iii° incontro internazionale di scuola l`analisi, i suoi fini, le sue

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iii° incontro internazionale di scuola l`analisi, i suoi fini, le sue
III° INCONTRO INTERNAZIONALE DI SCUOLA
PARIGI 9/10/11 DICEMBRE 2011 - Cité des Sciences et de l’Industrie
L’ANALISI, I SUOI FINI, LE SUE CONSEGUENZE
PRELUDI N° 1
Come Voi sapete, a partire da questo momento e fino al Terzo Incontro Internazionale di dicembre
a Parigi, una sequenza di onde di Preludi vi saranno proposte mensilmente attraverso le nostre liste.
I nostri amici dall’estero riceveranno gli stessi invii nella propria lingua, per cui ringraziamo
d’anticipo coloro che si sono incaricato delle traduzioni.
È previsto che ogni invio sia raggruppato in ogni lingua.
Permettetemi d’insistere in nome del CAOE sull’importanza di questi Preludi che auspichiamo
numerosi, variegati e scritti da colleghi a volti meno conosciuti, ma la cui serietà nel lavoro per la
Scuola Internazionale è assicurato. L’insieme dei Preludi sarà d’altronde raccolto in un piccolo
documento che si consegnerà nel momento di consegna del dossier d’iscrizione alle Giornate.
In questo primo invio Voi potrete leggere la prima serie di Preludi, alla quale si aggiunge
l’argomento, la scheda d’iscrizione e l’appello alle proposte di lavoro.
Nadine Naïtali, Roser Casalprim, Michel Bousseyroux e Sandra Berta si sono resi disponibili a
scrivere ognuno un breve testo che Voi potrete leggere con interesse.
Colgo l’occasione di questa mail per indicarvi che nel corso del mese di Luglio riceverete il primo
numero del MAG dell’Incontro, che conterrà alcuni testi, alcune informazioni ricevute dai Poli che
testimoniano dell’interesse suscitato da queste Giornate nelle Regioni, insieme ad alcune
proposizioni, con l’aggiunta di una nota poetica.
Vi auguro, in nome del CAOE, una buona lettura.
Per il CAOE, Albert Ngûyen
DAL SENSO-DETTO-INTORNO ALL’INEDITO
Nadine Naïtali
Sin dalle prime righe dell’articolo «Analisi con fine e analisi senza fine», Freud trova che
l’esperienza analitica è «un lavoro lungo e faticoso». Interrogandosi sulla fine dell’analisi ci lascia,
come sappiamo, su un punto in sospeso che riguarda la questione sessuale: l’invidia del pene per le
donne e la ribellione alla posizione passiva dell’uomo. Le ultime elaborazioni di Lacan, ci
conducono verso un’altro punto di sospensione, aperto, realmente incalcolabile per il soggetto
perché riguarda lalingua.
L’inconscio non veicola che del senso, e manifesta anche ciò che non appartiene al registro
simbolico. Questo inconscio si prova nell’esperienza analitica, solo con la prova dell’affetto perché
non siamo nella logica del significante interpretabile. Nell’inconscio reale, ci si è, e di esserci «lo si
sa, da sé», ma non il soggetto. Il soggetto dunque non ne sa niente. Ma «basta farci attenzione per
esserne già fuori», il soggetto viene allora a riprendere le rassicuranti sfilate del senso. La Scuola
attraverso la passe, al cuore della sua esistenza, pertanto cerca di rendere conto delle manifestazioni
dell’inconscio reale, malgrado la sua impossibile trasmissione.
Si pone dunque una questione, se non c’è «dell’amicizia» possibile tra l’inconscio linguaggio e
l’inconscio reale: in che modo a partire dalla parola, dall’associazione libera, dal senso si
sperimenta qualche cosa dell’inconscio reale? In che modo questo saperci essere, radicalmente
insaputo dal soggetto può avere delle conseguenze sul sintomo, sul godimento, sulla vita?
A partire da questi giri del deciframento, il soggetto tenta di distribuire, vedere, intendere, trovare,
in una folle corsa allettante, la sua verità. E se ce ne aveva una, una tutta, possibile da cogliere – il
soggetto che cerca a volte di dare disperatamente una spiegazione a ciò che stride, che insiste, che
fa sintomo. Qui noi abbiamo a che fare con l’altra soddisfazione. Lacan la definisce come
chiacchiericcio del senso, dal lato del godimento del bla bla, in riferimento alla funzione fallica che
maschera il reale della struttura, e anche quel reale che non è stato preso nel linguaggio.
I giri detti sul divano conducono tuttavia l’analizzante a incontrare un muro, un punto di arresto
che sembra invalicabile. È con il godimento che l’analizzante ha appuntamento. Si va a confrontare
con ciò che fino ad allora gli è servito come tappo: il fantasma, e il suo godimento che segna
intimamente il corpo della traccia della divisione, di un resto. Individuato, questo godimento
singolare che fa orrore, che parassita gli atti, e si infiltra nei detti, stordisce il soggetto. Questo
godimento, questo pezzo di reale intravisto, intradetto, può creare nell’après-coup un sollievo ma
non ferma necessariamente l’associazione. Si tratta proprio di un incontro con un impossibile,
quello del reale della struttura ma dal lato del simbolico. Concerne dunque sempre il senso, la verità
bugiarda.
Il passante si rischia a testimoniare al meglio nella passe questa verità, anche se essa stessa è
bugiarda. Essa ha tutta la sua importanza perché serve «a fare il posto in cui si denuncia» il sapere,
in tanto che non c’è rapporto sessuale. Questo sapere, scrive Lacan, si deve inventarlo perché ha a
che fare con il reale che non è supposto. La verità, dal lato del soggetto «intrallazza», dirà Lacan,
con l’inconscio senza soggetto. Se il sapere «è nella dimora de lalingua che riposa» precisa Lacan
in Ancora, questo suppone che esista una prossimità tra il significante articolato al simbolico e la
moterialità del significante, del reale, fuori senso, in cui il soggetto non può riconoscersi. Riprendo
qui quello che dice Lacan del reale ne Il Sinthomo, è questo «nucleo, intorno al quale il pensiero
ricama ma il suo marchio è di non collegarsi a niente».
In effetti, l’equilibrio del soggetto, se si può dire, ordinato dal fantasma, vacillerà nella cura.
Qualche cosa si precipita e sorprende il soggetto al momento del sorgere imprevisto di un
significante fuori senso, fuori catena, che l’analizzante si intende pronunciare, che si impone. Il
senso detto intorno che ha inebriato il soggetto, che gli è stato associato incontra improvvisamente
un fuori senso indecifrabile, ininterpretabile … altro momento sorprendente dal lato dell’eccesso de
lalingua … non articolabile.
Traduzione di Paola Malquori
J. Lacan, «Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI», in Autres écrits
Ibidem
In Fr. c’è un’omofonia che si perde nella traduzione tra: I giri detti [Les tours dits] e l’Étourdit. [NdT]
ALCUNI EFFETI ED AFFETI RELATIVI AL RUOLO DEL PASSEUR
Roser Casalprim
Da ormai cinque anni ho l’opportunità di far parte del dispositivo della passe nella funzione di
passeur, in un momento in cui non sono stati in molti ad animarsi a passare per l’esperienza.
Ciononostante, ho avuto l’occasione di ascoltare la testimonianza di un passant. Tratterò
brevemente alcuni degli effetti che si sono prodotti su di me, dal momento in cui ho saputo di essere
stata designata per questa funzione, e in seguito, lungo il processo in cui il passeur interviene.
1. Il mio analista mi aveva comunicato di essere stata designata per questa funzione. Qualche
tempo dopo, una volta terminato l’esercizio della funzione, ho letto un «resoconto» della
Commissione della Garanzia del DEL-F4 del 2007 che informava che era stato ampiamente
discusso se l’analista dovesse o no comunicare al passeur di essere stato designato come
passeur o dovesse lasciare il compito al passant dopo il sorteggio dei passeurs. Questo
rapporto diceva che la responsabilità veniva lasciata a ciascun analista e rammentava che
non ci sono regole generali al riguardo. Più tardi, o più o meno nello stesso momento, ha
avuto luogo sulla lista un breve dibattito in merito, in cui veniva considerato come un
«errore» la comunicazione da parte dell’analista. I sostenitori di questo punto di vista si
appoggiavano su un intervento di Lacan, il quale dibatteva e confrontava con altri analisti il
posto da assegnare ai passeurs nel dispositivo della passe. Ciò che Lacan sottolinea nel testo
«Interventi sulle relazioni d’introduzione di J. Clavreul, S. Leclaire et J. Oury, Seduta di
giovedì I novembre 1973», è quanto segue: «L’analista designa qualcuno come passeur e
non gli domanda il suo parere».. Nello stesso periodo, nel 1973, Lacan dirà anche « (…) Ho
espressamente richiesto che i passeurs siano scelti solo tra i più recenti e che siano scelti dal
proprio analista, indipendentemente dal loro consenso».. Senza approfondire, in quel
momento, i testi di Lacan sull’argomento, avevo già pensato che non è la stessa cosa
comunicare e chiedere il parere, comunicare non implica domandare il parere, né il
consenso. Questo è avvenuto per me per altre vie. Ad ogni modo, senza approfondire
ulteriormente al riguardo, nel mio caso, la comunicazione della designazione da parte
dell’analista ha avuto più effetti. Il primo –già commentato da altri colleghi con i quali
convengo–, è stato la sorpresa, poiché non me lo aspettavo, effetto che si è prodotto anche
quando il passant mi ha telefonato, anche se l’effetto di sorpresa ha avuto altre ragioni. Da
un lato, questa comunicazione ha avuto un effetto di retroazione sulla cura (aspetto
sottolineato anche dagli altri passeurs), e cosa più importante è che ha prodotto, per me un
effetto d’interpretazione, senza riferirmi ad essa, ciò mi ha permesso di individuare più
chiaramente il punto in cui ero, anche se in parte già lo sapevo: una certa impasse in cui non
arrivavo a liberare qualcosa e, fondamentalmente, questo mi ha permesso di rendermi conto
che si era aperta la possibilità di poter concludere, equivalente a «non più
ritardare/dilazionare» o a non dimorare più indefinitamente nel tempo per comprendere. Mi
ero attardata molto nel tempo di comprendere senza essere in grado di concludere su dei
punti cruciali della mia vita e della mia storia. Dall’altro, si è ravvivato l’interesse per le
questioni relative alla psicoanalisi in intensione e, più precisamente, sulla passe e sulla
Scuola, interesse che era un po’ sopito in quel momento.
2. Il primo contatto con il passant ha avuto anch’esso degli effetti: nel primo contatto mi è
sembrato di ascoltare qualcosa del tipo fretta-urgenza per l’incontro e questo mi ha turbato.
Presto ho constatato che in realtà toccava proprio il punto intimo del ritardo/dilazione. Là ho
iniziato a rendermi conto, anche, dell’importanza che il passeur si metta a disposizione –non
al servizio– del passant per facilitare l’esperienza o, se volete, per non porre ostacoli al
passant con l’immaginario, il fantasma, etc.
3. Affetti ed effetti prodotti dalla trasmissione di testimonianza al cartel della passe: dopo sei
mesi dalla fine della testimonianza del passant (tempo che mi è parso molto lungo), ho
ricevuto la comunicazione che era giunto il momento di trasmettere la testimonianza al
cartel della passe. Mi ricordo di un’indicazione del cartel, che ho ringraziato, a proposito
della quale, per amore di efficacia della procedura, sarebbe stato meglio tentare di costruire
la testimonianza, per quanto possibile, prima dell’incontro. Sebbene avessi a disposizione
qualche annotazione, mi domandavo come potessi costruire una testimonianza. Non era
come la costruzione di un caso clinico, non potevo far ricorso ad alcun sapere della dottrina
a questo riguardo, si sarebbe trattato, dunque, di un’altra cosa. Prima ancora di provare a
elaborare la testimonianza per iscritto per la trasmissione al cartel, è comparsa l’angoscia, la
stessa angoscia che era insorta qualche volta mentre affrontavo un foglio bianco prima di
iniziare a scrivere un testo proprio. Tuttavia, non si trattava esattamente di elaborare la
scrittura di un testo proprio, sebbene vi fossi implicata, ma della trasmissione dell’ascolto di
una testimonianza. Sono uscita dall’angoscia quando ho concluso che forse si trattava di
centrare i punti salienti o più sensibili della testimonianza del passant, accettando che ciò
che è in gioco nella trasmissione è anche o principalmente, un non saperne (non sapere). Ho
trovato allora un filo conduttore –come una tabella di marcia– per la trasmissione
dell’esperienza, che mi ha permesso di elaborare, di costruire qualcuno dei punti più
importanti del dire del passant e delle questioni formulate a partire dall’ascolto realizzato.
Ho anche fatto attenzione a tradurre nel miglior modo possibile in lingua francese alcuni
significanti chiave –alcuni intraducibili– trasmessi dal passant. Ad ogni modo, in seguito,
durante la trasmissione, mi sono resa conto che non era una questione di lingue. Con mia
sorpresa, quando ho incontrato il cartel, mi sono dimenticata delle note, della parola scritta,
e, anche, attraverso le questioni e le domande di precisazione dei membri del cartel, è
comparsa la fluidità, non è stato necessario attaccarsi agli appunti. Da allora e fino ad
adesso, non è più tornata l’angoscia innanzi a un foglio bianco prima di iniziare un testo
scritto. Senza dubbio, per me, questo è legato agli effetti, tra gli altri, di quel momento.
4.
Sugli effetti nella cura
Ho già citato prima, alcuni degli effetti durante l’esercizio della funzione di passeur
(retroazione sulla cura, etc.), ma vorrei sottolineare anche alcuni degli effetti successivi, di
alcuni perché me ne sono resa conto après-coup, di altri perché si sono prodotti più tardi e di
altri perché ancora adesso vado rendendomene conto. Di tutto ciò, spero di mettere in rilievo
ciò che chiamerei un effetto di precipitazione nel doppio senso della produzione di un
precipitato (come accade in una soluzione chimica) e della accelerazione di un processo, in
questo caso del processo analitico, che anche se ha avuto inizio con la designazione, ha
toccato anche ed ha contribuito, dopo la partecipazione nel dispositivo, ad un passo in più
tanto nella relazione di separazione dall’analista, quanto all’uscita dalla posizione di
analizzante e agli effetti conseguenti di un cambiamento di posizione in rapporto alla
direzione della cura degli analizzanti, etc.
Diversi anni dopo, ed anche per questi effetti, ho iniziato a prendere in considerazione la
possibilità dell’esperienza della passe. Ma questo corrisponde già a un altro momento.
Per concludere: malgrado, a mio parere, la passe sia un’esperienza di verifica complessa, credo sia
importante sostenerla e approfondirla non fosse altro che per gli effetti che produce partecipare ai
dispositivi, che nel mio caso, considero di grande valore.
Traduzione di Celeste Soranna
CONSIDERAZIONI SU UN AMORE PIÙ DEGNO
Sandra Berta
Nel 1973, nella «Nota italiana», Lacan ci ha avvertiti che dalla psicoanalisi ci si aspetta una
conseguenza, un cambiamento del parlessere, humus umano, rispetto all’inconscio che lo lavora.
Questo cambiamento può promuoverne un altro quanto all’amore, «fare l’amore più degno della
chiacchiera proliferante…». Ricordiamo che il contesto di questa frase si riferisce ad una delle
conseguenze della fine: la passe. La passe non è condizione della fine, ma può esserne una
conseguenza, per scelta. È forse per questo che in seguito a questo paragrafo conclusivo egli ricorda
le parole di San Tommaso che, alla fine della sua vita di monaco, ha detto: sicut palea.
In occasione di un commento di testo particolarmente stimolante, ho ripreso questa
affermazione di Lacan interrogandomi sullo statuto di questo amore più degno alla fine dell'analisi e
sulle conseguenze possibili, a riguardo dell’amore di transfert. Ciò mi ha permesso di rivisitare le
elaborazioni di Lacan sulla lettera d’amore e la lettera d’amur, per far emergere alcune conseguenze
sulla fine di analisi...
Sottolineo che, nel contesto della «Nota italiana», ciò che intendo per amore più degno è il
rapporto del parlessere all’inconscio. Ciò evoca un'altra affermazione di Lacan, quando definisce il
transfert, cifrato nello SsS: «Per questo il transfert è amore»4, amore che si dirige al sapere. Con
questo sapere, la verità-non-tutta, ha un tale rapporto che crea un posto che denuncia il sapere.
Tuttavia questo sapere deve continuare ad essere inventato. Come egli sostiene nel Seminario di
questo stesso anno, 1973: di fronte al troumatisme, buco del reale, non c’è che l'invenzione. Ecco
dunque le considerazioni che vi propongo in questo preludio, che non è che un tentativo di
riflessione sulla clinica.
Delle vestigia dell’amore
Se mi propongo di trattare questo passaggio da «l’amore del sapere» all’«amore più degno»,
è soltanto perché capisco che interessa un nuovo trattamento di ciò che del transfert non è stato
trasferibile. Manoel de Barros poeta brasiliano, lo trasmette in questi versi:
[...] Io sono una trappola-detriti:
Amo i resti
come le vecchie volpi.
Amerei che la mia voce abbia la forma di un canto.
Perché non sono del tipo informatico:
sono piuttosto del tipo invenzionatico.
Non utilizzo la parola che per comporre i miei silenzi**
L’amore del sapere
Quando Lacan denuncia la chiacchiera, dice che questa risponde al sapere inconscio che
Freud ha chiamato humus umano. Questo sapere, in parte inventariato, si mette al servizio
dell’immaginazione. Sarebbe meglio, avverte Lacan, che si possa, in questo annodamento del
Reale, del Simbolico e dell’Immaginario, sottolineare ciò che i primi due hanno da dire a questo
riguardo. È ciò che Lacan evoca quando dice: «L’essere umano, che si chiama così proprio perché
non è che l’humus del linguaggio, ha solo da apparolarsi con quell’apparecchio»5.
In effetti, i differenti accessi del transfert hanno sempre riguardato la questione
dell’inconscio. È un fatto di struttura: il transfert è l’inconscio strutturato come un linguaggio. E noi
sappiamo che, strutturato come linguaggio, l’inconscio testimonia di un sapere che, in gran parte,
sfugge al parlessere. Un sapere che rimane enigmatico quanto alla portata degli effetti di lalangue
dell’humus umano. Se “l’inconscio è un sapere, un saper-fare con la lingua”, e se colui a cui
suppongo il sapere: l’amo; allora si ha un legame tra sapere ed amore.
La questione del soggetto supposto sapere è l’asse centrale del transfert. Una psicoanalisi va
nel senso della caduta del soggetto supposto sapere con la rivelazione concomitante della funzione
dell’amore rispetto al sapere: supplire alla mancanza della relazione che non c’è. Si ha
l’impressione che il transfert lavori, lotti tra il sapere e la verità. Un analizzante, alla fine della sua
analisi ha detto: «niente di più, non c’è l’ultima parola». In questo movimento si constata che: «che
ci sia dell’inconscio vuole dire che c’è del sapere senza soggetto»6. Colette Soler privilegia questa
formula per dirci che questa affermazione è «l’ombelico fondatore»7 tutto ciò che sarà rielaborato in
ciò che concerne l’inconscio reale.
Nel 1973 Lacan dice che il transfert «non è un mezzo. È un risultato, che attiene al fatto che
la parola, per suo mezzo, mezzo di parola, rivela qualcosa che non ha niente a che fare con essa, e
precisamente il sapere, che esiste nel linguaggio»8. Tuttavia, ci dice che la sua «sciocchezza» è stata
di pensare che S1 e S2 facessero catena. Questa formulazione di Lacan ci turba. Là, nella catena,
non c'era altro che il rapporto di tre, nel quale il terzo elemento è la decifrazione del S1-S2. Se il
linguaggio è effetto del fatto che vi sia il significante Uno; il sapere è la conseguenza del fatto che
c’è l’altro. È questo «c’è l’altro» che era in gioco nel matema del transfert. Si trattava di un
momento privilegiato per segnare il passaggio dall’inconscio articolato come catena all’inconscio
nodale concomitante con la logica modale.
Dopo aver parlato dell’impotenza dell’amore: «L’amore è impotente, benché sia reciproco,
perché ignora di non essere altro che il desiderio di essere Uno, il che ci conduce all’impossibilità di
stabilire la loro, d’eux, relazione: d’eux chi? – loro due, due sessi»9, Lacan definirà l’amore in
un’altra prospettiva. L’amore, dice non è altra cosa che un dire straordinario, un evento. «Questo
dire, questo dire dell’amore s’indirizza al sapere in quanto è lì, in quello che bisogna proprio
chiamare l’inconscio»10. Sottolineo i rapporti tra evento e contingenza, quest’ultima essendo ciò che
cessa di non scriversi. Sì, l’amore si scrive attraverso una contingenza, e la lettera d’amore sarà
differente dalla domanda d’amore, domanda che è dell’ordine del necessario: che non cessa di
scriversi. Mi sembra che in quel momento, l’appello alla lettera d’amore e la lettera d’(a)mur si
riferisca alla funzione della lettera nel discorso. Il discorso in quanto legame sociale che si fonda sul
linguaggio, la scrittura in quanto effetto di questo legame.
L’amour et l’amur
Quando Lacan parla dell’amur, prima di parlare della lettera d’amore, egli si riferisce ad un
oggetto: la voce. Le pareti della cappella di Sant’Anna, dove il suo seminario ha avuto luogo
ripercuotono la sua voce. E Lacan grida: mi intendete? E dice ancora che lui e coloro che lo
intendono godono perché i muri li fanno godere… perché lo fanno parlare. L’uomo, l’humus umano
geme «perché nel chiacchiericcio, nel farfugliare, tutto si produce – ma per scegliere, esso si è
dovuto accorgere che i K risuonano meglio dal fondo, il fondo della caverna, dell’ultimo muro, e
che le B e le P fioriscono meglio all’entrata, è lì che ha inteso la risonanza». Questo oggetto a, la
voce, «del tutto estraneo alla questione del senso”, si scrive nella lettera dell’amore, attraverso la
r.e.s.o.n, della résonance [risonanza] – raison [ragione], del reale, visto che è lì che la questione
della logica matematica si annuncia. Il muro topologico della bottiglia di Klein scrive l’amore come
castrazione che c’è tra l’uomo e la donna. Questo discorso di Lacan sulla voce, apparentemente
senza scopo preciso, è l’indice della lettera in quanto produzione del discorso, specialmente del
discorso analitico.
Ci sono dei muri e c’è l’amur14. In quei muri che fanno girare i quattro discorsi, mi sembra
che la lettera d’amur ecceda la lettera d’amour. È un fatto che la lettera, questo equivoco del
significante, in questo contesto, si riferisca al rapporto della lettera al godimento. Ma dall’amur
parte ciò che è capace di rispondere del godimento del corpo dell’Altro. Lacan, all’inizio del
Seminario Ancora, quando si domanda da dove parta ciò che è capace, in modo non necessario, né
sufficiente, di rispondere del godimento del corpo dell’Altro, risponde: «Non è l’amour. Ma ciò che
l’anno scorso, ispirato in certo modo dalla cappella di sainte-Anne che mi dava sui nervi, mi son
lasciato andare a chiamare l’amur, l’amuro.»15. Che cosa è capace di rispondere del godimento
dell’Altro, in quel momento? «Le condizioni di godimento».16
E ciò che si conta sono i resti, gli avanzi del godimento. È questo reale del mistero del corpo
parlante, mistero dell’inconscio che si scrive nell’amur del (a)sexué. Il godimento dell’Altro non è
segno di amore, è segno di amur. Il godimento dell’Altro non è segno d’amour, è segno d’amur. Io
credo che la lettera d’amur scriva le condizioni del godimento, le scrive come evento, come evento
di corpo (contingenza). È in questo senso che la scrittura della lettera è solidale della funzione dello
scritto nel discorso dello psicoanalista17, che scrive l’S1. In questo discorso in cui si scrive la
funzione della lettera ciò che deve essere privilegiato è la dimensione della sciocchezza. Al
contrario nella lettera d’amore «si vedono i significanti copulare amorosamente con la chiacchiera
proliferante”18, essa segue la via del senso, solidale della metafora dell’amore, vale a dire: del
discorso del padrone (S1 – S2), che non cessa di scriversi (necessario) e nel quale la lettera/causa (a)
è dietro, dietro il muro. Come ho detto prima: ci sono dei muri e c’è l’amur. Il 6 gennaio 1972,
Lacan evoca i versi del poeta «tra l’uomo e l’amore c’è la donna»19, ma nell’evocarli, sbaglia: «tra
l’uomo e la donna c’è l’amore», dice, e aggiunge che si tratta di un problema. Un anno e mezzo
dopo, egli ritorna al destino e al dramma dell’amore e li indica come prodotti del passaggio dalla
contingenza al necessario.
Qui, propongo che la lettera dell’amore, nel suo statuto di lettera si riferisce a «Ce qui de
jouissance s’évoque à ce que se rompe un semblant»20. È così che la lettre d’amur può arrivare a un
dire del «bordo del buco nel sapere».21
L’amore più degno
Ogni amore si origina da un incontro. Se il dramma dell’amore va dalla contingenza al
necessario, l’amore più degno è quello che passa nel tragitto dal necessario al possibile (cessa di
scriversi). Ecco il percorso di un’analisi: dalla chiacchiera dell’amore di transfert di cui l’apertura è
il soggetto supposto sapere, fino all’amore più degno, che del sapere supposto ha constatato
l’insaputo [l’insu], vale a dire, l’intrasferibile. Dall’amore di transfert all’amore più degno si
estraggono le condizioni dell’atto22 per sostenere la realtà sessuale dell’inconscio, in ogni analisi.
Essere zimbello dell’inconscio è saperlo accompagnare a partire da una posizione nella
quale ci si lascia divagare, girovagare, errare. Io credo che questa sia una condizione della
possibilità dell’atto analitico nella direzione della cura, e di conseguenza, la condizione
dell’interpretazione. Divagare girovagando attraverso questo insieme aperto del sapere di ciascuno.
Ecco come possiamo comprendere l’amore più degno. In questo caso, un amore più degno implica
l’etica del ben-dire dell’inconscio che induce il parlessere a incontrare l’insaputo che sa di una
svista va alla morra... (è l’amore, l’amur, il muro).
Una fine di analisi cessa di scrivere il fatto che l’humus umano abbia a che fare con
l’inconscio che lo prende per le sciocchezze del bla bla? No! Allora, che cosa resta per non fare di
questo buco un culto, per non lasciarsi andare a dimenticare il troumatisme? Inventate!- grida quasi
Lacan.
O come dice Manoel de Barros: «Novanta per cento di quello che io scrivo è invenzione.
Solamente il dieci per cento è menzogna». Questa frase fa il titolo della sua disbiografia, e lo porta
a dire «e se vi dico adesso che sono andato alla panetteria, e che ho comprato del pane. È una
menzogna. Io sono qui, non sono andato alla panetteria, non ho comprato il pane. E l’invenzione è
un trucco profondo. Ah, questa cosa che si dice “egli, vuole dire questo o quello”. Non voglio dire
niente, amico mio! Io sto per fare un trucco con le parole e questo sarà come ascoltare musica».
Il non saputo che si sa attraverso il lavoro del transfert è diverso da ciò che si raccoglie come
prova di verità: l’insaputo. Invenzione, creazione. Evocazioni dell’inconscio e dell’amore più
degno, ding, dignità 23.
Un amore più degno ci può permettere di vivere, ci può permettere di godere della
contingenza degli incontri. Questo causa nell’amore. Questo fà causa nella clinica.
Sandra Berta
São Paulo, Giugno 2011
Traduzione di Maria Domenica Padula
1
Lacan, J., «Note italienne», in Autres écrits, Éd. du Seuil, Paris 2001. Vers. It. «Nota italiana», in
http://www.praxislacaniana.it/index.php?ccp=41
2
Idem.
3
Nominé, B., «Amore e sintomo», in Il sesamo dell’inconscio, Intersezioni del Campo lacaniano n° 2, Edizioni Praxis
del Campo lacaniano, Roma Nov. 2009. «Os laços do amor e o nó do sintoma”, in Stylus, revista de psicanálise, n. 16,
maio de 2008, pp. 77-78. (a)
4
Lacan, J., Introduzione all’edizione tedesca degli Scritti, in La Psicoanalisi, Astrolabio, n.3, p. 14
**
[...] Sou um apanhador de desperdícios: / Amo os restos / como as boas moscas. / Queria que a minha voz tivesse um
formato de canto. / Porque eu não sou da informática: / eu sou da invencionática. / Só uso a palavra para compor meus
silêncios. [trad. Ns]
5
Lacan, J., Il Seminario, Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi [1969-1970], Torino, Einaudi, p. 57.
6
Lacan, J., «Résumé du Séminaire: L’acte psychanalytique» [1969], in Autres Écrits, Paris, Seuil, 2001.
7
Soler, C. Lacan, L’inconscient réinventé, Presses Universitaires de France, pp. 21-23.
8
Lacan, J., Le Séminaire, livre XXI: Les non-dupes errent [1973-1974], Édition ALI, Paris, s./d., Cours du
11/12/1973. [trad. Ns]
9
Lacan, J., Il seminario Libro XX, Ancora, Einaudi, Torino, p. 7
10
Lacan, J., Le Séminaire, livre XXI, Les non-dupes errent [1973-1974], Édition ALI, Paris, s./d., Cours du
18/12/1973, p. 64 [trad. Ns.]
11
Dreyfuss, J-P, Jadin, J-M e Ritter, M., Écritures de l’inconscient.
12
Lacan, J., Il seminario Libro XIX-bis, Le savoir du psychanalyste, 1971-1972, lezione 6 gennaio 1971 (inedito). [trad.
Ns]
13
Idem.
14
Suggerisco la lettura del testo di B. Nominé op. cit. e il testo «Champ Lacanien, champ freudien», Heteridade n° 1,
Revista Internacional dos Fóruns do Campo Lacaniano, 2001.
15
Lacan, J., Il seminario Libro XX, Ancora, op. cit. p. 6
16
Ibidem, p. 131
17
Ibidem
18
Ringrazio Conrado Ramos per i chiarimenti riguardo la sua presentazione del capitolo II del Seminario XX, il
13/04/2009, presso il FCL–SP.
19
Lacan, J. (1971-1972) Le savoir du psychanalyste. Édition ALI, s./d., cours du 06/01/1972, p.47.
20
Nominé, B., «Amore e sintomo», op. cit., p.81. Ciò che di godimento si evoca al punto che si rompa un sembiante
21
Lacan, J., «Litturaterre» [1971], in Autres Écrits, Paris, Seuil, 2001. [trad. Ns]
22
Ibidem.
23
Ringrazio Dominique Fingermann per aver puntualizzato la risonanza, l’equivoco di «dignità»
SEGUITI E FINI
Michel Bousseyroux
Seguiti e fini, al plurale: è il caso di dirlo per quanto riguarda l’analisi dell’Uomo dei lupi, di
cui possiamo valutare le ricadute tardive dopo la pubblicazione, nel 1971, quando aveva più di
ottanta anni, dei suoi ricordi raccolti tra il 1958 e il 1970 da Muriel Gardiner, così come dei suoi
incontri tra il 1974 e il 1976 con Karin Obholzer. Conosciamo il seguito della sua analisi con Freud,
come e perché Freud ne abbia affrettato la fine, come e perché abbia preferito, in seguito, dirigerlo
verso un secondo lettino, quello di Ruth Mack Brunswick.
La fine dell’analisi con Freud era un inizio, l’inizio del peggio: essa coincide con
l’assassinio di Francesco Ferdinando, il 28 Giugno 1914, cui seguì la guerra e poi la rivoluzione
bolscevica, che avrebbe fatto perdere al Russo di Odessa la sua patria e tutta la sua fortuna,
risvegliando in lui la beanza immaginaria del fallo. A leggere il resoconto che Freud dà di
quest’analisi nell’ottobre 1914, si misura fino a che punto in quest’analisi è stato necessario che il
desiderio dell’analista passasse di forza. Che l’analisi con Freud sia finita è dovuto a Freud, al suo
desiderio d’analista, che sarà stato di far passare al reale l’istoria della nevrosi infantile di Sergej
Petrov.
Si sa che Freud teneva molto, perché era la sua prova provata contro la teoria di Jung, alla
veridicità cronologica della sua ricostruzione della scena primaria, a partire dal sogno dei lupi
bianchi appollaiati su un albero di noce, che fa leggere, dice Lacan, «la struttura del fantasma allo
stato puro», con la sua finestra spalancata che costituisce per il soggetto entrata nel reale – che resta
ancora da forzare, giacché il suo tappo d’angoscia deve essere bucato.
Ma ciò che prova il reale non è il fatto che il piccolo Sergej sia stato realmente testimone, a
un anno e mezzo, in un caldo pomeriggio d’estate, alle cinque, d’una siesta, sensuale o meno, tra i
suoi genitori. La passe al reale di cui Freud si è fatto passeur è stata possibile grazie all’ultimo
sogno di quest’analisi, quello in cui S.P. sogna di un uomo che strappa le ali a una Espe e dove,
nell’enunciato del sogno, nell’esp di un laps, nello spazio di un lapsus, si elide la W di Wespe,
(vespa), che immediatamente fa capire a S.P. che egli pronuncia le sue stesse iniziali. Questa lettera
W è certo la W di Wolf (lupo), e raddoppia il V romano della quinta ora del fantasma. Essa cifra, in
particolare nel fobia delle farfalle dalle ali a forma di pera, il godimento sessuale come godimento
d’apertura e di strappo. Ma non è per questo, non è per il senso che hanno i numeri al massimo fino
al sei, come sostiene Lacan, che questo numero V è, come la W che l’innalza alla cifra, del reale.
Una cosa è la funzione di godimento sessuale che denuncia il senso del numero apparso con
il disegno del sogno dell’albero carico di cinque lupi. Tutt’altra cosa è la funzione di reale che
prende, come segno del godimento opaco dell’Uomo dei lupi nel suo rapporto con sua madre, la
materialità grafica della lettera W come portatrice di un sapere goduto fuori-senso. Certo, si può
sempre decifrare il senso goduto del desiderio nel sogno dell’Espe come un «Mi strappo a Gruscha
e alla sua minaccia di castrazione» (ciò che fa Freud) o come un «Strappate me, S.P., alla presa di
mia madre!» (ciò che fa Leclaire). Ma, aldilà, ciò che emerge dal semi-detto di questo sogno, è
l’inconscio reale, sapere senza soggetto, ma non senza segno-di-tacere, di cui S.P., l’esp d’un laps,
firma sonoramente («Espe») il poema! Quale sarà stato l’effetto di questa firma del termine
(provvisorio) dell’analisi con Freud? Il suo effetto principale sarà stato, probabilmente, di
annodamento al quinto anello dell’angoscia, dove questa prende allora la sua funzione nodale, come
nominatrice del reale.
Dieci anni dopo, questo reale fa ritorno sul corpo dell’Uomo dei lupi, sulla punta del naso e
attraverso lo specchio, luogo topico della falce del tempo. La regressione topica allo specchio
mortifero fu scatenata dal fatto che nel giugno 1926 Freud domandò all’Uomo dei lupi di
confermargli per iscritto l’esattezza del racconto del sogno dei lupi. Questi gli rispose che la
confermava, e aggiunse anche, a supporto, due ricordi d’infanzia in cui è in gioco la castrazione.
Poco dopo esplose allora un delirio di persecuzione, incentrato su un professore di dermatologia che
gli aveva annunciato che la sua cicatrice bianca sul naso era impossibile da cancellare. Saranno
sufficienti cinque mesi d’analisi con Mack Brunswick (in analisi e controllo con Freud), che seppe
far mostra, dice Lacan, di ciò che i Cinesi chiamano la dolcezza malleabile della donna, benvenuta
nella manovra del transfert psicotico, perché egli guarisse da questo delirio, che aveva preso la
forma di una discreta spinta alla donna (egli utilizzava compulsivamente lo specchio da tasca e il
portacipria di sua moglie).
La caratteristica rimarchevole di questa seconda tranche di analisi è che l’analista è riuscita
non solo a smantellare l’identificazione dell’Uomo dei lupi al figlio prediletto di Freud, ma anche e
soprattutto a rompere l’icona che alienava l’analizzante in un fantasma masochista di Pietà. Lacan
vede bene quando esamina il caso dell’Uomo dei lupi nel suo seminario del 1952-53: Ruth Mack
Brunswick è riuscita lì dove la sorella, allo stesso tempo troppo vicina a lui e troppo vicina al padre,
aveva fallito. Ruth Mack Brunswick dirà nel 1945 che quest’analisi aveva portato nuovo materiale e
ricordi fin lì dimenticati riguardanti sua sorella maggiore Anna. Un sogno di fine di questa tranche
d’analisi, in cui l’analista è raffigurata come un paggio di teatro che il soggetto abbraccia sulle sue
ginocchia, fa passare all’inconscio quel godimento di transfert all’analista nel posto di Anna,
passaggio all’inconscio a partire dal quale l’Uomo dei lupi ritrova una posizione attiva virile che,
facendolo uscire dal godimento passivizzante paranoico, traduce una soddisfazione di fine.
Questo godimento allo specchio aveva la sua impronta letterale in un gioco infantile che
l’Uomo dei lupi racconta alla giornalista Karin Obholzer. Anna, che aveva sempre paura d’avere il
naso rosso, giocava a domandare incessantemente al fratellino: Esanetor? Era il palindromo di rote
Naze, naso rosso in tedesco. Ora, la finale tor di questa parola d’ordine, rilevano Nicolas Abraham e
Maria Torok, è un significante de lalingua madre russa che è il passato di un verbo che, in russo, è
omofono di «sorellina» e che significa sfregare, ferire, lucidare.
È, dunque, proprio in questa scena allo specchio dei giochi proibiti di infanzia che si giocava
già, attorno all’età di tre anni, nella commutazione tra la T e la R del suono rot del tedesco al suono
tor del russo, la passe precoce a lalingua — a lannalingua — del piccolo Sergej.
Traduzione di Gaetano Tancredi
Riletta da Fulvio Marone
J. Lacan, «Introduzione all’edizione tedesca degli Scritti», in La Psicoanalisi n° 3, Astrolabio, Roma 1988,
p. 10.
ARGOMENTO
III° Incontro Internazionale di Scuola
Cité des Sciences et de l’Industrie
«L’analisi, i suoi fini, le sue conseguenze»
Lo spirito dell’Incontro:
Per tre giorni, a Parigi, avremo l'occasione di riunirci e confrontarci sul tema scelto a Roma
nel luglio 2010: è innanzitutto un invito a testimoniare, interrogarsi e sviluppare questa
problematica d'attualità per la nostra Scuola, che rappresenta una scansione nel lavoro di riflessione
sull’esperienza della passe, dopo Roma e prima di Rio de Janeiro.
Il tema è di grande interesse e molto rilevante, sia dal punto di vista della seriazione delle
esperienze che dei risultati; da questi ultimi emerge l’apertura epistemica introdotta dalla
«positivazione della fine dell’analisi» partendo dalla soddisfazione finale ottenuta, quale affetto
positivo di conclusione. Si tratterà di allineare i risultati e le opzioni. L’Incontro si svolgerà alla
luce dell’esperienza: esperienza della passe fatta sulle due rive dell’Atlantico, che dura ormai da un
decennio. Nel rispetto delle particolarità storiche e analitiche locali, e in linea con le nostre scelte,
potrà emergere una migliore omogeneità delle prassi e delle designazioni fra le varie zone
geografiche: condizione sine qua non affinché l’esperienza internazionale della Scuola continui a
produrre un insegnamento vivo.
Il tema permetterà, visto che la passe costituisce il cuore della Scuola, di esaminare le varie
modalità di fine analisi e le conseguenze, e di proporre alcune idee che giustificano il titolo
dell’incontro: esiste un dopo-passe che riguarda la vita del passante, la Scuola, e più
fondamentalmente la trasformazione del rapporto di ciascuno con l’analisi.
Per facilitare il lavoro, l’Incontro verrà diviso in due tempi:
Una prima giornata, il venerdì, con il titolo: «La Scuola alla prova della passe» sarà dedicata
a un dibattito sul passeur e sull’AME. Il dibattito sarà organizzato intorno a due tavole rotonde di
circa 3 ore. Brevi interventi introduttivi saranno seguiti da un ampio dibattito per il quale
attendiamo il contributo degli AME e dei passeur, in particolare, ma anche di tutti coloro che
partecipano a questo lavoro di Scuola (passanti, AE, membri). Il programma è definito partendo
dalle proposte dei colleghi di tutte le aree geografiche, inserite proporzionalmente all'importanza
numerica di ogni zona.
La seconda e la terza giornata saranno dedicate a presentazioni sul tema generale «L’analisi,
i suoi fini, le sue conseguenze»; il programma sarà definito partendo dagli interventi proposti in
risposta ad una richiesta di comunicazione. Ricordiamo che queste giornate sostituiscono le
Giornate Nazionali dell’EPFCL-Francia, di cui riprenderanno la struttura. Il pomeriggio del sabato,
gli interventi saranno suddivisi in più sale, al fine di poter ascoltare le presentazioni di membri dei
vari paesi che partecipano all'Incontro, mentre la mattina del sabato e la domenica saranno riservate
agli interventi in plenaria.
Le problematiche dell’Incontro Internazionale della Scuola: «L’analisi, i suoi fini, le
sue conseguenze»
Venerdì 9 dicembre: La Scuola alla prova della passe
La problematica è chiara, è emersa già a Roma, la questione riguarda tutta la Scuola e si
tratterà di rispondere a due domande seguendo un filo conduttore che tende ad un’omogeneità nelle
designazioni in tutte le zone, al fine di rafforzare la dimensione internazionale della Scuola
– Il passeur: Cos’è un passeur? Effetti della testimonianza sul passeur? Cos’è una buona
testimonianza?
– L’AME : Designazione degli AME? Quando e come designare un passeur? La
passe cambia gli AME (rapporto degli AME con la scuola)?
Sabato 10 e domenica 11 dicembre: 2° e 3° giornate internazionali.
Mentre a Roma, durante il II° Incontro Internazionale di Scuola, lalangue, il Reale e la
nuova definizione dell’inconscio (il parlessere) sono stati ampiamente trattati dalle varie
comunicazioni, questo terzo Incontro, nella continuità dell’esperienza della Scuola, dovrebbe
concentrarsi su una positivazione dei risultati dell’esperienza, alla luce delle riflessioni epistemiche
fondate sugli ultimi testi di Lacan (istorizzazione, affetti di fine analisi, Reale tappo).
L’analisi non è interminabile, né destinata a concludersi nella depressione o nell’esaltazione,
nel dolore o per defezione. La fine dell’analisi non è più un mistero, ineffabile, artisticamente vaga.
È soddisfazione, soddisfazione urgente. L’inconscio reale, lalingua e questo affetto di soddisfazione
(di cui dovremo esaminare le forme, i modi di renderne conto, il contributo dei cartelli della passe)
danno all'analisi una fine (ma anche una prospettiva, un punto di mira, uno scopo) molto più
attraente delle negatività della struttura, dei tormenti della castrazione o della religione del buco. È
in questo senso che il testo della «Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI» estende e
trasforma le conclusioni dei testi dello Stordito e della «Nota Italiana»: alla fine, l’accento è posto
meno sulle perdite e le cadute e più sull’individuazione di una soddisfazione che rende l’analisi
un’esperienza di mutazione dell’affetto, esperienza che riguarda il vivente, esperienza di vivere:
prospettive dinamiche per una «analisi viva» che lascia presagire che la passe attraverso il Reale
non conduce né al solipsismo, né al cinismo, ma al contrario alla possibilità di creare una comunità
– internazionale – da frammenti disgiunti: conseguenze politiche che la Scuola dovrà esaminare.
Dopo aver conosciuto, a seconda delle epoche, vari «modelli» di fine: traversata del
fantasma, identificazione al sintomo, assunzione della castrazione, ci troviamo oggi davanti a una
questione cruciale: qual è la nostra concezione del Reale? Si tratta solo del reale legato agli effetti di
linguaggio, oppure l’affetto della fine ci indica che l’analisi tocca il Reale del vivente?
L’elaborazione dei godimenti ai quali si trova confrontato il parlessere consente di far emergere
una nuova economia attraverso l'esperienza di un’analisi? La borromeanizzazione di RSI può
autorizzare una nuova lettura del Reale? Come si articola questo Reale del vivente con il sapere
dell'inconscio?
Solo la psicoanalisi, fra le discipline del sapere, ha situato correttamente il registro della
mancanza e della perdita, ma dice anche (è quanto sviluppa Lacan nei testi degli anni Settanta) ciò
che può essere ottenuto con l’esperienza: il positivo, il “più” e le conseguenze che l’analisi
comporta per chi la intraprende e la porta termine: affrontare, costruire una risposta singolare agli
avventi del Reale.
Siete calorosamente invitati a partecipare a queste giornate che, se sappiamo coglierne
l’occasione, possono essere un grande evento, in attesa di ritrovarci a Rio de Janeiro a luglio 2012
con il tema: «Che cosa risponde lo psicoanalista? Etica e clinica.»
Albert Nguyên