Scheda Angela Vettese - Fondazione Antonio Ratti

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Scheda Angela Vettese - Fondazione Antonio Ratti
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Fieramente in vendita pubblicato in Domenica del Sole 24 Ore, 18.01.2009
“Ma è meglio – mi dirai – spendere soldi per comperare libri, piuttosto che per accogliere bronzi di
Corinto o Quadri”. Così recitava Seneca, fingendo un contraddittorio, nel IX capitolo de La tranquillità dell’animo. Già dai tempi della romanità, chi comperasse opere d’arte con la smania di accumularne veniva visto come persona fatua.
In altri tempi, Andy Warhol fu un bulimico dell’acquisto, nell’arte così come nelle manifatture pregiate, e si narra che avesse un intero palazzo pieno di casse e imballi con opere mai guardate dopo
averle pagate.
E uno stesso disagio che assume mille volti: dai collezionisti che nascondono i loro averi, agli artisti
che fanno ironia sulla loro propensione alla vendita. Banksy, lo Street artist più noto del momento,
si fa beffe dei suoi eventuali acquirenti sul suo sito ufficiale, dove appare una vetrina in cui legge:
«Attenzione, nessuno degli oggetti qui in vendita è stato realizzato o autorizzato da Banksy, con
l’eccezione di questo cartello». Un simile sarcastico vituperio del mercato lo realizzò del resto in
altri tempi il francese Vautier, coni suoi chioschi carichi di souvenir firmati Ben per collezionisti
avidi e polli.
Ma c’è poco da ridere. Tutti sanno che avere un mercato è sempre stato necessario.
Per concedergli i «quindece ducati al mese de provisione», Lodovico Gonzaga pretendeva da Mantegna che ritraesse persino «due galine de India del naturale che le voressimo far mettere suxo la
tapezaria nostra». Tra i motivi più cogenti per cui nacquero i Salon des Independents a Parigi, le
Secessioni dell’area germanica, le fondazioni italiane come l’opera Bevilacqua La Masa di Venezia
che si opponeva alla coetanea Biennale, ci fu la necessità di trovare luoghi di vendita alternativa a
quelli del mercato ufficiale non appena i rapporti di compravendita iniziarono a nascere sulla base
di opere “pret à apporter”: non più fatte su commissione ma esposte in una rassegna periodica,
possibilmente statale e convalidate da una critica capace di costituire una garanzia. Se un artista
non veniva accettato dalle mostre ufficiali, la sua possibilità di vendere (quindi di vivere del proprio
lavoro) era bassissima. Unica alternativa al morir di fame e di depressione, come più o meno capitò
a Van Gogh, a Modigliani e ad altri eroi, era lasciare colori e scalpelli per dedicarsi a mestieri più
prosaici.
Le mostre, è notorio, sono nate quasi tutte sul modello delle fiere, da quelle agricole agli Expo internazionali. La Biénnale ebbe il suo ufficio vendite fino agli anni della contestazione, con un Ettore
Gianferraxi deus ex machina dietro al bancone che non soltanto incassava, ma consigliava e quindi
condizionava. Fu sapendo che non c’era speranza di spuntarla in luoghi di vendita ufficiale che quei
monelli dei dadaisti si inventarono nel 1920 la Erste internationale Dada Messe di Berlino, con tanto
di catalogo con grafica di John Heartfield e dichiarazione ufficiale di Raoul Haussmann.
Il confine tra mostra e fiera è così sottile da non balzare chiaramente agli occhi nemmeno tra le fila
delle più accese avanguardie storiche. Solo con la mercificazione galoppante degli anni Sessanta si
raggiunsero eccessi che imposero di cambiare le cose o almeno di guardarle in faccia. La forte bora
anticapitalista di quegli anni cercò di togliere di mezzo l’idea che l’opera potesse essere un investimento speculativo. È appunto per indidicare l’anomalia di un plusvalore che cresce senza motivo
– e anche senza l’artista ne possa godere – che l’artista Hans Haacke ha preteso di avere, per ogni
vendita di una sua opera, una parte di proventi per sé alla stregua di diritti d’autore.
Cercando di fuggire ogni versante borghese del successo, molti artisti hanno cercato escamotages
come mettere la propria vecchia automobile in un’opera ( lo fece Mario Merz in una famosa installazione ambientale) in modo da scoraggiarne la vendita. Tranne poi immettere sul mercato disegni
e altre piccole cose, spesso richieste da quei mediatori pazienti, imploranti e solo apparentemente
bastonati che sono i galleristi più scaltri.
Tra Fiera e mostra il posto dove si vende e dove si espone, si è cercato di mettere barriere che non
agiscono nelle gallerie private ma che oggi, dopo un processo di demonizzazione del mercato che
va di pari passo con l’aumento delle cose vendute per volume e per prezzi, sono la norma per tutti i
musei pubblici. Vendere nei nuovi templi è proibito, tranne in quegli angoli di concessione alla bassa
materialità che sono i bookshop e gli art shop. Ma il denaro si vendica.
Le fiere che riuniscono le gallerie private (organismi tanto nomadi e duttili quanto invece sono
stanziali i musei) per essere competitive tra loro e attirare un pubblico vasto hanno raggiunto un’articolazione culturale difficilmente reversibile. La crisi ne asciugherà certo il numero, l’euforia e i
prezzi, ma non pare possa toccare le iniziative collaterali che hanno iniziato ad animarle. E a farle
diventare anche luoghi dove il mercato può essere anche messo sotto accusa: accade nei numerosi
dibattiti collaterali e soprattutto nelle nuove tipologie di opere. La vasta gamma di video, siti, opere
in rete figlie o cugine dei video di Youtube ci domandano come si possa trarre un profitto da questi
nuovi sviluppi della tecnologia. E ci offrono una inedita via di uscita dall’antico senso di colpa insito
in chi compera o in chi – succede! – vorrebbe collezionare ma non può.
Fondazione Antonio Ratti, Villa Sucota, Via per Cernobbio, 19, 22100 Como, Italia. www.fondazioneratti.org
Sabato, 23 ottobre 2010 dalle 17 alle 20
I. The centres for contemporary art and the European cities
ANGELA VETTESE
Angela Vettese è una curatrice e critica dell’arte. Si
è laureata in Filosofia Medievale presso l’Università degli Studi di Milano, conseguendo poi il perfezionamento in Storia dell’Arte presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore. Ha insegnato Storia
dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Milano e Venezia, all’Accademia Carrara di Bergamo, presso
l’Università Bocconi di Milano e il Politecnico de
la Universidad de Valencia, Spagna. Ha progettato insieme a Marino Folin, Marco de Michelis e
Germano Celant la Facoltà delle Arti dell’Università IUAV di Venezia, dove dal 2001 dirige il CLASAV
(Corso di Laurea Specialistica in Arte Visiva). Ha
fatto parte del Comitato Scientifico della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (1995-1997). E’ stata
co-curatrice del Premio Furla-Querini Stampalia
(1993-1996) e curatrice del Corso Superiore di Arti
Visive della Fondazione Antonio Ratti (1995-2003).
Ha diretto la Galleria Civica di Modena (2005-2009).
Dal 2002 è presidente della Fondazione Bevilacqua
La Masa di Venezia e dal 2007 co-fondatrice del
Festival di Arte Contemporanea di Faenza. Nel
2009 è stata presidente della Giuria Internazionale
della Biennale di Arti visive di Venezia. Fa parte
del Comitato scientifico di Palazzo Grassi-Punta
della Dogana a Venezia. Angela Vettese è una delle
più note critiche d’arte italiane: dal 1986 collabora
abitualmente al supplemento domenicale del Sole
24 ore e ha pubblicato diversi libri e articoli in
cataloghi.
BIBLIOGRAFIA
Investire in Arte: produzione, promozione, e
mercato dell’arte contemporanea, ed. Il Sole 24
ore,1991
Capire l’arte contemporanea, Allemandi,1996
Guardare l’Arte. Cultura visiva contemporanea: le
recensioni, i temi e gli appuntamenti, (con Anna
Detheridge) Il Sole 24 Ore,1999
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA
La Fondazione Bevilacqua La Masa, fondata
nel 1898.
si occupa dell’organizzazione di mostre ed
incontri con gli artisti contemporanei ed altri operatori del settore, dando particolare
attenzione alle ricerche dei giovani artisti,
a cui viene data l’opportunità di partecipare
nella mostra collettiva annuale e di ricevere
una borsa di studio e una residenza all’interno della Fondazione.
Inoltre, la Fondazione propone momenti di
riflessione storica sul Novecento, aprendo
i propri spazi ad esposizioni dedicate ad
artisti internazionali affermati.
La Fondazione assume un punto di osservazione privilegiato sulle esperienze artistiche
più interessanti del territorio del Triveneto,
dove si pone come incubatore di progetti che coinvolgono la comunità artistica
locale, facendo da mediatore fra realtà
nazionali e internazionali di qualità.
Il Novecento, movimenti e protagonisti (con Gillo
Dorfles), Atlas, 2000
A cosa serve l’arte contemporanea, Allemandi,
2001
Ma questo è un quadro? Carocci, 2006
Artisti si diventa, Carocci, 1996