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Foto di copertina © Alfred Koch - Fotolia.com
ISBN 978-88-97659-07-5
I racconti di quest’opera sono frutto di fantasia dell’Autore che è
stata ispirata alle crociate. Ogni riferimento a nomi di persona e
cose, siano essi realmente esistiti od esistenti, è da considerarsi
puramente di fantasia e/o casuale.
È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per
l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che
non sia la lettura privata devono essere autorizzate per iscritto
dall’Editore.
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Dedicato a chi ha creduto in me
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CRISTINA SCIARRA
Deus Vult
Morgan Miller Edizioni
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Prologo
Foresta di Nîmes, 1063
Alberi immensi si stagliavano verso l’alto come imponenti
torri. Le chiome, non più rigogliose, velavano la luminescenza
della volta celeste rendendo la vegetazione sottostante opaca,
smorta. Le foglie raggrinzite cadevano dagli alberi improvvisando
un sinuoso e zigzagante balletto mentre lentamente si adagiavano
prive di vita sul terreno. Gli uccelli pigolavano debolmente
posandosi da un albero all’altro, scrollando le loro piume
intirizzite. Ogni cespuglio, ogni fronda di quegli enormi fusti si
piegava sotto i continui soffi di vento freddo.
Un giovane e paffuto frate avanzava a rilento lungo il
viottolo della selva. Il sottobosco scricchiolava sotto i suoi passi
lenti ed esitanti. I suoi occhi spalancati scrutavano ogni cosa, in
ogni direzione. A ogni piccolo fruscio il cuore gli sobbalzava nel
petto, e subito si stringeva nel suo lungo mantello di lana e si
sistemava il cappuccio, abbassandolo davanti agli occhi come per
schermarli da una possibile visione spaventosa.
Una smorfia di paura era scolpita sul suo volto arrossato e
screpolato dalle continue sferzate di aria fredda. Poi,
improvvisamente, un urlo agghiacciante squarciò quell’angolo di
quiete e il terrore e lo sgomento esplosero dentro di lui.
Sentiva le viscere contorcersi per la paura. Spaventato e
col cuore in gola, si avvicinò cautamente seguendone la
provenienza. All’ombra di una grande quercia una donna stava
partorendo.
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Rimase nascosto nella semioscurità, l’eccitazione
aumentava. Estasiato, come dinanzi a un’apparizione divina,
rimase a contemplare il miracolo della vita.
Accanto alla donna, stremata dal dolore, due uomini
cercavano nervosamente di darle aiuto e conforto, tentando in
ogni modo di tranquillizzarla comportandosi come due levatrici.
«Hugh cosa devo fare?». Domandò uno dei due, angosciato.
«Restate vicino a lei, il bambino sta per nascere». Rispose Hugh
mentre, ansioso e tormentato, calpestava il terreno intorno al
piccolo falò su cui era adagiata una tinozza con dell’acqua.
La donna si lamentava, piangeva, gemeva. Gocce di sudore
spuntavano sul viso contratto.
Respirava in rantoli rapidi e brevi.
Per un fuggevole attimo il giovane frate sentì conflagrare
dentro di lui l’istinto di correre verso la donna, aiutarla,
confortarla, ma la mancanza di coraggio e determinazione smorzò
quell’impulso e il frate continuò a fissare la scena al buio,
occultato dietro una macchia di alberi.
Poi, un ultimo urlo sofferente; una piccola testolina
sgusciò tra le gambe della donna.
«Gerard, sorreggete il piccolo». Spronò Hugh.
L’uomo si chinò e, tremando, sostenne la testolina con
una mano mentre, lentamente, il resto del corpo sgusciava fuori.
Premurosamente mise le mani sotto i fianchi del piccino e
lo tenne mentre le gambette minuscole scivolavano fuori, nel
mondo freddo.
I due uomini si guardarono ma non una parola, non un
gesto.
Gerard esitante si voltò verso Hugh «Il cordone ombelicale
… dobbiamo tagliarlo!».
Lentamente e delicatamente Hugh prese il cordone tra le
mani e dopo averlo annodato prese il coltello e lo tagliò al di sotto
del nodo.
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Gerard tenne il piccino contro il petto.
«Devo lavarlo. Devo pulirlo». Disse l’uomo scrutando il piccolo il
cui corpo era cosparso di una sostanza gelatinosa.
Hugh intinse uno straccio nella tinozza e glielo passò;
Gerard delicatamente cominciò a lavare il piccino. Prima
accarezzò delicatamente il visino poi passò per tutto il corpo. Allo
stesso modo lavò le gambe della donna completamente
insanguinate.
Mise fra le braccia della donna esausta il bimbo che
strillava ancora. Poi la boccuccia trovò subito il capezzolo della
madre e le urla del bimbo tacquero. Cominciò a poppare.
Madre e figlio sonnecchiarono per un po’, quindi la donna
riaprì gli occhi.
Gerard mise il piccino in una copertina, lo fasciò ed
esitando lo posò tra le radiche dell’immensa quercia.
Gli occhi dell’uomo erano spalancati dall’orrore mentre, con un
vuoto immenso nel petto, osservava il piccino.
Si allontanarono velocemente dal piccolo che piangeva a
dirotto e man mano che procedevano il pianto divenne sempre
più flebile, lontano.
Il frate assistette incredulo alla scena, immobilizzato,
impossibilitato a intercedere per il bene del pargoletto. Poi, non
appena i tre si allontanarono, con un'inezia di coraggio, si avvicinò
vacillante al piccolo fagottino abbandonato a se stesso
rammaricandosi di non essere intervenuto subito; forse il bimbo
avrebbe ancora una famiglia. Pensò che avrebbe potuto acciuffare
quelle persone ignobili e consegnarle alla legge. Dopotutto era
anche quello il suo compito, doveva difendere i più deboli, ma
ormai era troppo tardi, la donna e quegli uomini erano lontani da
quel posto e a nulla valeva ora rimuginare sul passato.
Lo prese tra le sue braccia e con mano incerta sollevò
un’estremità della coperta. Scorse un visino roseo e aggrinzito,
una bocca aperta e sdentata, una testolina calva. Scostò un po' di
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più la coperta e vide le spalle fragili, le braccia che si agitavano, i
pugni chiusi. Poi un ultimo controllo svelò che era un maschietto.
«Ci prenderemo noi cura di te! Non preoccuparti piccolo!».
Nascosti nella profondità della foresta, i tre osservarono
sorpresi e spaventati quel giovane frate.
La donna, provata dall’immane sforzo, a stento riusciva a
tenersi in piedi e alla fine, stremata, cadde a terra svenuta.
Gerard si avvicinò a lei e dolcemente cominciò ad
accarezzarle il volto. Una lacrima rigò il suo viso.
Straziato dal dolore, Gerard si allontanò dalla donna e scattò in
avanti per correre dal piccolo.
«No, non potete farlo! Abbandonare un neonato è considerato
omicidio! Andiamo subito via da qui! ». Disse Hugh, trattenendolo
per un braccio.
«Mio Dio, cosa abbiamo fatto. Non dovevamo abbandonarlo,
potevamo trovare altre soluzioni».
A quel punto Gerard comprese che non c’era più null’altro
da fare e, schiacciato dal senso di colpa, si voltò verso Hugh e con
un cenno del braccio gli ordinò «Segui quel frate e scopri dove
porta mio figlio!».
Hugh senza proferir parola ubbidì e come una serpe
scivolò tra la vegetazione e si allontanò.
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