, con il giusto
senso della giustizia a livello sociale e politico.
179. Sarà nostro compito fare capire che la cultura e la politica e altre
responsabilità, devono essere vissute secondo lo spirito cristiano del servizio
e non come potere.
180. L'impegno educativo deve mirare a consolidare anche il senso della stabilità
e, questa, per essere vera, ha bisogno d'impegni e di rapporti continui.
181. Le connotazioni della stabilità, sono:
182. Non il rigorismo, ma una intelligente flessibilità e un ponderato dinamismo.
183. La fermezza nei principi e dei veri valori umani e cristiani senza cedere alla
tentazione del pendolarismo o di evadere dalla propria coscienza e dai
propri impegni.
184. Per consolidare la propria formazione fuori dalla Comunità, il minore dovrà
continuare il suo cammino possibilmente inserendosi in un gruppo o
movimento che vive un'esperienza cristiana e avere con il medesimo dei
momenti di confronto e di impegno, senza per questo interrompere i rapporti
con i nostri educatori e con gli amici della Comunità. Per il ragazzo è bene
che questa sia sempre un punto di riferimento sicuro.
185. Per consolidare certe idee-forza è bene seguire un particolare metodo che
potrebbe così sintetizzarsi: vedere-conoscere-valutare-agire.
186. La preoccupazione dell'educatore non deve essere quella di voler
convincere, ma di essere convincente e credibile nei fatti della vita.
187. Il minore deve essere aiutato dalla Comunità a scoprire in sé il suo
potenziale e fare in modo che prendano vita alcune esperienze di ricerca e
di corresponsabilità guidata.
188. Se ce ne fosse bisogno, con amorevolezza, sarà aiutato a superare certe
forme di sfiducia e d'insicurezza che potrebbero diventare patologiche.
189. Senza il coraggio e la serenità non potrà superare certe difficoltà.
190. Un carattere aperto e cordiale con una buona educazione di base, lo
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aiuteranno ad inserirsi con profitto e a diventare un onesto e un galantuomo;
un cristiano che come lievito sappia far fermentare la massa, in questo
nostro mondo tormentato da mille forme di potere e d'ingiustizia.
191. L'aspetto fondamentale, come sempre, rimane la credibilità dell'educatore;
questo sarà un uomo o una donna che ha sete profonda di libertà vera e
capace di animare i suoi giovani.
192. Solo allora il ragazzo si accorgerà che la sua vera sete può essere
soddisfatta e potrà assumersi le responsabilità di certi impegni, specie a
livello formativo, anche fuori dalla Comunità e in modo continuativo.
193. Anche per chi lascia la Comunità è raccomandabile una ‘formazione
permanente’ senza della quale è compromessa la propria crescita.
194. Il consolidamento della proposta comunitaria esige che l'educatore si sforzi
di essere un ottimista e un uomo contento di vivere e di lottare, per
conquistarsi e liberarsi, donandosi totalmente alla grande e unica causa per
la quale vale la pena di lasciare tutto: l'uomo nuovo credente, vissuto da
Gesù Cristo.
195. Il consolidamento della proposta comunitaria deve potenziare nel minore un
amore libero per la Comunità e una fiducia in se stesso, tale da non renderlo
dipendente da essa ma capace d'inserirsi e di vivere la propria storia nella
società di oggi.
196. Se l'entrata del ragazzo in comunità è stata frutto di una libera scelta, tale
deve essere anche la sua uscita da essa.
197. Se la Comunità, in una certa misura, deve assolvere alle funzioni educative
dei genitori, allora come questi dovrà gioire che il proprio figlio, fatto adulto e
capace del proprio destino, lasci la Comunità per la comunità del mondo.
198. Logicamente non mancheranno momenti di trepidazione, come molto bene
esige l'amore, ma se il seme ha trovato un terreno fertile nella Comunitàfamiglia, i buoni frutti non possono mancare.
4. TEMPO LIBERO
a. Educazione fisica
199. L'educazione dell'uomo avviene anche per mezzo di questi momenti fisici
che impegnano tutto l'essere con il suo potenziale di intelligenza, di volontà,
di conoscenza e di rapporti.
200. Educando il suo corpo, il ragazzo si educa ad entrare in comunicazione con
il suo prossimo e ad esprimere la sua realtà interiore.
201. L'educazione fisica assolutamente non può mancare ed è un mezzo per
ricreare continuamente equilibrio e armonia fisica, psichica e spirituale.
202. È bene precisare che questo impegno raggiunge il suo fine nella misura in
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cui il soggetto non sottovaluta gli altri momenti educativi e di responsabilità
della collettività. Questi fanno parte del quotidiano e di un modo di vivere
corretto.
203. Può essere chiamato educazione fisica tutto quanto impegna l'uomo a
crescere ad ogni livello: fisico, psichico, morale, sociale, lavorativo,
razionale, di fede, di esperienza.
204. Per mezzo di questa educazione l'uomo può scoprire le proprie capacità, le
proprie risorse e i propri limiti.
205. Pur avendo questa dimensione globale, l'educazione fisica presuppone che
l'educatore con il ragazzo abbia a creare degli spazi particolari per
determinati esercizi.
206. Questi seguiranno il metodo della gradualità per arrivare a momenti
d'impegno completi e specifici.
207. È bene sottolineare l'importanza di una vita di essenzialità che non abusa di
certe comodità e rifiuti decisamente l'agiatezza.
208. È sempre utile il tempo della fatica e del sacrificio e così pure i momenti
esigiti da una vita semplice e corretta e meno sofisticata possibile.
209. Il ragazzo sarà educato anche ad una giusta espressività corporea e motoria
attraverso la drammatizzazione ed altri momenti socializzanti.
210. È un fatto acquisito che il nostro mondo consumista compromette
seriamente l'armonia umana e solo prendendone coscienza si può rimediare
con momenti alternativi.
211. Uno di questi può essere il ritorno ad ammirare e scoprire la bellezza e
l'armonia della natura per lasciarsi educare ad una vita semplice, obbediente
e ordinata.
212. L'educatore per primo si sentirà impegnato a conoscere, rispettare e ad
amare la natura, per scoprire le sue leggi, la sua bellezza e la sua
obbedienza.
213. Questo esige delicatezza e buon gusto della vita e spirito di osservazione.
214. L'educatore deve tendere ad uno stile di vita essenziale che onori la libertà e
la povertà, lasciando cadere tutto quanto è artificioso, consumistico e
schiavizzante.
215. Per educare l'uomo a questa dimensione di socialità comunitaria e di povertà
secondo il Vangelo è necessaria una forte motivazione interiore che tende
ad imitare Gesù, il Maestro, favorita da una reale conoscenza delle
necessità e delle miserie che ci circondano.
216. La vita dell'educatore deve fare luce ad una proposta semplice e ricca
d'interiorità e di sobrietà.
217. L'educazione fisica esige un grande rispetto per il dono del proprio corpo
come dono di Dio; pertanto saranno curate in modo particolare l'igiene e la
pulizia, tanto necessarie allo sviluppo fisico e della propria dignità.
218. L'interesse per l'igiene fisica, se ben canalizzata, porterà ad una buona
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igiene mentale e spirituale.
219. L'ordine e la pulizia personale sono anche segno di rispetto per le persone
con cui si vive e per l'ambiente educativo della famiglia e della comunità.
220. Anche una sana alimentazione può armonizzare con una attenta povertà,
favorendo così la salute fisica ed un buon equilibrio mentale.
221. La giusta misura nel mangiare favorisce l’equilibrio del proprio corpo e porta
alla serenità e all'autodominio.
222. Perché il tempo libero sia un momento di crescita per il giovane, occorre che
l'educatore abbia certe connotazioni di base che potrebbero così
sintetizzarsi:
223. un comportamento educato nel rapporto con piccoli gesti di premura, di
delicatezza verso tutti, ma in modo particolare con i più deboli e i più
bisognosi.
224. anche nel tempo libero la presenza dell'educatore deve essere discreta ma
orientativa, infondendo sicurezza.
225. sarà buon osservatore e ascoltatore, amante del dialogo.
226. specialmente nel tempo del gioco l'educatore dovrà essere intraprendente e
creativo, senza togliere nulla alla responsabilità del ragazzo.
227. L'educazione fisica dovrà coincidere con momenti di sana allegria, così da
aiutare il ragazzo ad essere un estroverso e un ottimista, un altruista e non
un rintanato in se stesso.
b. Sport e gioco
228. Lo sport e il gioco sono espressioni dell'educazione fisica.
229. La peculiarità di questi due aspetti consiste nella partecipazione e nella
socializzazione che possono aiutare il giovane ad uscire da se stesso e
sentirsi sempre più protagonista.
230. Lo sport è un gioco, ma non sempre il gioco è sport.
231. Lo sport segue delle regole ben precise ed esige un minimo di struttura.
232. Medieremo i criteri di base dello sport con quelli comunitari in modo da
creare una continuità nel nostro impegno educativo.
233. È importantissimo lo sport, perché stimola ad una ricerca della propria
personalità e alla formazione del carattere, e per identificare le proprie
attitudini e sviluppare le proprie potenzialità.
234. Lo sport deve essere visto con impegno e come tale richiede la virtù della
costanza, dell'onestà, del sacrificio e della fedeltà, dello sforzo per vincere la
timidezza e la paura che impediscono al minore di ‘uscire allo scoperto’.
235. È un mezzo per canalizzare la propria aggressività e la sessualità,
potenziare la socialità e l'aspetto volitivo e altruistico della vita.
236. Si dovranno evitare certe forme esasperate di competitività, di arrivismo e di
agonismo perché danneggiano un rapporto di cordialità e di amicizia e lo
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spirito di famiglia proprio delle nostre comunità.
237. Il gioco per certi aspetti è diverso dallo sport ed è parte della componente
umana. Si differenzia dallo sport per la sua creatività, l'immediatezza e la
semplicità.
238. Il gioco ha lo scopo di sviluppare la creatività del soggetto aiutandolo ad
esprimere con impegno se stesso ed un equilibrato senso del protagonismo.
l'impegno poi porta alla responsabilità e alla socialità.
239. Dobbiamo vedere con sospetto e preoccupazione quel ragazzo troppo serio
che non ha interesse per il gioco, perché viene privarsi di una stagione
importante della sua vita qual é la primavera e la gioia della festa.
240. Il gioco è utile per conquistare una visione ottimistica e reale della vita e per
relativizzare certe difficoltà.
241. Nel programma giornaliero comunitario non può assolutamente mancare il
tempo per il gioco e l'educatore lo deve animare con la sua continua
presenza, non accettando mai la passività e l'immobilismo che portano alla
tristezza.
242. L'ambiente educativo, alla ricerca continua della serenità e della gioia, è tale
nella misura in cui l'adulto sa essere modello valido, con momenti di
distinzione e di gioco leale per il ragazzo.
243. La nostra scelta di povertà dovrà senz'altro tenere in debito conto le
esigenze dei nostri ragazzi nel senso che ogni Comunità avrà degli spazi
sufficienti per il gioco e lo sport, con cortile e sale debitamente e
modestamente attrezzate.
5. LA PROPOSTA DI CRISTO GESÙ
244. Il punto di partenza e di arrivo del nostro servizio educativo e il grande ideale
della nostra vita è portare l'allievo ad una profonda ‘esperienza’ di Gesù
Cristo, un'esperienza liberamente vissuta perché cercata, scoperta e
proposta dal ragazzo ai suoi stessi compagni.
245. Ogni allievo deve farsi proposta verace ed entusiasmante del ‘progetto Gesù
Cristo’ con gesti credibili perché rivelano l'amicizia, la bontà, la premura, la
purezza del Maestro.
246. Il progetto fede in Gesù Cristo dovrà significare un avvenimento e una
scoperta inconfondibile che segua tutta la vita a tutti i livelli: una vita nuova
che si fa scoperta continua di libertà e di generosità.
247. Il progetto educativo che la Comunità propone al giovane, in questo mondo
pluralista, si fonda sulla fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo.
248. Il progetto è importante se garantito da un particolare livello di coerenza
cristiana da parte dei membri della Comunità.
249. Questa proposta, nelle sue linee operative, non deve sottovalutare l'apporto
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di una didattica della catechesi e di certi principi pedagogici.
250. Sarà una proposta il più possibile personificata, concreta e rispettosa, tale
che aiuti il ragazzo ad incontrare Gesù.
251. È importante un'attenta valutazione della situazione esistenziale e della
sensibilità del ragazzo nelle sue varie dimensioni.
252. Specialmente in questo delicato momento di crescita e di scelta di fede,
l'educatore non dovrà far mancare il suo cordiale rapporto di amicizia con il
ragazzo, caratterizzato da vivacità, chiarezza e verità.
253. Avrà la consapevolezza che normalmente Cristo si rivela all'uomo per mezzo
dell'uomo.
254. La proposta cristiana, che presuppone un'adeguata metodologia e una
conoscenza di Cristo come persona viva e attuale, deve favorire una
completa evoluzione di tutto l'uomo.
255. La fede, la grazia, presuppongono questo impegno di crescita umana senza
della quale l'azione di Dio rimane sterile.
256. I mezzi con cui si sostiene la proposta cristiana si possono così sintetizzare:
257. Valutazione della vita come dono e della libertà come una conquista
coraggiosa.
258. Conoscenza ed accoglienza della parola di Dio come momento di riflessione,
di preghiera, con conseguente impegno.
259. Preparare un buon terreno per ricevere il buon seme del vissuto, dei fatti
positivi di ogni giorno.
260. Conoscenza della vita di Gesù in termini di catechesi, di riflessione e di
dialogo, perché lui diventi il modello indiscusso della propria giovinezza.
261. Nutrire e fortificare la propria crescita spirituale con libri e riviste stimolanti.
262. Un impegno costante per combattere qualsiasi forma, anche leggera, di
peccato e in modo particolare l'insincerità, l'egoismo e l'impurità, perché
questi sono il peggior male della vita.
263. Una stima accentuata per i compagni più bisognosi di attenzione e di affetto.
264. Tenere in grande considerazione la vita caritativa e l'amore sincero e filiale
alla Vergine, custode della nostra purezza, e del nostro progetto di vita.
265. La responsabilità, che porta a compiere gesti di solidarietà, di benevolenza e
di carità nell'amicizia, per arrivare all'Amico più importante, che è Gesù
Cristo.
266. Impegno di una vita sacramentale fatta di riconciliazione, di preghiera
personale e comunitaria con momenti liturgici e il canto gioioso e pieno di
lode al Signore della vita.
267. La vita di grazia e di carità vissuta con l'aiuto dei Ritiri spirituali e della
Madonna tenderanno ad essere una costante della nostra proposta
cristiana.
268. chiederemo al Signore la grazia di capire, guidare e amare i nostri ragazzi
come lui ci capiva e ci amava.
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6. IL CREDO DELL' EDUCATORE
1 - Credo che l'educatore è chiamato a perfezionare se stesso e a continuare
l'opera creatrice di Dio, in sé e nei fratelli. La sua è la ‘fede’ di colui che vuole
scoprire il progetto di amore che Dio ha pensato per sé e per coloro che fanno
parte della sua storia.
2 - È convinto che dopo Dio la persona è il grande avvenimento del mondo. Tutto
dovrà convergere alla crescita dell'uomo, e la sua vita non avrà altra pretesa che
quella di donarsi, "perché non c'è amore più grande che dare la vita per i propri
amici" (Gv 15,13). Donarsi perdendosi e perdersi abbandonandosi perché cresca
la sua e la libertà dei fratelli.
3 - L'educatore è un animatore che crede nell'animazione e per questa sa
scommettere con la vita e la crescita in responsabilità di coloro che condivide
tutto di tutti. Vive la crisi della crescita come un momento d'interiorizzazione e di
ricerca della verità nella carità.
4 - Tutto è importante per giungere a vivere l'utopia del Vangelo e della fraternità,
mettendosi alla scuola del Maestro Gesù. Il suo stile è quello di colui che non
finisce più d'imparare perché il suo dinamismo di amore è un prolungamento
dell'amore eterno di Dio.
5 - Crede che ogni uomo, in forza della grazia, è capace di autoliberazione. Per
questo non ha paura d'individuare e di mettere sotto accusa, consenso critica e
sano realismo, tutto ciò che si chiama potere e false sicurezze. È un uomo che
cerca la libertà e la vive per donarla e per sconfiggere le piccole e grandi
schiavitù. È la crescita riflessa di Dio e dei poveri e degli ultimi.
6 - Il suo vivere è un piano di vita che si articola secondo le leggi della socialità,
del sacrificio, della vita di Cristo come esperienza. Non propone se non quanto gli
permette la sua esperienza e non si rattrista se non nelle sue incoerenze. Non
soffre se non della sua tiepidezza e del suo egoismo che non permette a Dio di
manifestarsi.
7 - Ha un'unica pretesa: quella di restituire ad ogni uomo la gioia di vivere e il
coraggio di sperare anche quando tutto sembra impossibile e paradossale. È
colui che non viene a patti con la tristezza, anche nel momento del fallimento ma,
senza temerarietà, se rialza con la fortezza di "Colui che ha vinto il mondo" (Gv
16,33). È consapevole che "il chicco di frumento per portare frutto, deve
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nascondersi sotto terra e marcire" (Gv 12,24). Se non scompare liberamente da
se stesso e dalle proprie sicurezze, non nasce l'uomo nuovo secondo Dio e non
potrà portare frutto come Gesù di Nazareth.
8 - L'educatore è un appassionato del Vangelo e dei valori umani e cristiani come
l'unità che fa comunione, che crea la responsabilità di una condivisione piena. Si
sente fratello di tutti in modo che nessuno sia ricco da non poter ricevere dal
povero e nessuno si senta così povero da non aver qualche cosa da donare. Non
dimentica che la Comunità è il luogo del perdono, della festa. È colui che suscita
ottimismo con l'allegria, fermezza e solidità con il lavoro, corresponsabilità con lo
studio e la cultura, perché non cessa di sognare un mondo nuovo, dove ha stabile
dimora la pace della giustizia.
9 - Ha ricevuto in dono la consapevolezza, umile, coraggiosa, di essere un
protagonista dell'Incarnazione di Cristo Signore. Lasciando la sua mentalità
consumistica e la logica della privatizzazione della vita, della ricchezza, s'incarna
nel mondo degli oppressi perché la Resurrezione di Cristo ridoni splendore e
dignità all'uomo figlio di Dio.
10 - L'educatore è un militante. È un esperto in umanità, un competente in
giovinezza, uno scultore di chiarezza e di sincerità, un coraggioso che sa
rischiare quando è in gioco la libertà dell'uomo e della sua fede. Con i fatti della
sua vita racconta e testimonia la vita di Gesù Cristo perché i suoi Amici ritrovino la
capacità e l'ardimento vigoroso di dare tutto di sé: dare per donarsi e perché la
vita si allarghi oltre i confini del tempo. Egli crede che la sua vita è un dono che si
fa esperienza donandosi.
LETTERA DA ROMA
A questa nostra esperienza fa seguito, per un motivo di grande riconoscenza,
l’ultima lettera che Don Bosco scriveva da Roma ai “suoi”.
La chiarezza e la passione pedagogica di questo intramontabile Maestro dei
Giovani, è stata tale da coinvolgere intere generazioni di sacerdoti e di educatori
e tra costoro non ultimi sono i Comunitari della “Casa del Giovane”.
È impossibile per noi, sottrarsi al fascino del suo magistero e soprattutto del suo
amore per i giovani. Quell’Amore che gli faceva scrivere con la sapienza del
Cuore: “uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e
nell’eternità”. E ancora: “sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da Voi e il
non vedervi e il non sentirvi, mi cagiona pena, quale Voi no potete immaginare”.
In questo confidenziale scritto c’è tutta la trepidazione del grande santo e la
sollecitazione, validissima, per tutti i veri operatori cristiani.
22
Miei carissimi figliuoli in G.C.,
vicino o lontano io penso sempre a voi.
Un solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità.
Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera.
Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non
sentirvi mi cagiona appena, quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei
desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue
occupazione me lo impedirono. Tuttavia benché pochi giorni manchino al mio
ritorno, voglio anticipare la mia venuta tra voi almeno per lettera, non
potendolo di persona.
Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi
colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete
attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi.
Ho affermato che voi siete l’unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or
dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera, e mi disponeva per
andare a riposo, aveva incominciato a recitare le preghiere, che mi insegnò la mia
buona mamma. In quel momento non so bene se preso dal sonno o tratto fuor di
me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi
giovani dell’Oratorio.
Uno di questi due mi si avvicinò e salutato affettuosamente, mi disse: «O Don
Bosco? Mi conosce?». «Sì che ti conosco», risposi. «E si ricorda ancora di me?»
soggiunse quell’uomo.
«Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè ed eri nell’Oratorio prima del 1870».
«Dica!» continuò quell’uomo, «vuol vedere i giovani, che erano nell’Oratorio
ai tempi?». «Sì, fammeli vedere», io risposi, «ciò mi cagionerà molto
piacere».
Allora Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura e
nell’età di quel tempo. Mi pareva di essere nell’Antico Oratorio nell’ora della
ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi
saltava, chi faceva saltare. Qui si giuocava alla rana, là a barrarotta ed al pallone.
In un luogo era radunato un crocchio di giovani, che pendeva dal labbro di un
prete, il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo agli
altri giovanetti giuocava all’asino vola ed ai misteri. Si cantava, si rideva da tutte le
parti e dovunque chierici e preti, e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano
allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i superiori regnava la più grande
cordialità e confidenza. Io ero incantato a questo spettacolo, e Valfrè mi disse:
«Veda, la familiarità porta affetto e l’affetto porta confidenza. Ciò è che apre i
cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai
Superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano
docili a tutto ciò, che vuol comandare colui, dal quale sono certi di essere amati».
In quell’istante si avvicinò a me l’altro antico allievo, che aveva la barba tutta
bianca e mi disse: «Don Bosco, vuole adesso conoscere e vedere i giovani, che
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attualmente sono nell’Oratorio?». Costui era Buzzetti Giuseppe.
«Sì », risposi io, «perché è già un mese che più non li vedo!». E me li additò: vidi
l’Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udiva più grida di gioia e
cantici, non più vedeva quel moto, quella vita, come nella prima scena.
Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una
musoneria, una diffidenza, che faceva pena al mio cuore. Vidi, è vero, molti che
correvano, giuocavano, si agitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi
io ne vedeva star soli, appoggiati ai pilastri, in preda a pensieri sconfortanti; altri
su per le scale e nei corridoi o sopra i poggiuoli dalla parte del giardino per
sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando
sottovoce fra di loro, dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora
sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da fare non solamente
sospettare, ma credere che S. Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in
compagnia di costoro; eziando fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così
svogliati, che facevano vedere chiaramente, come non trovassero gusto nei
divertimenti.
«Ha visto i suoi giovani?» mi disse quell’antico allievo. «Li vedo», risposi
sospirando.
«Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta!» esclamò
quell’antico allievo.
«Pur troppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione! E di qui proviene la
freddezza in tanti nell’accostarsi ai santi Sacramenti, la trascuranza delle pratiche
di pietà in chiesa e altrove; lo star mal volentieri in luogo ove la Divina
Provvidenza li ricolma di ogni bene pel corpo, per l’anima, per l’intelletto. Di qui il
non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le ingratitudini verso
i Superiori; di qui i segretumi e le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli
conseguenze».
«Capisco, intendo», risposi io. «Ma come si possono rianimare questi miei cari
giovani, acciocchè riprendano l’antica vivacità, allegrezza, espansione?».
«Colla carità».
«Colla carità? Ma i miei giovani non sono stati amati abbastanza? Tu lo sai se
io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato pel corso di ben
quarant’anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti, quante
umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni per dare ad essi il pane,
casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loro anime. Ho
fatto quanto ho saputo e potuto per coloro che formano l’affetto di tutta la mia
vita».
«Non parlo di Lei!».
«Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei direttori, prefetti,
maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro?
Come consumano i loro anni giovanili per coloro, che ad essi affidò la Divina
Provvidenza?».
«Vedo, conosco; ma ciò non basta; ci manca il meglio».
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«Che cosa manca dunque?».
«Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere
amati».
«Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell’intelligenza? Non
vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?».
«No, lo ripeto, ciò non basta».
«Che cosa ci vuole adunque?».
«Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, col partecipare alle
loro inclinazioni infantili, imparino a vedere l’amore in quelle cose che
naturalmente loro piacciano poco; quali sono, la disciplina, lo studio, la
mortificazione di se stessi; e queste cose imparino a far con slancio e
amore».
«Spiegati meglio!»
«Osservi i giovani in ricreazione».
Osservai e quindi replicai : «E che cosa c’è di speciale da vedere?»
«Sono tanti anni che va educando i giovani, e non capisce? Guardi meglio!
Dove sono i nostri Salesiani?».
Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano tra i giovani e ancor
più poco prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l’anima
della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano tra di loro parlando,
senza badare a che cosa facessero gli allievi; altri guardavano la ricreazione non
dandosi nessun pensiero dei giovani; altri sorvegliavano così alla lontana chi
commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva ma in un atto
minaccioso e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato di
intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma vidi che questi giovani cercavano
studiosamente di allontanarsi dai maestri e Superiori.
Allora quel mio amico ripigliò: «Negli antichi tempi dell’Oratorio lei non stava
sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda
quei belli anni? Era un tripudio di Paradiso, un’epoca che ricordiamo sempre con
amore, perché l’affetto era quello che serviva di regola, e noi per lei non avevamo
segreti».
«Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per
avvicinarsi a me, per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e
metterli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e
la mia sanità me lo impediscono».
«Va bene: ma se lei non può, perché i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori?
Perché non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?».
«Io parlo, mi spolmono, ma purtroppo molti non si sentono più di far le fatiche di
una volta. E quindi trascurano il meno, perdono il più e questo “più” sono le loro
fatiche. Amino ciò che piace ai giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a
questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento
nell’Oratorio è che un numeri di giovani non ha confidenza nei Superiori.
Anticamente i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed
25
obbedivano prontamente. Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e
non più come padri, fratelli e amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si
vuol fare un cuor solo ed un’anima sola, per amore di Gesù bisogna che si rompa
quella fatale barriera della diffidenza cordiale. Quindi l’obbedienza guidi l’allievo
come la madre guida il fanciullino; allora regnerà nell’Oratorio la pace e
l’allegrezza antica».
«Come dunque fare per rompere questa barriera?».
«Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non
si dimostra l’affetto e senza questa dimostrazione non vi può essere
confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama.
Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il
maestro della famigliarità! Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non
più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello.
Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa né più né meno che il
proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione, è la parola di uno che ama.
Quante conversazioni non cagionarono alcune sue parole fatte risuonare
all’improvviso all’orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva! Chi sa di
essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Questa
confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si
aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa
sopportare ai Superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze,
le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa, né
spense il lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello.
Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente
per vendicare l’amor proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per
gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo
essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri Superiori, guadagnando
null’altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una
creatura e fare la corte a questa trascuri tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei
propri comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per
un vano rispetto umano si astenga dall’ammonire chi deve essere ammonito. Se
ci sarà questo vero amore, non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute
delle anime.
Quando illanguidisce questo amore, allora è che le cose non vanno più bene.
Perché si vuol sostituire alla carità la freddezza di un regolamento? Perché i
Superiori si allontanano dall’osservanza di quelle regole di educazione che Don
Bosco ha loro dettate? Perché al sistema di prevenire colla vigilanza e
amorosamente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema, meno
pesante e più spiccio per chi domanda, di bandir leggi che se si sostengono coi
castighi, accendono odii e sfruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare,
fruttano disprezzo per i Superiori e causa di disordini gravissimi?
È ciò che accade necessariamente se manca la familiarità. Se adunque si vuole
che l’Oratorio ritorni all’antica felicità, si rimetta in vigore l’antico sistema: il
Superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio o lamentela dei
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giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per
cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza li ha affidati.
Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che
uccidono.
Solo in caso di immoralità i Superiori siano inesorabili. È meglio correre pericolo
di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti
si facciano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle
cose le quali conoscano in qualunque modo essere offesa di Dio».
Allora io interrogai: «E quale è il mezzo precipuo perché trionfi simile familiarità e
simile amore e confidenza?»
«L’osservanza esatta delle regole della casa».
«E null’altro?».
«Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera».
Mentre così il mio allievo finiva di parlare ed io continuava ad osservare con vivo
dispiacere quella ricreazione, a poco a poco mi sentii oppresso da grande
stanchezza che andava ognora crescendo. Questa oppressione giunse al punto
che non potendo più resistere mi scossi e rinvenni.
Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi facevano
così male che non potevo più star ritto. L’ora era tardissima. Quindi me ne andai a
letto risoluto di scrivere ai miei figlioli queste righe.
Io desidero di non fare questi sogni che mi stancano troppo. Nel giorno seguente
mi sentiva rotto nella persona e non vedeva l’ora di riposare la sera seguente. Ma
ecco appena fui in letto ricominciare il sonno. Avevo dinanzi il cortile, i giovani che
ora sono all’Oratorio, e lo stesso allievo dell’Oratorio. Io presi ad interrogarlo:
«Ciò che mi dicesti io lo farò sapere ai miei Salesiani; ma ai giovani dell’Oratorio
cosa debbo dire?».
Mi rispose: «che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti
fatichino e studino per loro amore, poiché se non fosse per il loro bene non si
assoggetterebbero a tanti sacrifici; che si ricordano essere l’umiltà la fonte di ogni
tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri, poiché al mondo non si
trova la perfezione, ma questa è solo in Paradiso; che cessino dalle
mormorazioni, poiché queste raffreddano i cuori; e soprattutto che procurino di
vivere nella santa grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sé, e
non ha pace con gli altri».
«E tu mi dici adunque che ci sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la
pace con Dio?»
«Questa è la prima causa del malumore, fra le altre che lei sa, alle quali lei
deve porre rimedio, e che non fa d’uopo che ora le dica. Infatti non diffida se
non chi ha segreti da custodire, se non chi teme che questi segreti vengano a
conoscersi, perché sa che gliene tornerebbe vergogna e disgrazia nello
stesso tempo se il cuore non ha pace con Dio, rimane angosciato, irrequieto,
insofferente di obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada
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male, e perché esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino».
«Eppure, o caro mio, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di comunioni vi
è nell’Oratorio?»
«È vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca
radicalmente in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei
proponimenti. Si confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse
occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le
stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per
anni e taluni perfino così continuano alla 5ª Ginnasiale. Sono confessioni che
valgono poco o nulla; quindi non recano pace, e se un giovanetto fosse
chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio».
«E di costoro ve n’ha molti all’Oratorio?».
«Pochi in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa.
Osservi». E me li additava. Io guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma
in questi pochi io vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio
cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno voglio
esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto che è tempo di
pregare e di ferme soluzioni; proporre non colle parole, ma coi fatti, e far
vedere che i Comollo, i Savio Domenico, i Besucco e i Saccardi vivono
ancora tra noi. In ultimo domandai a quel mio amico: «Hai null’altro da
dirmi?»
«Predichi a tutti, grandi e piccoli, che si ricordino sempre di Maria SS. Ausiliatrice.
Che essa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché
dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta: che è la Madonna quella
che loro provvede pane e mezzi di studiare con infinite grazie e portenti. Si
ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e coll’aiuto suo deve
cadere quella barriera di diffidenza che il demonio ha saputo innalzare tra i
giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime».
«E ci riusciremo a togliere questa barriera?».
«Sì, certamente, purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche
mortificazione per amore di Maria e mettono in pratica ciò che io ho detto».
Intanto io continuavo a guardare i miei giovanetti, e allo spettacolo di coloro che
vedeva avviati verso l’eterna perdizione sentii tale stretta al cuore che mi svegliai.
Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narravi, ma il tempo e
le convenienze non me lo permettono.
Concludo. Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi
cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite
proporzioni, ritornino i giorni felici dell’Oratorio primitivo. I giorni dell’affetto e della
confidenza cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spirito di
accondiscendenza e sopportazione per amore di Gesù Cristo, degli uni verso gli
altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore; i giorni della carità e
della vera allegrezza per tutti.
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Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete
tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre.
Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati
nell’Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: basta che un giovane entri in una casa
Salesiana, perché la Vergine SS. Lo prenda subito sotto la sua protezione
speciale. Mettiamoci adunque tutti d’accordo. La carità di quelli che comandano,
la carità di quelli che devono ubbidire faccia regnare fra noi lo spirito di S.
Francesco di Sales. O miei cari figlioli si avvicina il tempo nel quale dovrò
staccarmi da voi e partire per la mia eternità.
(Nota del segretario: a questo punto Don Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi
si empirono di lagrime, non per rincrescimento ma per ineffabile tenerezza che
trapelava dal suo sguardo e dal suo tono di voce: dopo qualche istante continuò).
Quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi, per quella via
del Signore nella quale esso stesso vi desidera.
A questo fine il Santo Padre, che io ho visto venerdì 9 maggio, vi manda di tutto
cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria Ausiliatrice mi troverò con
voi innanzi all’effige della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa gran
festa si celebri con ogni solennità e Don Lazzero e Don Marchisio pensino a far sì
che stiano allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il
preludio della festa eterna che dobbiam celebrare tutti insieme uniti un giorno in
Paradiso.
Vostro aff.mo in G.C.
Sac. Gio. Bosco
Roma, 10 maggio 1884.
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INDICE
Premessa:
UNA SCOMMESSA E UNO STILE DI VITA .................................pag. 1
1. LE CARATTERISTICHE DELL’EDUCATORE........................ “ 2
a.
La maturità.............................................................................. “ 2
b.
La formazione......................................................................... “ 3
Fermezza e comprensione ....................................... “ 5
L’educatore deve essere un amico ........................... “ 7
c.
Il ‘dover essere’ dell'educatore: .............................................. “ 11
Cosa non deve essere l’educatore. .......................... “ 11
Cosa deve essere l’educatore. ................................. “ 13
2. COSA DEVE DARE E RICEVERE L'EDUCATORE............... “ 15
a. Eventuali pericoli del rapporto educativo. ........................ “ 16
3. CIO’ CHE LA PROPOSTA EDUCATIVA DEVE
CONSOLIDARE NEL GIOVANE. ........................................... “ 21
4. TEMPO LIBERO. ...................................................................... “ 24
a.................Educazione fisica. ............................................................ “ 24
b.................Sport e gioco. ................................................................... “ 26
5. LA PROPOSTA DI CRISTO GESÙ........................................... “ 28
6. IL CREDO DELL'EDUCATORE.............................................. “ 31
7. LETTERA A ROMA ................................................................ “ 34
30