Genere: Epica

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Genere: Epica
Genere: Epica
I GENERI (III): L’EPICA
a) Le origini
La Poetica di Aristotele, o meglio la parte che ci è pervenuta,
tratta soprattutto della Tragedia. I
riferimenti alla Commedia
sono sparsi un po’ ovunque e quasi sempre contrapposti per
struttura a
quelli della Tragedia. Ma c’è un altro
genere, per certi versi intermedio, e cioè L’Epopea,
o il
racconto Epico, che risulta piuttosto difficile da interpretare
nel testo di Aristotele, tanto scarsi sono i passi
che ne parlano.
Dico
genere intermedio perché lo stesso Aristotele lo definisce
così. Per esempio in riferimento all’
Odissea,
scrive: “ Il
diletto che questa forma di intreccio produce è estraneo
alla Tragedia e proprio
piuttosto della Commedia” . Secondo
Aristotele questo “diletto” è frutto di un diverso
atteggiamento, nei confronti del pubblico, degli autori di poemi
epici rispetto a quelli di componimenti
tragici. “ I poeti
seguono gli spettatori e compongono secondo i loro gusti”.
Ne nasce un racconto antitetico: i cattivi vanno incontro a un
destino tragico, mentre i buoni
trionfano. Dunque: “soluzioni
sdoppiate.”
Ma noi possiamo dire anche (indipendentemente da Aristotele anche
se certe sue allusioni
portano in questa direzione) che persino
l’eroe vive sdoppiato. Prendiamo Ulisse. Sappiamo che la
sua principale qualità è l’astuzia. In quanto
tale è un personaggio da Commedia. Prima di tutto l’autore
ne ha fissato la maschera, il carattere. Gli eventi che seguono
servono a mettere in luce questo
carattere: è infatti grazie
alla sua astuzia che Ulisse conquista Troia ideando il cavallo,
sconfigge
Polifemo, resta immune dal canto delle sirene, si infiltra
(travestito da mendicante) nella sua reggia per
sconfiggere i Proci.
D’altro canto, ciò non impedisce che nel corso del
racconto Ulisse non sia
spesso travolto dagli eventi e dal Destino:
gli Dei interferiscono continuamente con la sua vicenda, per
esempio
lo respingono mentre si sta avvicinando a Itaca, facendolo naufragare.
Ma anche gli altri
personaggi gli danno filo da torcere: Circe è più ingannatrice
di lui (è capace di trasmutare i suoi uomini in
porci),
Calipso lo “strega” con l’amore eccetera. Inoltre
nella struttura del poema, ci vengono
raccontate due storie in
parallelo: le avventure vere e proprie di Ulisse, rievocate da
lui stesso, e
le sue avventure ricostruite dal figlio Telemaco
che lo cerca e ne sente raccontare le imprese da altri.
Ulisse è insomma
al contempo soggetto attivo e passivo della vicenda, narratore
e narrato, attore
e agito. Conduce la vicenda come un personaggio
della Commedia e ne viene spesso travolto come un
personaggio della
Tragedia.
Un’altra notazione interessante riguarda la struttura narrativa.
Il racconto epico vive di una serie di
episodi inanellati. In altre
parole è condotto per frammenti (come le prime rappresentazioni
comiche che non disegnavano una storia compiuta). “La poesia
epica” scrive Aristotele “ è costituita di
molte
azioni”. In riferimento all’Iliade e all’Odissea,
precisa che sono divise in parti, “ciascuna con
la propria
estensione” , ma d’altro canto i due poemi sono costruiti
in modo perfetto perché
queste singole parti sono momenti
di “un’unica azione.” Se dunque l’Epopea
ha una minore unità,
tuttavia essa consente, rispetto alla
Tragedia, uno sviluppo maggiore del racconto, perché il
suo
racconto non mira esclusivamente a raggiungere “il fine” .
Se una Tragedia venisse strutturata come un
poema epico, ne verrebbe
fuori “un poema striminzito” oppure “una tragedia
prolissa”. Insomma,
la Tragedia , come abbiamo visto, ci
presenta una vicenda nella quale i fatti sono necessari,
consequenziali
e sono anche selezionati: cioè raccontiamo soltanto i fatti
che ci interessano per
raggiungere il fine che ci siamo proposti
(cioè il contenuto “elevato”). Quelli che chiariscono
esemplarmente il focus del discorso che stiamo conducendo. Quelli
in una parola, Importanti. Ciò non
basta per un racconto
epico. Il poema durerebbe troppo poco. D’altra parte, se
dilatassimo il
racconto tragico alle dimensioni di un poema, ne
verrebbe un racconto sbrodolato: i fatti sarebbero troppo
pochi
per poter intrattenere a lungo il pubblico. Rallentarli o dilatarli
intrattenendoci per troppo
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tempo su ciascuno di loro non è una
soluzione efficace: si indebolirebbe la forza espressiva e prevarrebbe
la noia. Il racconto epico si concede invece digressioni, mutamenti
di tono, vicende collaterali e
parallele, ritorni indietro, salti
narrativi, alterazioni di ritmo, mutamento di soggetto (antagonista
che diventa protagonista , protagonista a volte assente o semplicemente “evocato” dagli
altri, eccetera). In
termini moderni: Avventure. Le Avventure dell’eroe
sono segmenti, singoli racconti nel racconto, episodi.
Nel dipanarsi
di queste Avventure, il protagonista agisce e subisce, patisce
e crea patimenti. Ma
la direzione del racconto, nel suo insieme, è assecondare
i desideri del pubblico. La Commedia può
tranquillizzare,
ma anche scuotere le coscienze e creare scandalo. La Tragedia può farci
riflettere, sublimare la sofferenza, consegnarci alla rassegnazione
o suscitare indignazione contro
l’ingiustizia. L’Epica è celebrativa,
ma celebrando in apparenza l’Eroe e le sue Imprese, celebra
invece la pura e semplice corrispondenza dell’autore e dell’opera
alle aspettative del pubblico. Un
pubblico consapevole di essere
di fronte a un puro Spettacolo che non rimanda ad altro che a se
stesso. Non “imitazione” della realtà, dei caratteri
o delle emozioni, ma finzione assoluta.
b) James Bond
Per chiarire quanto detto sopra in termini moderni e spero a tutti
comprensibili, prendiamo a
modello i film di James Bond. James
Bond, come personaggio, è un tipico personaggio da Commedia:
le azioni si modellano sul suo carattere. Sappiamo che è abilissimo
con le armi, è un guidatore
spericolato, ha un incredibile
successo con le donne, ha gusti raffinati, frequenta le case da
gioco
ed è imbattibile al tavolo verde eccetera. In ogni
suo film ci sono situazioni, occasioni, in cui egli mostra
queste
sue capacità. In altre parole: tutto è dato a priori.
Persino le attrezzature che gli vengono
consegnate prima di una
missione entrano a far parte, una volta nelle sue mani, delle sue
qualità:
che si tratti di un’auto con mitragliere
o di una penna stilografica dagli effetti esplosivi, non succede
mai che uno strumento consegnato a James Bond non venga usato nel
film. Uno potrebbe chiedersi: ma
i reparti tecnici dei servizi
segreti come facevano a sapere prima ancora che iniziasse la missione
che quei loro gadget si sarebbero rivelati utili? Domanda realistica,
indubbiamente, ma insignificante dal
punto di vista della Commedia.
I gadget sono estensioni meccaniche delle qualità del personaggio
e la vicenda deve mostrarne il completo dispiego. La vicenda non è altro
che la messa in scena delle
qualità (accessori inclusi)
del protagonista.
Inoltre, il racconto, nei film di James Bond, procede per frammenti
che sono vere e proprie
vicende a se stanti, a cominciare dal celebre
episodio d’inizio, già in piena azione, che è spesso
un prologo del tutto sganciato dalla vicenda che segue, una sorta
di film a sé, di film nel/prima del film. Ma
anche il resto
della narrazione è un susseguirsi di scene in cui si cambia
di continuo paesaggio e
ambiente, in una serie di episodi separati
e rappresentati in scenari esotici sparsi per tutto il globo.
Allo stesso tempo, però il racconto nel suo insieme (il
film dall’inizio alla fine) ha una sua
scansione ferrea che
inghiotte completamente il protagonista, proprio come un Destino:
a partire
dall’ufficio del suo capo a Londra (dove James
Bond come un qualunque impiegato di concetto fa una
corte discreta
alla segretaria del capo, che in azienda è sempre saggio
avere dalla propria parte),
dopo una serie di inseguimenti/vacanze
nei luoghi più spettacolari del mondo, la vicenda si conclude
sempre in un gigantesco laboratorio clandestino. Qui James Bond
(hanno fatto notare alcuni critici) non
solo incontra il suo nemico
(capo della Spectre o dell’organizzazione para-terroristica
di turno),
ma il suo nemico simbolico: il Lavoro di Fabbrica. Nei
grandi laboratori infatti troviamo sempre
un’imponente maestranza
al lavoro, uomini in tuta (senza che sia mai chiaro se sono schiavi,
tecnici d’alto livello, normali salariati o cosa). In altre
parole (e sta qui il lato Tragedia del racconto) ogni
volta James
Bond , per quanto protagonista assoluto, si ritrova incasellato
nella stessa identica
vicenda a tappe: Impiegato Statale / Impiegato
in Vacanza-Lavoro a spese della Regina cioè dello Stato/
Prigioniero e Fuggiasco dall’aborrita Fabbrica o Impresa
privata, anzi privatissima, multinazionale,
tanto tecnocratica
quanto criminale. Un film di James Bond che non raccontasse questa
storia/apologo, non sarebbe più un film di James Bond.
James Bond non potrà mai essere fino in fondo un personaggio
Tragico, perché nella vita (imitata
dalla Tragedia) gli
eroi veri soccombono, mentre qui, e proprio per assecondare i sogni
del
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pubblico, trionfano, devono trionfare. E inoltre l’eroe
trionfa in quanto singolo, in quanto individuo
contrapposto alla
massa. Ciascuno degli spettatori deve sentirsi gratificato. Non è il
Servizio
Segreto (organizzazione di impiegati di Stato) né tanto
meno l’Inghilterra a trionfare, è James Bond. Non
un’entità collettiva, ma una proiezione dei desideri
del singolo spettatore-medio.
Allo stesso tempo, l’effetto Catarsi è completamente
assente. Alla fine il pubblico non si sente
sollevato perché ha
partecipato a un’emozione (felice/infelice) senza subirne
i rischi, ma si sente
gratificato perché ha ceduto se stesso
(le sue aspirazioni) all’eroe, lo ha eletto suo simbolico
rappresentante/vincitore, per poi tornare più o meno rassegnato
alla sua solita e normale vita da perdente.
Il racconto epico contemporaneo,
celebrando il Successo, non ne vanta affatto l’ipotetica “possibilità per
tutti”. Si tratta sempre del Successo Altrui (e di un Altro
dalle qualità super-umane, il che ci esonera
anche da ogni
proposito di imitarlo). Da pubblico idolatriamo quelli che hanno
avuto Successo,
plaudendo al loro Successo, come se fosse un nostro
(simbolico) Successo. Ma sappiamo sotto sotto che
non esiste né il
nostro, né il loro (non in termini assoluti almeno: gli
idoli di massa infatti crollano
uno dopo l’altro e di continuo,
restano Idoli fin quando sono simulacri, crollano appena vengono
percepiti come esseri umani). Celebriamo insomma il Successo come
Finzione. L’uno non è separabile
dall’altra.
Estraneo indubbiamente alla Tragedia, il film d’Azione alla
James Bond (ma si potrebbe anche
dire alla Rocky o alla Die
Hard)
non ha nemmeno la corrosività, la propensione alla satira
dei costumi sociali e dei ruoli, propria della Commedia. I film
d’Azione (anche i più apparentemente
realistici) sono
Finzione Assoluta, bi-direzionale: dallo schermo al pubblico, dal
pubblico allo
schermo. E quando si scrive, questo bisogna tenerlo
sempre presente. Possiamo certo sforzarci di
rendere più umano,
più fallibile, il protagonista, possiamo rappresentare l’azione
in maniera più
realistica, ma protagonista e azione, in
un film di ispirazione epica, sono pura invenzione favolistica.
Non c’è il minimo rapporto (se non traslato) con la
realtà, né con la verità, e spesso neppure
con la semplice plausibilità. Questo genere di film d’azione,
che è poi il mainstream dell’Action Movie, non
ha
bisogno di giustificare nulla, non richiede (come il Mistery per
esempio) delle Spiegazioni.
Accadono cose da pazzi per motivi risibili,
detti o non detti, o per nessun motivo, ciò fa ben poca
differenza. Non ci interessa perché una cosa avviene, ma
il semplice fatto che avvenga. L’Azione si
spiega da sola:
accade dunque è. Se un’azione ha bisogno d’essere
spiegata, allora non è
un’azione da film d’azione.
Allo stesso tempo, come spiega Aristotele, nel racconto Epico le
azioni non hanno alcun bisogno
(come nella Tragedia) di essere
concatenate. Possono anche restare ciascuna a se stante e non
determinare
conseguenze. Bruce Willis resta ferito cento volte in un film della
serie Die Hard, ma
ogni volta si riprende con maggiore vigoria
di prima. Quell’irresponsabile di James Bond si mette a guidare
un carro armato in piena Mosca, abbatte monumenti e interi palazzi
solo perché deve
raggiungere (o fuggire dal) nemico. A nessuno
frega niente di sapere se nel palazzo abbattuto vivevano
delle
persone. Nessuno si irrita per il fatto che venga distrutta un’opera
d’arte. Insensibilità etica?
Può darsi. In
realtà quest’insensibilità sussiste non perché gli
autori del film abbiano rinunciato a
proporre queste insensate
distruzioni come metafora dell’atteggiamento (molto simile)
dei Militari
nei paesi occupati. Questa metafora, se anche ci fosse,
non sarebbe avvertibile dal pubblico. Quando in
una guerra accadono
disastri di questa natura, subito suscitano polemiche e giusto
sdegno.
Come mai al cinema , di fronte a questo genere di film,
non suscitano alcuna reazione? Perché si sa che
è tutto
finto, tutto gratuito, tutto falso, che nessuno si fa male, che
nulla viene realmente distrutto,
che è tutto assurdo e senza
altra logica che quella dell’Azione fine a se stessa. L’etica
non
c’entra nulla. Non fa parte del racconto. L’etica
esiste finché un’azione la si fa per un motivo , finché
possiamo
chiederci se questo motivo è giusto o sbagliato. Ma se l’azione è motivata
solo da se
stessa, non è proprio possibile porsi interrogativi
morali.
Il pubblico tutto questo in qualche modo lo sa: sa che il film
d’azione è pura finzione, sa che non
va giudicato
né sulla base della logica, né della morale. Sa che
funziona così e pretende il
rispetto di questa regola di
base. Per riprendere Aristotele, il genere Epico dipende più di
ogni
altro dalle aspettative del pubblico e dalla capacità degli
autori di soddisfarle. Certo, nel tempo queste
aspettative possono
sottilmente mutare. C’è una grande differenza tra
l’uso consapevole e critico
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di strutture di genere che abbiamo
ereditato dalla tradizione e che mantengono comunque una loro fissità
(delle “regole” fondanti),
e l’abuso degli stereotipi, cioè quel tipo di “ripetizione
dell’identico”, di
eterno “remake”, che
spesso porta a riesecuzioni del tutto scolastiche e meccaniche,
incapaci di
adeguare il modello originale ai sottili cambiamenti
della sensibilità collettiva. Questo secondo modo, è tra
l’altro il modo più infallibile per tradire l’originale.
Non c’è copiatore peggiore di chi non sa copiare.
In questo caso, nel caso dei film d’Azione, ciò che
si deve imparare a copiare, attraverso il
modello e la sua re-interpretazione, è qualcosa
che non ci appare sullo schermo, ma che lo attraversa: la
consonanza
con il pubblico.
ESERCIZIO
Studiate un film recente che cita esplicitamente il modello Bond
, ma in qualche modo ne prende
le distanze ponendo al centro del
racconto il tema dell’Identità (tema che certo Bond
non si è mai
posto). Mi riferisco a The Bourne Identity
(2002)
di D. Liman. Esaminate nel carattere del
protagonista e nella struttura
narrativa, analogie e differenze dal modello Bond.
Può essere molto
utile per verificare come nel tempo certi
elementi drammaturgici di fondo permangano, ma come anche
debbano
necessariamente cambiare, di fronte alla differente sensibilità non
solo dell’autore, ma
del pubblico, molto cambiato dagli anni
'60 ad oggi.
Nella prossima lezione, dopo la pausa estiva, riprenderemo l’esame
dell’Action Movie, che
approfondiremo anche in esempi non
riconducibili al Modello James Bond, e mettendolo a confronto con
l’Horror. Cercheremo di capire come vivano/convivano, come
si contrappongano e si mescolino, in
questi due generi e nei loro
personaggi, gli opposti della Tragedia e della Commedia .
14° Lezione di Gianfranco Manfredi by www.gianfrancomanfredi.com
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